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Venite, prostràti adoriamo, in ginocchio davanti al Signore che ci ha creati (Salmo 94,6).

Ultimo Aggiornamento: 03/07/2012 15:42
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07/09/2011 12:24
 
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Inginocchiarsi di nuovo davanti a Dio


L'ARTE CATTOLICA DELL'INGINOCCHIARSI DAVANTI A DIO





Il santo Padre Benedetto XVI
da maggio 2008 in occasione della Festa del Corpus Domini, ha deciso, nelle Messe da lui celebrate, che i fedeli ricevano la Comunione dalla sue mani in bocca e in ginocchio, su inginocchiatoi messi a tal fine davanti all’altare. Nello stesso tempo aveva già riportato il Crocefisso sull'Altare raccomandando, con  mitezza e con responsabilizzazione, che tutte le Chiese (ossia anche le Parrocchie) si adoperassero per una corretta interpretazione della Riforma liturgica del Concilio Vaticano II, la quale non ha mai fatto propria Norma quelle alcune modifiche nella Messa che, invece, presero il sopravvento producendo abusi e dissacralità nella Messa stessa.

Approfondiamo, almeno un poco, la disciplina della Chiesa su questo tema!

Il Cardinale Antonio Cañizares, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti l’ha esposto in sintesi e con grande chiarezza nel febbraio del 2009 in un’intervista alla rivista “30 Giorni”:
Come è noto, l’attuale disciplina universale della Chiesa prevede che di norma la Comunione venga distribuita nella bocca dei fedeli. C’è poi un indulto che permette, su richiesta degli episcopati, di distribuire la Comunione anche sul palmo della mano. Questo è bene ricordarlo. Il Papa, poi, per dare maggiore risalto alla dovuta reverenza con cui dobbiamo accostarci al Corpo di Gesù, ha voluto che i fedeli che prendono la Comunione dalle sue mani lo facciano in ginocchio. Mi è sembrata un’iniziativa bella ed edificante del Vescovo di Roma.”
Di conseguenza, lo stesso Cardinale, che allora era ancora Primate di Spagna e Arcivescovo di Toledo, dispose che nella chiesa Cattedrale di Toledo si ponesse un inginocchiatoio per coloro che desideravano “comunicarsi con rispetto e come lo fa il Papa”, ricevendo la Comunione in ginocchio.
E ancora: “Le liturgie pontificie infatti sono sempre state, e sono tuttora, di esempio per tutto l’orbe cattolico”.

Non è un segreto che Benedetto XVI ha sempre sostenuto la Comunione in ginocchio. Quando era Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, sottolineava che la pratica di inginocchiarsi per ricevere la Sacra Comunione ha a suo favore una tradizione plurisecolare, ed è un segno particolarmente espressivo di adorazione, del tutto appropriato in ragione della vera, reale e sostanziale presenza di Nostro Signore Gesù Cristo sotto le specie consacrate. Dietro il gesto di inginocchiarsi il Papa vede, dunque, niente meno che una conseguenza della fede cattolica nella presenza reale di Cristo nell’Eucaristia.

Vale la pena penetrare maggiormente il suo pensiero, attraverso le pagine della sua opera “Lo spirito della Liturgia”, pubblicata quando era ancora Cardinale. Nel capitolo dedicato al tema della prostrazione, dice: “L’espressione con cui Luca descrive l’atto di inginocchiarsi dei cristiani  è sconosciuta nel greco classico. Si tratta di una parola specificamente cristiana. Può essere che la cultura moderna non capisca il gesto di inginocchiarsi, nella misura in cui è una cultura che si è allontanata dalla fede e non conosce ormai Colui di fronte al quale inginocchiarsi è il gesto appropriato, anzi, interiormente necessario. Chi impara a credere, impara anche ad inginocchiarsi. Una fede o una liturgia che non conoscesse l’atto di inginocchiarsi sarebbe ammalata nel punto centrale. Là dove questo gesto sia andato perduto, bisogna impararlo di nuovo, per rimanere con la nostra preghiera in comunione con gli apostoli e i martiri, in comunione con tutto il cosmo e in unità con Gesù Cristo stesso”.
Conoscere, credere, rimanere nella fede, queste sono le condizioni di base da cui nasce il “bisogno interiore” di inginocchiarsi.

Dove la pratica di inginocchiarsi si è persa, “bisogna impararla di nuovo”, diceva l’allora Cardinale Ratzinger.
E di nuovo, nella sua prima Esortazione Apostolica, Sacramentum Caritatis (2007), il Santo Padre riafferma: “Un segnale convincente dell’efficacia che la catechesi eucaristica ha sui fedeli è sicuramente la crescita in loro del senso del mistero di Dio presente tra noi. Ciò può essere verificato attraverso specifiche manifestazioni di riverenza verso l’Eucaristia, a cui il percorso mistagogico deve introdurre i fedeli. Penso, in senso generale, all’importanza dei gesti e della postura, come l’inginocchiarsi durante i momenti salienti della preghiera eucaristica”.

Monsignor Guido Marini, Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie, riassume quest’insegnamento papale dicendo che, ricevendo la Comunione in ginocchio e in bocca, si sottolinea “la verità della presenza Reale di Cristo nell’Eucaristia, aiuta la devozione dei fedeli e introduce più facilmente il senso di mistero”.
Inoltre egli faceva presente in una intervista a Radio Vaticana, nell'aprile 2011: "Nell'ambito liturgico, ciò che il Papa sta indicando con la sua parola e con il suo esempio, è l'applicazione compiuta e fedele del Concilio Vaticano II, in sviluppo armonico con tutta la tradizione liturgica precedente della Chiesa. Il Santo Padre è un Maestro di liturgia, per quanto riguarda i contenuti, l'insegnamento e il pensiero, e allo stesso tempo un grande 'liturgo', perché ci insegna l'arte della celebrazione.
Benedetto XVI ha mutato la liturgia con il suo stesso stile celebrativo e allo stesso tempo con le sue indicazioni e orientamenti. Il Papa ha applicato e sta applicando alla lettera come deve essere celebrata la Messa voluta dalla Riforma del Concilio...", i sacerdoti e i Vescovi, pertanto, dovrebbero così obbedire al Papa nel fare proprie le sue istanze liturgiche. E lo stesso Pontefice, spiegava mons. Guido Marini, è ritornato spesso sul concetto che Roma rimane "il modello verso il quale tutte le altre chiese devono guardare".
Insomma, è il Papa a chiedere che si celebri la Liturgia con quella sacralità venuta meno nelle celebrazioni parrocchiali, ci vuole una buona dose di mala fede per dire "io non lo sapevo!"....

