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beato Papa Benedetto XI ed altri Papi Domenicani

Ultimo Aggiornamento: 25/01/2014 09:11
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07/07/2011 11:26
 
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[SM=g1740733] Beato Benedetto XI 07/07 Santo del Giorno
Treviso, la diocesi che dette alla Chiesa S. Pio X, è la patria di un altro papa, elevato agli onori degli altari: Benedetto XI.

Come S. Pio X, anche Benedetto XI, per l'anagrafe Niccolò Boccasini, nato a Treviso nel 1240, proveniva da modestissima famiglia. Sua madre faceva la lavandaia nel vicino convento dei domenicani e questa sua mansione favorì l'ingresso del figlio nel giovane ordine di S. Domenico. Indossato l'abito religioso a diciassette anni, Niccolò completò gli studi a Milano. Ordinato sacerdote, fece ritorno a Treviso dove svolse il compito di insegnante nel proprio convento. Si distinse per mitezza di carattere, purezza di vita, umiltà e pietà. Eletto nel 1286 superiore provinciale della vasta regione lombarda, dieci anni dopo fu chiamato a succedere a Stefano di Besancon nella carica di generale dell'Ordine.

Poco dopo il Boccasini, figlio di un'umile lavandaia trevigiana, riuscì a realizzare una difficile tregua d'armi tra il re d'Inghilterra, Edoardo I, e il re di Francia, Filippo il Bello. Questa sua missione di pace, coronata dall'insperato successo, valse al generale dei domenicani il cappello cardinalizio, accordatogli da papa Bonifacio VIII, che intese con questa nomina premiare anche tutto l'ordine domenicano, per la sua adesione al pontefice. Il cardinale Boccasini era ad Anagni accanto a Bonifacio VIII quando questi venne colpito dallo schiaffo dell'emissario di Filippo il Bello, Guglielmo di Nogaret.

Morto Bonifacio VIII, i cardinali, riuniti in conclave a Roma, il 22 ottobre 1303 gli diedero come successore proprio il cardinale Boccasini, uomo conciliante e il più indicato a mettere riparo all'increscioso conflitto tra il papato e il re di Francia. Il nuovo pontefice, che assunse il nome di Benedetto XI, rispose alle attese. Pur mostrandosi duro con l'esecutore materiale del sacrilego gesto (rinnovò la scomunica al Nogaret e a Sciarra Colonna), sciolse il re dalle censure in cui era incorso.

Benedetto XI alla residenza romana preferì quella di Perugia, per tenersi lontano dai tumulti e dalle insidie, e dedicarsi al pacifico governo della Chiesa. Ma anche qui pare sia stato raggiunto dall'odio dei suoi nemici: sentendosi venir meno dopo aver assaggiato un fico fresco, probabilmente iniettato di veleno, fece spalancare le porte del palazzo per concedere un'ultima udienza e benedizione ai fedeli. Tra gli atti del suo breve pontificato (22 ottobre 1303 - 7 luglio 1304), c'è il decreto che fa obbligo a ogni cristiano di confessarsi almeno una volta all'anno.


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[SM=g1740717]

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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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[SM=g1740771]

Vogliamo  arricchire queste cronache con quanto riportato dalle fonti Domenicane, a cura di mon. Ludovico Ferretti e  padre Tito Centi O.P. - Firenze 1956 - in "Vocazioni Domenicane".


Il futuro Papa Benedetto XI, anche sotto altri aspetti, si presenta a noi come l'antitesi perfetta del suo grande confratello Tommaso d'Aquino.
San Tommaso era nato nobile e potente, ma detestò per tutta la vita le cariche per la sua persona, riuscendo ad evitare per tutta la vita ogni incarico di governo nel suo stesso istituto. Niccolò Boccasino invece nacque da modesti genitori, il padre era notaio del comune e morendo quando Niccolò era ancora bambino e lasciando la moglie con un altro figlio da mantenere, naturalmente la famiglia si ritrovò ben presto in forti ristrettezze economiche.


La sua fortuna, se di questa povertà dignitosa vogliamo parlare, somiglia molto a quella del suo grande conterraneo del nostro secolo, cioè a quella del grande Pontefice San Pio X.


Per fortuna piuttosto che la madre di Niccolò era molto pia, devota e coraggiosa, una donna forte che non ebbe mai paura di dover affrontare anche le fatiche più umili, e con le sue braccia provvedeva sempre il necessario per i suoi due bambini.
Se è vero che il Signore chiude una porta per spalancare un portone, come molte storie confermano, anche in questo caso per la pia vedova si spalancò un portone, quello del convento dei Domenicani.


Avvenne che l'instancabile mamma dei due giovani, Bernarda, sempre in cerca di lavoro, bussò alla porta dei Padri Domenicani i quali furono ben lieti di affidare ad una persona così seria e coscienziosa, la loro biancheria.


Per questi suoi impegni (all'epoca i frati non erano certo pochi) capitava che Bernarda andasse sempre più spesso al convento e naturalmente portava con se i due bambini Adeletta e Niccolò, i quali ben presto dimostrarono tutta la loro gioia di poter andare spesso al convento nel quale finirono per trovarsi a proprio agio.
Gli stessi Frati rimanevano ammirati della bontà, del candore e della santa educazione che traspariva dai volti e dai comportamenti dei due bambini, sempre allegri e disponibili ad intrattenersi con loro senza mai dare segni di insofferenza o di qualche noia. L'ammirazione era tale che un novizio, di buona famiglia, pensò persino di fare testamento in loro favore.

Niccolò sapeva davvero attirarsi l'attenzione e la commozione dei Frati per la vivacità (dicevano: ben educata), ma anche per la pietà attraverso la quale dimostrava di saper conoscere la Preghiera, e poi per la fine intelligenza che dimostrava di possedere.

Ecco perchè questo novizio, di cui si parlava, nel 1246 scriveva questa curiosa clausola nel suo testamento: "... lascio alla signora Bernarda, moglie del fu Boccaccio Notaio, ad Adeletta e a Niccolò, figluioli di lui, cinquanta libbre di piccoli veneziani; a queste condizioni, che se il detto Niccolò entrerà nell'Ordine dei Frati Predicatori, a lui sia devoluta la metà del predetto legato.." si pensi che Niccolò aveva allora appena sei anni...
A noi piace vedere come le trame della Divina Provvidenza lavorino instancabilmente con gli uomini.


Dunque, l'inclinazione che il bambino sentiva per la vita religiosa, senza dubbio, fu favorita in mille modi, ma mai costretta. Man mano che cresceva non aveva più bisogno degli accompagnatori per ritrovare la via del convento dove vi andava sempre più volentieri.

Niccolò si trovava di casa, e presso quei Frati egli apprese gli elementi fondamentali della cultura, cioè le arti del trivio e del quadrivio, come allora si diceva, inoltre dimostrava attitudine nel leggere e nello scrivere.

Ciò che meravigliava di più era l'umiltà e l'atteggiamento sereno della mamma Bernarda. Questa santa donna, infatti, avrebbe potuto anche esigere dal figlio, che tutti ammiravano per l'intelligenza, le doti nell'arte e del cuore, un aiuto ed un sostegno per lei, la sorella e, perchè no, pensare anche per la sua vecchiaia, e invece no, lei si sentiva orgogliosa e felice se Niccolò avesse manifestato l'intenzione di farsi frate.
"Dio - andava ripetendo - mi ha fatto già una grande grazia nel donarmi questo figliuolo, ma me ne farebbe una ancor più grande, se si degnasse di prenderlo al suo servizio!"
Curioso è che da questo momento in poi non si parlerà più, nelle cronache, della mamma Bernarda di Niccolò, e a noi piace di pensare a queste sue parole come ad un piccolo testamento, in fondo i suoi due figli erano davvero tutto il tesoro che possedeva, e lei ridonava al Signore quanto da Lui aveva ricevuto.

Tuttavia, sulla pia Bernarda, si racconta di un episodio che la tradizione ha voluto conservare nel tempo legato alla elezione del figlio Niccolò a Sommo Pontefice, e che vogliamo raccontarvi.

Dalla nativa Treviso sarebbe giunta a Perugia per riabbracciare almeno un ultima volta il figlio e vederlo in tanta gloria. Era giunta in città con poveri vesti di popolana. Ma prima di introdurla dal Pontefice, i cortigiani la convinsero, nonostante ne fosse contrariata, di vestirsi con abiti sfarzosi e principeschi che si addicevano alla mamma di un Papa.

Benedetto XVI appena la vide entrare imbarazzata sotto quelle vesti che non le si addicevano affatto, si mostrò dispiaciuto e tanto contrariato da non volerla ricevere.
La mamma soffrì molto ma comprese di aver sbagliato, rivestì i suoi abiti di popolana e appena il figliuolo la vide, gli andò incontro abbracciandola con infinita dolcezza davanti a tutta la corte.

Non abbiamo bisogno di consultare schedari ed altro a riguardo di alcune tappe di Niccolò, perchè lui stesso mise per iscritto questa testimonianza: " A quattordici anni entrai nell'Ordine; vi studiai altri quattordici anni, per altri quattordici esercitai l'ufficio di Lettore (ciòè insegnante. Nda), e ne trascorsi altri quattordici nelle cariche dell'Ordine, prima di essere eletto Maestro Generale..."

Quando a Treviso il futuro Papa vestiva le Bianche Lane domenicane, cioè nel 1254, pensate che san Tommaso d'Aquino aveva iniziato a Parigi la sua gloriosa carriera di insegnante e si preparava al Magistero; effettivamente l'ordine di san Domenico era all'apogeo del suo splendore...


E' vero che la "carriera" di Niccolò fu tutta in salita, ma da non confondersi con gli agi e gli allori come si penserebbe oggi quando si dice "ha fatto carriera", Niccolò infatti non solo non era un ambizioso, ma non era neppure un tipo accomodante, inoltre egli vedeva questo salire come la salita del Calvario e si diceva spesso curioso di sapere fino a che punto il Signore lo avesse portato sul Golgota, e pregava la Vergine Maria di non farlo mai deviare da tal percorso e che, giunti al fine della vita, ai piedi della Croce, lo avesse aiutato ad affrontare qualsiasi sacrificio definitivo che il Signore gli avesse chiesto.

Quando Bonifacio VIII gli conferirà il cardinalato, il Boccasino nell'atto di prostrarsi dinnanzi al venerando Pontefice, non potè fare a meno di chiedere commosso: "Beatissimo Padre, perchè avete posto sulle mie povere spalle un fardello così pesante?", e il Papa gli rispose: " Non preoccupatevi, questo ve lo impongo io, ma il Signore stesso ve ne imporrà un altro ancor più pesante, fatevi trovare pronto..."

