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ATTENZIONE: SUSSIDIO PER DIRETTORI E CONFESSORI SPIRITUALI

Ultimo Aggiornamento: 10/02/2016 15:01
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Papa a Missionari Misericordia: peccatori sentano che Chiesa è madre

Papa Francesco  - REUTERS

Papa Francesco - 

10/02/2016 

I confessori coprano i peccatori “con la coperta della misericordia”. E’ l’efficace immagine che Papa Francesco ha tratteggiato nell’udienza di ieri in Vaticano ai Missionari della Misericordia, alla vigilia del loro mandato, che avverrà oggi pomeriggio durante la Messa per il Mercoledì delle Ceneri nella Basilica di San Pietro. Il Papa ha sottolineato che i confessori sono “chiamati ad esprimere la maternità della Chiesa” ed ha ribadito che non serve “la clava del giudizio” per riportare nell’ovile la pecorella smarrita ma con la testimonianza e la santità di vita. Nel suo indirizzo d’omaggio, mons. Rino Fisichella ha definito Francesco “primo missionario della misericordia”. Il servizio di Alessandro Gisotti:

Essere Missionario della Misericordia “vi chiede di essere in prima persona testimoni della vicinanza di Dio e del suo modo di amare”. Papa Francesco ha subito messo l’accento sul significato di questo “segno di speciale rilevanza” del Giubileo. Ha così offerto alcune riflessioni sul loro mandato, affinché “possa essere compiuto in maniera coerente e come un concreto aiuto” per le persone che si accosteranno a loro.

Con i peccatori, testimoniare la maternità della Chiesa
Prima di tutto, ha detto, “desidero ricordarvi che in questo ministero siete chiamati ad esprimere la maternità della Chiesa”:

“Non possiamo correre il rischio che un penitente non percepisca la presenza materna della Chiesa che lo accoglie e lo ama. Se venisse meno questa percezione, a causa della nostra rigidità, sarebbe un danno grave in primo luogo per la fede stessa, perché impedirebbe al penitente di vedersi inserito nel Corpo di Cristo”.

Nel confessionale è Cristo che accoglie e perdona
Noi, ha soggiunto, “siamo chiamati ad essere espressione viva della Chiesa che come madre accoglie chiunque si accosta a lei”.“Entrando nel confessionale ricordiamoci sempre che è Cristo che accoglie, è Cristo che ascolta, è Cristo che perdona, è Cristo che dona la pace”:

“Noi siamo suoi ministri; e per primi abbiamo sempre bisogno di essere perdonati da Lui. Pertanto, qualunque sia il peccato che viene confessato – o che la persona non osa dirlo, ma lo fa capire, è sufficiente – ogni missionario è chiamato a ricordare la propria esistenza di peccatore e a porsi umilmente come canale della misericordia di Dio”.

Saper guardare nel desiderio di perdono del peccatore
Il Papa ha così ricordato la sua Confessione del 21 settembre del 1953, quando era un ragazzo, una fonte di gioia che ha riorientato tutta la sua vita verso Dio. Il Papa ha poi incoraggiato i Missionari della Misericordia a “saper guardare al desiderio di perdono presente nel cuore del penitente”. Un cuore, ha affermato, che sente “la nostalgia di Dio, del suo amore e della sua casa”. Proprio questo desiderio, ha detto, è “all’inizio della conversione”:

“Il cuore si rivolge a Dio riconoscendo il male compiuto, ma con la speranza di ottenere il perdono. E questo desiderio si rafforza quando si decide nel proprio cuore di cambiare vita e di non voler peccare più. È il momento in cui ci si affida alla misericordia di Dio e si ha piena fiducia di essere da Lui compresi, perdonati e sostenuti”.

