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Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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Novembre: Festa liturgica di Tutti i Santi e dei Nostri cari Defunti (2)

Ultimo Aggiornamento: 13/11/2017 14:48
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23/10/2011 16:08
 
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[SM=g1740733]Cari Amici,
ci ritroviamo ancora una volta ad affrontare questo periodo di grande grazia per noi e per le Anime dei nostri Defunti.... nonchè nella COMUNIONE DI TUTTI I SANTI anche di quelli di cui non conosciamo i nomi, o che per disposizione divina non sono stati canonizzati ufficialmente....
Vista la ricchezza dell'argomento e riempito di già un thread, per una miglior lettura ne apriamo uno nuovo, questo, ricordandovi i tanti articoli e le tante meditazioni offerte nella prima parte che ritrovate cliccando da qui: Novembre: Festa liturgica di Tutti i Santi e dei Nostri cari Defunti

L'amico Mastino, dal suo Blog,   ha scritto due brevi riflessioni con le quali ritengo interessante aprire questa nuova serie di riflessioni, la prima è questa:


Leggevo della morte per incidente stradale di un giovane attore barese, Damiano Russo: aveva 28 anni, nel pieno della vita e della carriera, vita e carriera divertenti.
Certe volte nei cimiteri, spesso popolati da ex viventi dell’Occidente post-cristiano, vedi tombe di bambini, giovani, gente che era nel pieno della vita, o all’inzio. E sulla lapide leggi un “riposi”, “riposi in pace”. Ecco, a me ogni volta dà sui nervi ‘sta cosa. Ma che ci hanno da “riposarsi” se non erano affatto stanchi, se il gioco per loro doveva ancora iniziare e stavano riscaldandosi in panchina? Neppure a dire che ancora avevano sperimentanto i dolori della vita. Io non capisco. Lo capire se si intendesse (e si capisse ancora cosa significa) il “riposo” nella pace di Cristo, liberati dal peso del peccato originale con tutte le incognite che esso nella vita terrena ha gettato, non ultima la morte.


[SM=g1740771] proviamo a rispondere:

Non hai tutti i torti Antò, ma il senso della frase è nell’ultima supposizione hai fatto: riposare in Cristo, che l’Anima cioè, non sia dannata, ma godi della promessa del Redentore….
Quando leggo notizie drammatiche la prima cosa che penso è: Signore, ti prego, fa che si sia convertito a TE prima di spirare…. poi ci unisco: riposi nella TUA Pace, per quel Sangue versato…
Mi torna alla mente la eccellente pratica caduta in disuso di pregare per i MORIBONDI, di pregare per coloro che si sono messi in viaggio, di RACCOMANDARE AI FIGLI quando escono di casa: l’hai fatta la preghiera al TUO Angelo Custode? :-( quanti non ci credono più!
Confesso che appena metto piede sull’ascensore nel mentre devo uscire anche per fare la spesa, faccio il segno della Croce e raccomando la mia anima a Dio… poi invoco l’Angelo Custode… e SUPPLICO i figli a non dimenticare MAI di invocarlo ogni giorno…

Ma oggi, caro Antonio, c’è la politica corretta…. l’anima deceduta per la quale si fanno i sermoni, non deve essere avvolta dal dubbio della sua sorte, non importa più come ha campato e per cosa è morto, l’importante è RASSICURARE I PRESENTI: egli riposa in pace….
spesso penso: riposa in Cristo, vera Pace che richiede un martirio dell’anima, o riposa NEL PACIFISMO per il quale quell’anima ha combattuto?
La risposta non la dobbiamo dare noi è ovvio, la domanda ci serve non per giudicare il defunto, ma per sollecitare NOI verso una “morte SANTA” come si pregava una volta: Signore, dammi una morte SANTA E GLORIOSA!
qui l’anima riposerebbe allora davvero nella Pace…
Siamo quasi al 2 Novembre, ottima occasione per SOLLECITARE TUTTI a riscoprire le Messe di Suffragio… fatele fare! facciamole dire quante più possiamo affinchè quando giungerà il nostro momento, potremmo essere davvero accolti da quella PACE nella quale riposare…
;-)


*********************************

La seconda riflessione è questa:

Tranquilli, non sono bambini: sono feti!

ABORTI


Ce lo garantiscono persino Pannella, la Bonino, Vendola. Una grande conquista del femminismo: trasformare i bambini in “feti”. Una volta, invece, le donne, che erano sottomesse e ignoranti, addirittura trasformavano  i “feti” in bambini. E per giunta, neppure divorziavano… un vero attentato vivente ai “diritti umani”. Se c’è una cosa che va ricordata di quest’epoca derelitta in cui abbiamo avuto la sventura di vivere, è la semantofobia: l’arte di sostituire le parole che evocano “fantasmi”, e cioè la verità nuda e cruda, spietata com’è sempre, con parole che ci girano intorno, che edulcorano, che glissano, che un po’ ci assolvono: scarichiamo sulle parole il valore che dovrebbero avere i fatti, e la realtà. Non abbiamo il coraggio di chiamare “bambini” dei bambini e li chiamiamo “feti”; non abbiamo il coraggio di chiamare un omicidio per quel che è, un assassinio legalizzato di figli per mano delle loro stesse madri, e lo chiamiamo aborto. Non abbiamo neppure più il coraggio di chiamare uno spazzino “spazzino” e lo chiamiamo “operatore ecologico”.  Tutto questo perchè non abbiamo il coraggio di dare il nome che spetta al nostro sentimento più rimosso: la vergogna! E la chiamiamo “nuovi diritti umani”.


ATTO DI RIPARAZIONE CONTRO L'ABORTO

[SM=g1740720] Caro Antonio…. una Nazione che uccide per legge il proprio presente, non può pensare di avere un futuro… non è uno slogan, ma un dato di fatto ed una crudele realtà che TUTTI noi, vivi, paghiamo e pagheremo, sconteremo, perchè nessuno può pensare davvero di farla franca o di agire come Pilato: lavandosene le mani….

Sia in Paradiso quanto all’Inferno, non ci si va mai da soli….
Analizzando una delle Orazioni più belle di santa Caterina, la XI, possiamo vedere la sua attualità a riguardo della difesa della vita umana, tema così scottante in questo tempo in cui l’aborto è considerato un diritto e che per legge se ne tutela l’omicidio, scrive santa Caterina:
Se io considero il grande tuo consiglio, Trinità eterna, vedo, che nella tua luce vedesti la dignità e la nobiltà dell’umana generazione. Per cui, come l’amore ti costrinse a trarre l’uomo da te, così quel medesimo amore ti costrinse a ricomprarlo, essendo egli perduto. Ben dimostrasti che tu amasti l’uomo prima che egli fosse, quando tu lo volesti trarre da te, solo per amore; ma maggiore amore gli mostrasti, dando te medesimo, rinchiudendoti oggi nel vile saccuccio della sua umanità. E che più gli potevi dare, che dare te medesimo?

Per la nostra santa Patrona, nel momento in cui Maria diveniva Madre del Verbo, da questo momento in poi diventava Essa stessa “paciera”, ossia, riconciliatrice dell’umanità con Dio Padre, Avvocata, come dicevano i Padri della Chiesa, per cui ogni vita concepita e per tanto già riscattata dal Sangue del Figlio sulla Croce, è da ritenersi “un figlio che Maria vuole portare a Gesù”, ogni concepito è già un riscattato e quindi da amare incondizionatamente, un “figliol prodigo” di cui Ella si fa Avvocata, riconciliatrice verso il Figlio e, come suggerisce la Costituzione dogmatica del Concilio Vaticano II, Lumen Gentium: una moltitudine di fratelli, cioè di fedeli, e alla cui nascita e formazione Maria coopera con amore di Madre…
Chi compie l’aborto o chi lo induce o chi lo sostiene, si rende colpevole di un gravissimo delitto la cui colpa ricade su tutta la società e sulla Nazione che lo permette…. l’aborto è una MALEDIZIONE[SM=g1740730]

 

PREGHIAMO

O Dio, nostro Padre, che nel tuo infinito amore per noi, vuoi che tutti gli uomini siano salvi, con la fede e l'amore della Chiesa che porta nel suo cuore di Madre il "Desiderio del battesimo" per tutti i bambini del mondo, desidero esprimere questa sua carità, battezzando nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo tutti i bambini che oggi saranno uccisi nel grembo delle loro madri con l'aborto.
                                       


Con questo atto di fede e di carità intendo con tutta la Chiesa:

1.- Offrire, per le mani immacolate di Maria SS.ma, con il sangu e di Gesùquello di tutti i bambini uccisi con l'aborto, implorando per il sacrificio delle loro vite, pietà e misericordia per l'umanità.

2.- Riparare il grave delito dell'aborto che, mentre sopprime la vita del concepito lo priva della grazia del Battesimo.

3.- Pregare per la conversione di tutti gli operatori e collaboratori dell'aborto, orribile delitto "che, sottoscrive la condanna dell'uomo della donna, del medico, dello Stato" (Giovanni Paolo II).

3.- Pregare per la conversione di quanti, con i potenti mezzi della comunicazioni sociale, sostengon, giustificano e difendono questo gravissimo peccato, disconoscendi il Magistero della Chiesa e di Cristo.

5.- E infine, per invocare misericordia su quanti ingannati e sedotti da questi mezzi potenti si allontanano dall'amore di Dio Padre

Recitare il Credo, il Padre nostro e una [SM=g1740750] . [SM=g1740752]


[Modificato da Caterina63 23/10/2011 16:36]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Dire o non dire il nome dei Defunti nella Preghiera Eucaristica?

Rispondendo alle tesi della riforma protestante che contestavano il carattere sacrificale della messa, la fede tridentina precisa che «essa viene legittimamente offerta, secondo la tradizione degli Apostoli, [...] anche per i Defunti in Cristo, non ancora pienamente purificati» (DS 1743).
 
Il riferimento alla tradizione trova una conferma significativa nel testamento di santa Monica, che – prima di morire – così parla ai suoi due figli: «Questo solo vi chiedo: che vi ricordiate di me all’altare di Dio, dovunque vi troverete» (Agostino, Confessioni 9,11).




Che cosa significa ricordarci dei nostri morti all’altare di Dio, se non ricordarne a Dio i nomi nel prolungamento dell’epiclesi sui comunicanti? Infatti, con l’intercessione per i Defunti l’assemblea celebrante altro non chiede per i suoi Defunti se non ciò che ha appena richiesto per se stessa, e cioè che anch’essi siano trasformati escatologicamente, ossia sem-pre più, «in un solo corpo».

Dobbiamo riconoscere che i Defunti, non essendo più in grado di rivolgere personalmente a Dio questa domanda che implica l’effettiva partecipazione al corpo sacramentale, si trovano in posizione debole. Per questo noi veniamo in soccorso alla loro debolezza e, sostituendoci amorevolmente alla loro bocca non più in grado di comunicare, domandiamo per essi, attraverso la nostra comunione di suffragio, quella trasformazione escatologica che ardentemente attendono
.


Un’antica e ininterrotta tradizione consente al celebrante di pronunciare il nome di quel Defunto o di quei Defunti che sono oggetto di una particolare commemorazione. La consuetudine di pronunciare sacralmente il loro nome è densa di significato teologico. Nella normativa liturgica essa non conosce esclusione di giorni, in quanto si adatta perfettamente anche alla domenica, giorno memoriale della risurrezione.

Coloro che propendono oggi per escludere del tutto la proclamazione del nome dei Defunti di domenica – e per ridurla al minimo nei giorni feriali – sostengono che l’antica prassi della Chiesa romana non ammetteva tale commemorazione nei giorni festivi. Si tratta di un’argomentazione speciosa, che non regge al vaglio dei documenti. Naturalmente, se è importante sensibilizzare i sacerdoti perché pongano ogni diligenza nel pronunciare sempre il nome del Defunto, occorre in pari tempo educare i fedeli a non assolutizzarne la proclamazione e a comprendere che, se anche per ragioni contingenti il nome è stato omesso, oppure anche se si è prodotto accidentalmente un errore nella sua proclamazione, ciò non riduce minimamente per il loro Defunto l’entità della trasformazione «in un solo corpo
».

[SM=g1740771]

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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[SM=g1740771] Una sintesi della teologia delle esequie cristiane

Riprendo da ZENIT questa riflessione di don Enrico Finotti, parroco di S. Maria del Carmine a Rovereto (Trento), che apparirà prossimamente sulla rivista di formazione liturgica “Liturgia 'culmen et fons'”. Si tratta di un utilissimo "ripasso" dogmatico in vista del 2 novembre. Per non scindere la sana dottrina cristiana dalla pastorale e dalla predicazione, finendo per svuotare queste ultime. La dottrina - certamente - non è tutto. Ma è senza dubbio la spina dorsale, lo scheletro che supporta i muscoli e gli altri organi. Togli l'impalcatura dottrinale e casca tutto lo sforzo pastorale, soprattutto nel caso della morte e del senso cristiano dei riti funebri.

LA TEOLOGIA DELLE ESEQUIE CRISTIANE

Uno degli errori oggi più diffusi è quello di sottovalutare le basi teologiche e impostare dei progetti pastorali senza il fondamento dottrinale, con esclusiva attenzione alle urgenze sociologiche. In tal modo tutto diventa fragile e, in poco tempo, anche un progetto alquanto elaborato viene travolto dal passare di quelle opinioni momentanee che l’hanno generato. Questa insipienza, tipica del relativismo, porta a non dedicare sufficiente tempo ed energie alla formazione teologica e, non considerandone adeguatamente la sua necessità essenziale, tutta la costruzione è posta in stato permanente di crollo. E’ ciò che avviene anche nel tessuto ecclesiale, quando miriadi di pubblicazioni e interminabili riunioni producono frutti effimeri e bruciano inutilmente le migliori intenzioni. Di qui lo stato diffuso di spossatezza e di inefficacia, che debilita i pastori e i fedeli.
Anche riguardo alle esequie ecclesiastiche, una pastorale intelligente, duratura ed efficace sul popolo di Dio, non può che basarsi su una solida teologia, che illumini e giustifichi il senso dei riti liturgici. Il Sommo Pontefice Benedetto XVI è maestro di questa rifondazione teologica a tutto l’agire della Chiesa e il suo magistero, se accolto con docilità, porterà la Chiesa a quella solidità di pensiero e di azione, che è intrinseca alla rivelazione divina e che non ammette il dubbio sistematico e la vaporosità di una ricerca mai conclusa e fine a se stessa. Per questa urgente opera di rifondazione teologica il Papa esordisce indicando come prima emergenza proprio la Liturgia, culmen et et fons’ della vita della Chiesa. Le sue omelie, in particolare, introducono i fedeli nella celebrazione dei santi Misteri in linea con la più classica tradizione mistagogica dei Padri, costituendo un esempio di alto profilo per tutti i sacerdoti.
Le esequie cristiane si rapportano alle due dimensioni costitutive dell’uomo: l’anima e il corpo. La Chiesa eleva il pio suffragio per l’anima immortale del defunto, nella speranza della sua eterna salvezza, e ne onora con una degna sepoltura il corpo esanime, nell’attesa della sua risurrezione.
I riti esequiali descrivono e trasmettono fondamentali articoli di fede, che costituiscono la ‘forma’ interiore e il senso dei riti esteriori trasmessi dalla tradizione liturgica.
Possiamo allora individuare i principali dogmi che vi sono sottesi.

1. L’immortalità dell’anima

Nelle esequie cristiane spira una presenza soprannaturale, che ci fa percepire che l’anima del defunto non è estinta nel nulla, ma è viva, perché immortale. Sta ora sul versante ultraterreno, è uscita dal regime della fede ed è entrata nella dimensione dell’ eternità. Pur separata dal corpo, sussiste nell’esercizio, per quanto misterioso ma reale, delle sue facoltà spirituali. Tale certezza fa delle esequie una celebrazione di vita e di profonda serenità, pur nell’amarezza delle lacrime per il distacco e apre i credenti all’attesa di un rinnovato incontro con chi vive e ci aspetta lassù, come ben si esprime una monizione del rito delle esequie: “…di nuovo infatti, potremo godere della presenza del fratello nostro e della sua amicizia e, questa nostra assemblea, che ora con tristezza sciogliamo, lieti un giorno nel regno di Dio ricomporremo” (Rito delle Esequie, n. 73).

2. Il purgatorio

La Chiesa sa bene che ogni uomo è peccatore e, nonostante il lavacro battesimale, a causa della concupiscenza, la vita della Grazia è fragile e l’itinerario terreno faticoso e incerto. Al di là del perdono sacramentale, elargito ordinariamente mediante il sacramento della Penitenza, la Giustizia divina esige una adeguata riparazione, prima che l’anima possa accedere alla gloria: è il dogma del purgatorio. La Chiesa, dunque, non presume mai nei suoi figli quello stato perfetto di santità, che solo Dio può riconoscere e, umilmente, invoca misericordia, eleva il suffragio e si mantiene sotto il giogo della penitenza. Per questo lo stile della liturgia esequiale è penitenziale: nel colore (viola o nero), nell’addobbo (assenza di fiori), nel tenore delle orazioni e nei canti. La Chiesa non ‘canonizza’ il defunto, ma lo affida a Dio con il cuore contrito ed umiliato e aspetta solo da Lui la lode. In qualche modo, nelle esequie, la Chiesa, secondo la parabola evangelica del banchetto nuziale (Lc 14, 7ss.), pone il defunto all’ultimo posto, steso a terra ai piedi della ‘santa mensa’, e attende che Dio stesso, e solo Lui, sorga e dica “Amico, passa più avanti” (Lc 14, 10).

3. La comunione dei Santi

La Chiesa sa di poter comunicare misteriosamente con i Defunti, di poterli affidare realmente alla misericordia di Dio, di avere con loro una misteriosa solidarietà soprannaturale e ricevere il beneficio di una invisibile e valida intercessione. Per questo educa i suoi figli, ancora peregrini qui in terra, a mantenere una continua comunione con coloro che ci hanno preceduti nel segno della fede e dormono il sonno della pace. Le persone amate e tutti quelli che ci hanno fatto del bene ci seguono, ci amano con carità soprannaturale e intercedono per noi secondo i disegni di Dio. Essi ci attendono là dove ogni lacrima sarà asciugata e si vedrà il volto di Dio. S. Cipriano afferma tutto ciò con squisita dolcezza: “Là ci attende un gran numero di nostri cari, ci desiderano i nostri genitori, i fratelli, i figli in festosa e gioconda compagnia, sicuri ormai della propria felicità, ma ancora trepidanti per la nostra salvezza” (Lit. Ore, Uff. lett. venerdì 34° sett. ord.).
Soffermiamoci a questo punto a considerare gli effetti che la secolarizzazione sta oggi producendo, entrando violentemente nella liturgia esequiale della Chiesa. Il cuneo che ne consente l’ingresso è costituito da un concetto di ‘pastorale’ intesa ormai solo come accondiscendenza sociologica all’ambiente, senza più riferimento al Mistero della fede.
La mentalità secolarizzata dominante cancella totalmente i dogmi della fede sopra esposti e svuota di conseguenza lo spirito e la lettera dei riti liturgici stabiliti dalla Chiesa, che vengono devitalizzati, alterati e, infine, omessi e reinventati.

Mentre le esequie ecclesiastiche sono celebrazioni vive nel presente e rivolte al futuro, aperte alla speranza teologale e alla luce mirabile di ciò che ancora non vediamo, le esequie secolarizzate sono irreversibilmente rivolte al passato, travolte dal flusso inesorabile del tempo e fragili come la memoria psicologica. Infatti, se il defunto è nel nulla e di lui non rimane niente come persona viva, se insomma l’immortalità dell’anima è negata, resta solo il triste ricordo, totalmente sul versante del passato e inesorabilmente sempre più flebile, fino alla sua graduale dissoluzione. Per questo la secolarizzazione accentra la celebrazione sulla commemorazione del defunto. Essa, infatti, è il perno rituale nelle esequie profane. Ma la commemorazione è sguardo al passato. La persona commemorata né vive, né più ritornerà. Di essa rimangono solo le sue idee, il suo esempio e le sue opere: tutte realtà compiute dalla persona estinta, ma prive del soggetto vivo che le ha prodotte e quindi affidate alla interpretazione positiva o negativa dei posteri, come anche alla loro totale obliterazione.
Se l’anima non vive più, diventa del tutto inutile la preghiera di suffragio per l’eventuale purificazione ultraterrena. Col dogma dell’immortalità dell’anima cade pure quello sul purgatorio e quello della comunione dei Santi. Così in linea con la secolarizzazione si farà ampio uso dell’elogio.
Non resta, infatti, che celebrare con enfasi quei ‘fasti’, che ora sono retaggio della memoria di chi ha conosciuto il defunto. La compiacenza verso i parenti o verso le istituzioni a cui apparteneva esige che un grande elogio funebre consoli chi resta e giustifichi l’ideologia o l’istituzione a cui il defunto aderiva. Ebbene la commemorazione e l’elogio stanno inquinando in modo esteso le esequie cristiane, sia in certe omelie, come soprattutto in interventi disseminati nel tessuto del rito esequiale e proposti in momenti rituali e luoghi sacri del tutto impropri. La ‘canonizzazione’ del defunto si manifesta anche nei riti: l’uso facile di paramenti bianchi e canti di superficiale sentimentalismo stanno corrompendo la liturgia esequiale cristiana, che da molte parti non esiste più nella sua vera identità. Gli applausi sono i prodotti secolaristici delle acclamazioni liturgiche e un buonismo livellante sta cancellando ogni annunzio rigoroso del dogma della fede.
Quella sobrietà e delicata circospezione che la Chiesa raccomanda, sia nel ricordare il defunto, come nel proporlo ad eventuale esempio ai fedeli, sta cedendo di fronte all’irruzione del costume dominante, che ormai costringe e assedia con modelli imposti violentemente dall’opinione.
Le esequie si rapportano anche al corpo del defunto, che sta per ricevere degna sepoltura. Ed anche verso di esso i riti della Chiesa rivelano e comunicano importanti dogmi di fede, che completano quelli già sopra descritti.

4. Il peccato originale

Il corpo quando è vitale sta in posizione eretta, ma, appena la vita lo abbandona, cade a terra e rimane disteso. Tutti gli uomini non possono che constatare questo fatto fisico. E’ quindi questa la posizione più naturale del corpo esanime nelle esequie. La Chiesa però non si ferma a questo dato e annunzia un mistero più profondo: l’uomo muore a causa del peccato originale, secondo le stesse parole del Signore Dio “…polvere tu sei e in polvere tornerai!” (Gen 3, 19). Deponendo il corpo dei suoi defunti, la Chiesa proclama la realtà del peccato originale, di cui la morte corporale è frutto e immagine. Essa non è secondo il piano di Dio, infatti: Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi, ma la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo (Sap 1, 13.2, 24). In tal senso il Miserere (Sl 50) è parte tradizionale delle esequie cristiane: ‘nel peccato mi ha concepito mia madre’. Il corpo disteso a terra, quasi a contatto con essa, proclama in modo visivo il nostro essere peccatori, pagandone il prezzo con la perdita dell’immortalità e portando nella nostra carne fino alle ultime conseguenze il castigo divino, pronunziato fin dalle origini: “…tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto…” (Gen 3, 19).

5. L’ultima penitenza

La morte corporale è l’ultimo atto della necessaria penitenza dovuta al peccato. Tutti, per quanto eminenti in santità, devono passare per questo estrema prostrazione penitenziale. Il Signore stesso, senza peccato, ha voluto subire nella sua morte e sepoltura, quella abissale umiliazione penitenziale che ci ha redenti. Ed ecco che il corpo senza vita del defunto, deposto davanti all’altare, in qualche modo celebra il suo ultimo atto penitenziale: il giacere esanime sulla terra. Lo aveva ben compreso S. Francesco di Assisi, che in prossimità della morte, volle farsi deporre dai suoi confratelli sulla nuda terra e così esalare l’ultimo respiro. Lo comprese il Papa Paolo VI, che volle il suo feretro a contatto con la terra e in tal modo ispirò la forma più eloquente del rito cristiano delle esequie. Ma il defunto non giace da solo, la tradizione pone sulla bara la Croce. Egli giace in misteriosa solidarietà col mistero della sepoltura del Signore e lo Spirito custodisce la sua carne in attesa del risveglio.

6. La risurrezione della carne

Il feretro è vigilato dal Cero pasquale, che dal suo candelabro illumina le tenebre della morte: è Cristo risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti (1 Cor 15, 20). Se la croce sulla bara annunzia la solidarietà con la morte del Signore, il Cero pasquale annunzia la futura risurrezione di questa medesima carne, che ora sta esanime e immota. Poi quel corpo sarà deposto nel cimitero, ossia nel dormitorio, termine cristiano per affermare il misterioso ma vero risveglio nell’ultimo giorno. Tutto quindi parla di vita, anche per la carne e non solo per l’anima; e questa è la novità più tipica dell’escatologia cristiana, che annunzia una salvezza integrale della totalità della persona, anima e corpo.
Ed ecco, che, appena la secolarizzazione invade il rito cristiano delle esequie, pure questi altri dogmi della nostra fede vengono letteralmente cancellati e alla loro rimozione segue, inevitabile, una liturgia di sostituzione, che interpreta la nuova visione. Se cade il dogma del peccato originale, cade quello della penitenza quale necessità per il peccato e, se già l’anima è estinta nel nulla, ancor più il corpo è ormai inteso come materiale inerte, senza la profondità propria del mistero di Dio, che lo risusciterà. Anche riguardo al corpo nelle esequie secolarizzate lo sguardo è irrimediabilmente rivolto al passato: non c’è l’orizzonte luminoso sul Dio dei viventi e l’attesa dell’opera meravigliosa, che Egli compirà nel giorno della risurrezione. I riti allora dovranno interpretare la visione dell’uomo terreno, ormai privo del trascendente. Il corpo subisce la fatua celebrazione di ciò che fu nel passato mediante il tumolo, monumento celebrativo che vuole interpretare la personalità dell’estinto.
Si metterà in luce il suo ruolo, la sua autorità, il suo genio, la sua opera, ma al contempo si creerà una graduazione di classi in base al censo, o al ruolo sociale. Comunque sarà oscurata sia la fondamentale realtà della morte che tutti accomuna, sia dell’umile penitenza che è intrinseca allo stato del corpo morto. Il tumolo potrà avere diverse tipologie, che da quelle storiche arrivano a quell’ingombro di oggetti, cari al defunto, che oggi coprono, talvolta banalmente la bara, ma rappresenta sempre il segno eloquente di quella commemorazione rivolta irrimediabilmente al passato e ormai priva di vita, che sarà tanto più accentuata quanto più si eclisserà il senso della trascendenza e il compimento ultimo nel futuro di Dio. Non si intende qui considerare le diverse forme storiche, assunte anche dalla liturgia della Chiesa, ma assicurare che in ogni forma antica o nuova non venga mai compromesso il carattere cristiano e i diversi aspetti del dogma della fede che vi sono connessi e che nelle modalità rituali devono essere ben visibili. E’ altresì evidente che nella celebrazione profana delle funerali il tumolo col cadavere elevato e onorato diventa l’icona centrale, il punto ottico di attrazione, ma nella celebrazione esequiale cristiana, invece, nessuno dovrà mai attentare alla centralità, al primato e alla sacralità dell’altare. Anche il corpo esanime del defunto è orientato all’altare, davanti ad esso sta prostrato e da esso, sul quale si compie il Sacrificio incruento della Croce, scaturisce la sorgente viva della salvezza eterna dell’anima e il soffio vitale che risusciterà la carne nell’ultimo giorno. A nessuno, dunque, è lecito attentare alla maestà dell’altare!
Un ultimo dogma della fede sta a fondamento del carattere proprio delle esequie cristiane:

7. Il giudizio particolare da parte dell’unico giudice costituito da Dio, il Signore Gesù Cristo.

Occorre non dimenticare ciò che afferma l’Apostolo: Io neppure giudico me stesso… Il mio giudice è il Signore (1 Cor 4, 4). La Chiesa, ispirando a sobrietà la commemorazione del defunto ed evitando un superficiale elogio, sa bene che solo Dio è il giudice e solo Cristo sa quello che c’ è nel cuore dell’uomo (Gv 2, 25). Quello che di una persona apparve in vita potrebbe essere una ingannevole maschera, infatti l’uomo guarda all’apparenza, ma Dio guarda al cuore (1 Sam 16, 7). S. Agostino afferma: “Quale uomo infatti è in grado di giudicare un altro uomo? Il mondo è pieno di giudizi avventati. Colui del quale dovremmo disperare, ecco che all’improvviso si converte e diviene ottimo. Colui dal quale ci saremmo aspettati molto, ad un tratto si allontana dal bene e diventa pessimo…. Che cosa sia oggi ciascun uomo, a stento lo sa lo stesso uomo. Tuttavia fino a un certo punto egli sa cosa è oggi, ma non già quello che sarà domani…” (dal ‘Discorso sui pastori’). Per questo la Chiesa si discosta dal giudizio e lo affida a Dio, restando in profonda adorazione del Suo giusto verdetto. Ciò non succede nelle esequie secolari, che impostano inevitabilmente la loro celebrazione sul mero tessuto dell’apparenza umana dell’estinto e si pronunziano solo sulla corteccia superficiale delle sue opere esteriori. Lo sguardo umano non può, infatti, andare oltre a ciò che appare e il mistero della persona rimane velato. Solo Dio penetra quel velo, scruta le facoltà interiori e pronunzia un giudizio vero, inappellabile e definitivo.
Anzi, mediante l’elogio, tale apparenza tende ad essere potenziata e, omessa ogni scoria e debolezza, viene idealizzata, perché non resta altro che ciò che appare. Non raramente poi la verità oggettiva in ordine al bene e al male viene oscurata da una commemorazione riduttiva, posta a servizio delle tante umane convenienze di coloro che rimangono. Certo non si intende delegittimare la giusta commemorazione e il dovuto elogio, se il defunto veramente lo merita. Infatti le esequie del Giusto dovrebbero essere il suo ultimo atto di evangelizzazione e la consegna alla Chiesa, che lo ha generato, della sua estrema testimonianza di fedeltà e di vita in Cristo. Tuttavia sono diversi i toni, sobri gli accenni, umili i ricordi, contenuti i tempi e mai dovrà essere incrinato o in qualche modo oscurato il primato di Cristo e del suo Mistero. Egli è il Protagonista e con Lui la Chiesa, non dissociabile da Lui Sposa. In realtà ogni intervento indebito sul rito liturgico delle esequie espone il defunto ad un protagonismo che non deve avere e strumentalizza la fede e la liturgia al servizio del piccolo orizzonte di ciò che noi percepiamo.

Se non si interviene con urgenza e determinazione nella liturgia esequiale, come in molti altri campi della vita della Chiesa attuale, si arriverà, in un futuro molto prossimo, ad essere posti al servizio delle opinioni e del costume dominante e si potrebbe seriamente rischiare che l’eresia sia attribuita all’ortodossia, resa minoritaria, e a coloro che con tutte le forze cercano di mantenersi fedeli al dogma della fede e alla disciplina della Chiesa.

Che una solida teologia sia a fondamento di una nobile liturgia e l’intelligente obbedienza alle prescrizioni della Chiesa offra al popolo di Dio una edificante e degna celebrazione delle esequie dei figli di Dio.



VI INVITIAMO ANCHE A STUDIARE LE INDULGENZE NELLA CHIESA



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Nessun cristiano è solo di fronte alla morte


Una riflessione su tutti i fedeli defunti


 

di don Antonio Grappone

ROMA, domenica, 30 ottobre 2011 (Zenit.org) - Le cronache di questi giorni propongono moltissime riflessioni sulla tragica fine del giovane campione di motociclismo Marco Simoncelli, ma soprattutto chi frequenta il web può costatare come la sua morte ha veramente commosso tanta gente, specie i giovani. Non tutti i commenti che abbiamo letto forse sono appropriati, ma anche le reazioni più ciniche non riescono a dissimulare lo smarrimento. Alcuni hanno osservato che l’ingranaggio spietato dei mediaogni giorno ci mette davanti agli occhi la morte di migliaia di persone, spesso in forme molto più terribili di quella toccata a Simoncelli, senza che questo susciti la benché minima reazione. Noi sacerdoti però non ci sorprendiamo più di tanto. A tutti ci è toccato celebrare i funerali di qualche giovane, con la chiesa oltremodo gremita di gente. La morte di un giovane è fuori degli schemi, impone a tutti di interrogarsi seriamente. 

Nel nostro tempo però la questione della morte fa parte di quegli argomenti che vengono abitualmente sottaciuti, nascosti, anzi direi che è il primo ad essere rimosso. Da un lato ne viene dissimulata la dimensione tragica, banalizzandone il significato, basti pensare al silenzio che grava sul tema dell’aborto o alla disinvoltura con cui si cerca di introdurre l’eutanasia, oppure ai goffi tentativi di esorcizzare la paura della morte, come “Halloween”. Ma d’altra parte ne viene nascosto anche il significato esistenziale, quasi fosse una questione che non ci riguarda. Culturalmente sembra che valga di fatto il vecchio sofisma di Epicuro: quando io ci sono la morte non c’è, quando c’è la morte io non ci sono, quindi il problema non esiste, inutile pensarci. Senonché, come tutti possono capire, il problema non è l’istante della morte, ma il morire che ogni giorno ci accompagna, quello nostro e quello dei nostri cari, ed è cosa che non si risolve girandosi dall’altra parte. Cancellare la morte dal panorama della nostra esistenza significa eliminare un elemento fondamentale e certo per comprendere chi siamo e orientare sensatamente le nostre scelte. Facendo una somma, se si salta un addendo il risultato sarà inevitabilmente sbagliato. Voler ignorare la morte comporta inesorabilmente sbagliare la vita.

