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Il Card. Canizares (del Culto Divino) spinge verso il ritorno della Comunione in ginocchio

Ultimo Aggiornamento: 23/05/2012 11:59
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25/04/2009 14:35
 
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Il card. Cañizares ripristina la comunione in ginocchio


Nel giorno in cui il card. Antonio Cañizares, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, ha solennemente pontificato col rito antico in San Giovanni in Laterano, siamo lieti di riferire la notizia che egli, già Arcivescovo di Toledo ed ancora Amministratore apostolico di quell'arcidiocesi (in attesa dell'ingresso del nominato Braulio Rodrìguez Plaza, finora arcivescovo di Valladolid), ha ristabilito le balaustre per la comunione nella cattedrale ed incoraggiato i fedeli a comunicarsi in ginocchio e sulla lingua.

Egli spiega questa scelta in una lunga intervista al quotidiano spagnolo ABC, di cui traduciamo alcuni passaggi significativi

- Alcuni giorni fa, Lei ha invitato i fedeli a ricevere la S. Comunione in ginocchio. La Chiesa, riformando in questo modo la liturgia, si avvicina all'uomo?

La comunione in ginocchio significa il rispetto di Dio; è il cuore dell'uomo che si prosterna davanti a Colui che lo ama fino all'estremo. Sono dei segni. Non si tratta di cambiare per cambiare. Si tratta di coinvolgere tutti i sensi e sormontare la secolarizzazione del nostro mondo. Uno degli obbiettivi delle nostre Congregazioni è realizzare nel corso di questi anni una grande campagna di formazione liturgica.

-Lei è stato un rivoluzionario della liturgia. Da quanto è arrivato a Toledo ha cambiato tutto: il Corpus Domini, con due processioni; o l'ultima Settimana Santa, facendo entrare tutte le processioni nella cattedrale. La città è stata come un campo di prova per il suo nuovo ministero.

Credo che sia quel che Dio e la Chiesa ci chiedono. Il rinnovamento liturgico non è fare cose nuove ma entrare realmente nello spirito della liturgia. Per esempio, il Corpus Domini, è semplicemente una festa culturale del nostro caro popolo di Toledo, o è realmente l'espressione di ciò che è essere cristiano nella sua radice e fondamento?

- Immagino che anche quest'anno ci saranno due processioni e che Lei presiederà le celebrazioni del Corpus Domini. Crede che il suo successore farà altrettanto?

Perché no, perché non dovrebbe mantenere ciò che è bene? Perché questo è bene.

- Ha già parlato di questo con mons. Rodrìguez?

Non ne abbiamo parlato, tuttavia abbiamo molto tempo per parlare e vedere quali sono le motivazioni. Però in tutti i casi, che si dedichi all'Eucarestia il luogo centrale della città di Toledo, che è profondamente eucaristica e riposa su questa identità, è cosa molto buona.


E poiché il buon esempio è diffusivo, altre due diocesi spagnole a partire dalla Settimana Santa hanno disposto inginocchiatoi per la comunione: quella di Malaga e quella castrense (la cui cattedrale si trova a Madrid)



Fonte: Secretum meum mihi e Una Voce Malaga

http://blog.messainlatino.it/2009/04/il-card-canizares-ripristina-la.html


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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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La celebrazione della messa

Riflesso della realtà celeste


di Inos Biffi

Quando la Chiesa pellegrina sulla terra celebra la liturgia, e in particolare l'eucaristia, è persuasa che alla sua lode prenda parte anche la Chiesa celeste. Essa conclude abitualmente i prefazi proclamando d'essere unita "agli angeli e agli arcangeli e a tutti i santi del cielo" nel canto gioioso dell'inno della gloria, e pregando che le sue "umili voci" si possano associare al loro inno eterno.

La stessa persuasione ritorna lungo il canone:  così, nel ricordo della Vergine Maria, dei santi apostoli e martiri e di tutti i santi; nella supplica di poter "godere della loro sorte beata"; nell'implorazione che l'offerta eucaristica "sia portata sull'altare del cielo".

Tutta la popolazione celeste, invisibilmente ma realmente, presenzia ai riti della Chiesa di quaggiù in preghiera. I sensi non la avvertono, ma la percepisce la fede. Viene in mente la convinzione di Newman, che nel caso della liturgia è ancora più fondata. Nel 1831, in un sermone per la festa di san Michele, scriveva:  "Ogni alito d'aria, ogni raggio di luce o di calore, ogni bella vista è, per così dire, l'orlo della veste [degli angeli], l'ondeggiare del manto di coloro i cui volti contemplano Dio".

Egli considerava "la Santa Chiesa coi suoi sacramenti e la sua scala gerarchica, (...) fino alla fine del mondo", come "un simbolo di quelle realtà celesti che riempiono l'eternità", e "i suoi misteri (...) soltanto un'espressione, in termini umani, di verità che la mente umana non è in grado di spiegare".

Ma non basta riconoscere questa compagnia della Chiesa celeste concelebrante con la Chiesa terrena. In realtà, se noi possiamo celebrare quaggiù la nostra liturgia, è perché la celebra lassù la Comunità beata:  il nostro sacrificio è imitazione e riflesso di quello del cielo; la memoria dell'immolazione del Calvario arriva a noi, passando attraverso l'esaltazione del Crocifisso glorioso.

Incominciamo, anzitutto, a osservare che la Chiesa esiste sulla terra perché esiste la Chiesa gloriosa, la quale fonda e precede la Chiesa ancora nel tempo.
Infatti, la Chiesa trova il suo principio e la sua ragione nel Cristo risorto, che è in assoluto il Capo della Chiesa, suo Corpo. Dove c'è il Risorto, là c'è la Chiesa, là ci sono tutti i giusti che la compongono, tra i quali primariamente la Vergine Maria, e c'è lo stesso mondo angelico, del quale Gesù risorto è ugualmente Signore - "Capo di ogni Principato e di ogni Potenza" (cfr. Colossesi, 2, 10).

La figura della Chiesa è ora esemplarmente avverata nella Chiesa celeste, dove la grazia, che deriva tutta dal Crocifisso risuscitato, è trasfigurata e ultimata in gloria.
Non è, quindi, la Chiesa del compimento, a seguire le orme della Chiesa del divenire, bensì la Chiesa del divenire che si ispira a quella del compimento.
D'altra parte, ogni grazia e ogni ministero nella Chiesa terrena derivano dal Risorto:  da Colui che con la risurrezione ha ricevuto "ogni potere in cielo e sulla terra" (Matteo, 28, 18) e, "innalzato da terra", trae "tutti" a sé (Giovanni, 12, 32).

Tutte le azioni ecclesiali salvifiche sulla terra, finalizzate "a edificare il corpo di Cristo" - apostolato, profezia, evangelizzazione, attività pastorale e magisteriale (cfr. Efesini, 4, 1-13) - sono dono del Signore risorto assiso alla destra del Padre e operano dello Spirito da lui inviato.

Ne consegue che anche ogni atto liturgico è possibile e valido per la presenza attiva della signoria di Gesù e per l'azione del suo Spirito che, perfettamente in atto in cielo, s'inseriscono nella storia della Chiesa in terra. I nostri riti sono - secondo il linguaggio di sant'Ambrogio e di Newman - un'immagine della verità dei "riti" celesti, dove, in realtà, ormai si sono sciolti i simboli. L'efficacia dei sacramenti proviene tutta da Gesù, che è il Signore vivente, che colma i nostri segni o i nostri servizi. Sant'Ambrogio direbbe:  "A noi appartengono i gesti ministeriali, ma sei tu che li rendi sacri ed efficaci (Nostra servitia, sed tua sunt sacramenta)" (De Spiritu Sancto, i, 17).

In altre parole:  se per liturgia s'intende la celebrazione della lode divina, il ringraziamento per la redenzione, l'esultanza per la comunione col Cristo glorioso e per la contemplazione, in lui e con lui, della Santissima Trinità, chiaramente è in cielo che questa liturgia si trova nella condizione perfetta.

Anzi, dobbiamo riconoscere che i nostri riti, che ancora si svolgono nel tempo, sono possibili, perché a presiederli è Gesù, il Sommo Sacerdote, capace di "salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio:  egli infatti è sempre vivo per intercedere a loro favore" (Ebrei, 7, 25).

La nostra liturgia è sostanziata esattamente dall'intercessione celeste del Figlio di Dio, costituito sacerdote e "reso  perfetto  per  sempre"  (ibidem, 7, 28).
Mancasse questa presenza di Cristo e questa sua persistente intercessione, essa si troverebbe estenuata e impotente. Questo vale in particolare per la celebrazione eucaristica.

