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Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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Ordinazioni Presbiteriali con il Pontefice, la Parola del Magistero Ecclesiale

Ultimo Aggiornamento: 14/06/2009 12:38
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03/05/2009 12:08
 
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il testo dell'omelia per altro da meditare...seguirà le immagini del Pontefice per le ordinazioni maggio 2009

[SM=g1740717] [SM=g1740720] [SM=g1740717]











[SM=g1740733]
[Modificato da Caterina63 14/06/2009 12:38]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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DA MEDITARE..... Occhiolino


OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle!

Secondo una bella consuetudine, la Domenica "del Buon Pastore" vede riuniti il Vescovo di Roma e il suo presbiterio per le Ordinazioni dei nuovi sacerdoti della Diocesi. Questo è ogni volta un grande dono di Dio; è sua grazia! Risvegliamo pertanto in noi un sentimento profondo di fede e di riconoscenza nel vivere l’odierna celebrazione. E in questo clima mi è caro salutare il Cardinale Vicario Agostino Vallini, i Vescovi Ausiliari, gli altri Fratelli nell’episcopato e nel sacerdozio, e con speciale affetto voi, cari Diaconi candidati al presbiterato, insieme con i vostri familiari e amici. La Parola di Dio che abbiamo ascoltato ci offre abbondanti spunti di meditazione: ne raccoglierò alcuni, perché essa possa gettare una luce indelebile sul cammino della vostra vita e sul vostro ministero.

"Questo Gesù è la pietra … non vi è altro nome nel quale siamo salvati" (At 4,11-12). Nel brano degli Atti degli Apostoli – la prima lettura – colpisce e fa riflettere questa singolare "omonimia" tra Pietro e Gesù: Pietro, il quale ha ricevuto il suo nuovo nome da Gesù stesso, qui afferma che è Lui, Gesù, "la pietra". In effetti, l’unica vera roccia è Gesù. L’unico nome che salva è il suo. L’apostolo, e quindi il sacerdote, riceve il proprio "nome", cioè la propria identità, da Cristo. Tutto ciò che fa, lo fa in nome suo. Il suo "io" diventa totalmente relativo all’"io" di Gesù. Nel nome di Cristo, e non certo nel proprio nome, l’apostolo può compiere gesti di guarigione dei fratelli, può aiutare gli "infermi" a risollevarsi e riprendere a camminare (cfr At 4,10). Nel caso di Pietro, il miracolo poco prima compiuto rende questo particolarmente evidente. E anche il riferimento a ciò che dice il Salmo è essenziale: "la pietra scartata dai costruttori / è divenuta la pietra d’angolo" (Sal 117[118],22). Gesù è stato "scartato", ma il Padre l’ha prediletto e l’ha posto a fondamento del tempio della Nuova Alleanza. Così l’apostolo, come il sacerdote, sperimenta a sua volta la croce, e solo attraverso di essa diventa veramente utile per la costruzione della Chiesa. Dio ama costruire la sua Chiesa con persone che, seguendo Gesù, ripongono tutta la propria fiducia in Dio, come dice lo stesso Salmo: "E’ meglio rifugiarsi nel Signore / che confidare nell’uomo. / E’ meglio rifugiarsi nel Signore / che confidare nei potenti" (vv. 8-9).

Al discepolo tocca la medesima sorte del Maestro, che in ultima istanza è la sorte scritta nella volontà stessa di Dio Padre! Gesù lo confessò alla fine della sua vita, nella grande preghiera detta "sacerdotale": "Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto" (Gv 17,25). Anche in precedenza l’aveva affermato: "Nessuno conosce il Padre se non il Figlio" (Mt 11,27). Gesù ha sperimentato su di sé il rifiuto di Dio da parte del mondo, l’incomprensione, l’indifferenza, lo sfiguramento del volto di Dio. E Gesù ha passato il "testimone" ai discepoli: "Io – confida ancora nella preghiera al Padre – ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro" (Gv 17,26). Perciò il discepolo – e specialmente l’apostolo – sperimenta la stessa gioia di Gesù, di conoscere il nome e il volto del Padre; e condivide anche il suo stesso dolore, di vedere che Dio non è conosciuto, che il suo amore non è ricambiato. Da una parte esclamiamo, come Giovanni nella sua prima Lettera: "Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!"; e dall’altra con amarezza constatiamo: "Per questo il mondo non ci riconosce: perché non ha conosciuto lui" (1 Gv 3,1). E’ vero, e noi sacerdoti ne facciamo esperienza: il "mondo" – nell’accezione giovannea del termine – non capisce il cristiano, non capisce i ministri del Vangelo. Un po’ perché di fatto non conosce Dio, e un po’ perché non vuole conoscerlo. Il mondo non vuole conoscere Dio e ascoltare i suoi ministri, perché questo lo metterebbe in crisi.

