Caro Jesus, La pace di Cristo!
Contentissimo di risentirti dopo tanto tempo. Ti ripeto il mio desiderio di comunicare personalmente e privatamente con te appena tu lo desideri, perchè mi sembri davvero una persona interessante.
Mi chedi di parlarti dell'Eucarestia, forse, e questo è un invito anche a Caterina, occorrerebbe aprire una nuova bacheca su questo argomento, cercando di dire cosa essa rappresenta nella vita di ognuno e non parlarne in senso astratto.
Se vuoi in soldoni sapere cosa ne penso io, è che è il più grande dono che Cristo ci abbia lasciato in pegno nell'attesa della sua venuta e definitiva manifestazione.
Gesù in essa ha istituito un memoriale e memoriale non vuol dire solo ricordare, ma rendere presente il ricordo.
Non lo spiego in questo breve messaggio, ma ti posso assicurare che memoriale come "attuazione di ciò che si ricorda" è un concetto biblicissimo, basato sulle scritture e sulla prassi del culto israelitico.
Cristo è presente nel Pane ed il pane diviene segno della sua presenza fra noi.
Paolo VI diceva giustamente che non bisogna assolutizzare la presenza eucaristica, che Gesù è presente nella chiesa in tanti modi, nella sua Scrittura, nei sacrametni e quindi anche nell'Eucarestia, presenza reale per antonomasia e non per esclusione.
Forse ciò che più ti lascerà di stucco nel pensiero cattolico e quella brutta parola che si continua a ripetere di continuo quando si parla della consacrazione del pane e del vino, e cioè la "transusstanzazione". Ebbene, in un articolo sull'Eucarestia comparso in una Civiltà Cattolica di qualche tempo fa l'autore sottolineava come il concilio di Trento, utilizzando tale termine di origine filosofica, non intendeva affatto dogmatizzarlo, ma solo esprimere con un concetto tipico della filosofia all'ora più in voga (e cioè quella aristotelica) ciò che la Chiesa credeva riguardo all'Eucaristia.
L'autore dell'articolo notava come non è stato ancora trovato un termine che con una espressione intuitiva sia riuscito a sostituire quello di transustanzazione, ma questo non vuol dire che non ci siano altri modi per parlare del modo in cui Cristo si fa presente tra i suoi nel segno del pane e del vino.
La chiesa anglicana ha da poco pubblicato un documento dal titolo "Un solo pane, un solo corpo" in cui esprime una fede praticamente identica a quella cattolica ma senza mai usare un il termine transustanzazione.
E' solo un termine che fa riferimento a delle categorie filosofiche e, per quanto abbia dietro un'importante tradizione ecclesiale, non preclude la possibilità di esprimersi in modi diversi riguardo alla presenza reale.
Forse sono stato un po' confuso, ma quello che voglio dire è che l'importante è credere che Cristo sia presente tra i suoi nel segno del pane e del vino, mentre il modo di esprimere questa presenza dipende dall'opzione filosofica e linguistica che si fa.
Degli esempi pratici:
1) Nella filosofia aristotelica, laddove si parla di sostanza (ciò che una cosa è) e accidenti (come una cosa si presenta), si poteva spiegare la presenza reale come una modifica della sostanza che lasciava intatti gli accidenti, e cioè la prensenza di Cristo che però appariva come pane.
2) Nella filosofia ermeneutica si può affermare che il linguaggio ed il dialogo creano un mondo oggettivo di ciò che è stato detto e che nella sua oggettività, naturalmente, presenta anche una pretesa di verità, una verità che non si può esaurire quando la parola è detta, ma che continua in tutti coloro che a quel dialogo si legano, accettano, cercano di capire ed approfondire.
In questo senso sia le parole di Gesù alla Cena, sia la realtà del suo sacrificio sulla croce non possono essere avvenimenti conclusi in sè ma devono contiunare ad essere in tutti coloro che con tali avvenimenti entrano in profonda relazione. Accettar nella propria vita le parole di Gesù e accettare che il sacrificio sulla croce abbia salvato anche e proprio me vuol anche automaticamente dire che tali cose non appartengono al passato ma sono vive ancora oggi, qui per me.
3) Nella filosofia analitica del linguaggio posso utilizzare la fantastica categoria di "performativo", già una volta ebbi l'occasione di spiegarla.