Ci piace sottolineare che grazie anche al Motu Proprio Summorum Pontificum, assistiamo di recente ad una responsabilizzazione da parte di molti Vescovi della Chiesa, verso questa santa disciplina. Sarebbe infatti fuorviante relegare questo prezioso MP esclusivamente al ritorno della Messa nella forma Straordinaria, poichè è il Papa stesso a richiedere attraverso questo Documento, una riforma della Messa nella forma Ordinaria, purificandola dai tanti abusi di questi anni e dove la Messa nella forma Straordinaria, invece, resta un 'ottimo esempio ed una grande testimonianza della sacralità liturgica che dobbiamo riportare allo scoperto.
Vorremmo menzionare soprattutto il Vescovo Athanasius Schenider il quale ha scritto anche un prezioso libretto "Dominus Est" edito dalla Libreria Vaticana, sul come ricevere la Sacra Comunione e il perchè dell'inginocchiarsi davanti al Mistero.

L'arte dell'inginocchiarsi è, per noi cattolici, un segno caratteristico e identificativo non semplicemente di una forma di cultura, ma molto più, di quella identità che ci vede consapevoli del Mistero di Gesù-Ostia-Santa che abbiamo davanti a noi e davanti al quale, appunto, ci inginocchiamo.
Taluni hanno frettolosamente ingannato se stessi e molti fedeli ricorrendo ad immagini della Chiesa primitiva secondo le quali, e secondo la loro interpretazione, i cristiani non si inginocchiavano davanti al Risorto, ma si prostravano!
A rigor del vero occorre dire che questa motivazione è sbagliata ed è malamente interpretata. Nessuno di fatto sa con certezza quale atteggiamento assunsero i Discepoli davanti al Cristo Risorto, parlando di prostrazione va detto che essa veniva fatta generalmente proprio da una posizione che partiva dallo stare in ginocchio e, seduti sui talloni, ci si prostrava con la fronte fino a toccare terra.
Bisogna sottolineare che in discussione non viene messo lo stare in piedi, per esempio, nelle invocazioni, nell'ascoltare la Parola di Dio, o nel seguire i canti, quanto piuttosto assistiamo da tempo ad una battaglia contro la forma dell'inginocchiarsi.

Del resto, per noi Cattolici, vale per tutto il suggerimento della Sacra Scrittura che lo stesso sante Padre Domenico insegnava ai suoi Frati:

Venite, prostràti adoriamo, in ginocchio davanti al Signore che ci ha creati (Salmo 94,6).



Sant'Agostino, con una immagine efficace, ci spiega la nostra situazione.
E' vero, spiega il santo Padre della Chiesa, che la nostra fede cristiana è racchiusa nella gioia della Risurrezione, la Pasqua rende incontenibile la nostra gioia con inni, salmi, canti di lode e giubilo, ma la nostra vita sulla terra è una Quaresima!

Il santo Padre Agostino, in alcune sue catechesi, rimarca l'atteggiamento che dobbiamo assumere, ci ricorda che la Pasqua per noi è prefigurazione della gloria che vivremo mentre, la realtà che viviamo sulla terra è la Quaresima, per questo la Chiesa insegna il digiuno, la penitenza, la prostrazione, quello stare in ginocchio mentre mendichiamo davanti a Dio le nostre suppliche. Sant'Agostino cita, come esempio i passi dei Vangeli in cui è insegnato quale atteggiamento dobbiamo assumere quando Preghiamo, quando siamo davanti al Signore:

- Matteo 17,15 che, gettatosi in ginocchio, gli disse: «Signore, abbi pietà di mio figlio. Egli è epilettico e soffre molto; cade spesso nel fuoco e spesso anche nell'acqua;
- Marco 1,40 Allora venne a lui un lebbroso: lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi guarirmi!».
- Marco 10,17 Mentre usciva per mettersi in viaggio, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?».
- Luca 5,8 Al veder questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontanati da me che sono un peccatore».

In un articolo comparso sull'Osservatore Romano 4 agosto 2008, così spiegava mons. Nicola Bux: Il sacerdote, per celebrare con arte il servizio liturgico, non deve ricorrere ad accorgimenti mondani ma concentrarsi sulla verità dell'Eucaristia. L'Ordinamento generale del messale romano stabilisce:  "Anche il presbitero...quando celebra l'eucaristia, deve servire Dio e il popolo con dignità e umiltà, e, nel modo di comportarsi e di pronunziare le parole divine, deve far percepire ai fedeli la presenza viva di Cristo".  Il prete non escogita nulla, ma col suo servizio deve rendere al meglio agli occhi e agli orecchi, ma anche al tatto, al gusto e all'olfatto dei fedeli, il sacrificio e rendimento di grazie di Cristo e della Chiesa, al cui mistero tremendo possono avvicinarsi quanti si sono purificati dai peccati. Come possiamo avvicinarci a lui se non abbiamo il sentimento di Giovanni il precursore:  "è necessario che egli cresca e io diminuisca"(Gv 3, 20)? Se vogliamo che il Signore cammini con noi, dobbiamo recuperare questa consapevolezza, altrimenti priviamo dell'efficacia il nostro atto devoto:  l'effetto dipende dalla nostra fede e dal nostro amore.

"è necessario che egli cresca e io diminuisca", per fare questo è indispensabile che ci si attivi non solo spiritualmente, ma anche esternamente con atteggiamenti atti a far capire come funziona questo meccanismo:
- inginocchiandomi davanti all'Altissimo, Egli cresce di importanza davanti a me, io mi faccio piccolo ed umile (inginocchiandomi) davanti a Lui.
L'atteggiamento che assumiamo davanti agli altri, poichè siamo umani e sensibili ai gesti, ai segni, è pertanto indispensabile per dare una vera, o presunta, o perfino una falsa immagine del Mistero che celebriamo!
Nella Lettera alla Congregazione per il Culto Divino, del 21.9.2009, il futuro beato, Giovanni Paolo II, così scriveva e ammoniva:  "Il Popolo di Dio ha bisogno di vedere nei sacerdoti e nei diaconi un comportamento pieno di riverenza e di dignità, capace di aiutarlo a penetrare le cose invisibili, anche senza tante parole e spiegazioni. Nel Messale Romano, detto di San Pio V, come in diverse Liturgie orientali, vi sono bellissime preghiere con le quali il sacerdote esprime il più profondo senso di umiltà e di riverenza di fronte ai santi misteri: esse rivelano la sostanza stessa di qualsiasi Liturgia".

" anche senza tante parole e spiegazioni "....  Spesso è l'atteggiamento che assumiamo ad essere per noi la testimonianza più concreta di quello in cui crediamo.