 

E profezia fu!

Fra Niccolò Boccasino, nono Maestro Generale dell'Ordine di san Domenico, sarebbe diventato successore di Bonifacio VIII. A lui, umile frate domenicano, attendeva la sorte miseranda del Pontificato Romano dopo lo schiaffo d'Anagni. In quest'ultima dolorosa circostanza accanto al Pontefice oltraggiato, vi troviamo solo due fedeli cardinali, uno di essi è il nostro Beato.

Per due lunghi e dolorosissimi giorni egli dovette assistere impotente ed inorridito alla prigionia di Bonifacio ingiustamente calunniato, e nel suo palazzo fra insulti e scherni dei suoi feroci e volgari nemici.

Non è un caso che il così detto "secolo d'oro" dell'Occidente cristiano, si eclissava sotto gli occhi di un umile frate innalzato a tanto ruolo, in una atmosfera di vera e triste tragedia.

 

Il Beato Benedetto XI avrà così come missione quella di lanciare al mondo il grido di dolore e di esecrazione per tanto delitto, che egli definirà: "un'infame scellaragine, e una scellerata infamia".

Persino Dante Alighieri, dimenticando la propria antipatia irragionevole per Bonifacio, molto più onestamente si farà eco di questa energica denunzia del suo successore, con quei versi immortali:

"... veggio in Alagna entrar lo fiordaliso

e nel Vicario suo Cristo esser catto,

veggiolo un'altra volta esser deriso;

veggio rinnovellare l'aceto e il fele,

e tra vivi ladroni esser anciso.... (Purg. 20, 86-90)


Ma Benedetto XI non si sarebbe accontentato di gridare, se il Signore gli avesse concesso "quattordici anni" ancora, di pontificato, come egli forse segretamente sperava: egli avrebbe voluto probabilmente anche condannare e punire i responsabili di tale tragedia, ma come dice il Signore: "Non enim cogitationes meae cogitationes vestrae, neque viae vestrae viae meae, dicit Dominus. / i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie - oracolo del Signore". (Is.55,8), così ad un mese preciso dalla Bolla che imponeva i colpevoli a presentarsi davanti a lui, Papa Benedetto XI moriva, era il 7 luglio dell'anno 1304, il primo anno del suo Pontificato.

La sua morte improvvisa e immatura, e dentro un contesto di governo molto delicato e decisivo, destò sconcerto, dolore e meraviglia, a tal punto che si ebbe persino qualche sospetto, si parlò di veleno.

Difficile oggi trovare la verità, solo Dio la conosce, comunque sia è storicamente dimostrato che l'Ordine di san Domenico aveva avuto l'onore e la benedizione di preparare in Benedetto XI, fin dalla più tenera età, l'ultimo baluardo della civiltà occidentale, minacciata dalla riesumazione di un paganesimo e di un nazionalismo gretto, fanatico e sempre più volgare. Il mondo non era degno di lui, non era degno di un Beato così fulgido.


Da quel momento i Papi che gli succedettero si rassegnarono a dimorare in Avignone, rendendosi più o meno consenzienti , strumenti compromessi alla politica francese.
Rileggendo la storia è assai probabile che tutta questa situazione doveva purtroppo preparare lo Scisma d'Occidente, e con esso accelerare la corruzione dei costumi nel clero e nel popolo, arrivare così anche al Protestantesimo e alle sue tristi conseguenze.
Secondo alcuni studiosi e dello stesso Cesare Cantù, si può affermare che l'Ordine Domenicano ebbe il compito provvidenziale di ritardare di tre secoli il dilagare dell'eresia in Europa, il che non ci sembra poca cosa.

Ma se Benedetto XI avesse avuto la possibilità di governare la Chiesa per quei "quattordici anni", qualcuno azzarda l'ipotesi che il Protestantesimo non avrebbe avuto il successo che ebbe:


Ma la storia non si fa con i sè e con i ma, ogni supposizione è inutile, del resto leggendo la storia non è un caso che un'altra grande figlia dell'Ordine Guzmano, Santa Caterina da Siena, ebbe il compito di riportare il Papato a Roma, sua Sede naturale e divina, quasi a voler chiudere un contenzioso che Benedetto XI non riuscì a chiudere, o che forse non gli permisero di chiudere.


Non ci resta che adorare l'arcano Consiglio di Dio, la sublime Divina Provvidenza, che per i peccati degli uomini non volle concedere al mondo il protrarsi del governo di un Pontefice così umile, beato e santo.

Sia di monito a noi oggi ricordare che i Santi li dobbiamo anche meritare, e che se abbandoniamo le vie del Signore, il Signore abbandonerà noi ai nostri progetti che se sono malvagi e perversi non faranno altro che condurci alla rovina.
Certo, il Signore è fedele e proteggerà sempre la Chiesa: Et ego dico tibi: Tu es Petrus, et super hanc petram aedificabo Ecclesiam meam; et portae inferi non praevalebunt adversum eam. /  E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. (Mt.16,18), questo non significa però, che le ingiustizie e le cattive azioni non troveranno spazio, al contrario, la promessa di fedeltà del Signore è stata pronunciata proprio per metterci in guardia dal fatto che solo la Chiesa sarà preservata dalle tenebre, il mondo no.




[SM=g1740758] poichè l'operaio è degno della sua mercede, vi preghiamo di riportare la fonte, quando voleste riportare il testo altrove, e senza estrapolarlo. Grazie!

[Modificato da Caterina63 13/07/2012 21:41]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Breve rassegna dei primi nove papi che hanno portato il nome Benedetto.


Un “continuum” discontinuo


La seconda puntata della rassegna dei papi che hanno portato il nome Benedetto presenta la figura di Benedetto XI, il successore di Bonifacio VIII, e quella di Benedetto XII, il terzo dei cosiddetti papi avignonesi. In appendice, i due antipapi Benedetto XIII e Benedetto XIV


di Lorenzo Cappelletti


Busto di Bonifacio VIII proveniente 
 <br /> dal suo sacello,
 <br /> Sala San Giovanni, Palazzo Apostolico Vaticano, Città 
 <br /> del Vaticano

Busto di Bonifacio VIII proveniente dal suo sacello, Sala San Giovanni, Palazzo Apostolico Vaticano, Città del Vaticano

Nessun papa di nome Benedetto regnò nei secoli XII e XIII, al tempo dei frutti ormai maturi della Riforma gregoriana, i primordi della quale vanno rintracciati proprio nell’antagonismo dei riformatori contro “due Benedetti”: contro Benedetto IX, la cui resistenza fu così tenace da dar luogo all’inusitato triplice pontificato di questo medesimo Papa, fra il 1032 e il 1048, e poi contro Benedetto X, deposto da Niccolò II nel 1059. Ne abbiamo scritto nel numero precedente di 30Giorni.
Il nome Benedetto si riaffaccia, forse non a caso, potremmo dire a posteriori, con Benedetto XI (1303-1304), l’immediato successore di Bonifacio VIII (1294-1303) che, sul crinale fra XIII e XIV secolo, era stato come l’ultimo alfiere di quella Riforma a presumere di poter dare scacco matto al re.

Benedetto XI
A quanto pare, Benedetto XI prese quel nome non in discontinuità ma per omaggio a Bonifacio VIII (Benedetto Caetani), al quale fu fedele in vita e in morte. Eppure il suo pontificato, nei limiti delle possibilità e del tempo troppo breve di otto mesi, mostra una certa discontinuità rispetto a quello del predecessore, segnalata già, secondo gli autorevoli studi di Gerhart Ladner, dalla forma semplice della tiara da lui indossata a differenza di quella monumentale a triplice corona di Bonifacio.
Poco importa che questa discontinuità sia stata il frutto di un’impotenza piuttosto che di una deliberata strategia. La Chiesa è o non è del Signore? Sono gli idealismi vecchi e nuovi, di destra e di sinistra, a cui piace distinguere nella storia del papato, quasi come fasi dialettiche, soggettività forti e soggettività deboli: «la fede e la volontà incrollabile» (G. Falco,
La Santa Romana Repubblica, 346) di Bonifacio, da una parte; dall’altra, la inadeguatezza e incapacità di Benedetto XI, leitmotiv della voce a lui dedicata nella recente Enciclopedia dei papi. Voce già comparsa identica, finanche negli a capo, nel Dizionario Biografico degli Italiani 35 anni prima (brutta pubblicità per la Treccani! Soprattutto in considerazione dei numerosi studi recenti di Vito Sibilio, Carlo Longo e altri).

Qui sopra, Benedetto XI, particolare del monumento sepolcrale, scuola di Arnolfo di Cambio, chiesa di San Domenico, Perugia

Qui sopra, Benedetto XI, particolare del monumento sepolcrale, scuola di Arnolfo di Cambio, chiesa di San Domenico, Perugia

In realtà il pontificato di Benedetto XI segna una discontinuità tanto più forte quanto più inalterata rimase la fedeltà di Benedetto a Bonifacio. In fondo, cedendo rispetto alle pretese del suo predecessore, Benedetto non solo ne preservò la memoria, ma preservò la successione apostolica. La condanna postuma di Bonifacio da parte di un concilio, richiesto pervicacemente dai consiglieri del re francese, avrebbe infatti significato l’annullamento degli atti di Bonifacio, e questo andava evitato comunque.
Benedetto XI, al secolo Niccolò di Boccassio, figlio di un notaio trevigiano, si fece domenicano nel 1257, nel convento della sua città natale, e percorse poi un iter normale sia come insegnante che come superiore all’interno dell’Ordo praedicatorum, che, insieme alla «sua propensione a comporre i grandi dissidi» (come si legge in Bibliotheca sanctorum, perché Benedetto XI, unico fra i papi che portano questo nome, fu proclamato beato: va tenuto presente), fu la migliore carta di credito al momento della sua elezione a maestro generale dell’Ordine nel maggio 1296. In quel momento era in pieno svolgimento, infatti, l’asprissima contesa dei Colonna – eredi, si potrebbe dire, delle antiche pretese localistiche dei romani sul papato – contro Bonifacio VIII. Pretese efficaci perché si stavano per saldare a quelle nuove del re di Francia Filippo IV il Bello.

Niccolò di Boccassio, nel capitolo generale del 1297, schierò decisamente il suo Ordine dalla parte della legittimità di papa Bonifacio messa in discussione in quella lotta. L’elevazione al cardinalato l’anno successivo e poi, nel 1300, l’ulteriore promozione a decano del Sacro Collegio lo ricompensò di tale fedeltà. Una fedeltà che lo portò non solo ad agire come legato in diverse missioni di pace, ma a condividere in prima persona tutto il dramma degli ultimi giorni di Bonifacio, dall’ingiuria di Anagni fino al ritorno e alla morte del Papa a Roma nell’ottobre 1303. Il misfatto si svolse «palam [...] in nostris etiam oculis», scriverà poi Benedetto XI nella bolla di condanna degli autori materiali fra cui Sciarra Colonna e Guillaume de Nogaret.

