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Benedetto XVI: IN FONDO LA PARABOLA E' GESU' STESSO....Gesù e le Parabole

Ultimo Aggiornamento: 12/05/2014 11:00
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10/07/2011 18:10
 
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LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS, 10.07.2011

Dal pomeriggio di giovedì 7 luglio, il Santo Padre Benedetto XVI si trova nella residenza pontificia di Castel Gandolfo per trascorrere il periodo di riposo estivo.
Alle ore 12 di oggi, il Papa si affaccia al balcone del Cortile interno del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo per recitare l’Angelus insieme ai fedeli e ai pellegrini presenti.
Queste le parole del Santo Padre nell’introdurre la preghiera mariana:

PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

Vi ringrazio di essere venuti per l’appuntamento dell’Angelus qui a Castel Gandolfo, dove sono giunto da pochi giorni. Colgo volentieri l’occasione per rivolgere il mio saluto cordiale anche a tutti gli abitanti di questa cara Cittadina, con l’augurio di una buona stagione estiva. Saluto in particolare il nostro Vescovo di Albano.

Nel Vangelo dell’odierna Domenica (Mt 13,1-23), Gesù si rivolge alla folla con la celebre parabola del seminatore. E’ una pagina in qualche modo "autobiografica", perché riflette l’esperienza stessa di Gesù, della sua predicazione: Egli si identifica con il seminatore, che sparge il buon seme della Parola di Dio, e si accorge dei diversi effetti che ottiene, a seconda del tipo di accoglienza riservata all’annuncio.

C’è chi ascolta superficialmente la Parola ma non l’accoglie; c’è chi l’accoglie sul momento ma non ha costanza e perde tutto; c’è chi viene sopraffatto dalle preoccupazioni e seduzioni del mondo; e c’è chi ascolta in modo recettivo come il terreno buono: qui la Parola porta frutto in abbondanza.

Ma questo Vangelo insiste anche sul "metodo" della predicazione di Gesù, cioè, appunto, sull’uso delle parabole.

"Perché a loro parli con parabole?" – domandano i discepoli (Mt 13,10).

E Gesù risponde ponendo una distinzione tra loro e la folla: ai discepoli, cioè a coloro che si sono già decisi per Lui, Egli può parlare del Regno di Dio apertamente, invece agli altri deve annunciarlo in parabole, per stimolare appunto la decisione, la conversione del cuore; le parabole, infatti, per loro natura richiedono uno sforzo di interpretazione, interpellano l’intelligenza ma anche la libertà. Spiega San Giovanni Crisostomo: "Gesù ha pronunciato queste parole con l’intento di attirare a sé i suoi ascoltatori e di sollecitarli assicurando che, se si rivolgeranno a Lui, Egli li guarirà" (Comm. al Vang. di Matt., 45,1-2).

In fondo, la vera "Parabola" di Dio è Gesù stesso, la sua Persona che, nel segno dell’umanità, nasconde e al tempo stesso rivela la divinità. In questo modo Dio non ci costringe a credere in Lui, ma ci attira a Sé con la verità e la bontà del suo Figlio incarnato: l’amore, infatti, rispetta sempre la libertà.

Cari amici, domani celebreremo la festa di San Benedetto, Abate e Patrono d’Europa. Alla luce di questo Vangelo, guardiamo a lui come maestro dell’ascolto della Parola di Dio, un ascolto profondo e perseverante. Dobbiamo sempre imparare dal grande Patriarca del monachesimo occidentale a dare a Dio il posto che Gli spetta, il primo posto, offrendo a Lui, con la preghiera del mattino e della sera, le attività quotidiane.

La Vergine Maria ci aiuti ad essere, sul suo modello, "terra buona" dove il seme della Parola possa portare molto frutto.

DOPO L’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle, oggi ricorre la cosiddetta "Domenica del Mare", cioè la Giornata per l’apostolato nell’ambiente marittimo. Rivolgo un particolare pensiero ai Cappellani e ai volontari che si prodigano per la cura pastorale dei marittimi, dei pescatori e delle loro famiglie. Assicuro la mia preghiera anche per i marittimi che purtroppo si trovano sequestrati per atti di pirateria. Auspico che vengano trattati con rispetto e umanità, e prego per i loro familiari, affinché siano forti nella fede e non perdano la speranza di riunirsi presto ai loro cari.

**

Rivolgo infine il mio cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare ai fedeli venuti dalla diocesi di Bari e ai ragazzi di Cernobbio, che stanno concludendo il loro "campo" estivo. A tutti auguro una buona domenica. Grazie del vostro entusiasmo.

Pope Benedict  XVI smiles as he arrive to lead the Sunday angelus prayer from the balcony of his summer residence in Castelgandolfo in southern Rome July 10, 2011.

Pope Benedict XVI waves to faithfuls as he leads the Sunday angelus prayer from the balcony of his summer residence in Castelgandolfo on July 10, 2011.



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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20/07/2011 10:41
 
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Discorso introduttivo alla preghiera mariana dell'Angelus


 

ROMA, domenica, 17 luglio 2011  parole pronunciate questa domenica da Benedetto XVI nel rivolgersi ai fedeli e pellegrini riunitisi nel cortile interno del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo per recitare l’Angelus.

* * *

Cari fratelli e sorelle!

Le parabole evangeliche sono brevi narrazioni che Gesù utilizza per annunciare i misteri del Regno dei cieli. Utilizzando immagini e situazioni della vita quotidiana, il Signore "vuole indicarci il vero fondamento di tutte le cose. Egli ci mostra … il Dio che agisce, che entra nella nostra vita e ci vuole prendere per mano" (Gesù di Nazaret. I, Milano, 2007, 229). Con tale genere di discorsi, il divino Maestro invita a riconoscere anzitutto il primato di Dio Padre: dove Lui non c’è, niente può essere buono. E’ una priorità decisiva per tutto. Regno dei cieli significa, appunto, signoria di Dio, e ciò vuol dire che la sua volontà dev’essere assunta come il criterio-guida della nostra esistenza.