Qui bisogna fare attenzione a una realtà di fatto: che questo "mondo", sempre nel senso evangelico, insidia anche la Chiesa, contagiando i suoi membri e gli stessi ministri ordinati.[SM=g1740721]  Il "mondo" è una mentalità, una maniera di pensare e di vivere che può inquinare anche la Chiesa, e di fatto la inquina, e dunque richiede costante vigilanza e purificazione. Finché Dio non si sarà pienamente manifestato, anche i suoi figli non sono ancora pienamente "simili a Lui" (1 Gv 3,2). Siamo "nel" mondo, e rischiamo di essere anche "del" mondo. E di fatto a volte lo siamo. Per questo Gesù alla fine non ha pregato per il mondo, ma per i suoi discepoli, perché il Padre li custodisse dal maligno ed essi fossero liberi e diversi dal mondo, pur vivendo nel mondo (cfr Gv 17,9.15). In quel momento, al termine dell’Ultima Cena, Gesù ha elevato al Padre la preghiera di consacrazione per gli apostoli e per tutti i sacerdoti di ogni tempo, quando ha detto: "Consacrali nella verità" (Gv 17,17). E ha aggiunto: "per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità" (Gv 17,19). Mi sono soffermato su queste parole di Gesù nell’omelia della Messa Crismale, lo scorso Giovedì Santo. Oggi mi ricollego a tale riflessione facendo riferimento al Vangelo del Buon Pastore, dove Gesù dichiara: "Io do la mia vita per le pecore" (cfr Gv 10,15.17.18).

Diventare sacerdoti, nella Chiesa, significa entrare in questa auto-donazione di Cristo, mediante il Sacramento dell’Ordine, ed entrarvi con tutto se stessi. Gesù ha dato la vita per tutti, ma in modo particolare si è consacrato per quelli che il Padre gli aveva dato, perché fossero consacrati nella verità, cioè in Lui, e potessero parlare ed agire in nome suo, rappresentarlo, prolungare i suoi gesti salvifici: spezzare il Pane della vita e rimettere i peccati. [SM=g1740733] Così, il Buon Pastore ha offerto la sua vita per tutte le pecore, ma l’ha donata e la dona in modo speciale a quelle che Egli stesso, "con affetto di predilezione", ha chiamato e chiama a seguirlo nella via del servizio pastorale. In maniera singolare, poi, Gesù ha pregato per Simon Pietro, e si è sacrificato per lui, perché doveva dirgli un giorno, sulle rive del lago di Tiberiade: "Pasci le mie pecore" (Gv 21,16-17). Analogamente, ogni sacerdote è destinatario di una personale preghiera di Cristo, e del suo stesso sacrificio, e solo in quanto tale è abilitato a collaborare con Lui nel pascere il gregge che è tutto e solo del Signore.

Qui vorrei toccare un punto che mi sta particolarmente a cuore: la preghiera e il suo legame con il servizio. Abbiamo visto che essere ordinati sacerdoti significa entrare in modo sacramentale ed esistenziale nella preghiera di Cristo per i "suoi". Da qui deriva per noi presbiteri una particolare vocazione alla preghiera, in senso fortemente cristocentrico: siamo chiamati, cioè, a "rimanere" in Cristo – come ama ripetere l’evangelista Giovanni (cfr Gv 1,35-39; 15,4-10) –, e questo si realizza particolarmente nella preghiera. Il nostro ministero è totalmente legato a questo "rimanere" che equivale a pregare, e deriva da esso la sua efficacia. In tale prospettiva dobbiamo pensare alle diverse forme della preghiera di un prete, prima di tutto alla santa Messa quotidiana. La celebrazione eucaristica è il più grande e il più alto atto di preghiera, e costituisce il centro e la fonte da cui anche le altre forme ricevono la "linfa": la Liturgia delle ore, l’adorazione eucaristica, la lectio divina, il santo Rosario, la meditazione. [SM=g1740721] [SM=g1740722]