D’altra parte egli non era Bonifacio né per temperamento né per curriculum. La sua elezione come papa alla prima votazione fu la scelta consapevole da parte dei cardinali di un pontefice che non smentisse, certo, ma che allo stesso tempo non ripetesse Bonifacio. Proprio il suo essere inerme e super partes favorì, almeno inizialmente, il venir meno di disastrose conflittualità. Tanto che alcuni autori, come lo storico domenicano Pierre Mandonnet, hanno creduto di rinvenire in Benedetto XI il profetico Veltro dantesco che avrebbe dovuto sconfiggere la cupiditas dominandi simboleggiata dalla lupa e riportare la pace: «… infin che ’l veltro / verrà, che la [la lupa] farà morir con doglia. / Questi non ciberà terra né peltro, / ma sapienza, amore e virtute, / e sua nazion sarà tra feltro e feltro. / Di quella umile Italia fia salute / per cui morì la vergine Cammilla, / Eurialo e Turno e Niso di ferute. / Questi la caccerà per ogne villa, / fin che l’avrà rimessa ne lo ’nferno, / là onde ’nvidia prima dipartilla» (Divina Commedia, Inferno, I, 101-111).
Dante assalito dalle tre fiere (Inferno, I), particolare dell’affresco 
 <br /> di  Joseph Anton Koch, 
 <br /> Stanza di Dante, Casino Massimo, Roma

Dante assalito dalle tre fiere (Inferno, I), particolare dell’affresco di Joseph Anton Koch, Stanza di Dante, Casino Massimo, Roma

In effetti Benedetto tolse la scomunica a Filippo il Bello e l’interdetto a diverse città di Francia, concedendo il perdono a tutti, tranne a coloro che erano stati coinvolti direttamente nell’attentato di Anagni, i quali furono chiamati a comparirgli davanti, pena la solenne promulgazione della scomunica (ma il Papa morì improvvisamente e dunque neppure costoro furono colpiti da provvedimenti). Liberò dalla scomunica anche i due cardinali Giacomo e Pietro Colonna, pur non reintegrandoli nel Collegio cardinalizio. E dal carcere Iacopone da Todi.

Bisogna considerare, per capire la portata di tali atti di clemenza, che l’uso fin troppo esteso, anche per motivi politici e fiscali, della scomunica e dell’interdetto – cosa che significava privare dei sacramenti non solo singoli ma intere città e province – aveva e avrebbe costituito nella prima età moderna uno dei più gravi e oggettivi motivi di scandalo. E dunque non fu solo un escamotage diplomatico da parte di Benedetto, nella lettera del 2 aprile 1304 a Filippo il Bello, motivare tale magnanimità con la sua sollecitudine pastorale.

Ma, nonostante tutte le accortezze diplomatiche e pastorali, già col mese seguente Benedetto fu costretto a lasciare Roma, fattasi di nuovo pericolosa per lui, e a rifugiarsi a Perugia da dove non sarebbe più tornato. Morirà infatti il 7 luglio per un’improvvisa dissenteria attribuita a fichi. Avvelenati? «L’improvvisa morte dette corso alle solite dicerie che l’attribuirono al veleno dei cardinali o addirittura del Nogaret», taglia corto la voce dell’Enciclopedia dei papi, forse perché doveva uscire in fretta in occasione del Grande Giubileo. Ma, stando anche solo a quel che alcuni cardinali insieme a Nogaret avevano tramato e continuavano a tramare, non sarebbe opportuno elevare la diceria almeno al rango di ipotesi? Vox populi...
Dunque è a partire da Benedetto XI che i papi e la Curia si allontanano da Roma per non farvi più ritorno se non dopo un sessantennio. È lui il primo papa “avignonese”. D’altronde il territorio di Avignone (non si tiene mai presente) era pontificio né più né meno di Anagni o Segni. E inoltre, già nei due secoli precedenti, il tempo trascorso dai papi fuori Roma era stato maggiore di quello trascorso in città. Per dire che va ridimensionata la «cattività babilonese» di Avignone lamentata dal Petrarca. Gli studi del Novecento l’hanno evidenziato.




Fu detto a ragione, di nome e di fatto, Benedetto


traduzione di Lorenzo Bianchi


L'epigrafe sepolcrale di Benedetto XI, chiesa di San Domenico, Perugia

L'epigrafe sepolcrale di Benedetto XI, chiesa di San Domenico, Perugia

Quanto è degno di lode, quanto dolcemente è da venerare questo inclito padre. Già semplice frate dell’Ordine di san Domenico, che fu solerte amico di Cristo, insegnò con onore, anzi fu ritenuto il primo dei dottori. Poi fu fatto maestro generale dei frati. Uomo di tanta dottrina, divenne poi cardinale di Sabina, e con gioia gli danno il titolo le due sedi di Ostia e di Velletri. Fu gioiello di sapienza come legato in Ungheria.
Divenne quindi pater patrum, signore del mondo, gloria dei frati. Fu detto a ragione, di nome e di fatto, Benedetto. Nacque a Treviso e qui a Perugia venne nel primo anno di pontificato; governò con giustizia ogni cosa a lui sottoposta; nel nono mese fu atterrato dalla spada della morte. I miracoli rendono santo quest’uomo così grande, che a coloro che ne sono degni dispensa aiuti di grazia con segni innumerevoli. Tu che leggi tieni a mente: correva l’anno milletrecentoquattro, quando quest’uomo mite se ne dipartì. Ciò avvenne nel sesto giorno di luglio.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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Breve rassegna dei primi nove papi che hanno portato il nome Benedetto.


Benedetti riformatori... e un altro Benedetto domenicano.... [SM=g1740733]


Da conclavi dominati dalle potenze emergono nel Settecento due “indipendenti”: Benedetto XIII e Benedetto XIV. Per tanti versi dissimili, non è però solo il nome ad accomunarli, ma un sincero tentativo di riforma


di Lorenzo Cappelletti


Illustrazione con cui si apre l’edizione degli Atti del Sinodo romano del 1725 stampata in Roma nello stesso anno dalla tipografia 
 <br /> Rocchi Bernabò

Illustrazione con cui si apre l’edizione degli Atti del Sinodo romano del 1725 stampata in Roma nello stesso anno dalla tipografia Rocchi Bernabò

BENEDETTO XIII (1724-1730)

Bisogna aspettare il XVIII secolo per vedere ricomparire il nome Benedetto nella lista dei papi. Forse perché gli ultimi ad averlo prescelto erano stati, fra il Trecento e il Quattrocento, due antipapi.
Lo sceglie di nuovo, al momento della sua elezione al soglio pontificio nel maggio 1724, il cardinale Pietro Francesco Orsini ovvero, secondo il nome di religione, il domenicano fra Vincenzo Maria Orsini. Che da papa prese il nome di Benedetto in riferimento al beato papa domenicano Benedetto XI (1303-1304). Rifacendosi all’umile successore di Bonifacio VIII dell’inizio del Trecento – e non a Pio V, ad esempio, papa domenicano di epoca più recente e proclamato santo pochi anni prima, nel 1712 –, Benedetto XIII, a chi voleva intendere, già offriva la cifra del suo pontificato, come vedremo.

Di nobile e religiosissima famiglia pugliese (sua madre, rimasta vedova nel 1658, avrebbe poi vestito l’abito domenicano), fece la sua professione fra i domenicani nel febbraio 1669 poco più che diciannovenne. Sul momento, con grave scorno dei suoi, che gli stavano preparando un matrimonio degno dell’erede del duca di Gravina. Ma i suoi non si persero d’animo e rimediarono combinando l’unione dell’altro maschio con la nipote del papa allora regnante Clemente X Altieri, facendo nominare nel contempo cardinale, con grave scorno di lui, lo stesso fra Vincenzo Maria pochi mesi dopo la sua ordinazione sacerdotale, nel 1672.
Poteva trattarsi dell’esordio di una tipica carriera ecclesiastica da ancien régime. E in qualche modo fu così. In quell’epoca non c’era cardinale che non emergesse dalla combine fra trono e altare. Chi può prescindere dal periodo storico che gli è dato di vivere? Eppure, scrive Luigi Fiorani nel Dizionario storico del Papato, «il suo itinerario personale e la sua ascesa seguono solo in parte la falsariga della carriera di un prelato di rango» (DSP, I, p. 163).

Anche il suo pontificato ebbe caratteri difficilmente inquadrabili in uno schema, per quanto, se letto attraverso alcuni parametri, non si distacchi da altri tipici pontificati “deboli” dell’età moderna. Egli, settantacinquenne, italiano, zelante, cioè facente parte del gruppo dei cardinali che si volevano solleciti solo del bene della Chiesa, fu eletto all’unanimità proprio perché le potenze del momento, rispecchiate in conclave, dopo essersi fronteggiate per oltre due mesi, trovarono alla fine l’accordo attorno a un candidato ritenuto politicamente inoffensivo.
Tanto meglio se, nel caso dell’Orsini, la sua neutralità non era tattica, ma scaturiva da autentica profondità religiosa. Scriveva il cardinale Cienfuegos all’imperatore pochi giorni dopo l’elezione di Benedetto: «Il pronostico che si fa del governo del Papa si riduce a crederlo rigido nelle cose ecclesiastiche, e che dove si tratti di queste possa egli dare in qualche stortura anche colle corone. Peraltro le sue intenzioni sono rettissime e la vita sua lo canonizza per santo» (citato dal Pastor,
Storia dei papi, XV, p. 502, nota 2).


Busto di Benedetto XIII, Pietro Bracci, battistero della Basilica di Santa Maria Maggiore, Roma

Busto di Benedetto XIII, Pietro Bracci, battistero della Basilica di Santa Maria Maggiore, Roma

Nel giudizio storiografico viene messo in rilievo soprattutto lo zelo religioso di Benedetto XIII. Sia che lo si legga in chiave puramente elogiativa fino a negare la sua più o meno voluta (ne riparleremo) inettitudine politico-diplomatica, sia che l’inettitudine politico-diplomatica sia fatta risalire in modo neppur troppo velato allo stesso zelo. Se nella scheda a lui dedicata come “servo di Dio” nel I Supplemento della Bibliotheca Sanctorum (sulla scorta, è facile capirlo, della monumentale “memoria difensiva” che G. B. Vignato gli ha dedicato fra il 1952 e il 1976) si legge che «fu la fama di “santo” ad attirargli il consenso unanime [ingenuamente enfatizzato nel testo] dei cardinali» (p. 159), il Pastor, pur ribadendo che «non può esserci dubbio che egli sia stato uno dei papi più devoti e umili», a conclusione della sua trattazione scrive una sentenza di condanna: «Non basta essere un religioso eccellente per riuscire anche un papa capace» (XV, p. 638).
Al che ci si può chiedere – ci sia permesso l’ardire – se le oltre centocinquanta pagine di documentatissima analisi che il Pastor dedica a Benedetto XIII (le abbiamo ripercorse tutte), in questo caso non siano l’incartamento giudiziario dell’accusa più che un vero tentativo di comprensione storica.