Né per ciò verrebbe compromesso il valore storico dell'immolazione della Croce. Al contrario. Nella messa è presente il sacrificio del Calvario nella sua verità storica. Solo che quel sacrificio - in cui Cristo, Figlio di Dio, "sommo sacerdote dei beni futuri" (ibidem, 9, 11), offrì "se stesso" "una volta sola" (ibidem, 9, 26) ottenendo "una redenzione eterna" (ibidem, 9, 12) - a differenza di tutti gli altri sacrifici, destinati a esaurirsi e a ripetersi, ricevette un compimento e una perfezione, o una condizione celeste, che lo riscattavano da una pura storicità e temporalità terrene.

Il sacrificio della Croce è il sacrifico del Risorto; un intimo legame connette la morte di Gesù con la sua risurrezione:  se Gesù non fosse risorto, il suo sacrificio sarebbe stato inefficace. In questo senso si potrebbe dire che il sacrificio storico della Croce è un sacrificio "celeste", e per la condizione celeste del Risorto, nella sua reale e singolare storicità, può essere sempre e irripetibilmente presente nella liturgia della Chiesa terrena.

Ma queste riflessioni domandano un'attenta e mirata trattazione. Qui importava mettere in luce, che alla celebrazione liturgica della Chiesa, e in modo speciale alla celebrazione dell'eucaristia, fosse pure la più solitaria, la popolazione celeste, con Gesù risorto, tutti i santi e l'intera corte angelica, non solo prende parte, ma ne costituisce il modello. Il nostro culto è ancora "immagine e ombra delle realtà celesti" (cfr. ibidem, 8, 5), tutto animato dal loro desiderio, in attesa che trapassi in esse, con la venuta del Signore.

Ma quanto poco le catechesi sulla messa lo illustrano!


(©L'Osservatore Romano - 18 ottobre 2009)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Liturgia: la Riforma si riforma

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Il Prefetto della Congregazione per il Culto Divino ha detto che si sta lavorando per ridare alla liturgia il senso del mistero che "non avrebbe mai dovuto perdersi".



MARCO TOSATTI

Questo il significativo testo apparso su "La Stampa" di ieri 29.10.2009:

Il Prefetto della Congregazione per il Culto divino, il cardinale Antonio Cañizares Llovera, in un’intervista a Catalunya Cristiana, rilasciata durante una conferenza a Barcellona, ha ammesso che la sua Congregazione sta lavorando a una “riforma della Riforma” liturgica che è seguita al Concilio Vaticano II.

“Quello che posso dire – ha dichiarato il cardinale – è che è un periodo molto importante per tutti, si è lavorato intensamente, c’è stata una Plenaria della Congregazione, e si sono stilate delle proposte che il Santo Padre ha approvato e che costituiscono la base del nostro lavoro. Il grande obiettivo è di rivitalizzare lo spirito della liturgia in tutto il mondo”.

E ha aggiunto: “Ci sono affari urgenti da sbrigare ogni mattina, in riferimento a eccessi e errori che si stanno commettendo nella liturgia ma soprattutto il tema più urgente e che si sente con urgenza in tutto il mondo, è che il senso della liturgia deve essere ritrovato. Questo non significa semplicemente cambiare rubriche o introdurre nuove cose, ma si tratta semplicemente che la liturgia deve essere vissuta e che deve essere al centro della vita della Chiesa”.

Il porporato ha sottolineato l’esigenza di recuperare “il senso del mistero. Dobbiamo recuperare quello che non avrebbe mai dovuto perdersi. Il più grande male che è stato fatto all’uomo è stato il tentativo di eliminare dalla sua vita la trascendenza e la dimensione del mistero”.

Secondo indiscrezioni pubblicate da “Il Giornale” ad agosto, la Plenaria sarebbe in favore di una maggiore sacralità del rito, di un recupero del senso dell’adorazione eucaristica, di un recupero della lingua latina nella celebrazione e del rifacimento delle parti introduttive del messale per porre un freno ad abusi, sperimentazioni selvagge e inopportune creatività.

Si sarebbero anche detti favorevoli a ribadire che il modo usuale di ricevere la comunione secondo le norme non è sulla mano, ma in bocca.
C’è, è vero, un indulto che permette, su richiesta degli episcopati, di distribuire l’ostia anche sul palmo della mano, ma questo dovrebbe in futuro rimanere un fatto straordinario.


Il «ministro della liturgia» di Papa Ratzinger, Cañizares, starebbe anche facendo studiare la possibilità di recuperare l’orientamento verso Oriente del celebrante almeno al momento della consacrazione eucaristica, come accadeva di prassi prima della riforma, quando sia i fedeli che il prete guardavano verso la Croce e il sacerdote dava dunque le spalle all’assemblea.



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Gubbio: Incontro con il card. Canizares






CLICCATE QUI PER LA RELAZIONE DELLA CONFERENZA:


IL VERO SPIRITO LITURGICO conferenza del card. Canizares Prefetto per il Culto


[Modificato da Caterina63 10/01/2010 13:31]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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10/01/2010 13:29
 
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ED ECCO A VOI LA VERA RIFORMA DEL PAPATO RATZINGERIANO. Intervista al cardinale Cañizares. Il culto e la banalizzazione post/conciliare

Paolo Rodari

L’ex arcivescovo di Toledo e primate di Spagna, il cardinale Antonio Cañizares Llovera, guida il “ministero” vaticano che si occupa di liturgia da poco più di un anno.
Un compito delicato in un pontificato, come è quello di Benedetto XVI, in cui la liturgia e la sua “ristrutturazione” dopo le derive post conciliari hanno un ruolo centrale. Come centrale, del resto, è la liturgia nella vita dei fedeli.
Lo ha detto ancora il Papa la notte di Natale: come per i monaci, anche per ogni uomo “la liturgia è la prima priorità.
Tutto il resto viene dopo”. Occorre “mettere in secondo piano altre occupazioni, per quanto importanti esse siano, per avviarci verso Dio, per lasciarlo entrare nella nostra vita e nel nostro tempo”.
Quanto dice Cañizares al Foglio è più d’un bilancio dopo un anno trascorso in curia romana: “Ho ricevuto – spiega – la missione di portare a termine, con l’aiuto indispensabile e validissimo dei miei collaboratori, quei compiti che sono assegnati alla congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti nella costituzione apostolica Pastor Bonus di Giovanni Paolo II rispetto all’ordinazione e alla promozione della liturgia sacra, in primo luogo dei sacramenti.

Per la situazione religiosa e culturale in cui viviamo e per la stessa priorità che corrisponde alla liturgia nella vita della chiesa, credo che la missione principale che ho ricevuto è promuovere con dedizione totale e impegno, ravvivare e sviluppare lo spirito e il senso vero della liturgia nella coscienza e nella vita dei fedeli; che la liturgia sia il centro e il cuore della vita delle comunità; che tutti, sacerdoti e fedeli, la consideriamo come sostanziale e imprescindibile nella nostra vita; che viviamo la liturgia in piena verità, e che viviamo di essa; che sia in tutta la sua ampiezza, come dice il Concilio Vaticano II, ‘fonte e culmine’ della vita cristiana.
Dopo un anno alla guida di questa congregazione, ogni giorno sperimento e sento con forza maggiore la necessità di promuovere nella chiesa, in tutti i continenti, un impulso liturgico forte e rigoroso che faccia rivivere la ricchissima eredità del Concilio e di quel gran movimento liturgico del Diciannovesimo secolo e della prima metà del Ventesimo – con uomini come Guardini, Jungmann e tanti altri – che rese feconda la chiesa nel Concilio Vaticano II. Lì, senza alcun dubbio, sta il nostro futuro e il futuro stesso del mondo.

Dico questo perché il futuro della chiesa e dell’umanità intera è riposto in Dio, nel vivere di Dio e di quanto viene da Lui; e questo accade nella liturgia e attraverso essa.

Soltanto una chiesa che viva della verità della liturgia sarà in grado di dare l’unica cosa che può rinnovare, trasformare e ricreare il mondo: Dio e soltanto Dio e la Sua grazia. La liturgia, nella sua più pura indole, è presenza di Dio, opera salvifica e rigeneratrice di Dio, comunicazione e partecipazione del Suo amore misericordioso, adorazione, riconoscimento di Dio. E’ l’unica cosa che può salvarci”.
Guardini, Jungmann, due pilastri del rinnovamento liturgico dei decenni passati. Figure alle quale anche Joseph Ratzinger si è ispirato nel suo “Introduzione allo spirito della liturgia”.
Figure che, probabilmente, l’hanno ispirato anche nelle promulgazione del Motu Proprio Summorum Pontificum.

Si è detto che il Motu Proprio ha rappresentato anche (c’è chi dice anzitutto) una mano tesa del Papa ai lefebvriani. E’ così?