Ora, la fine tragica di un giovane amato e famoso fa riapparire sulla scena, sia pure per un attimo, la realtà tragica della morte. L’emozione che suscita scuote il nostro essere alla radice e non andrebbe liquidata con superficialità. Ma come interrogarsi serenamente sulla morte? Serenità e morte suonano come un ossimoro, una contraddizione. La morte davvero in sé è una tragedia, la distruzione dell’uomo sulla terra, la conseguenza ultima, il “salario” del peccato, del male, ciò che Dio, come ci insegna il libro della Sapienza, non ha creato e non ha mai voluto. Come vincere la paura? La Chiesa viene in nostro soccorso. A lei il Signore ha affidato le chiavi che aprono le porte della vita. Attraverso la liturgia la Chiesa ci fa presenti le questioni fondamentali dell’esistenza alla luce di Cristo, di Colui che ha assunto la morte rovesciandone il significato. In particolare i primi giorni di novembre sono dedicati alla celebrazione della grande solennità di Tutti i Santi e, il giorno seguente, alla Commemorazione di tutti i fedeli defunti. È dunque illuminato il mistero della morte in ogni suo aspetto: viene mostrata la meta che siamo chiamati a raggiungere attraversando la morte, ovvero la piena santità e il cielo, e il giorno seguente viene affrontato il senso del difficile combattimento interiore di fronte alla prospettiva della morte.

La commemorazione del 2 novembre davvero ci aiuta. Pregare per i defunti ci permette di sentirne la vicinanza, al di là della privazione della presenza fisica. Ricevere l’Eucaristia consente un incontro vero e profondo con Cristo e quindi con i cari che ci hanno lasciato e vivono uniti a Lui, sia nella condizione della piena gioia del cielo, sia in quella della purificazione del purgatorio. Visitare il cimitero nella fede aiuta a relativizzare ciò che ci angoscia in questo mondo e ad alzare gli occhi al cielo, ritrovando il giusto distacco e la pace interiore. L’intercessione per i defunti ci rassicura e rafforza la speranza per la salvezza: sperimentiamo che nessun cristiano è solo davanti alla morte e neanche di fronte ai danni prodotti in lui dal peccato, ma scopriamo di poterci aiutare l’un l’altro ben al di là degli angusti limiti della vita terrena. Impariamo che il cielo è popolato di anime generose, che ci amano, ci sostengono e ci attendono in paradiso. 

Attenzione, però. Non si tratta di mera ritualità, come è condivisa in qualche modo da tutte le tradizioni religiose di fronte alla morte. La liturgia della Chiesa trae la sua forza dal Mistero Pasquale, dalla vittoria di Gesù Cristo sul peccato e sulla morte. Una vittoria che è piantata nella storia e ci è trasmessa nel Battesimo. Perciò la consolazione della fede non è un’illusione, né tantomeno una scommessa al buio. Essa trae la sua efficacia non dal rito in sé, ma dalla forza della vita cristiana risvegliata dal rito. Se siamo cristiani è perché abbiamo fatto personalmente l’esperienza della vittoria sulla morte, quindi nessuna morte, per quanto dolorosa, può gettarci nello sconforto. Ci sono infatti modi di morire ben più amari e temibili della morte fisica. Fallimenti, delusioni, paure e sofferenze che affliggono la vita degli uomini, gettano nella disperazione fino a indurre paradossalmente al suicidio, pur di sfuggirne. Soprattutto i nostri peccati ci soffocano, che lo riconosciamo o no. Ma il cristiano ha fatto l’esperienza che il Signore ci riscatta dalla morte interiore, ci libera da ogni morte, perdonandoci, rialzandoci dalla disperazione, ricostruendo personalità distrutte, famiglie in crisi, comunità allo sbando… Ogni vero cristiano ha già messo un piede in cielo, porta già in sé la caparra della vita eterna e può affrontare con serenità la questione della morte. Per questo, ben al di là della retorica di occasione di questi giorni, possiamo affidare, pieni di speranza, l’anima di Marco Simoncelli alla misericordia di Dio, pregando perché un giorno possiamo tutti pienamente partecipare, insieme al campione Simoncelli, alla vittoria più grande, la Pasqua di Cristo.

 

*************************


Commemoratio Omnium Fidelium Defunctorum





X - HOMO, MEMENTO MORI - X


La commemorazione dei fedeli defunti appare già nel secolo IX, in continuità con l’uso monastico del secolo VII di consacrare un giorno completo alla preghiera in suffragio per le anime purganti di defunti.

Amalario, nel secolo IX, poneva già la memoria di tutti i defunti il 2 novembre, successivamente a quelli dei Santi che erano già in cielo (1° novembre).
E’ solo con l’abate benedettino sant’Odilone di Cluny che questa data del 2 novembre fu dedicata ufficialmente alla commemorazione di tutti i fedeli defunti, per i quali già sant’Agostino lodava la consuetudine di pregare anche al di fuori dei loro anniversari, proprio perché non fossero trascurati quelli senza suffragio.
La Chiesa è stata sempre particolarmente fedele al suffragio e al ricordo dei defunti.
Nella professione di fede del cristiano noi affermiamo: “Credo nella santa Chiesa cattolica, nella comunione dei Santi…”. Per “comunione dei santi” la Chiesa intende l’insieme e la vita d’assieme di tutti i credenti in Cristo, sia quelli che operano ancora sulla terra sia quelli che vivono nell’altra vita in Paradiso ed in Purgatorio.

In questa vita d’assieme la Chiesa vede e vuole il fluire della grazia, lo scambio dell’aiuto reciproco, l’unità della fede, la realizzazione dell’amore. Dalla comunione dei santi nasce l’interscambio di aiuto reciproco tra i credenti in cammino sulla terra i i credenti viventi nell’aldilà, sia nel Purgatorio che nel Paradiso.
Il 2 Novembre è il giorno che la Chiesa dedica alla commemorazione dei defunti.

Ma anche nella messa quotidiana, sempre riserva un piccolo spazio, detto “memento, Domine…”, che vuol dire “ricordati, Signore…” e propone preghiere universali di suffragio alle anime di tutti i defunti in Purgatorio.
La Chiesa, infatti, con i suoi figli è sempre madre e vuole sentirli tutti presenti in un unico abbraccio. Pertanto, mediante e durante la celebrazione del Sacrificio Eucaristico della Santa Messa prega in suffragio dei morti, come per i vivi, perché anch’essi sono vivi nel Signore. Per questo possiamo dire che l’amore materno della Chiesa è più forte della morte.

Nessuno può entrare nella visione e nel godimento di Dio, se al momento della morte, in grazia di Dio, non ha raggiunto la perfezione nell’amore.
Per particolari pratiche, inoltre, come alcune preghiere, la pratica di alcune celebrazioni e le buone opere, la Chiesa offre lo splendido dono delle indulgenze, parziali o plenarie, che possono essere offerte in suffragio delle anime del Purgatorio.

Un'indulgenza parziale o plenaria offre alla persona interessata una parziale o plenaria riduzione delle pene, dovute ai suoi peccati, che sono già stati perdonati. Tale riduzione può essere fruita anche dai defunti, i quali possono essere liberati dalle loro pene parzialmente o totalmente. La commemorazione dei defunti ebbe origine in Francia all’inizio del decimo secolo.

Nel convento di Cluny viveva un santo monaco, l’abate Odilone, che era molto devoto delle anime del Purgatorio, al punto che tutte le sue preghiere, sofferenze, penitenze, mortificazioni e messe venivano applicate per la loro liberazione dal purgatorio. Si dice che uno dei suoi confratelli, di ritorno dalla Terra Santa, gli raccontò di essere stato scaraventato da una tempesta sulla costa della Sicilia; lì incontrò un eremita, il quale gli raccontò che spesso aveva udito le grida e le voci dolenti delle anime purganti provenienti da una grotta insieme a quelle dei demoni che gridavano contro lui, l’abate Odilone.

Costui, all’udire queste parole, ordinò a tutti i monaci del suo Ordine cluniacense di fissare il 2 Novembre come giorno solenne per la commemorazione dei defunti. Era l’anno 928 d. C. Da allora, quindi, ogni anno la “festa” dei morti viene celebrata in questo giorno.
Da allora quel giorno rappresenta per tutti una sosta nella vita per fare un esame di coscienza, e ricordare con una certa nostalgia il passato, vissuto con i nostri cari che il tempo e la morte han portato via, il bene che coloro che ci hanno preceduti sulla terra hanno lasciato all’umanità.
Il 2 Novembre, poi, con un tremendo monito, ci riporta alla realtà delle cose richiamando la nostra attenzione sulla caducità della vita e alla salvezza della nostra anima.

Questo pensiero richiama il fluire del tempo intorno a noi e in noi. [...]

E ricorda che la morte può arrivare senza alcun preannunzio, improvvisamente. Si dice che la morte sia spaventosa: ma non è tanto la morte in sé a terrorizzarci, quanto piuttosto l’atto del morire ed il giudizio susseguente di dannazione o di salvezza eterna.
E’, infatti, il terrore di un attimo e non dell’eternità a spaventarci. Dunque sorgono molte domande: come sarà quel momento? Quanto durerà? Chi mi assisterà? Sarò solo? Dove sarò? In casa, per strada, al lavoro, mentre prego o sono distratto in altre faccende? Quando mi sorprenderà? Il pensiero di trovarsi soli, faccia a faccia con la morte, vittima ed esecutore, può produrre disagio e paura mentre si è in vita. Eppure per i veri cristiani non dovrebbe essere così. [...]

Per questo, vista nella luce di Dio la morte diventa o dovrebbe diventare un dolce incontro, non un precipitare nel nulla, ma il contemporaneo chiudersi e aprirsi di una porta: la terra e il cielo si incontrano su quella porta. Del resto il pensiero della morte ritorna ogni volta che ci rivolgiamo alla Madonna con la preghiera del Rosario: “Santa Maria, madre di Dio prega per noi, adesso e nell’ora della nostra morte”. Si è detto che la morte sia la prova più dura della vita, ma non è vero.

E’ l’unica cosa che tutti sanno di dovere affrontare! Il giovane e il vecchio centenario, l’intelligente e l’idiota, il santo ed il peccatore, il papa e l’ateo. Come passiamo dall’infanzia alla giovinezza, dalla giovinezza alla maturità e poi alla vecchiaia, così si passa dalla vita alla morte. Vista nella luce di Dio la morte diventa un dolce incontro, non un tramonto, ma una bellissima alba annunciatrice della vita eterna con Dio insieme agli angeli e ai santi che ci hanno preceduto in terra.

tratto da un opera di Don Marcello Stanzione

 

[Modificato da Caterina63 02/11/2011 08:26]
Fraternamente CaterinaLD

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no halloween


[SM=g1740733] SI! Rammenta il nome che porti e cerca nell'enciclopedia dei Santi, leggi la sua storia e INNAMORATI!!!! invocalo come patrono, vivi nella sua comunione, chiedi il suo patrocinio....

Nel Credo diciamo: CREDO.... LA COMUNIONE DEI SANTI!!

[SM=g1740717] Il 7 Novembre mi sia concesso di ricordare tutti i Santi della nostra Famiglia Domenicana....

L’istituzione di questa festa, dedicata a tutti i Santi Gusmani, risale al 1674.

Essa fu richiesta dal Cardinale Domenicano Vincenzo Maria Orsini, futuro Papa Benedetto XIII, al Pontefice Clemente X, da cui aveva ricevuto la porpora, e che fu Protettore specialissimo dell’Ordine Domenicano. Questa solennità parve molto opportuna al Pontefice, perché, osservava “se volessimo dare ad ognuno dei suoi santi figli il giorno proprio, bisognerebbe formare per loro soli un nuovo calendario”.

Il Santo Patriarca Domenico, in una magnifica visione che svelò a lui le arcane bellezze del cielo, poté vedere i suoi figli e le sue figlie, Beati e Santi, sotto il manto di Maria, facendo sussultare di gioia il suo cuore di padre.

 

Santi e Beati Domenicani

 

 

Una sera il Beato Domenico, dopo aver vegliato in chiesa in preghiera fino a mezzanotte, ne uscì ed entrò in dormitorio dove, compiute quelle cose per le quali era venuto, si rimise in preghiera in fondo al dormitorio stesso. Mentre stava così in orazione, gli venne fatto di guardare dalla parte opposta e vi scorse venire avanti tre figure femminili.

Quella di centro sembrava una dama venerabile e delle tre la più bella e più degna; delle altre due, una portava un vaso molto splendente e bello, l'altra invece un aspersorio che porgeva alla Signora di mezzo, col quale questa aspergeva i Frati facendo su di essi il segno di croce.

Così, segnando ed aspergendo i Frati, fece il giro del dormitorio, omettendo però di aspergerne e di benedirne uno. Il Beato Domenico che seguiva la scena con grande attenzione, notò chi era quello. Poi alzandosi dalla preghiera, andò incontro a quella Signora fino alla lampada che pendeva in mezzo al dormitorio e, inginocchiandosi, quantunque l'avesse già riconosciuta, la supplicò di svelargli chi ella fosse.



In quel tempo a Roma, nel Convento dei Frati e delle Suore, quella bella e devota antifona, che comincia con Salve Regina, non veniva ancora cantata ma si usava soltanto recitarla in ginocchio, Orbene rispondendo al Beato Domenico, quella Signora disse: "Io sono colei che voi invocate ogni sera. E quando dite Eja ergo, advocata nostra, lo mi butto in ginocchio davanti a mio Figlio per la conservazione di codesto Ordine".

Allora il Beato Domenico domandò chi fossero quelle dame che erano con lei. Gli rispose la Beata Vergine: "Una è Cecilia, l'altra è Caterina". Il Beato Domenico chiese infine spiegazioni su quel Frate che Ella aveva tralasciato di benedire e di aspergere come gli altri. Rispose d'averlo fatto perché non era decentemente composto.
Ciò detto, dopo aver terminato il giro segnando ed aspergendo i Frati che ancor rimanevano, disparve.

Il Beato Domenico tornò quindi a pregare nel luogo di prima ed ecco che all'improvviso fu rapito in ispirito davanti a Dio e vide il Signore e la Beata Vergine, alla sua destra, rivestita — a quanto gli sembrava—di un mantello color zaffiro. Guardandosi attorno vide davanti a Dio rappresentanti di tutti gli Ordini Religiosi, ma del suo non scorse nessuno; per la qual cosa cominciò a piangere amaramente e, fermatosi lontano, non osava avvicinarsi al Signore e a sua Madre. Fu la Madonna a fargli cenno con la mano di accostarsi a lei- ma egli non osò muoversi fino a tanto che anche il Signore non lo ebbe chiamato. Allora si accostò tutto piangente e si inginocchiò davanti a loro.

Il Signore lo invitò ad alzarsi e, quando si fu alzato, gli chiese il perché di quel pianto sconsolato. "Piango così—rispose— perché vedo qui rappresentanti di tutti gli Ordini, ma del mio non vedo nessuno". Allora il Signore: "Vuoi vedere il tuo Ordine?". E quello tremante: "Sì, o mio Signore". Allora il Signore, ponendo una mano sulla spalla della Beata Vergine, si rivolse nuovamente al Beato Domenico "Il tuo Ordine io l'ho affidato a mia Madre". Poi soggiunse: "vuoi proprio vedere ?". Rispose il Beato Padre: "Certo, o Signore".

La Beata Vergine spalancò il mantello di cui sembrava rivestita e lo stese davanti al Beato Domenico, al quale sembrò tanto grande da ricoprirne tutta la patria celeste e sotto di esso vide una moltitudine immensa di suoi Frati e Suore, tutta la Famiglia era lì. Inginocchiandosi il Beato Domenico ringraziò allora Dio e la Beata Maria sua Madre. E la visione scomparve.

Tornato in sé, corse immediatamente a suonare la campana per il mattutino, al termine del quale, convocò i Frati nel Capitolo e fece loro una lunga e bellissima predica, esortandoli all'amore e alla devozione verso la Beata Vergine Maria. E fra le altre cose raccontò loro anche questa visione.

Dopo il Capitolo, chiamò quel Frate che la Madonna aveva tralasciato di benedire e si mise ad interrogarlo dolcemente per vedere di scoprire se per caso non gli avesse taciuto qualche peccato. Il Frate comprese e si pentì amaramente conducendo dopo una vita da santo.

Questa visione la narrò a Suor Cecilia e alle altre Suore di S. Sisto lo stesso Beato Domenico, però come se fosse capitata a un altro. Ma i Frati presenti, che l'avevano già sentita raccontare, facevano cenno alle Suore che si trattava di lui.



I suoi figli hanno magnificamente attuato il santo ideale da lui attinto al cuore stesso del Redentore, nelle lunghe notti insonni: ideale fatto di contemplazione, amante della prima Verità, per parteciparne poi in sovrabbondanza alle anime prive di luce e d’amore. Dottori, Apostoli. Martiri, Vergini meravigliose. Ed oltre a questi figli aureolati dalla Chiesa, tanti altri, impossibile da numerare, il cui nome nessuna cronaca ci ha tramandato, che però seppero gioiosamente camminare sulla via da lui tracciata e raggiungere la stessa gloria dei loro grandi confratelli e che insieme con loro indicano a noi, quaggiù, la via.

 

[SM=g1740738] 


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[SM=g1740733] I Santi? Una ricchezza per il cattolico


I Santi patroni ? Ci sono, certo, quelli delle Nazioni, dei Continenti interi, come magnificamente illustra la Mostra aperta a Roma, demonstratio esemplare che chi vuol disconoscere per l’Europa le “radici cristiane“ non pecca contro la religione, bensì contro la storia, la cultura, l’arte.

 Ma ci sono anche i santi protettori delle città, anzi di ogni comune: tutti gli anni, la “festa patronale“ è ancora, spesso, il maggior momento di aggregazione, di confluenza su valori condivisi , di superamento delle divisioni politiche. Ma anche delle fratture territoriali, da Nord a Sud: per stare a quattro soli esempi (tra gli oltre 8.100 possibili, ché tanti sono i comuni italiani), malgrado ogni secolarizzazione, non sono ancora divenuti giorni come gli altri quelli di sant’Ambrogio per i milanesi e di san Petronio per i bolognesi o quelli di santa Rosalia per i palermitani e di san Nicola per i baresi. Non avevano torto i cattolici del Risorgimento che ammonivano coloro che volevano “sbattezzare“ la nuova Italia: il cattolicesimo popolare, quello della “sagre“, era l’unico collante tra zone tanto diverse, talora agli antipodi.

Ma, accanto a quelli comunitari, ci sono anche i patroni individuali: e sono tanti quanto i battezzati. Pochi lo notano, ma tra le distorsioni della tradizione italiana operate dall’ “imperialismo culturale“ americano, c’è il successo della festa per il compleanno, sino a prevalere su quella per l’onomastico. Nella cultura cattolica , sino all’inizio del secolo scorso, erano sconosciuti i coretti melensi da happy birthday to you intonati dai colleghi di lavoro.

L’unico, vero dies natalis del cristiano era quello della “nascita alla vita eterna“. Dunque, il giorno della morte che, per i santi, era segnata sul calendario e, per i credenti usuali, era l’occasione annuale per messe, preghiere di suffragio, visite alla tombe. Prima delle moderne anagrafi, molti addirittura ignoravano il giorno preciso della loro venuta alla luce, ma nessuno se ne preoccupava. Ciò che contava era l’onomastico, cioè il giorno in cui ricorreva la memoria del santo il cui nome si era ricevuto al battesimo. Il parroco non accettava nomi che non venissero dalla tradizione cristiana e poiché non c’era nessuno di quei santi o beati che non avesse un posto nella liturgia, non c’era uomo o donna che fosse senza “festa“. Il protestantesimo soppresse, tra molte altre cose (“un cristianesimo amputato“, lo chiamava Newman il grande convertito dall’anglicanesimo) anche il culto dei santi e con essi sparì l’onomastico ma comparve, per compensazione, un inedito birthday che ha finito per imporsi anche da noi. Oggi molti, del resto, anche volendo non potrebbero festeggiare alcun patrono, avendo ricevuto un nome estraneo al calendario cristiano e derivato magari da soap opera americani.

In una prospettiva di fede, l’eclisse del patrono personale non è cosa irrilevante . Nella chistianitas nessuno era mai solo: sotto la luce della Trinità, accanto a ciascuno, per miserabile e abbandonato che fosse, vegliavano, oltre la Vergine Maria, l’angelo custode e, appunto, il santo di cui si portava il nome. A lui ci si rivolgeva perché intercedesse presso il Cristo e a lui si guardava come esempio di vita. I parenti potevano morire, gli amici tradire, la fortuna abbandonare: ma un santo, assieme all’angelo, erano pur sempre vicini e attenti.

Ciò non toglie che, accanto a quello –anzi, a quelli– imposti dal nome scelto dai genitori, la libertà cattolica permetta di affiancare altri patroni. Per intenderci, e se è lecito un riferimento personale: battezzato come Vittorio Giorgio scoprii che, vista la grande diffusione in epoca romana, i Vittore, Vittorino, Vittorio sono, al martirologio, almeno una trentina. Tutti morti per la fede, ma di cui tutto si ignora. Quale scegliere tra loro? Quanto a Giorgio, è noto il declassamento subìto, per opera della riforma liturgica, di questa figura di guerriero, dichiarata “leggendaria“ dai nuovi chierici. Da qui, per me, l’uso di venerare i patroni battesimali, ma di unire ad essi anche altri. I favoriti sono, in particolare, il beato Francesco Faà di Bruno, contemporaneo di don Bosco, il cui campanile – da lui stesso progettato e secondo per altezza solo alla Mole Antonelliana – domina il quartiere di Torino in cui sono cresciuto. Accanto a questo scienziato, uno tra i più eclettici e geniali dell’Ottocento (gli americani chiamano the Bruno’s formula un suo algoritmo che, un secolo dopo, si rivelò essenziale per il software elettronico), ecco Bernadette Soubirous, l’analfabeta miserabile che Maria scelse per affidarle il messaggio di Lourdes. Il dies natalis di questa santa corrisponde a quello del mio compleanno: una coincidenza che ha contribuito ad alimentare verso di lei fiducia e amore. Joseph Raztinger è nato in quello stesso giorno e non a caso ha confermato più volte di avere anch’egli quella piccola tra i patroni più influenti in Cielo e, grazie a lei, di avere Lourdes tra i luoghi più cari.

I tanti santi Vittorio e il Giorgio declassato, seppur ancora patrono di Genova e della Gran Bretagna, non me ne vorranno: la ricchezza cristiana concede simili libertà.

Vittorio Messori


Poeti e Santi

I Santi sono poeti.
Non un poeta, se non erro, fu santo.
Il minimo dei santi è più grande del massimo dei poeti.
Il massimo dei poeti è, tutt'al più, una crisalide di santo.//
.......
I poeti intravedono.
I santi vedono.
I poeti intravedono perchè, non avendo rinnegato il mondo, son tenuti prigionieri sotto una volta di nebbia che talora si fa diafana ma che mai scompare.
I santi vedono perchè, avendo vinto il mondo, hanno oltrepassato le nebbie al di là delle quali la Divinità, in proporzione dell' amore che la investe ,si svela.
I poeti, dunque, intravedono Dio.
I santi vedono Dio.
Quindi alla poesia non scritta, o anche scritta,dei santi deriva una maggior luce, perchè la Luce Suprema s'è fatta loro visibile.
Dante, non santo,ma, tra i poeti, (per la sua immensa fame del divino) il più prossimo ai Santi, raccontando d'esser giunto a contemplare il Mistero dell' Incarnazione, e sforzandosi di comprenderlo, sospira:
"Ma non erano da ciò le proprie penne" e narra come lo soccorresse la Grazia.
Senonchè, ciò che per la Grazia vide, non dice.
Con ciò vuol far capire che tra la parola umana e Dio corre un abisso incolmabile.
Dio, con l'aiuto della Grazia,come in un rapido fulgore, può esser visto; ma giammai, da nessuno, può esser detto cos'è.
I grandi mistici cattolici, lottando corpo a corpo con la parola, la spremono, la torcono, la violentano,la torturano e non riecono ad esprimere l'inesprimibile.
Vorrebbero darle ali e strapiomba; vorrebbero darle luce e la risputa.
Il recipiente creato non può contenere l'increato, dice Ruysbrock.
Ma in questo sforzo indicibile, prodotto dal sitibondo desiderio, nei mistici, di far conoscere il loro travolgente amore, balenano immagini che splendono come soli, nascon pensieri che svelano, illuminando, incommensurabili abissi.
Ecco la poesia dei santi.
Dante, unico, vi s'approssima;tutti gli altri, come rondini di nido caduti a terra,svolazzano e camminano,disperatamente, senza staccarsi dal suolo.

Domenico Giuliotti , "L'ora di Barabba".




San Martino de Porres

[SM=g1740771]

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[SM=g1740733] "La morte è stata ingoiata per la vittoria.Dov’è, o morte, la tua vittoria?Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?"(1Cor 15,55).
Il cristianesimo non si fa strada nelle coscienze con la paura della morte, ma con la morte di Cristo. Gesù è venuto a liberare gli uomini dalla paura della morte (cfr. Eb 12,14), non ad accrescerla....

Requiem



[SM=g1740717] [SM=g1740720]




L'ATTO EROICO DI CARITA' IN SUFFRAGIO DELLE ANIME PURGANTI


ossia, offerta di tutte le opere satisfattorie e di tutti i suffragi a favore delle Anime Purganti.

Questo Atto eroico di carità a vantaggio delle Anime del Purgatorio consiste in una spontanea offerta, che fa il fedele a Sua Di­vina Maestà, di tutte le sue opere soddisfat­torie in vita, e di tutti i suffragi che può egli avere dopo morte, a vantaggio delle sante Ani­me del Purgatorio.

Fu questo Atto approvato dal sommo Pon­tefice Gregorio XV, quando, con sua Bolla Pa­storis Aeterni, approvò l'istituto del Consorzio dei Fratelli, fondato dal Ven. P. Domenico di Gesù Maria, Carmelitano Scalzo, in cui, tra gli altri pii esercizii a pro dei defunti, vi è quello di offrire e consacrare a loro suffragio la parte satisfattoria delle proprie opere. In séguito, questa pia pratica venne diffusa con ammira­bile successo dal Padre D. Giuseppe Gaspare Oliden Teatino, il quale suggerì inoltre di ri­mettere nelle mani della Santissima Vergine queste opere e suffragi, aflînchè ne sia la di­stributrice a favore di quelle sante Anime che Ella vuole più presto liberare dalle pene del Purgatorio. Con tale offerta per altro non si cede che il frutto speciale e personale di cia­scuno, talchè ai Sacerdoti non viene impedito di applicare la Santa Messa secondo la inten­zione di quelli che loro diedero l'elemosina; né ai fedeli vien tolta la libertà di potere offrire, quando vogliono, le loro opere buone al Si­gnore per qualche fine speciale; ad esempio, per impetrare grazie o rendere grazie per fa­vori ottenuti.

Questo Atto eroico di carità fu arricchito di molti favori, con Decreto del 23 agosto 1728, dal Sommo Pontefice Benedetto XIII, confer­mati poi da Papa Pio VII il 12 dicembre 1788; i quali favori furono quindi dal Sommo Pon­tefice Pio IX, con Decreto della Sacra Con­gregazione delle Indulgenze del 10 settembre 1852, specificati nel modo seguente:

I. I Sacerdoti che avranno fatto la detta offerta potranno godere, in tutti i giorni, l'in­dulto dell'Altare privilegiato personale.

II. Tutti i fedeli che avranno fatto la stessa offerta possono lucrare:

Indulgenza Plenaria applicabile solamente ai Defunti ìn qualunque giorno facciano la Santa Comunione, purchè visitino una Chiesa o pubblico Oratorio, ed ivi preghino per qual­che spazio di tempo secondo la intenzione del Sommo Pontefice.

III. Similmente potranno lucrare Indulgenza Plenaria tutti i lunedì dell'anno ascoltando la Santa Messa in suffragio delle Anime del Purgatorio, ed adempiendo le altre condizioni summenzionate.

IV. Tutte le Indulgenze che sono concesse o che si concederanno in appresso, le quali si lucrano dai fedeli che hanno fatto questa offerta, possono applicarsi alle Anime del Pur­gatorio.

Finalmente lo stesso Sommo Pontefice Pio IX, avendo in vista quei giovanetti che ancora
non si comunicano, e così pure gl'infermí, i cronici, i vecchi, i contadini, i carcerati ed altre persone che non possono comunicarsi, o non possono ascoltare la Santa Messa nel lu­nedì, concesse che sia valevole quella che ascol­teranno nella Domenica: e per quei fedeli che ancora non si comunicano, o sono impediti di potersi comunicare, ha rimesso all'arbitrio dei rispettivi Ordinarii di autorizzare i confessori per la commutazione delle opere.

Si avverte infine che, sebbene questo Atto eroico di carità venga indicato, in alcuni fo­glietti stampati, col nome di Voto eroico di ca­rità, e venga nei medesimi espressa anche una formula di tale offerta, pure non si intende questo voto fatto in modo che obblighi sotto peccato; come pure non è necessario di pro­nunziare l'indicata formula o un'altra qual­siasi, bastando l'obbligazione fatta col cuore per essere partecipi delle indicate Indulgenze e privilegi.

OFFERTA DI TUTTE LE BUONE OPERE in vantaggio delle Anime Purganti.


Per vostra maggior gloria, o mio Dio, Uno nell'essenza e Trino nelle Persone, e per imitare più dappresso il dolcissimo no­stro Redentore Gesù Cristo, come pure per mostrare la mia sincera servitù verso la Madre di misericordia Maria santissima, che è Madre anche delle povere Anime del Purgatorio, io propongo di cooperare alla ­redenzione e libertà di quelle Anime pri­gioniere, debitrici ancora verso la divina giustizia delle pene dovute ai loro peccati: e, nel modo che posso lecitamente (senza obbligarmi però sotto peccato alcuno), vi prometto di buon cuore e vi offro il mio spontaneo voto di volere liberare dal Pur­gatorio tutte le Anime che Maria santissima vuol liberare; e però nelle mani di questa Madre piissima pongo tutte le mie opere soddisfattorie, e quelle da altri a me appli­cate, si in vita come in morte, e dopo il mio passaggio all'eternità.
Vi prego, o mio Dio, a voler accettare e confermare questa mia offerta, siccome io ve la rinnovo e confermo ad onor vostro, e per la salute dell'anima mia.
Che se per avventura le mie opere sod­disfattorie non bastassero a pagare tutti i debiti di quelle Anime, cui la Vergine san­tissima vuol liberare, ed i miei proprii de­biti per le mie colpe, che odio e detesto di vero cuore, mi offro, o Signore, a pagarvi, se a Voi così piacerà, nelle pene del Pur­gatorio quello che manca, abbandonandomi del resto fra le braccia della vostra mise­ricordia, e tra quelle della dolcissima mia Madre Maria. Di questa mia offerta e pro­testa voglio testimonii tutti i Beati del Cielo, e la Chiesa tutta militante e la penante nel Purgatorio. Così sia.


ALTRA FORMULA PIÙ BREVE PER L'ATTO EROICO.

Io N. N., in unione ai meriti di Gesù e di Maria, depongo nelle mani di Maria santissima e vi offro, mio Dio, per le Ani­me del Purgatorio, la parte satisfattoria di tutte le buone opere che farò nel corso di mia vita, e che altri potrà applicare per me in vita e dopo morte. E ciò per vostra maggior gloria, per imitare l'esempio vo­stro, o Gesù mio, che tutto Voi deste per le anime; e per accrescere in Cielo il nu­mero dei vostri adoratori eterni e dei glo­rificatori della Madre vostra, che interce­dano per me.

VANTAGGI E PREGI DELL'ATTO EROICO.

Ah! come è vero, che la carità è la chiave, che apre a noi e agli altri la porta del Cielo! Questo voto è destinato, come dice il santo Padre Pio IX nel suo bellissimo Breve dato il 20 novembre 1854, a portare alle Anime purganti il maggior conforto, che mai si possa dar loro dagli uomini. Perchè mentre le altre devozioni, preghiere, sante Messe, elemosine, Indulgenze, ecc., sono per esse come goccie o ruscelletti di acqua fresca, che cadono di tempo in tempo sulle fiamme del Purgatorio, l'Atto eroico le riunisce tutte, scorrendo continua­mente, a guisa di un fonte perenne o di un gran fiume, nel Purgatorio, vita nostra du­rante ed anche dopo. L'Atto eroico non toglie che dobbiamo continuare a far per le Anime purganti tutti i suffragi, che possiamo; ma raddoppia il merito di essi, e raccoglie, come fa una diligente spigolatrice, anche tutte le spighe dei meriti, a cui spesso non si bada. Oh ! i bei manipoli, che si possono mandare in un giorno al Purgatorio, o, per meglio dire, al Paradiso, da chi, avendolo emesso, vive san­tamente occupato in tali suffragi!

Ma non basta; piove altresì sopra quelle Anime, assetate dal fuoco che le strugge, un'altra rugiada continua, e questa è il merito soddi­sfattorio di tutto il bene che voi farete, anche senza pensare in quel momento, ne rinnovar sempre l'intenzione, che ciò sia per le Anime purganti. Il vostro sudore nel lavorare nella vigna del Signore, nell'assistere malati, aiutare miserabili, ecc., ristora le povere Anime; le vostre elemosine ai poveri diminuiscono l'estre­ma loro penuria; i vostri dolori raddolciscono le loro pene; se voi soffrite con pazienza gli affronti, esse si sentono consolate; e le vostre penitenze le avvicinano alle gioie ed ai gaudii del Paradiso. Quanto prezioso è dunque questo voto, ossia Atto eroico! Già l'ho detto, chi ha fatto questo voto acquista: I.° ad ogni Comunione, II.° ogni lunedì, nell'a­scoltare la Santa Messa, una Indulgenza Ple­naria per i Defunti. In tal modo, senza addos­sarci molti obblighi particolari, possiamo donare ad essi cento volte più di prima che avessimo fatto un tale atto. Procuriamo dunque di star­cene in grazia di Dio, e di far costantemente delle buone opere.

Inoltre le nostre preghiere per tale via pas­sano per le mani di Maria santissima. E per le mani benedette di Maria Vergine i suffragi vanno molto più sicuri, e allo stesso tempo aumentano di valore; perchè la Madonna san­tissima unisce i suoi sommi meriti ai nostri sforzi meschini. Di più, noi siamo soggetti a dimenticarci di certe Anime e di altre non sappiamo i bisogni. Dopo questa offerta però, colla quale facciamo la Madonna, nostra am­ministratrice, Essa farà tutte le cose per noi nel miglior modo possibile; non si dimenti­cherà di nessuno, adempiendo Essa tutti i no­stri doveri verso le Anime sante del Purgatorio.