Dagli uni e dagli altri, comunque, e anche dal tiers-parti storiografico intermedio, per mettere in sicurezza la santità del Papa, si fa ricadere la responsabilità dei limiti della sua azione di governo sui corrottissimi beneventani di cui il Papa si circondò, e in particolare su Niccolò Coscia, già suo segretario a Benevento, creato nel giugno 1725 cardinale e diventato il factotum del suo pontificato. «Uomo di sentimenti bassissimi», dice il Pastor con enfasi giudiziale, «abusò della posizione di fiducia fattagli da Benedetto XIII nel modo più vergognoso» (XV, p. 507).
In questo caso, d’altronde, il giudizio degli storici è concorde e coincide con una vera sentenza di condanna che raggiunse il Coscia dopo la morte di Benedetto XIII. Le sue manovre sembra riuscirono a influire addirittura sui rapporti internazionali della Santa Sede nel caso delle trattative concordatarie con l’imperatore per la Sicilia e con i Savoia per il Regno di Sardegna.


Per capire il perché di tale decisivo influsso beneventano, bisogna ricordare che Benedetto XIII aveva mantenuto anche da papa un legame privilegiato con l’arcidiocesi di Benevento, dove era rimasto per 38 anni dedicandovi, non senza personale gratificazione, le migliori sue energie. Qui aveva sperimentato l’intercessione di san Filippo Neri, suo santo prediletto, cui attribuì la propria salvezza nel terremoto che aveva seminato morte a Benevento nel 1688.
Qui aveva provveduto a un’intensa azione riformatrice dell’organizzazione ecclesiastica effettuando ben quindici visite pastorali. Qui aveva dato luogo a iniziative di carattere fiscale e sociale. Benevento infatti non era solo un’importante sede arcivescovile, era parte dello Stato pontificio, un’
enclave di esso, quasi una Avignone post litteram all’interno del Regno di Napoli; e all’arcivescovo spettavano naturalmente anche compiti di governo civile.


«L’opera di riforma perseguita per quasi un quarantennio dall’Orsini nella provincia di Benevento difficilmente potrebbe essere sopravvalutata […], prova che egli non fu così privo di esperienza delle cose amministrative e politiche e così esclusivamente dedito alle pratiche ascetiche, come poi fu sempre giudicato», scrive G. De Caro nell’acuta voce del Dizionario biografico degli italiani dedicata a Benedetto XIII (DBI, VIII, p. 385). Dunque non fu probabilmente per pura «dabbenaggine» (Pastor, XV, p. 638) che egli si affidò ai beneventani. Il Papa pensava che appoggiandosi ai “suoi”, che conosceva bene, avrebbe avuto maggiore libertà di azione per la «politica nuova che meditava» (DBI, VIII, p. 394)

In effetti, non solo a livello della disciplina ecclesiastica (basta pensare al Sinodo romano celebrato nel 1725, il primo dall’epoca di Innocenzo III!), non solo a livello sociale (basta pensare, in occasione del Giubileo di quell’anno e in obbedienza letterale al senso di esso, alla clamorosa processione a Roma di schiavi liberati, su cui ha richiamato recentemente l’attenzione Guido Miglietta, o all’iniziativa, simile a quella già sperimentata a Benevento, di agevolazione del credito e di corrispondente defiscalizzazione), egli ebbe il coraggio di fare un passo indietro, o avanti che dir si voglia, rispetto ai suoi immediati predecessori. Anche nei terreni minati dei cosiddetti riti cinesi (l’uso di continuare a celebrare i riti tradizionali della propria stirpe da parte di convertiti del Celeste Impero) e della querelle sulla grazia (i cui strascichi in Francia si facevano ancora sentire), aveva tentato un’opera di riconciliazione. Quasi emulo, a secoli di distanza, dell’opera del suo lontano predecessore Benedetto XI, Benedetto XIII in un breve del novembre 1724 cercava di riconquistare all’unità i dissidenti francesi concedendo che «la dottrina della grazia per sé stessa efficace e della predestinazione alla gloria senza previsione di meriti era una dottrina antica conforme alla Sacra Scrittura, ai decreti pontifici e agli insegnamenti di sant’Agostino e di san Tommaso» (DBI, VIII, p. 390).

Ma sono proprio i “suoi” che remano contro. Da un lato, la Curia, e segnatamente gli zelanti, cioè l’originario schieramento d’appartenenza del Papa, d’accordo con le potenze cristianissime e cattolicissime, rintuzzarono «le aperture dottrinali tentate da Benedetto XIII» (DBI, VIII, p. 389), anche con furfanterie come la interpolazione di testi dogmatici del Sinodo del ’25. I furfanti beneventani, dall’altro lato, mandarono a monte il tentativo innovatore di politica fiscale intascandone i proventi insieme coi loro sodali. E non si fermarono lì.

L’incipit degli Atti del Sinodo romano 
 <br /> del 1725 stampati in Roma 
 <br /> dalla tipografia Rocchi Bernabò

L’incipit degli Atti del Sinodo romano del 1725 stampati in Roma dalla tipografia Rocchi Bernabò

Forse proprio in questa “presbiopia”, in parte voluta, per cui fin troppo ciecamente si fidava, o era costretto a fidarsi, dei vicini, e fin troppo acutamente sospettava, o era costretto a sospettare, dei lontani, risiede l’effettiva debolezza di Benedetto XIII. «Inflessibile l’Orsini si mostrava verso gli attacchi esterni, effettivi o presunti», si legge in un passaggio marginale della voce del DBI, (VIII, p. 386), che può però rivelarsi una chiave interpretativa centrale non solo per il pontificato di Benedetto. Perché ci fa riflettere su come sempre più, nel secondo millennio, le due cittadinanze di Agostino siano state ridotte indebitamente a un “essere dei nostri” e a un “essere dei loro” a prescindere dal dinamismo della grazia. E questo proprio da parte di coloro che hanno cercato magari di vivere fedelmente la Tradizione.
Non è un caso che sia stato Benedetto XIII, al culmine del suo pontificato, a estendere a tutta la Chiesa il culto a san Gregorio VII e con ciò ad approfondire il solco, scatenando un vero e proprio putiferio diplomatico. Dando ben più che «in qualche stortura colle corone», come aveva pronosticato il roboante cardinale Cienfuegos.


Ma proprio tutto questo rumore per nulla ci suggerisce di rintracciare l’autentica cifra del pontificato di Benedetto XIII (in attesa che ulteriori studi da tutti invocati ne illustrino più a fondo la figura) in alcuni dati e in alcune date che nessuno, ci sembra, ha sottolineato.
Non si può non rilevare, infatti, a partire dalla sua morte, avvenuta alla vigilia della festa della Cattedra di San Pietro del 1730, che la data del 22 febbraio accompagnava da sempre Benedetto XIII quasi come un presagio.
Infatti in quel medesimo giorno (in cui, nell’anno 1700, era morta sua madre, a cui da gestante era stato predetto il destino del figlio!) egli era stato creato cardinale, e prima ancora era stato ordinato diacono. Anche se lo era restato solo per lo spazio di due giorni, come si usava allora, Benedetto, che come nome di battesimo si chiamava Pietro Francesco, non poteva avere come destino che quello di essere per tutta la vita, e anche dopo, un papa “diacono”, un servo (dei servi) di Dio. È il titolo che la Tradizione gli assegnava e che accompagna per ora la sua memoria.







L’Ospedale di San Gallicano in Trastevere, un’opera buona e bella grazie a Benedetto XIII

Neglectis reiectisque ab omnibus


 


di Simona Benedetti



L’Ospedale di San Gallicano in Trastevere in una stampa 
 <br /> di Giuseppe Vasi, metà del XVIII secolo

L’Ospedale di San Gallicano in Trastevere in una stampa di Giuseppe Vasi, metà del XVIII secolo

La caritatevole opera assistenziale di don Emilio Lami da Monterotondo, inizialmente prestata nell’ospizio dei poveri di Santa Galla (dove venivano ricoverati i senzatetto, molti dei quali afflitti da malattie cutanee), poi, per intercessione del cardinale Corradini, presso una casa in affitto vicino alla chiesa di San Benedetto in Piscinula, è all’origine dell’opera promossa da Benedetto XIII, che volle la costruzione dell’Ospedale di San Gallicano per assistere le persone affette da malattie cutanee.

Appena eletto, Benedetto XIII incaricò il cardinale Corradini di individuare il sito per la costruzione del nuovo ospedale da realizzarsi con fondi pontifici della Dataria in occasione del Giubileo del 1725. È nota l’avversione di Benedetto XIII per il lusso. Una fonte coeva e ben informata riporta la critica che da cardinale aveva espresso sulle magnifiche scuderie papali del Quirinale: «Quanto sarebbe stato meglio che quel denaro fusse applicato in benefizio dei poveri e non al commodo delle bestie!».

Per il nuovo edificio venne elaborato dal Lami un «piccolo sbozzo» per la distribuzione funzionale degli ambienti, sistemati in pianta inizialmente con l’aiuto dell’architetto Lorenzo Possenti. Tuttavia è Filippo Raguzzini «napolitano, già architetto in Benevento di Sua Santità», ad essere designato per il progetto definitivo dell’Ospedale. Egli peraltro accolse sia gli aspetti di massima del progetto sia taluni innovativi suggerimenti funzionali, probabilmente dettati dall’esperienza sul campo del Lami, come il ballatoio per aprire e chiudere dall’esterno le finestre (poste in quota elevata rispetto al livello delle corsie dei degenti) o la dotazione di servizi igienici tutti marmorei, «cosicché l’acqua abbondantissima vi scorre dentro e li pulisce tutti», collocati in nicchie, chiuse da porte, poste nelle murature perimetrali delle corsie, e areati da ventole che trovano la loro corrispondenza in bucature sulle paraste esterne mimetizzate come elementi decorativi circolari.