Se vogliamo essere credibili, dobbiamo assumere anche un atteggiamento di credibilità: se diciamo che Dio è Vivo è vero nell'Eucarestia, allora non possiamo restare in piedi, o peggio seduti ( a meno che non vi sia qualche grave impedimento fisico) è la stessa virtù dell'umiltà sincera che ci fa piegare le ginocchia davanti al Sommo Re per poter supplicare ieri come oggi:
- Matteo 17,15 che, gettatosi in ginocchio, gli disse: «Signore, abbi pietà di mio figlio......;
- Marco 1,40 Allora venne a lui un lebbroso: lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi guarirmi!».
- Marco 10,17 Mentre usciva per mettersi in viaggio, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?».
- Luca 5,8 Al veder questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontanati da me che sono un peccatore»...

Sia lodato Gesù Cristo!
LDCaterina63

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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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IL PAPA ALLA MESSA AD ANCONA :

Nutrirsi di Cristo è la via per non restare estranei o indifferenti alle sorti dei fratelli, ma entrare nella stessa logica di amore e di dono del sacrificio della Croce; chi sa inginocchiarsi davanti all’Eucaristia, chi riceve il corpo del Signore non può non essere attento, nella trama ordinaria dei giorni, alle situazioni indegne dell’uomo, e sa piegarsi in prima persona sul bisognoso, sa spezzare il proprio pane con l’affamato, condividere l’acqua con l’assetato, rivestire chi è nudo, visitare l’ammalato e il carcerato (cfr Mt 25,34-36).

*********

il Papa pone al centro IL PRIMATO DELL'EUCARESTIA E DELL'INGINOCCHIARSI DAVANTI AL CRISTO-OSTIA-SANTA ANCHE NEL RICEVERLA quale testimonianza concreta per aiutare davvero il prossimo...
se non ci inginocchiamo davanti all'Eucarestia, fa capire il Papa, NON POSSIAMO PIEGARCI DI FRONTE ALL'AFFAMATO...












Pope Benedict XVI  arrives to celebrate mass in the Ancona harbour   on September 11, 2011.




OMELIA DEL SANTO PADRE

Carissimi fratelli e sorelle!

(...)

“Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?” (Gv 6,60).
Davanti al discorso di Gesù sul pane della vita, nella Sinagoga di Cafarnao, la reazione dei discepoli, molti dei quali abbandonarono Gesù, non è molto lontana dalle nostre resistenze davanti al dono totale che Egli fa di se stesso. Perché accogliere veramente questo dono vuol dire perdere se stessi, lasciarsi coinvolgere e trasformare, fino a vivere di Lui, come ci ha ricordato l’apostolo Paolo nella seconda Lettura: “Se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del Signore” (Rm 14,8).

“Questa parola è dura!”; è dura perché spesso confondiamo la libertà con l’assenza di vincoli, con la convinzione di poter fare da soli, senza Dio, visto come un limite alla libertà. E’ questa un’illusione che non tarda a volgersi in delusione, generando inquietudine e paura e portando, paradossalmente, a rimpiangere le catene del passato: “Fossimo morti per mano del Signore nella terra d’Egitto…” – dicevano gli ebrei nel deserto (Es 16,3), come abbiamo ascoltato. In realtà, solo nell’apertura a Dio, nell’accoglienza del suo dono, diventiamo veramente liberi, liberi dalla schiavitù del peccato che sfigura il volto dell’uomo e capaci di servire al vero bene dei fratelli.

“Questa parola è dura!”; è dura perché l’uomo cade spesso nell’illusione di poter “trasformare le pietre in pane”. Dopo aver messo da parte Dio, o averlo tollerato come una scelta privata che non deve interferire con la vita pubblica, certe ideologie hanno puntato a organizzare la società con la forza del potere e dell’economia. La storia ci dimostra, drammaticamente, come l’obiettivo di assicurare a tutti sviluppo, benessere materiale e pace prescindendo da Dio e dalla sua rivelazione si sia risolto in un dare agli uomini pietre al posto del pane. Il pane, cari fratelli e sorelle, è “frutto del lavoro dell’uomo”, e in questa verità è racchiusa tutta la responsabilità affidata alle nostre mani e alla nostra ingegnosità; ma il pane è anche, e prima ancora, “frutto della terra”, che riceve dall’alto sole e pioggia: è dono da chiedere, che ci toglie ogni superbia e ci fa invocare con la fiducia degli umili: “Padre (…), dacci oggi il nostro pane quotidiano” (Mt 6,11).
L’uomo è incapace di darsi la vita da se stesso, egli si comprende solo a partire da Dio: è la relazione con Lui a dare consistenza alla nostra umanità e a rendere buona e giusta la nostra vita. Nel Padre nostro chiediamo che sia santificato il Suo nome, che venga il Suo regno, che si compia la Sua volontà. E’ anzitutto il primato di Dio che dobbiamo recuperare nel nostro mondo e nella nostra vita, perché è questo primato a permetterci di ritrovare la verità di ciò che siamo, ed è nel conoscere e seguire la volontà di Dio che troviamo il nostro vero bene. Dare tempo e spazio a Dio, perché sia il centro vitale della nostra esistenza.

Da dove partire, come dalla sorgente, per recuperare e riaffermare il primato di Dio? Dall’Eucaristia: qui Dio si fa così vicino da farsi nostro cibo, qui Egli si fa forza nel cammino spesso difficile, qui si fa presenza amica che trasforma. Già la Legge data per mezzo di Mosè veniva considerata come “pane del cielo”, grazie al quale Israele divenne il popolo di Dio, ma in Gesù la parola ultima e definitiva di Dio si fa carne, ci viene incontro come Persona. Egli, Parola eterna, è la vera manna, è il pane della vita (cfr Gv 6,32-35) e compiere le opere di Dio è credere in Lui (cfr Gv 6,28-29).

Nell’Ultima Cena Gesù riassume tutta la sua esistenza in un gesto che si inscrive nella grande benedizione pasquale a Dio, gesto che Egli vive da Figlio come rendimento di grazie al Padre per il suo immenso amore. Gesù spezza il pane e lo condivide, ma con una profondità nuova, perché Egli dona se stesso. Prende il calice e lo condivide perché tutti ne possano bere, ma con questo gesto Egli dona la “nuova alleanza nel suo sangue”, dona se stesso. Gesù anticipa l’atto di amore supremo, in obbedienza alla volontà del Padre: il sacrificio della Croce. La vita gli sarà tolta sulla Croce, ma già ora Egli la offre da se stesso. Così la morte di Cristo non è ridotta ad un’esecuzione violenta, ma è trasformata da Lui in un libero atto d’amore, in un atto di auto-donazione, che attraversa vittoriosamente la stessa morte e ribadisce la bontà della creazione uscita dalle mani di Dio, umiliata dal peccato e finalmente redenta. Questo immenso dono è a noi accessibile nel Sacramento dell’Eucaristia: Dio si dona a noi, per aprire la nostra esistenza a Lui, per coinvolgerla nel mistero di amore della Croce, per renderla partecipe del mistero eterno da cui proveniamo e per anticipare la nuova condizione della vita piena in Dio, in attesa della quale viviamo.