Per tale maniera l'Atto eroico rende le In­dulgenze tutte applicabili ai Defunti, e ci leva il peso di dover sempre rinnovare l'intenzione d'acquistare Indulgenze per le Anime purganti. Chi vive cristianamente può guadagnare senza paragone maggiori Indulgenze di quelle onde abbisogni per se. Ora questo voto fa si che nessuna Indulgenza vada perduta, perchè tutte vengono applicate, e fruttano alle povere Ani­me del Purgatorio. Quanti vantaggi!

Anche a noi stessi quest'Atto procura stra­ordinarii vantaggi. Difatti: Io ogni volta che facciamo un'opera buona, rinunziamo, è vero, al merito soddisfattorio, ma nelle stesso tempo aggiungiamo all'opera un nuovo grado di vir­tù, coll'Atto di carità che si fa alle Anime pur­ganti; e così noi stessi guadagnamo un merito reale che non può esserci tolto.

Siccome poi il cedere la soddisfazione per le pene del Purgatorio è un bene temporale, ed il merito che perciò si acquista verso Iddio, rende degni d'un nuovo grado di ricompensa eterna, così con tale cessione d'un minor bene acquistiamo un bene maggiore, cioè, per un bene limitato un bene infinito. Che cambio vantaggioso!

In secondo luogo l'Atto eroico, nella sua es­senza, è una nuova forma del consiglio evan­gelico della povertà volontaria, ma in grado più sublime. Gesù aveva detto: “Se vuoi es­sere perfetto va, vendi tutto quello, che hai, dàllo ai poveri e poi vieni a seguirmi”. Ora così fanno tutti quelli che emettono questo Atto eroico, in attesa di questi beni spirituali, che dalle anime pie sono stimati mille volte più pregevoli dei beni temporali.
Terzo vantaggio: la carità è il vincolo della perfezione: ora l'anima di questo Atto è ap­punto la carità. Dunque questa espropriazione ci farà necessariamente progredire nella perfe­zione cristiana.

 La frequente memoria delle Anime del Purgatorio ci darà il santo timore del peccato, ci distaccherà dal mondo, ci spro­nerà alle buone opere, e ci accenderà nel cuore l'amore di Dio, e il dolore di averlo offeso. Ci guarderemo maggiormente dai peccati veniali, pensando che quelle Anime soffrono tanto an­che per piccoli peccati ed imperfezioni. Ri­nunzieremo ancora più facilmente a tutti gli attacchi disordinati dei beni di questa terra, al desiderio di piacere alle genti, di essere amati, se mireremo spesso coll'occhio dell'ani­ma laggiù nelle caverne sotterranee il fuoco del Purgatorio; ed in esso tanti ricchi e dotti del mondo nella più squallida miseria; tanti eleganti, abbandonati in preda ai loro dolori; e pensando che ben presto saremo noi stessi fra quegli strazii e tormenti, cercheremo di ren­derli minori e più brevi, coll'esercizio della arità verso i Defunti, e delle altre cristiane virtù.

Per le Anime del Purgatorio è passato il tempo dei meriti!... pagano a contanti, e senza meritare nulla colla loro pazienza e col loro amore di Dio, che è pure ardentissimo. Que­sta considerazione ci animi a profittare del tempo incerto di questa vita, per fare buone opere, per liberare quelle Anime dai tormenti, e per radunare a noi stessi dei meriti, prima che ci colga la notte, secondo le parole di Gesù Cristo: “Camminate, finchè avete la luce, prima che vi colgano le tenebre, in cui non potrete più operare!”
Riflettete, inoltre, che se un tale spropria­mento fa progredire nella perfezione, ci ap­porta però insieme grazie speciali, perchè noi con questo Atto rendiamo a Dio uno speciale onore, soddisfacendo alla sua giustizia per le Anime Purganti, che così volano più presto ad aumentare il numero dei beati cittadini del Cielo. Di più mostriamo l'illimitata nostra fidu­cia in Dio, imperocchè ci gettiamo ciecamente nelle braccia della sua misericordia; atto, che il Cuor di Gesù non ti lascierà mai senza gran premio.

Anche a Maria santissima si rende con ciò un omaggio, come a Regina e Madre delle Ani­me del Purgatorio, ed Essa ben se ne ricor­derà quando saremo entrati in quel luogo di pene a scontare le nostre colpe.
Quale poi sia la ricompensa delle Anime del Purgatorio, ce lo dice santa Brigida la quale udì un giorno la voce di molte Anime Pur­ganti che gridavano: “O Dio! ricompensa co­loro che ci porgono aiuto nelle nostre pene”. - E alla fine udì una voce più forte che gri­dava: “O Signore Iddio, concedi il centuplo colla tua incomparabile onnipotenza a tutti quelli che colle loro buone opere sollecitano il momento in cui potremo vedere la tua fac­cia”. Difatti molti Santi e pie persone assi­curano d'aver ottenuto molte grazie mediante l'intercessione delle Anime penanti; perchè, sebbene non possano ottener nulla per loro, però alcuni santi Padri (e lo stesso dice santa Brigida), opinano che per gli altri possano pre­gare, perchè sono anime in grazia e amiche di Dio.

Ah sì! sono esse quelle amiche fedeli delle quali dice lo Spirito Santo: “Nessuna cosa è da paragonarsi all'amico fedele, e non è degna una massa d'oro e d'argento di essere messa in bilancia colla bontà della fede di lui. L'a­mico fedele è balsamo di vita e d'immortalità, e quelli che temono il Signore lo troveranno”.
Dunque stiamo di buon animo, nè temiamo punto, che per questo Voto, ossia Atto, ci convenga poi di stare più lungo tempo nel Purgatorio. Che se anche fosse così, il Padre Montfort, gran promotore di questa devozione, ci dice: «Mille Purgatorii sono una cosa da non valutarsi, in paragone di un solo grado di maggior gloria, che si ottenga con questo Atto». Il fuoco del Purgatorio finisce presto, ma il grado maggiore di gloria acquistato non finirà in eterno.


[SM=g1740750]


[Modificato da Caterina63 02/11/2011 00:08]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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[SM=g1740733] Cari Amici, quando diciamo che Gesù ha sconfitto la morte, non intendiamo una favola per esorcizzarla, al contrario, intendiamo credere e testimoniare una verità confortante che ci aiuta ad affrontare, invece, questo passaggio nella Vita Eterna la quale è anche un tema della Professione della nostra Fede.
Il santo Padre Benedetto XVI ha fatto una Catechesi stupenda sulla Commemorazione dei Defunti, ascoltiamolo e diventiamone testimoni credibili!
www.gloria.tv/?media=211479

Il canto nel video è il Dies Irae, la Sequenza che si fa normalmente, per la Messa dei Defunti, con la Messa nella forma Straordinaria che il Papa ci ha ridonato.... e che chiunque può imparare e, perchè no, utilizzare nella Messa per un proprio Defunto o durante un funerale.... leggiamo queste parole della Sequenza e facciamole nostre!

- Dies Irae, dies illa
solvet saeclum in favilla
teste David cum Sybilla.
- Quantus tremor est futurus,
Quando judex est venturus,
Cuncta stricte discussurus.
- Tuba, mirum spargens sonum
per sepulcra regionum
coget omnes ante thronum.
- Mors stupebit et natura,
cum resurget creatura,
judicanti responsura.
- Liber scriptus proferetur,
in quo totum continetur,
unde mundus judicetur.
- Judex ergo cum sedebit,
quidquid latet, apparebit:
nil inultum remanebit.
- Quid sum miser tunc dicturus?
quem patronum rogaturus,
cum vix justus sit securus?
- Rex tremendae majestatis,
qui salvandos salvas gratis,
salva me, fons pietatis.
- Recordare, Jesu pie,
quod sum causa tuae viae
ne me perdas illa die.
- Quaerens me, sedisti lassus,
redemisti Crucem passus:
tantus labor non sit cassus.
- Juste judex ultionis,
donum fac remissionis
ante diem rationis.
- Ingemisco, tamquam reus,
culpa rubet vultus meus
supplicanti parce, Deus.
- Qui Mariam absolvisti,
et latronem exaudisti,
mihi quoque spem dedisti.
- Preces meae non sunt dignae,
sed tu bonus fac benigne,
ne perenni cremer igne.
- Inter oves locum praesta,
et ab haedis me sequestra,
statuens in parte dextra.
- Confutatis maledictis,
flammis acribus addictis,
voca me cum benedictis.
- Oro supplex et acclinis,
cor contritum quasi cinis:
gere curam mei finis.
- Lacrimosa dies illa,
qua resurget ex favilla
judicandus homo reus.
- Huic ergo parce, Deus:
pie Jesu Domine,
dona eis requiem. Amen.

***********************
- Giorno dell’ira sarà quel giorno
dissolverà il mondo terreno in cenere
come annunciato da David e dalla Sibilla.
- Quanto terrore verrà
quando giungerà il giudice
a giudicare severamente ogni cosa.
- La tromba diffondendo un suono stupefacente
tra i sepolcri del mondo
spingerà tutti davanti al trono.
- La Morte si stupirà, e anche la Natura
quando risorgerà ogni creatura
per rispondere al giudice.
- Sarà portato il libro scritto
nel quale tutto è contenuto,
dal quale si giudicherà il mondo.
- E dunque quando il giudice si siederà,
ogni cosa nascosta sarà svelata,
niente rimarrà invendicato.
- In quel momento che potrò dire io, misero,
chi chiamerò a difendermi,
quando a malapena il giusto potrà dirsi al sicuro?
- Re di tremenda maestà,
tu che salvi per grazia chi è da salvare,
salva me, fonte di pietà.
- Ricorda, o Gesù pio,
che io sono la causa della tua venuta;
non lasciare che quel giorno io sia perduto.
- Cercandomi ti sedesti stanco,
mi hai redento patendo la Croce:
che tanta fatica non sia vana!
- Giusto giudice di retribuzione,
concedi il dono del perdono
prima del giorno della resa dei conti.
- Comincio a gemere come un colpevole,
per la colpa è rosso il mio volto;
risparmia chi ti supplica, o Dio.
- Tu che perdonasti Maria di Magdala,
tu che esaudisti il buon ladrone,
anche a me hai dato speranza.
- Le mie preghiere non sono degne;
ma tu, buon Dio, con benignità fa’
che io non sia arso dal fuoco eterno.
- Assicurami un posto fra le pecore,
e tienimi lontano dai capri,
ponendomi alla tua destra.
- Smascherati i malvagi,
condannati alle aspre fiamme,
chiamami tra i benedetti.
- Prego supplice e in ginocchio,
il cuore contrito, come ridotto in cenere,
prenditi cura del mio destino.
- Quel giorno sarà un giorno di lacrime,
quando risorgerà dalla cenere
il peccatore per essere giudicato.
- Perdonalo, o Dio:
pio Signore Gesù,
dona a loro la pace.
Amen.


[SM=g1740717]


ATTENZIONE... QUI A SEGUIRE UN KARAOKE PER IMPARARE LA SEQUENZA... [SM=g1740722]
Il canto nel video è il Dies Irae, la Sequenza che si fa normalmente, per la Messa dei Defunti, con la Messa nella forma Straordinaria che il Papa ci ha ridonato.... e che chiunque può imparare e, perchè no, utilizzare nella Messa per un proprio Defunto o durante un funerale.... leggiamo queste parole della Sequenza e facciamole nostre!



www.youtube.com/watch?v=W4ppffwCDW8





[SM=g1740717]




[SM=g1740738] [SM=g1740720] [SM=g1740750] [SM=g1740752]

[Modificato da Caterina63 03/11/2011 17:00]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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2 Novembre: ricordiamo quale è la nostra Meta

san Simeon


Predica del 2 novembre 2011 di padre Konrad 
Commemorazione Defunti

In nomine Patri, et Filii, et Spiritus Sancti.
Ieri, carissimi fedeli, abbiamo meditato sul nostro compito in questo mondo, ossia, la nostra santificazione, oggi questo stesso compito si presenta a noi con urgenza poichè, riflettendo sulla morte, vediamo che questa nostra vita è breve e limitata e che occorre sfruttarla bene per gli scopi della nostra eternità.

Nel Vangelo Nostro Signore Gesù Cristo + presenta la nostra morte come qualche cosa che avviene subito e all'improvviso come una rete, come una trappola, come un ladro, c'è un senso che la persona presa dalla morte non si sia preparata, che non si sia fatta provvisione, che sia accatturata, prima dell'ora prevista, e chi di noi sa che vedrà l'anno nuovo o persino la luce dell'aurora di domani?
E se devo morire questa notte, dove andrei? Quale è lo stato della mia amina? e quel peccato che non ho mai osato confessare? o questa cosa che dovevo fare ma che ho rimandato, o questi soldi che non ho restituiti? o la pace con queste persone che non ho mai fatto?

Vigilate dunque, dice il Signore, perchè non sapete ne il giorno, ne l'ora, vigilate per fare il bene, camminate mentre è ancora giorno perchè dopo viene la notte quando nessuno può lavorare, perchè avete una sola vita lasciatavi dal Signore e vi è stata elargita per la vostra santificazione.
Tenete sempre il giorno della morte davanti agli occhi e non peccherete nel cuore, dice il Salmista, anzi vivrete santamente come la Suora visitata da santa Faustina, sul suo letto di morte, diceva: la mia vita, tutta la mia vita, è stata una preparazione per questa ora.

Facciamo dunque un buon proponimento, stasera, tramite l'intercessione della Beata Vergine Maria, per prendere sul serio la nostra vita cristiana nel futuro pregando per i nostri Defunti affinchè possiamo essere riuniti con loro in Cielo in beatitudine, alla Gloria della Santissima Trinità.
Amen.

In nomine Patri, et Filii, et Spiritus Sancti.
Sia Lodato Gesù Cristo +


P.S.

seguirà la predica per la Festa di Tutti i Santi, scusandoci per il ritardo della pubblicazione e senza mantenere l'ordine delle Feste, ciò deriva dal fatto che in questi giorni anche chi trascrive le Prediche è impegnato per la propria Anima e per quella dei propri Defunti, con le visite ai Cimiteri e nell'andare di più alla Messa, ogni giorno...
Abbiate pazienza e continuate a seguirci , pregando gli uni per gli altri, e specialmente che il Signore ci conservi a lungo Padre Konrad, benedica e sostenga la FSSP e ci doni presto un santo Patriarca!




Festa di Tutti i Santi 2011


Santi Comandamenti


Predica 1 Novembre 2011 di padre Konrad Festa di Tutti i Santi
sui Dieci Comandamenti

(Avvisiamo che questa Predica tratta dall'audio, non è stata rivista e corretta da Padre Konrad - come è solito fare - pertanto potrebbe subire, in futuro, un leggero cambiamento nel testo)

In nomine Patri, et Filii, et Spiritus Sancti.
Carissimi fedeli, l'unico scopo della vita umana è la nostra santificazione, per questo siamo stati creati, per nient'altro che questo.
Il Signore ci da ottanta o novanta anni di vita, normalmente, solo per questo.
Se noi arriviamo alla fine dei nostri giorni e non siamo ancora santi, abbiamo fallito.

Cosa è la Santità?
La santità è la perfezione della Carità, ossia, la perfezione dell'Amore sovrannaturale, nel senso assoluto dei termini la santità, la perfezione della Carità, la perfezione dell'Amore sovrannaturale è solo Dio stesso, Dio è la santità, Dio è la Carità, e Dio che è la santità e la Carità ci comanda di essere Santi anche noi: "siate Santi, perchè Io sono Santo", dice il Signore quattro volte nel Libro del Levitico.
Ma cosa è la santità per noi? Cosa è la perfezione della Carità per gli uomini?
Nostro Signore Gesù Cristo + risponde: "nessun uomo ha un amore più grande di questo, di dare la sua vita per i suoi amici". Parla della santità, parla della perfezione dell'amore per un uomo, per noi, esprime la santità in termini di quell'atto che Lui ha compiuto da uomo per salvare il mondo. Questa è dunque la santità per noi: dare la nostra vita per i nostri amici. 

Per quali amici? Per Dio stesso, perché Dio è il nostro più grande, più caro e amorevole Amico, è in un certo senso il nostro unico Amico, perché Lui ci ha creati, ci conserva in esistenza, ci ha dato e ci da tutto ciò che siamo e che abbiamo; ci ha redenti con la Sua Passione e la Sua Morte e ci vuol dare tutto a noi, cioè Se Stesso e per sempre.
Dobbiamo, dunque, dare la nostra vita per Lui in primo luogo e in assoluto, e poi dobbiamo dare la nostra vita per il nostro prossimo, questo in secondo luogo e in modo relativo, perchè amiamo il prossimo solo in Dio e a causa di Dio, questo difatti è il soggetto del Comandamento nuovo del Signore: che vi amiate gli uni e gli altri, come Io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri.
Questa stessa perfezione dell'amore viene insegnata in due altri testi particolari della Sacra Scrittura, il primo testo è: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente, con tutte le tue forze e il prossimo come te stesso", il secondo testo è quello dei Dieci Comandamenti di cui i primi tre stabiliscono l'amore per Dio e gli altri sette stabiliscono l'amore per il prossimo: chi mi ama - dice il Signore - tiene i miei Comandamenti.

Per spiegare meglio ciò che sono i Dieci Comandamenti bisogna sapere che non solo vietano ciò che è peccato, ma che anche ci incitano alla perfezione della Carità.
E difatti lo scopo della vita umana non è solo di evitare il peccato, soprattutto il peccato mortale per poter raggiungere il Cielo, bensì di perfezionarci, come ho detto all'inizio di questa Omelia, per raggiungere quel grado di gloria in Cielo che Dio ha stabilito per noi prima della creazione del mondo.

Guardiamo un attimo il lato positivo dei Comandamenti:
- i primi tre stabiliscono l'adorazione e l'onore dovuto a Dio, tanto privato quanto pubblico, nonché la Fede, la Speranza e la Carità verso di Lui;
- il quarto stabilisce l'onore per i Genitori e per i Superiori,
- il quinto (con le parole del Catechismo di Trento) ci ingiunge, anche, di estendere la nostra concordia e caritatevole amicizia verso i nemici per avere pace con tutti, sia pure affrontando con pazienza, ogni contrarietà;
- il sesto ci ingiunge alla purezza dell'amore, alla castità ed alla modestia;
- il settimo ci impone di essere benevoli e generosi verso il prossimo;
- gli ultimi tre, l'ottavo, il nono e il decimo ci insegnano di non parlare male del prossimo, di pregare per ciò che ci conviene di possedere, di apprezzare i nostri beni e di ringraziarne il Signore.
Per tenere i Comandamenti e per perfezionarci occorre la pratica delle virtù, soprattutto le virtù Cardinali della prudenza, della giustizia, della temperanza e fortezza, occorre anche un lavoro assiduo contro le nostre imperfezioni di carattere o di abitudine, forse siamo approssimativi nelle azioni e nelle nostre parole, siamo rozzi, maleducati un pò, indifferenti al prossimo, un pò liberi nelle parole, un pò maliziosi, aspri, amari, suscettibili, permalosi, distratti, disordinati, inaffidabili, inclini al risentimento, pensieri contro la Carità, all'eccesso di tristezza, di ira, di paura o persino di gioia. Questo lavoro sul nostro carattere, sulle nostre abitudini, anche quasi più del lavoro contro il peccato è il lavoro più difficile che ci sia, si chiama "il lavoro dei Santi", nelle parole di santa Teresina che provengono dalla Sacra Scrittura: "il lavoro fra tutti più penoso è quello che si intraprende sopra se stessi per arrivare a vincersi".

Una parola sulla Preghiera.
Stiamo aspettando la Vita Eterna qua, dove vogliamo essere con Dio per sempre, se non pensiamo, se non parliamo, se non preghiamo mai a Lui, quale tipo di preparazione è questa per la Vita Eterna. Una mezza Ave Maria mentre mi addormento non basta! Devo afferrare del tempo, la mattina e la sera, per la Preghiera anzi, devo provare a vivere sempre nella presenza di Dio con l'attenzione della mente, verso di Lui, che non dimentichi mai che Lui è il mio più grande Amico che occorre adorare, lodare, ringraziare, di cui occorre chiedere favori, a cui devo dare e dedicare tutta la mia vita.
Ho parlato del lato attivo della santificazione, ma c'è anche il lato passivo.
La vita, dopo la caduta, è dura, siamo la per lavorare e soffrire, per portare la nostra croce dietro a Lui, e questa sofferenza ci santifica più di tutte le azioni che potremmo compiere. Lui ha dato la Sua vita per i suoi amici, cioè a noi, nella sofferenza, quella sofferenza che ha manifestato il Suo Amore, così anche noi dobbiamo dare la nostra vita a Lui, con tutta la nostra sofferenza, perché questa manifesterà anche il nostro amore. Ci saranno sempre sofferenze e difficoltà, ma queste possiamo accettarle per amore di Lui ed offrirglieLe come i nostri più preziosi tesori, uniti con le Sue sofferenze in Croce. Per la Sua gloria, per la salvezza del mondo, e per la santificazione della nostra anima.
Amen.

In nomine Patri, et Filii, et Spiritus Sancti.
Sia lodato Gesù Cristo +


[Modificato da Caterina63 07/11/2011 00:09]
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24/10/2012 13:58
 
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Tutti Santi novembre




[SM=g1740733]  Cari Amici,
torniamo davvero a ripensare la nostra vita...... sforziamoci di rimodellarla sulla scia dei Santi che davvero ci sono Amici e ci aiutano!
Vi ricordiamo le ORAZIONI DI SANTA CATERINA DA SIENA per pregare aiutati da Lei....
vi ricordiamo anche una bellissima raccolta di scritti per meditare giorno dopo giorno la nostra vita con Dio di Padre Pedro Alcantara.....
Siamo certi del fatto che esiste l'eternità.... perciò cerchiamo di guadagnarci l'eredità DIVINA conducendo una vita coerente.....


****************************

 segue ora una bellissima riflessione che trascrivo da un libretto sul valore del Crocefisso dell'allora cardinale Ratzinger....  [SM=g1740733]

"... l'uomo è sempre stato alla ricerca di Dio perchè il senso della Preghiera gli è infuso con la creazione da Dio stesso, ma egli, l'uomo, la riversava sugli idoli. Per questo Dio è andato incontro all'Uomo, per questo Gesù può dire "chi ha visto me ha visto il Padre; e Nessuno va al Padre se non per mezzo di me".
Gesù e il Padre sono una cosa sola, un Dio solo nel quale, lo Spirito Santo che è l'Amore, il dito di Dio come si legge nella Scrittura, Terza Persona della Santissima Trinità, alimenta, vivifica e muove il cuore dell'uomo verso la giusta direzione.

Non vogliamo essere superbi quando diciamo che la preghiera del cristiano, quando è ben fatta, è davvero e veramente ascoltata da Dio e non perchè Dio non brami l'ascolto delle preghiere dei non cristiani, ma perchè questi non si rivolgono al Figlio nel quale Dio ha tutto riversato: sè stesso, la sua immagine, la sua natura, la sua autorità, la salvezza - nessuno va al Padre se non per mezzo di me - questo mezzo ordinario è la Preghiera che rivolgiamo al Padre con le parole del Figlio "Padre Nostro"; è la Liturgia nella quale il Figlio si offre al Padre per la nostra salvezza e, come dice san Paolo, non esiste sacrificio più perfetto ed unico.
Non stiamo qui a discutere ora i mezzi straordinari, perchè è nell'ordinarietà che dobbiamo impostare la nostra vita.
(...)
Gesù non ha affidato alla sua Chiesa solo il ministero sacerdotale e i Sacramenti, ma anche la Preghiera che è il motore della vita di ogni uomo e senza la quale i Sacramenti che ricevesse, per quanti validi, annullerebbero tuttavia la fonte della grazia senza questa preghiera che diciamo essere - del cristiano -.
Infine in questa Preghiera del cristiano c'è un'altro punto importante, essa è preghiera di esorcismo.
Il nome stesso di Gesù, non quando è pronunciato invano e persino bestemmiato, è fonte di esorcismo.

Nel nome di Gesù la grazia si attiva in ogni Sacramento che riceviamo, persino quando diciamo il Rosario, nell'usare il Pater Noster, l'inno alla Trinità con il Gloria al Padre ecc... e nell'Ave Maria quando benediciamo quel "frutto benedetto del suo seno, Gesù", diventa tutto un forte esorcismo: i demoni tremano, scappano perchè non possono resistere davanti al Dio che si è rivelato in Cristo Gesù.
Quando facciamo il segno della croce, dovremmo pensare a quello che avviene mentre lo facciamo: Satana si copre il volto perchè la luce di quelle parole e il segno luminoso che propaga, lo acceca, lo disturba, è il segno più usato dagli esorcisti davanti al quale i demoni alla fine non resistono.

La preghiera del cristiano insegnata dalla Chiesa non si fonda sulle improvvisazioni! [SM=g1740733]
Questo perchè il Dio Incarnato non ha improvvisato nulla, dalla Croce Egli ci rammenta il progetto del Padre: "TUTTO E' COMPIUTO".
In questa compiutezza c'è anche l'insegnamento di come pregare, per questo la Chiesa ha come dottrina propria l'educazione alla Preghiera e al modo di pregare e di cosa dire per non vanificare la preghiera stessa.
Per questo non ci sorprendiamo quando leggiamo nelle vite dei Santi che erano assidui della Preghiera dei Salmi, del Rosario, dell'Eucaristia, se facciamo attenzione alle loro storie questi sono i pilastri dell'autentica preghiera a Dio.

Dio non aveva certo bisogno delle nostre preghiere! Egli ancora una volta mette in moto quel trascendente che è la preghiera affinchè l'uomo possa dialogare con Lui.
La stessa sofferenza che è uno dei mezzi privilegiati perchè Gesù fu Crocefisso, non inventa parole per pregare, in questo caso l'anima sofferente tace e la sua sofferenza diventa preghiera. Lo vediamo in quei santi mistici che bloccati nel letto portano sempre nelle mani il Crocefisso e un Rosario.
Ma ce lo insegna anche la patristica, il monachesimo nelle sue splendide ore di clausura, di silenzio.
Questo tipo di silenzio è una vera orazione gradita a Dio specialmente quando alle parole vane, dettate dai personalismi o sentimenti propri, occupiamo la mente davanti ad una Icona o ad un Crocefisso per meditare quegli eventi.
E' quella che chiamiamo contemplazione, e non si può contemplare se stiamo sempre a parlare. La contemplazione vuole il silenzio e in questo silenzio Dio viene in noi, è Lui che ci avvolge nella preghiera, non siamo noi ad avvolgere Dio.
Qui sta la vera libertà dell'uomo.
Quando l'uomo è davvero un essere libero dalla schiavitù del materialismo, ha davvero questo potere di far posto a Dio o di rifiutarlo, se Gli fa posto Dio lo inserisce nel suo trascendente, se lo rifiuta Dio rispetta la sua libertà ma non vuole lasciarlo andare alla deriva per questo ha mandato la Chiesa ad evangelizzare, a far conoscere ad ogni uomo il potere e il valore della preghiera che Gesù ci ha insegnato...."



*******************

La vita di santa Dorotea è narrata da una leggenda agiografica, un'antica passio del Martirologio Geronimiano che la descrive come "caritatevole, pura e sapiente". Di fede cristiana, quando il preside Sapricio le chiese di fare un sacrificio agli dei, si rifiutò e venne torturata. Il preside la affidò a Criste e Callista, due sorelle apostate, affinché la convincessero a lasciare la religione cristiana, ma entrambe sarebbero state a loro volta convertite e quindi bruciate vive, mentre Dorotea fu condannata alla decapitazione.

Sulla strada del martirio, incontrò Teofilo, il quale le chiese ironicamente: «Sposa di Cristo, mandami delle mele e delle rose dal giardino del tuo sposo». Dorotea accettò e, prima della decapitazione, durante una preghiera, un bambino le portò tre rose e tre mele e lei gli chiese di farle avere a Teofilo, il quale, visto il "prodigio", si convertì al Cristianesimo.
La commemorazione liturgica ricorre il 6 febbraio.
Ringraziando Rossalla Puca per l'idea ^__^ metto anch'io una immagine della mia Santa, Dorotea.... Avrei potuto mettere santa Caterina da Siena, ma Dorotea è meno conosciuta.... ed è il mio nome di Battesimo, mentre Caterina è il mio nome da professa domenicana ;-)
Auguri a TUTTI per TUTTI i Santi
La vita di santa Dorotea è narrata da una leggenda agiografica, un'antica passio del Martirologio Geronimiano che la descrive come "caritatevole, pura e sapiente". Di fede cristiana, quando il preside Sapricio le chiese di fare un sacrificio agli dei, si rifiutò e venne torturata. Il preside la affidò a Criste e Callista, due sorelle apostate, affinché la convincessero a lasciare la religione cristiana, ma entrambe sarebbero state a loro volta convertite e quindi bruciate vive, mentre Dorotea fu condannata alla decapitazione.

Sulla strada del martirio, incontrò Teofilo, il quale le chiese ironicamente: «Sposa di Cristo, mandami delle mele e delle rose dal giardino del tuo sposo». Dorotea accettò e, prima della decapitazione, durante una preghiera, un bambino le portò tre rose e tre mele e lei gli chiese di farle avere a Teofilo, il quale, visto il "prodigio", si convertì al Cristianesimo.
La commemorazione liturgica ricorre il 6 febbraio.




[SM=g1740763]




[Modificato da Caterina63 31/10/2012 21:37]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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30/10/2012 21:14
 
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[SM=g1740733] I SANTI CI INSEGNANO:

Frammenti di Cielo: Detti sulla preghiera dei Padri della Chiesa, dei Dottori della Chiesa
e dei Padri del deserto



S. Agostino ha detto:

"Nutri la tua anima con la lettura biblica: essa ti preparerà un banchetto spirituale".

"La preghiera muore, quando il desiderio si raffredda".

S. Tommaso d'Aquino ha detto:

"La preghiera non viene presentata a Dio per fargli conoscere qualcosa che Egli non sa, ma per spingere verso Dio l'animo di chi prega."

S. Girolamo ha detto:

"Chi è assiduo nella lettura della Parola di Dio, quando legge si affatica, ma in seguito è felice perché gli amari semi della lettura producono in lui i dolci frutti.

"Studiamo ora che siamo sulla terra quella Realtà la cui conoscenza resterà anche quando saremo in cielo".

"Preghi? Sei tu che parli allo Sposo. Leggi? E' lo Sposo che parla a te".

S. Ignazio di Loyola ha detto:

"Pregare è seguire Cristo che va tra gli uomini, quasi accompagnandolo".

S. Caterina da Bologna ha detto:

La preghiera è l'estatica contemplazione dell' Altissimo, nella sua infinita bellezza e bontà: uno sguardo semplice e amoroso su Dio".

S. Giovanni Crisostomo ha detto:

"L'uomo che prega ha le mani sul timone della storia".

S. Giovanni Damasceno ha detto:

"La preghiera è un'elevazione della mente a Dio".

S. Ignazio d'Antiochia ha detto:

Procurate di riunirvi più frequentemente per il rendimento di grazie e per la lode a Dio. Quando vi radunate spesso le forze di satana sono annientate ed il male da lui prodotto viene distrutto nella concordia della vostra fede.

S. Bernardo di Chiaravalle ha detto:

"I tuoi desideri gridino a Dio. la preghiera è una pia tensione del cuore verso Dio."

Tertulliano ha detto:

L'unico compito della preghiera è richiamare le anime dei defunti dallo stesso cammino della morte, sostenere i deboli, curare i malati, liberare gli indemoniati, aprire le porte del carcere, sciogliere le catene degli innocenti. Essa lava i peccati, respinge le tentazioni, spegne le persecuzioni, conforta i pusillanimi, incoraggia i generosi, guida i pellegrini, calma le tempeste, arresta i malfattori, sostenta i poveri, ammorbidisce il cuore dei ricchi, rialza i caduti, sostiene i deboli, sorregge i forti. (L'orazione, cap. 29)

Charles de Focauld ha detto:

"Bisogna lodare Dio. Lodare è esprimere la propria ammirazione e nello stesso tempo il proprio amore, perchè l'amore è inseparabilmente unito ad un'ammirazione senza riserve.

Dunque, lodare significa struggersi ai suoi piedi in parole di ammirazione e d'amore. Significa ripe-tergli che Egli è infinitamente perfetto, infinitamente amabile, infinitamente amato.

Significa dirgli che Egli è buono e che l'amiamo".

Maestro Eckhart ha detto:

"Perchè preghiamo?.. Perchè Dio nasca nell'anima e l'anima rinasca in Dio...Un essere tutto intimo, tutto raccolto ed uno in Dio: questa è la Grazia, questo significa "Iddio con te".

S.Teresa di Gesù ha detto:

L'orazione mentale non è altro, per me, che un intimo rapporto di amicizia, un frequente tratteni-mento, da solo a solo, con Colui da cui sappiamo d'essere amati. (Vita 8,5)

... la porta per cui mi vennero tante grazie fu soltanto l'orazione. Se Dio vuole entrare in un'anima per prendervi le sue delizie e ricolmarla di beni, non ha altra via che questa, perché Egli la vuole sola, pura e desiderosa di riceverlo. (Vita 8,9)

Certo bisogna imparare a pregare. E a pregare si impara pregando, come si impara a camminare camminando.

...nel cominciare il cammino dell'orazione si deve prendere una risoluzione ferma e decisa di non fermarsi mai, né mai abbandonarla. Avvenga quel che vuole avvenire, succeda quel che vuole succede-re, mormori chi vuole mormorare, si fatichi quanto bisogna faticare, ma piuttosto di morire a mezza strada, scoraggiati per i molti ostacoli che si presen-tano, si tenda sempre alla méta, ne vada il mondo intero. (Cammino di perfezione 21,4)

Pensate di trovarvi innanzi a Gesù Cristo, conversate con Lui e cercate di innamorarvi di Lui, tenendolo sempre presente. (Vita 12,2)

La continua conversazione con Cristo aumenta l'amore e la fiducia. (Vita 37,5)

Buon mezzo per mantenersi alla presenza di Dio è di procurarvi una sua immagine o pittura che vi faccia devozione, non già per portarla sul petto senza mai guardarla, ma per servirsene ad intrattenervi spesso con Lui ed Egli vi suggerirà quello che gli dovete dire.