Il tema contenuto nel Vangelo di questa domenica è proprio il Regno dei cieli. Il "cielo" non va inteso soltanto nel senso dell’altezza che ci sovrasta, poiché tale spazio infinito possiede anche la forma dell’interiorità dell’uomo. Gesù paragona il Regno dei cieli ad un campo di grano, per farci comprendere che dentro di noi è seminato qualcosa di piccolo e nascosto, che, tuttavia, possiede un’insopprimibile forza vitale. Malgrado tutti gli ostacoli, il seme si svilupperà e il frutto maturerà. Questo frutto sarà buono solo se il terreno della vita sarà stato coltivato secondo la volontà divina. Per questo, nella parabola del buon grano e della zizzania (Mt 13,24-30), Gesù ci avverte che, dopo la semina fatta dal padrone, "mentre tutti dormivano" è intervenuto "il suo nemico", che ha seminato l’erba cattiva. Questo significa che dobbiamo essere pronti a custodire la grazia ricevuta nel giorno del Battesimo, continuando ad alimentare la fede nel Signore, che impedisce al male di mettere radici. Sant’Agostino, commentando questa parabola, osserva che "molti prima sono zizzania e poi diventano buon grano" e aggiunge: "se costoro, quando sono cattivi, non venissero tollerati con pazienza, non giungerebbero al lodevole cambiamento" (Quaest. septend. in Ev. sec. Matth., 12, 4: PL 35, 1371).

Cari amici, il Libro della Sapienza – da cui è tratta oggi la prima Lettura – evidenzia questa dimensione dell’Essere divino e dice: "Non c’è Dio fuori di te, che abbia cura di tutte le cose ... La tua forza infatti è principio della giustizia, e il fatto che sei padrone di tutti, ti rende indulgente con tutti" (Sap 12,13.16); e il Salmo 85 lo conferma: "Tu sei buono, Signore, e perdoni, sei pieno di misericordia con chi t’invoca" (v. 5). Se dunque siamo figli di un Padre così grande e buono, cerchiamo di assomigliare a Lui! Era questo lo scopo che Gesù si prefiggeva con la sua predicazione; diceva infatti a chi lo ascoltava: "Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste" (Mt 5,48). Rivolgiamoci con fiducia a Maria, che ieri abbiamo invocato con il titolo di Vergine Santissima del Monte Carmelo, perché ci aiuti a seguire fedelmente Gesù, e così a vivere da veri figli di Dio.

[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]

Con profonda preoccupazione seguo le notizie provenienti dalla regione del Corno d’Africa e in particolare dalla Somalia, colpita da una gravissima siccità e in seguito, in alcune zone, anche da forti piogge, che stanno causando una catastrofe umanitaria. Innumerevoli persone stanno fuggendo da quella tremenda carestia in cerca di cibo e di aiuti.

Auspico che cresca la mobilitazione internazionale per inviare tempestivamente soccorsi a questi nostri fratelli e sorelle già duramente provati, tra cui vi sono tanti bambini. Non manchi a queste popolazioni sofferenti la nostra solidarietà e il concreto sostegno di tutte le persone di buona volontà.

Rivolgo infine un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare ai fedeli della parrocchia di S. Barnaba Apostolo, in Marino e a quelli della parrocchia di S. Maria degli Angeli, in Caraffa del Bianco e ai fedeli di Monteleone di Puglia. A tutti auguro una buona domenica e una buona settimana. Grazie, il Signore vi benedica!

 

 

Two young believers look up at Pope Benedict XVI as he leads the Sunday Angelus prayer from the balcony of his summer residence in Castelgandolfo, on the outskirts of Rome, on July 17, 2011.
Pope Benedict XVI delivers his blessing during the Angelus prayer at his summer residence of Castel Gandolfo, in the outskirts of Rome, Sunday, July 17, 2011.


 

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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07/08/2012 10:53
 
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per chi lo preferisse.... siamo riusciti a copiare tutto il libro in modo da renderlo piacevolmente leggibile anche on-line...

VITA DI GESU' CRISTO DI DOM RICCIOTTI, PARTE PRIMA - CLICCATE QUI

VITA DI GESU' CRISTO DI DOM RICCIOTTI, PARTE SECONDA - CLICCATE QUI

VITA DI GESU' CRISTO DI DOM RICCIOTTI, PARTE TERZA - CLICCATE QUI

PER LEGGERLO ON-LINE SENZA COLLEGAMENTO INTERNET BASTERA' CHE SALVIATE LE TRE PAGINE CON IL TASTO "SALVA PAGINA CON NOME" IN QUESTO MODO, ANCHE SENZA COLLEGAMENTO INTERNET POTRETE LEGGERE, O STAMPARE, TUTTO IL LIBRO QUANDO VORRETE VOI....