“Di fatto lo è.
Però credo che il Motu Proprio abbia un grandissimo valore per se stesso e per la chiesa e per la liturgia.
Sebbene ad alcuni questo dispiaccia, a giudicare dalle reazioni arrivate e che continuano ad arrivare, è giusto e necessario dire che il Motu Proprio non è un passo indietro, né un ritorno al passato.
E’ riconoscere e accogliere, con semplicità, in tutta la sua ampiezza i tesori e l’eredità della grande Tradizione, che ha nella liturgia la sua espressione più genuina e profonda.
La chiesa non può permettersi di prescindere, dimenticare o rinunciare ai tesori e alla ricca eredità di questa tradizione, contenuta nel Rito romano.
Sarebbe un tradimento e una negazione verso se stessa. Non si può abbandonare l’eredità storica della liturgia ecclesiastica, né volere stabilire tutto ex novo, come alcuni pretenderebbero, senza amputare parti fondamentali della chiesa stessa.
Alcuni intesero la riforma liturgica conciliare come una rottura, e non come uno sviluppo organico della tradizione. In quegli anni del post Concilio il ‘cambiamento’ era una parola quasi magica; bisognava modificare ciò che era stato al punto da dimenticarlo; tutto nuovo; bisognava introdurre novità, in fondo opera e creazione umana.
Non possiamo dimenticare che la riforma liturgica e il post Concilio coincisero con un clima culturale marcato o dominato intensamente da una concezione dell’uomo come ‘creatore’ che difficilmente si accompagna bene a una liturgia che, soprattutto, è azione di Dio e sua priorità, ‘diritto’ di Dio, adorazione di Dio e anche tradizione di ciò che riceviamo e ci è dato una volta e per sempre.
La liturgia non siamo noi a farla, non è opera nostra, ma di Dio. Questa concezione dell’uomo ‘creatore’ che conduce a una visione secolarizzata di tutto, dove Dio, spesso, non ha un posto, questa passione per il cambiamento e la perdita della tradizione non è stata ancora superata; e per questo, a mio parere, fra le altre cose, ha fatto sì che alcuni vedessero con tanta diffidenza il Motu Proprio o che dispiaccia tanto ad alcuni recepirlo e accoglierlo, rincontrare le grandi ricchezze della tradizione liturgica romana che non possiamo dilapidare, o cercare e accettare l’arricchimento reciproco nell’unico Rito romano fra la forma “ordinaria” e quella “straordinaria”.
Il Motu Proprio Summorum Pontificum è un grandissimo valore, che tutti dovremmo apprezzare, che non ha soltanto a che fare con la liturgia ma con l’insieme della chiesa, di ciò che è e significa la tradizione, senza che la chiesa si converta in una istituzione umana in mutamento e, ovviamente, ha anche a che vedere con la lettura e l’interpretazione che si fa o si sia fatta del Concilio Vaticano II.
Quando si legge e si interpreta in chiave di rottura o di discontinuità, non si capisce nulla del Concilio e lo si travisa del tutto. Per questo, come indica il Papa, soltanto ‘un’ermeneutica della continuità’ ci porta a una giusta e corretta lettura del Concilio, e a conoscere la verità di ciò che dice e insegna nel suo insieme e in particolare nella Costituzione Sacrosantum Concilium sulla liturgia divina, inseparabile, per lo più, da questo stesso insieme.
Il Motu Proprio, di conseguenza, ha anche un valore altissimo per la comunione della chiesa”.
C’è il Papa dietro il lento ma necessario processo di riavvicinamento della chiesa a un autentico spirito liturgico.

Eppure, non mancano divisioni e contrapposizioni.
Ne parla il cardinale Cañizares
: “Il grande apporto del Papa, a mio parere, è che ci sta portando fino alla verità della liturgia, con una saggia pedagogia ci sta introducendo nel genuino ‘spirito’ della liturgia (come recita il titolo di una delle sue opere prima di diventare Papa).
Lui, prima di tutto, sta seguendo un semplice processo educativo che chiede di andare verso questo ‘spirito’ o senso genuino della liturgia, per superare una visione riduttiva molto radicata della liturgia. I suoi insegnamenti così ricchi e abbondanti in questo campo, come Papa e prima di diventarlo, così come i gesti evocatori che stanno accompagnando le celebrazioni che presiede, vanno in questa stessa direzione. Accogliere questi gesti e questi insegnamenti è un dovere che abbiamo se siamo disposti a vivere la liturgia in modo corrispondente alla sua stessa naturalezza e se non vogliamo perdere i tesori e le eredità liturgiche della tradizione. Inoltre, costituiscono un vero dono per la formazione, così urgente e necessaria, del popolo cristiano.
In questa prospettiva bisognerebbe vedere lo stesso Motu Proprio che ha confermato la possibilità di celebrare con il rito del messale romano approvato da Giovanni XXIII e che risale, con le successive modifiche, al tempo di san Gregorio Magno e ancora prima.
E’ certo che sono molte le difficoltà che stanno avendo coloro che, nell’utilizzo di quello che è un loro diritto, celebrano o partecipano alla Santa Messa conforme al ‘rito antico’ o ‘straordinario’.
Di suo, non ci sarebbe bisogno di questa opposizione, né tantomeno di essere visti con sospetto o essere etichettati come ‘pre conciliari’, o, ancora peggio, come ‘anti conciliari’. Le ragioni di questo sono molteplici e diverse, però, in fondo, sono le stesse che portarono a una riforma liturgica intesa come rottura e non nell’orizzonte della tradizione e dell’‘ermeneutica della continuità’, che reclama il rinnovamento e la vera riforma liturgica nella chiave del Vaticano II.
Non possiamo dimenticare, in più, che nella liturgia si tocca quanto di più essenziale c’è delle fede e della chiesa e, per questo, ogni volta che nella storia si è toccato qualcosa della liturgia tensioni e anche divisioni non sono state rare”.
E’ dal discorso di Benedetto XVI alla curia romana del 22 dicembre 2005 che la necessità di leggere il Vaticano II non in un’ottica di discontinuità col passato ma di continuità è diventata centrale nell’attuale pontificato.

Dal punto di vista liturgico questo cosa significa?

“Significa, fra le altre cose, che non possiamo portare a termine il rinnovamento della liturgia e metterla al centro e alla fonte della vita cristiana, se ci poniamo davanti a essa in chiave di rottura con la tradizione che ci precede e che porta questa ricca sorgente di vita e di dono di Dio che ha alimentato e dato vita al popolo cristiano.
Gli insegnamenti, le indicazioni, i gesti di Benedetto XVI sono fondamentali in questo senso. Per questo bisogna favorire la conoscenza serena e profonda di quanto ci sta dicendo, compreso quello che ha detto prima di diventare Papa, e che tanto chiaramente si riflette, per esempio, nella sua esortazione apostolica ‘Sacramentum caritatis’”.

La congregazione che Cañizares presiede si è riunita lo scorso marzo in plenaria e ha presentato delle propositiones al Papa.

“L’assemblea plenaria della congregazione si è occupata soprattutto dell’adorazione eucaristica, l’eucarestia come adorazione, e l’adorazione al di fuori delle sante messe.
Sono state approvate alcune conclusioni poi presentate al Santo Padre. Queste conclusioni prevedono un piano di lavoro della congregazione per i prossimi anni, che il Papa ha ratificato e incoraggiato.
Si muovono tutte sulla linea di ravvivare e promuovere un nuovo movimento liturgico che, fedele in tutto agli insegnamenti del Concilio e seguendo gli insegnamenti di Benedetto XVI, collochi la liturgia nel posto centrale che le corrisponde nella vita della chiesa. Le conclusioni delle propositiones riguardano l’impulso e la promozione dell’adorazione del Signore, base del culto che si deve dare a Dio, della liturgia cristiana; inseparabile dalla fede nella presenza reale e sostanziale di Cristo nel sacramento eucaristico; assolutamente necessaria per una chiesa viva. Porre un freno agli abusi, che disgraziatamente sono molti, e correggerli non è qualcosa che derivi dalla plenaria della congregazione, ma è qualcosa che reclama la stessa liturgia e la vita e il futuro della chiesa e la comunione con essa. Su questo, sui tanti abusi liturgici e sulla loro correzione, alcuni anni fa la congregazione pubblicò un’istruzione importantissima, la ‘Redemptionis Sacramentum’ e a essa dobbiamo rimetterci tutti, è un dovere urgentissimo correggere gli abusi esistenti se vogliamo come cattolici portare qualcosa al mondo per rinnovarlo. Le proposizioni non si occupano di mettere a freno la creatività, ma anzi di incoraggiare, favorire, ravvivare la verità della liturgia, il suo senso più autentico e il suo spirito più genuino; non possiamo nemmeno dimenticare o ignorare che la creatività liturgica come spesso la si è intesa e la si intende, è un freno alla liturgia e la causa della sua secolarizzazione, perché è in contraddizione con la naturalezza stessa della liturgia”.

Si parla nelle propositiones dell’uso della lingua latina?

“Non si dice nulla a proposito del dare più spazio alla lingua latina, compreso nel rito ordinario, né di pubblicare messali bilingue, come in realtà già si è già fatto in alcuni luoghi dopo la conclusione del Concilio; non bisogna comunque dimenticare che il concilio nella costituzione ‘Sacrosanctum Concilium’
non deroga il latino, lingua venerabile alla quale è vincolato il rito romano”.