Ma che cosa comporta per la nostra vita quotidiana questo partire dall’Eucaristia per riaffermare il primato di Dio? La comunione eucaristica, cari amici, ci strappa dal nostro individualismo, ci comunica lo spirito del Cristo morto e risorto, ci conforma a Lui; ci unisce intimamente ai fratelli in quel mistero di comunione che è la Chiesa, dove l’unico Pane fa dei molti un solo corpo (cfr 1 Cor 10,17), realizzando la preghiera della comunità cristiana delle origini riportata nel libro della Didaché: “Come questo pane spezzato era sparso sui colli e raccolto divenne una cosa sola, così la tua Chiesa dai confini della terra venga radunata nel tuo Regno” (IX, 4). L’Eucaristia sostiene e trasforma l’intera vita quotidiana. Come ricordavo nella mia prima Enciclica, “nella comunione eucaristica è contenuto l’essere amati e l’amare a propria volta gli altri”, per cui “un’Eucaristia che non si traduca in amore concretamente praticato è in se stessa frammentata” (Deus caritas est, 14).

La bimillenaria storia della Chiesa è costellata di santi e sante, la cui esistenza è segno eloquente di come proprio dalla comunione con il Signore, dall’Eucaristia nasca una nuova e intensa assunzione di responsabilità a tutti i livelli della vita comunitaria, nasca quindi uno sviluppo sociale positivo, che ha al centro la persona, specie quella povera, malata o disagiata.

Nutrirsi di Cristo è la via per non restare estranei o indifferenti alle sorti dei fratelli, ma entrare nella stessa logica di amore e di dono del sacrificio della Croce; chi sa inginocchiarsi davanti all’Eucaristia, chi riceve il corpo del Signore non può non essere attento, nella trama ordinaria dei giorni, alle situazioni indegne dell’uomo, e sa piegarsi in prima persona sul bisognoso, sa spezzare il proprio pane con l’affamato, condividere l’acqua con l’assetato, rivestire chi è nudo, visitare l’ammalato e il carcerato (cfr Mt 25,34-36). In ogni persona saprà vedere quello stesso Signore che non ha esitato a dare tutto se stesso per noi e per la nostra salvezza.

Una spiritualità eucaristica, allora, è vero antidoto all’individualismo e all’egoismo che spesso caratterizzano la vita quotidiana, porta alla riscoperta della gratuità, della centralità delle relazioni, a partire dalla famiglia, con particolare attenzione a lenire le ferite di quelle disgregate.

Una spiritualità eucaristica è anima di una comunità ecclesiale che supera divisioni e contrapposizioni e valorizza le diversità di carismi e ministeri ponendoli a servizio dell’unità della Chiesa, della sua vitalità e della sua missione.

Una spiritualità eucaristica è via per restituire dignità ai giorni dell’uomo e quindi al suo lavoro, nella ricerca della sua conciliazione con i tempi della festa e della famiglia e nell’impegno a superare l’incertezza del precariato e il problema della disoccupazione. Una spiritualità eucaristica ci aiuterà anche ad accostare le diverse forme di fragilità umana consapevoli che esse non offuscano il valore della persona, ma richiedono prossimità, accoglienza e aiuto. Dal Pane della vita trarrà vigore una rinnovata capacità educativa, attenta a testimoniare i valori fondamentali dell’esistenza, del sapere, del patrimonio spirituale e culturale; la sua vitalità ci farà abitare la città degli uomini con la disponibilità a spenderci nell’orizzonte del bene comune per la costruzione di una società più equa e fraterna.

Cari amici, ripartiamo da questa terra marchigiana con la forza dell’Eucaristia in una costante osmosi tra il mistero che celebriamo e gli ambiti del nostro quotidiano. Non c’è nulla di autenticamente umano che non trovi nell’Eucaristia la forma adeguata per essere vissuto in pienezza: la vita quotidiana diventi dunque luogo del culto spirituale, per vivere in tutte le circostanze il primato di Dio, all’interno del rapporto con Cristo e come offerta al Padre (cfr Esort. ap. postsin. Sacramentum caritatis, 71). Sì, “non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Mt 4,4): noi viviamo dell’obbedienza a questa parola, che è pane vivo, fino a consegnarci, come Pietro, con l’intelligenza dell’amore: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio” (Gv 6,68-69).

Come la Vergine Maria, diventiamo anche noi “grembo” disponibile ad offrire Gesù all’uomo del nostro tempo, risvegliando il desiderio profondo di quella salvezza che viene soltanto da Lui. Buon cammino, con Cristo Pane di vita, a tutta la Chiesa che è in Italia! Amen.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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26/12/2011 23:42
 
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Gesù vero Dio e vero uomo

Lo scandalo della familiarità

di INOS BIFFI

Gesù di Nazaret, Figlio di Dio: è l'originalità inattesa e sorprendente, o, come si dice, l'essenza del cristianesimo, su cui regge e da cui proviene tutto il Vangelo. La "buona notizia" non è che "il figlio del falegname" (Matteo, 13, 55) sia veramente uomo. Questo è immediatamente ovvio e non provoca nessuno stupore. In altre parole: a impressionare non è che ci fosse un uomo chiamato Gesù, che aveva come padre Giuseppe, come madre Maria, con dei "fratelli" di nome "Giacomo Giuseppe, Simone e Giuda", e con delle "sorelle" (Matteo, 13, 55-56), ma ciò che in lui appariva eccedente a una condizione umana "normale" e ad essa non riducibile: la sua sapienza, i suoi prodigi (Marco, 6, 2).

La storia di Gesù nei vangeli è esattamente la storia di questa irriducibilità, o degli eventi mirabili (mirabilia) che - senza alterare la dimensione umana del figlio del falegname, ma lasciandola intatta e normale - ne facevano intuire il profondo mistero e ne lasciavano trasparire l'intima identità divina, ossia quella identità, che apparve in tutta la sua luce nel prodigio della risurrezione, quando Gesù fu veduto come Signore - "Abbiamo visto il Signore!" (Giovanni, 20, 25) .

Quel vangelo era incominciato con la definizione di Gesù come Verbo che "era in principio", che "era al cospetto di Dio", "che era Dio" (Giovanni, 1, 1), o come "l'Unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre" (Giovanni, 1, 18); e terminava, dopo l'esperienza o la constatazione della sua storia, con lo stesso riconoscimento. D'altra parte, è dichiarato espressamente che era stato scritto per suscitare la fede in Gesù: "il Cristo, il Figlio di Dio" (Giovanni, 29, 31).