Tutte queste espressioni di preghiera, che hanno il loro centro nell’Eucaristia, fanno sì che nella giornata del prete, e in tutta la sua vita, si realizzi la parola di Gesù: "Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore" (Gv 10,14-15). Infatti, questo "conoscere" ed "essere conosciuti" in Cristo e, mediante Lui, nella Santissima Trinità, non è altro che la realtà più vera e più profonda della preghiera. Il sacerdote che prega molto, e che prega bene, viene progressivamente espropriato di sé e sempre più unito a Gesù Buon Pastore e Servo dei fratelli. In conformità a Lui, anche il prete "dà la vita" per le pecore che gli sono affidate. Nessuno gliela toglie: la offre da se stesso, in unione con Cristo Signore, il quale ha il potere di dare la sua vita e il potere di riprenderla non solo per sé, ma anche per i suoi amici, legati a Lui dal Sacramento dell’Ordine. Così la stessa vita di Cristo, Agnello e Pastore, viene comunicata a tutto il gregge, mediante i ministri consacrati.

Cari Diaconi, lo Spirito Santo imprima questa divina Parola, che ho brevemente commentato, nei vostri cuori, perché porti frutti abbondanti e duraturi. Lo chiediamo per intercessione dei santi apostoli Pietro e Paolo e di san Giovanni Maria Vianney, il Curato d’Ars, al cui patrocinio ho intitolato il prossimo Anno Sacerdotale. Ve lo ottenga la Madre del Buon Pastore, Maria Santissima. In ogni circostanza della vostra vita, guardate a Lei, stella del vostro sacerdozio. Come ai servi alle nozze di Cana, anche a voi Maria ripete: "Qualsiasi cosa vi dica, fatela" (Gv 2,5). Alla scuola della Vergine, siate sempre uomini di preghiera e di servizio, per diventare, nel fedele esercizio del vostro ministero, sacerdoti santi secondo il cuore di Dio.

[00686-01.01] [Testo originale: Italiano]

www.vatican.va

AUGURI AI NOVELLI SACERDOTI....[SM=g1740734]


[SM=g1740717] [SM=g1740720] [SM=g1740717]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Il Papa a professori e alunni del seminario francese di Roma

La formazione dei sacerdoti
missione esigente


Chi forma sacerdoti "deve ricordarsi che la speranza che ha per gli altri è in primo luogo un dovere per se stessi". Lo ha detto il Papa a professori e alunni del seminario francese di Roma ricevuti in udienza sabato mattina 6 giugno, nella sala Clementina. 

Signori Cardinali,
Cari fratelli nell'Episcopato,
Signor Rettore,
Cari sacerdoti e seminaristi,
È con gioia che vi accolgo in occasione delle celebrazioni che segnano in questi giorni un momento importante della storia del Pontificio Seminario Francese di Roma. La Congregazione dello Spirito Santo che, dalla sua fondazione, se ne è assunta la tutela, l'affida ora, dopo un secolo e mezzo di fedele servizio, alla Conferenza dei Vescovi di Francia.


Dobbiamo rendere grazie al Signore per l'opera svolta in questa istituzione in cui, dalla sua apertura, circa 5000 seminaristi o giovani sacerdoti sono stati preparati alla loro futura vocazione. Rendendo omaggio al lavoro dei membri della Congregazione del Santo Spirito, Padri e Fratelli, desidero affidare in modo particolare al Signore gli apostolati che la Congregazione fondata dal venerabile Padre Liberman conserva e sviluppa in tutto il mondo - e specialmente in Africa - a partire dal proprio carisma che non ha perduto nulla della sua forza e della sua pertinenza. Possa il Signore benedire la Congregazione e la sua missione!
Il compito di formare sacerdoti è una missione delicata.