Se parlando con le creature le parole non vi mancano mai, perché vi devono esse mancare parlando con il Creatore? Non temetene: io almeno non lo credo! (Cammino di perfezione 26,9)

Non siate così semplici da non domandargli nulla! (Cammino di perfezione 28,3)

Chiedetegli aiuto nel bisogno, sfogatevi con Lui e non lo dimenticate quando siete nella gioia, parlandogli non con formule complicate ma con spontaneità e secondo il bisogno. (Vita 12,2)

Cercate di comprendere quali siano le risposte di Dio alle vostre domande.Credete forse che Egli non parli perché non ne udiamo la voce? Quando è il cuore che prega, Egli risponde. (Cammino di perfezione 24,5)

A chi batte il cammino della preghiera giova molto un buon libro.

Per me bastava anche la vista dei campi, dell'acqua, dei fiori: cose che mi ricordavano il Creatore, mi scuotevano, mi raccoglievano, mi servivano da libri. (Vita 9,5)

Per molti anni, a meno che non fosse dopo la Comunione, io non osavo cominciare a pregare senza libro. (Vita 4,9)

E' troppo bella la compagnia del buon Gesù per dovercene separare! E' altrettanto si dica di quella della sua Santissima Madre. (Seste Mansioni 7,13)

... fate il possibile di stargli sempre accanto. Se vi abituerete a tenervelo vicino ed Egli vedrà che lo fate con amore e che cercate ogni mezzo per contentarlo, non solo non vi mancherà mai, ma, come suol dirsi, non ve lo potrete togliere d'attorno.

L'avrete con voi dappertutto e vi aiuterà in ogni vostro travaglio. Credete forse che sia poca cosa aver sempre vicino un così buon amico? (Cammino di perfezione 26,1)

Poiché Gesù vi ha dato un Padre così buono, procurate di essere tali da gettarvi fra le sue braccia e godere della sua compagnia.

E chi non farebbe di tutto per non perdere un tal Padre? Quanti motivi di consolazione! Li lascio alla vostra intuizione! In effetti, se la vostra mente si mantiene sempre tra il Padre e il Figlio, interverrà lo Spirito Santo ad innamorare la vostra volontà col suo ardentissimo amore. (Cammino di perfezione 27, 6-7)

Quelli che sanno rinchiudersi nel piccolo cielo della loro anima, ove abita Colui che la creò e che creò pure tutto il mondo, e si abituano a togliere lo sguardo e a fuggire da quanto distrae i loro sensi, vanno per buona strada e non mancheranno di arrivare all'acqua della fonte.

Essendo vicinissimi al focolare, basta un minimo soffio dell'intelletto perché si infiammino d'amore, già disposti come sono a ciò, trovandosi soli con il Signore, lontani da ogni oggetto esteriore. (Cammino di perfezione 28,5.8)

Per cominciare a raccogliersi e perseverare nel raccoglimento, si deve agire non a forza di braccia ma con dolcezza. Quando il raccoglimento è sincero, l'anima sembra che d'improvviso s'innalzi sopra tutto e se ne vada, simile a colui che per sottrarsi ai colpi di un nemico, si rifugia in una fortezza.

Dovete saper che questo raccoglimento non è una cosa soprannaturale, ma un fatto dipendente dalla nostra volontà e che noi possiamo realizzare con l'aiuto di Dio. (Cammino di perfezione 28,6; 29,4)

Sapevo benissimo di avere un'anima, ma non ne capivo il valore, né chi l'abitava, perché le vanità della vita mi avevano bendati gli occhi per non lasciarmi vedere.

Se avessi inteso, come ora, che nel piccolo albergo dell'anima mia abita un Re così grande, mi sembra che non l'avrei lasciato tanto solo...e sarei stata più diligente per conservami senza macchia. (Cammino di perfezione 28,11)

Non si creda che nuoccia al raccoglimento il disbrigo delle occupazioni necessarie.

Dobbiamo ritirarci in noi stessi, anche in mezzo al nostro lavoro, e ricordarci di tanto in tanto, sia pure di sfuggita, dell'Ospite che abbiamo in noi, per-suadendoci che per parlare con Lui non occorre alzare la voce. (Cammino di perfezione 29,5)

Il Signore ci conceda di non perdere mai di vista la sua divina presenza! (Cammino di perfezione 29,8)

Quando un'anima... non esce dall'orazione fermamente decisa a sopportare ogni cosa, tema che la sua orazione non venga da Dio. (Cammino di perfezione 36,11)

Quando un'anima si unisce così intimamente alla stessa misericordia, alla cui luce si riconosce il suo nulla e vede quanto ne sia stata perdonata, non posso credere che non sappia anch'essa perdonare a chi l'ha offesa.

Siccome le grazie ed i favori di cui si vede inon-data le appariscono come pegni dell'amore di Dio per lei, è felicissima di avere almeno qualche cosa per testimoniare l'amore che anch'ella nutre per lui. (Cammino di perfezione 36,12)

La preghiera non è qualcosa di statico, è un'amicizia che implica uno sviluppo e spinge a una trasformazione, a una somiglianza sempre più forte con l'amico. (da L'amicizia con Cristo, cap VII)

Detti dei Padri del deserto:

L'importanza della preghiera del mattino

Non appena ti levi dopo il sonno, subito, in primo luogo, la tua bocca renda gloria a Dio e intoni cantici e salmi, poiché la prima preoccupazione, alla quale lo Spirito si apprende fin dall'aurora, esso continua a macinarla, come una mola, per tutto il giorno, sia grano sia zizzania. Perciò sii sempre il primo a gettar grano, prima che il nemico getti la zizzania.

Pregare prima di ogni cosa

Un anziano diceva: "Non far nulla senza pregare e non avrai rimpianti"

Detti di S. Isidoro

"Chi vuole essere sempre unito a Dio, deve pregare spesso e leggere spesso, perché nella preghiera siamo noi che parliamo a Dio, ma nella lettura della Bibbia è Dio che parla a noi".

"Tutto il progresso spirituale si basa sulla lettura e sulla meditazione: ciò che ignoriamo, lo impariamo con la lettura; ciò che abbiamo imparato, lo conser-viamo con la meditazione."

"La lettura della Bibbia ci procura un duplice vantaggio: istruisce la nostra intelligenza e ci introdu-ce all'amore per Iddio distogliendoci dalle cose vane."

"Nessuno può capire il senso della Bibbia, se non acquista consuetudine e familiarità con essa mediante la lettura".

Detti di S. Pacomio

Mettiamo freno all'effervescenza dei pensieri che ci angosciano e che salgono dal nostro cuore come acqua in ebollizione, leggendo le Scritture e ruminandole incessantemente...e ne sarete liberati .

Detti di Arisitide l'Apologeta

"E' per la preghiera dei cristiani che il mondo sta in piedi".

Detti di Evagrio Pontico

"La preghiera è sorgente di gioia e di grazia".

"Quando, dedicandoti alla preghiera, sei giunto al di sopra di ogni altra gioia, allora veramente hai trovato la preghiera.

Detti di Giovanni Climaco

"La preghiera è sostegno del mondo, riconciliazione con Dio, misura del progresso spirituale, giudizio del Signore prima del futuro giudizio".




[SM=g1740738]
[Modificato da Caterina63 30/10/2012 21:14]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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01/11/2012 15:04
 
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LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS, 01.11.2012

Alle ore 12 di oggi, Solennità di tutti i Santi, il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.

Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:

PRIMA DELL’ANGELUS


Cari fratelli e sorelle!


Oggi abbiamo la gioia di incontrarci nella solennità di Tutti i Santi. Questa festa ci fa riflettere sul duplice orizzonte dell’umanità, che esprimiamo simbolicamente con le parole "terra" e "cielo": la terra rappresenta il cammino storico, il cielo l’eternità, la pienezza della vita in Dio. 

E così questa festa ci fa pensare alla Chiesa nella sua duplice dimensione: la Chiesa in cammino nel tempo e quella che celebra la festa senza fine, la Gerusalemme celeste.

Queste due dimensioni sono unite dalla realtà della «comunione dei santi»: una realtà che comincia quaggiù sulla terra e raggiunge il suo compimento in Cielo. Nel mondo terreno, la Chiesa è l’inizio di questo mistero di comunione che unisce l’umanità, un mistero totalmente incentrato su Gesù Cristo: è Lui che ha introdotto nel genere umano questa dinamica nuova, un movimento che la conduce verso Dio e al tempo stesso verso l’unità, verso la pace in senso profondo. Gesù Cristo - dice il Vangelo di Giovanni (11,52) - è morto «per riunire insieme i figli di Dio dispersi», e questa sua opera continua nella Chiesa che è inseparabilmente «una», «santa» e «cattolica». Essere cristiani, far parte della Chiesa significa aprirsi a questa comunione, come un seme che si schiude nella terra, morendo, e germoglia verso l’alto, verso il cielo.


I Santi - quelli che la Chiesa proclama tali, ma anche tutti i santi e le sante che solo Dio conosce, e che oggi pure celebriamo - hanno vissuto intensamente questa dinamica. In ciascuno di loro, in modo molto personale, si è reso presente Cristo, grazie al suo Spirito che opera mediante la Parola e i Sacramenti. Infatti, l’essere uniti a Cristo, nella Chiesa, non annulla la personalità, ma la apre, la trasforma con la forza dell’amore, e le conferisce, già qui sulla terra, una dimensione eterna. In sostanza, significa diventare conformi all’immagine del Figlio di Dio (cfr Rm 8,29), realizzando il progetto di Dio che ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza. Ma questo inserimento in Cristo ci apre - come avevo detto - anche alla comunione con tutti gli altri membri del suo Corpo mistico che è la Chiesa, una comunione che è perfetta nel «Cielo», dove non c’è alcun isolamento, alcuna concorrenza o separazione. 

Nella festa di oggi, noi pregustiamo la bellezza di questa vita di totale apertura allo sguardo d’amore di Dio e dei fratelli, in cui siamo certi di raggiungere Dio nell’altro e l’altro in Dio. Con questa fede piena di speranza noi veneriamo tutti i santi, e ci prepariamo a commemorare domani i fedeli defunti.
Nei santi vediamo la vittoria dell’amore sull’egoismo e sulla morte: vediamo che seguire Cristo porta alla vita, alla vita eterna, e dà senso al presente, ad ogni attimo che passa, perché lo riempie d’amore, di speranza. Solo la fede nella vita eterna ci fa amare veramente la storia e il presente, ma senza attaccamenti, nella libertà del pellegrino, che ama la terra perché ha il cuore in Cielo.


La Vergine Maria ci ottenga la grazia di credere fortemente nella vita eterna e di sentirci in vera comunione con i nostri cari defunti.


DOPO L’ANGELUS  


Chers pèlerins francophones, aujourd’hui nous célébrons la multitude des saints qui sont auprès de Dieu. La sainteté que l’Église honore en eux a le visage des béatitudes proclamées par Jésus. Dans leur vie, ils ont reflété la lumière du Ressuscité. En suivant leur exemple de fidélité à l’amour du Christ, marchons nous aussi vers la joie du royaume où Dieu essuiera toute larme de nos yeux et où nous le verrons ! Confions-nous à la Vierge Marie, Reine de tous les saints. Bonne fête de la Toussaint à vous tous et à vos familles !


I greet all the English-speaking visitors present, especially those from Holy Ghost Church, Exmouth. Today’s Solemnity of All Saints reminds us of our eternal destiny, where we will dwell, as Saint Thomas Aquinas says, in true and perfect light, total fulfillment, everlasting joy and gladness without end. May the intercession of all the saints lead us and our departed loved ones to our everlasting home in heaven. God bless you all!


Mit Freude heiße ich am heutigen Fest Allerheiligen die Pilger und Besucher deutscher Sprache willkommen. Heiligkeit ist nicht etwas Abgestandenes oder etwas Unerreichbares. Die Berufung zur Heiligkeit geht jeden von uns an. Gott ruft jeden von uns, in Gemeinschaft mit ihm zu leben, und das ist Heiligkeit. Er liebt uns als seine Kinder. Auch unsere Zeit, gerade unsere Zeit braucht Heilige, Menschen, die Gott durchscheinen lassen, an denen wir sehen können, wie man heute das Evangelium leben kann, und die uns Zeichen seiner Liebe sind. Bitten wir dazu die Heiligen um ihre Fürsprache und Hilfe. Euch allen einen gesegneten Feiertag!


Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española que participan en esta oración mariana. Como Iglesia peregrina, celebramos hoy con gozo la Solemnidad de Todos los Santos, la memoria de aquéllos que son llamados amigos de Dios, cuya compañía alegra los cielos. Que también nosotros, guiados por la fe y gozosos por la gloria de los mejores hijos de la Iglesia, invocando a la bienaventurada Virgen María, encontremos en ellos ejemplo y ayuda para alcanzar las promesas de Cristo. Muchas gracias.


Pozdrawiam Polaków. Wspominając dziś wszystkich znanych i nieznanych Świętych w szczególny sposób uświadamiamy sobie, że wszyscy jesteśmy powołani do świętości, to znaczy do wiecznego życia w chwale Pana. W wypełnianiu tego powołania „przykład świętych nas pobudza, a ich bratnia modlitwa nas wspomaga". Pozwólmy się im prowadzić na codziennych drogach wzrastania w świętości. Niech Bóg wam błogosławi.


[Saluto i polacchi. Commemorando oggi tutti i santi noti e ignoti, ci ricordiamo in modo particolare che tutti siamo chiamati alla santità, cioè alla vita eterna nella gloria del Signore. Nella realizzazione di questa vocazione «l’esempio dei santi ci sollecita e la loro fraterna preghiera ci aiuta». Lasciamoci guidare da loro nel quotidiano cammino di crescita nella santità. Dio vi benedica!]


Saluto con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare il gruppo di fedeli delle Diocesi di Concordia-Pordenone e Vittorio Veneto, accompagnati dal Vescovo emerito Mons. Ovidio Poletto; saluto i ragazzi di Modena che hanno ricevuto il Sacramento della Confermazione, benvenuti, e l’associazione «Angeli della Vita», di Giovinazzo. A tutti auguro una buona festa di Tutti i Santi! Buona festa.
Grazie.





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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01/11/2012 19:44
 
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[SM=g1740733] - Canto Preghiera Karaoke Media Vita in morte sumus

Cari amici,
dopo avervi offerto la Catechesi del Papa sulla Commemorazione dei Defunti,
www.gloria.tv/?media=211479
e il canto Preghiera in formato Karaoke della Sequenza per i Defunti, il famoso Dies Irae
www.gloria.tv/?media=211801
vi offriamo ora un altro canto commovente che ci invita ad avere attenzione sulla nostra sorte e a ricordarci dei nostri amati Defunti, delle Anime del Purgatorio.
www.gloria.tv/?media=354265



Movimento Domenicano del Rosario
www.sulrosario.org
info@sulrosario.org


BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 2 novembre 2011
www.gloria.tv/?media=354293

[SM=g1740720] La Commemorazione di tutti i fedeli defunti

Cari fratelli e sorelle!


Dopo avere celebrato la Solennità di Tutti i Santi, la Chiesa ci invita oggi a commemorare tutti i fedeli defunti, a volgere il nostro sguardo a tanti volti che ci hanno preceduto e che hanno concluso il cammino terreno. Nell’Udienza di questo giorno, allora, vorrei proporvi alcuni semplici pensieri sulla realtà della morte, che per noi cristiani è illuminata dalla Risurrezione di Cristo, e per rinnovare la nostra fede nella vita eterna.

Come già dicevo ieri all’Angelus, in questi giorni ci si reca al cimitero per pregare per le persone care che ci hanno lasciato, quasi un andare a visitarle per esprimere loro, ancora una volta, il nostro affetto, per sentirle ancora vicine, ricordando anche, in questo modo, un articolo del Credo: nella comunione dei santi c’è uno stretto legame tra noi che camminiamo ancora su questa terra e tanti fratelli e sorelle che hanno già raggiunto l’eternità.

Da sempre l’uomo si è preoccupato dei suoi morti e ha cercato di dare loro una sorta di seconda vita attraverso l’attenzione, la cura, l’affetto. In un certo modo si vuole conservare la loro esperienza di vita; e, paradossalmente, come essi hanno vissuto, che cosa hanno amato, che cosa hanno temuto, che cosa hanno sperato e che cosa hanno detestato, noi lo sco­priamo proprio dalle tombe, davanti alle quali si affollano ricordi. Esse sono quasi uno specchio del loro mondo.

Perché è così? Perché, nonostante la morte sia spesso un tema quasi proibito nella nostra società, e vi sia il tentativo continuo di levare dalla nostra mente il solo pensiero della morte, essa riguarda ciascuno di noi, riguarda l’uomo di ogni tempo e di ogni spazio. E davanti a questo mistero tutti, anche inconsciamente, cerchiamo qualcosa che ci inviti a sperare, un segnale che ci dia consolazione, che si apra qualche orizzonte, che offra ancora un futuro. La strada della morte, in realtà, è una via della speranza e percorrere i nostri cimiteri, come pure leggere le scritte sulle tombe è compiere un cammino segnato dalla speranza di eternità.

Ma ci chiediamo: perché proviamo timore davanti alla morte? Perché l’umanità, in una sua larga parte, mai si è rassegnata a credere che al di là di essa non vi sia semplicemente il nulla? Direi che le risposte sono molteplici: abbiamo timore davanti alla morte perché abbiamo paura del nulla, di questo partire verso qualcosa che non conosciamo, che ci è igno­to. E allora c’è in noi un senso di rifiuto perché non possiamo accettare che tutto ciò che di bello e di grande è stato realizzato durante un’intera esistenza, venga improvvisamente cancellato, cada nell’abisso del nulla. Soprattutto noi sentiamo che l’amore richiama e chiede eternità e non è possibile accettare che esso venga distrutto dalla morte in un solo momento.

Ancora, abbiamo timore davanti alla morte perché, quando ci troviamo verso la fine dell’esistenza, c’è la percezione che vi sia un giudizio sulle nostre azioni, su come abbiamo condotto la nostra vita, soprattutto su quei punti d’ombra che, con abilità, sappiamo spesso rimuovere o tentiamo di rimuovere dalla nostra coscienza. Direi che proprio la questione del giudizio è spesso sottesa alla cura dell’uomo di tutti i tempi per i defunti, all’attenzione verso le persone che sono state significative per lui e che non gli sono più accanto nel cammino della vita terrena. In un certo senso i gesti di affetto, di amore che circondano il defunto, sono un modo per proteggerlo nella convinzione che essi non rimangano senza effetto sul giudizio. Questo lo possiamo cogliere nella maggior parte delle culture che caratterizzano la storia dell’uomo.

Oggi il mondo è diventato, almeno apparentemente, molto più razionale, o meglio, si è diffusa la tendenza a pensare che ogni realtà debba essere affrontata con i criteri della scienza sperimentale, e che anche alla grande questione della morte si debba rispondere non tanto con la fede, ma partendo da conoscenze sperimentabili, empiriche. Non ci si rende sufficientemente conto, però, che proprio in questo modo si è finiti per cadere in forme di spiritismo, nel tentativo di avere un qualche contatto con il mondo al di là della morte, quasi immaginando che vi sia una realtà che, alla fine, è sarebbe una copia di quella presente.

Cari amici, la solennità di tutti i Santi e la Commemorazione di tutti i fedeli defunti ci dicono che solamente chi può riconoscere una grande speranza nella morte, può an­che vivere una vita a partire dalla speranza. Se noi riduciamo l’uomo esclusivamente alla sua dimensione orizzontale, a ciò che si può percepire empiricamente, la stessa vita perde il suo senso profondo. L’uomo ha bisogno di eternità ed ogni altra speranza per lui è troppo breve, è troppo limitata. L’uomo è spiegabile solamente se c’è un Amore che superi ogni isolamento, anche quello della morte, in una totalità che trascenda anche lo spazio e il tempo. L’uomo è spiegabile, trova il suo senso più profondo, solamente se c’è Dio. E noi sappiamo che Dio è uscito dalla sua lontananza e si è fatto vicino, è entrato nella nostra vita e ci dice: «Io so­no la risurrezione e la vita; chi crede in me anche se muore vivrà; chiunque vive e crede in me non morirà in eterno» (Gv 11,25-26).

Pensiamo un momento alla scena del Calvario e riascoltiamo le parole che Gesù, dall’alto della Croce, rivolge al malfattore crocifisso alla sua destra: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso» (Lc 23,43). Pensiamo ai due discepoli sulla strada di Emmaus, quando, dopo aver percorso un tratto di strada con Gesù Risorto, lo riconoscono e partono senza indugio verso Gerusalemme per annunciare la Risurrezione del Signore (cfr Lc 24,13-35). Alla mente ritornano con rinnovata chiarezza le parole del Maestro: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no non vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”?» (Gv 14,1-2). Dio si è veramente mostrato, è diventato accessibile, ha tanto amato il mondo «da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16), e nel supremo atto di amore della Croce, immergendosi nell’abisso della morte, l’ha vinta, è risorto ed ha aperto anche a noi le porte dell’eternità. Cristo ci sostiene attraverso la notte della morte che Egli stesso ha at­traversato; è il Buon Pastore, alla cui guida ci si può affidare sen­za alcuna paura, poiché Egli conosce bene la strada, anche attra­verso l’oscurità.

Ogni domenica, recitando il Credo, noi riaffermiamo questa verità. E nel recarci ai cimiteri a pregare con affetto e con amore per i nostri defunti, siamo invitati, ancora una volta, a rinnovare con coraggio e con forza la nostra fede nella vita eterna, anzi a vivere con questa grande speranza e testimoniarla al mondo: dietro il presente non c’è il nulla. E proprio la fede nella vita eterna dà al cristiano il coraggio di amare ancora più intensamente questa nostra terra e di lavorare per costruirle un futuro, per darle una vera e sicura speranza. Grazie.




[SM=g1740717] CATECHESI DEL PAPA BENEDETTO


[SM=g1740717] KARAOKE CON IL DIES IRE


Dagli insegnamenti di Madre Teresa di Calcutta:

"Solo Dio che è la bontà onnipotente, poteva creare l'uomo davvero felice, ma proprio per questo satana ha portato nel mondo l'infelicità. Perciò quando sei triste, abbraccia la tristezza, perchè questa ti farà vedere Dio; quando vai al Cimitero devi pensare che quell'Anima che non avrà rifiutato la Bontà Incarnata è ora più felice di quanto tu non possa immaginare. Davanti alla Morte sappi che c'è la Vita Eterna perciò fai dire una Messa di Suffragio per i tuoi Defunti e per le Anime del Purgatorio, allora ti sentirai davvero appagato e comprenderai che la felicità non abita in questo mondo, ma nell'altro e sarà eterna...."


[SM=g1740733]



[SM=g1740720] [SM=g1740738]

[Modificato da Caterina63 31/10/2013 08:22]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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03/11/2012 12:36
 
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Commemorazione dei fedeli defunti. Il Papa: solo la speranza nella vita eterna dà senso al presente

 


Commemorazione dei fedeli defunti. Il Papa: solo la speranza nella vita eterna dà senso al presente 

Oggi la Chiesa commemora i fedeli defunti. Ieri il Papa, durante l’Angelus in Piazza San Pietro nella Solennità di Tutti i Santi, ha ricordato che solo la speranza nella vita eterna dà senso al presente. Oggi alle 18.00, Benedetto XVI presiede nelle Grotte Vaticane, in forma privata, un momento di preghiera per i Sommi Pontefici defunti. Il servizio di Sergio Centofanti:


Questa vita ha senso solo se c’è l’amore, solo se l’amore non finisce. E nei santi – ha detto il Papa ieri all’Angelus - "vediamo la vittoria dell’amore sull’egoismo e sulla morte: vediamo che seguire Cristo porta alla vita, alla vita eterna, e dà senso al presente, ad ogni attimo che passa, perché lo riempie d’amore, di speranza”: 


“Solo la fede nella vita eterna ci fa amare veramente la storia e il presente, ma senza attaccamenti, nella libertà del pellegrino, che ama la terra perché ha il cuore in Cielo. La Vergine Maria ci ottenga la grazia di credere fortemente nella vita eterna e di sentirci in vera comunione con i nostri cari defunti”.


Nella Solennità di ieri Benedetto XVI ha ricordato che “la santità non è qualcosa di stantìo o irraggiungibile” ma riguarda tutti, perché Dio a tutti vuole donare amore e gioia in eterno. I Santi sono “segni luminosi dell’amore di Dio”. Sono quanti hanno vissuto l’unità tra il cielo e la terra seguendo Gesù: è Lui – afferma il Papa – che ha introdotto nel genere umano una “dinamica nuova”, un movimento che sin da ora conduce l’umanità verso Dio che “ci ama come suoi figli” e ci vuole dare pace e gioia in abbondanza:


“Gesù Cristo - dice il Vangelo di Giovanni (11,52) - è morto «per riunire insieme i figli di Dio dispersi», e questa sua opera continua nella Chiesa che è inseparabilmente «una», «santa» e «cattolica». Essere cristiani, far parte della Chiesa significa aprirsi a questa comunione, come un seme che si schiude nella terra, morendo, e germoglia verso l’alto, verso il cielo”.


“Anche il nostro tempo – ha detto il Papa - ha bisogno di Santi e i Santi ci mostrano in molti modi come oggi possiamo vivere il Vangelo”:


“In ciascuno di loro, in modo molto personale, si è reso presente Cristo, grazie al suo Spirito che opera mediante la Parola e i Sacramenti. Infatti, l’essere uniti a Cristo, nella Chiesa, non annulla la personalità, ma la apre, la trasforma con la forza dell’amore, e le conferisce, già qui sulla terra, una dimensione eterna. In sostanza, significa diventare conformi all’immagine del Figlio di Dio (cfr Rm 8,29), realizzando il progetto di Dio che ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza”. 


Questo inserimento in Cristo – ha proseguito Benedetto XVI - ci apre “alla comunione con tutti gli altri membri del suo Corpo mistico che è la Chiesa, una comunione che è perfetta nel «Cielo», dove non c’è alcun isolamento, alcuna concorrenza o separazione”:


“Nella festa di oggi, noi pregustiamo la bellezza di questa vita di totale apertura allo sguardo d’amore di Dio e dei fratelli, in cui siamo certi di raggiungere Dio nell’altro e l’altro in Dio”.



Oggi 3.11.2012 il Papa ha celebrato una Messa di Suffragio per i Prelati deceduti questo anno CLICCA QUI PER L'OMELIA

[SM=g1740717] [SM=g1740720]
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06/11/2012 14:03
 
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Quegli sguardi
   

«Respice stellam, voca Mariam»: è l’invito di san Bernardo, che raccoglie l’istintiva preghiera di tanti cristiani, all’apparire della prima luce nel cielo vespertino. Pensare a Maria ed invocare la sua protezione nasce spontaneo nel cuore del devoto, forse perché la Madonna, da sempre, è la stella, la fulgida luce che guida il cammino, «Stella del mattino, Stella del mare», stella incoronata di stelle. I grandi artisti e la tradizione popolare l’hanno spesso immaginata e ritratta con gli occhi rivolti al cielo, per sottolineare la meta da lei indicata.

Ed è proprio seguendo con la mente il suo sguardo che possiamo aspirare a raggiungere la vera gioia, nel regno del Padre. Lo facciamo come il bambino che guarda con curiosità e fiducia là dove la mamma rivolge il suo viso, perché sa che vedrà qualcosa di bello e di buono, qualcosa che lo interessa.

Anche per la Vergine Maria è stato lo sguardo di un Altro ad orientare i suoi occhi, e soprattutto il suo cuore, verso il cielo, per sempre: «L’anima mia magnifica il Signore, perché ha guardato all’umiltà della sua serva!». E da quel momento quanti sguardi rivolti al suo Dio, nella semplicità della sua casa e tra la gente osannante il suo Gesù.

Ignoto, Madonna benedicente di Varna (ca. 1200), Museo diocesano, Bressanone (Bolzano).
Ignoto, Madonna benedicente di Varna (ca. 1200), Museo diocesano, Bressanone (Bolzano – foto Giancarlo Giuliani).

La possiamo immaginare china sul bimbo appena nato, a Betlemme, intenta a "vedere" oltre quella creatura umana misteriosamente affidata alle sue cure amorose; poi, alcuni anni dopo, lo sguardo preoccupato che incontra gli occhi puri del Figlio dodicenne, occhi che, uniti alle parole – «Devo occuparmi delle cose del Padre mio» – le propongono ancora una volta il mistero, la volontà di un Dio a cui ha detto .

Più avanti nel tempo incontriamo Maria a Cana, nel giorno di festa per le nozze di amici, in cui è il suo sguardo attento e sollecito a cogliere la difficoltà degli ospiti: «Non hanno più vino». Una semplice constatazione che sollecita il primo miracolo di Gesù, ma che prima di tutto ci insegna ad essere sensibili e premurosi verso le necessità dei fratelli, anche nelle realtà quotidiane: i piccoli sguardi di ogni giorno per poter alzare gli occhi verso il cielo.

Quanti altri scambi di sguardi, più che di parole, con il Figlio, fino a quell’ultimo, sotto la croce, quando, forse più che in ogni altro momento, la Vergine Madre ha cercato nel dolore di "vedere oltre", per scoprire la presenza del suo Dio anche nel mistero di quella morte.

Ma è bello e rasserenante pensare a Maria estasiata di fronte al suo Maestro e Signore risorto; la immaginiamo in contemplazione, mentre ripercorre la sua vita, dall’apparizione dell’Angelo che ha trasformato la sua e la nostra storia.

Così, seguendo il suo sguardo, potremo anche noi esclamare con il salmista: «Quale gioia quando mi dissero: Andremo alla casa del Signore!».

Madì Drello

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La parola del Vescovo

 di mons. GIOVANNI GIUDICI, vescovo di Pavia

  
"Specchio della giustizia..."
   

La devozione dei credenti ha rivolto a Maria invocazioni e preghiere che si sono volta a volta trasformate in edicole, cappelle, santuari, ed anche in espressioni che ci aiutano a dare di Maria una immagine più concreta.
Ci soffermiamo sul titolo d’affetto che è rivolto a Maria con l’espressione: Specchio della giustizia.

Lo specchio è invenzione umana per esaminare da vicino il proprio volto; non riusciamo a vedere la nostra espressione facciale, eppure in essa ci esprimiamo e da essa siamo valutati spesso dalle persone. Dunque vi è in noi una grande curiosità per poterlo vedere.

A. Vivarini, Santa Chiara (1441), Kunsthistorisches Museum, Vienna.
A. Vivarini, Santa Chiara (1441), Kunsthistorisches Museum, Vienna (foto Lores Riva).

Una volta inventato, lo specchio ha acquisito tanti usi, non solo guardare il proprio volto. 
Ad esempio, in una stanza in cui non entra il sole, a causa della disposizione delle pareti o della finestra, può entrare anche il sole se sospendo lo specchio all’altezza giusta e nella posizione utile.

Chiamiamo Maria specchio di giustizia perché ella riflette nella nostra vita la giustizia, come lo specchio può far entrare la luce del sole che sfolgora fuori da una stanza buia.

Ma che cosa è la giustizia? Ce lo ricorda Paolo nella Lettera ai romani: la fedeltà misericordiosa di Dio. La benedizione a tutte le genti promessa ad Abramo e ai suoi discendenti, è realizzata pienamente con la venuta di Gesù tra noi. Dio è giusto perché, fedele alle sue promesse, trasforma la persona che si fida di lui.

Maria infatti rispecchia nella sua vita la misericordiosa fedeltà di Dio e trasmette a noi una certezza che ci fa lieti e fiduciosi. La sua vicenda di fanciulla serena e buona, di promessa sposa a Giuseppe, di madre di Gesù, uomo, maestro, Signore, illumina anche la nostra vicenda personale: ella ci rende certi che anche noi siamo amati, anche per noi Dio ha in serbo la sua misericordia che sana e ricostruisce la nostra povera vita, guida per cammini di pace e apre strade verso la speranza.

Santa Chiara, nella quarta lettera alla sua carissima discepola Agnese di Boemia raccomanda: guarda allo specchio e in esso vedi i connotati di Gesù. E vuol dirle: adegua la tua vita al volto del Cristo umile, generoso, che dona la vita per amore.

Questo è un secondo modo con cui pregare Maria specchio della giustizia; fa’, o Maria, che, guardando te nello specchio in cui cerco di vedere il mio volto spirituale, io desideri assomigliare a te e al tuo figlio Gesù.

mons. Giovanni Giudici



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Conversazione

 
di GIUSEPPE MARIA PELIZZA sdb

Un’opera meritoria
   

«Il dovere di onorare coloro che ci hanno lasciato per una vita oltre la morte».
  

Presso tutte le religioni, fin dai tempi più remoti, è diffuso il rispetto, il culto per i defunti. Mausolei sono stati costruiti in loro ricordo; le imbalsamazioni in uso presso certi popoli, le offerte, i riti sacrificali dimostrano quanto sia sentito il dovere di onorare coloro che ci hanno lasciato per una vita oltre la morte. Per molti è un preciso dovere di gratitudine per il bene ricevuto, a partire dal dono della vita ai valori intellettuali, morali, materiali con cui i nostri cari ci hanno beneficato durante la vita. Purtroppo sovente questo nobile sentimento viene espresso in maniera errata, con ostentazione di potere e ricchezza che non servono assolutamente al defunto, tanto meno a purificarlo dai peccati commessi durante la vita.

Il mese di novembre suscita in noi il ricordo di chi ci ha lasciato e il desiderio di rinnovare nella preghiera quegli affetti che con i nostri cari ci hanno tenuto uniti durante la loro vita terrena. Questo è il suffragio, parola che deriva dal verbo latino suffragari che significa: soccorrere, sostenere, aiutare. In vari modi la Chiesa ci insegna che possiamo suffragare le anime dei nostri cari defunti: con la celebrazione di Messe, con i meriti che acquistiamo compiendo le opere di carità, con l’applicazione delle indulgenze.

Una donna prega sulla tomba di Carlo Carretto (1910­1988), dei Piccoli Fratelli del Vangelo, a Spello (Perugia).
Una donna prega sulla tomba di Carlo Carretto (1910­1988), dei Piccoli Fratelli del Vangelo,
a Spello (Perugia – foto Alessia Giuliani).