Ed è, in realtà, quanto vale per tutti i vangeli. Questi non sono stati scritti per narrare la vicenda di un semplice uomo, sia pure eccezionale per le sue doti o le sue imprese, ma per attestare la fede, storicamente fondata, in Gesù Figlio di Dio.

O anche: i vangeli nascono come attestazione e proclamazione di questa sorpresa, che attraversava e sosteneva la comunità di quanti erano diventati discepoli di Gesù non perché egli fosse un uomo eccezionale, ma alla fine perché egli era il Figlio di Dio fatto uomo.
Gli "avvenimenti" "trasmessi da quelli che ne furono testimoni oculari fin dal principio e divennero ministri della Parola" interessavano per la fede che avevano fondato e suscitato, ed è la ragione dello scrupolo storico di Luca, che a sua volta intende scriverne "un resoconto ordinato", "dopo ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi" (Luca, 1, 1-3). Quanto al vangelo di Marco incomincia con le parole: "Inizio del vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio" (Marco, 1, 1).

Ma sembra che proprio questo aspetto che concerne in maniera unica Gesù di Nazaret, questo suo essere "veramente figlio di Dio" (cfr. Matteo, 27, 54), sia una verità che si sta in qualche modo annebbiando e quasi passando in secondo ordine, rispetto al riconoscimento di Gesù come vero uomo.
Ci sono teologi e biblisti che si ritengono scientifici, se fanno di tutto per creare difficoltà e intralci al riconoscimento della divinità di Gesù, che in realtà è quanto appare con luminosa chiarezza nella Scrittura neotestamentaria.

Certo, che Gesù sia "Dio da Dio", "Dio vero da Dio vero", il Figlio eternamente generato dal Padre, è una verità disorientante, anzitutto per la tradizione teologica ebraica, che difficilmente poteva sopportarla e non giudicarla una bestemmia; ma proprio per questo è sorprendente che il riconoscimento di Gesù Figlio di Dio sia avvenuto proprio dagli ebrei, a cominciare dai Dodici, che lo hanno veduto e udito (cfr. 1 Giovanni, 1, 1-3), che hanno mangiato e bevuto con lui (Atti, 10, 41) e sono vissuti con lui (cfr. Atti, 1, 21).

Non avrebbe procurato reazione né prodotto smarrimento una creatura particolarmente legata a Dio: un profeta, un messaggero divino, un mediatore scelto e da lui prediletto. La stessa storia di Israele ne aveva riconosciuti (Giovanni il Battista, Elia, Geremia) come appare dalla risposta di Pietro alla domanda di Gesù sul giudizio della gente riguardo alla sua identità (Matteo, 16, 13, 14).

Ma non appariva invece sopportabile ed equivaleva a una bestemmia la pretesa di un uomo, Gesù, che aveva a Nazaret il padre, la madre, i fratelli e le sorelle, di avere il potere di rimettere i peccati (Matteo, 9, 2-3), di identificarsi con "il Figlio dell'uomo seduto alla destra della Potenza" (Matteo, 26, 64). L'annunzio di Gesù quale Figlio di Dio, venuto nella carne, è il cuore della predicazione evangelica. Ed è, insieme, una verità non facile da conservare.

Assai presto sorge l'eresia che nega la consistenza dell'incarnazione; vi succede quella dell'arianesimo, che, a varie gradualità, misconosce che Gesù sia, nel senso pieno e rigoroso del termine, il Figlio di Dio. Gli ariani sono disposti a fare di Gesù l'elogio più alto, a riconoscerlo come creatura supremamente nobile, la prima che fosse uscita dalle mani di Dio. Appunto un uomo meraviglioso, perfetto, ma non un uomo veramente Dio.

Da qui si comprende l'importanza fondamentale del primo grande concilio ecumenico, quello di Nicea del 325. Leggendo la Scrittura nel suo preciso e integrale contenuto, con l'aiuto di categorie concettuali estranee alla cultura biblica ma a servizio della fede cristiana, Nicea definisce Gesù Cristo: "Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato non creato, della stessa sostanza del Padre": e fu la definizione che, dopo non poche peripezie e compromessi, anche per la difficoltà di trovarvi un linguaggio uniforme e adeguato, alla fine rifulse come espressione della fede cattolica, grazie ai grandi dottori e pastori della Chiesa, tra i quali ricordiamo Atanasio di Alessandria in Oriente, e Ambrogio in Occidente. Non si possono studiare le peripezie storiche e ripassare gli appassionati dibattiti linguistici di quel primo concilio, senza restare profondamente commossi e coinvolti; senza ammirare come prodigiosamente in quelle formule all'apparenza secche e levigate salisse ed emergesse il Vangelo, o come vi si inalveasse la stessa Parola di Dio, o la Rivelazione, che si riscontra in atto nella vita di Gesù di Nazaret, nelle sue azioni e predicazioni.

Abbiamo accennato ad Ambrogio: egli succedette inattesamente e contro sua voglia all'ariano o semiariano Aussenzio, ed avvertì subito che tutta la sua opera pastorale si sarebbe dovuta orientare a ricondurre i cristiani della Chiesa di Milano - non solo di Milano - alla pura fede di Nicea. Lo fece nella predicazione, negli scritti e negli inni. Egli avvertiva che senza la fede nicena tutto l'edificio cristiano sarebbe crollato, ravvisando, insieme, con estrema lucidità i molteplici riflessi in dottrina e prassi ecclesiale della verità di Gesù Figlio di Dio, nel senso più rigoroso del termine.

"Contro tutti gli eretici - scrive - sta questa professione della fede cattolica: "Cristo è Figlio di Dio, eterno dal Padre e nato dalla Vergine". Questa professione di fede (...) è il fondamento della Chiesa" (De incarnatione, V, 33. 35). Gerolamo, che non sempre fu tenero con Ambrogio, e per ragioni forse non del tutto edificanti, avrebbe scritto di lui: "Dopo la morte, che non arrivava mai, di Aussenzio, insediatosi Ambrogio come vescovo a Milano, tutta l'Italia viene ricondotta alla retta fede" (Chrònicon).


(L'Osservatore Romano 25 dicembre 2011)


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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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03/07/2012 15:42
 
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Preghiere sulle parabole del Signore (Sant'Alberto Magno o.p.)

I vignaioli (Mt 20,1-16)

Signore Gesù Cristo, buon padrone, di buon mattino mi hai chiamato nella tua vigna, mi hai con dotto fin dalla mia giovinezza a lavorare nella vigna della vita religiosa per ottenere la ricompensa della vita eterna: quando sarà suonata l’ultima ora, nel giudizio, e assegnerai la mercede agli operai, che co sa darai a me, che non solo nel mondo ma nella vigna stessa della vita religiosa sono rimasto in ozio per tutti i giorni della mia vita?
Signore, tu che non misuri le nostre opere seguendo il criterio umano, ma quello della tua santità, fà che io mi ravveda almeno nell’undicesima ora e, poiché tu sei buono, ottienimi che il mio cuore non sia trovato del tutto cattivo.