LA GIORNATA DELLE PARABOLE

La parabola


§ 360. Durante questo periodo dell'operosità in Galilea, probabil­mente nel giorno stesso che precedette la tempesta sedata (§ 346), avvenne l'ampio insegnamento in parabole, che si può praticamente designare come la giornata delle parabole. Certamente anche prima Gesù aveva impiegato taluni elementi pa­rabolici nei suoi discorsi (cfr. Marco, 2, 17.19.21.22; ecc.), compreso il Discorso della montagna (Matteo, 5, 13-16; 6, 22 segg.; ecc.); ma quella fu una giornata dedicata particolarmente alla vera parabola, come risulta dalle brevi introduzioni premessevi da tutti e tre i Si­nottici (Matteo, 13, 1-3; Marco, 4, 1-2; Luca, 8, 4; cfr. Marco, 4, 35). E’ parimente quasi certo che anche qui gli evangelisti si siano comportati come per il Discorso della montagna, cioè che in occa­sione di questa giornata abbiano riferito parabole pronunziate da Gesù in altre occasioni (Matteo) o viceversa abbiano trasferito altrove parabole di questa giornata (Luca) (§ 317); tuttavia un nucleo sto­rico di parabole pronunziate in quella precisa giornata ci fu indubbiamente, e il suo materiale fu ripartito con una certa larghezza dai singoli evangelisti. La parabola è quel genere letterario che consiste nel servirsi di un fatto immaginario, ma assolutamente possibile e verosimile, per il­lustrare una data verità morale e religiosa. E’ dunque molto simile alla favola; ma ne differisce in quanto la favola fa agire o parlare esseri inanimati o irragionevoli, ed è quindi storicamente impossibile, e inoltre non si propone uno scopo edificativo. Ambedue i generi, presso tutti i popoli ove sono fioriti, sono stati sempre d'indole popolare: la plebe ha sempre trovato un mezzo facile e perspicuo, per ricevere e trasmettere la sapienza spicciola, in quel riavvicinamento di teoretiche situazioni morali alle reali situazioni umane di tutti i giorni, illuminando cosi l'astratto impalpabile col concreto tangi­bile.
E, sebbene prediletto dalla plebe, questo metodo è più filosofico di quanto sembri a prima vista: è noto che Socrate, appunto per opporsi ai Sofisti, ricorreva volentieri alla parabola e al paragone; anzi fin da principio, per definire il suo ufficio di maestro, egli si serviva di una specie di parabola, giacché affermava di continuare nel campo morale la professione che nel campo fisiologico aveva esercitata sua madre, la levatrice Fenarete: egli era il maieutico dello spirito. In sostanza, dunque, la parabola è un paragone. E’ naturale però che, a seconda della finezza concettuale dei vari autori e ascoltatori di tali paragoni, la parabola potrà essere più o meno sviluppata, e tal­volta potrà anche prendere alcuni aspetti dell'allegoria.

Ad esempio, l'ufficio d'un maestro di scuola potrà esser semplicemente paragonato a quello d'un giardiniere, e allora si avrà una parabola; ma se il paragone verrà spinto fino a particolarità minute, e nelle piccole piante del giardino si vedranno simboleggiati gli alunni del maestro, nei fiori e nei frutti le promozioni e i premi, nella fatica della van­ga le cure dell'insegnamento, nelle forbici potatrici le punizioni e così di seguito, il paragone diventa anche simbolico, ossia diventa una parabola allegorica; se infine, non nominando mai la scuola ma in­tendendo soltanto essa, si parlerà unicamente di piante, di fiori, di vanga, di forbici, si avrà una pura allegoria, ossia una metafora con­tinuata. E’ chiaro pertanto che, com'è difficile e raro mantenersi a lungo nella pura allegoria (un celebre esempio è l'ode O navis di Orazio, che tratta della Repubblica simboleggiata in una nave), così dalla semplice parabola si sconfina volentieri e facilmente nel cam­po allegorico impiegando taluni elementi simbolici. Le parabole di Gesù obbediscono a queste norme generiche.

§ 361. L'antica letteratura ebraica aveva coltivato il genere parabo­lico designandolo col nome di mashal, il quale termine, tuttavia, comprendeva anche altre forme oltre alla vera parabola. Com'era da aspettarsi, i rabbini anteriori e contemporanei a Gesù impiegavano la forma parabolica più o meno mescolata con le altre forme ana­loghe; in seguito s'impiegarono sempre più tali forme, ma dalla metà del secolo II dopo Cr. in poi il loro uso fu abbandonato. In questo tempo morì Rabbi Meir, e con lui morì - si disse - la parabola; gli si attribuivano infatti tremila favole, che avevano per protagonista sempre la volpe. Del resto a questo tempo la forma parabolica era diventata presso i rabbini stereotipata, convenzionale, priva d'energia e di vivezza. Presso Gesù la parabola è tutt'altra cosa: semplice e precisa, è ri­calcata di sulle realtà più umili ma rispecchia con nettezza i con­cetti più alti, e nello stesso tempo è comprensibile dall'ignorante e meditabile dal dotto. Letterariamente è priva d'ogni artifizio, eppure supera per potenza affettiva i più elaborati artifizi letterari. Non sba­lordisce, ma persuade; non solo vince, ma convince. Noi Italiani dal­la voce parabola abbiamo derivato la voce parola: vorrebbe forse questa derivazione indicare che la parabola di Gesù è la parola più alta salita dall'uomo e insieme la più bassa discesa da Dio?

Scopo delle parabole

§ 362. Le parabole di Gesù mirano a presentare il regno di Dio, ossia dei cieli. Nel Discorso della montagna Gesù aveva parlato dei requisiti morali necessari per entrare in quel regno; ma adesso, es­sendo trascorso altro tempo, era necessario fare un ulteriore passo in avanti e parlare di quel regno in sé, della sua indole e natura, dei membri che lo costituivano, del modo come si sarebbe attuato e sta­bilito. Anche sotto questo riguardo, infatti, la predicazione di Gesù seguì un metodo essenzialmente graduale. La ragione di questa gradualità è nella importantissima circostanza storica che già accennammo (§§ 300-301), vera chiave di volta del contegno di Gesù nei confronti della sua vita sociale, cioè nell'an­siosissima aspettativa da parte dei Giudei di un regno messianico-po­litico. Parlare a quelle turbe di un regno di Dio senza schiarimenti e spiegazioni, significava far balenare alle loro fantasie la visione di un celestiale re onnipotente, circondato da falangi di uomini armati e meglio ancora da legioni di angeli combattenti, il quale avrebbe portato Israele di vittoria in vittoria fino alla signoria di tutta la terra, rendendo “maestro e donno” delle nazioni pagane quel po­polo fino allora calpestato da tutti i pagani, e riducendo invece co­storo a sgabello dei piedi di lui (§ 83). Eppure, precisamente a quelle turbe così deliranti Gesù doveva parlare dell'oggetto del loro delirio, e parlare in maniera tale da attirarle e insieme da disingannarle: il regno di Dio indubbiamente doveva venire, si, anzi già aveva co­minciato ad attuarsi, ma non era il “regno” loro, bensì quello di Gesù, totalmente diverso. Perciò la predicazione di Gesù doveva in­sieme mostrare e non mostrare, aprire gli occhi alla verità e chiuderli ai sogni fantastici; era dunque necessaria una prudenza estrema, perché Gesù a questo punto s'inoltrava su un terreno vulcanico che poteva scoppiare da un momento all'altro.