Ma cos’è l’indulgenza? La definizione tecnica afferma che l’indulgenza è la remissione dinanzi a Dio della pena temporale per i peccati, già rimessi quanto alla colpa, che il fedele debitamente disposto, e a determinate condizioni, acquista per intervento della Chiesa, la quale, come ministra della redenzione, autoritativamente dispensa ed applica il tesoro delle soddisfazioni di Cristo e dei Santi.

Ogni peccato ha una duplice conseguenza: genera una colpa e comporta una pena. Mentre la colpa, ossia la rottura dell’amicizia con Dio, è rimessa dall’assoluzione sacramentale della Confessione, la pena permane anche oltre l’assoluzione. Allontaniamo da noi ogni pensiero che si tratti di un castigo che Dio infligge, analogamente a quanto avviene nel codice penale per i reati commessi. La pena di cui si parla qui è una conseguenza del peccato, che oltre ad essere rottura con Dio è anche contaminazione dell’uomo. Pensiamo cosa avviene quando due amici che hanno litigato si riconciliano. Ciò avviene, ma con fatica; ci vuole tempo e buona volontà. Non possiamo certamente esitare su Dio nel riammetterci alla piena comunione con lui, ma dobbiamo dubitare delle nostre capacità a staccarci completamente dal peccato e da ogni affetto malsano; è necessario un lungo cammino di conversione e di purificazione. La pena temporale è il tempo necessario per rigenerare la nostra capacità di amare Dio sopra ogni cosa. Questa pena temporale esige d’essere compiuta in questa vita come riparazione o in Purgatorio come purificazione. Le indulgenze sono come un medicamento cicatrizzante sulle nostre ferite spirituali e ci confermano nel proposito di rinnegare il peccato e sanciscono la nostra volontà di aderire pienamente al progetto di Dio.

Nel suo cammino terreno il cristiano vede come mezzi di purificazione, che facilitano il cammino verso la santità, le varie prove e la sofferenza stessa, l’impegno nelle opere di carità, la preghiera, le pratiche di penitenza e, non ultimo, l’acquisto delle indulgenze. Ma possiamo presumere che in questa vita riusciremo a giungere alla perfezione che ci permette di essere immediatamente ammessi alla piena comunione con Dio? Difficile, ecco allora il tempo di purificazione comunemente chiamato Purgatorio.

Per questo le Messe, le preghiere di suffragio e le indulgenze ci permettono di soccorrere i nostri defunti e abbreviare loro i tempi della purificazione. Presentarsi dinanzi a Dio non è come bere un bicchiere d’acqua. La sua luce è talmente folgorante che non potremmo sostenerla se non diventassimo, per sua grazia, anche noi luce nella sua luce. La comunione dei Santi consente di sostenere e aiutare i nostri cari in quest’opera di avvicinamento alla luce. Le nostre preghiere sono un modo per dimostrare ancora il nostro amore. Forse la forma più alta, pura e nobile.

Giuseppe Maria Pelizza





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[Modificato da Caterina63 06/11/2012 14:26]
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Le nostre lacrime
    morte

«Perché sono immerso nel dolore? Perché proprio a me queste sofferenze? Fino a quando riuscirò a sopportare queste pene?». Sono gli interrogativi che l’uomo nell’angoscia e nello sconforto rivolge a se stesso, agli altri, al mondo intero. Se crede nell’esistenza di Dio, la domanda non è meno impellente, pur avendo imparato a chiamarlo Padre e a pensarlo ricco di misericordia.

L’Antico Testamento è ricco di personaggi che interpellano l’Altissimo sulle loro disgrazie e sulla presunta ingiustizia subìta e immeritata; Giobbe, in questa schiera, rappresenta il simbolo più popolare e più vicino a molte persone che vivono nel disagio fisico e spirituale.

Quanti Perché? scaturiscono dalla sua bocca, nel travaglio quotidiano! Quanti Fino a quando? emergono dalle tenebre della sua anima angosciata! E poi le richieste di aiuto, di cessazione del dolore, di eliminazione della stessa vita: lamenti presenti in diversi salmi, implorazioni che lacerano l’anima. Ma alla fine, nella supplica salmica come nella vicenda drammatica di Giobbe, il dolore viene affidato a Dio, che risponde, talvolta donando gioia e liberazione, a volte offrendo la visione rasserenante del suo "progetto" sulle sofferenze umane.

E allora si apre uno spiraglio di luce: credere significa riconoscere che dolore e Dio sono coerenti e che è lecito "cantare" nel deserto della prova. «Io a te, Signore, grido aiuto, al mattino giunge sino a te la mia preghiera»: questa l’ultima invocazione nel Salmo 88, che rivela non solo la disperazione, ma la certezza che le lacrime non si asciugano nell’aridità del deserto. «Il mio vagabondare tu lo registri, o Signore; le mie lacrime nell’otre tuo raccogli», afferma, con straordinaria poesia spirituale, il Salmo 56: questa fiducia rende possibile anche il canto nelle tenebre del dolore.

«Soffrivo molto, ma l’anima cantava», ha scritto nel suo diario la beata Chiara Luce Badano, la giovane focolarina morta diciannovenne, dopo anni di grandi sofferenze. I giorni della sua esistenza terrena sono sempre stati ricchi di carità donata a piene mani, di profonda sensibilità e di continue attenzioni verso gli altri, anche quando il dolore fisico era insopportabile. «Ho rifiutato la morfina – diceva con semplicità – perché mi toglie lucidità e io posso offrire a Gesù soltanto la mia sofferenza».

Alla Madonna, che forse le è apparsa nelle vesti di una malata nell’ospedale dove era ricoverata, Chiara dice: «Tu sai quanto desideri guarire, ma se non rientra nei piani di Dio, aiutami a non mollare mai... Più di ogni altra cosa voglio stare al gioco di Dio».

È impressionante sentire parlare della volontà del Signore, che può apparire misteriosa e tremenda per la vita di questa ragazza, come di un gioco tra lei e il suo Sposo: «Gesù mi aspetta; quando viene a prendermi sono pronta».

Così "cantava" Chiara Luce, nei suoi giorni terreni, portando la sua lampada, perché tante persone, in particolare i giovani, sappiano affidarsi in ogni momento, soprattutto nelle difficoltà, al Dio buono e misericordioso in cui lei ha creduto.

«Vedi – confidava alla mamma – io non posso più correre, però vorrei passare ai giovani la fiaccola, come alle Olimpiadi».

Madì Drello


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[Modificato da Caterina63 07/11/2012 13:10]
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13/11/2012 17:10
 
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[SM=g1740717] - Annus Fidei Padre Pio Rosario Anime del Purgatorio

Dalla viva voce di San Padre Pio ascoltiamo e preghiamo.
www.gloria.tv/?media=358651



In questo Annus Fidei vogliamo davvero riscoprire le perle preziose contenute nelle Dottrine, anche per questo vi stiamo offrendo piccoli video che affondano, argomento per argomento, i contenuti catechetici.
Spesso basta sentire il termine Dottrina per sentirsi inquieti e frustrati, come se queste ci impedissero in qualche modo nella propria liberta, ma non è così.
E' necessario che entriamo dentro ai contenuti per comprendere con quanto amore Dio stesso ci guida. Le Anime del Purgatorio che sono già immerse nella verità, attendono da noi un aiuto concreto tramite il quale anche noi ne avremmo un santo guadagno.

Movimento Domenicano del Rosario
www.sulrosario.org
info@sulrosario.org



[SM=g1740766]


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31/10/2013 08:16
 
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UDIENZA GENERALE



Piazza San Pietro
Mercoledì, 30 ottobre 2013







Cari fratelli e sorelle,      


Oggi vorrei parlare di una realtà molto bella della nostra fede, cioè della “comunione dei santi”. Il Catechismo della Chiesa Cattolica ci ricorda che con questa espressione si intendono due realtà: la comunione alle cose sante e la comunione tra le persone sante (n. 948). Mi soffermo sul secondo significato: si tratta di una verità tra le più consolanti della nostra fede, poiché ci ricorda che non siamo soli ma esiste una comunione di vita tra tutti coloro che appartengono a Cristo. Una comunione che nasce dalla fede; infatti, il termine “santi” si riferisce a coloro che credono nel Signore Gesù e sono incorporati a Lui nella Chiesa mediante il Battesimo. Per questo i primi cristiani erano chiamati anche “i santi”(cfr At 9,13.32.41; Rm 8,27; 1 Cor 6,1).


1. Il Vangelo di Giovanni attesta che, prima della sua Passione, Gesù pregò il Padre per la comunione tra i discepoli, con queste parole: «Perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (17,21). La Chiesa, nella sua verità più profonda, è comunione con Dio, familiarità con Dio, comunione di amore con Cristo e con il Padre nello Spirito Santo, che si prolunga in una comunione fraterna. Questa relazione tra Gesù e il Padre è la “matrice” del legame tra noi cristiani: se siamo intimamente inseriti in questa “matrice”, in questa fornace ardente di amore, allora possiamo diventare veramente un cuore solo e un’anima sola tra di noi, perché l’amore di Dio brucia i nostri egoismi, i nostri pregiudizi, le nostre divisioni interiori ed esterne. L’amore di Dio brucia anche i nostri peccati.


2. Se c’è questo radicamento nella sorgente dell’Amore, che è Dio, allora si verifica anche il movimento reciproco: dai fratelli a Dio; l’esperienza della comunione fraterna mi conduce alla comunione con Dio. Essere uniti fra noi ci conduce ad essere uniti con Dio, ci conduce a questo legame con Dio che è nostro Padre. 
Questo è il secondo aspetto della comunione dei santi che vorrei sottolineare: la nostra fede ha bisogno del sostegno degli altri, specialmente nei momenti difficili. 
Se noi siamo uniti la fede diventa forte. Quanto è bello sostenerci gli uni gli altri nell’avventura meravigliosa della fede! Dico questo perché la tendenza a chiudersi nel privato ha influenzato anche l’ambito religioso, così che molte volte si fa fatica a chiedere l’aiuto spirituale di quanti condividono con noi l’esperienza cristiana. Chi di noi tutti non ha sperimentato insicurezze, smarrimenti e perfino dubbi nel cammino della fede? Tutti abbiamo sperimentato questo, anch’io: fa parte del cammino della fede, fa parte della nostra vita. Tutto ciò non deve stupirci, perché siamo esseri umani, segnati da fragilità e limiti; tutti siamo fragili, tutti abbiamo limiti. Tuttavia, in questi momenti difficoltosi è necessario confidare nell’aiuto di Dio, mediante la preghiera filiale, e, al tempo stesso, è importante trovare il coraggio e l’umiltà di aprirsi agli altri, per chiedere aiuto, per chiedere di darci una mano. Quante volte abbiamo fatto questo e poi siamo riusciti a venirne fuori dal problema e trovare Dio un’altra volta! In questa comunione – comunione vuol dire comune-unione – siamo una grande famiglia, dove tutti i componenti si aiutano e si sostengono fra loro.


3. E veniamo a un altro aspetto: la comunione dei santi va al di là della vita terrena, va oltre la morte e dura per sempre. Questa unione fra noi, va al di là e continua nell’altra vita; è una unione spirituale che nasce dal Battesimo e non viene spezzata dalla morte, ma, grazie a Cristo risorto, è destinata a trovare la sua pienezza nella vita eterna. C’è un legame profondo e indissolubile tra quanti sono ancora pellegrini in questo mondo – fra noi –  e coloro che hanno varcato la soglia della morte per entrare nell’eternità. Tutti i battezzati quaggiù sulla terra, le anime del Purgatorio e tutti i beati che sono già in Paradiso formano una sola grande Famiglia. Questa comunione tra terra e cielo si realizza specialmente nella preghiera di intercessione.


Cari amici, abbiamo questa bellezza!  È una realtà nostra, di tutti, che ci fa fratelli, che ci accompagna nel cammino della vita e ci fa trovare un’altra volta lassù in cielo. Andiamo per questo cammino con fiducia, con gioia. Un cristiano deve essere gioioso, con la gioia di avere tanti fratelli battezzati che camminano con lui; sostenuto dall’aiuto dei fratelli e delle sorelle che fanno questa stessa strada per andare al cielo; e anche con l’aiuto dei fratelli e delle sorelle che sono in cielo e pregano Gesù per noi. Avanti per questa strada con gioia!


Saluti:


[Saluto cordialmente i pellegrini presenti di lingua francese, . Buona festa di Tutti i Santi, e affidate sempre i vostri defunti alla misericordia di Dio!]


     


Ein herzliches Willkommen allen Pilgern deutscher Sprache. Besonders grüße ich die jungen Sänger des Kölner Domchors mit ihren Eltern sowie das Landeskomitee der Katholiken in Bayern. Liebe Freunde, entdecken wir immer mehr die Schönheit des Glaubens durch die Gemeinschaft der Heiligen! Gott segne euch alle.


[Un cordiale benvenuto a tutti i pellegrini di lingua tedesca. In particolare saluto i giovani cantanti del Kölner Domchor con i loro genitori nonché il Landes-Komitee dei cattolici di Baviera. Cari amici, riscopriamo sempre più la bellezza della fede mediante la comunione dei santi! Dio vi benedica tutti.]


 


[Cari pellegrini del Portogallo, di Timor Est e del Brasile: benvenuti! Fra qualche giorno celebreremo la solennità di Tutti i Santi e la commemorazione dei fedeli defunti. La fede nella comunione dei santi vi stimoli ad affidare a Dio, specialmente nell’Eucaristia, i vostri familiari, amici e conoscenti deceduti, sentendoli vicini nella grande compagnia spirituale della Chiesa. Dio vi benedica a tutti!]


أتوجَّه ُ بتحيةٍ حارة إلى الحجّاج الناطقينَ باللغةِ العربية، لا سيما القادمين من العراق. عندما تشعرون بعدم الأمان والضياع وحتى بالشكّ في مسيرة الإيمان حاولوا أن تتكلوا على معونة الله، من خلال الصلاة البَنَويَّة، وفي الوقت عينه، تحلّوا بالشجاعة والتواضع لكي تتمكّنوا من الإنفتاح على الآخرين. ماأجمل أن نعضد بعضنا بعضاً في مغامرة الإيمان الرائعة. ليبارككم الرب جميعاً!


[Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua araba, in particolare a quelli provenienti dall’Iraq. Quando sperimentate insicurezze, smarrimenti e perfino dubbi nel cammino della fede cercate di confidare nell’aiuto di Dio, mediante la preghiera filiale, e, al tempo stesso, di trovare il coraggio e l’umiltà di aprirsi agli altri. Quanto è bello sostenerci gli uni gli altri nell’avventura meravigliosa della fede! Il Signore vi benedica!]


 


[Saluto tutti i polacchi! Carissimi, tutti i battezzati quaggiù sulla terra, le anime del Purgatorio e tutti i beati che sono in Paradiso formano una sola grande famiglia. Questa comunione tra terra e cielo si realizza specialmente nella preghiera di intercessione, che è la più alta forma di solidarietà, ed è anche alla base della celebrazione liturgica di Tutti i Santi e della Commemorazione dei fedeli defunti, che vivremo nei prossimi giorni. Ringraziamo Dio per il dono e per il desiderio della santità che ci unisce! Dio vi benedica!]


 


APPELLO


 


Al termine dell’Udienza saluterò una delegazione di sovraintendenze irachene, con rappresentanti dei diversi gruppi religiosi, che costituiscono la ricchezza del Paese, accompagnata dal Card. Tauran, Presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. Vi invito a pregare per la cara nazione irachena purtroppo colpita quotidianamente da tragici episodi di violenza, perché trovi la strada della riconciliazione, della pace, dell’unità e della stabilità.


* * *


 


Saluto infine i malati, gli sposi novelli e i giovani, con un pensiero speciale agli studenti dei Collegi Universitari provenienti da tutta Italia. Venerdì prossimo celebreremo la Solennità di Tutti i Santi. La loro testimonianza di fede rafforzi in ciascuno di voi, cari giovani, la certezza che Dio vi accompagna nel cammino della vita; sostenga voi, cari ammalati, alleviando la vostra quotidiana sofferenza; e sia di aiuto a voi, cari sposi novelli, nel costruire la vostra famiglia sulla fede in Dio.


 


 
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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01/11/2013 00:26
 
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Giocando nei prati del Signore. Storie dei “bambini prodigio” di Dio


Posted on 31/10/2013


collage4

piccoli passi verso ilCielo:

quei bambini che hanno capito tutto

prima di noi. E senza paura hanno guardato il Mistero, senza terrore sono andati incontro, consapevoli, al sacrificio. Con semplicità si sono immersi negli abissi degli assoluti. Toccando il cielo con un dito. Giocando nei prati del Signore

Chi sono i santi bambini e perché in qualche modo inquietano? Cosa c’è di straordinario e di terribile in loro che attrae e e nello stesso tempo atterrisce? Un viaggio attraverso la santità dei più piccoli ci svela il mistero delle loro delicatissime e meravigliose figure, rispondendo alle varie obiezioni che vengono sollevate da noi adulti. Che di obiezioni ne abbiamo tante proprio perché questo tipo di santità ci sembra spesso innaturale e quasi irreale. Ma è davvero così? La vita di questi santi bambini sembra suggerirci proprio il contrario e ci dice che loro sono arrivati per primi a comprendere l’essenza della santità Perchè se questa appartiene a chi si fa bambino per il Regno dei Cieli loro, questi piccoli d’età non hanno aspettato di diventare adulti per capirlo.

 

di Dorotea Lancellotti da papalepapale.com

Ci scrive il Mastino: “Sono stranamente terrorizzato da queste figure di bambini santi…”. Io, Claudia e Nicola gli rispondiamo che non c’è nulla da aver paura, anzi, dobbiamo ringraziare il Cielo per queste anime predilette e giù a spiegare quel tipo di santità senza filtri che spaventa “il nostro Mastino”.

In verità scopriamo poi, ancora una volta, il suo animosensibile quando ci dice che:  «In questi bambini avverti l’impatto dell’incontro nudo e crudo con la divinità, senza sovrastrutture culturali, senza veli pedagogici, senza barriere e filtri, in modo spontaneo e diresti quasi selvatico, naturale. Senza mediazioni di sorta: diretti. Soli dinanzi a Dio senza soggezione. Questo spaventa, rende spaventoso questo impatto tragico, e dolce, con il divino. Questi bambini riescono ad essere totalmente “altro”, sembrano quasi perdere non dico l’umanità ma l’infanzia, come non ne avessero mai avuta una. Avverti che non sono, non sono mai davvero stati di questo mondo. E tutto questo è spaventoso, fa accapponare la pelle. Mi sembra tutto estremo in loro, tutto disperato e al contempo pieno di grazia…». Questo dice con la sua non sai mai se profondità o innocenza il Mastino.

Il dolore degli “Innocenti”?

Il martirio di un santo bambino: San Cristoforo della Guardia. Di lui si sa pochissimo ma il suo culto fu autorizzato dalla Chiesa nel 1805.

Innanzi tutto sfatiamo un mito: nessuno è “innocente”, neppure un bambino. E questo è comprensibile solo se si accoglie con serenità la dottrina del peccato originale. Nel momento in cui questa dottrina è venuta meno, rifiutata – grazie anche ad una certa propaganda protestante da quattrocento anni a questa parte – si è indebolita la comprensione di certo dolore, si è offuscato il senso della sofferenza e della donazione di sé.

Dice sant’Agostino nell’esporre il Salmo 51(50) : “in un altro passo il profeta dice: Nessuno è puro al tuo cospetto, neppure il bambino che ha un solo giorno di vita sulla terra. Sappiamo, infatti, che con il battesimo di Cristo sono lavati i peccati, e che il battesimo di Cristo è efficace per ottenere il perdono dei peccati. Se i fanciulli sono assolutamente innocenti, perché le madri corrono alla chiesa con i loro piccoli deboli? Che cosa si lava con quel battesimo, che cosa si perdona con quella remissione? Io vedo l’innocente piuttosto piangere che adirarsi. Che cosa lava il battesimo? che cosa scioglie quella grazia? Scioglie la radice del peccato…”.

Per questo quando parliamo dell’Immacolata non parliamo di una creatura nata senza peccato perché era una dea, ma che in previsione dei meriti di Cristo, suo Figlio e Salvatore, fu “preservata”, salvata nel momento del concepimento, unica Creatura al mondo ad aver avuto questo privilegio per i motivi che la dottrina ci insegna e quale nostro prototipo: ossia Ella è icona, modello ed esempio di ciò che ognuno di noi deve diventare per entrare nel Regno dei Cieli.

L’esortazione apostolica di Giovanni Paolo II sulla sofferenza: Salvifici doloris.

Quante volte ci sentiamo chiedere, oppure ce lo chiediamo noi stessi: “che senso ha che un bambino soffra? Può un Dio, che chiamiamo Amore e Bene assoluto, godere o desiderare della sofferenza dei bambini?”. Ci sono alcuni che finiscono per dipingere un Dio bramoso che si “alimenta” della sofferenza di questi bambini dimenticando però che Dio stesso si fece bambino per finire sulla Croce. I più fatalisti invece, che rifiutano di avere a che fare con un Dio fatto Persona, parlano di fatalità, destino, ma anche a voler assecondare la loro opinione, non si risolve la domanda spinosa: perché? Noi che fatalisti non siamo, con un pò di sano realismo vogliamo affrontare l’argomento per tentare di capirci qualcosa, senza pretesa alcuna, ma con il corretto discernimento di una coscienza aperta al mistero di Dio, senza pretendere di svelarlo, quanto piuttosto arricchirci di qualche elemento in più per poterlo accoglierlo serenamente. Suggeriamo anche la Lettera Salvifici Doloris di Giovanni Paolo II.

E’ naturale che laddove ci soffermassimo ad estremizzare i fatti, non renderemo mai pienamente la verità di quanto fa trasparire, su questi santi bambini, lo stesso Mastino: ” non sono mai davvero stati di questo mondo” ma senza perdere, per questo, la realtà che erano nel mondo. E sempre di Antonio vi suggeriamo di ri-sfogliare e rimeditare l’articolo“Chi vi ha detto che avete diritto di essere felici?” quando parliamo, appunto, della falsa felicità che pretende un paradiso in terra, mentre, in realtà. attendiamo la vera felicità per il regno di Dio e qui siamo, come diciamo nella Salve Regina,  “in una valle di lacrime”. La terra è il nostro Calvario.

Ma che tipo di fede è quella dei bambini santi?

La piccola Maria Goretti, una santa bambina tra le più note. Uccisa a 12 anni per non avere acconsentito alle voglie di un ragazzo.

Veniamo ora ad esaminare le possibili obiezioni.

1) Non si dovrebbero beatificare i bambiniperché l’adesione alla fede deve essere piena, consapevole, razionale. E i bambini non hanno raggiunto questa consapevolezza.

Apparentemente è vero: quale consapevolezza potrebbero avere dei bambini a riguardo del peccato e del male? In verità essi, specialmente se battezzati, essendo così salvati dal peccato originale e non avendo ancora consapevolezza della malizia, possono dare testimonianza della perfetta beatitudine, motivo per il quale Gesù stesso ce li offre quale immagine da seguire: ” In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli” (Mt.18,1-5). Notare che Gesù oppone una clausola per noi adulti che leggiamo e che bambini non lo siamo più, il convertirsi. Prima bisogna convertirsi e poi diventare piccoli, ossia riacquistare quell’innocenza che i bambini hanno ricevuto nel battesimo. Dice infatti san Paolo agli Efesini: ” In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della sua volontà” (cap.1,4-6).

La serva di Dio brasiliana Odette Vidal de Oliveira. 9 anni di vita vissuti tutti per Gesù: giovanissima catechista, amante della Santa Eucaristia e poi sul Calvario con il suo Signore per una febbre tifoidea che la consumò in 49 giorni.

Erroneamente si va dicendo che nel passato la Chiesa fosse restia ad intraprendere e portare avanti cause di beatificazione riguardanti ragazzi e adolescenti di ambo i sessi; qualcuno diceva che un bambino di per sé non può essere santo e semmai lo sembrasse ciò sarebbe il risultato dell’opera troppo pressante di adulti, che quasi lo costringono ad essere così. In verità non è così, la Chiesa ha sempre tenuto in alta considerazione l’esempio dei bambini. Vi è da dire, piuttosto, che solo dal 1800 ad oggi troviamo riscontro di bambini protagonisti di una diretta difesa o testimonianza della fede e forse non è un caso che proprio in questo tempo in cui l’aborto miete milioni di vittime innocenti, che l’eroicità di queste anime si è fatta più pressante uscendo allo scoperto.

La beatificazione che si fa ai bambini è infatti una proclamazione, affermazione, di quella realtà da loro vissuta e che Gesù vuole per i suoi discepoli, per le sue membra nella Chiesa. Non a caso i funerali che si fanno ai bambini battezzati non sono funerali di riparazione, ma è già una glorificazione; è detta “Messa degli Angeli” e non è un comune funerale che si fa come nel caso degli adulti; è per questo che la loro bara è bianca, a significare già la loro beatitudine. Tutti i bambini morti – con il battesimo – prima dell’età della ragione (effetto con il quale l’animo dell’adolescente entra in contatto con la malizia), sono già beatificati. Quelli che la Chiesa eleva agli onori degli altari servono a noi come prova e come insegnamento, quali modelli e icone della parola del Cristo applicata e pienamente realizzata e sono casi particolari, ma sono anche la prova, appunto, di questo rapporto della grazia che il battesimo dona a quanti lo ricevono e ne rimangono fedeli.

Antonietta Meo, conosciuta come Nennolina. Ha il titolo di “venerabile” e molti parlano della santità della sua breve vita.

In questi bambini, spesse volte, l’adesione alla fede è messa a dura prova, dalla sofferenza che vivono, come nel caso della piccola Nennolina, la quale era pienamente consapevole di ciò che stava passando: in una sua letterina ai genitori promette di mandare tanti gigli dal Paradiso ossia tante grazie. Un’altra espressione che va ricordata è il suo desiderio di essere “la lampada che arde davanti al Tabernacolo giorno e notte”; e vi è riuscita, sapeva quello che voleva, sapeva quello che faceva e sapeva di dover morire presto.

Forse sia Nennolina che altri bambini in cammino verso la canonizzazione o già canonizzati non erano consapevoli delle frasi paoline, teologicamente lette, quali “completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo” così come ce lo hanno spiegato poi gli adulti canonizzati, ma senza dubbio questi bambini hanno tradotto nella propria realtà di vita il contenuto stesso di ciò che leggiamo nella Scrittura: “Io ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così ti è piaciuto” (Lc. 10, 21); Gesù rende grazie al Padre perché si è deliziato dei piccoli. ” Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio”. (I Cor 1,27-28). Questo è il senso della beatificazione dei bambini santi.

Che idea hanno del sacrificio?

Francesco e Giacinta, i pastorelli di Fatima, già beatificati dalla Chiesa.

Seconda obiezione:

2) Morendo, i bambini non sanno a cosa rinunciano e non hanno idea di cosa sia davvero il sacrificio.

La prima risposta è la seguente: come si fa a desiderare altro quando si è venuti a contatto con l’eternità! E’ proprio vero che i bambini morti in odore di santità non fossero consapevoli di ciò che lasciavano? Mi vengono a mente le parole della Madonna di Fatima ai tre Pastorelli, prendiamo Giacinta, solo 8 anni, ella fu consapevole che doveva morire. Glielo aveva detto la Madonna senza giri di parole. Nella prima apparizione la Madonna chiede: “Volete offrirvi a Dio pronti a sopportare tutte le sofferenze che Egli vorrà mandarvi, in riparazione dei peccati con cui Egli è offeso, e per ottenere la conversione dei peccatori?” – “Si, vogliamo!”, rispondono i tre bambini, ma non basta, la Madonna va ben oltre a annuncia: “Allora dovrete soffrire molto, ma la grazia di Dio sarà il vostro conforto”. Nell’apparizione di giugno Lucia, che aveva già 12 anni, chiede: “Vorrei chiederLe di portarci in Cielo” – e la Madonna preannuncia: “Si, Giacinta e Francesco li porto fra poco, ma tu resterai qui ancora per qualche tempo. Gesù vuole servirsi di te per farmi conoscere ed amare. Vuole stabilire nel mondo la devozione al Mio Cuore Immacolato. A chi la praticherà prometto la salvezza. Queste anime saranno predilette da Dio, e come fiori saranno collocate da Me dinanzi al Suo trono”. “Resterò qui da sola?” – chiede Lucia spaventata di dover rimanere senza coloro con i quali stava condividendo un pezzo di Cielo: “No, figlia Mia. Non ti scoraggiare, Io non ti abbandonerò mai. Il Mio Cuore Immacolato sarà il tuo rifugio e la via che ti condurrà a Dio”.

 

In questo breve dialogo si comprende perfettamente quanto essi fossero consapevoli che più che  rinunciare a qualcosa, si stavano guadagnando la beatitudine eterna.

Non dimentichiamo a quanto sarà dolorosa la croce di Giacinta che a soli 8 anni vivrà un tremendo calvario fino a morire da sola, lontano dai genitori, come la Madonna le aveva predetto e che lei aveva accettato liberamente senza mai pentirsi.

In queste parole di Nennolina si comprende perfettamente la consapevolezza di questi bambini adombrati, senza dubbio, dalla grazia santificante: ” Caro Gesù io so che Tu soffristi tanto sulla Croce ed io questa settimana di Passione voglio soffrire con Te, voglio soffrire per le anime che ne hanno bisogno, perché si convertano. Caro Gesù io Ti voglio tanto bene, proprio tanto o Gesù, e io voglio essere la Tua lampada e il Tuo giglio, il giglio che rappresenta la purità dell’anima e la lampada che rappresenta la fiamma d’amore che non Ti lascia mai solo. Caro Gesù benedici la Chiesa, il Clero e specialmente il mio confessore la mia famiglia la mia maestra, e tutto il mondo. Caro Gesù Ti mando tanti baci e saluti la Tua Antonietta e Gesù.”

(lettera n.144 - 16 marzo 1937 firma autografa).

Appare evidente che questi bambini sono consapevoli di vivere un rapporto straordinario, ma in modo ordinario, con Dio.

Il giovanissimo seminarista Rolando Rivi, beatificato di recente.

E come non citare il neo beatificato Rolando Rivi? Sì, parliamo già di un adolescente, ma non dimentichiamo che la sua resistenza in difesa della fede nasce proprio da una fanciullezza vissuta in contatto costante con Dio. Un ragazzo che a quattordici anni rischia la vita per non togliersi la talare, la divisa del sacerdote che sarebbe voluto diventare, non è preda di un capriccio nè compie un’azione da personaggio dei fumetti. Il desiderio di diventare “sacerdote e missionario” cresce guardando alla figura del suo parroco e quando Rolando capisce che i carnefici partigiani non avrebbero avuto pietà, chiede solo di poter pregare per il suo papà e per la sua mamma. Anche in quest’ultimo istante, nella preghiera, Rolando riafferma la sua appartenenza all’amico Gesù, al suo amore e alla sua misericordia, sapendo bene che sta rinunciando alla vita terrena per entrare da beato in quella eterna.

Il martire, appena quattordicenne, Josè Sanchez del Rio.

E come non ricordare i famosi Cristeros, Martiri di Cristo Re? Fra i tanti ricordiamo il quattordicenne messicano José Sanchez Del Rio, visitando la tomba del beato martire Anacleto González Flores, chiese a Dio di poter morire in difesa della fede. Fu ucciso il 10 febbraio 1928, gridando: “Viva Cristo Re! Viva la Vergine di Guadalupe!”. Il martirio di questa vittima della persecuzione religiosa provocata dalla nuova costituzione messicana del 1917, fu riconosciuto il 22 giugno 2004 da Giovanni Paolo II ed è stato beatificato il 20 novembre 2005, sotto il pontificato di Benedetto XVI. Bambini e adolescenti ben consapevoli a cosa stavano rinunciando pur di non rinnegare Cristo Re che avevano imparato a conoscere e ad amare. Anzi, vogliamo cogliere l’occasione di questo articolo per ricordare tutti, ma proprio tutti questi bambini e adolescenti che hanno subito torture o malattie per insegnarci come si ama Dio fino in fondo.

Ma non è che si tratta solo di un gioco da bambini?

La beata argentina Laura Vicuña: muore di malattia a 13 anni. Ma già alcuni anni prima ha chiesto a Dio di prendersi la sua vita pur di ricondurre la madre alla fede.

Terza obiezione o provocazione

3) Le cose che questi bambini dicono sembrano “fuffa devozionistica”, udita qua e là e ripetuta a gogò: sembra esserci, più che precoce consapevolezza, precoce autocompiacimento infantile, quasi uno scambiare il dramma della vita e della morte per un gioco. E questa è la cosa più inquietante che c’è in queste figure.

Per rispondere a questa obiezione, viene in mente la scena della parabola del ricco e di Lazzaro(Lc.16,19-31): ” padre, ti prego di mandarlo a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento. Ma Abramo rispose: Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro. E lui: No, padre Abramo, ma se qualcuno dai morti andrà da loro, si ravvederanno. Abramo rispose: Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti saranno persuasi…”.

Non v’è dubbio che anche a quel “ricco” Lazzaro era sembrato una “fuffa devozionistica” ed ora, invece, compreso il mistero della sofferenza del povero, supplicava per i suoi fratelli, ma troppo tardi!

L’incredulità non ci danneggia se qualcuno non ci ammonisce dei rischi che corriamo, ma quando siamo avvisati e siamo messi al corrente dell’esistenza di un altro “mondo” per il quale Cristo ci ha preceduti preparandoci un posto (Gv.14,2), allora diventiamo responsabili delle nostre scelte e non si scappa.

Una delle lettere scritte da Nennolina.