Il seminatore (Lc 8,4-15; Mt 13,3-23; Mc 4,1-20)

Signore Gesù Cristo, fammi cambiar vita, perché il seme della tua parola, che hai seminato nella mia capacità di comprendere il bene, nel mio desiderio di ben operare e nel mio modo di agire, non divenga cibo per gli uccelli della vanagloria o venga calpestato sulla strada dell’abitudine, né rinsecchisca tra le pietre della durezza e dell’ostinazione, o rimanga soffocato tra le spine delle preoccupazioni quotidiane. Possa invece cadere nel terreno buono, anzi ottimo, quello di un cuore umile, paziente e gioioso per produrre, nella perseveranza, un frutto abbondante.

L’uomo ricco e il povero Lazzaro (Lc 16,19-31)

Signore Gesù Cristo, sono un uomo povero di virtù e coperto dalle piaghe del peccato, e vengo a chiedere l’elemosina alla porta della tua misericordia. Ho una gran voglia di sfamarmi con le briciole che cadono dalla mensa di quei tuoi figli che possiedono la vera ricchezza, perché si vestono con la porpora dei sentimenti e degli affetti più puri e banchettano sontuosamente ogni giorno cibandosi delle virtù. Lascia che vengano i cani, cioè i tuoi santi Dottori, a lenire le piaghe dei miei peccati, così io morendo a questo mondo sarò portato dagli angeli delle buone opere nel seno della contemplazione celeste.
Manda Lazzaro, strumento della tua grazia, a intingere la punta di un dito, cioè almeno una piccola parte delle mie opere, nell’acqua della vera contrizione per rinfrescare il mio corpo che sta bruciando nelle fiamme della concupiscenza. Mandalo a convincere i miei sensi perché non cadano anch’essi in questo luogo di tormenti, ma ascoltino Mosè e i profeti fuggendo il male e compiendo il bene, perché allora quando risorgeranno da morte potranno partecipare della vita eterna.

Il banchetto nuziale (Mt 22,1-14)

Signore Gesù Cristo, re della gloria celeste, ai figli di Abramo che ti imitano nella penitenza hai dato in sposa la vita religiosa affinché, fedeli a un talamo spirituale e dediti a una figliolanza di buone opere, siano indissolubilmente legati a te. E ora ci chiami a questo banchetto di nozze mediante i tuoi servi: la Sacra Scrittura, le avversità della vita, le infermità, i rovesci della fortuna e la tua santa volontà. Ti preghiamo, donaci la carità, che è la veste nuziale, perché non ci capiti di cessare di lodarti e di riconoscerci peccatori, e perciò di venire allontanati dal banchetto della gioia spirituale, della pace e della salvezza. E donaci anche la veste della pietà perché non accada anche a noi di essere gettati fuori per empietà, legati mani e piedi, nelle tenebre dove sarà pianto e stridore di denti.

Gli invitati a cena (Lc 14,15-24)

Signore Gesù Cristo, uomo divino, ineffabile creatore di tua madre, tu dopo averci creato e rigenerato mediante la redenzione hai preparato per noi una grande cena: grande a motivo dei cinque pani che ci offri in cibo, ossia l’esecuzione della volontà divina, il conforto delle tue promesse, la virtù della preghiera, l’efficacia dei sacramenti e il cibo del tuo corpo; grande per l’antichità dei simboli che l’hanno prefigurata, la loro diversità, la loro efficacia, l’amore di chi l’ha istituita e la fede dei credenti; grande per la dignità di chi l’ha preparata, per ciò che viene offerto e per le persone che se ne cibano degnamente. O Signore, tu hai voluto preparare la cena perché potessimo saziarci sacramentalmente, intellettualmente e spiritualmente.
Ti preghiamo dunque, affinché i nostri affari, cioè le occupazioni quotidiane, o le cinque paia di buoi, ossia i nostri cinque sensi, o ancora nostra moglie, che è la concupiscenza, non ci impediscano di partecipare alla cena a cui ci inviti. Manda perciò i tuoi servi con l’ordine che ci chiamino anzitutto con la voce del santo timore che ci converte, e ci costringano, con sofferenze e tribolazioni, a partecipare al tuo banchetto affinché per paura del tuo eterno sdegno non siamo estromessi ora dalla cena della contemplazione e in futuro da quella della completa visione di te.

Il figliol prodigo (Lc 15,11-32)

Signore e Padre, il mio affetto, che è come il più giovane dei tuoi figli, durante una lunga lontananza in compagnia del peccato ha dissipato i beni naturali e sciupato i doni soprannaturali e poi, per l’estrema povertà, si è messo al servizio di uno straniero riducendosi alla fame. Ma ora finalmente è tornato in sé: fà dunque che si risollevi con vero pentimento e si riconosca indegno di essere chiamato tuo figlio perché ha disonorato la tua immagine peccando contro il cielo e contro di te che vedi ogni cosa. Permetti che dopo una giusta riparazione venga trattato come uno dei tuoi servi che lavorano per la ricompensa eterna.
E tu, mentre è ancora lontano per la fragilità del suo libero arbitrio, guardalo misericordioso con la tua grazia preveniente, corrigli incontro per abbracciarlo con la grazia cooperante e bacialo con la grazia finale. Fallo rivestire dai tuoi dipendenti, cioè i sacerdoti, con la stola della prima innocenza e perdonagli i peccati. Mettigli al dito l’anello delle buone opere, dagli i sandali del buon esempio, concedigli tranquillità di coscienza preparandogli un banchetto con il vitello nutrito di virtù. E rimprovera il figlio maggiore, cioè l’intelletto, severo con chi è debole, perché non pecchi rinfacciandoti la sua fedeltà e i servizi prestati e manifestando. ingratitudine, sdegno, presunzione, disprezzo, rimprovero e invidia. Fà piuttosto che gioisca insieme agli angeli i quali, dopo aver prestato la loro opera e compiuto il loro dovere per sconfiggere gli angeli ribelli, ora fanno festa in cielo quando un peccatore si converte.