Dalla vergogna nasce la conversione, confessore la rispetti
Il Papa chiede ai Missionari della Misericordia di dare “grande spazio a questo desiderio di Dio e del suo perdono”, di farlo “emergere come vera espressione della grazia dello Spirito che provoca alla conversione del cuore”. A volte, ha detto, il penitente ha paura di dire il peccato, ma c’è il linguaggio dei gesti: “le braccia aperte” alla ricerca del perdono:

“Se qualcuno viene da te e sente che qualcosa che deve togliersi, ma forse non riesce a dirlo, ma tu capisci… E sta bene, lo dice così, col gesto di venire”

Quindi, si è soffermato sulla “vergogna”, componente determinante per la conversione: “vergogna sia per quanto si è compiuto, sia per doverlo confessare a un altro”:

“La vergogna è un sentimento intimo che incide nella vita personale e richiede da parte del confessore un atteggiamento di rispetto e incoraggiamento”.

Accogliere persona con la sua debolezza, i suoi limiti
Francesco ricorda quanto nella Bibbia si parli della vergogna, quella di Adamo ed Eva e quella di Noè quando si ubriacò e la sua nudità fu coperta dai propri figli perché ritornasse nella dignità di padre. Di qui il riferimento al ruolo del sacerdote nella confessione:

“Davanti a noi c’è una persona ‘nuda’ e anche una persona che non sa parlare e non sa che cosa dire, con la sua debolezza e i suoi limiti, con la vergogna di essere un peccatore e tante volte non poter dirlo. Non dimentichiamo: dinanzi a noi non c’è il peccato, ma il peccatore pentito, il peccatore che ‘vorrei non essere così’, ma non può. Una persona che sente il desiderio di essere accolta e perdonata”.

Coprire il peccatore con la coperta della misericordia
Per questo, ha proseguito, “non siamo chiamati a giudicare, con un senso di superiorità, come se noi fossimo immuni dal peccato”. Non è “con la clava del giudizio – ha avvertito – che riusciremo a riportare la pecorella smarrita all’ovile, ma con la santità di vita che è principio di rinnovamento e di riforma nella Chiesa”:

“Essere confessore secondo il cuore di Cristo equivale a coprire il peccatore con la coperta della misericordia, perché non si vergogni più e possa recuperare la gioia della sua dignità filiale e anche possa sapere dove si ritrova”.

Confidate nella forza della misericordia, portate sulle spalle il peccatore
La santità, ha detto ancora, “si nutre di amore e sa portare su di sé il peso di chi è più debole”. “Un missionario della misericordia – ha aggiunto – porta sulle proprie spalle il peccatore, e lo consola con la forza della compassione”. Ancora, il Papa – a braccio – ha messo in guardia da quei confessori che “bastonano” i fedeli o fanno domande “oscure, di curiosità”. Questo, ha detto, “non è il buon pastore, questo è il giudice che forse crede che lui non ha peccato” o un “uomo malato”. E così, ha constatato con amarezza, “si fa tanto male ad un’anima se non viene accolta con cuore di padre”. Il Pontefice ha infine offerto come esempi e sostegno per questa “avventura missionaria” due “santi ministri del perdono di Dio, san Leopoldo e san Pio, insieme a tanti altri santi sacerdoti che nella loro vita hanno testimoniato la misericordia di Dio”:

“Quando sentirete il peso dei peccati a voi confessati e la limitatezza della vostra persona e delle vostre parole, confidate nella forza della misericordia che a tutti va incontro come amore che non conosce confini”.





DISCORSO INTEGRALE DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Sala Regia
Martedì, 9 febbraio 2016

[Multimedia]


 

Cari fratelli sacerdoti,

con grande piacere vi incontro, prima di darvi il mandato di essere Missionari della Misericordia. È questo un segno di speciale rilevanza perché caratterizza il Giubileo, e permette in tutte le Chiese locali di vivere il mistero insondabile della misericordia del Padre. Essere Missionario della Misericordia è una responsabilità che vi viene affidata, perché vi chiede di essere in prima persona testimoni della vicinanza di Dio e del suo modo di amare. Non il nostro modo, sempre limitato e a volte contraddittorio, ma il suo modo di amare, il suo modo di perdonare, che è appunto la misericordia. Vorrei offrirvi alcune brevi riflessioni, perché il mandato che riceverete possa essere compiuto in maniera coerente e come un concreto aiuto per le tante persone che si accosteranno a voi.