Questa amorevole pru­denza fece sì che Gesù si servisse della parabola. La parabola, infatti, è chiara ma anche oscura, è eloquente ma anche reticente. Per chi la contempli con animo sereno e non preoccupato, è chiara ed eloquente; a chi la scruti con occhio torbidoso e con ani­mo prevenuto essa non dice nulla, seppur non dice il contrario di ciò che in realtà vuol dire. E’ dunque, non già tenebra, ma luce, e luce misericordiosamente adatta per occhi che si trovino in condizioni speciali; tuttavia quegli occhi devono esser puri, non già malati, men­tre - come più tardi Agostino esperimenterà in se stesso. Ma anche nel caso che la parabola non fosse subito compresa, ri­maneva ancora un rimedio. Le parabole di Gesù' erano recitate in pubblico, davanti a gente ben disposta e a gente mal disposta, affin­ché per tutti fosse aperta la porta del regno. Il velame della para­bola era imperiosamente richiesto da misericordia e prudenza; ma rimaneva sempre la possibilità di squarciare quel velame, sottraen­dosi dal dominio pubblico e rivolgendosi in privato all'autore delle parabole. Gesù, se voleva veramente diffondere il suo regno, non avrebbe rifiutato di parlare fuori parabola, qualora fosse stato con­sultato in privato: in privato le ragioni prudenziali che moderavano la predicazione pubblica non esistevano, e quindi il velame poteva essere abolito.

§ 363. Così in realtà avvenne. Un giorno imprecisato i discepoli gli si avvicinarono e gli chiesero: Perché parli ad essi in parabole? (Matteo, 13, 10). Questa domanda, e la risposta datale da Gesù, sono importantissime; ma per ben valutarle bisogna aver presente che domanda e risposta avvennero certamente non già nella giornata delle parabole, ma ben più tardi, quando cioè Gesù aveva recitato numerose parabole e i discepoli avevano riscontrato ch'esse produce­vano scarso effetto sulle turbe; inoltre, già prima di quella doman­da, i discepoli si erano rivolti in privato a Gesù per chiedere spiega­zioni di parabole udite in pubblico (Matteo, 13, 36; 15, 15) o anche spontaneamente Gesù le aveva spiegate in privato ad essi (Marco, 4, 34). Alla domanda pertanto dei discepoli Gesù rispose: “Perché a voi e' stato dato conoscere i misteri del regno dei cieli, a quelli in­vece non e' stato dato. Chiunque infatti ha, gli sarà dato e sovrabbonderà: chiunque invece non ha, anche ciò che ha gli sarà tolto.
Per questo in parabole parlo loro, perché vedendo non vedono, e udendo non odono nè comprendono; e si compie per essi la profezia di Isaia la quale dice: « udendo udrete, e non comprenderete: ve­dendo vedrete, ma non scorgerete. Divenne infatti crasso il cuore di questo popolo, e con le orecchie difficilmente udirono, e rinserra­rono i loro occhi affinché non mai scorgano con gli occhi, e con le orecchie odano, e col cuore comprendano e si convertano, e io li guarisca!”. Beati invece i vostri occhi perché vedono, e le vostre orecchie perché odono; ecc. (Matteo, 13, 11-16). Questa risposta è rivolta non soltanto agli Apostoli, ma anche ad altri volonterosi ch'erano insieme con essi (Marco, 4, 10, greco) e avevano fatto uni­tamente la domanda. La differenza tra i volonterosi e gli altri uditori consisteva in ciò, che ai primi era concesso di conoscere il regno in maniera perspicua (i suoi misteri) agli altri invece soltanto sotto il velame della parabola; ma questa differenza non era che la conse­guenza della volenterosità dei primi, i quali interrogando privata­mente Gesù ottenevano l'abolizione del velame parabolico, mentre gli altri rimanevano avviluppati in quel velame perché non aveva­no avuto il desiderio di uscirne tuttavia la porta del regno era aperta agli uni e agli altri, e la sua soglia era rappresentata dalla parabola.

Si poteva anche chiedere perché mai soltanto i volenterosi varcavano quella soglia in virtù della loro volenterosità; ma con ciò si sarebbe entrati in una questione ben differente e di sfera assai più alta, per­ché si sarebbe chiamato in causa il principio già enunciato a Nicodemo secondo cui chi non sia nato da... Spirito, non può entrare nel regno d'iddio (§ 288).