La disposizione planimetrica per l’organismo originario prevedeva due lunghe corsie, una per gli uomini e l’altra per le donne. Sulle due testate erano previsti gli ambienti per gli assistenti (chierici per gli uomini e vergini per le donne). Parallelamente all’estensione degli ambienti delle corsie dei degenti (per un totale di 160 metri) si dispiegava il corpo di fabbrica dei servizi: locali con camini per l’inverno; stanze per i moribondi che venivano allontanati dagli ambienti comuni; logge e loggioni per stendere la biancheria d’inverno; vani con “lavamano per gli infermi”; cucine; refettori, ecc. I sotterranei erano adibiti a depositi e rimesse.

Nel cuore dell’intera composizione emerge la chiesa a pianta centrale e coperta a cupola, fuoco architettonico e urbano di tutto il complesso, sia funzionalmente (nello spazio interno della chiesa, in corrispondenza con le corsie dei degenti, sono aperti un finestrone e due porte su ciascun lato per permettere ai malati di assistere alle liturgie), sia figurativamente: sul fronte strada, infatti, il corpo di fabbrica della chiesa interrompe la lunghissima quinta dell’edificio distaccandosi dalla ripetitività della parete e rinvigorendo volumetricamente le modulate cadenze formali dei corpi laterali.
Le linee architettoniche convesse e concave della chiesa prettamente barocche unite al grande arcone d’ingresso segnalano e impreziosiscono formalmente questo cuore dell’intero complesso assistenziale, dedicato «agli abbandonati e respinti da tutti».

Nell’epigrafe all’ingresso dell’ospedale si legge infatti: «Benedetto XIII padre dei poveri eresse questo ospizio ampio e imponente, e dotato di censo annuo, per curare gli abbandonati e respinti da tutti che soffrono per il prurito in testa per la tigna e per la scabbia, e per strapparli dalle fauci di una morte precoce. Nell’anno della salvezza 1725».




[Modificato da Caterina63 24/08/2012 22:46]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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24/08/2012 22:54
 
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[SM=g1740733] non dimentichiamo, naturalmente anche il grande san Pio V, domenicano..... essendo la sua Santa Memoria ricco Megistero vivo della Chiesa, vi proponiamo i link direttamente:


San Pio V Il Papa del Rosario e della vittoriosa Battaglia di Lepanto ed altro ancora

S.Pio V con la Bolla Consueverunt Romani Pontifices ufficializza la preghiera del Santo Rosario

LEPANTO... 440 anni dopo


 

s pio vSan Pio V, al secolo Antonio (in religione Michele) Ghislieri (Bosco Marengo, AL 17 gennaio 1504– Roma, 1º maggio 1572), è il Papa della Controriforma, della battaglia di Lepanto, del catechismo romano, del breviario romano riformato e del messale romano.

Negli anni di preparazione al sacerdozio, insieme a una solida formazione teologica, facilitata da una fervida intelligenza, manifestò quella austerità di vita che sempre lo caratterizzò. Nel 1528 ricevette l’ordinazione sacerdotale a Genova e già a quel tempo si distinse per la forza del suo credo: a Parma sostenne trenta proposte a supporto del seggio pontificio contro le eresie che si scagliavano contro di esso.

 

Come rettore di vari conventi domenicani si distinse per la rigida e santificante disciplina imposta, e ricevette la nomina di inquisitore della città di Como. Giunto a Roma nel 1550 divenne Commissario generale dell’Inquisizione romana.  Paolo IV (1476-1559) lo nominò vescovo di Sutri e Nepi nel 1556; fu in seguito creato cardinale con il titolo di Santa Maria sopra Minerva (1557). Nel 1558 divenne Grande Inquisitore e due anni dopo vescovo di Mondovì.

Il 7 gennaio 1566, fu inaspettatamente eletto Papa grazie ad un accordo stabilito fra i cardinali Federico Borromeo (1564-1631) e Alessandro Farnese (1520-1589). La sua elezione fece tremare la Curia romana e non solo quella. Serietà e inflessibilità iniziarono immediatamente: niente festeggiamenti e sontuosi banchetti per solennizzare l’elezione pontificia.

 

Cercò, con ogni mezzo, di migliorare i costumi della gente emettendo bolle, punendo l’accattonaggio, vietando le dissolutezze del carnevale, cacciando da Roma le prostitute, condannando i fornicatori e i profanatori dei giorni festivi. Per i bestemmiatori furono previste sanzioni economiche e corporali. Difese strenuamente il vincolo matrimoniale, infliggendo punizioni agli adulteri. Ridusse il costo della corte papale, impose l’obbligo di residenza dei vescovi e affermò l’importanza del cerimoniale. Le sue decisioni furono di enorme importanza: rafforzò gli strumenti della Controriforma per combattere l’eresia ed il Protestantesimo e diede nuovo impulso all’Inquisizione romana.

 

Risoluto e onesto, piemontese tutto d’un pezzo, fu rigido oppositore del nepotismo. Ai numerosi parenti accorsi a Roma con la speranza di ottenere da lui qualche privilegio e beneficio economico, Pio V disse che un parente del Papa può considerarsi sufficientemente ricco se non conosce la miseria.

Fu lui, l’11 aprile 1567, a dare  il titolo di dottore della Chiesa a san Tommaso d’Aquino (1225-1274). Nel 1568 lo stesso titolo fu concesso anche a quattro Padri della Chiesa d’Oriente: sant’Atanasio (295 ca.- 373), san Basilio Magno (329-379), san Giovanni Crisostomo (344/354-407) e san Gregorio Nazianzeno (329 – 390 ca.). Da questi suoi atti si evince la sua ferma volontà di custodire in sommo grado l’integrità della Fede e di difendere la Chiesa dagli avversari e dalle eresie, ben sapendo che il consenso nei suoi confronti avrebbe ricevuto duri colpi: la sua intransigenza e il suo zelo gli valsero molti nemici in tutta Europa e oltre. Celebri sono rimaste le volgari pasquinate dileggianti la sua persona.

Fu coraggioso difensore dei diritti giurisdizionali della Chiesa e per questo si scontrò con Filippo II di Spagna (1527-1598). Durante le guerre di religione in Francia, sostenne i cattolici contro gli ugonotti, mentre in Inghilterra appoggiò la cattolica Maria Stuarda (1542-1587) contro l’anglicana Elisabetta I (1533-1603), che scomunicò nel 1570 con la bolla Regnans in Excelsis.

Non ebbe paura della violenza musulmana e preoccupato delle mire geopolitiche dei turchi, promosse la «Lega Santa» dei principi cristiani contro la mezzaluna, unendosi in alleanza con Genova, Venezia e Spagna. Le forze navali della Lega si scontrarono, il 7 ottobre 1571, con la flotta ottomana nelle acque al largo di Lepanto, riportando una memorabile vittoria, che si verificò grazie, soprattutto, alla crociata di Rosari che erano stati recitati per ottenere l’aiuto divino. La vittoria venne comunicata “in tempo reale”: Pio V ebbe, infatti, una visione, dove vide cori di Angeli intorno al trono della Beata Vergine che teneva in braccio il Bambino Gesù e in mano la Corona del Rosario. Dopo l’evento prodigioso - era mezzogiorno - il Papa diede ordine che tutte le campane di Roma suonassero a festa e da quel giorno viene recitato l’Angelus a quell’ora. Due giorni dopo un messaggero portò la notizia dell’avvenuto trionfo delle forze cristiane. Il 7 ottobre del 1571 venne celebrato il primo anniversario della vittoria di Lepanto con l’istituzione della «Festa di Santa Maria della Vittoria», successivamente trasformata nella «Festa del Santissimo Rosario».

San Pio V nella sua vita non cercò mai altri interessi che quelli del Regno di Dio e prima di spirare dichiarò ai cardinali, radunati intorno al suo letto: «Vi raccomando la santa Chiesa che ho tanto amato! Cercate di eleggermi un successore zelante, che cerchi soltanto la gloria del Signore, che non abbia altri interessi quaggiù che l’onore della Sede Apostolica e il bene della cristianità».


Per secoli san Domenico ha rivissuto la sua Parola di Vita nei suoi figli. Il suo Ordine ha dato alla Chiesa 15 Santi canonizzati e 221 beati; e ne dà ancora.
san Pio X ha posto sugli
altari 11 domenicani; 3 Benedetto XV; 2 Pio XI; e ben 26 Pio XII.
L’Ordine Domenicano ha dato 4 Papi alla Chiesa, di cui uno Santo (san Pio V) due Beati (Papa Innocenzo V
e Benedetto XI) ed un servo di Dio (Benedetto XIII); innumerevoli dottori che hanno predicato dalle loro cattedre (ne ricordiamo due sant'Alberto Magno vescovo e san Tommaso d'Aquino), come tanti altri nelle chiese e nelle piazze: in terra cristiana e in terra pagana, attuando il disegno del Padre di evangelizzare gli infedeli.
Fucina
cattolica per i laici come santa Caterina da Siena Dottore e Patrona d'Italia e Compatrona d'Europa, e per le tante Congregazioni femminili riconosciute nell'Albo d'oro della Famiglia Domenicana.




[SM=g1740771]


[Modificato da Caterina63 27/08/2012 17:04]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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27/08/2012 11:25
 
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[SM=g1740733].... e non possiamo certo dimenticare il primo Papa Domenicano, un altro Beato, Papa Innocenzo V, Pietro di Tarantasia....

Innocenzo V beato



Pietro di Tarantasia nacque intorno al 1224 nella Tarantasia propriamente detta, nell'alta valle dell'Isère. Prese l'abito domenicano intorno al 1240 nel convento di Lione che era stato a lungo guidato da Umberto di Romans e contava allora la presenza di religiosi come Guillaume Peyraut, Étienne di Bourbon e Chabert di Savoia.

Dopo la prima formazione e un periodo di insegnamento come lettore in uno dei conventi della sua provincia, nell'estate del 1255 fu inviato allo Studium generale del convento di St-Jacques a Parigi ove visse l'aspro conflitto fra maestri secolari e mendicanti e ottenne - diciassettesimo fra i predicatori - il grado di magister in teologia. Come maestro partecipò, con Alberto Magno, Tommaso d'Aquino, Fiorenzo di Hesdin e Buonuomo il Bretone, ai lavori della commissione extracapitolare dei cinque maestri incaricata dal capitolo generale di Valenciennes (giugno 1259) di preparare la ratio studiorum dell'Ordine domenicano. Fra il 1259 e il 1264 occupò all'Università di Parigi la cosiddetta "cattedra dei Francesi", una delle due cattedre di cui i domenicani disponevano da una trentina d'anni, ottenendo nel 1260, probabilmente durante il capitolo provinciale di Orléans, il titolo di predicatore generale.