Prima di tutto desidero ricordarvi che in questo ministero siete chiamati ad esprimere la maternità della Chiesa. La Chiesa è Madre perché genera sempre nuovi figli nella fede; la Chiesa è Madre perché nutre la fede; e la Chiesa è Madre anche perché offre il perdono di Dio, rigenerando a una nuova vita, frutto della conversione.
Non possiamo correre il rischio che un penitente non percepisca la presenza materna della Chiesa che lo accoglie e lo ama. Se venisse meno questa percezione, a causa della nostra rigidità, sarebbe un danno grave in primo luogo per la fede stessa, perché impedirebbe al penitente di vedersi inserito nel Corpo di Cristo. Inoltre, limiterebbe molto il suo sentirsi parte di una comunità. Noi invece siamo chiamati ad essere espressione viva della Chiesa che come madre accoglie chiunque si accosta a lei, sapendo che attraverso di lei si è inseriti in Cristo.

Entrando nel confessionale, ricordiamoci sempre che è Cristo che accoglie, è Cristo che ascolta, è Cristo che perdona, è Cristo che dona pace. Noi siamo suoi ministri; e per primi abbiamo sempre bisogno di essere perdonati da Lui. Pertanto, qualunque sia il peccato che viene confessato - o che la persona non osa dire, ma lo fa capire, è sufficiente - ogni missionario è chiamato a ricordare la propria esistenza di peccatore e a porsi umilmente come “canale” della misericordia di Dio. E vi confesso fraternamente che per me è una fonte di gioia il ricordo di quella confessione del 21 settembre del ’53, che ha riorientato la mia vita. Cosa mi ha detto il prete? Non ricordo. Ricordo solo che mi ha fatto un sorriso e poi non so cosa è successo. Ma è accogliere come padre…

Un altro aspetto importante è quello di saper guardare al desiderio di perdono presente nel cuore del penitente. È un desiderio frutto della grazia e della sua azione nella vita delle persone, che permette di sentire la nostalgia di Dio, del suo amore e della sua casa. Non dimentichiamo che c’è proprio questo desiderio all’inizio della conversione. Il cuore si rivolge a Dio riconoscendo il male compiuto, ma con la speranza di ottenere il perdono. E questo desiderio si rafforza quando si decide nel proprio cuore di cambiare vita e di non voler peccare più. È il momento in cui ci si affida alla misericordia di Dio, e si ha piena fiducia di essere da Lui compresi, perdonati e sostenuti.

Diamo grande spazio a questo desiderio di Dio e del suo perdono; facciamolo emergere come vera espressione della grazia dello Spirito che provoca alla conversione del cuore. E qui mi raccomando di capire non solo il linguaggio della parola, ma anche quello dei gesti. Se qualcuno viene da te e sente che deve togliersi qualcosa, ma forse non riesce a dirlo, ma tu capisci… e sta bene, lo dice così, col gesto di venire. Prima condizione.

Seconda, è pentito.
Se qualcuno viene da te è perché vorrebbe non cadere in queste situazioni, ma non osa dirlo, ha paura di dirlo e poi non poterlo fare. Ma se non lo può fare, ad impossibilia nemo tenetur. E il Signore capisce queste cose, il linguaggio dei gesti. Le braccia aperte, per capire cosa c’è dentro quel cuore che non può venire detto o detto così… un po’ è la vergogna… mi capite. Voi ricevete tutti con il linguaggio con cui possono parlare.

Vorrei, infine, ricordare una componente di cui non si parla molto, ma che è invece determinante: la vergogna. Non è facile porsi dinanzi a un altro uomo, pur sapendo che rappresenta Dio, e confessare il proprio peccato.
Si prova vergogna sia per quanto si è compiuto, sia per doverlo confessare a un altro. La vergogna è un sentimento intimo che incide nella vita personale e richiede da parte del confessore un atteggiamento di rispetto e incoraggiamento. Tante volte la vergogna ti fa muto e… Il gesto, il linguaggio del gesto. Fin dalle prime pagine la Bibbia parla della vergogna. Dopo il peccato di Adamo ed Eva, l’autore sacro annota subito: «Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e conobbero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero delle cinture» (Gen3,7). La prima reazione di questa vergogna è quella di nascondersi davanti a Dio (cfr Gen 3,8-10).