§ 364. Tutto ciò è abbastanza chiaro nel testo del dialogo secondo Matteo, salvo un punto che si vedrà subito. Invece il testo degli altri Sinottici, ambedue più brevi, offre una particolare difficoltà, special­mente quello di Marco che suona cosi: A voi e' stato dato (di cono­scere) il mistero del regno d'iddio; per quelli invece (che stanno) fuori (di voi volenterosi) il tutto avviene senza parabole, affinché « ve­dendo vedano e non scorgano, e udendo odano e non com prendano, affinché non mai si convertano e sia rimesso (il peccato) ad essi »(Marco, 4, 11-12). Si è discusso infinitamente su quel primo affinché, che introduce l'anonima citazione di Isaia, per definire se abbia o no un valore finale e intenzionale; la questione deve esser risolta mediante il confronto degli altri due Sinottici, e specialmente di Matteo più ampio di tutti. Gesù nella sua risposta, dopo aver distinto fra i volenterosi e gli altri, si appella a ciò che già era avvenuto al ministero del profeta Isaia citandone le parole. Ma la citazione, nel testo odierno di Matteo, è fatta secondo la versione dei Settanta (certamente dal traduttore greco di Matteo), mentre Gesù citò senza dubbio l'originale ebraico che suona cosi: “E (Dio mi) disse: Va' e dirai a questo popolo udendo udite ma non (sia) che comprendiate, e vedendo vedete ma non (sia) che conosciate!”. Rendi crasso il cuor di questo popolo, e indura le sue orecchie e inungi i suoi occhi affinché non (avvenga che) veda con i suoi occhi e oda con le sue orecchie e comprenda col suo cuore, e (cosi) si converta e (il suo medico) lo guarisca (Isaia, 6, 9-10). Riguardo al vero senso di queste parole non vi può essere alcun ragionevole dubbio.
Dio parla qui come tradizionale e amore­vole medico d'Israele, e tenta ancora una volta la guarigione del malato inviando Isaia a curarlo: ma il medico è sdegnato perché il malato si mostra, come sempre, caparbio e di dura cervice, e quindi per scuoterlo e impaurirlo il medico qui parla sarcasticamente e im­piega 1’ammonizione in forma di minaccia. In sostanza egli dice “Giammai una volta che tu ascoltassi e ti lasciassi persuadere! Ebbene, respingendo la mia medicina, resta pure con i tuoi mali af­finché io non ti guarisca in eterno!” ora; chi non vede che il medico vuole seriamente ed effettivamente guarire, e che l'affinché è un sarcasmo amorevole ed una salutare minaccia, la cui responsabilità cade esclusivamente sul malato? Tanto è vero che, nel caso storico, Dio inviava Isaia per tentare effettivamente la guarigione spirituale d' Israele. Come, dunque, nel dialogo secondo Matteo l'intero tratto va inter­pretato conforme all'originale ebraico di Isaia nominatamente citato, così gli altri due Sinottici vanno interpretati conforme a Matteo e al testo ebraico di Isaia. Questo testo poi, in Luca e Marco, è citato non solo in maniera anonima, ma anche in forma accorciata e in­compiuta: tuttavia siffatta maniera di citare non deve trarre in erro­re, quasi invitasse a limitarsi alle sole parole allegate. Si citava per summa verba affinché si riconoscesse esattamente il passo alluso, ma fermo restando che il suo vero senso doveva estrarsi dall'originale dell'intero passo alluso: il quale, come facilmente si poteva presup­porre, era un passo classico nella polemica antigiudaica e variamente impiegato dalla primitiva catechesi cristiana (Giovanni, 12. 40; Atti, 28, 26-27; Romani, 11, 8).
In conclusione, il disputato affinché con-serva nella citazione di tutti e tre i Sinottici il valore che ha nel­l'originale ebraico di Isaia, e questo valore non è affatto di finalità e di intenzione; bensì d'accorata ammonizione in forma di minaccia salutare.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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PARABOLA DEI TALENTI
Dal Vangelo secondo Matteo 25, 14-30


In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì.
Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.
Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro.
Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”.
Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».

Parola del Signore.

[SM=g1740733] Una divisione del testo per aiutarne la lettura:

Matteo 25,14-15: Il padrone distribuisce i suoi beni tra i suoi impiegati
Matteo 25,16-18: Il modo di agire di ogni impiegato
Matteo 25,19-23: Rendiconto del primo e del secondo impiegato
Matteo 25,24-25: Rendiconto del terzo impiegato
Matteo 25,26-27: Risposta del padrone al terzo impiegato
Matteo 25,28-30: La parola finale del padrone che chiarisce la parabola

Per coloro che desiderano approfondire il tema

a) Contesto in cui appare il nostro testo nel Vangelo di Matteo:


La "Parabola dei Talenti" (Mt 25,14-30) fa parte del 5º Sermone della Nuova Legge (Mt 24,1 a 25,46) e si colloca tra la parabola delle Dieci vergini (Mt 25,1-13) e la parabola del Giudizio finale (Mt 25,31-46). Queste tre parabole chiariscono il concetto relativo al tempo dell'avvento del Regno. La parabola delle Dieci vergini insiste sulla vigilanza: il Regno di Dio può giungere da un momento all'altro. La parabola dei talenti orienta sulla crescita del Regno: il Regno cresce quando usiamo i doni ricevuti per servire. La parabola del Giudizio finale insegna come prendere possesso del Regno: il Regno è accolto, quando accogliamo i piccoli.

Una delle cose che più influiscono nella nostra vita è l'idea che ci facciamo di Dio. Tra i giudei della linea dei farisei, alcuni immaginavano Dio come un Giudice severo che trattava le persone secondo il merito conquistato seguendo le osservanze. Ciò causava paura ed impediva alle persone di crescere. Impediva che aprissero uno spazio dentro di loro per accogliere la nuova esperienza di Dio che Gesù comunicava. Per aiutare queste persone, Matteo racconta la parabola dei talenti.

b) Commento del testo:

Matteo 25,14-15: Una porta per entrare nella storia della parabola

La parabola racconta la storia di un uomo che, prima di mettersi in viaggio, distribuisce i suoi beni agli impiegati, dando cinque, due ed un talento, secondo la capacità di ognuno di loro. Un talento corrisponde a 34 chili d'oro, il ché non è poco! In definitiva tutti ricevono la stessa cosa, perché ognuno di loro riceve "secondo la sua capacità".
Chi ha la tazza grande la riempie, chi ha la tazza piccola, la riempie anche lui. Ecco che il padrone va all'estero e vi rimane molto tempo. Il racconto ci lascia un po' sospesi. Non sappiamo perché il padrone distribuisce il suo denaro agli impiegati, non sappiamo quale sarà la fine del racconto. Forse lo scopo è che tutti coloro che ascoltano la parabola devono cominciare a confrontare la loro vita con la storia descritta nella parabola.

Matteo 25,16-18: Il modo di agire di ciascun impiegato

I due primi impiegati lavorano e raddoppiano i talenti. Ma colui che ha ricevuto un talento lo seppellisce, per conservarlo bene e non perderlo. Si tratta di beni del Regno che sono dati alle persone ed alle comunità secondo le loro capacità. Tutti e tutte ricevono qualche bene del Regno, ma non tutti rispondono allo stesso modo!