La formazione proposta nel seminario è esigente, poiché sarà una porzione del popolo di Dio a essere affidata alla sollecitudine pastorale dei futuri sacerdoti, quel popolo che Cristo ha salvato e per il quale ha dato la propria vita. È bene che i seminaristi si ricordino che se la Chiesa si mostra esigente con loro, è perché dovranno prendersi cura di coloro che Cristo ha a così caro prezzo attratto a sé. Le attitudini richieste ai futuri sacerdoti sono numerose:  la maturità umana, le qualità spirituali, lo zelo apostolico, il rigore intellettuale... Per conseguire queste virtù, i candidati al sacerdozio non solo devono poter esserne i testimoni fra i loro formatori, ma ancor di più devono poter essere i primi beneficiari di queste qualità vissute e dispensate da quanti hanno il compito di farli crescere. È una legge della nostra umanità e della nostra fede il fatto che, molto spesso, siamo capaci di dare solo ciò che abbiamo ricevuto in precedenza da Dio attraverso le mediazioni ecclesiali e umane che Egli ha istituito.

Chi riceve il compito del discernimento e della formazione deve ricordarsi che la speranza che ha per gli altri è in primo luogo un dovere per se stesso.
Questo passaggio di testimone coincide con l'inizio dell'Anno sacerdotale. È una grazia per il nuovo gruppo di sacerdoti formatori riuniti dalla Conferenza dei Vescovi di Francia. Mentre questa riceve la sua missione, le viene data, come a tutta la Chiesa, la possibilità di scrutare più profondamente l'identità del sacerdote, mistero di grazia e di misericordia. Mi compiaccio di citare qui quell'eminente personalità che fu il Cardinale Suhard, dicendo a proposito dei ministri di Cristo:  "Eterno paradosso del sacerdote.

Egli ha in sé i contrari. Concilia, a prezzo della sua vita, la fedeltà a Dio con la fedeltà all'uomo. Ha l'aria povera e senza forze... Non ha in mano né i mezzi politici, né le risorse finanziarie, né la forza delle armi, di cui altri si servono per conquistare la terra. La sua forza è di essere disarmato e di "potere ogni cosa in Colui che lo fortifica"" (Ecclesia n. 141, p. 21, dicembre 1960). Possano queste parole che evocano così bene la figura del santo Curato d'Ars risuonare come una chiamata vocazionale per molti giovani cristiani di Francia che desiderano una vita utile e feconda per servire l'amore di Dio!

Il Seminario Francese ha la particolarità di essere situato nella città di Pietro; per rispondere al voto di Paolo VI (cfr. Discorso agli ex-alunni del Seminario francese, 11 settembre 1968), auspico che nel corso del loro soggiorno a Roma, i seminaristi possano, in modo privilegiato, familiarizzare con la storia della Chiesa, scoprire l'ampiezza della sua cattolicità e la sua unità vivente attorno al Successore di Pietro, e che sia così impresso per sempre nel loro cuore di pastori l'amore della Chiesa.

Invocando su voi tutti abbondanti grazie del Signore per intercessione della Beata Vergine Maria, di santa Chiara e del beato Pio IX, imparto di cuore a tutti voi, alle vostre famiglie, agli ex-alunni che non sono potuti venire e al personale laico del Seminario, la Benedizione Apostolica.


(©L'Osservatore Romano - 7 giugno 2009)

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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14/06/2009 10:59
 
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DISCORSO DI SUA SANTITÀ PIO XII
AI PARTECIPANTI AL CONGRESSO NAZIONALE ITALIANO
DEI SACERDOTI ADORATORI
28 aprile 1939

Pio XII




Quale spettacolo è quest'adunanza di sacerdoti, il cui proposito, degno degli angeli, è di adorare in singolar modo quel Dio che promise agli Apostoli di essere con loro tutti i giorni fino alla consumazione dei secoli! Noi vediamo, Venerabili Fratelli e diletti Figli, adempita in voi questa promessa, in voi che continuate e perpetuate il ministero apostolico di istruire le genti, di battezzarle e di insegnar loro tutto quello che Cristo agli Apostoli aveva comandato. Non ha egli pure annunziato che dove fossero anche due o tre persone congregate nel nome suo, quivi sarebbe egli in mezzo a loro? Il Salvatore divino è con noi, non già come ombra fugace della fama e del nome che resta sulle tombe e sui monumenti dei grandi uomini che passano, ma quale Dio presente nella sua divinità e umanità, Dio nascosto nell'ombra dei pani mutati: ombra che Ci par di ravvisare in quelle tenebre del lago di Tiberiade, in quella notte che Cristo camminava sopra i marosi, e ai discepoli a fatica remiganti parve fantasma. No, non è un fantasma il Dio dei tabernacoli che adoriamo. E quel medesimo che allora disse ai pavidi discepoli: Abbiate fiducia; sono io, non temete. E quel medesimo che dice: Eccomi con voi tutti i giorni fino alla consumazione dei tempi.