Che cosa è dunque che inquieta di più? il fatto che questi bambini hanno ricevuto la prova di questo regno e quindi ci danno la testimonianza che è raggiungibile? E che le prove possono essere affrontate? Oppure che avendo maturato in noi la malizia e avendo abbracciato i piaceri del mondo non siamo capaci di distaccarcene e ci infastidisce, perciò, che dei bambini ci insegnino la via? Sarebbe “fuffa devozionistica” se da parte di questi bambini non ci fosse quella consapevolezza di cui abbiamo portato la prova nel dialogo a Fatima – se vogliamo anche Bernadette a Lourdes – o non avessero anche dato prova di morire in odio alla fede o dopo aver sopportato grandi sofferenze. Dunque quella conclusione che li ha visti protagonisti di croci davvero dolorose non era “fuffa” e le croci erano sopportate non certo per devozionismo, ma perchè vedevano davvero Gesù accanto a loro. Quando Nennolina in una delle sue letterine scrive: “Cara Madonnina Tu che sei tanto pura, fammi anche me pura come sei Tu. Tu che hai sofferto tanto in questi giorni, anch’io voglio sopportare la mia croce con Te.”, certo che senza dubbio sono parole “udite” dagli adulti ma a metterle in pratica è lei, è la sua libera scelta, e la sua esperienza personale che fa diventare ciò che ha udito, una meta, lo scopo della sua sofferenza. In verità, dunque, ciò che veramente ci “sconcerta” in questi bambini è quell’essere riusciti laddove noi, cattolici adulti – sic! – non riusciamo ad avvicinarci neppure dopo una confessione… è la verità che sconcerta e l’aspetto più inquietante è quando rifiutiamo questa verità per tentare di giustificare le nostre incapacità di autentica devozione.

Bambini che diventano esempio degli adulti?

 San Domenico Savio. La sua testimonianza di fede è un esempio luminoso per tutta la congregazione dei salesiani. Ma è anche uno dei santi più conosciuti e ammirati dal resto del mondo cattolico.

4) Ma che razza di esempio possono mai dare dei bambini? il ruolo del santo è proprio quello di fungere da esempio per i credenti, ma che c’è da imitare nei bambini? Nella loro così scarsa esperienza della vita e cognizione della morte che ne rende appunto molto superficiale la conoscenza del dolore?

Rispondendo a questa obiezione, dobbiamo dire, intanto, che la loro conoscenza del dolore fosse o sia superficiale è tutto da dimostrare, e molti fatti già riportati anche qui, ci dicono esattamente il contrario. L’esempio e la testimonianza che ci possono dare, e che ci danno, è già accennato in quelle espressioni offerte da Mastino: “Questi bambini riescono ad essere totalmente “altro”, sembrano quasi perdere non dico l’umanità ma l’infanzia, come non ne avessero mai avuta una. Avverti che non sono, non sono mai davvero stati di questo mondo. E tutto questo è spaventoso, fa accapponare la pelle. Mi sembra tutto estremo in loro, tutto disperato e al contempo pieno di grazia….”.

Non è che non hanno mai avuto una infanzia: al contrario, con questa infanzia essi saranno beatificati eternamente vivendo con ciò la loro più autentica maturità.

Come abbiamo già spiegato, noi eravamo stati creati per essere ciò che questi bambini di fatto ci danno testimonianza: santi e immacolati. Il peccato originale ha interrotto questa beatitudine e attraverso questi bambini – battezzati – ci viene riproposto, per grazia sublime, il vero motivo per cui nasciamo e dove siamo diretti. Cosa possiamo imitare in loro se non quella purezza della fede che essi vedono, sentono e vivono nella personale esperienza? Se prendiamo come esempio un san Filippo Neri, egli aveva l’animo innocente e la purezza di un bambino, tanto da esprimersi spesso come un bambino, un aspetto che urtava il grande sant’Ignazio di Loyola che preferiva trattare gli argomenti in modo così approfondito da diventare spesso incomprensibile però ai bambini. Non a caso san Filippo è più familiare ai bambini mentre sant’Ignazio è definito il santo dei colti, per gli adulti, per quelli che devono formarsi alla vita sacerdotale, ma entrambi sono santi, entrambi sono dovuti diventare, in un certo senso, dei bambini, entrambi sono di esempio e di grande edificazione per tutti

 

San Paolo ricorda: ” Non ha forse Dio dimostrato stolta la sapienza di questo mondo? Poiché, infatti, nel disegno sapiente di Dio il mondo, con tutta la sua sapienza, non ha conosciuto Dio, è piaciuto a Dio di salvare i credenti con la stoltezza della predicazione.” (1Cor.1,20-21).

Questi bambini, grazie al battesimo e certamente ad un privilegio divino che sceglie i soggetti attraverso i quali vuole manifestarsi, ci danno l’esempio che si nasce in questo mondo per vivere preparandosi per l’altro, quello eterno: sono nel mondo ma non di questo mondo, ma testimoniano di essere già anime sante come avremmo dovuto essere se non ci fosse stato quel peccato originale. Dice ancora san Paolo: ” Ora, noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere tutto ciò che Dio ci ha donato. Di queste cose noi parliamo, non con un linguaggio suggerito dalla sapienza umana, ma insegnato dallo Spirito, esprimendo cose spirituali in termini spirituali. L’uomo naturale però non comprende le cose dello Spirito di Dio; esse sono follia per lui, e non è capace di intenderle, perché se ne può giudicare solo per mezzo dello Spirito. L’uomo spirituale invece giudica ogni cosa, senza poter essere giudicato da nessuno” (1Cor.2,12-15), un linguaggio che la piccola Nennolina conosce ed usa comprendendo bene la differenza delle tre Persone nella Santissima Trinità quando scrive: ” Caro Spirito Ti voglio tanto tanto bene e di a Gesù che gli voglio bene e che lo ringrazio che questa mattina è venuto nel mio cuore. Caro Spirito Santo Ti saluto e Ti mando tanti baci Antonietta e Gesù. Gesù dal cielo vieni nel mio cuore o Tu che sei l’amore”. ( lettera n. 116 – 10 gennaio 1937 Solo Gesù è autografo)


Che c’entrano i bambini di oggi con questi piccoli santi?

 

Leggiamo un’altra provocatoriaobiezione:

5) Non mi si venga a dire che i bambini debbono rapportarsi a questi bambini strani, a questo approccio che sembra non solo disturbato, innaturale, ma artificiale. Non è un caso che il grosso di questi esempi di bambini “prodigio” di Dio si arrestino tutti ad almeno 50 anni fa e infatti sembrano ricalcare una religiosità popolare penitenziale e asfissiante tipica di certo devozionismo preconciliare.

Esaminiamo bene la questione per rispondere. Ritornando all’esempio di Fatima, ma ce ne sarebbero altri a partire dal Vangelo, non c’è mai un obbligo ma una richiesta: “volete voi? – Vuoi tu?”. Dio è il grande Medico, non dimentichiamolo, ed è un fine pedagogo. Non imporrebbe mai ad alcuno la sua volontà. Anche dalla Beata Vergine Maria attende il “consenso”, solo dopo che Ella ebbe acconsentito – “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga per me quello che hai detto” -  l’Angelo partì da lei, e in quel “sì” avvenne il divino prodigio del concepimento. Un “fiat” per certi versi unico ed irripetibile eppure sul quale si sono formati e consolidati miriadi di santi, compresi questi santi bambini. Dunque nessuno di noi deve rapportarsi alle “stranezze” dei santi, quanto piuttosto a quel “fiat”: tutto parte da qui. Poi, per ogni singolo individuo le manifestazioni possono essere diverse e non dobbiamo scimmiottarle o persino pretendere di essere come loro, ma neanche dobbiamo mitigare, sbugiardare, negare. Non siamo chiamati ad imitare gli effetti straordinari che essi vivono, ma il fondamento della loro fede, il fondamento delle loro opere, il fondamento sul quale hanno poggiato la propria croce.

Bambino abortito.
Quanti piccoli santi ci potrebbero essere tra i bambini che vengono uccisi con l’aborto!

Diverso e interessante è l’ammettere che da cinquant’anni a questa parte sembrano svaniti questi “santi bambini”. Sembrano…. Intanto diciamo subito che l’orrore dell’aborto probabilmente ci ha privati di tanti di questi bambini, e ancora oggi ce ne priva; secondo aspetto sono forse anche cambiate le famiglie, molti i divorziati, tanti quei genitori che non insegnano più ai propri figli neppure il segno della croce – come ha ricordato ai catechisti di recente Papa Francesco – definendo ciò un “vero dramma del nostro tempo”. Papa Francesco, per esempio, ha raccontato di come egli sia grato alla nonna Rosa per avergli insegnato i “misteri della Pasqua”: oggi quante nonne insegnano il Vangelo ai propri nipoti? Una volta il compito delle nonne che si occupavano dei nipotini era quello di insegnare loro a pregare, a dire il Rosario, andare in chiesa per accendere una candela e come letture esse raccontavano le vite dei santi, spesso arricchendole di fantasia, ma sempre in un clima di santa devozione. Oggi, invece, assistiamo alla pubblicità della nonna che offre pochi euro al nipote per andare con la fidanzata a mangiarsi un hot-hamburger… e il nipote che, basito davanti a quella ridicola somma, ringrazia la nota casa ristoratrice di hamburger per aver ideato un menù con pochi euro.

Il martire Alois Grodze. già beatificato.

Fra i due esempi qual è quello veramente asfissiante? Nennolina o l’adolescente della pubblicità? Mi viene in mente un altro ragazzo, il beatoAlois Grozdè portato come esempio da Benedetto XVI (nel 2010 è stato firmato il Decreto che ha stabilito la sua morte eroica in odio alla fede nel 1943). Alois non sarebbe neppure dovuto nascere poichè è stato un frutto fuori del matrimonio, cacciato via dal patrigno e cresciuto fra una zia e il collegio. Ben presto si rivelano le sue qualità, un ragazzo intelligente e soprattutto sensibile all’Eucaristia che diventerà, come diceva, “il sole della mia vita”, militando prima nell’Azione Cattolica e poi nella Congregazione mariana e maturando nel suo cuore la vocazione al sacerdozio. Nel 1943 mentre si recava a Mirna viene catturato dai partigiani slavi che gli trovano il libro dell’Imitazione di Cristo e un libretto sulle apparizioni di Fatima. Questi due oggetti saranno l’atto di accusa per la sua condanna a morte non prima, però, di averlo torturato strappandogli gli occhi, le orecchie, la lingua, solo perchè non voleva rinnegare la sua fede cattolica. Ancora vivo venne trascinato nel bosco e lì finito a colpi di zappa sulla testa perchè la colpa di tanto efferato omicidio ricadesse sugli animali. Ma la Verità che nulla teme fece emergere i fatti crudeli e la Diocesi di Lubiana potè aprire cinquant’anni dopo il processo di beatificazione.

Il piccolo servo di Dio Giuseppe Ottone.

Qui il preconciliare non c’entra nulla, quanto certa educazione alla fede che oggi non si trasmette più. Penso al servo di Dio Giuseppe Ottone 1928+1941, adottato e cresciuto all’ombra della venerazione per la la Madonna del Rosario di Pompei della quale era immensamente devoto. La sua storia non conosce un grave spargimento di sangue, ma una testimonianza d’amore incondizionato. Dovendo subire la madre un serio intervento chirurgico, scatta in Giuseppe un atto di affidamento a Maria del tutto naturale: offre la sua vita in cambio di quella della madre. Lo fa pregando. La mattina dell’intervento trova per terra una immaginetta della Madonna del Rosario di Pompei, la prende e la bacia con trasporto pensando all’atto di fede e di offerta che aveva fatto e si accascia sul suolo. In quel momento la madre adottiva prodigiosamente guarisce, si alza dal letto perchè non c’è più bisogno dell’intervento, ma viene a sapere che il figlio è ricoverato morente… Muore così Giuseppe, per un atto d’amore, di offerta a cui oggi, purtroppo, sembra che non crediamo più e non ne siamo più capaci.

Altro bambino in cammino verso la canonizzazione: Silvio Dissegna.

Ma venendo al nostro tempo basti pensare ad un altro adolescente degli anni ’70 del quale è in atto il processo di beatificazione e già dichiarato venerabile, Silvio Dissegna. In alcune sue lettere leggiamo: “Dì al Cappellano che domenica vorrei fare la Comunione! lo voglio bene a Gesù !” – “Ho tanto male. Papà! Dammi la mia Madonnina che la voglio baciare e pregala anche tu perché mi aiuti”. – “Gesù ha sudato sangue, ed io è da un anno che soffro”. – “Se muoio, non me ne importa, finirò di soffrire… mamma noi saremo felici e contenti solo in Paradiso! “

A maggio del 1979 la gamba sinistra di Silvio, colpito da un tremendo cancro alle ossa, si spezza in due, ampie piaghe si diffondono sul corpo. Il 10 giugno perde completamente la vista, il 26 luglio gli scoppia la pupilla dell’occhio sinistro. A settembre perde l’udito. “Mamma com’ è brutto non vedere il sole, la luce, le piante, i fiori ma soprattutto non più vedere te, papi e Carlo (il fratello)”. E così tante altre espressioni da mozzare il fiato. “Mamma, vieni vicino, dammi la mano… prega con me ” – ” Oggi offro le mie sofferenze per il Papa e per la Chiesa… Oggi offro tutto per i sacerdoti… – Oggi offro per la conversione dei peccatori… – Oggi offro perchè siano tutti fratelli….”.

Carlo Acutis, testimone luminoso molto vicino ai nostri anni.

E ancora, come non citare l’adolescente Carlo Acutis, nato nel 1991, la cui storia è possibile racchiudere in questa sua frase: ” L’Eucaristia è la mia autostrada per il Cielo”. Sembra un vero figlio di San Giovanni Bosco perché per la sua vita due sono le colonne fondamentali: l’Eucarestia e la Madonna, ed ogni giorno voleva andare alla Messa perché senza Gesù non poteva stare. Muore a 15 anni per una leucemia fulminante, eppure ha lasciato un segno indelebile, non un segno qualsiasi, ma un segno tipico del cristiano: la fede, l’amore per i Sacramenti, la gioia di essere cristiano attivo nella sua parrocchia. Afflitto dalla malattia, non più bambino, diceva sovente a chi gli si rivolgeva in modo triste: “di chi temere? Ma tu sai quanti amici io ho in cielo che mi aspettano?” e via a fare la lista di tutti i bambini venerabili o santi o beati, di cui conosceva le storie: “non bisogna temere le malattie, ma di perdere queste amicizie”.

Non basterebbe una biblioteca per riportare quanti altri bambini, adolescenti, hanno dato queste testimonianze. Laddove i genitori e i nonni non fanno più il loro dovere di cristiani, non dobbiamo disperare l’abbandono del Signore perché Egli in altri mille modi sempre ci darà la testimonianza della Sua presenza in mezzo a noi. Preoccupiamoci di dare noi testimonianza, piuttosto, a queste anime.

 Ma non saranno forse i genitori a “ritoccare” queste storie?

 

Infine ecco l’ultima e forse la più insidiosa delle obiezioni:

6) Si ha l’impressione che il grosso delle leggende su questi bambini, oltre eventuali loro quaderni piuttosto patetici e sussiegosi, saputelli, sia una rielaborazione dei genitori, bisognosi di compensare il dolore della perdita con la costruzione, e quasi la rimessa al mondo, del monumento del figlio perduto. Reputo queste storie di una povertà e miseria assoluta, inutili e inutilizzabili da qualsiasi punto di vista, addirittura perturbative del sano sviluppo mentale di altri bambini che venissero a conoscenza di simili storie.

Obiezione a cui è bene rispondere subito. Non siamo obbligati a venerare queste anime, ma neppure a cancellare la loro testimonianza. Vi è da dire piuttosto che i genitori di questi bambini non compaiono mai, spesso non si conoscono neppure i nomi, non si sa che volti abbiano, e spesso non hanno alcun interesse a trascinare la loro dolorosa esperienza nelle aule dei tribunali diocesani per la loro beatificazione. L’iniziativa è spesso di amici e conoscenti, di chi ha beneficiato in qualche modo di queste anime. Spesso una donazione fatta a nome loro fa scattare la curiosità di voler conoscere questo donatore e così si vengono a sapere i fatti. Senza dubbio questi genitori custodiscono gelosamente i quaderni e i diari di questi figli ma perchè meravigliarsi? Santa Teresina del Bambin Gesù (che fin da bambina ebbe la gioia di poter vedere la Madonna e l’Angelo custode), quando era in Convento, fu obbligata dalla superiora a mettere per iscritto le sue esperienze: ella non voleva, lo fece per obbedienza, ed oggi ci ritroviamo con quel capolavoro che è “Storia di un anima”. Il fatto che in questi scritti ognuno di noi può sentire e recepire messaggi differenti, è normale perché ognuno reagisce poi a seconda della propria anima e coscienza, ma questo non può legittimare l’accusa che siano delle rielaborazioni fatte dai genitori per compensare una grave perdita. Le lettere di Nennolina per esempio, sono firmate dalla bambina, e ci sono gli originali che provano la sua frenetica attività letteraria.

La grotta di San Michele Arcangelo.

Per esperienza posso riportare questo fatto che ho vissuto personalmente e che spiega come i bambini siano davvero i privilegiati e prediletti da Gesù. A Pasqua del 1994, mi reco nella Grotta sul Gargano dedicata a san Michele Arcangelo con i miei due figli di 4 e 1 anno, per sciogliere un voto per una grazia ricevuta. Era la Domenica delle Palme, la Grotta gremita, il coro cantava una melodia gregoriana meravigliosa e si era giunti alla Consacrazione. Quando il sacerdote solleva l’Ostia consacrata noto che i miei figli ma anche tutti i bambini lì presenti, alzarono la testa verso il soffitto della Grotta sopra l’altare. Nessuno piangeva, nessuno urlava, nessuno faceva capricci, erano tutti attirati da “qualcosa” che noi adulti non vedevamo, ma i bambini sì perché tutti noi, genitori e parenti, c’eravamo accorti che stava accadendo qualcosa di strano. I miei figli sorridevano, tutti i bambini sorridevano ma senza staccare lo sguardo da un certo punto sopra l’altare. Finita la Consacrazione i bambini tornarono in uno stato “normale” e si risentiva il loro vociare distratto. Provai a tirare fuori qualcosa da mia figlia che a 4 anni comunque sia sapeva parlare, ma niente da fare: non cavai un ragno dal buco, non sapeva come rispondermi: “hai visto qualcosa?” e lei ” che bello!!”, ed io: “me lo vuoi disegnare?” ma non ci riusciva, però continuava a ripetere “che bello!”. Oggi che ha 23 anni quando glielo chiedo naturalmente non ricorda nulla, ma io sono certa che fu una esperienza reale che aiuterà entrambi per sempre in questa vita se, anch’io genitore, saprò accompagnare la loro avventura con la preghiera, con la lode a Dio, con l’invocazione della e nella Comunione dei Santi, specialmente i santi bambini.

Nessuno è obbligato a credere in queste ed altre cose, ma è certo che siamo sollecitati a non prendere sottogamba queste esperienze e queste testimonianze.



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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02/11/2013 00:02
 
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SOLENNITÀ DI TUTTI I SANTI

PAPA FRANCESCO

ANGELUS

Piazza San Pietro
Venerdì, 1° novembre 2013

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Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

la festa di Tutti i Santi, che oggi celebriamo, ci ricorda che il traguardo della nostra esistenza non è la morte, è il Paradiso! Lo scrive l’apostolo Giovanni: «Ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è» (1 Gv 3,2). I Santi, gli amici di Dio, ci assicurano che questa promessa non delude. Nella loro esistenza terrena, infatti, hanno vissuto in comunione profonda con Dio. Nel volto dei fratelli più piccoli e disprezzati hanno veduto il volto di Dio, e ora lo contemplano faccia a faccia nella sua bellezza gloriosa.

I Santi non sono superuomini, né sono nati perfetti. Sono come noi, come ognuno di noi, sono persone che prima di raggiungere la gloria del cielo hanno vissuto una vita normale, con gioie e dolori, fatiche e speranze. Ma cosa ha cambiato la loro vita? Quando hanno conosciuto l’amore di Dio, lo hanno seguito con tutto il cuore, senza condizioni e ipocrisie; hanno speso la loro vita al servizio degli altri, hanno sopportato sofferenze e avversità senza odiare e rispondendo al male con il bene, diffondendo gioia e pace. Questa è la vita dei Santi: persone che per amore di Dio nella loro vita non hanno posto condizioni a Lui; non sono stati ipocriti; hanno speso la loro vita al servizio degli altri per servire il prossimo; hanno sofferto tante avversità, ma senza odiare. I Santi non hanno mai odiato. Capite bene questo: l’amore è di Dio, ma l’odio da chi viene? L’odio non viene da Dio, ma dal diavolo! E i Santi si sono allontanati dal diavolo; i Santi sono uomini e donne che hanno la gioia nel cuore e la trasmettono agli altri. Mai odiare, ma servire gli altri, i più bisognosi; pregare e vivere nella gioia; questa è la strada della santità!

Essere santi non è un privilegio di pochi, come se qualcuno avesse avuto una grossa eredità; tutti noi nel Battesimo abbiamo l’eredità di poter diventare santi. La santità è una vocazione per tutti. Tutti perciò siamo chiamati a camminare sulla via della santità, e questa via ha un nome, un volto: il volto di Gesù Cristo. Lui ci insegna a diventare santi. Lui nel Vangelo ci mostra la strada: quella delle Beatitudini (cfr Mt 5,1-12). Il Regno dei cieli, infatti, è per quanti non pongono la loro sicurezza nelle cose, ma nell’amore di Dio; per quanti hanno un cuore semplice, umile, non presumono di essere giusti e non giudicano gli altri, quanti sanno soffrire con chi soffre e gioire con chi gioisce, non sono violenti ma misericordiosi e cercano di essere artefici di riconciliazione e di pace. Il Santo, la Santa è artefice di riconciliazione e di pace; aiuta sempre la gente a riconciliarsi e aiuta sempre affinché ci sia la pace. E così è bella la santità; è una bella strada!

Oggi, in questa festa, i Santi ci danno un messaggio. Ci dicono: fidatevi del Signore, perché il Signore non delude! Non delude mai, è un buon amico sempre al nostro fianco. Con la loro testimonianza i Santi ci incoraggiano a non avere paura di andare controcorrente o di essere incompresi e derisi quando parliamo di Lui e del Vangelo; ci dimostrano con la loro vita che chi rimane fedele a Dio e alla sua Parola sperimenta già su questa terra il conforto del suo amore e poi il “centuplo” nell’eternità. Questo è ciò che speriamo e domandiamo al Signore per i nostri fratelli e sorelle defunti. Con sapienza la Chiesa ha posto in stretta sequenza la festa di Tutti i Santi e la Commemorazione di tutti i fedeli defunti. Alla nostra preghiera di lode a Dio e di venerazione degli spiriti beati si unisce l’orazione di suffragio per quanti ci hanno preceduto nel passaggio da questo mondo alla vita eterna.

Affidiamo la nostra preghiera all’intercessione di Maria, Regina di Tutti i Santi.

 


Dopo l'Angelus

Cari fratelli e sorelle,

vi saluto tutti con affetto, specialmente le famiglie, i gruppi parrocchiali e le associazioni.

Un caloroso saluto rivolgo a quanti hanno partecipato questa mattina alla Corsa dei Santi, organizzata dalla Fondazione “Don Bosco nel mondo”. San Paolo direbbe che tutta la vita del cristiano è una “corsa” per conquistare il premio della santità: voi ci date un buon esempio! Grazie per questa corsa!

Questo pomeriggio, mi recherò al cimitero del Verano e celebrerò là la Santa Messa. Sarò unito spiritualmente a quanti in questi giorni visitano i cimiteri, dove dormono coloro che ci hanno preceduti nel segno della fede e attendono il giorno della risurrezione. In particolare, pregherò per le vittime della violenza, specialmente per i cristiani che hanno perso la vita a causa delle persecuzioni. Pregherò anche in modo speciale per quanti, fratelli e sorelle nostri, uomini, donne e bambini sono morti assaliti dalla sete, dalla fame e dalla fatica nel tragitto per raggiungere una condizione di vita migliore. In questi giorni abbiamo visto nei giornali quell’immagine crudele del deserto: facciamo tutti, in silenzio, una preghiera per questi fratelli e sorelle nostre.

A tutti auguro una buona festa di Tutti i Santi.



Fraternamente CaterinaLD

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02/11/2013 02:07
 
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Preghiamo per i nostri carissimi defunti .. e riccordiamoli sopratutto oggi :)e ricordiamo i santi protettori cche pregano in cielo per noi :)
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02/11/2013 13:32
 
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OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Cimitero del Verano
Venerdì, 1° novembre 2013

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A quest’ora, prima del tramonto, in questo cimitero ci raccogliamo e pensiamo al nostro futuro, pensiamo a tutti quelli che se ne sono andati, che ci hanno preceduto nella vita e sono nel Signore.

E’ tanto bella quella visione del Cielo che abbiamo sentito nella prima Lettura: il Signore Dio, la bellezza, la bontà, la verità, la tenerezza, l’amore pieno. Ci aspetta tutto questo. Quelli che ci hanno preceduto e sono morti nel Signore sono là. Essi proclamano che sono stati salvati non per le loro opere – hanno fatto anche opere buone – ma sono stati salvati dal Signore: «La salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono, e all’Agnello» (Ap 7, 10). È Lui che ci salva, è Lui che alla fine della nostra vita ci porta per mano come un papà, proprio in quel Cielo dove sono i nostri antenati. Uno degli anziani fa una domanda: «Questi, che sono vestiti di bianco, chi sono e da dove vengono?» (v.13). Chi sono questi giusti, questi santi che sono in Cielo? La risposta: «Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello» (v.14).

Possiamo entrare nel Cielo soltanto grazie al sangue dell’Agnello, grazie al sangue di Cristo. È proprio il sangue di Cristo che ci ha giustificati, che ci ha aperto le porte del Cielo. E se oggi ricordiamo questi nostri fratelli e sorelle che ci hanno preceduto nella vita e sono in Cielo, è perché essi sono stati lavati dal sangue di Cristo. Questa è la nostra speranza: la speranza del sangue di Cristo! Una speranza che non delude. Se camminiamo nella vita con il Signore, Lui non delude mai!

Abbiamo sentito nella seconda Lettura quello che l’Apostolo Giovanni diceva ai suoi discepoli: «Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce. … Siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo come egli è» (1 Gv 3,1-2). Vedere Dio, essere simili a Dio: questa è la nostra speranza. E oggi, proprio nel giorno dei Santi e prima del giorno dei Morti, è necessario pensare un po’ alla speranza: questa speranza che ci accompagna nella vita. I primi cristiani dipingevano la speranza con un’ancora, come se la vita fosse l’ancora gettata nella riva del Cielo e tutti noi incamminati verso quella riva, aggrappati alla corda dell’ancora. Questa è  una bella immagine della speranza: avere il cuore ancorato là dove sono i nostri antenati, dove sono i Santi, dove è Gesù, dove è Dio. Questa è la speranza che non delude; oggi e domani sono giorni di speranza.

La speranza è un po’ come il lievito, che ti fa allargare l’anima; ci sono momenti difficili nella vita, ma con la speranza l’anima va avanti e guarda a ciò che ci aspetta. Oggi è un giorno di speranza. I nostri fratelli e sorelle sono alla presenza di Dio e anche noi saremo lì, per pura grazia del Signore, se cammineremo sulla strada di Gesù. Conclude l’Apostolo Giovanni: «Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso» (v.3). Anche la speranza ci purifica, ci alleggerisce; questa purificazione nella speranza in Gesù Cristo ci fa andare in fretta, prontamente. In questo pre-tramonto d’oggi, ognuno di noi può pensare al tramonto della sua vita: “Come sarà il mio tramonto?”. Tutti noi avremo un tramonto, tutti! Lo guardo con speranza? Lo guardo con quella gioia di essere accolto dal Signore? Questo è un pensiero cristiano, che ci da pace. Oggi è un giorno di gioia, ma di una gioia serena, tranquilla, della gioia della pace. Pensiamo al tramonto di tanti fratelli e sorelle che ci hanno preceduto, pensiamo al nostro tramonto, quando verrà. E pensiamo al nostro cuore e domandiamoci: “Dove è ancorato il mio cuore?”. Se non fosse ancorato bene, ancoriamolo là, in quella riva, sapendo che la speranza non delude perché il Signore Gesù non delude.



     


Fraternamente CaterinaLD

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02/11/2013 14:27
 
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Padre S. Lanzetta. Omelia ad Ognissanti 1 novembre 2012

 
Siamo grati ad Una Fides che ha trascritto e pubblicato questa stupenda Omelia di Padre Serafino Lanzetta. Il Signore continua a parlarci attraverso i sacerdoti secondo il Suo cuore. Intensifichiamo la preghiera, per noi e per loro, per poter sempre 'gustare' le sue meraviglie. Oggi, uniti ai nostri Santi e nella preghiera per i Defunti, invochiamo ogni grazia necessaria oggi e sempre in ogni ora della storia, che è lotta con l'errore e l'ambiguità, sempre a partire da noi stessi. 

“Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio”: è questa, cari fratelli e sorelle, la beatitudine  cuore, potremmo così dire, chiave di queste otto beatitudini che rappresentano come l’apice della vita cristiana, di quel cuore che riposa in Dio, di quel cuore che vede Dio, che ama Dio e che fa di Dio il proprio tutto. La Santità, cari fratelli, che oggi celebriamo, la santità vissuta, incarnata in tanti uomini di Dio è proprio questo: Dio visto da un cuore puro.
 
Oggi però nella nostra società e nella nostra cultura è necessario spesso affrontare un dilemma, che probabilmente è anche nostro: come fare per poter coniugare l’unicità di Cristo,  la superiorità del Cristianesimo rispetto tutte le altre religioni e quella paura, che ci attanaglia, che ci fa pensare in cuor nostro che se crediamo questo fino in fondo diventiamo intolleranti, incapaci di dialogo, o come si direbbe oggi fondamentalisti? Da un lato vediamo la Verità di Cristo e che le religioni dinnanzi a Cristo sono come neve che si scioglie al sole, perché Gesù è il Dio che si è incarnato, dall’altro vivendo in una cultura fondamentalmente debole anche noi pensiamo che il dialogo, il rispetto implichi il relativismo e non usciamo da questo dilemma.  Come fare, cari fratelli? è semplicemente intolleranza e mancanza di rispetto e di dialogo dire che Gesù è l’unico? I Santi che oggi celebriamo ci aiutano a capire proprio che non c’è un dilemma, è un falso problema. Bisogna perciò coniugare Fede e Carità, Ragione e Amore che fanno da fondamento. Solo nella misura in cui riusciamo a coniugare queste due ali dello spirito dell’uomo e del cuore credente, Ragione e Amore, Fede e Carità, abbiamo allora la sintesi della realtà: la Verità della Fede e la Carità nei confronti dei fratelli, di tutti gli uomini di buona volontà. Le Fede che crede in Gesù Unico Signore, Unico Salvatore non è una visione unilaterale di Dio, non è la convinzione nostra di un Dio che è uno e trino, perché così la tradizione cristiana ha sempre insegnato.
 
La Fede è conoscenza della Verità, ma la Fede stessa è alimentata dalla Carità, non è unicamente conoscenza della verità, e questo che oggi maggiormente spaventa, una verità fredda, quasi matematica che mi impedisca di accorgermi anche di chi non è come me, di chi non pensa come me. La Verità che è Cristo non è un calcolo matematico, non è un teorema è una persona che ha un cuore, è una persona che ci fa amare: la fede pertanto promana dalla Carità e porta alla Carità. La Fede si compie nell’Amore e questo rapporto di Fede e Amore è possibile perché anche lo spirito dell’uomo è costituito da due dimensioni fondamentali, la ragione e l’amore.
 
Possiamo citare un grande monaco cistercense del XII secolo, discepolo di Bernardo di Chiaravalle, prima benedettino e poi dopo aver conosciuto Bernardo divenne cistercense,  Guglielmo di Saint-Thierry il quale studia e spiega in modo molto bello la natura dell’amore che perfezione la ragione. L’amore, differentemente da quanto si pensa, non è soltanto sentimento; l’amore richiede la ragione, la ragione è il presupposto dell’amore e altresì il suo compimento. Guglielmo di Saint-Thierry identificando la carità con la vista posseduta dall'anima per vedere Dio, afferma che l’anima ha due occhi che sono «l'amore e la ragione. Se uno dei due opera senza l'altro, non andrà lontano». Se l’anima opera con la sola ragione alla fine si accorge sì di un Dio, dell’esistenza di Dio, creatore e causa di tutto, ma non riesce ad andare oltre, a descrivere questo Dio, a vederne il suo intimo, a vedere il suo cuore. L’amore completa la ragione e ci svela già che Dio, causa di tutto ciò che esiste, non è un principio, è Padre, ha un cuore, è colui che genera, è Colui che ha un Figlio e questo Figlio è la pienezza e procede dal Padre. E dal Padre e dal Figlio in virtù dell’amore che i due si scambiano procede lo Spirito Santo. Dunque amore e ragione, se uno dei due opera senza l’altro non potrà guardare: «possono però molto soccorrendosi a vicenda, diventando un solo occhio» dell’anima. Quindi ci insegna Guglielmo di Saint-Thierry che  il compito della ragione è proprio quello di istruire l’amore, mentre il compito dell’amore è quello di illuminare la ragione così che la ragione divenga essa stessa amore e  l’amore oltrepassi i confini della ragione. Il rapporto quindi fra l’uomo e Dio è essenzialmente un rapporto di Amore.  Cito ancora una lettera di Guglielmo di Sant-Thierry il quale dice rivolgendosi a Dio «Tu ci ami in quanto fai di noi tuoi amanti e noi ti amiamo in quanto riceviamo il tuo Spirito. Il tuo Spirito è il tuo amore che penetra e possiede le intime fibre dei nostri affetti [...] Mentre il nostro amore è affectus, il tuo è effectus, un'efficacia che ci unisce a te grazie alla tua unità, allo Spirito santo che ci hai donato»
 
Allora, cari fratelli e sorelle, possiamo risolvere questo apparente dilemma, dicendo che la Verità ha un cuore, un cuore che è la Carità, e la Carità è alimentata e guidata dalla Verità, solo Colui che è insieme Verità e Carità è la Pienezza e Costui è Cristo, il Logos che ha un cuore trafitto sulla Croce per noi. Ecco la santità della vita, che diventa unità . Il santo non è  sollecitato da dilemmi o continuamente pervaso da dubbi. L’anima del vero cristiano non è un’anima che crede e dubita, che dubita e crede, come purtroppo  ultimamente è stato detto. Il dubbio è si una precarietà dell’intelligenza, ma non appartiene alla Fede, non è il nemico della Fede, non è lo scacco della Fede. Il santo, colui che fa unità nella sua vita, colui che vede la realtà nella sua unità perché crede e ama il Cristo, allora vive in pienezza e dà a tutti l’orientamento giusto per poter vivere in questo momento di forte relativismo in cui tutto sembra buono e dunque niente alla fine è veramente buono. Dobbiamo perciò guardare ai santi e guardando ai santi impariamo che cosa è la santità: potremmo dire che la santità è proprio questo Amore di Dio in noi, l’Amore di Dio che si incarna nella vita. E questa incarnazione dell’amore ragionevole e della ragione che ama è possibile perché Dio si è fatto uomo. Allora la santità, cari fratelli, è unità, la santità è Dio. Dio è il Santo. Quando Dio abita in un’anima, in un uomo, allora lì c’è la santità  e perché Dio abiti nell’uomo, perché Dio abiti nella mia vita, perché io divenga santo, è necessario che io viva alla presenza di Dio, che io coltivi questa presenza di Dio nella mia vita, dunque ho bisogno al di sopra di tutto della preghiera, la preghiera è l’anima della santità, senza la preghiera non impariamo a camminare ogni giorno sulla via della santità di Dio.
 