Ci sono poi tante altre questioni importanti, l’orientamento…

“Non solleviamo la questione dell’orientamento ‘versus Orientem’, né della comunione per bocca, né di altri aspetti che a volte vengono fuori come accuse di ‘passi indietro’, di conservatorismo o d’involuzione.
Credo, del resto, che le questioni come queste, l’orientamento, il crocifisso visibile al centro dell’altare, la comunione in ginocchio e in bocca, l’uso del canto gregoriano, sono questioni importanti che non si possono sminuire in maniera frivola o superficiale e delle quali, in ogni caso, si deve parlare con cognizione di causa e con fondamento, come fa, per esempio, il Santo Padre, e vedendo anche
come queste cose corrispondono (e anche favoriscono) di più la verità della celebrazione così come la partecipazione attiva, nel senso in cui ne parla il Concilio e non in altri sensi. Ciò che è importante è che la liturgia venga celebrata nella sua verità, con verità, e che si favorisca e promuova intensamente il senso e lo spirito della liturgia in tutto il popolo di Dio in modo tale che si viva di essa; è veramente molto importante che le celebrazioni abbiano e propizino il senso del sacro, del Mistero, che ravvivino la fede nella presenza reale del Signore e nel dono di Dio che agisce in essa, così come l’adorazione, il rispetto, la venerazione, la contemplazione, la preghiera, l’elogio, l’azione di grazia, e molte altre cose che corrono il rischio di annacquarsi.
Quando partecipo o vedo la liturgia del Papa che ha già incorporato alcuni di questi elementi mi convinco sempre più che non sono aspetti casuali ma che invece hanno una forza espressiva ed educativa per se stessa e nella verità della celebrazione, la cui assenza si nota”.

Cañizares è stato per anni una figura di spicco della chiesa spagnola. Lo è ancora, pur risiedendo a Roma. In Spagna c’è stata recentemente una dichiarazione del segretario della conferenza episcopale del paese, monsignor Juan Antonio Martinez Camino, che diceva che quei politici che si esprimeranno pubblicamente a favore dell’aborto non potranno ricevere la comunione. Condivide questa posizione di Camino? Perché la Spagna è diventata l’avamposto di politiche cosiddette laiciste? Come debbono comportarsi vescovi e le conferenze episcopali di fronte a posizioni che negano la vita?

“I vescovi, come pastori che guidano e difendono il popolo che ci è stato affidato, hanno il dovere di carità ineludibile di insegnare e trasmettere ai fedeli, fedelmente, con saggezza, dottrina e prudenza, ciò che crede e insegna la fede della chiesa, sebbene questo costi, sebbene vada controcorrente o penalizzi l’opinione pubblica. Ciò che c’è in gioco sul tema dell’aborto e quello che si legifererà in Spagna in questa materia, quando saranno approvati tutti i passaggi regolamentari, è qualcosa di molto grave e decisivo, e non possiamo né tacere né occultare la verità; è ciò che, compiendo l’ordine del suo Signore, la chiesa dice e comanda ai suoi fedeli, esige e si aspetta da loro. Dobbiamo servire e indirizzare i fedeli con la luce della verità ricevuta della quale non possiamo disporre in questioni morali e, a volte, delicate; e dobbiamo aiutare i cattolici nella vita pubblica a prendere le loro decisioni con responsabilità davanti a Dio e davanti agli uomini e conformemente alla ragione come corrisponde alla loro condizione di figli della chiesa e credenti in Gesù Cristo.
Non possiamo né dobbiamo, pena quella di essere dei cattivi pastori, muoverci in queste questioni con relativismi, con calcoli ‘politici’, o con abili o sottili ‘diplomazie’.
L’esercitare bene il nostro ministero episcopale, del resto, non è assolutamente in lotta, anzi, con la prudenza, la misura, la misericordia, la gentilezza e la mano tesa che certamente dovranno accompagnarci in tutto. E’ un momento difficile quello che stiamo attraversando ora in Spagna; non è facile neanche per i vescovi. Non credo, d’altra parte, che la Spagna sia la portabandiera o l’avanguardia di politiche
laiciste. Il laicismo, evidente o nascosto, e le politiche laiciste sono diffuse quasi dappertutto, in alcuni paesi più che in altri, e in alcuni con moltissimo potere e forza; c’è una forza, apparentemente inarrestabile, impegnata a introdurre il laicismo in tutto il mondo, o, che è lo stesso, a cancellare Dio rivelato nel viso umano di Gesù Cristo, suo Unigenito, dalla coscienza degli uomini. E’ vero che in Spagna questo laicismo ha delle connotazioni speciali forse per tutta la sua storia e la sua stessa identità. La Spagna sta subendo una trasformazione molto radicale nella sua mentalità, nel suo pensiero e nei criteri di giudizio, nei suoi costumi e nei modi di agire, nella sua cultura, insomma, nella sua natura o identità; questo, inoltre, si manifesta in una grande e profonda crisi o rottura morale e di valori, dietro la quale si nasconde una crisi religiosa e sociale e una frammentazione dell’uomo. Però, al tempo stesso, le radici e le fondamenta che sostengono la Spagna e la parte più genuina di essa derivano dalla fede cristiana, trovano sostentamento in essa, e in quanto essa crede; e queste radici non sono sparite né scompariranno. Un’insieme di leggi, come quella dell’aborto che è già stata approvata in Parlamento, oltre ad altri fattori, è senza dubbio il segno della trasformazione in atto. Ho sempre creduto che noi vescovi, obbedendo a Dio prima che agli uomini, dobbiamo annunciare sempre il Vangelo e Gesù Cristo, non anteporre nulla a Lui e alla sua opera, annunciare senza sosta e coraggiosamente Dio vivo, la cui gloria è che l’uomo viva, che costituisce il ‘sì’ più pieno e totale che si possa dare all’uomo, alla sua dignità inviolabile, alla vita, ai suoi diritti fondamentali, a tutto ciò che è veramente umano. Annunciare e testimoniare Colui che è amore, agendo in tutto con carità e portando e testimoniando davanti a tutti la carità, la passione di Dio per l’uomo, in modo particolare per i deboli, gli indifesi, coloro che sono trattati ingiustamente. Tutto indirizzato verso la conversione, perché sorga una nuova umanità fatta da uomini nuovi con la novità del Vangelo di Gesù Cristo, del modo di essere, di pensare e di agire che in Lui, verità di Dio e dell’uomo, incontriamo e ha origine.
Si tratta semplicemente di dare impulso e portare a termine una nuova e decisa evangelizzazione. Questa è la condizione in cui si trovano la chiesa e i vescovi in Spagna da molto tempo; è un lavoro lento e arduo, ma che sta dando i suoi frutti. Credo, inoltre, che i vescovi in Spagna, proprio in virtù dell’affermazione di Dio e della fede in Gesù Cristo, si sono imbarcati in una grande battaglia a favore dell’uomo, del diritto alla vita, della libertà, di ciò che è imprescindibile per l’uomo come la famiglia, la verità e bellezza della famiglia basata sul matrimonio tra un uomo e una donna aperto alla vita, nell’amore; sono a favore dell’educazione della persona e della libertà di insegnamento, della libertà religiosa. La chiesa in Spagna, per puntare ogni giorno e con più forza e intensità sull’uomo e sui suoi diritti fondamentali, sente la chiamata a rafforzare l’esperienza di Dio perché i suoi fedeli siano ‘testimoni del Dio vivo’, come dice uno dei suoi documenti più importanti ed emblematici di alcuni anni fa. Il suo compito non è la politica, né fare politica, se non essere semplicemente chiesa, presenza di Cristo fra gli uomini, anche se questo la penalizza. La situazione è dura, ma guardiamo al futuro con una grande speranza e una grande chiamata a lasciarci rafforzare da Dio e tenerlo al centro di tutto, e proseguiamo il nostro cammino senza fermarci e senza tirarci indietro, con lo sguardo fisso su Gesù Cristo. Ho la certezza assoluta che la Spagna cambierà e tornerà al vigore di una fede vivida e di un rinnovamento della società. Non possiamo abbassare la guardia, né abbassare le braccia che devono stare tese verso Dio in una supplica fiduciosa e permanente. E’ essenziale che, prima di tutto, recuperi la sua vitalità e il suo vigore teologale e religioso, che Dio dato in Gesù Cristo sia veramente il suo centro e il suo più saldo fondamento, per essere capaci, come in altri momenti, di creare una nuova cultura e far sorgere una nuova società.
Questo è possibile; e, inoltre, nulla è impossibile a Dio”.