C’è anche un altro brano della Genesi che mi colpisce, ed è il racconto di Noè. Tutti lo conosciamo, ma raramente ricordiamo l’episodio in cui egli si ubriacò. Noè nella Bibbia è considerato un uomo giusto; eppure non è senza peccato: il suo essersi ubriacato fa comprendere quanto anch’egli fosse debole, al punto da venir meno alla propria dignità, fatto che la Scrittura esprime con l’immagine della nudità. Due dei suoi figli però prendono il mantello e lo coprono perché ritorni nella dignità di padre (cfr Gen 9,18-23).

Questo brano mi fa dire quanto importante sia il nostro ruolo nella confessione. Davanti a noi c’è una persona “nuda”, e anche una persona che non sa parlare e non sa che cosa dire, con la sua debolezza e i suoi limiti, con la vergogna di essere un peccatore, e tante volte di non riuscire a dirlo. Non dimentichiamo: dinanzi a noi non c’è il peccato, ma il peccatore pentito, il peccatore che vorrebbe non essere così, ma non ci riesce.
Una persona che sente il desiderio di essere accolta e perdonata. Un peccatore che promette di non voler più allontanarsi dalla casa del Padre e che, con le poche forze che si ritrova, vuole fare di tutto per vivere da figlio di Dio. Dunque, non siamo chiamati a giudicare, con un senso di superiorità, come se noi fossimo immuni dal peccato; al contrario, siamo chiamati ad agire come Sem e Jafet, i figli di Noè, che presero una coperta per mettere il proprio padre al riparo dalla vergogna. Essere confessore secondo il cuore di Cristo equivale a coprire il peccatore con la coperta della misericordia, perché non si vergogni più e possa recuperare la gioia della sua dignità filiale, e possa anche sapere dove si ritrova.

Non è, dunque, con la clava del giudizio che riusciremo a riportare la pecorella smarrita all’ovile, ma con la santità di vita che è principio di rinnovamento e di riforma nella Chiesa. La santità si nutre di amore e sa portare su di sé il peso di chi è più debole.
Un missionario della misericordia porta sulle proprie spalle il peccatore, e lo consola con la forza della compassione. E il peccatore che va lì, la persona che va lì, trova un padre. Voi avete sentito, anch’io ho sentito, tanta gente che dice: “No, io non ci vado mai, perché sono andato una volta e il prete mi ha bastonato, mi ha rimproverato tanto, o sono andato e mi ha fatto domande un po’ oscure, di curiosità”. Per favore, questo non è il buon pastore, questo è il giudice che forse crede di non aver peccato, o è il povero uomo malato che con le domande è incuriosito.

Ma a me piace dire ai confessori: se tu non te la senti di essere padre, non andare al confessionale, è meglio, fai un’altra cosa. Perché si può fare tanto male, tanto male ad un’anima se non viene accolta con cuore di padre, col cuore della Madre Chiesa. Alcuni mesi fa parlavo con un saggio cardinale della Curia Romana sulle domande che alcuni preti fanno nella confessione e lui mi ha detto: “Quando una persona incomincia e io vedo che vuol buttar fuori qualcosa, e me ne accorgo, capisco, le dico: Ho capito! Stia tranquilla!”. E avanti. Questo è un padre.

Vi accompagno in questa avventura missionaria, dandovi come esempi due santi ministri del perdono di Dio, san Leopoldo e san Pio - lì fra gli italiani c’è un cappuccino che assomiglia tanto a san Leopoldo: piccolo, la barba… -, insieme a tanti altri sacerdoti che nella loro vita hanno testimoniato la misericordia di Dio. Loro vi aiuteranno.
Quando sentirete il peso dei peccati a voi confessati e la limitatezza della vostra persona e delle vostre parole, confidate nella forza della misericordia che a tutti va incontro come amore e che non conosce confini. E dire come tanti santi confessori: “Signore, io perdono, mettilo sul mio conto!”. E vai avanti.

Vi assista la Madre della Misericordia e vi protegga in questo servizio così prezioso. Vi accompagni la mia benedizione; e voi, per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie.

   


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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