Ci sono alcune frasi che, senza bisogno di fare altro, realizzano quello che dicono. Un esempio. Quando io dico "Scusa", ho già realizzato quello che volevo, e cioè ho chiesto scusa.
Molte espressioni di Gesù erano performativi, ad esempio nei miracoli, in cui la realtà che egli dice si realizza contemporaneamente alle sue parole ed in virtù delle sue parole.
Anche la parola del Padre è performativa, perchè quando dice "Sia la luce", la luce è.
Ora, se Gesù ha detto "Questo è il mio corpo", allora quello è il suo corpo. Anche traducendo, come fanno alcuni "Questo significa il mio corpo" le cose non cambiano, quel pane ha veramente il significato del corpo di Cristo, cioè rappresenta in modo reale, certo, perfetto ciò che il corpo di Cristo è.
Con le parole "Fate questo in memoria di me" egli non fa altro che dare a noi il "potere" di fare quello che lui stava facendo in quel momento e cioè ha fatto si che anche le nostre parole fossero performative, e cioè che ripetendo le sue parole potessimo renderlo presente in mezzo a noi.
Ciò che io francamente penso? I teologi dovrebbero lavorare di più per mandare definitivamente in pensione il concetto di transustanzazione, perchè ormai l'uomo odierno non ragiona con categorie aristoteliche come faceva nel seicento e nel medioevo.
Ma sono certo che Gesù, come è presente mentre si proclama il suo Evangelo, così e presente nel pane spezzato e nel vino versato.
Sulla validità della comunione altrui.
La Chiesa cattolica è arrivata alla certezza che la comunione degli ortodossi e delle antiche chiese orientali è valida, soprattuto inquanto esse hanno custodito la successione apostolica nella ordinazione dei vescovi e dei presbiteri.
Per quanto riguarda la comunione anglicana, per la chiesa è dubbia la validità delle sue ordinazioni, e dunque anche dubbia la realtà dell'eucarestia.
Per qaunto oncerne il mondo protestante e riformato, la chiesa cattolica, ad oggi non ritiene che si sia conservato il senso genuino dell'eucarestia, in particolare per l'assenza dell'ordine sacro. Ma il tema deve essere approfondito e lo si sta facendo.
Uno dei punti di forza di tale dialogo è cosa intendere per "successione apostolica". Cioè si vuole capire se si può parlare di conservazione della successione apostolica anche in assenza dell'ordine sacro.
Per chi è a favore di qeusta tesi si sottolinea il caso di una comunità che ha dovuto vivere senza poter incontrare ministri sacri (pensiamo al caso dell'unione sovientica, o di alcune famiglie che si perndono in un isola o si ritrovano in uno stato dove la chiesa non è presente). Questo vuol dire che non conservano la successione apostolica, cioè che non sono in comunione con la chiesa universale e con la chiesa degli apostoli perchè non ci sono sacerdoti o ministri? E se questa assenza fosse prolungata, vuol dire che esse non potranno mai ottemperare l'ordine di Gesù di mangiare e bere del suo corpo ed il suo sangue?
Praticamente, in una tale visione, tutta la comunità cristiana, in virtù del sacerdozio regale ed in assenza di ministri ordinati (caso verificatosi effettivamente nelle comunità ecclesiali sorte dalla riforma, eccettuata la comunione anglicana) possono, anzi devono adempiere al comando di Gesù celebrando l'eucarestia.
Se tu mi chiedi ciò che io penso personalmente, non nutro dubbi sulla validità della comunione anglicana (anche se l'ordinazione delle donne ha complicato un po' le cose) e, in secondo luogo, ritengo molto interessante e degna di approfondimento la tesi che spiegavo pocanzi.
In terzo luogo, penso che il concetto di "valido" e "invalido" sia un concetto giuridico che poco ha a che vedere con la liturgia e la fede.
"Laddove i sensi difettano, presta ausilio la fede", scriveva san Tommaso nel suo Pange lingua.
Io credo che spetti ad ogni singolo, vagliandolo nel proprio cuore e alla luce dello Spirito, riconoscere e discernere la presenza del Cristo nel pane e nel vino, qualunque sia la confessione cristiana a celebrare il rendimento di grazie.
Con affetto a tutti
Ireneo