Il Piccolo Ratzinger

Il “piccolo Ratzinger”, così è chiamato il cardinale Antonio Cañizares Llovera, è dal dicembre 2008 prefetto della congregazione per il Culto divino e la disciplina dei sacramenti. Nato a Utiel, nell’arcidiocesi di Valencia, 64 anni fa, è stato vescovo di Toledo e primate di Spagna. Il soprannome “piccolo Ratzinger” è nato in Vaticano: dal 1985 al 1992 Cañizares ha svolto per la Conferenza episcopale spagnola lo stesso ruolo che Ratzinger svolgeva a Roma: si occupava del settore “dottrina della fede” della Conferenza episcopale.
Grande studioso di Teresa d’Avila ha fondato l’Università Cattolica “Santa Teresa de Jesús”.

© Copyright Il Foglio, 9 gennaio 2010

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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13/01/2010 12:54
 
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 Sorriso interessante riflessione di Francesco Colafemmina da Fides et Forma che condivido in totos:

CELEBRARE AD ORIENTEM: IL CULTO DIVINO CAMBIA OPINIONE E SI RIFA' ALLE NORME (OBSOLETE) DELLA CEI!
 

di Francesco Colafemmina


Mentre il Santo Padre celebra versus Orientem in Cappella Sistina, qualcuno nella Congregazione per il Culto Divino ha stabilito che quanto già deciso con un epocale responso dalla stessa Sacra Congregazione nell'anno 2000 non è più valido. Recentemente lo stesso Cardinal Canizares ha affermato chiaramente in una bella intervista a Paolo Rodari ed in riferimento ad alcune proposte della Congregazione presentate lo scorso anno al Santo Padre: "Non solleviamo la questione dell’orientamento ‘versus Orientem’, né della comunione per bocca, né di altri aspetti che a volte vengono fuori come accuse di ‘passi indietro’, di conservatorismo o d’involuzione."


Ha poi però aggiunto: "Credo, del resto, che le questioni come queste, l’orientamento, il crocifisso visibile al centro dell’altare, la comunione in ginocchio e in bocca, l’uso del canto gregoriano, sono questioni importanti che non si possono sminuire in maniera frivola o superficiale e delle quali, in ogni caso, si deve parlare con cognizione di causa e con fondamento, come fa, per esempio, il Santo Padre, e vedendo anche come queste cose corrispondono (e anche favoriscono) di più la verità della celebrazione così come la partecipazione attiva, nel senso in cui ne parla il Concilio e non in altri sensi."


Una interpretazione possibile è: non affrontiamo queste questioni perchè passibili di accuse infondate, tuttavia è importante che vengano ponderate come fa il Santo Padre. Ciò è condivisibile. Leggendo però il responso della Sacra Congregazione per il Culto Divino mi viene spontanea una domanda: perchè i gesti del Santo Padre devono sempre apparire isolati e non supportati concretamente dalle istituzioni vaticane?


Ad ogni modo la puntuale e preziosa analisi di questo documento stupefacente realizzata da don Matteo De Meo può aiutarci ad affrontare la selva delle ambigue anfibologie liturgiche nelle quali rischia di impantanarsi l'ermeneutica della continuità così fortemente introdotta da Papa Benedetto XVI. Se si dovessero applicare, infatti, le norme menzionate dal Sottosegretario Ward, nemmeno il Papa potrebbe celebrare ad Orientem, anzi in linea con le norme CEI, in Cappella Sistina, davanti all'altare della Cattedra, nella Cappella Paolina, andrebbero messi degli splendidi altarini mobili postconciliari... Se questa è obbedienza al Papa e considerazione per i suoi importanti gesti!




di Don Matteo De Meo


Riporto il testo integrale della risposta della Congregazione per il Culto Divino alla Commissione Liturgica di una diocesi, a firma del sotto-segretario A. Ward, sull’interpretazione del n. 299 della Institutio Generalis Missalis Romani (in seguito IGMR), seguita alla richiesta di un parroco sul ripristino dell’antico altare monumentale ad Deum per la celebrazione della messa.

- "Prot. N. 604/09/L- Città del Vaticano, 6 luglio 2009-

Re. do Signore, con lettera 13 maggio scorso, ella scriveva a questa congregazione per il Culto a proposito della interpretazione del n. 299 della Institutio Generalis. Il contenuto di tale numero è chiaro, pur lasciando sapientemente una discrezionalità per non vincolare obbligatoriamente in ogni caso a celebrare rivolti verso il popolo, alla luce di alcuni elementi da valutare da parte dell'autorità competente. Nel caso segnalato è il Vescovo diocesano, anche per evitare che il normale avvicendamento di un Parroco, porti con sè continui cambiamenti. Del resto, anche il n. 303 dell'Institutio contiene indicazioni ed elementi per una valutazione al riguardo. Agli aspetti di valutazione riferiti in una risposta ad un quesito analogo data da questo Dicastero (vedi allegato), sarà da considerare il fatto che da diversi anni l'Eucaristia viene celebrata in questa Chiesa su un altare diverso dal precedente del 1700. Resta da aggiungere, infine, la convenienza di tener presenti le indicazioni e le soluzioni indicate dai documenti della CEI a proposito della ristrutturazione di chiese e di nuove costruzioni. Infine, mi permetto di precisare una questione terminologica che ha tuttavia il suo risvolto, ossia che la celebrazione liturgica è sempre versus Deum, sia quando il sacerdote all'altare prega versus populum sia quando prega versus orientem o versus absidem.

(R.P. Anthony Ward) Sotto –Segretario”.-

Se si confronta il contenuto dei vari pronunciamenti della stessa Congregazione per il Culto (qui documentati nella nota n. 5), in particolare quello del 1993, con le varie edizioni del IGMR del 1970, del 1975 e del 2002, e con la Nota Cei sull’adeguamento delle Chiese del 1996 si resta alquanto perplessi.

IL TESTO INTEGRALE DEL COMMENTO DI DON MATTEO DE MEO LO TROVATE CLICCANDO QUI
http://fidesetforma.blogspot.com/2010/01/celebrare-ad-orientem-il-culto-divino.html

Fraternamente CaterinaLD

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14/04/2010 17:56
 
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...bè....è solo di pochi giorni fa l'inserimento  NEL SITO UFFICIALE DEL VATICANO di quanto segue: una sezione dedicata a spiegare le scelte del Pontefice in tema Liturgico....

io sto con Pietro...non a chiacchiere, ma applicando i suoi "suggerimenti"....


quanto segue è di mons. Guido Marini, Maestro delle Cerimonie Liturgiche del Pontefice, ergo sono indicazioni UFFICIALI!


UFFICIO DELLE CELEBRAZIONI LITURGICHE 
DEL SOMMO PONTEFICE  

LA COMUNIONE RICEVUTA SULLA LINGUA E IN GINOCCHIO

La più antica prassi di distribuzione della Comunione è stata, con tutta probabilità, quella di dare la Comunione ai fedeli sul palmo della mano. La storia della liturgia evidenzia, tuttavia, anche il processo, iniziato abbastanza presto, di trasformazione di tale prassi. Sin dall’epoca dei Padri, nasce e si consolida una tendenza a restringere sempre più la distribuzione della Comunione sulla mano e a favorire quella sulla lingua. Il motivo di questa preferenza è duplice: da una parte, evitare al massimo la dispersione dei frammenti eucaristici; dall’altra, favorire la crescita della devozione dei fedeli verso la presenza reale di Cristo nel sacramento.

All’uso di ricevere la Comunione solo sulla lingua fa riferimento anche san Tommaso d’Aquino, il quale afferma che la distribuzione del Corpo del Signore appartiene al solo sacerdote ordinato. Ciò per diversi motivi, tra i quali l’Angelico cita anche il rispetto verso il sacramento, che «non viene toccato da nessuna cosa che non sia consacrata: e quindi sono consacrati il corporale, il calice e così pure le mani del sacerdote, per poter toccare questo sacramento. A nessun altro quindi è permesso toccarlo fuori di caso di necessità: se per esempio stesse per cadere per terra, o in altre contingenze simili» (Summa Theologiae, III, 82, 3).

Lungo i secoli, la Chiesa ha sempre cercato di caratterizzare il momento della Comunione con sacralità e somma dignità, sforzandosi costantemente di sviluppare nel modo migliore gesti esterni che favorissero la comprensione del grande mistero sacramentale. Nel suo premuroso amore pastorale, la Chiesa contribuisce a che i fedeli possano ricevere l’Eucaristia con le dovute disposizioni, tra le quali figura il comprendere e considerare interiormente la presenza reale di Colui che si va a ricevere (cf. Catechismo di san Pio X, nn. 628 e 636). Tra i segni di devozione propri ai comunicandi, la Chiesa d’Occidente ha stabilito anche lo stare in ginocchio. Una celebre espressione di sant’Agostino, ripresa al n. 66 della Sacramentum Caritatis di Benedetto XVI, insegna: «Nessuno mangi quella carne [il Corpo eucaristico], se prima non l’ha adorata. Peccheremmo se non l’adorassimo» (Enarrationes in Psalmos, 98,9). Stare in ginocchio indica e favorisce questa necessaria adorazione previa alla ricezione di Cristo eucaristico.