II buon samaritano (Lc 10,23-37; Mt 19,16-19)

Signore Gesù Cristo, con la gioia della contemplazione e della vita religiosa fai pregustare ai tuoi discepoli un’anticipazione dello splendore e della pace eterna per renderli partecipi della tua beatitudine già qui in terra, in attesa di quella perfetta del cielo. Ma questo non lo concedi ai molti potenti e sapienti di questo mondo che, pieni di superbia, ti cercano senza amarti, ti tentano con la loro malvagità e si giustificano mentendo, e pur conoscendo e comprendendo gli insegnamenti della Sacra Scrittura non li mettono in pratica, perché non si curano del prossimo.
Ti preghiamo, proteggici mentre scendiamo dalla contemplazione alla pratica delle buone opere, perché non ci capiti di incappare nei briganti, cioè gli appetiti dei nostri sensi, che ci spogliano dei doni soprannaturali e feriscono le facoltà naturali. Il sacerdote e il levita, ossia la parte superiore e quella inferiore della nostra anima, scendendo per la stessa strada non passino oltre cedendo al peccato, ma piuttosto tornino indietro per dedicarsi alla contemplazione. Il samaritano invece, cioè la grazia della salvezza che ci accompagna, si prenda cura di noi, ci fasci le ferite con le bende della tua umiltà per arrestare il sangue della concupiscenza e le sani versandovi sopra olio, cioè la speranza del tuo perdono, e vino, cioè il timore della tua giustizia. Poi, caricandoci sul giumento, metta la nostra ragione al di sopra della sensualità, e portandoci a una locanda ci guidi alla considerazione dei nostri peccati. Il giorno dopo, per farci riposare dalla fatica e per alleviare la nostra sofferenza spirituale, paghi per noi i due denari della speranza e della penitenza, segno della risurrezione del corpo e dell’anima e riconoscimento della tua umanità e divinità.

L’amministratore infedele (Lc 16,1-9)

Signore Gesù Cristo, fà della mia anima una dimora di penitenza, un villaggio di continenza e una città di giustizia; così il tuo amministratore, cioè la mia ragione, non sperpererà i tuoi beni. Signore, dopo la morte, quando l’amministrazione cesserà, non potrò fare più nulla per meritare la ricompensa eterna: né lavorare la terra per scontare i miei peccati, né mendicare il tuo perdono arrossendo di vergogna.
Condona alla mia mente i cento barili d’olio che ti deve per aver trascurato la contemplazione, e alla volontà i cento sacchi di grano che ti deve per aver agito male. E quanto al guadagno che ti ho ingiustamente sottratto per necessità, cupidigia e prodigalità, intercedano in mio favore i tuoi poveri, che amano te e non il mondo, e si conformano alla tua volontà: siano essi i miei protettori, avvocati, doganieri, albergatori, portinai e tesorieri; così, nel momento del bisogno, mi accoglieranno e ristoreranno nelle loro case, e nella dimora eterna.

Il fariseo e il pubblicano (Lc 18,9-14)

Signore Gesù Cristo, affinché io non pecchi contro di te o contro il prossimo presumendo di essere perfetto e superiore agli altri, giudicandoli male, vantandomi e mentendo, insegnami a disprezzare me stesso, a rispettare Dio, a espiare i peccati con vera penitenza, a piangerli e ad accusarli con sincerità.
O Dio, abbi pietà di me peccatore, perché con vera umiltà di cuore, parole e opere, io torni giustificato nella casa della mia coscienza e un giorno io sia innalzato in quella della gloria.

Il servo spietato (Mt 18,23-35)

Signore Gesù Cristo, a te siamo debitori per le nostre e altrui opere sia nel bene che nel male, sia per diritto comune che per quello divino, in forza sia della legge naturale che di quella umana. Insegnaci quindi a fare un rendiconto frequente e severo con noi stessi e con i confessori, tuoi servi, in modo che poi, quando vorrai fare personalmente i conti con i tuoi servi, condonerai a noi diecimila denari di opere contrarie alla tua grazia perché abbiamo condonato al nostro prossimo i cento denari di semplici azioni che ci hanno offeso.

La pecora smarrita e la moneta d’argento perduta (Lc 15,1-10; Mt 18,12-14)

Signore Gesù Cristo, che cerchi colui che si è perduto e lo accogli al ritorno, Fà che io con l’ascolto frequente della tua Parola ti venga vicino, evitando di peccare contro il prossimo per cecità di giudizio, severità di una falsa giustizia, confronto con chi sta peggio, eccesso di fiducia nei miei meriti e negligenza del giudizio divino.
Riconduci a me la centesima pecora, ossia la grazia della contemplazione che ho smarrito a causa delle mie cattive azioni: così saprò evitare l’orgoglio, accrescerò in me il desiderio di te e mi avvantaggerò anche per il mio operare; e perché io possa ritrovare la moneta perduta, ossia il modo migliore di agire, accendi in me la luce del discernimento, fà che io metta a soqquadro la casa delle mie passioni disordinate scrutando con tutta l’attenzione ogni angolo della mia coscienza, così lo spirito non sarà dominato dalla carne.

Preghiere per la vita spirituale

Invito a confidare nella Provvidenza (Mt 6,24-34; Lc 16,13)

Signore Gesù Cristo, poiché nessuno può servire due padroni, perché o amerà l’uno e odierà l’altro, oppure preferirà il primo e disprezzerà il secondo, liberaci dal dominio e dalla schiavitù del mondo, della carne e del diavolo e fà che giungiamo alla visione degli angeli che tu hai voluto addirittura inferiori a noi dato che hai assunto la nostra natura.
Aggiungi alla nostra dimensione umana una misura di grazia per questa vita e una di gloria per quella futura: così guarderemo ai gigli del campo, cioè alla mente rivestita del candore delle virtù, piuttosto che all’erba, ossia i ricchi di questo mondo che nell’eternità arderanno nel fuoco dell’inferno. Se cercheremo prima di tutto il regno di Dio e la sua giustizia, sapremo usare le cose di questo mondo per percorrere la via delle virtù e giungere felicemente al traguardo del regno dei cieli.

Invito alla semplicità (Mt 7,15-20; Lc 6,43-45)

Signore Gesù Cristo, insegnaci a non cadere in inganno nel giudicare le circostanze, le cause, le apparenze, le mancanze. Rendici capaci di imitare spiritualmente la semplicità della pecora, la sua innocenza, mansuetudine, discrezione, docilità, sopportazione, e di vestirci della sua pelle e della sua lana, cibarci della sua carne, nutrirci del suo latte, giovarci delle sue interiora e del suo concime. Fà che temiamo il muso feroce del diavolo, che è il lupo dello spirito, e il suo alito fetido, il morso improvviso, l’invidia insaziabile, l’astuzia e il suo assalto.
Insegnaci a piantare l’albero della nostra speranza non sulla terra ma in cielo, così un giorno ci riconoscerai fedeli non solo per le foglie delle parole, ma anche e soprattutto per i frutti delle buone opere.