E quel medesimo che cammina sulle onde dei secoli, signore dei venti e delle procelle umane. Egli cammina sull'onde tempestose al fianco e innanzi alla sua Chiesa; risponde ai suoi ministri che lo chiamano con la voce sacra, a loro da lui largita; e ai suoi altari invita e aduna da venti secoli le nazioni e le genti, il popolo e i regnanti, i martiri e le vergini, i pontefici e i sacerdoti, prostrati nell'adorarlo presente, nell'amarlo nascosto, nell'invocarlo compagno nella gioia e nel dolore, nella vita e nella morte.

Ma noi vediamo un sacerdote che nell'ombra della fede più vivamente ha sentito il conforto di Lui ai discepoli. Voi lo conoscete: è Pietro Giuliano Eymard che risponde a Cristo: Signore, se sei tu, comandami di venire a te sulle acque. Vieni, gli dice il Salvatore. E Pietro Giuliano camminò sulle acque burrascose per andare a Gesù e prostrarsi a lui in perpetua adorazione ed esclamare: Eccomi con voi, o Signore, in tutti i giorni fino al termine della mia vita. Non fu forse questa la vocazione e la missione del fondatore della Congregazione del SS.mo Sacramento? Non calcò egli, per avvicinarsi e prostrarsi a Gesù, le acque della tribolazione? Egli aveva ben compreso la promessa di Cristo, onde si chiude e sigilla come suo testamento il Vangelo del pubblicano Matteo; e ne aveva fatto per sé e per gli altri il vessillo dell'opera sua e della sua azione: «Ecce ego vobiscum sum omnibus diebus usque ad consummationem saeculi».

In questo mondo, in questo moderno straniamento della società, della famiglia e del costume da Dio, Pietro Giuliano sentiva pure che Cristo non aveva cessato di essere presente nel rifugio del suo altare, benché spesso ignorato, abbandonato, non degnato dell'altissimo omaggio a lui dovuto. Sentiva ch'Egli era ogni giorno con noi, perpetuo compagno del suo ministro e del suo popolo in ogni angolo e per ogni via della città, in ogni regione civile o barbara della terra, dove fosse un sacerdote e un'ara. Sentiva che Egli, come ieri, sta oggi, fino alla consumazione dei secoli con noi, con la sua Chiesa invincibile e indefettibile, sacerdote e pontefice delle anime in eterno, re immortale dei secoli e delle vicende umane antiche, presenti e future.
 
Profondamente ciò sentiva e si chinava innanzi a lui in quell'adorazione ch'è desiderio immenso di vederlo adorato, venerato, esaltato, in modo speciale dalle anime a Lui consacrate e particolarmente dai sacerdoti, che devono essere luce del mondo, sale della terra, maestri e ministri del popolo, mediatori fra gli uomini e Dio, fra il cielo e la terra.

In questo grande convegno di sacerdoti adoratori italiani, adunati a ritemprarsi nello spirito sacerdotale, - convegno già altamente, sapientemente ed ampiamente illustrato dalla parola eloquente e santa di. Eminentissimi Cardinali e di illustri oratori sacri -, la immagine del Beato Eymard, alfiere, araldo e campione, quant'altri mai, di Cristo presente nei sacri tabernacoli, è, al pari del Battista, lucerna lucente e ardente che illuminerà e rinfiammerà i vostri cuori, e trasfonderà in essi quegli accesi balzi che desta nell'animo la lagrimevole visione della guerra, dell'insidia e dell'indifferenza, con cui l'uomo risponde all'amore e ai benefizi di un Dio umanato che fa sua delizia lo stare sempre con noi.


I.