In questa prospettiva, l’allora cardinale Ratzinger aveva assicurato che «la Comunione raggiunge la sua profondità solo quando è sostenuta e compresa dall’adorazione» (Introduzione allo spirito della liturgia, Cinisello Balsamo, San Paolo 2001, p. 86). Per questo, egli riteneva che «la pratica di inginocchiarsi per la santa Comunione ha a suo favore secoli di tradizione ed è un segno di adorazione particolarmente espressivo, del tutto appropriato alla luce della vera, reale e sostanziale presenza di Nostro Signore Gesù Cristo sotto le specie consacrate» (cit. nella Lettera This Congregation della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, del 1° luglio 2002: EV 21, n. 666).

Giovanni Paolo II nella sua ultima enciclica, Ecclesia de Eucharistia, ha scritto al n. 61:

«Dando all’Eucaristia tutto il rilievo che essa merita, e badando con ogni premura a non attenuarne alcuna dimensione o esigenza, ci dimostriamo veramente consapevoli della grandezza di questo dono. Ci invita a questo una tradizione ininterrotta, che fin dai primi secoli ha visto la comunità cristiana vigile nella custodia di questo “tesoro”. [...] Non c’è pericolo di esagerare nella cura di questo Mistero, perché “in questo Sacramento si riassume tutto il mistero della nostra salvezza”».

In continuità con l’insegnamento del suo Predecessore, a partire dalla solennità del Corpus Domini del 2008, il Santo Padre Benedetto XVI ha iniziato a distribuire ai fedeli il Corpo del Signore, direttamente sulla lingua e stando inginocchiati.





http://www.vatican.va/news_services/liturgy/details/ns_liturgy_20091117_approfondimenti_it.html



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31/07/2011 18:03
 
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Cardinal Cañizares: è raccomandabile comunicarsi in bocca e inginocchiati




Un'interessantissima e importante intervista ad ACIPRENSA del Prefetto per il Culto Divino.

Visti i chiari di luna - raccontati anche nei post di alcuni giorni fa (vedi qui e qui)- delle ordinarie vessazioni nei confronti dei fedeli che ricevono la S. Comunione in ginocchio e in bocca, queste dichiarazioni di colui che nella Chiesa gestisce le indicazioni del S. Padre sulla liturgia sono veramente confortanti.

Inter alia indiscrezioni parlano di un documento della stessa Congregazione - in preparazione - appunto sulle modalità di ricezione della S. Comunione (....in ginocchio e in bocca come fa il S. Padre): oremus!

Ringraziamo l'amico Stefano per la traduzione dallo spagnolo


Nell’intervista concessa ad ACI Prensa, il Prefetto della Congregazione vaticana per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, cardinal Antonio Cañizares Llovera ha raccomandato che i cattolici si comunichino in bocca e inginocchiati.

Così si è espresso il porporato spagnolo che è al servizio della Santa Sede come supremo responsabile, dopo il Papa, della liturgia e dei sacramenti, nella Chiesa cattolica, alla domanda circa l’opportunità che i fedeli si comunichino, o no, sulla mano.
La risposta del cardinale è stata breve e chiara: “è raccomandabile che i fedeli si comunichino in bocca e inginocchiati”.

Inoltre, rispondendo alla domanda di ACI Prensa sulla consuetudine promossa dal Papa Benedetto XVI di amministrare, a quanti si comunicano da lui, l’Eucaristia in bocca e in ginocchio, il cardinal Cañizares ha detto che questa è dovuta “al senso che deve assumere la comunione, che è adorazione, riconoscimento di Dio”.
“Si tratta semplicemente di sapere che stiamo al cospetto di Dio stesso e che Lui è venuto a noi e noi non lo meritiamo” ha affermato.

Il porporato ha detto anche che comunicarsi in questo modo “è il segno di adorazione che è necessario recuperare. Io credo che sia necessario in tutta la Chiesa che la comunione si riceva in ginocchio”
“Infatti – ha aggiunto – se ci si comunica in piedi, bisogna genuflettersi o inchinarsi profondamente, cosa che non viene fatta”.
Il prefetto vaticano ha detto, inoltre, che “se banalizziamo la comunione, banalizziamo tutto e non possiamo perdere un momento tanto importante, come la comunione, come riconoscere la presenza reale di Cristo , del Dio che è amore degli amori come cantiamo in una canzone spagnola”.

Alla domanda di ACI Prensa sugli abusi liturgici in cui incorrono alcuni attualmente, il cardinale ha detto che è necessario “correggerli, soprattutto mediante una buona formazione: formazione dei seminaristi, formazione dei sacerdoti, formazione dei catechisti, formazione di tutti i fedeli cristiani”.
Questa formazione, spiegò, deve far sì che “si celebri bene, che si celebri conformemente alle esigenze e alla dignità della celebrazione, in conformità alle norme della Chiesa, che è l’unico modo per celebrare autenticamente l’Eucaristia”.

Infine il cardinal Cañizares ha detto ad ACI Prensa che in questo compito di formazione per celebrar bene la liturgia e correggere gli abusi, “noi vescovi abbiamo una responsabilità molto specifica e non possiamo trascurarla poiché tutto ciò che facciamo affinché l’Eucaristia sia ben celebrata servirà a far sì che l’Eucaristia sia ben partecipata”.


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12/03/2012 22:15
 
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Bellezza e concelebrazione, il discorso di Cañizares
sacrissolemniis.blogspot.com/


L'interessante discorso del Cardinal Cañizares -prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti- alla presentazione del libro di Mons. Derville La concélébration eucharistique. Du symbole à la réalité.


(da Zenit.org)
“Dopo sei giorni, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li portò sopra un monte alto, in un luogo appartato, loro soli. Si trasfigurò davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e discorrevano con Gesù. Prendendo allora la parola, Pietro disse a Gesù: -Maestro, è bello per noi stare qui; facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia!” (Mc 9, 2-5).

[...] Parole che, mi pare, possono servire da cornice a questa presentazione del libro di Mons. Guillaume Derville, pubblicato in francese ed in inglese da Wilson & Lafleur, La concelebrazione eucaristica. Dal simbolo alla realtà [Tit. orig. La concélébration eucharistique. Du symbole à la réalité. Spagnolo: La concelebración eucarística. Del símbolo a la realidad], nella sua collana Gratianus, e in spagnolo da Palabra.

Nell’evocare il racconto della trasfigurazione, vengono spontanee alla nostra mente parole come: gloria, fulgore, bellezza. Sono espressioni che si possono applicare direttamente alla liturgia. Come ricorda Benedetto XVI, la liturgia è vincolata intrinsecamente alla bellezza. Infatti, “La vera bellezza è l'amore di Dio che si è definitivamente a noi rivelato nel Mistero pasquale”.
L’espressione “Mistero pasquale” sintetizza il nucleo essenziale del processo della Redenzione, ed è il vertice dell’opera di Gesù. A sua volta, la liturgia ha come contenuto proprio questa “opera” di Gesù, perché in essa si attualizza l’opera della nostra Redenzione. Ne segue che la liturgia, come parte del Mistero pasquale, è “espressione altissima della gloria di Dio e costituisce, in un certo senso, un affacciarsi del Cielo sulla terra.

Il memoriale del sacrificio redentore porta in se stesso i tratti di quella bellezza di Gesù di cui Pietro, Giacomo e Giovanni ci hanno dato testimonianza, quando il Maestro, in cammino verso Gerusalemme, volle trasfigurarsi davanti a loro (cfr Mc 9,2). La bellezza, pertanto, non è un fattore decorativo dell'azione liturgica; ne è piuttosto elemento costitutivo, in quanto è attributo di Dio stesso e della sua rivelazione. Tutto ciò deve renderci consapevoli di quale attenzione si debba avere perché l’azione liturgica risplenda secondo la sua natura propria”.

Vorrei soffermarmi precisamente sulle ultime parole del testo appena citato, perché, a mio avviso, introducono un tema delicato che è, allo stesso tempo, il punto centrale dello studio di Mons. Derville. Leggiamole di nuovo: “La bellezza, pertanto, non è un fattore decorativo dell'azione liturgica; ne è piuttosto elemento costitutivo, in quanto è attributo di Dio stesso e della sua rivelazione. Tutto ciò deve renderci consapevoli di quale attenzione si debba avere perché l’azione liturgica risplenda secondo la sua natura propria”.

In altre parole, la liturgia, e al suo interno la concelebrazione, sarà bella quando è vera e autentica, quando in essa risplende la sua vera natura. In questa linea si situa il punto interrogativo posto dal Romano Pontefice davanti alle grandi concelebrazioni: “Per me, devo dire, rimane un problema, perché la comunione concreta nella celebrazione è fondamentale e quindi non trovo che la risposta definitiva sia stata realmente trovata. Anche nel Sinodo scorso ho fatto emergere questa domanda, che però non ha trovato risposta. Anche un’altra domanda ho fatto fare, sulla concelebrazione in massa: perché se concelebrano, per esempio, mille sacerdoti, non si sa se c’è ancora la struttura voluta dal Signore”.