Invito ad ascoltare e predicare la parola di Dio (Gv 8,42-59)

Signore Gesù Cristo, che ci inviti all’ascolto della parola di Dio rendendoci consapevoli della sua elevatezza e verità e della sua utilità per noi, insegnaci a difenderci dalla falsità del nemico, a sopportare con pazienza le ingiurie, a non desiderare la gloria personale, a cercare, proclamare e difendere sempre la verità senza timore di provocare scandalo e a non desistere dalla predicazione, anche a costo di subire ogni sorta di offese.
Signore Gesù Cristo, che sei somma verità, bontà, giustizia, misericordia, magnificenza, purezza, temperanza, umiltà e carità: tu che per non essere lapidato dai bugiardi, malvagi, disonesti, empi, avari, lussuriosi, golosi, superbi e odiosi hai dovuto nasconderti e uscire dal tempio, non uscire dal tempio della nostra anima e rendici docili alla correzione, puri e concordi con te in tutto.

La nostra giustizia sia superiore a quella dei Farisei (Mt 5,20-24)

Signore Gesù Cristo, agli antichi hai promesso beni temporali, a noi invece hai promesso beni eterni perché la nostra giustizia fosse superiore alla loro. Tienici lontani dall’omicidio, dall’odio, dall’avarizia, dalla frode, dalla diffamazione, dai piaceri, dalla negligenza, dall’omertà, dall’imprudenza, dall’insinuazione, dall’adulazione e dall’inganno, per non essere simili al diavolo e ai nostri progenitori, e fà che non pecchiamo contro la sapienza della creazione e la grazia della redenzione, contro la nostra natura e contro la nostra specie. E per il rispetto che dobbiamo al tuo sangue, liberaci da tutte le offese commesse con azioni, parole o gesti, affinché il do no delle buone opere che ti offriamo sull’altare della fede ti sia gradito come segno di riconciliazione e d’amore.

Siate misericordiosi come il Padre (Lc 6,36-42; Mt 7,1-5; Mc 4,24-25)

Signore Gesù Cristo, per venire incontro alla nostra debolezza e far sì che nessuno di noi si perda, ci hai esortato a essere misericordiosi come il Padre tuo: la sua misericordia, che si manifesta in tutte le sue opere, ci avvicina massimamente a lui. Ed egli vuole che anche noi ne abbiamo altrettanta perché la nostra misericordia è il mezzo per ottenere la sua, e la sua misericordia è il premio della nostra. Ora ti preghiamo: togli dall’occhio della nostra intenzione la trave del desiderio di qualunque peccato mortale, così eviteremo di cadere nella trappola che il diavolo ci tende a causa della nostra cecità nel giudicare gli altri. E Dio Padre userà anche verso di noi, in quantità abbondantissima, la misericordia che usiamo verso il nostro prossimo quando lo giudichiamo secondo la sua dignità e le sue qualità, e non secondo le sue mancanze.

La conoscenza soprannaturale di Dio è superiore a ogni scienza umana (Mt 22,23-40; Mc 12,18-34; Lc 20,27-40)

Signore Gesù Cristo, che sei venuto in questo mondo per salvare i peccatori, congiungi la mia anima a te, unico vero sposo e bene insostituibile: fà che essa per tuo amore trascuri i sette mariti, cioè le sette arti liberali, e non si dedichi più alle scienze che si acquistano con lo studio. Viva invece con fede, speranza e carità secondo l’insegnamento della Sacra Scrittura e nell’annuncio della tua Parola, svolga il suo ministero durante questo pellegrinaggio terreno e possa aderire a te con piena conoscenza e amore. E quando finalmente la carità sarà perfetta per la conformità al fine, l'elevatezza delle virtù e l'osservanza dei tuoi precetti, essa invaderà tutta l’anima e la trasformerà in modo che non potrà amare niente altro all'infuori dite, e giungerà a vedere le cose non più nella loro immagine ma in te, che sei somma verità.
Allora le forze dell'intelletto le permetteranno di riconoscere perfettamente te, Dio e uomo, invisibile ma visibile nel prossimo, unica persona in una duplice natura: Signore secondo la natura divina, figlio di Davide secondo quella umana.

Per riconoscere e rispondere alle astuzie di chi vuole ingannarci (Mt 22,15-22; Mc 12,13-17; Lc 20,20-26)

Signore Gesù Cristo, insegnaci a riconoscere dalle loro parole le astuzie dei seduttori e a difenderci quando ci vengono rivolte domande ingannevoli per coglierci in errore. Fà che non rispondiamo direttamente ma che ricaviamo dai loro discorsi una risposta che li metta in difficoltà usando espressioni comprensibili a tutti, e così la loro falsità potrà essere smascherata. Insegnaci a non approvare per compiacere, ma a seguire in tutte le circostanze la ragione, e a non parlare mai in modo da recar danno agli altri con il pretesto di un falso zelo per il culto divino, ma a dire solo ciò che crediamo giusto.
Concedi a noi di fregiarci dell’impronta della natura e della grazia, del titolo della tua Passione trionfale, del memoriale della tua morte e dell’ufficio di messaggeri del tuo regno: alternando con saggezza l’uso dell’intelletto nell’azione e nella contemplazione, nella vita del corpo e in quella dello spirito, daremo a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio.


Pubblicato 22.01.2009 da Amici Domenicani

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Benedetto XVI: LA GENUFLESSIONE TESTIMONIA CIO' CHE DOBBIAMO A DIO

 

Da Paparatzingerblog:

Salvatore Izzo


(AGI) - CdV, 27 giu.

"Di fronte al suo nome ogni ginocchio si pieghi".

Benedetto XVI ha ripetuto oggi l'invocazione che San Paolo rivolse ai Filippesi nel suo inno cristologico. "Piegare il ginocchio - ha spiegato agli 8mila fedeli che gremivano l'Aula Nervi in occasione dell'Udienza Generale - testimonia l'adorazione che tutte le creature debbono a Dio". Da qui "l'importanza di compiere questo gesto con profonda consapevolezza", davanti alla Croce o all'Eucaristia. Secondo il Papa teologo, infatti, proprio "sulla Croce Gesu' ha raggiunto massimo grado dell'umiliazione, perche' questa pena era riservata agli schiavi e non alle persone libere. Cosi' l'unico Signore della nostra vita, Dio, si e' abbassato con umilta' per elevarci fino a Lui".

"Quando ci inginocchiamo davanti al Signore noi confessiamo la nostra fede in Lui, riconosciamo che e' Lui l'unico Signore della nostra vita", ha ricordato ancora il Papa. "Cari fratelli e sorelle, nella nostra preghiera - ha aggiunto - fissiamo il nostro sguardo sul Crocifisso, sostiamo in adorazione piu' spesso davanti all'Eucaristia, per far entrare la nostra vita nell'amore di Dio, che si e' abbassato con umilta' per elevarci fino a Lui". "Come san Francesco davanti al Crocifisso - ha concluso infine Benedetto XVI - diciamo anche noi: Altissimo, glorioso Dio, illumina le tenebre del mio cuore. Dammi una fede retta, speranza certa e carita' perfetta, senno e discernimento per compiere la tua vera e santa volonta'.

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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