Subito dopo l'elezione di Giovanni da Vercelli a maestro generale dell'Ordine (1264), centootto proposizioni estratte dai primi due libri del Commento di Pietro alle Sentenze di Pietro Lombardo furono denunciate al generale che dovette rimuoverlo dalla cattedra. Pietro divenne allora, sempre nel 1264, provinciale della provincia domenicana di Francia e tale rimase sino al 1267, quando in settembre, dopo un parere favorevole di Tommaso d'Aquino indirizzato a Giovanni da Vercelli (Declaratio CVIII dubiorum), riottenne la cattedra parigina che occupò ancora per poco più di un anno e mezzo, sino al maggio 1269, quando fu rieletto provinciale di Francia, svolgendo anche - secondo le direttive di Clemente IV - un'intensa attività di predicatore della crociata.

Dopo il duplice mandato di insegnamento (1259-64, 1267-69) e di provincialato (1264-67, 1269-72), il 6 luglio 1272 Gregorio X, che conosceva personalmente Pietro, lo elesse arcivescovo di Lione e primate delle Gallie, sede da lungo tempo vacante e oggetto delle mire annessionistiche del re di Francia Filippo l'Ardito. Come arcivescovo di Lione, Pietro si adoperò per ristabilire la pace nella città e per regolare i conflitti di giurisdizione fra l'arcivescovato e il re di Francia, alla corte del quale si recò tra la fine del 1274 e gli inizi del 1275, per trattare fra l'altro la questione del matrimonio di Giovanna I di Navarra col secondo figlio del re. La nomina pontificia precedette di poco la scelta della metropoli ecclesiastica francese quale sede del concilio generale (13 apr. 1273) che doveva aprirsi nel maggio 1274 per trattare i due problemi, connessi, della crociata e dell'unione con la Chiesa greca. Nel frattempo, Gregorio X creò Pietro cardinale e vescovo suburbicario di Ostia (fra il 23 e il 28 maggio 1273; consacrato prima del 9 ag. 1273) e in queste vesti Pietro tenne i discorsi di apertura della terza e della quarta sessione del secondo concilio di Lione (7 giugno e 6 luglio 1274) e l'elogio funebre di Bonaventura da Bagnoregio (15 luglio 1274), morto poco dopo l'apertura del concilio. Al concilio Pietro si occupò in particolare della questione degli Ordini mendicanti.

La stretta vicinanza di Pietro a Gregorio X (che lo nominò anche penitenziere maggiore) appare confermata dalle missioni da lui compiute accanto al papa a Beaucaire (maggio 1275) per incontrare Alfonso X di Castiglia e a Losanna (ottobre 1275) dove il pontefice s'incontrò con Rodolfo d'Asburgo, nel corso del suo viaggio di ritorno in Italia. Tale vicinanza rende comprensibile la scelta dei cardinali che dopo la morte di Gregorio X (10 genn. 1276), nel conclave di Arezzo, regolato per la prima volta dalla costituzione Ubi periculum di Gregorio X, elessero Pietro alla Sede romana (21 genn. 1276) al primo scrutinio. Lo scontro fra il partito romano e quello franco-angioino si era così risolto con la scelta di un uomo noto e vicino al defunto papa ma meno coinvolto direttamente e schierato nel conflitto fra le due tendenze dominanti il S. Collegio. Il neoeletto fu intronizzato e incoronato il 22 febbr. 1276; ma prima di allora Carlo d'Angiò, che mostrò di accogliere favorevolmente l'elezione di I. V, lo incontrò a Viterbo fra il 7 e il 15 febbraio, durante il viaggio del papa verso Roma. L'insediamento a Roma non poteva di fatto avvenire senza scendere a patti con Carlo che aveva approfittato dell'allontanamento di Gregorio X per rafforzare il suo potere nella città. Il 2 marzo 1276 I. V confermò Carlo nella carica di senatore di Roma e di vicario imperiale di Toscana.

I pochi mesi di pontificato di I. V furono dominati dall'idea centrale - espressa nel documento programmatico Fundamentum aliud (25 febbr. 1276) - della preparazione della crociata per recuperare la Terrasanta ormai saldamente in mani musulmane; in funzione di questa finalità vanno interpretati gli sforzi del papa per la pacificazione di Genova con Carlo d'Angiò (sancita dal trattato di pace del 18 giugno 1276 e dalla fine dell'interdetto) e per la cessazione delle ostilità tra Pisa ghibellina e le città della Lega guelfa toscana (la pace fu firmata il 13 giugno 1276). Ma nelle trattative con la Chiesa greca e per risolvere il conflitto fra Michele VIII Paleologo e Carlo d'Angiò, I. V mostrò di subire l'influenza di Carlo e dell'imperatore latino di Costantinopoli Filippo di Courtenay (sotto tale segno le istruzioni affidate dal papa al ministro generale francescano Girolamo d'Ascoli per un'ambasceria che però prima della partenza per Costantinopoli fu raggiunta ad Ancona dalla notizia della morte del papa). La simpatia per Carlo d'Angiò rese naturalmente problematici i rapporti del papa con l'eletto imperatore romano Rodolfo d'Asburgo, del quale I. V rinviò l'incoronazione in attesa della restituzione delle Romagne, promessa a Gregorio X. Nel complesso, il breve pontificato innocenziano segnò una rottura nel tentativo del predecessore Gregorio X di liberare il Papato dalla crescente stretta angioina.

Sul piano della vita più propriamente interna della Chiesa, I. V promosse lo svolgimento dell'inchiesta canonica su Margherita d'Ungheria (1242-70).

Innocenzo V morì a Roma il 22 giugno 1276. Fu sepolto, sotto il pontificato del suo secondo successore, Giovanni XXI, in S. Giovanni in Laterano, alla presenza di Carlo d'Angiò, che intervenne personalmente per ottenere la deposizione del corpo nella chiesa (il sepolcro fu smembrato e disperso nei lavori di ricostruzione della basilica eseguiti nel XVII secolo; si discute invece se la statua del papa orante nella cappella del Crocifisso sia un ritratto di I. V o piuttosto l'effigie di Bonifacio IX). Venerato come beato, il suo culto fu confermato da Leone XIII il 14 marzo 1898 e la sua memoria liturgica è fissata al 22 giugno.

Come primo papa domenicano, e grande amico di Bonaventura, Innocenzo V godette di una certa fortuna iconografica: è infatti ritratto fra i Domenicani illustri da Tommaso da Modena negli affreschi della sala capitolare nella chiesa di S. Nicolò a Treviso; nel XV secolo compare in un medaglione del Beato Angelico, sotto la Crocifissione, nel convento di S. Marco a Firenze; e ancora, in seguito, nell'Albero dei domenicani di Hans Holbein il Vecchio, ora a Francoforte, Städelsches Kunstinstitut.

Opere. Alcuni scritti di Pietro risalgono al periodo dell'insegnamento universitario. In primo luogo, il Commento alle Sentenze (cfr. Innocentii V…Commentaria in IV libros Sententiarum Commentaria ex manuscriptis Bibliothecae Tolosanae Conventus, I-IV, Tolosae 1649-52, rist. anast. Ridgewood, NJ, 1964). L'opera fu composta fra il 1257 e il 1259, durante l'insegnamento come baccelliere sentenziario, ma fu pubblicata dopo la licenza magistrale di Pietro, fra il 1259 e il 1264 (comunque prima del 1264 perché il libro I e il libro II, almeno sino alla distinzione 3, esistevano come li leggiamo ora quando, fra il 1264 e il 1267, Tommaso d'Aquino redasse la sua Declaratio CVIII dubiorum).

Al Commento vanno aggiunti altri scritti: la redazione A, cioè la recensione corta, della postilla Dedi te in lucem gentium, sulle epistole paoline, anteriore al 1264 (cfr. Repertorium fontium hist. Medii Aevi, VI, p. 251; la postilla sulla prima lettera ai Corinzi è edita in: Thomas d'Aquin, Commentaire de la première Épître aux Corinthiens. Complété par la postille sur la première Épître… de Pierre de Tarentaise, a cura di J.-E. Stroobant de Saint-Éloy, Paris 2002); trentasette questioni quodlibetali, sostenute in una sola seduta, probabilmente, secondo L.B. Gillon, nel periodo del secondo insegnamento di Pietro (cfr. P. Glorieux, Le quodlibet de Pierre de Tarentaise, in Recherches de théologie ancienne et médiévale, IX [1937], pp. 237-280); oltre cinquanta questioni "de lege et praeceptis", pervenuteci in una reportatio, anch'esse probabilmente risalenti all'epoca del suo secondo magistero universitario (cfr. M. Grabmann, Das Naturrecht der Scholastik von Gratian bis Thomas von Aquin, in Archiv für Rechtsphilosophie, XXVI [1922], pp. 32-38; O. Lottin, in Les premiers exposés scholastiques sur la loi éternelle, in Ephemerides theologicae Lovanienses, XIV [1937], pp. 287-301; cfr. anche Repertorium, p. 251); un certo numero di sermoni (cfr. Simonin, pp. 247-257; J.B. Schneyer, Repertorium der lateinischen Sermones des Mittelalters… (Autoren: L-P), Münster 1972, pp. 803-805). Sono invece forse perdute le sue note al Pentateuco e al Vangelo di Luca, mentre sono a lui attribuite anche delle questioni De motu corporis gloriosi, De materia coeli e De aeternitate mundi. Glorieux (1947) ritiene opera di Pietro alcune questioni disputate demalo tradite nel ms. Parigi, Bibliothèque nationale, Lat. 15903, cc. 65-123.