Il punto cruciale è proprio mantenere la “struttura voluta dal Signore”, perché la liturgia è un dono di Dio. Non è un qualcosa di fabbricato da noi uomini. Non è a nostra disposizione. In realtà, “con il comando «Fate questo in memoria di me» (Lc 22,19; 1 Cor 11,25), Egli ci chiede di corrispondere al suo dono e di rappresentarlo sacramentalmente. Con queste parole, pertanto, il Signore esprime, per così dire, l'attesa che la sua Chiesa, nata dal suo sacrificio, accolga questo dono, sviluppando sotto la guida dello Spirito Santo la forma liturgica del Sacramento”.
Per questo motivo, “dobbiamo anche imparare a capire la struttura della Liturgia e perché è articolata così. La Liturgia è cresciuta in due millenni e anche dopo la riforma non è divenuta qualcosa di elaborato soltanto da alcuni liturgisti. Essa rimane sempre continuazione di questa crescita permanente dell'adorazione e dell'annuncio. Così, è molto importante, per poterci sintonizzare bene, capire questa struttura cresciuta nel tempo ed entrare con la nostra mens nella vox della Chiesa”.

Lo studio puntuale di Mons. Derville si inserisce in questa direzione. Egli ci aiuta ad ascoltare i testi del Concilio Vaticano II, i quali, con parole del Beato Giovanni Paolo II, “non perdono il loro valore né il loro smalto. È necessario che essi vengano letti in maniera appropriata, che vengano conosciuti e assimilati, come testi qualificati e normativi del Magistero, all'interno della Tradizione della Chiesa”.

Il Concilio, effettivamente, decise di estendere la facoltà di concelebrare seguendo due principi: questa forma di celebrazione della Santa Messa manifesta correttamente l’unità del sacerdozio e, al tempo stesso, è stata praticata fino ad oggi nella Chiesa in Oriente e in Occidente. Perciò, la concelebrazione, come ha rilevato anche la Sacrosanctum Concilium, va inclusa tra i riti che dovrebbero essere ripristinati “secondo la tradizione dei Padri”.

In questo senso, diventa importante affrontare, anche se brevemente, la storia della concelebrazione. La panoramica storica che ci offre Mons. Derville, anche se, come egli ‘modestamente’ dice, è un breve riassunto, ci risulta sufficiente per rilevare alcune zone d’ombra, che mostrano l’assenza di dati definitivi sulla celebrazione eucaristica nei primi tempi della Chiesa. Allo stesso tempo, senza però cadere in un ingenuo “archeologismo”, fornisce prove sufficienti per poter affermare che la concelebrazione, secondo la genuina tradizione della Chiesa, sia orientale che occidentale, è un rito straordinario, solenne e pubblico, di solito presieduto dal vescovo o da un suo delegato, circondato dal suo presbyterium e da tutta la comunità dei fedeli. D’altra parte, la concelebrazione quotidiana in uso tra gli orientali, in cui concelebrano solo sacerdoti, e la concelebrazione per così dire “privata”, in sostituzione delle Messe celebrate singolarmente o “more privato”, non sono presenti nella tradizione liturgica latina.

Inoltre, a mio parere, l’autore riesce a dare una spiegazione soddisfacente sulle ragioni di fondo, che il Concilio menziona per l’ampliamento della concelebrazione. Una estensione della facoltà di concelebrare, che doveva essere moderata, come si evince dalla lettura dei testi conciliari. È logico che dovesse essere così, perché la concelebrazione non ha come obiettivo risolvere i problemi logistici o organizzativi, ma piuttosto presentare il mistero pasquale, manifestando così l’unità del sacerdozio che nasce dall’Eucaristia. La bellezza della concelebrazione, come abbiamo detto in un primo momento, implica la sua celebrazione nella verità. In questo modo, la sua forza significativa dipende dal vivere e dal soddisfare le esigenze che la stessa concelebrazione comporta.
Quando il numero dei concelebranti è troppo elevato un aspetto essenziale della concelebrazione resta velato. La quasi impossibilità di sincronizzare le parole e i gesti che non sono riservati al celebrante principale, l’altare e le offerte allontanati, la mancanza di paramenti per alcuni dei concelebranti, l’assenza di armonia di colori e forme, tutto ciò può oscurare la manifestazione dell’unità del sacerdozio. E, non possiamo dimenticarlo, è proprio tale manifestazione che ha giustificato l’estensione della facoltà di concelebrare.

Nel lontano 1965, il cardinale Lercaro, presidente del Consilium ad exsequendam Constitutionem de sacra liturgia, inviò una lettera ai Presidenti delle Conferenze Episcopali, avvertendoli di un pericolo: considerare la concelebrazione come un modo per superare le difficoltà pratiche. E ricordava che poteva essere appropriato promuoverla, qualora avesse favorito la pietà dei fedeli e dei sacerdoti.

È quest’ultimo aspetto che vorrei trattare ora molto brevemente. Come Benedetto XVI ha detto: “raccomando ai sacerdoti la celebrazione quotidiana della santa Messa, anche quando non ci fosse partecipazione di fedeli. Tale raccomandazione si accorda innanzitutto con il valore oggettivamente infinito di ogni Celebrazione eucaristica; e trae poi motivo dalla sua singolare efficacia spirituale, perché, se vissuta con attenzione e fede, la santa Messa è formativa nel senso più profondo del termine, in quanto promuove la conformazione a Cristo e rinsalda il sacerdote nella sua vocazione”.

Per ogni sacerdote, la celebrazione della Santa Messa è la ragione della sua esistenza. È, deve essere, un incontro molto personale con Dio e con la sua opera redentrice. Allo stesso tempo, ogni sacerdote, nella celebrazione Eucaristica, è lo stesso Cristo presente nella Chiesa come Capo del suo corpo e agisce anche a nome di tutta la Chiesa “allorché presenta a Dio la preghiera della Chiesa e soprattutto quando offre il sacrificio eucaristico”. Dinnanzi alla meraviglia del dono eucaristico, che trasforma e configura a Cristo, ci può essere solo un atteggiamento di stupore, gratitudine e obbedienza.

L'autore ci aiuta a cogliere con maggiore profondità e chiarezza questa ammirevole realtà. E contemporaneamente, con questo libro ci ricorda e ci invita a considerare che oltre alla concelebrazione, vi è la possibilità della celebrazione individuale o la partecipazione all'Eucaristia come sacerdote, anche senza concelebrare. Si tratta, in ogni caso, di entrare nella liturgia, di cercare l’opzione che consente più facilmente il dialogo con il Signore, rispettando la struttura stessa della liturgia. Si trovano qui le limiti di un “diritto o no di concelebrare”, nel rispetto dei fedeli a partecipare in una liturgia dove l’ars celebrandi rende possibile la loro attuosa participatio. Tocchiamo dunque punti che hanno che vedere con quello che è giusto o meno; l’autore, infatti, non manca di riferirsi anche al Codice di Diritto Canonico.

Non mi resta altro che ringraziare Mons. Derville e anche le case editrice Palabra e Wilson & Lafleur per il libro che oggi ho il piacere di presentare. Credo che la sua lettura dia un esempio della giusta ermeneutica del Concilio Vaticano II. “Si tratta, dice il Papa, in concreto di leggere i cambiamenti voluti dal Concilio all'interno dell'unità che caratterizza lo sviluppo storico del rito stesso, senza introdurre artificiose rotture”. Ed è un aiuto e uno stimolo per il compito che il Santo Padre ha ricordato recentemente alla Congregazione che presiedo: “si dedichi principalmente a dare nuovo impulso alla promozione della Sacra Liturgia nella Chiesa, secondo il rinnovamento voluto dal Concilio Vaticano II a partire dalla Costituzione Sacrosanctum Concilium”. Sono pure sicuro che questo libro contribuirà a far sì che l’Anno della Fede sia “un'occasione propizia anche per intensificare la celebrazione della fede nella liturgia, e in particolare nell’Eucaristia”.

[SM=g1740733]


e... ricordiamo anche:

Nella nostra riforma liturgica c'è la tendenza, a parer mio sbagliata, ad adattare completamente la liturgia al mondo moderno. Essa dovrebbe quindi diventare ancora più breve e da essa dovrebbe essere allontanato tutto ciò che si ritiene incomprensibile; alla fin fine, essa dovrebbe essere tradotta in una lingua ancora più semplice, più "piatta". In questo modo, però, l'essenza della liturgia e la stessa celebrazione liturgica vengono completamente fraintese. Perché in essa non si comprende solo in modo razionale, così come si capisce una conferenza, bensì in modo complesso, partecipando con tutti i sensi e lasciandosi compenetrare da una celebrazione che non è inventata da una qualsiasi commissione di esperti, ma che ci arriva dalla profondità dei millenni e, in definitiva, dall'eternità. [...]