Matteo 25,19-23: Rendiconto del primo e del secondo impiegato

Dopo molto tempo, il proprietario ritorna per fare i conti con gli impiegati. I due primi dicono la stessa cosa: "Padrone mi hai dato cinque/due talenti. Ecco altri cinque/due che ho guadagnato!" Ed il padrone risponde allo stesso modo a tutti e due: "Bene, servo buono e fedele, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone."

Matteo 25,24-25: Rendiconto del terzo impiegato

Il terzo impiegato arriva e dice: "Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; per paura andai a nascondere il tuo talento sotterra; ecco qui il tuo!" In questa frase appare un'idea sbagliata di Dio che è criticata da Gesù. L'impiegato vede in Dio un padrone severo. Davanti a un Dio così, l'essere umano ha paura e si nasconde dietro l'osservanza esatta e meschina della legge.
Pensa che agendo in questo modo eviterà il giudizio e che la severità del legislatore non lo castigherà. Così pensavano alcuni farisei. In realtà, una persona così non ha fiducia in Dio, bensì ha fiducia in se stessa e nella sua osservanza della legge. E' una persona rinchiusa in se stessa, lontana da Dio e non riesce a preoccuparsi degli altri. Diventa incapace di crescere come una persona libera. Questa immagine falsa di Dio isola l'essere umano, uccide la comunità, non fa vivere la gioia ed impoverisce la vita.

Matteo 25,26-27: Risposta del padrone al terzo impiegato

La risposta del padrone è ironica. Lui dice: "Servo malvagio e infingardo, sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l'interesse!" Il terzo impiegato non è stato coerente con l'immagine severa che aveva di Dio. Se avesse immaginato Dio così severo, avrebbe dovuto per lo meno depositare il denaro in banca. Per questo è stato condannato non da Dio, ma dall'idea sbagliata che aveva di Dio, e nella quale persisteva senza volerla cambiare.

Matteo 25,28-30: La parola finale del padrone che chiarisce la parabola

Il padrone chiede di togliergli il talento e darlo a chi già ne ha: "Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha."
Ecco la chiave che chiarisce tutto.
In realtà i talenti, "il denaro del padrone", i beni del Regno, sono l'amore, il servizio, la condivisione, il dono gratuito, i suoi comandamenti.
Talento è tutto ciò che fa crescere la comunità e che rivela la presenza di Dio. Quando ci si chiude in se stessi per paura di perdere il poco che si ha si perde perfino quel poco che si ha, perché l'amore muore, la giustizia si indebolisce, la condivisione sparisce, i comandamenti vengono disattesi.
Invece la persona che non pensa a sé e si dona agli altri, cresce e riceve sorprendentemente tutto ciò che ha dato e molto di più. "Perché chi vorrà salvare la propria vita la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà" (Mt 10,39).

c) Approfondimento:

La moneta diversa del Regno:


Non c'è differenza tra coloro che ricevono di più e coloro che ricevono di meno. Tutti ricevono secondo la loro capacità. Ciò che importa è che il dono sia posto al servizio del Regno e che faccia crescere i beni del Regno che sono l'amore, la fraternità, la condivisione. la sua legge divina.
La chiave principale della parabola non consiste nel produrre talenti, ma indica il modo in cui bisogna vivere la nostra relazione con Dio.
I primi due impiegati non chiedono nulla, non cercano il proprio benessere, non guardano i talenti per sé, non calcolano, non misurano. Con la più grande naturalità, quasi senza rendersene conto e senza cercare merito per loro, cominciano a lavorare, affinché il dono ricevuto frutti per Dio e per il Regno.
Il terzo impiegato attribuisce a Dio le sue paure e, per questo, non fa nulla.
Paradossalmente però, secondo le norme dell'antica legge, lui agisce in modo corretto. Si mantiene nelle esigenze stabilite. Non perde nulla, ma il punto dolente è che nemmeno guadagna nulla. Per questo perde perfino ciò che aveva.
Il Regno è rischio.
Chi non vuole correre rischi, perde il Regno! Perde tutto!
E Gesù ci ha dato l'esempio per primo, finendo sulla Croce per conquistare a noi tutto il Regno e farci eredi.
I talenti ci sono dati a cominciare dal Battesimo e pian piano, seguendo tutti gli altri Sacramenti.
Se non faremmo fruttare le grazie ricevute dai Sacramenti, ci sentiremmo rispondere da Dio come ha detto al terzo servo.
Siamo stati avvisati, non diamo poi la "colpa" a Dio!


[SM=g1740717] [SM=g1740720] Salmo 62

Solo in Dio riposa l'anima mia


Solo in Dio riposa l'anima mia;
da lui la mia salvezza.
Lui solo è mia rupe e mia salvezza,
mia roccia di difesa: non potrò vacillare.
Fino a quando vi scaglierete contro un uomo,
per abbatterlo tutti insieme,
come muro cadente,
come recinto che crolla?
Tramano solo di precipitarlo dall'alto,
si compiacciono della menzogna.
Con la bocca benedicono,
e maledicono nel loro cuore.

Solo in Dio riposa l'anima mia,
da lui la mia speranza.
Lui solo è mia rupe e mia salvezza,
mia roccia di difesa: non potrò vacillare.
In Dio è la mia salvezza e la mia gloria;
il mio saldo rifugio, la mia difesa è in Dio.
Confida sempre in lui, o popolo,
davanti a lui effondi il tuo cuore,
nostro rifugio è Dio.
Sì, sono un soffio i figli di Adamo,
una menzogna tutti gli uomini,
insieme, sulla bilancia, sono meno di un soffio.

Non confidate nella violenza,
non illudetevi della rapina;
alla ricchezza, anche se abbonda,
non attaccate il cuore.
Una parola ha detto Dio,
due ne ho udite:
il potere appartiene a Dio,
tua, Signore, è la grazia;
secondo le sue opere
tu ripaghi ogni uomo.