Fonti e Bibl.: Regesta pontificum Romanorum, a cura di A. Potthast, II, Berolini 1875, pp. 1704-1709; Acta Romanorum pontificum ab Innocentio V ad Benedictum XI (1276-1304)…, a cura di F.M. Delorme - A.L. Táutu, in Codificazione canonica orientale, s. 3, Città del Vaticano 1954, pp. 1-18; H. Denifle, Die abendländischen Schriftausleger bis Luther über "iustitia Dei" (Rom. 1, 17) und "iustificatio", Mainz 1905, pp. 144-152; P. Glorieux, La littérature quodlibétique de 1260 à 1320, Kain 1925, pp. 305 s.; Id., Un mémoire justificatif de Bernard de Trilia. Sa carrière à l'Université de Paris (1279-1287), IV, Un quodlibet inconnu de Pierre de Tarentaise, in Revue des sciences philosophiques et théologiques, XVIII (1929), pp. 49-58; O. Lottin, Pierre de Tarentaise a-t-il remanié son Commentaire sur les Sentences?, in Recherches de théologie ancienne et médiévale, II (1930), pp. 420-433; P. Glorieux, Répertoire des maîtres en théologie de Paris au XIIIe siècle, I, Paris 1933, pp. 107-112; Id., La littérature quodlibétique, II, Paris 1935, pp. 225-227; L. Frenguelli, La statua del beato I. V al Laterano, in Memorie domenicane, LIV (1937), pp. 47-51; K. Renner, Die Christologie des Petrus von Tarentasia nach seinem Sentenzenkommentar, Bonn 1941; J. Auer, Die Entwicklung der Gnadenlehre in der Hochscholastik mit besonderer Berücksichtigung des Kardinals Matteo d'Acquasparta, I, Das Wesen der Gnade, Freiburg 1942, ad ind.; J. Beumer, Die Theologie als intellectus fidei dargestellt an Hand der Lehre des Wilhelm von Auxerre und Petrus von Tarantasia, in Scholastik, XVII (1942), pp. 32-49; H.-D. Simonin, Les écrits de Pierre de Tarentaise, in Beatus Innocentius PP. V (Petrus de Tarantasia O.P.). Studia et documenta, Romae 1943, pp. 163-335; I.M. Vosté, Beatus Petrus de Tarentasia in Epistulam ad Hebraeos, in Divus Thomas. Commentarium de philosophia et theologia, XLVI (1943), pp. 3-28; B. Smeraldo, Intorno all'opuscolo IX di s. Tommaso d'Aquino. Pietro da Tarantasia ha errato in teologia?, Roma 1945; M. Grabmann, Handschriftliche Mitteilungen über Abbreviationen des Sentenzenkommentars des seligen Papstes Innozenz V. (Petrus de Tarantasia O.P. † 1276), in Divus Thomas. Jahrbuch für Philosophie und spekulative Theologie, XXIV (1946), pp. 109-112; R.-M. Martin, Pour une réédition critique du commentaire de Pierre de Tarentaise sur le Livre des Sentences de Pierre Lombard, in Miscellanea historica in honorem Alberti De Meyer Universitatis catholicae in oppido Lovaniensi iam annos XXV professoris, I, Louvain-Bruxelles 1946, pp. 590-602; O. Lottin, À propos du Commentaire des Sentences de Pierre de Tarentaise, in Recherches de théologie ancienne et médiévale, XIII (1946), pp. 86-98; P. Glorieux, Questions nouvelles de Pierre de Tarentaise, ibid., XIV (1947), pp. 96-106; M.H. Laurent, Le bienheureux Innocent V (Pierre de Tarantaise) et son temps, Città del Vaticano 1947; L.B. Gillon, Appendice, I, Sur les écrits de Pierre de Tarentaise et leur chronologie, ibid., pp. 361-390; O. Lottin, Psychologie et morale aux XIIe et XIIIe siècles, II, Louvain 1948, pp. 92-94, 236-238, 393 s.; III, ibid. 1949, pp. 46 s., 233-235, 417 s., 442, 462-464; G. Gál, Commentarius Petri de Trabibus in IV Librum Sententiarum, Petro de Tarantasia falso inscriptus, in Archivum Franciscanum historicum, XLV (1952), pp. 241-278; F.X. Seppelt, Geschichte der Päpste, III, München 1956, pp. 535-538; W. Affeldt, Verzeichnis der Römerbriefkommentare der lateinischen Kirche bis zu Nikolaus von Lyra, in Traditio, XIII (1957), pp. 396-406; H. Riedlinger, Die Makellosigkeit der Kirche in den lateinischen Hoheliedkommentaren des Mittelalters, Münster 1958, pp. 287-289; V. Heynck, Von wem stammen die Randbemerkungen zum Sentenzenkommentar des Petrus von Tarantasia in cod. Avignon Musée Calvet 288?, in Franziskanische Studien, XLIV (1962), pp. 75-82; A.M. Ferrero, I primi due papi domenicani e il beato Giacomo da Varazze, in Memorie domenicane, LXXX (1963), pp. 43-53; L.-J. Bataillon, Nouveaux témoins des questions "De lege et praeceptis" de Pierre de Tarentaise, in Archivum fratrum praedicatorum, XXXV (1965), pp. 325-330; V. Heynck, Der richterliche Charakter des Busssakramentes nach Johannes Duns Scotus, in Franziskanische Studien, XLVII (1965), pp. 385-391; E. Marchisa, Saggio sull'antropologia filosofica di Pietro da Tarentaise (beatus Innocentius V) nel commento alle "Sentenze" di Pier Lombardo, in Divus Thomas. Commentarium…, LXXI (1968), pp. 210-270; W. Affeldt, Die weltliche Gewalt in der Paulus-Exegese. Röm. 13, 1-7 in den Römerbriefkommentaren der lateinischen Kirche bis zum Ende des 13. Jahrhunderts, Göttingen 1969, pp. 212-218, 278 s. Per le opere cfr. i seguenti repertori: F. Stegmüller, Repertorium commentariorum in Sententias Petri Lombardi, I, Textus, Würzburg 1947, pp. 333-338 (cfr. anche V. Doucet, Commentaires sur les Sentences. Supplément au répertoire de M. Fréderic Stegmueller, in Archivum Franciscanum historicum, XLVII [1954], p. 71); F. Stegmüller, Repertorium biblicum Medii Aevi, IV, Commentaria. Auctores N-Q, Matriti 1954, pp. 397-417; Th. Kaeppeli, Scriptores Ordinis praedicatorum Medii Aevi, III, Romae 1980, pp. 261-264; Repertorium fontium historiae Medii Aevi, VI, pp. 250 s.; Th. Kaeppeli - E. Panella, Scriptores Ordinis praedicatorum Medii Aevi, IV, Romae 1993, p. 239; per la vita e la personalità cfr. Dictionnaire de théologie catholique, VII, 2, coll. 1996 s.; Bibliotheca sanctorum, VII, coll. 844-848; Dictionnaire de spiritualité ascétique et mystique, L-LI, coll. 1773-1775; Lexikon der christlichen Ikonographie, VII, col. 1; The Oxford Dictionary of popes, pp. 198 s.; Lexikon des Mittelalters, V, col. 439; Dict. d'hist. et de géogr. ecclésiastiques, XXV, coll. 1265 s.; Diz. stor. del Papato, a cura di Ph. Levillain, II, pp. 795 s.; Il grande libro dei santi. Diz. enciclopedico, II, pp. 1116-1119.



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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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25/01/2014 09:11
 
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   Il papa parroco di tanti anni fa: Benedetto XIII. Povertà per sé, carità per gli altri, fasto per l’altare


Non è una novità, nulla è nuovo sotto il Cupolone, tutto si ripete. Ed è così che il monaco domenicano pugliese Pierfrancesco Orsini, destinato a diventare papa Benedetto XIII, questo innamorato del culto divino, già nel Settecento sarà il papa “povero” e dei poveri, “spirituale”, “parroco” e “pastore”. Ma anche duro, intransigente: anzitutto con sé stesso, poi anche con gli altri. Sull’Essenziale specialmente; e sulla vanità e mondanità ecclesiastica. Nulla di nuovo, dunque.

 

 

Non amava starci. Ma come ultimo dei servitori visse nei sacri palazzi, allora ubicati presso il Palazzo del Quirinale, o meglio ancora come un monaco; nient’altro che una cella monacale come qualunque altra fu per lui quel grandioso palazzo reale. Aborrì le ricchezze e le comodità, non rifuggendo da esse, ma vivendoci a contatto, nella più estrema delle povertà, a dimostrazione che la povertà può e deve essere vissuta anche a contatto con quello che si ritiene un “male”. Forse persino necessario. L’importante è non confondere e non confondersi; distinguere e distinguersi. Sicché, la sua stessa stanza era e fu la riproposizione della sua cella conventuale. Due sedie di paglia, un inginocchiatoio, un crocifisso, un letto con un materasso di paglia, lenzuola di lana rozza e pesante, alcune immagini di santi, di carta, attaccate alle pareti. Fu frugale nel pranzo, che spesso saltava, digiunando secondo i precetti della Chiesa o per i suoi continui impegni pastorali.

 

 

 

di Giuseppe Massari da papalepapale.com 

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   Costretto alla porpora a 22 anni

Pierfrancesco Orsini di Gravina seppe e volle rinunciare ai benefici, ai titoli nobiliari che gli sarebbero derivati dal suo casato, essendo il primogenito. A 17 anni si recò a Venezia, con la scusa di un viaggio d’istruzione, e nel convento di san Domenico a Castello vestì le bianche lane del santo di Guzman. A Santa Sabina, a Roma, compì la sua vocazione avviandosi al noviziato prima, al sacerdozio successivamente. All’età di 21 anni, con dispensa papale (occorrendo almeno 24 anni compiuti per il presbiterato), il 24 febbraio 1671, venne ordinato sacerdote.

Solo un anno dopo, il 22 febbraio del 1672, fu creato cardinale, del titolo di san Sisto, nonostante le sue riluttanze, la sua forte contrarietà, perché voleva continuare a vivere nella quiete del convento, come semplice frate domenicano. A nulla valsero le sue resistenze. Dovette piegarsi al volere dei suoi superiori che gli intimarono il dovere alla santa ubbidienza. Dal 1675 al 1680 fu alla sua prima esperienza di pastore di anime nella Diocesi di Manfredonia, la vecchia Siponto. Da qui, dal 1680 al 1686 fu traslato alla sede vescovile di Cesena e da questa, il 1686, fino alla sua morte, avvenuta in Roma il 21 febbraio 1730, a quella di Benevento, che conservò anche da papa e che visitò due volte: il 1727 e il 1729.

Il papa  che volle restare vescovo

Busto di Benedetto XIII, opera del Bracci

Busto di Benedetto XIII, opera del Bracci

In questi sessant’anni di ministero episcopale e petrino il suo lungo cammino spirituale non si interruppe mai. Fu umile, semplice, povero. Volle continuare a vivere nello spirito di povertà e di obbedienza, secondo la regola monastica della sua vita. Fu sempre un figlio di san Domenico. Non si sentì mai superiore, mai distaccato dai suoi doveri verso la sua famiglia religiosa. Fu figlio del Tridentino, attuando ed applicando, nelle sue Diocesi, tutti i decreti, le norme per regolamentare al meglio la vita della Chiesa e del clero. Fu discepolo di san Carlo Borromeo. Fu collaboratore, se non ispiratore, dell’opera del Crispino: Trattato della visita pastorale.

Sulla base di questi insegnamenti, egli non trascurò mai di visitare le sue diocesi, con apposite visite pastorali e la celebrazione di sinodi diocesani. A Benevento ne celebrò 34 diocesani e due provinciali. Aristocratico per nascita, l’arcivescovo Orsini amò gli umili, la plebe, i diseredati, li protesse dai soprusi e dalle prepotenze dei tirannelli locali e si fece promotore o sostenitore di svariate forme assistenziali che miravano ad alleviare la loro miseria e, come leggiamo in una lapide commemorativa del tempo, «a rivestire i loro animi del verde della speranza».