 Qui mi piace citare un passaggio di una lettera di sant'Ignazio di Loyola che dice in modo molto chiaro a tutti noi come si fa a vivere questa presenza di Dio che è preghiera: «Si procuri la presenza di Dio in tutte le cose, nelle conversazioni e nelle passeggiate, nel guardare, nel gustare, nell'ascoltare e nel riflettere, in una parola in tutto quello che stiamo facendo. Questa maniera di meditare, che ci fa trovare Dio in tutto, è più facile di quella che ci eleva a cose divine (che magari sono) più astratte e che esigono dello sforzo per potersele rappresentare. Questo salutare esercizio, quando ci prepariamo per farlo bene, ci attira, (ci fa vedere il) Signore anche nel breve tempo della nostra orazione. Esercitiamoci pure ad offrire spesso al Signore i nostri lavori e le nostre fatiche, pensando che le accettiamo per amore suo, sacrificando i nostri gusti per servire in qualche maniera la sua divina Maestà e venire in aiuto di tutti quelli, per la salute dei quali Gesù Cristo ha subito la morte» .
 
La santità è la ricerca della presenza di Dio, e questa presenza di Dio è orazione, è parola che si dice a Dio, è la ricerca della ragione del cuore, del cuore e della ragione, di Dio al di sopra di ogni cosa e questo, cari fratelli, è pienezza. Questo è il compimento. Dunque  la santità si alimenta nella nostra vita  con l’orazione, l’orazione ci conduce alla carità e la carità è il compimento della carità. In conclusione cito Luis di Granata, un domenicano spagnolo, contemporaneo di Sant’Ignazio di Loyola il quale scrive così: «La via più breve che ci conduce alla divina carità consiste nell'elevare il nostro cuore a Dio con affetti forti e con desideri infiammati del suo amore, conversando con Lui, in una confidenza rispettosa, tenendoci sempre raccolti alla sua presenza». Dobbiamo, cari fratelli e sorelle, allora quest’oggi in particolare, aspirare anche noi alla santità la quale non è qualcosa di astruso, qualcosa di elitario, riservato a pochi eletti: questo è gnosticismo. La santità è dono di Dio e Dio che è Padre ama donarsi a tutte le sue creature per renderle suoi figli; allora Dio vuole donare a tutti la santità e noi dobbiamo impegnarci per andare a Dio attraverso la Santità. Riusciamo a vedere  allora insieme Ragione e Amore e Fede e Carità  a Dio. Procuriamo di pregare ogni giorno, di vivere alla presenza di Dio, e questo ci riempie e ci porta alla Carità alla Santità. Sia lodato Gesù Cristo.

Firenze, Chiesa di Ognissanti,
1° novembre 2012
 




Fraternamente CaterinaLD

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04/11/2013 16:30
 
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La Beata Vergine Maria e le Anime Sante del Purgatorio

di don Alfredo M. Morselli


È ragionevole credere che il maggior sollievo alle Anime Purganti – subito dopo i frutti del S. Sacrifico della Messa –  sia loro dato dalle preghiere e dalle suppliche che la Madonna eleva, in loro suffragio, al suo Divin Figlio.
Le motivazioni sono le seguenti: in primo luogo perché la Madonna è una Madre, e si prende cura dei suoi figli, che non cessano di esser tali dopo la morte corporale.

In secondo luogo perché la Vergine è misericordiosa: la misericordia è la carità in quanto si volge verso gli indigenti; e chi sono i più poveri in assoluto, dopo i non battezzati, se non le Anime del Purgatorio, che nulla possono da se stesse per alleviare le loro terribili pene?
In terzo luogo perché la Madonna è consolatrice di coloro che piangono i loro defunti: spesso quando un nostro caro muore pensiamo soprattutto a noi stessi, ripiegati sul nostro dolore; ma appena il dolore si attenua, subito pensiamo: “Dove si trova il nostro caro?”Allora la Madonna, che inizialmente ha lenito il dolore per la perdita della persona amata, ora ci dice: “Coraggio, come mi sono presa cura del mio figlio morto deponendolo con amore nel sepolcro, così mi prendo cura di tutti i miei figli, anche di quelli che sono in Purgatorio”.
A volte, quando si parla di gravi sciagure o di guerre, si parla di “morti e dispersi”, riservando quest’ultimo termine a coloro di cui non si ritrova il cadavere: ma per la Madonna non esiste nessun disperso, nessuno che Lei non trovi fin da subito dopo la morte, nessuno che non venga da Lei aiutato, qualora sia in Purgatorio.

E l'Immacolata interviene in loro favore; sentiamo queste parole rivolte dalla stessa Vergine a Santa Brigida:Io sono Madre anche di tutti coloro che si trovano in Purgatorio, perché tutte le pene, che sono dovute per purgarsi dai loro peccati, in ogni ora, per le mie preghiere, sono in un qualche modo mitigate. Così piace a Dio, e in certo modo sono diminuite loro le pene dovute per stretto rigore di giustizia. (Revelationes, IV, 138.)E ancora la stessa santa descrive un dialogo tra Gesù e la Madonna:[Gesù:] Ora dunque che, con le dolcissime parole della tua bocca, attiri da me misericordia, chiedimi quel che vuoi e l'avrai.

Rispose la Madre: Figlio mio, giacché ho trovato misericordia presso di te, chiederò misericordia per i miseri. Quattro luoghi ci sono. Il primo è il cielo, ove sono gli Angeli e le Anime dei Santi, che non hanno bisogno se non di te e in te infatti hanno ogni bene. Il secondo è l'inferno e quelli che l'abitano son pieni di malizia ed esclusi da ogni misericordia. Perciò nessun bene può mai loro occorrere. Il terzo luogo è il Purgatorio ove hanno bisogno della misericordia, perché afflitti per tre ragioni. Sono turbati nelle orecchie, non udendo altro che dolori di pene e miserie. Nella vista, altro non vedendo che la propria miseria. E sono afflitti nel tatto, dal calore d'un fuoco insopportabile e dalla grave pena.
Concedi loro, Signor mio e Figlio mio, per queste mie preghiere, la tua misericordia.
Rispose il Figlio: Volentieri per te concederò loro una triplice misericordia. Anzitutto, il loro udito sarà alleviato, la loro vista mitigata, la loro pena sarà resa più leggera e mite; inoltre tutti quelli che d'ora in poi si troveranno nella pena massima del Purgatorio, verranno alla media e coloro che si troveranno nella media verranno alla più leggera e coloro che si troveranno già nella pena più leggera passeranno al riposo.

Rispose la Madre: Lode e onore a te, Signor mio. (Revelationes, I, 50.)Ancora a S. Brigida, la stessa Vergine le ha rivelato che le Anime del Purgatorio si sentono sostenute al solo udire il nome di Maria.
Chiaramente i più beneficiati da questi beati suffragi sono i devoti di Maria: Sant’Alfonso Maria de’ Liguori (1696-1787), ne Le glorie di Maria, p. I, cap. VIII, scrive, a questo proposito:Troppo felici sono i divoti di questa pietosissima Madre, poiché non solo in questa terra sono da lei soccorsi, ma anche nel purgatorio son dalla sua protezione assistiti e consolati. Anzi essendo quelle anime più bisognose di sollievo, mentre ivi son più tormentate, né possono aiutarsi da loro stesse, molto più ivi questa Madre di misericordia s'impiega in soccorrerle. Dice S. Bernardino da Siena che in quella carcere d'anime spose di Gesù Cristo, Maria ha un certo dominio e plenipotenza, così per sollevarle come anche per liberarle da quelle pene: B. Virgo in regno purgatorii dominium habet (Serm. 3, de Nom. Mar., a. 2, c. 3).Quand’è che i suffragi della Vergine SS.ma si manifestano maggiormente? Ogni sabato e nelle sue feste, soprattutto quella dell’Assunzione.

Il P. F.S. Shouppe S.J. racconta, nella sua opera Il dogma del purgatorio, una visione che ebbe la venerabile suor Paola di S. Teresa, religiosa domenicana nel monastero di S. Caterina a Napoli:Essendo stata rapita in estasi, un giorno di sabato, ed in ispirito trasportata nel Purgatorio, fu tutta sorpresa di trovarlo trasformato in un paradiso di delizie, illuminato da una viva luce invece delle tenebre abituali. Stando per chiedere la ragione di questo cambiamento, scorse la Regina dei cieli, circondata da una infinità di angeli, ai quali ordinava di liberare le anime che le erano state specialmente devote e di condurle al Cielo.Continua il P. Shouppe:Se così avviene dei semplici sabati, non si può guari dubitare che non sia lo stesso nei giorni di festa consacrati alla Madre di Dio. Fra tutte queste feste quella della gloriosa Assunzione di Maria sembra essere il grande giorno delle liberazioni. S. Pietro Damiani ci dice che ogni anno nel giorno dell'Assunzione, la Santa Vergine libera parecchie migliaia d'anime. Ecco la meravigliosa visione che riferisce a questo riguardo.

È una pia usanza, dic'egli, fra il popolo romano, di visitare le chiese con un cero in mano durante la notte che precede la festa dell'Assunzione di Nostra Signora. Ora in questa occasione avvenne che una distinta persona, stando inginocchiata nella basilica d'Ara Coeli al Campidoglio, scorse che pregava dinnanzi a lei un'altra dama, sua madrina, morta parecchi anni prima. Sorpresa e non potendo credere ai suoi occhi, volle chiarire questo mistero e si pose vicino alla porta della chiesa. 

Appena la vide uscire, la prese per mano e tirandola in disparte: - Non siete voi le disse, la mia madrina Marozzi, che mi avete tenuta al fonte battesimale? - Sì, rispose tosto la comparsa, sono io stessa. - E come avviene che vi trovo fra i vivi, dacché siete morta da quasi un anno? - Sino ad oggi rimasi immersa in un fuoco spaventevole per i molti peccati di vanità da me commessi nella mia gioventù; ma in questa grande solennità, la Regina del Cielo scese in mezzo alla fiamme del Purgatorio e mi liberò insieme ad un gran numero di defunti, per entrare in Cielo nel dì della Assunzione. Questo grande atto di clemenza lo esercita ogni anno: e nell'attuale circostanza, il numero di coloro che liberò uguaglia quello del popolo di Roma.

Vedendo che la sua figlioccia rimaneva stupita ed ancora sembrava dubbiosa, la comparsa aggiunse: - A prova della verità delle mie parole sappi che tu stessa entro un anno, nella festa dell'Assunzione, morirai; se passa questo termine, abbi il tutto per illusione. -
S. Pietro Damiani termina questo racconto dicendo che la giovane dama passò l'anno in buone opere per prepararsi a comparire innanzi a Dio. L'anno seguente, l'antivigilia dell'Assunzione, cadde inferma e morì il giorno stesso della festa, come le era stato predetto. Dunque la festa dell'Assunzione è il gran giorno delle misericordie di Maria per le anime; essa si compiace d'introdurre nella gloria i suoi figli nel dì anniversario in cui vi fu introdotta ella stessa. Questa pia credenza, aggiunge l'abate Louvet, è appoggiata ad un gran numero di particolari rivelazioni: per questo a Roma la chiesa di Santa Maria in Montorio, che è il centro dell'Arciconfraternita dei suffragi pei trapassati, porta il titolo dell'Assunzione». 

In ultimo giova ricordare la testimonianza di  S. Faustina Kowalska (1905-1938). Ella scrive nel diario:“In quel tempo domandai al Signore Gesù: ‘Per chi ancora devo pregare?’. Gesù mi rispose che la notte seguente mi avrebbe fatto conoscere per chi dovevo pregare. Vidi l'Angelo Custode, che mi ordinò di seguirlo. In un momento mi trovai in un luogo nebbioso, invaso dal fuoco e, in esso, una folla enorme di anime sofferenti. Queste anime pregano con grande fervore, ma senza efficacia per se stesse: soltanto noi le possiamo aiutare.

Le fiamme che bruciavano loro, non mi toccavano. Il mio Angelo Custode non mi abbandonò un solo istante. E chiesi a quelle anime quale fosse il loro maggior tormento. Ed unanimemente mi risposero che il loro maggior tormento è l'ardente desiderio di Dio. Scorsi la Madonna che visitava le anime del purgatorio. Le anime chiamano Maria «Stella del Mare». Ella reca loro refrigerio. Avrei voluto parlare più a lungo con loro, ma il mio Angelo Custode mi fece cenno d'uscire. Ed uscimmo dalla porta di quella prigione di dolore. Udii nel mio intimo una voce che disse: - La Mia Misericordia non vuole questo, ma lo esige la giustizia - .
Da allora sono in rapporti più stretti con le anime sofferenti del purgatorio. (Diario, 1-8-1925) A mo’ di conclusione, riportiamo le parole del santo sacerdote napoletano Don Dolindo Ruotolo, tratte dall’opuscolo Il Purgatorio e il Paradiso:“La Chiesa trionfante, capitanata dalla sua Regina, la dolcissima Mamma Maria, guarda dunque amorevolmente la Chiesa purgante, la soccorre, la consola, e l'aiuta ad entrare più presto in possesso dell'eterna gloria. Dolce e consolante fraternità delle anime, prerogativa divina della Chiesa Cattolica, la quale, facendo considerare tutti come membra di una stessa famiglia, sia che si trovino come viatori in terra, o sofferenti in Purgatorio, o coronati nel Cielo, li rende figli di uno stesso Padre, bramosi di trovarsi un giorno nell'eterna felicita del Paradiso”.

Siamo dunque devoti di Maria: raccomandiamoci a Lei per essere santi e non fare il Purgatorio. Raccomandiamo a Lei i nostri cari, e li faremo uscire, con certezza e presto, dal Purgatorio: e siccome la vera Devozione a Maria consiste soprattutto nel cercare di imitarne le virtù, imitiamola in questo suo amore per le Anime purganti. Non perdiamo occasione anche noi di aiutare i nostri morti con S. Messe, indulgenze, penitenze e preghiere di suffragio.




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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10/11/2013 10:30
 
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Se Gesù non è risorto, l’ultima parola sulla vita umana non è l’amore, è la morte.
Che cosa potremmo dire? 
Che quando una persona muore il suo ricordo rimane per sempre? 
Non è vero: i ricordi non durano per sempre, rimangono per un po’ nella mente di qualcuno e poi scompaiono con la morte di chi li ricorda. Noi non crediamo in un ricordo, noi crediamo in una persona viva. 

Se Gesù non è risorto, il Vangelo allora è una ideologia, al più una proposta di ideali, ma non porta in sé un valore assoluto. Vale quanto le parole dette da qualunque altra persona saggia e intelligente, ma non ha un valore trascendente, perché non dice parole di vita eterna. 
Se il Signore non è risorto, con chi stiamo parlando noi durante la Messa? Noi siamo lì a parlare con Gesù, o stiamo parlando con un ricordo, con un’idea? 

Noi parliamo con una Persona viva; altrimenti tutta la preghiera di duemila anni di storia si perde in un parlare a vuoto, in un parlare con nessuno. Ecco perché noi abbiamo la viva speranza verso i nostri Defunti; ecco perché crediamo nella Comunione dei Santi: tutto è reso vivo e possibile perché Gesù, che ce lo ha promesso, è veramente Risorto. 
C'è più vita in Cielo di quanta ce ne possa essere su questa terra, ed è vita eterna.

(Benedetto XVI - J.Ratzinger - dal libro Escatologia)





sabato 2 novembre 2013

Un vescovo in purgatorio

 
Nel libretto intitolato “I nostri morti – La casa di tutti”, Don Giuseppe Tomaselli narra un fatto che fa riflettere. Un giorno, un anziano sacerdote gli disse che viaggiando tanto per l'Europa, l'Asia e l'Africa, aveva avuto modo di conoscere numerosi religiosi e prelati; ma l'uomo più santo che aveva conosciuto era stato Mons. Giovanni Battista Marenco, il zelantissimo vescovo della diocesi di Massa Carrara, morto il 22 ottobre 1921.

Dopo circa sette anni dal decesso, in un convento di suore salesiane accadde un fatto sorprendente. Un giorno, verso l'imbrunire, la suora portinaia era nel cortile. Il portone era chiuso. Con sua meraviglia vide sotto i portici un ecclesiastico che passeggiava col capo chino e meditabondo. La suora domandò tra sé chi fosse quella persona, e come aveva fatto ad entrare se il portone era chiuso. Avvicinatasi riconobbe Mons. Marenco.
 
- Eccellenza, e voi qui?... Non siete morto?...
- Mi avete lasciato in Purgatorio!... Ho lavorato tanto in questo Istituto e non si prega più per me! 
- In Purgatorio?... Un Vescovo così santo?... 
- Non basta esser santi davanti agli uomini; bisogna essere tali davanti a Dio!... Pregate per me!...
 
Ciò detto, sparì. La Suora corse ad informare la superiora, e l'indomani tutte e due si diressero alla volta di Torino, per narrare il fatto al Rettor Maggiore dei Salesiani, Don Filippo Rinaldi, il quale indisse pubbliche preghiere nel Santuario di Maria Ausiliatrice, onde intensificare i suffragi. Dopo una settimana Mons. Marenco riapparve nello stesso Istituto, dicendo: Sono uscito dal Purgatorio!... Ringrazio della carità!... Prego per voi! -

Questo fatto deve far riflettere. Se un vescovo zelantissimo e di grande virtù è stato tenuto per anni a soffrire atrocemente in purgatorio, figuriamoci cosa accade a quelle anime che conducono una vita rilassata e peccaminosa, e che si salvano per un pelo, dopo aver fatto in fin di vita una Confessione appena accettabile.






[Modificato da Caterina63 16/11/2013 21:16]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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29/10/2015 10:05
 
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[SM=g1740727] Halloween, la festa delle zucche vuote, così l'ha definita il Vescovo di Perugia mons. Gualtiero Bassetti mettendoci in guardia a "non diventare noi stessi delle zucche vuote". Halloween è un fenomeno inquietante, risponde Don Aldo Bonaiuto responsabile del Servizio anti sette dell'Associazione Papa Giovanni XXIII, figlio spirituale cresciuto al sacerdozio da Don Oreste Benzi, consulente delle Procure di mezza Italia e collaboratore della Direzione centrale anticrimine della Polizia, mettendoci in guardia dai pericoli di cadere nelle trappole dell'occultismo.

Insomma, noi vi invitiamo a difendere la nostra cultura Cristiana di Ognissanti e a raccontare ai bambini non Halloween ma le storie dei Santi.
clicca anche qui
difenderelafede.freeforumzone.leonardo.it/d/9975679/Novembre-Festa-liturgica-di-Tutti-i-Santi-e-dei-Nostri-cari-Defunti-2-/discussi...

[SM=g1740733]

di Lorenzo Bertocchi
29-10-2015
La nuova bussola quotidiana
La festa pagana di Halloween
Quando gli antichi druidi celtici dell’Irlanda celebravano la festa di Samhain, quando l’inverno, simbolo della morte, subentrava all’estate-vita, ecco che il mondo dei morti si poteva aprire a quello dei vivi. E gli spiriti dei defunti vagavano liberamente privi di ogni ostacolo. E tra sacrifici umani e orge rituali, celebrati in onore del principe della morte, i partecipanti a Samhain se ne andavano in giro con delle rape intagliate con dentro un lume.

È l’origine pagana della festa delle zucche, quella che oggi si chiama Halloween. Quella che negli ultimi anni ci ha assalito grazie alla macchina del business. Arriva a noi dagli Stati Uniti, che la ereditarono dai migranti provenienti dall’Irlanda a metà ‘800. Questi irlandesi, nonostante san Patrizio, e papa Gregorio III (731 d.C) che aveva istituito la festa di Ognissanti il primo di novembre, avevano continuato a festeggiare la vigilia secondo la vecchia tradizione pagana.

Oggi se ne parla all'Università Europea di Roma dove viene presentato un libro di don Aldo Bonaiuto, sacerdote della comunità fondata da don Oreste Benzi. É l'occasione anche della prima uscita pubblica di monsignor Matteo Maria Zuppi in qualità di arcivescovo di Bologna designato. L'ex parroco a Trastevere, pastore che dicono essere molto in linea con il vescovo-tipo di papa Bergoglio, interverrà in un dibattito politicamente scorrettissimo.

Su Halloween molti dicono «ma che male c'è?», mentre il titolo del libro di don Bonaiuto è tutto unprogramma: Halloween. Lo scherzetto del diavolo (Ed. Sempre Comunicazione). «Gli ingannevoli richiami al soprannaturale e all’orrorifico», si legge nel libro, cominciarono da subito ad affacciarsi nei party americani di fine ‘800. E senza voler scendere immediatamente nell’esoterico, bisogna rilevare che il fenomeno Halloween è cresciuto grazie a un gran giro di soldi. Dai primi party nelle case dei migranti irlandesi si è passati alle feste di strada, con gente nelle piazze, nelle scuole e, magari, giù, giù, fino a qualche bel salone parrocchiale.

Gli ingenti mezzi finanziari della macchina commerciale sono riusciti a ribaltare gli intenti di sanPatrizio e papa Gregorio III, cioè hanno ripaganizzato una festa cristiana. Gli americani oggi spendono quasi 6.000 milioni di dollari per festeggiare la notte delle streghe e della zucca vuota, ma anche in Italia nel 2010 i commercianti dichiaravano una spesa di circa 400 milioni di euro per la mascherata. «Halloween ormai», come dice don Aldo, «è la parodia noir del carnevale» e i suoi valori principali «sono magia, orrorifico e soprannaturale». Magari svenduti a buon mercato dietro “innocui” simboli e simpatici teschietti.

Rispettiamo lo sforzo nobile del sacerdote della comunità di don Benzi, che con san Tommaso ricorda ai lettori che «ogni azione magica presuppone un accordo con il maligno», ma con il successo che riscuote il soprannaturale tra i contemporanei la sua rischia di essere una «vox clamantis in deserto». Eppure, tra il gusto del macabro e quello della vita, della bellezza, dell'eternità, non sarebbe difficile scegliere, anche rimanendo con i piedi piantati in terra.

Ma la festa cristiana di Ognissanti e quella della commemorazione dei fedeli defunti è una profonda riflessione sul senso della vita, traguardato con l'unica speranza seria che possiamo avere su questa terra: la Risurrezione di Gesù Cristo che ha vinto il principe della morte. Per questo, con molta sobrietà, invece, di «dolcetti e scherzetti», nei prossimi giorni sarebbe bene accompagnare i bambini sulla tomba dei vostri cari. Fategli mettere un fiore. E recitare una prece.

gloria.tv/media/tBn96PqHp6V

www.youtube.com/watch?v=BpI8vbtLn4g&spfreload=10

Movimento Domenicano del Rosario
www.sulrosario.org
info@sulrosario.org





Dice San Bernardo: "I Santi desiderano di averci con loro e noi ce ne mostreremo indifferenti? I giusti ci aspettano, e noi non ce ne prenderemo cura? No fratelli! Destiamoci, destiamoci dalla nostra deplorevole apatia.... Risorgiamo con Cristo...."

Buona Solennità di OGNISSANTI a tutti, ricordiamo i Santi di cui portiamo il nome e ricordiamo che nel Credo professiamo: "CREDO LA COMUNIONE DEI SANTI" [SM=g1740733] ebbene, questo è il 1° novembre.... mettere in pratica ciò che professiamo!


gloria.tv/video/pW6wBYVCKLoe2zRBBHmLEoJhS






[SM=g1740717] [SM=g1740750] [SM=g1740752]
[Modificato da Caterina63 29/10/2016 09:51]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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01/11/2015 18:48
 
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SOLENNITÀ DI TUTTI I SANTI


PAPA FRANCESCO


ANGELUS


Piazza San Pietro
Domenica, 1° novembre 2015

[Multimedia]



 

Cari fratelli e sorelle, buongiorno e buona festa!

Nella celebrazione di oggi, festa di Tutti i Santi, sentiamo particolarmente viva la realtà della comunione dei santi, la nostra grande famiglia, formata da tutti i membri della Chiesa, sia quanti siamo ancora pellegrini sulla terra, sia quelli – immensamente di più – che già l’hanno lasciata e sono andati al Cielo. Siamo tutti uniti, e questo si chiama “comunione dei santi”, cioè la comunità di tutti i battezzati.

Nella liturgia, il Libro dell’Apocalisse richiama una caratteristica essenziale dei santi e dice così: essi sono persone che appartengono totalmente a Dio. Li presenta come una moltitudine immensa di “eletti”, vestiti di bianco e segnati dal “sigillo di Dio” (cfr 7,2-4.9-14). Mediante quest’ultimo particolare, con linguaggio allegorico viene sottolineato che i santi appartengono a Dio in modo pieno ed esclusivo, sono sua proprietà. E che cosa significa portare il sigillo di Dio nella propria vita e nella propria persona? Ce lo dice ancora l’apostolo Giovanni: significa che in Gesù Cristo siamo diventati veramente figli di Dio (cfr 1 Gv 3,1-3).

Siamo consapevoli di questo grande dono? Tutti siamo figli di Dio! Ci ricordiamo che nel Battesimo abbiamo ricevuto il “sigillo” del nostro Padre celeste e siamo diventati suoi figli? Per dirlo in un modo semplice: portiamo il cognome di Dio, il nostro cognome è Dio, perchè siamo figli di Dio. Qui sta la radice della vocazione alla santità! E i santi che oggi ricordiamo sono proprio coloro che hanno vissuto nella grazia del loro Battesimo, hanno conservato integro il “sigillo” comportandosi da figli di Dio, cercando di imitare Gesù; e ora hanno raggiunto la meta, perché finalmente “vedono Dio così come egli è”.

Una seconda caratteristica propria dei santi è che sono esempi da imitare. Facciamo attenzione: non soltanto quelli canonizzati, ma i santi, per così dire, “della porta accanto”, che, con la grazia di Dio, si sono sforzati di praticare il Vangelo nell’ordinarietà della loro vita. Di questi santi ne abbiamo incontrati anche noi; forse ne abbiamo avuto qualcuno in famiglia, oppure tra gli amici e i conoscenti. Dobbiamo essere loro grati, e soprattutto dobbiamo essere grati a Dio che ce li ha donati, che ce li ha messi vicino, come esempi vivi e contagiosi del modo di vivere e di morire nella fedeltà al Signore Gesù e al suo Vangelo. Quanta gente buona abbiamo conosciuto e conosciamo, e noi diciamo: “Ma questa persona è un santo!”, lo diciamo, ci viene spontaneo. Questi sono i santi della porta accanto, quelli non canonizzati ma che vivono con noi.

Imitare i loro gesti d’amore e di misericordia è un po’ come perpetuare la loro presenza in questo mondo. E in effetti quei gesti evangelici sono gli unici che resistono alla distruzione della morte: un atto di tenerezza, un aiuto generoso, un tempo passato ad ascoltare, una visita, una parola buona, un sorriso... Ai nostri occhi questi gesti possono sembrare insignificanti, ma agli occhi di Dio sono eterni, perché l’amore e la compassione sono più forti della morte.

La Vergine Maria, Regina di Tutti i Santi, ci aiuti a fidarci di più della grazia di Dio, per camminare con slancio sulla via della santità. Alla nostra Madre affidiamo il nostro impegno quotidiano, e La preghiamo anche per i nostri cari defunti, nell’intima speranza di ritrovarci un giorno, tutti insieme, nella comunione gloriosa del Cielo.


APPELLO

Cari fratelli e sorelle,

i dolorosi episodi che in questi ultimi giorni hanno inasprito la delicata situazione della Repubblica Centrafricana, suscitano nel mio animo viva preoccupazione. Faccio appello alle parti coinvolte affinché si ponga fine a questo ciclo di violenze. Sono spiritualmente vicino ai Padri comboniani della parrocchia Nostra Signora di Fatima in Bangui, che accolgono numerosi sfollati. Esprimo la mia solidarietà alla Chiesa, alle altre confessioni religiose e all’intera nazione Centrafricana, così duramente provate mentre compiono ogni sforzo per superare le divisioni e riprendere il cammino della pace. Per manifestare la vicinanza orante di tutta la Chiesa a questa Nazione così afflitta e tormentata ed esortare tutti i centroafricani ad essere sempre più testimoni di misericordia e di riconciliazione, domenica 29 novembre ho in animo di aprire la porta santa della cattedrale di Bangui, durante il Viaggio apostolico che spero di poter realizzare in quella Nazione.


Dopo l'Angelus:

Ieri, a Frascati, è stata proclamata Beata Madre Teresa Casini, fondatrice delle Suore Oblate del Sacro Cuore di Gesù. Donna contemplativa e missionaria, ha fatto della sua vita un’oblazione di preghiera e di carità concreta a sostegno dei sacerdoti. Ringraziamo il Signore per la sua testimonianza.

Saluto tutti voi pellegrini, provenienti dall’Italia e da tanti Paesi; in particolare, quelli della Malesia e di Valencia (Spagna).

Saluto i partecipanti alla Corsa dei Santi e alla Marcia dei Santi, promosse rispettivamente dalla Fondazione “Don Bosco nel mondo” e dall’Associazione “Famiglia Piccola Chiesa”. Apprezzo queste manifestazioni che offrono una dimensione di festa popolare alla celebrazione di Tutti i Santi. Saluto inoltre la Corale di San Cataldo, i ragazzi di Ruvo di Puglia e quelli di Papanice.

Oggi pomeriggio mi recherò al Cimitero del Verano, dove celebrerò la Santa Messa in suffragio dei defunti. Visitando il principale cimitero di Roma, mi unisco spiritualmente a quanti in questi giorni vanno a pregare presso le tombe dei loro cari, in ogni parte del mondo.

A tutti auguro pace e serenità nella compagnia spirituale dei Santi. Buona domenica e per favore, non dimenticate di pregare per me.








ATTENZIONE: CLICCARE QUI PER UNA RACCOLTA INTEGRALE DI TUTTO IL MAGISTERO DI BENEDETTO XVI SUL 1° NOVEMBRE E LA COMMEMORAZIONE DEI DEFUNTI




Le Indulgenze per i Defunti

Dall’1° all’8 Novembre i fedeli possono lucrare ogni giorno un’Indulgenza plenaria applicabile alle anime del Purgatorio:

 

 Da 1° all’8: alle solite condizioni, visita ad un cimitero pregando per i defunti.

  • il 2 Novembre: alle solite condizioni, visita ad una chiesa, recitando un Pater e unCredo.

Solite condizioni:

1. essere distaccati da ogni peccato, anche veniale,

2. confessione,

3. comunione sacramentale,

4. preghiera (per esempio un Pater e un Ave) secondo le intenzioni del Sommo Pontefice (che sono: l’esaltazione della Chiesa, la propagazione della fede, l’estirpazione dell’eresia, la conversione dei peccatori, la concordia tra i principi cristiani).

- Conviene fare la comunione e la preghiera secondo le intenzioni del Sommo Pontefice il giorno stesso. Tuttavia le condizione 2, 3 e 4 possono essere adempiute alcuni giorni prima o dopo.

- La comunione e la preghiera, secondo le intenzioni del Sommo Pontefice, si devono fare per ogni indulgenza.

- Se manca una delle condizioni, l’indulgenza sarà solamente parziale.

     


UN PROFESSORE UNIVERSITARIO CONDANNATO ALL'INFERNO.
Prof. Sorbona, Parigi, Francia, + 1082.

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L’episodio, riguardante Raimondo Diocrés, ed oggi contestato dagli studiosi, fu inserito, alla fine del XIII secolo, da un certosino di Meyriat nella stesura dell a cronaca “Laudemus”, uno dei più antichi racconti agiografici pervenutoci 
e successivamente ripreso dalla “Vita antiquior” del 1300 circa, che fa parte della cronaca dei primi cinque priori della Gran Certosa, e dall’opera di Heinrich Egher von Kalkar “Ortus et decursus Ordinis Cartusiensis” del 1398. Esso riveste una fondamentale importanza, poiché la tradizione agiografica 
ne ha fatto la “vera causa” del ritiro di San Bruno nella solitudine dell’eremo ove fondò 
la Certosa a Serra San Bruno in Calabria, luogo di custodia dellle Reliquie del corpo del Santo.

Don Giuseppe Tomaselli nel suo libretto intitolato “L'inferno c'è”, racconta un fatto spaventoso, una storia che ha dell’incredibile… ma davvero non c’è più alcuna speranza quando si giunge all’inferno! E strano a dirsi, non è Dio che ci manda in questo luogo di pena senza ritorno, ma la volontà umana!

Un fatto sconvolgente è avvenuto alla presenza di migliaia di testimoni gente comune ma anche facoltosi dottori e un gruppo di eruditi facoltosi.

Quanto bene possa fare il pensiero dell’inferno, ce lo dice quanto è avvenuto ai funerali di un famoso maestro della Sorbona di Parigi, Raimondo Diocré alla sua morte avvenuta 
in Parigi nel 1082. L’episodio, clamoroso, fu, 
al dire di P. Tomaselli, riportato dai Bollandisti ed analizzato rigorosamente in tutti i suoi particolari.

Ecco cosa accadde: alla morte del professore, avvenuta a Parigi, si prepararono solenni funerali nella Chiesa di NotreDame. Vi parteciparono professori e uomini di cultura, autorità ecclesiastiche e civili, discepoli del defunto e fedeli di ogni ceto.