Personalmente ritengo che si dovrebbe essere più generosi nel consentire l'antico rito a coloro che lo desiderano. Non si vede proprio che cosa debba esserci di pericoloso o inaccettabile. Una comunità mette in questione se stessa, quando considera improvvisamente proibito quello che fino a poco tempo prima le appariva sacro e quando ne fa sentire riprovevole il desiderio. Perché le si dovrebbe credere ancora? Non vieterà forse domani, ciò che oggi prescrive? [...] Purtroppo da noi c'è una tolleranza quasi illimitata per le modifiche spettacolari e avventurose, mentre praticamente non ce n'è per l'antica liturgia. Così siamo sicuramente su una strada sbagliata.



[Riflessioni del Card. Joseph Ratzinger

tratte dal libro “Il sale della terra”, Ed. San Paolo, pp. 199-202].





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[Modificato da Caterina63 13/03/2012 13:06]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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23/05/2012 11:57
 
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Senza Liturgia non c'è nuova evangelizzazione

Nell'adorazione di Dio il futuro dell'uomo e il cambiamento del mondo

di Antonio + cardinale Canizares Llovera

 

Nel mese di aprile la rivista spagnola "Palabra" ha pubblicato un numero speciale intitolato "Mappa della nuova evangelizzazione". Tra le firme quella del cardinale Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti. Pubblichiamo qui di seguito una nostra traduzione del suo articolo.

Osservatore Romano 23.5.2012

http://2.bp.blogspot.com/-Xa06ctIJ97M/Ti_0CtwdhpI/AAAAAAAABhQ/ObmTjL-ddUo/s1600/canizares+xiii.JPG
(il cardinale Canizares distribuisce la Comunione "come il Papa insegna", e qui lo vediamo in una celebrazione con la forma detta Straordinaria)

 

Il permanente mandato missionario del Signore, sempre attuale, lo ascoltiamo oggi in una situazione segnata dalla dimenticanza di Dio o eclissi culturale di Dio, nella quale molti vivono come se Dio non esistesse.

Il momento è pressante e richiede un improrogabile e nuova evangelizzazione, nuova principalmente nel suo ardore; una nuova e urgente evangelizzazione che sarà prima di tutto, annuncio, testimonianza di Dio e del suo Regno, dedizione a Dio, priorità di Dio rivelato da Gesù Cristo, affinché gli uomini si convertano, credano ed entrino e vivano in comunione con Lui.

Questa nuova evangelizzazione non sarà possibile senza la liturgia, e in particolare l’Eucaristia, che è la sua fonte e il suo culmine. Evangelizzazione e liturgia sono inseparabili. Sempre quindi ma, se possibile, ancora di più in questo momento della storia in cui subiamo una profonda crisi del senso di Dio nel mondo e una forte secolarizzazione interna della Chiesa, ravvivare e rafforzare il senso e lo spirito autentico della sacra liturgia nella coscienza e nella vita della Chiesa è qualcosa che urge e incalza più di qualsiasi altra cosa, se vogliamo portare a termine una necessaria e nuova evangelizzazione: è missione e opera prioritaria sempre, e soprattutto oggi.

La Chiesa, le comunità e i fedeli cristiani avranno vigore e vitalità, vivranno una vita santa, saranno testimoni coraggiosi e annunciatori fedeli e instancabili del Vangelo, se vivranno la liturgia e se vivranno di essa, se berranno da questa fonte, se vivranno l’incontro trasformatore con Gesù Cristo che avviene nella liturgia, se vivranno la comunione con Dio che si produce nella liturgia, perché così vivranno di Dio stesso e della sua grazia vivificatrice e trasformatrice, nella quale si radicano la santificazione, la loro forza e la loro stessa vita, la loro capacità e il coraggio evangelizzatore, tutto il loro apporto agli uomini e al futuro dell’umanità.

 

Il futuro dell’uomo è in Dio: il cambiamento decisivo del mondo è in Dio, nella sua adorazione. E lì sta la liturgia. Non è possibile una nuova evangelizzazione, nuova nel suo ardore, che è l’elemento fondamentale al di sopra dei mezzi, dei metodi e del linguaggio, se non si vive nella comunione di vita con Gesù Cristo, nella vita nuova che in Lui, mediante lo Spirito Santo, ci viene data: se non è attraverso la liturgia, e in particolare l’Eucaristia.

La liturgia ci rimanda a Dio; il soggetto principale della liturgia è Dio, il Padre; è Cristo, il figlio del Dio vivente; è lo Spirito Santo, che c’introduce nel mistero di Dio e ci santifica.

Liturgia significa, innanzitutto, presenza e azione di Dio, riconoscere al centro di tutto Dio, dal quale ci viene ogni bene, lasciare che Dio agisca e operi la sua salvezza e ci santifichi. La liturgia proclama, annuncia, rende presente la verità di Dio, Dio stesso, l’amore di Dio fino all’estremo, l’opera della redenzione e della riconciliazione che Dio attua e che trasforma, rinnova e ricrea l’uomo rendendolo partecipe della sua stessa vita; è presenza di Dio, del suo Regno, che invita a una vita nuova, che rende possibile e realtà effettiva questa vita nuova che porta Dio-con-noi.

Non si possono separare né contrapporre evangelizzazione e liturgia; l’una non è possibile senza l’altra.

La liturgia è l’evangelizzazione nella sua espressione massima, poiché l’annuncio e la testimonianza del Vangelo di Dio diventano realtà presente in mezzo a noi e ci viene data la possibilità di entrare e di prendere parte a questo Vangelo vivo. Come compresero bene tutto ciò che è la liturgia, l’Eucaristia, i cristiani dei primi secoli, e come lo capirono bene gli imperatori di Roma nel condurli al martirio a causa dell’Eucaristia! Lì, in essa, era tutto. Perciò in questo momento è tanto necessario che contribuiamo a entrare nella liturgia, nell’Eucaristia, a conoscere e a capire la liturgia, l’Eucaristia, a promuovere la formazione liturgica e, al di sopra di tutto, a far sì che si celebri bene e si partecipi a questa celebrazione come indica la Chiesa.

 

D’altra parte, la Chiesa, per sua natura, deriva dalla sua missione di glorificare Dio, e pertanto è irrevocabilmente legata alla liturgia, la cui sostanza sono la reverenza e l’adorazione di Dio, il Dio che è presente e agisce nella Chiesa. L’evangelizzazione deve parlare di Dio e rendergli testimonianza, per glorificarlo. Una certa crisi che ha potuto colpire in modo importante la liturgia e la stessa Chiesa dagli anni successivi al concilio fino a oggi, si deve al fatto che spesso al centro non ci sono Dio e la sua adorazione, la gloria di Dio, bensì gli uomini e la loro capacità di fare. Nella storia recente indubbiamente la costituzione Sacrosanctum concilium sulla liturgia può non essere stata compresa da tutti sulla base di questo primato di Dio e della sua gloria, dell’adorazione, ma come opera nostra, vedendo addirittura quest’ultima come contrapposta alla liturgia e all’azione sacramentale. Tuttavia, quanto più la “facciamo” nostra per noi stessi, quanto più si contrappone all’evangelizzazione e la si separa da essa, tanto più si sarà perduto l’essenziale. Così, senza la liturgia e senza il primato di Dio in essa, i fedeli e le comunità cristiane s’inaridiranno, s’indeboliranno e languiranno, diventeranno incapaci di evangelizzare con rinnovato ardore e vigore.

In definitiva, se vogliamo una Chiesa evangelizzatrice, presente nel mondo, rinnovandola e trasformandola conformemente al volere di Dio, come indica in modo emblematico la Gaudium et spes nell’esigere una nuova evangelizzazione, è necessario che prima di tutto, e al di sopra di tutto, sia la Chiesa a vivere di quanto implica la Sacrosanctum concilium, ossia della liturgia nella sua verità, il cui culmine è l’Eucaristia. Perciò, la nuova evangelizzazione si farà se, allo stesso tempo e inseparabilmente, si promuoverà e ravviverà un nuovo impulso liturgico in grado di far rivivere fedelmente la vera eredità del concilio Vaticano II.

Abbiamo bisogno, un enorme bisogno, di questo nuovo impulso. Così la pensa Benedetto XVI, un uomo tanto provvidenziale dei nostri giorni, tanto profondamente impegnato, come pochi altri, a dare impulso a una nuova evangelizzazione e a rendere possibile un’umanità nuova fatta di uomini nuovi, una nuova cultura e un mondo nuovo degni dell’uomo — creatura di Dio — testimone, oltre che a una speranza “grande”. Questo Papa sta chiaramente facendo della liturgia uno dei tratti più ricchi e forieri di speranza del suo pontificato.

[SM=g1740722]


[Modificato da Caterina63 23/05/2012 11:59]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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