Aristocratico allergico alle pompe mondane; sacerdote del fasto liturgico

Busto di Benedetto XIII, atrio Sacrestia Vaticana

Busto di Benedetto XIII, atrio Sacrestia Vaticana

Sul piano strettamente spirituale, la sua azione mirava ad educarli cristianamente, tanto è vero che egli, nonostante le dignità che rivestiva, i ruoli che esercitava, non disdegnava di farsi catechista ai piccoli, agli adulti, alle donne e agli uomini. Fu sempre parroco nell’istruire, nel predicare, nel sermoneggiare, nel non avere fretta per i riti sacri, che celebrava con solennità e gaudio del popolo orante. Non amava vivere nei palazzi apostolici. Non amava codazzi di gente, di guardie del corpo. Di solito, usciva da solo, facendosi accompagnare, quando era necessario, da un seguito molto ristretto. Abolì guardie e gendarmi, ma soprattutto gli orpelli inutili, badando all’essenziale.

Spartano nelle esigenze personali, austero nell’indole, caritatevole per fede, povero per scelta, nonostante gli usi correnti in cui venivano praticati anche abusi che egli combatté fino in fondo. Non consentì che i parroci non vestissero degnamente, o che fossero trasandati nei loro portamenti. Vietò l’uso indiscriminato, ai chierici e, soprattutto, ai prelati delle parrucche. Fu rigoroso, intransigente ed inflessibile, fino a prevedere e comminare scomuniche.

Il guinness dei primati come edificatore del sacro

Benedetto al trono, riceve alcuni generali di ordini religiosi

Benedetto al trono, riceve alcuni generali di ordini religiosi

Benedetto crea cardinale Prospero Lambertini, futuro Benedetto XIV

Benedetto crea cardinale Prospero Lambertini, futuro Benedetto XIV

La sua lunga azione pastorale si distinse nell’esercizio delle funzioni più semplici. Dall’amministrare i sacramenti, al benedire nuove chiese, consacrare nuovi altari (un’autentica passione, che accentuò da pontefice), campane, suppellettili ed arredi sacri. Dai suoi diari, dai diari delle funzioni pontificali, i suoi biografi, tra i quali, in particolar modo il domenicano suo confratello, padre Giuseppe Bartolomeo Vignato, hanno ricavato cifre importanti e significative. Non numeri, ma azioni continue e frequenti per la edificazione della Chiesa.

Una tabella eloquente è quella riportata dal Vignato. Da questa si ricavano dati unici, rari, originali; dei veri e propri primati che nessun successore è riuscito ad eguagliare o superare. Un primato che parte dagli anni del suo ministero episcopale, fino a quelli in cui fu al timone della Barca di Pietro. Proviamo a leggerli e farcene una ragione di tanto impegno, di tanto zelo, di tanta solerzia.

427 battezzati, 94.973 i cresimati; concesse gli ordini minori e maggiori per i candidati al sacerdozio, fino al sacerdozio stesso, in questa misura: 2.715 tonsure, 1.455 ostiari, 1851 lettori, 1.922 esorcisti, suddiaconi 2.397, diaconi 2.347, preti 2.526, tra i quali, nella basilica vaticana, il passionista fondatore della omonima famiglia religiosa, Paolo della Croce e suo fratello Giovanni Battista. Ordinò e consacrò 152 vescovi, 40 abati, 4 badesse. Partecipò alla consacrazione di 183 monache, fra le quali, la prima fu quella di sua sorella Fulvia Maria Orsini, nel convento di santa Sofia di Gravina.

Un busto di papa Orsini, scolpito dal Bracci

Un busto di papa Orsini, scolpito dal Bracci

Non da meno e con lo stesso ardore benedisse 36 prime pietre, per la costruzione di nuove chiese, alcune delle quali dedicate al suo santo protettore, san Filippo Neri. Consacrò 380 chiese; benedisse 1.632 altari fissi, alcuni dei quali, fatiscenti e fatti ricostruire, anche a sue spese, se era il caso, e 630 portatili. Non mancò la sua attenzione per le sepolture dei defunti, tanto che si prodigò nel costruire alcuni cimiteri e nel consacrarne altri, per un totale complessivo di 92. Celebrò 22 matrimoni e partecipò alla consacrazione e alla benedizione degli oli santi per ben 36 volte. Benedisse sempre ed ovunque 1.150 patene, 991 calici, 659 campane, oltre a tutti gli altri arredi sacri tra i quali amitti, camici, pianete, dalmatiche, tunicelle e piviali.

Fu colui che canonizzò san Giovanni della Croce, san Luigi Gonzaga, san Stanislao Kostka, san Pellegrino Laziosi, san Turibio da Mongrovejo, santa Margherita da Cortona e sant’Agnese da Montepulciano. Portò ai primi gradini della santità, tra gli altri, la beata Giacinta Marescotti e Fedele da Sigmaringen.

Vivere al Quirinale come in una cella monacale

Agostino Masucci, ritratto a cavallo di papa Benedetto

Agostino Masucci, ritratto a cavallo di papa Benedetto

Un pastore sempre presente. Un pastore non abituato ad essere statico. In continuo movimento, da mane a sera, anche quando l’età non gli consentiva più di dover e poter essere efficiente. Egli, incurante dei consigli che lo invitavano alla prudenza, si consumò fino alla fine, vivendo la sua vita a contatto con gli infelici, ammalati, moribondi, ai quali portava il conforto della preghiera, della benedizione finale e del Viatico.

Molti storici ed osservatori lo hanno accusato di curarsi poco degli affari della Chiesa. Il giudizio può avere qualche riscontro e fondamento di verità, soprattutto se si considera che egli, se voleva, poteva essere uomo di governo nel curare gli affari politici della sua famiglia. Preferì abbracciare la vita religiosa, incurante, non immaginando o lontanamente pensando che sarebbe stato rivestito della sacra porpora o che avrebbe raggiunto il traguardo del Soglio di Pietro. Questi impegni non lo distrassero dal suo voler essere e farsi servo, a cominciare dalle comunità religiose, a cui era appartenuto, o apparteneva, e, che, di tanto in tanto, visitava, dove serviva a tavola, lui, il papa.

Benedetto XIII

Benedetto XIII

Come ultimo dei servitori visse nei sacri palazzi, allora ubicati presso il Palazzo del Quirinale, o meglio ancora come un monaco; nient’altro che una cella monacale come qualunque altra fu per lui quel grandioso palazzo reale. Aborrì le ricchezze e le comodità, non rifuggendo da esse, ma vivendoci a contatto, nella più estrema delle povertà, a dimostrazione che la povertà può e deve essere vissuta anche a contatto con quello che si ritiene un “male”. Forse persino necessario. L’importante è non confondere e non confondersi; distinguere e distinguersi. Sicché, la sua stessa stanza era e fu la riproposizione della sua cella conventuale. Due sedie di paglia, un inginocchiatoio, un crocifisso, un letto con un materasso di paglia, lenzuola di lana rozza e pesante, alcune immagini di santi, di carta, attaccate alle pareti. Fu frugale nel pranzo, che spesso saltava, digiunando secondo i precetti della Chiesa o per i suoi continui impegni pastorali.

images (4)Di questa sua vita spartana, egli, non ne fece una lode di merito o di vanto. Silenziosamente, senza il frastuono delle sia pur limitate ed esigue cronache del tempo, visse i suoi giorni sforzandosi di essere un modello di santità per sé e per gli altri, visto che fu severo prima e più con se stesso che verso gli altri. Fu uomo di preghiera, partecipando alle ore liturgiche nel coro, sedendo all’ultimo posto, insieme agli altri, anzi, confondendosi con gli altri. Fu uomo di preghiera nel momento in cui, spesso, entrava in una chiesa a pregare. Si fermava al suono della campana per l’Angelus.

Nei pochi e lunghi viaggi cui si sottopose, per esempio a Benevento, come abbiamo accennato innanzi, nelle due volte che vi si recò, da papa, per fare visita alla Diocesi che egli tanto aveva amato e nella quale e per la quale molto si era speso, soprattutto durante e dopo gli anni della ricostruzione, si accompagnava con il Santissimo Sacramento.

Nessuno osi essere il “rivoluzionario” a nome di Cristo: Lui solo è l’Unico e Irripetibile. Rivoluzionario

Benedetto XIII, del Bracci

Benedetto XIII, del Bracci

Per sommi capi, abbiamo descritto la vita di un pastore, che fu fedele agli insegnamenti delle verità dottrinali e dogmatiche sanciti con chiarezza dal Concilio di Trento; di uno strenuo difensore dei diritti della Chiesa; di un paterno uomo di Chiesa, sempre pronto e disponibile a farsi tutto per tutti, senza distinzioni di ceto, di razza o di condizione sociale.

La Chiesa ha il dovere di non dimenticare, prima di incamminarsi in avventure sperticate, in cui spesso dimentica il proprio passato, di esaltare, di far lumeggiare questo personaggio ricco ed intriso di santità fino in fondo all’anima.

Tomba di Benedetto in Santa Maria Sopra Minerva, basilica dei domenicani. Opera del Bracci

Tomba di Benedetto in Santa Maria Sopra Minerva, basilica dei domenicani. Opera del Bracci

Chi, oggi, pensa che la Chiesa sia stata solo un covo di delinquenti, di farabutti, di malfattori, pensa, e pensa male, sbagliando e dimenticando, con indicibile ignoranza, che questa istituzione, pur attraversata da marosi e da tempeste, è ancora lì ad insegnare – possibilmente, nel silenzio, senza troppi fastidiosi fragori, o senza troppo fragoroso, fastidioso e ricorrente divismo ecclesiastico, a cui molti stanno ricorrendo, e molti stanno inseguendo, a cominciare dai mezzi di comunicazione – che la Chiesa, dicevo, è ancora lì a testimoniare, per testimoniare, innanzitutto, la sua storia passata; ma, anche, quella da costruire. Senza lasciarsi prendere da certe frenesie emotive o lasciarsi suggestionare dai malefici spiriti emozionali; ma con compostezza, con garbo e con gusto. Nel dovere e nella consapevolezza che nessuno può essere il rivoluzionario o il rivoltoso in nome di Cristo, perché è solo Cristo, che rimane il primo, unico ed irripetibile Rivoluzionario della storia universale e della storia  dei popoli. L’unico in grado di garantire, ora e sempre, fino alla consumazione dei tempi, come recita il salmista,  misericordia e verità, giustizia e pace.

 



 



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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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