La salma, collocata al centro della navata centrale, era coperta da un semplice velo. Si iniziò a recitare l’ufficio dei defunti.

Arrivati alle parole: “Responde mihi: Quantas habeo iniquitates et peccata… “, si udì una voce sepolcrale uscire da sotto il velo: «Per giusto giudizio di Dio sono stato accusato!».

Con sgomento si tolse il velo, ma la salma era ferma e immobile. Si riprese l’ufficiatura interrotta fra il turbamento generale. Arrivati allo stesso versetto di prima, il cadavere si alzò a vista di tutti e gridò: «Per giusto giudizio di Dio sono stato giudicato!».

Spavento e terrore si impadronirono di tutti. Alcuni medici si avvicinarono alla salma ripiombata in piena immobilità, ma constatarono che il professore era veramente morto.

A questo punto non si ebbe il coraggio di continuare il funerale, rimandando tutto all’indomani. Le autorità ecclesiastiche non sapevano cosa fare: alcuni dicevano che era dannato e non si poteva pregare per lui; altri invece dicevano che ancora non c’era la certezza della dannazione, pur essendo stato accusato e giudicato.

Il Vescovo ordinò che si riprendesse a recitare l’ufficio dei morti.

Ma al famoso versetto nuovamente il cadavere si alzò e gridò:

«Per giusto giudizio di Dio sono stato condannato all’inferno per sempre!».

Non c’erano più dubbi: il defunto era dannato. Il funerale cessò e si credette bene di non seppellire la salma nel cimitero comune. Tra i presenti c’era un certo Brunone, discepolo e ammiratore di Diocré, che rimase profondamente scosso da quanto accaduto. Pur essendo già un buon cristiano, risolvette di abbandonare tutto e darsi alla penitenza.

Con lui, altri presero la stessa decisione. Brunone divenne il fondatore dell’Ordine dei Certosini o Trappisti, ordine tra i più rigorosi della Chiesa Cattolica.

A Serra San Bruno, in Calabria, vi è il monastero fatto costruire proprio da San Bruno ove sono sepolti, tra gli altri, non pochi uomini illustri che hanno lasciato tutto per dedicarsi interamente alla preghiera, al lavoro, all’aspra penitenza e al più rigoroso silenzio. Questi uomini, seguendo le orme del fondatore, al pensiero dell’inferno, perseverano nella vita di mortificazione per guadagnarsi il paradiso.



DA LEGGERE ATTENTAMENTE..."MI AVETE LASCIATA IN PURGATORIO!..."

Il 3 febbraio 1944, moriva una vecchietta, prossima agli ottant’anni. Era mia madre. Potei contemplare il suo cadavere nella Cappella del Cimitero, prima della sepoltura. Da Sacerdote allora pensai: Tu, o donna, da quanto io posso giudicare, non hai mai violato gravemente un solo comandamento di Dio! – E riandai col pensiero alla sua vita.

In realtà mia madre era di grande esemplarità e devo a lei in gran parte la mia vocazione sacerdotale. Ogni giorno andava a Messa, anche nella vecchiaia, con la corona dei suoi figli. La Comunione era quotidiana.


Mai tralasciava il Rosario. Caritatevole, sino a perdere un occhio mentre compiva un atto di squisita carità verso una povera donna. Uniformata ai voleri di Dio, tanto da chiedermi quando mio padre era disteso cadavere in casa: “Che cosa posso dire a Gesù in questi momenti per fargli piacere?” Ripeta: “Signore, sia fatta la tua volontà!”

Sul letto di morte ricevette gli ultimi Sacramenti con viva fede. Poche ore prima di spirare, soffrendo troppo, ripeteva: “Oh Gesù, vorrei pregarti di diminuire le mie sofferenze. Però non voglio oppormi ai tuoi voleri; fa’ la tua volontà!” Così moriva quella donna che mi portò al mondo.

Basandomi sul concetto della Divina Giustizia, poco curandomi degli elogi che potessero fare i conoscenti e gli stessi Sacerdoti, intensificai i suffragi. Gran numero di Sante Messe, abbondante carità ed, ovunque predicavo, esortavo i fedeli ad offrire Comunioni, preghiere ed opere buone in suffragio.

Iddio permise che la mamma apparisse. Ho studiato ed ho fatto approfondire la questione a bravi Teologi e si è concluso: E’ stata una vera apparizione!

Da due anni e mezzo mia madre era morta. Ecco all’improvviso apparire nella stanza, sotto sembianze umane. Era triste assai.

- Mi avete lasciata nel Purgatorio!…

- Sinora in Purgatorio siete stata?

- E ci sono ancora!… L’anima mia è circondata di oscurità e non posso vedere la Luce, che è Dio!… Sono alla soglia del Paradiso, vicino al gaudio eterno, e spasimo del desiderio di entrarvi; ma non posso! Quante volte ho detto: Se i miei figli conoscessero il mio terribile tormento, ah!, come verrebbero in mio aiuto!…

- E perchè non veniste prima ad avvisare?

- Non era in mio potere.

- Ancora non avete visto il Signore?

- Appena spirata, ho visto Dio, ma non in tutta la sua luce.

- Cosa possiamo fare per liberarvi subito?

- Ho bisogno di una sola Messa. Iddio mi ha permesso di venirla a chiedere.

- Appena entrate in Paradiso, ritornate a darne notizia!

- Se il Signore lo permetterà!… Che Luce… che splendore!… – Così dicendo si dileguò la visione.

Si celebrarono due Messe e dopo un giorno riapparve, dicendo: “Sono entrata in Paradiso!”

Dopo quanto ho esposto, dico a me stesso: Una vita esemplarmente cristiana, una grande quantità di suffragi… e due anni e mezzo di Purgatorio!… Altro che i giudizi degli uomini!

[Brano tratto da "I nostri morti - La casa di tutti", di Don Giuseppe Tomaselli]



[Modificato da Caterina63 08/11/2017 00:30]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Le confessioni di Mamma Natuzza: “Ho visto i morti, ecco come sarà l’aldilà e cosa si fa”

Di Don Marcello Stanzione
12 novembre 2017

Molti anni fa discorrevo con un noto sacerdote carismatico che aveva fondato un gruppo ecclesiale riconosciuto da alcuni Vescovi. Iniziammo a parlare di Natuzza Evolo e, con mia grande sorpresa, il sacerdote affermò che, secondo lui, Natuzza faceva dello spiritismo a buon mercato. Rimasi molto contrariato da questa affermazione, per una forma di rispetto non risposi al famoso sacerdote ma, nel mio cuore, subito pensai che tale grave affermazione nasceva da una forma non nobile di invidia verso una povera donna analfabeta alla quale migliaia di persone si rivolgevano ogni mese ottenendone sempre un sollievo nell’anima e nel corpo. Con gli anni cercai di studiare il rapporto di Natuzza con i defunti e mi resi completamente conto che la mistica calabrese non andava assolutamente considerata come una “medium”. Infatti, Natuzza non invoca i defunti chiedendo loro di venire da lei e …… le anime dei morti le compaiono non per sua decisione e volontà, ma unicamente per volontà delle anime stesse grazie ovviamente al permesso divino.
Quando le persone le chiedevano di avere dei messaggi o delle risposte alle loro domande, da parte dei loro defunti, Natuzza rispondeva sempre che questo loro desiderio non dipendeva da lei, ma unicamente dal permesso di Dio ed invitava loro a pregare il Signore affinché questo loro pio desiderio venisse esaudito. Il risultato era che alcune persone ricevevano messaggi da parte dei loro trapassati, ed altri invece non erano esauditi, mentre Natuzza avrebbe desiderato accontentare tutti. Comunque, l’angelo custode la informava sempre se tali anime nell’aldilà avevano più o meno bisogno di suffragi e di sante Messe.

Nella storia della spiritualità cattolica apparizioni di anime del Paradiso, del Purgatorio e talora anche dell’Inferno, sono avvenute nella vita di numerosi mistici e di santi canonizzati. Per quanto riguarda il Purgatorio, possiamo tra i numerosissimi mistici, ricordare: San Gregorio Magno, da cui è derivata la pratica delle Messe celebrate di seguito per un mese, dette appunto “Messe Gregoriane”; santa Geltrude, santa Teresa d’Avila, santa Margherita da Cortona, santa Brigida, santa Veronica Giuliani e, più vicini a noi, pure santa Gemma Galgani, santa Faustina Kowalska, Teresa Newmann, Maria Valtorta, Teresa Musco, san Pio da Pietrelcina, Edwige Carboni, Maria Simma e tanti altri. E’ interessante sottolineare che mentre per questi mistici le apparizioni delle anime del Purgatorio avevano l’obiettivo di accrescere la loro stessa fede e a spronarli a maggiori preghiere di suffragio e di penitenze, così di affrettare il loro ingresso in Paradiso, nel caso di Natuzza, invece, oltre ovviamente a tutto ciò, questo carisma le è stato accordato da Dio per un’ampia attività di consolazione del popolo cattolico e in un periodo storico in cui, nella catechesi e nella omiletica, il tema Purgatorio è quasi completamente assente, per rafforzare nei cristiani la fede nella sopravvivenza dell’anima dopo la morte e nell’impegno che la Chiesa militante deve offrire a favore delle Chiesa sofferente.
I defunti ribadivano a Natuzza l’esistenza del Purgatorio, del Paradiso e dell’Inferno, a cui venivano inviati dopo la morte, come premio o castigo per la loro condotta di vita. Natuzza, con le sue visioni, confermava l’insegnamento plurimillenario del Cattolicesimo, cioè che immediatamente dopo la morte, l’anima del defunto viene condotta dall’angelo custode, al cospetto di Dio e ne viene perfettamente giudicata in tutti i minimi particolari della sua esistenza. Coloro che venivano inviati nel Purgatorio, richiedevano sempre, tramite Natuzza, orazioni, elemosine, suffragi e soprattutto sante Messe affinché fossero loro abbreviate le pene.
Secondo Natuzza, il Purgatorio non è un posto particolare, ma uno stato interiore dell’anima, la quale fa penitenza “negli stessi luoghi terreni dove ha vissuto ed ha peccato”, dunque anche nelle stesse case abitate durante la vita. Talvolta le anime fanno il loro Purgatorio anche dentro le chiese, quando è stata superata la fase di maggiore espiazione. Il nostro lettore non deve meravigliarsi di queste affermazioni di Natuzza, perché la nostra mistica, senza saperlo, ripeteva cose già affermate da papa Gregorio Magno nel suo libro dei Dialoghi. Le sofferenze del Purgatorio, benché siano alleviate dal conforto dell’angelo custode, possono essere molto aspre. A testimonianza di ciò a Natuzza capitò un singolare episodio: Ella vide una volta un defunto e gli chiese dove si trovasse.

Il morto le rispose di trovarsi tra le fiamme del Purgatorio, ma Natuzza, vedendolo sereno e tranquillo, gli osservò che, a giudicare dal suo aspetto, ciò non doveva essere veritiero. L’anima purgante le ribadì che le fiamme del Purgatorio se le portava con sé, dovunque andasse. Mentre proferiva queste parole ella lo vide avvolto dalle fiamme. Credendo che si trattasse di una sua allucinazione, Natuzza gli si avvicinò, ma venne investita dal calore delle fiamme che le procurarono una fastidiosa ustione alla gola e alla bocca che le impedì di nutrirsi normalmente per ben quaranta giorni e fu costretta a rivolgersi alle cure del dottor Giuseppe Domenico valente, medico condotto di Paravati. Natuzza ha incontrato numerosissime anime sia illustri che sconosciute. Lei che ha sempre detto di essere ignorante ha incontrato anche Dante Alighieri, che le ha rivelato di aver scontato trecento anni di Purgatorio, prima di poter entrare in Paradiso, perché anche se aveva composto sotto ispirazione divina, le cantiche della Commedia, purtroppo aveva dato spazio, nel suo cuore, alle proprie simpatie ed antipatie personali, nell’assegnare i premi e le pene: da qui il castigo di trecento anni di Purgatorio, trascorsi però al Prato Verde, senza soffrire altra sofferenza che quella della mancanza di Dio. Numerose testimonianze sono state raccolte sugli incontri tra Natuzza e le anime della Chiesa sofferente.

La professoressa Pia Mandarino, di Cosenza, ricorda: “In seguito alla morte di mio fratello Nicola, avvenuta il 25 gennaio 1968, caddi in uno stato di depressione e persi la fede. Mandai a dire a Padre Pio, che avevo conosciuto tempo prima: “Padre, rivoglio la mia fede!”. Per motivi a me ignoti non ricevetti subito la risposta del Padre e, nel mese di agosto, andai a trovare Natuzza per la prima volta. Le dissi: “Io in chiesa non ci vado, la Comunione non la faccio più…”. Natuzza si fece una risatina, mi accarezzò e mi disse: “Non ti preoccupare, che verrà presto il giorno nel quale non ne potrai fare a meno. Tuo fratello è salvo, ed ha fatto una morte da martire. Ora ha bisogno di preghiere ed è dinnanzi ad un quadro della madonna, in ginocchio, che prega. Soffre perché sta in ginocchio”. Le parole di Natuzza mi rasserenarono e, qualche tempo dopo, mi arrivò, tramite Padre Pellegrino, la risposta di Padre Pio: “Tuo fratello si è salvato, ma ha bisogno di suffragi”. La stessa risposta di Natuzza! Come Natuzza mi aveva predetto, sono ritornata alla fede ed alla frequenza della Messa e dei sacramenti. Circa quattro anni fa ho appreso da Natuzza che Nicola è andato in Paradiso, subito dopo la prima Comunione dei suoi tre nipotini che, a San Giovanni Rotondo, hanno offerto la loro prima Comunione per lo zio”.

La signorina Antonietta Polito di Briatico sul rapporto di Natuzza con l’aldilà porta la seguente testimonianza: “Avevo avuto un litigio con una mia parente. Poco tempo dopo, recatami da Natuzza, ella, posandomi la mano sulla spalla, mi disse: “Vi siete bisticciata?”. “E voi come lo sapete?”. “Me lo ha detto il fratello (defunto) di quella persona. Vi manda a dire di cercare di evitare questi litigi perché lui ne soffre”. Io non avevo parlato per nulla di questo fatto a Natuzza e lei non poteva averlo saputo da nessuno. Mi nominò esattamente la persona con la quale avevo litigato. Un’altra volta Natuzza mi disse a proposito di questo stesso defunto che era contento perché la sorella gli aveva ordinato le messe gregoriane. “Ma chi ve lo ha detto?”, le chiese, e lei: “Il defunto”. Molto tempo prima le avevo domandato notizie di mio padre, Vincenzo Polito, morto nel 1916. mi chiese se avessi una sua foto, ma le risposi di no, perché in quell’epoca non se ne facevano ancora, da noi. La volta seguente che andai da lei mi informò che da molto tempo era in paradiso, perché andava in chiesa mattina e sera. Io non sapevo di questa sua abitudine, perché quando mio padre morì avevo appena due anni. mia madre, poi, da me interpellata, me lo confermò”.

La signora Teresa Romeo di Melito Portosalvo ha dichiarato: “Il 5 settembre 1980 morì una mia zia. Lo stesso giorno dei funerali una mia amica andò da Natuzza e le chiese notizie della defunta. “E’ salva!”, le rispose. Quando furono trascorsi quaranta giorni, io mi recai da Natuzza, ma mi ero dimenticata della zia e non avevo portato con me la sua foto, per farla vedere a Natuzza. Ma questa, appena mi vide, mi disse: “O Teresa, sai chi ho visto ieri? Tua zia, quella vecchierella che è morta per l’ultima (Natuzza non l’aveva mai conosciuta in vita) e mi ha detto “Sono la zia di Teresa. Ditele che sono contenta di lei e di quello che ha fatto per me, che ricevo tutti i suffragi che mi manda e che prego per lei. Io mi sono purificata sulla terra”. Questa mia zia, quando morì, era cieca e paralizzata a letto”.

La signora Anna Maiolo residente a Gallico Superiore narra: “Quando mi recai per la prima volta da Natuzza, dopo la morte di mio figlio, ella mi disse: “Vostro figlio è in un luogo di penitenza, come del resto avverrà a tutti noi. Beato chi può andare in Purgatorio, perché ce ne sono che vanno all’Inferno. Ha bisogno di suffragi, ne riceve, ma ha bisogno di molti suffragi!”. Io allora feci fare varie cose per mio figlio: feci celebrare molte messe, feci fare una statua della Madonnina Ausiliatrice per le Suore, comprai un calice ed un ostensorio in sua memoria.

Quando tornai da Natuzza ella mi disse: “Vostro figlio non ha bisogno di niente!”. “Ma come, Natuzza, l’altra volta mi avevate detto che aveva bisogno di tanti suffragi!”. “Basta tutto quello che avete fatto!”, mi rispose. Io non l’avevo informata di quanto avevo fatto per lui. Sempre la signora Maiolo testimonia: “Il 7 dicembre del 1981, vigilia dell’Immacolata, dopo la Novena, io ritornavo a casa mia, accompagnata da una mia amica, la signora Anna Giordano. In chiesa avevo pregato Gesù e la Madonna, dicendo loro: “Gesù mio, Madonna mia, datemi un segno quando mio figlio entrerà in paradiso”. Giunta vicino a casa mia, mentre stavo per salutare la mia amica, di colpo, vidi nel cielo, sopra la casa, un globo luminoso, della grandezza della luna, che si muoveva, ed in pochi secondi disparve. Mi sembrava che avesse una scia azzurrina. “Mamma mia, cosa è?”, esclamò la signora Giordano, impaurita come me. Corsi dentro a chiamare mia figlia ma il fenomeno era già cessato. Il giorno dopo chiamai l’Osservatorio geofisico di Reggio Calabria, chiedendo se la sera prima ci fosse stato qualche fenomeno atmosferico, o qualche stella cadente di grandi dimensioni, ma mi risposero di non aver osservato niente. “Avete visto un aereo”, mi dissero, ma ciò che io e la mia amica avevamo visto non aveva nulla a che fare con gli aerei: era una sfera luminosa simile alla luna. Il 30 dicembre successivo mi recai con mia figlia da Natuzza, le narrai il fatto, ed ella mi spiegò così: “Era una manifestazione di vostro figlio che entrava in paradiso”. Mio figlio era morto il 1° novembre 1977 ed il 7 dicembre 1981 era dunque entrato in paradiso.

Natuzza, prima di questo episodio, mi aveva sempre assicurato che lui stava bene, tanto che, se io lo avessi visto nel posto dove stava, gli avrei certo detto: “Figlio mio, stai pure là” e che pregava sempre per la mia rassegnazione. Quando io dicevo a Natuzza: “Ma non aveva fatto ancora la cresima”, ella avvicinandosi a me, e parlandomi col volto, come fa, con la lucentezza dei suoi occhi, mi rispondeva: “Ma era puro di cuore!”.

Il professor Antonio Granata, docente all’Università di Cosenza, porta quest’altra sua esperienza con la mistica calabrese: “Martedì 8 giugno 1982, durante un colloquio, mostro a Natuzza le fotografie di due mie zie, di nome Fortunata e Flora, morte da un paio d’anni e alle quali sono stato molto affezionato. Ci scambiammo queste frasi: “Queste sono due mie zie morte da qualche anno. Dove si trovano?”. “Sono in un luogo buono”. “Sono in paradiso?”. “Una (indicando la zia Fortunata) è al Prato Verde, l’altra (indicando la zia Flora) è in ginocchio davanti al quadro della Madonna. Comunque sono salve tutte e due”. “Hanno bisogno di preghiere?”. “Potete aiutarle ad accorciare il loro periodo d’attesa” e, prevedendo una mia ulteriore domanda aggiunge: “E come potete aiutarle? Ecco: recitando qualche Rosario, qualche preghiera durante il giorno, facendo qualche comunione, o se fate qualche opera buona la dedicate a loro”. Il professor Granata continua nel suo racconto: “Nei primi giorni del luglio successivo faccio un pellegrinaggio ad Assisi con dei Frati francescani e rivengo in contatto con la realtà dell’indulgenza della Porziuncola che conoscevo superficialmente già da anni (infatti già molte volte avevo visitato la Porziuncola) ma alla quale non attribuivo alcun significato particolare non avendo riacquistato la fede. Ma adesso una indulgenza plenaria mi sembrò una cosa strabiliante, “dell’altro mondo”, e decido subito di lucrarla per le mie zie. Stranamente, per quanto mi informi, non riesco ad ottenere chiare informazioni sulla corretta prassi da seguire: penso che essa possa essere lucrata in ogni giorno dell’anno e così infatti faccio durante quel pellegrinaggio chiedendola per entrambe le mie zie. Fortunatamente, alcune settimane dopo, nella mia parrocchia, trovo nel fogliettino della Messa domenicale la prassi corretta, da eseguirsi tra il 1° e il 2 agosto e a favore di una sola persona.

Il 1° agosto 1982, dopo varie peripezie (non è facile confessarsi e comunicarsi nel mese di agosto!), chiedo l’indulgenza per la zia Fortunata. Mercoledì, 1° settembre 1982, ritorno da Natuzza e mostrandole le foto delle mie zie accenno alle risposte da lei datemi precedentemente e alla mia richiesta dell’indulgenza della Porziuncola. Natuzza ripete tra di sé: “L’indulgenza della Porziuncola” e guardando le foto risponde subito senza esitazioni: “Questa (indicando la zia Fortunata) è già in paradiso; questa (indicando la zia Flora) non ancora”. Io rimango molto sorpreso e contento e chiedo per conferma: “Ma è stato proprio per l’indulgenza?”. Natuzza risponde: “Sì, sì, l’indulgenza della Porziuncola”. Voglio aggiungere che io rimasi molto stupito e confortato da questo episodio: stupito di come una grazia così grande sia stata concessa dietro pochissima fatica da parte mia; confortato e felice del fatto che una preghiera detta da un poveretto come me sia stata ascoltata. Sento come se con questa grazia sia stato suggellato il mio recente ritorno alla Chiesa. Riguardo alla zia Flora chiedo l’indulgenza plenaria il 1° novembre successivo e giovedì 18 novembre 1982 ricevo da Natuzza la seguente risposta: “Adesso (Flora) si trova in paradiso si trova al Prato Verde; è andata lì per i suffragi ricevuti”.

Il dottor Franco Stilo racconta: “Nel 1985 o nel 1984 mi sono recato da Natuzza e le ho fatto vedere le foto di una mia zia e di mio nonno, defunti. Le feci vedere prima la foto di mia zia. Natuzza, immediatamente, con una rapidità impressionante, senza nemmeno pensarci minimamente, si illuminò nel volto e, tutta contenta, disse: “Questa è santa, si trova in paradiso con la Madonna”. Quando prese la foto di mio nonno, cambiò invece espressione, e disse: “Questo ha molto bisogno di suffragi”. Io rimasi stupefatto per la rapidità e la sicurezza con la quale diede le risposte. La zia, Antonietta Stilo, nata il 3.3.1932 e morta l’8.12.1980 a Nicotera, fin da bambina era religiosissima e a 19 anni andò a Napoli per diventare suora, ma subito dopo si ammalò e non potè proseguire, ma pregava sempre, era molto buona e gentile con tutti, ed offrì sempre la sua malattia al Signore; mio nonno Giuseppe Stilo, invece, il padre della zia, nato il 5.4.1890 e morto il 10.6.1973 non pregava mai, non andava mai a messa, qualche volta bestemmiava e forse non credeva in Dio, mentre la zia era tutto l’opposto. Natuzza di tutto ciò naturalmente non poteva sapere nulla ed io, ripeto, rimasi meravigliatissimo per la rapidità eccezionale con la quale Natuzza mi diede le risposte”.

Il professor Valerio Marinelli, uno scienziato autore di diversi libri sulla Evolo, una volta le domandò: “Soffrono anche il freddo, ad esempio, le anime del Purgatorio?”. E lei: “Sì, anche il vento e il gelo, a seconda dei peccati hanno una pena particolare. Ad esempio ai superbi, ai vanitosi ed agli orgogliosi, è destinato di stare nel fango, ma non è un fango normale, è un fango di putredine. Il tempo nell’aldilà è come questo qua, ma sembra più lento a causa della sofferenza. Nessuno conosce i misteri dell’aldilà, e gli scienziati conoscono solo la millesima parte di quello che c’è qui nel mondo terreno”.
Il dottor Ercole Versace di Reggio Calabria ricorda: “Un mattino di tanti anni fa, mentre io, mia moglie e Natuzza pregavamo insieme nella cappellina a Paravati, e non c’era nessun altro con noi, ad un certo punto Natuzza divenne luminosa in volto e mi disse: “Dottore, voi avevate un fratello che è morto quando era piccolo?”. Ed io: “Sì, perché?”. “Perché è qua con noi!”. “Sì, e dove sta?”. “In un prato verde, bellissimo”. Si trattava di mio fratello Alberto, che morì a quindici anni, il 21 maggio 1940, per un attacco appendicolare, mentre studiava a Firenze al Collegio della Quercia. Natuzza non aggiunse altro”.

Suor Bianca Cordiano delle Missionarie del Catechismo, dichiara: “Ho chiesto molte volte a Natuzza dei mie parenti defunti. Quando le ho domandato di mia madre mi ha detto subito, con un’espressione di gioia: “E’ in paradiso! Era una santa donna!”. Quando le domandai di mio padre, mi disse: “La prossima volta che venite vi darò la risposta”. Quando la rividi, Natuzza mi disse: “il 7 ottobre fate celebrare una Messa per vostro padre, perché salirà in paradiso!”. Rimasi colpita profondamente da queste sue parole, perché il 7 ottobre è la festa della Madonna del Rosario e mio padre si chiamava proprio Rosario. Natuzza non conosceva il nome di mio padre”. E’ opportuno adesso riportare una parte dell’intervista del 1984 concessa dalla mistica calabrese al noto professore Luigi Maria Lombardi Satriani, docente di antropologia di estrazione marxista che però ha sempre lodato Natuzza Evolo, insieme all’illustre docente anche la giornalista Maricla Boggio intervistò Natuzza, utilizziamo le iniziali D. per Domanda e R. per risposta:

“D. – Natuzza, sono ormai migliaia le persone che sono venute da lei e continuano a venire. Per che cosa vengono, quali bisogni vi dicono, quali richieste vi fanno?
R. – Richieste per malattie, se il medico ha indovinato la cura. Domandano per i morti, se sono in paradiso, se sono in purgatorio, se hanno bisogno o no, per consigli.

D. – E voi come fate a rispondere loro. Per i morti, ad esempio, quando vi domandano dei morti.
R. – Per i morti li riconosco se li ho visti per esempio 2, 3 mesi prima; se li ho visti un anno prima non li ricordo, ma se li ho visti da poco tempo li ricordo, attraverso la fotografia li riconosco.

D. – Quindi vi mostrano la fotografia e voi potete anche dire dove si trovano?
R. – Sì, dove si trovano, se sono in paradiso, in purgatorio, se hanno bisogno, se mandano a dire qualche messaggio ai parenti.

D. – Voi potete anche riferire ai morti messaggi dei vivi, dei familiari?
R. – Sì, pure dei vivi.

D. – Ma una persona, quando muore, voi subito dopo potete vederla o no?
R. – No, dopo quaranta giorni.

D. – E dove si trovano durante questi quaranta giorni le anime?
R. – Non dicono dove, non hanno mai parlato di questo.

D. – E loro possono essere al purgatorio o al paradiso o all’inferno?
R. – O all’inferno, sì.

D. – O anche in qualche altro posto?
R. – Loro dicono che il purgatorio lo fanno sulla terra, dove hanno vissuto, dove hanno commesso i peccati.

D. – Voi certe volte parlate del prato verde. Che cos’è il Prato Verde?
R. – Loro lo dicono, che è l’anticamera del paradiso.

D. – E voi come fate a distinguere, quando vedete le persone, se sono vive o se sono morte. Perché voi le vedete contemporaneamente.
R. – Non sempre le distinguo, perché tante volte mi è capitato di dare la sedia ad un morto perché non distinguo se è vivo o se è morto. Distinguo solo le anime del paradiso perché sono sollevate da terra. Le altre invece no, le piglio per vivi. Infatti quante volte do loro la sedia e loro mi dicono: “Non ho bisogno perché sono un’anima dell’altro mondo”. E poi mi parla del parente presente perché tante volte capita che, quando viene, per esempio, una persona, è accompagnata dal fratello morto o dal padre che mi dice tante cose da suggerire al figlio.

D. – Queste voci dei morti le ascoltate solo voi? Gli altri nella stanza non le sentono?
R. –No, solo io, io ripeto quello che sento.


Lo scienziato Valerio Marinelli che, a lungo, ha studiato i fenomeni paranormali di Natuzza raccogliendo varie testimonianze, ricorda: “Nel 1985 la signora Jolanda Cuscianna, di Bari, mi incaricò di chiedere a Natuzza della mamma Carmela Tritto, morta nel settembre del 1984. questa signora era stata testimone di Geova e la figlia era preoccupata per la sua salvezza. Già padre Pio, quando la mamma era ancora in vita, le aveva detto che si sarebbe salvata, ma la signora Cuscianna voleva la conferma di Natuzza. Natuzza, alla quale non parlai del responso di Padre Pio, ma dissi solo che era stata testimone di Geova, mi disse che quell’anima era salva, ma che aveva bisogno di suffragi. La signora Cuscianna pregò molto per la mamma e le fece celebrare anche le Messe gregoriane. Quando fu richiesto a Natuzza, un anno dopo, ella disse che era andata in paradiso”.

Sempre il professor Marinelli ricorda, riguardo alla tematica del Purgatorio: “Padre Michele la interrogò dopo su questo tema, e Natuzza gli ribadì che effettivamente le sofferenze del Purgatorio possono essere molto acute, tanto che si parla di fiamme del Purgatorio, per farci capire l’intensità del loro dolore. Le anime del Purgatorio possono essere suffragate dagli uomini vivi, ma non dalle anime dei defunti, nemmeno da quelle del paradiso; soltanto la Madonna, tra le anime del cielo, può aiutarle. E durante la celebrazione della Messa, disse Natuzza a padre Michele, molte anime si affollano all’interno delle chiese, come mendicanti la preghiera del sacerdote a loro vantaggio. Il 1° ottobre del 1997 ebbi l’occasione di incontrare Natuzza presso la Casa Anziani, alla presenza di padre Michele, e tornai ancora con lei su questo argomento. Le chiesi se fosse vero che le sofferenze della terra sono poca cosa rispetto a quelle del Purgatorio, e lei mi rispose che le pene del Purgatorio sono sempre commisurate ai peccati compiuti dalla singola anima; che le sofferenze terrene, se accettate con pazienza ed offerte a Dio, hanno grande valore, e possono accorciare di molto il proprio Purgatorio: un mese di sofferenza terrena potrebbe evitare, ad esempio, un anno di purgatorio, come capitò a mia madre; mi ricordò Natuzza, che con la sua malattia avuta prima di morire ebbe risparmiata una parte di Purgatorio e andò quasi subito al Prato Verde, dove non si soffre pur non avendo ancora la visione beatifica. Le sofferenze del Purgatorio, aggiunse Natuzza, possono essere talvolta più aspre perfino di quelle dell’Inferno, ma le anime le sopportano volentieri perché sanno che prima, o dopo, avranno la visione eterna di Dio e sono sorrette da questa certezza; inoltre arrivano a loro i suffragi che mitigano ed abbreviano le loro pene. Qualche volta hanno il conforto dell’angelo custode. Tuttavia a qualche anima che aveva gravemente peccato, ha raccontato Natuzza, è capitato di essere rimasta per molto tempo in dubbio sulla propria salvezza, stando sopra un precipizio da dove da una parte c’era il buio, da un’altra il mare, e dall’altra il fuoco, e l’anima non sapeva se fosse in Purgatorio oppure all’Inferno. Solo dopo quarant’anni apprese di essersi salvata, e fu felicissima”.

Le testimonianze sulle visioni di Natuzza sul Purgatorio sono in accordo con i dati del Magistero, inoltre esse costituiscono una conferma preziosa di verità di fede professata. Natuzza ci fa capire che cosa significhi infinita misericordia e infinita giustizia di Dio, che non sono in contrasto tra di loro, ma si armonizzano mirabilmente senza nulla togliere né alla misericordia né alla giustizia. Natuzza sottolinea spesso l’importanza delle preghiere e dei suffragi per le anime del Purgatorio e soprattutto la richiesta di celebrazioni di sante Messe ed in tal modo sottolinea l’infinito valore del sangue di Cristo Redentore. La lezione della Evolo è estremamente preziosa oggi in un periodo storico nel quale impazzano il pensiero debole relativista ed il nichilismo. Il messaggio di Natuzza è un forte richiamo alla realtà e al buonsenso. In particolare Natuzza invita ad avere un profondo senso del peccato. Una delle grandi disgrazie di oggi è appunto la perdita completa del senso del peccato. Le anime purganti sono in numero enorme. Ciò ci fa capire sia la misericordia di Dio, che salva quanto più è possibile, e sia i difetti e le carenze anche delle anime migliori.

La vita di Natuzza è servita non solo ad aiutare le anime sofferenti in Purgatorio, ma a rinvigorire la coscienza di tutti coloro che si rivolgevano a lei sulla gravità del peccato e così impostare una vita cristiana molto più rigorosa e impegnata moralmente. Natuzza parlava spesso del Purgatorio ed anche questo è un suo grande insegnamento perché purtroppo, assieme ai Novissimi, anche il tema del Purgatorio è quasi completamente scomparso dalla predicazione e dall’insegnamento di molti teologi cattolici. La ragione è costituita dal fatto che oggi tutti (anche gli omosessuali) ci crediamo talmente buoni da non poter meritare altro che il Paradiso! Qui c’è certamente la responsabilità della cultura contemporanea che tende a negare il concetto stesso di peccato, cioè proprio di quella realtà che la fede lega all’Inferno e al Purgatorio. Ma nel silenzio sul Purgatorio c’è anche qualche altra responsabilità: la protestantizzazione del cattolicesimo. In conclusione l’insegnamento di Natuzza sul Purgatorio può essere sommamente utile alla salvezza dell’anima dei cattolici del XXI secolo che vorranno ascoltarla.


     



[Modificato da Caterina63 13/11/2017 14:48]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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