Orazione Finale

Signore Gesù, ti ringraziamo per la tua Parola che ci ha fatto vedere meglio la volontà del Padre. Fa' che il tuo Spirito illumini le nostre azioni e ci comunichi la forza per eseguire quello che la Tua Parola ci ha fatto vedere. Fa' che noi, come Maria, tua Madre, possiamo non solo ascoltare ma anche praticare la Parola. Tu che vivi e regni con il Padre nell'unità dello Spirito Santo, nei secoli dei secoli.
Amen.

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[SM=g1740763]

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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28/11/2012 22:16
 
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La parabola del seminatore.
Tu di quale terreno fai parte?


Premessa.

Questa parabola è stata prima raccontata e poi spiegata da Gesù stesso; tanto è importante questa parabola quanto è semplice da comprendere.
L'Apostolo Paolo nella seconda epistola ai Corinzi (II Corinzi 13,5) fa questa esortazione: “Esaminate voi stessi per vedere se siete nella fede; provate voi stessi.“
I credenti sono chiamati continuamente a verificare se sono ancora nella fede e questa parabola è tra i passi che servono a tale scopo, non devono ignorarla, anzi devono meditarla attentamente.

Il Signore, con questa parabola, ha mostrato che ci sono quattro categorie di persone:

- la prima sono gli increduli e tali eravamo tutti noi prima che il Signore ci purificasse con il suo sangue e ci accogliesse come eredi mediante il Battesimo e poi tutti gli altri Sacramenti;
- la seconda sono coloro che credono ma poi si traggono indietro quando la loro fede viene messa alla prova;
- la terza sono coloro che continuano a frequentare la comunità e i fratelli, ma dentro di loro la Parola di Dio è soffocata soprattutto dal proprio "io" e dalle personali opinioni, personali interpretazioni e non ascoltano la Chiesa, il Papa, i Vescovi, i propri Sacerdoti, inseguendo altri maestri, altri pastori;
- la quarta è quella che rappresenta i fedeli perseveranti nella fede secondo la Parola di Dio, innamorati della Chiesa, perseveranti nei Sacramenti e nella carità, con un cuore dato completamente al Signore.

Gettare il seme sull’asfalto della strada, tutti sanno che non serve a niente: non ci sono le condizioni necessarie alla crescita. E, poi, la gente passa, lo calpesta, rovina il seme. Il seme non si getta dovunque.
Ai nostri giorni, si è soliti perfino preparare il terreno con il concime e con altre sostanze. Si fa tutto perché la terra produca il massimo e perché il seme possa sviluppare tutta la forza che nasconde. Un seme buono in una terra cattiva, genera solo fame e miseria. Ma un seme cattivo in una terra buona, dà il medesimo risultato. La benzina super in un motore rovinato, non serve a niente. La farina di prima qualità nelle mani di un fornaio incapace, non produce pane saporito.
Non basta piantare soltanto. Non basta avere buona volontà. Non basta dire:"Signore!Signore!". Bisogna sapere e ponderare dove e come si usa lo sforzo che si fa. Altrimenti, si corre il rischio di perdere tutto. E,d’altra parte, non serve a niente un ottimo motore, se la benzina è una porcheria.
Tutto ciò, la natura ce lo insegna e la vita ce lo conferma. Gesù se ne è accorto e se ne è servito nelle sue parabole per chiarire il nostro impegno con Dio.

Nota: Nel lavoro che si fa per il Regno di Dio, il risultato è spesso nullo o molto scarso; a volte, invece, va oltre ogni aspettativa. C’è chi attribuisce tutto a Dio e chi attribuisce tutto agli uomini. Gesù ci viene in aiuto, per chiarire il problema. Ascoltiamo ciò che egli dice facendoci aiutare da un grande santo e sacerdote, san Josèmaria Escrivà.

[SM=g1740717] [SM=g1740720] Dal Vangelo di Luca 8, 4-5 e 11-12
"Poiché una gran folla si radunava e accorreva a lui gente da ogni città, disse con una parabola: Il seminatore uscì a seminare la sua semente. Mentre seminava, parte cadde lungo la strada e fu calpestata, e gli uccelli del cielo la divorarono […].
Il seme è la parola di Dio.
I semi caduti lungo la strada sono coloro che l’hanno ascoltata, ma poi viene il diavolo e porta via la parola dai loro cuori, perché non credano e così siano salvati.

«Vi sono uomini che si chiudono alla luce della fede. Gli ideali di pace, di concordia, di fraternità sono accolti e proclamati, ma spesso sono smentiti dai fatti. Taluni, poi, si affannano inutilmente a imprigionare la voce di Dio, impedendone la diffusione con la forza bruta o con un’arma meno rumorosa, ma forse più crudele, perché rende insensibile lo spirito: l’indifferenza».
(San Josemaria Escrivà: È Gesù che passa, 150)

"Un’altra parte cadde sulla pietra e appena germogliata inaridì per mancanza di umidità […].
Quelli sulla pietra sono coloro che, quando ascoltano, accolgono con gioia la parola, ma non hanno radice; credono per un certo tempo, ma nell’ora della tentazione vengono meno" (Lc 8, 6 e 13).

«Tanti si dicono cristiani – perché sono battezzati e ricevono i sacramenti – ma si rivelano sleali, falsi, ipocriti, superbi… E cadono a capofitto. Sembrano stelle che brillano un momento nel cielo, ma precipitano senza rimedio. Se accettiamo la responsabilità di essere suoi figli, vedremo che Dio ci vuole molto umani. La testa deve arrivare al cielo, ma i piedi devono poggiare saldamente per terra. Il prezzo per vivere da cristiani non è la rinuncia ad essere uomini o la rinuncia allo sforzo per acquistare quelle virtù che alcuni posseggono anche senza conoscere Cristo. Il prezzo di ogni cristiano è il Sangue redentore di Gesù nostro Signore che ci vuole – ripeto – molto umani e molto divini, costanti nell’impegno quotidiano di imitare lui, perfectus Deus, perfectus homo». (San J. Escrivà, Amici di Dio, 75)

"Un’altra cadde in mezzo alle spine e le spine, cresciute insieme con essa, la soffocarono […]. Il seme caduto in mezzo alle spine sono coloro che, dopo aver ascoltato, strada facendo si lasciano sopraffare dalle preoccupazioni, dalla ricchezza e dai piaceri della vita e non giungono a maturazione" (Lc 8, 7 e 14).

«Non ti vergognare di scoprire che nel cuore hai il fomes peccati – l’inclinazione al male, che ti farà compagnia finché vivi, poiché nessuno è libero da questo peso. Non ti vergognare, poiché il Signore, che è onnipotente e misericordioso, ci ha dato tutti i mezzi idonei per superare questa inclinazione: i sacramenti, la vita di pietà, il lavoro santificato. Impiegali con perseveranza, disposto a cominciare e a ricominciare, senza scoraggiarti». ( San J.Escrivà, Forgia, 119)

"Un’altra cadde sulla terra buona, germogliò e fruttò cento volte tanto […]. Sono coloro che, dopo aver ascoltato la parola con cuore buono e perfetto, la custodiscono e producono frutto con la loro perseveranza" (Lc 8, 8 e 15).

«Guardando attorno a noi questo mondo che amiamo, perché opera divina, costatiamo che la parabola si fa realtà: la parola di Gesù è feconda e suscita in molte anime desideri di dedizione e di fedeltà. La vita e le opere di coloro che si sono posti al servizio di Dio hanno cambiato il volto della storia, al punto che molti di coloro che non conoscono il Signore sono spinti – forse senza saperlo – da ideali suscitati dal cristianesimo».
(San J.Escrivà, È Gesù che passa, 150)

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[SM=g1740757]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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REGINA COELI

Piazza San Pietro
Domenica, 11 maggio 2014

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Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

L’evangelista Giovanni ci presenta, in questa IV domenica del tempo pasquale, l’immagine di Gesù Buon Pastore. Contemplando questa pagina del Vangelo, possiamo comprendere il tipo di rapporto che Gesù aveva con i suoi discepoli: un rapporto basato sulla tenerezza, sull’amore, sulla reciproca conoscenza e sulla promessa di un dono incommensurabile: «Io sono venuto – dice Gesù – perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Gv 10,10). Tale rapporto è il modello delle relazioni tra i cristiani e delle relazioni umane.

Molti anche oggi, come ai tempi di Gesù, si propongono come “pastori” delle nostre esistenze; ma solo il Risorto è il vero Pastore, che ci dà la vita in abbondanza. Invito tutti ad avere fiducia nel Signore che ci guida. Ma non solo ci guida: egli ci accompagna, cammina con noi. Ascoltiamo con mente e cuore aperti la sua Parola, per alimentare la nostra fede, illuminare la nostra coscienza e seguire gli insegnamenti del Vangelo.

In questa domenica preghiamo per i Pastori della Chiesa, per tutti i Vescovi, compreso il Vescovo di Roma, per tutti i sacerdoti, per tutti! In particolare preghiamo per i nuovi sacerdoti della Diocesi di Roma, che ho ordinato poco fa, nella Basilica di San Pietro. Un saluto a questi 13 sacerdoti!  Il Signore aiuti noi pastori ad essere sempre fedeli al Maestro e guide sagge e illuminate del popolo di Dio a noi affidato. Anche a voi, per favore, chiedo di aiutarci: aiutarci ad essere buoni pastori. Una volta ho letto una cosa bellissima di come il popolo di Dio aiuta i vescovi e i sacerdoti ad essere buoni pastori. E’ uno scritto di San Cesario di Arles, un padre dei primi secoli della Chiesa. Lui spiegava come il popolo di Dio deve aiutare il pastore, e faceva questo esempio: quando il vitellino ha fame va dalla mucca, dalla madre, a prendere il latte. La mucca, però, non lo dà subito: sembra che se lo trattenga per sé. E cosa fa il vitellino? Bussa col suo naso alla mammella della mucca, perché venga il latte. E’ bella l’immagine! “Così voi – dice questo santo – dovete essere con i pastori: bussare sempre alla loro porta, al loro cuore, perché vi diano il latte della dottrina, il latte della grazia e il latte della guida”. E vi chiedo, per favore, di importunare i pastori, di disturbare i pastori, tutti noi pastori, perché possiamo dare a voi il latte della grazia, della dottrina e della guida. Importunare! Pensate a quella bella immagine del vitellino, come importuna la mamma perché gli dia da mangiare.

Ad imitazione di Gesù, ogni Pastore «a volte si porrà davanti per indicare la strada e sostenere la speranza del popolo – il pastore deve essere avanti a volte – altre volte starà semplicemente in mezzo a tutti con la sua vicinanza semplice e misericordiosa, e in alcune circostanze dovrà camminare dietro al popolo, per aiutare coloro che sono rimasti indietro» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 31). Che tutti i Pastori siano così! Ma voi importunate i pastori, perché diano la guida della dottrina e della grazia.

In questa domenica ricorre la Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni. Nel Messaggio di quest’anno ho ricordato che «ogni vocazione richiede in ogni caso un esodo da sé stessi per centrare la propria esistenza su Cristo e sul suo Vangelo» (n. 2). Per questo la chiamata a seguire Gesù è nello stesso tempo entusiasmante e impegnativa. Perché si realizzi, è necessario sempre entrare in profonda amicizia con il Signore per poter vivere di Lui e per Lui.

Preghiamo perché anche in questo tempo, tanti giovani sentano la voce del Signore, che ha sempre il rischio di venire come soffocata da tante altre voci. Preghiamo per i giovani: forse qui in Piazza c’è qualcuno che sente questa voce del Signore che lo chiama al sacerdozio; preghiamo per lui, se è qui, e per tutti i giovani che sono chiamati.


Dopo il Regina Coeli:

 

E oggi vi invito a dedicare un bel ricordo e una preghiera a tutte le mamme. Salutiamo le mamme! Affidandole alla mamma di Gesù, preghiamo la Madonna per le nostre mamme e per tutte le mamme: “Ave Maria….”.

Un grande saluto alle mamme: un grande saluto!






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