Il Dio dell'altare sta in mezzo a noi, invisibile, ma testimone fedele, primogenito tra i morti, principe dei re della terra, il quale ci ha amati e ci ha lavati dei nostri peccati col proprio sangue e ci ha fatti regno e sacerdoti a Dio suo Padre; il primo e l'ultimo, il vivente che fu morto ed è vivente pei secoli dei secoli (1). Ma è insieme in mezzo a noi, il Dio dell'arcano. Cadiamo ai suoi piedi, adoriamolo nel roveto ardente del suo amore per noi, se non ci è dato contemplarlo, come lo vide il rapito Evangelista. È il mistero della fede, centro dell'incruento divino sacrificio, geloso segreto della Sposa di Cristo, cui nei primi secoli della sua immutabile giovinezza amò celare sotto il velo dell'arcano anche i teneri suoi figli: arcano fatto mistero di un mistero, nascosto da secoli eterni in Dio e che nasconde un Dio. Davanti a questo mistero si chinarono nella polvere gli Apostoli e i martiri; nelle basiliche i pontefici; nei deserti e nei cenobi i monaci e gli anacoreti; nei chiostri le vergini; nei campi della lotta le schiere; nelle cattedre i dottori; nelle vie i popoli. Cristo era in mezzo a loro; ma chi lo vide? chi lo ravvisò? Beati quelli che non lo videro e credettero: «Beati qui non viderunt et crediderunt».

La fede passa ogni velo, penetra ogni arcano; e quanto più viva si avanza, tanto più luce acquista, si rinfiamma ed esalta in se stessa, e fa del mistero medesimo il faro e il fuoco della sua vita e dell'opera sua. Non fu questa la fede di Pietro Giuliano nel Dio presente sotto il velo della Eucaristia? Non fu il faro, alla cui luce mirò le onde e le tempeste dell'età moderna? Non fu il fuoco che gli scaldò il petto e l'ardire a fare del vessillo eucaristico il vessillo della sua religiosa coorte? a raccogliere intorno al sacro altare le schiere dei sacerdoti adoratori? Non fu egli colui, che nello squarciarsi più e più il velo dell'arcano attraverso i secoli nella comunione pasquale, nella solennità del Corpo del Signore, nella fiammeggiante esposizione del Dio nascosto, nell'adorazione riparatrice, intravvide la novella aurora della Congregazione e delle Confraternite del SS.mo Sacramento? Così nell'acre più aperto si scioglieva l'arcano antico del sacrosanto ciborio; ed era apparso l'ardente apostolo della divina Eucaristia, suscitato dal cielo.

Nato in un borgo del circondario di Grenoble, quando il mondo taceva al cospetto dell'altero Cesare francese che dalla Senna aveva coi suoi eserciti corso le terre di Europa e travolti regni e regnanti, Pietro Giuliano era cresciuto per la pietà della madre nella visione del sacro tabernacolo, e lì, appoggiato all'altare, fu trovato un giorno, fanciullo quinquenne, a pregare il Dio velato, bramoso di stargli vicino e di ascoltarlo. Che mai disse allora a quel bambino innocente Gesù che ama e abbraccia i piccoli, i quali vengono a Lui? Certo gli stampò nell'animo una di quelle parole indelebili che improntano il carattere e la missione dei santi nel mondo, e sigillano la loro aureola nel cielo della Chiesa.

E quella parola che si tramuterà nel pensiero del sacerdote Pietro Giuliano marista e che egli segnerà nella supplica al gran Pontefice Pio IX: «Ecco, scriverà, questo pensiero: alla vista dell'amore di Gesù Cristo nel suo adorabile Sacramento, dell'isolamento in cui lo lascia la scarsa pietà dei fedeli, dell'indifferenza di tanti cristiani, dell'empietà sempre crescente degli uomini del secolo; alla vista dei bisogni così grandi della Chiesa, di tanti idolatri ed eretici lontani dalla fede di Gesù Cristo, un pensiero soave e forte mi diceva: Perchè il più grande dei misteri non avrebbe anch'esso il suo corpo religioso come gli altri misteri? perchè non vi sarebbero degli uomini che avessero una missione perpetua di preghiera ai piedi di Gesù Cristo nel suo divino Sacramento? perchè il Re dei re non avrebbe anch'Egli la sua guardia d'onore, vigilante dì e notte dinanzi al suo divino tabernacolo, nell'esercizio perpetuo dell'adorazione, del ringraziamento, dell'ammenda onorevole?» - «E l'opera di Dio, risponderà il Vicario di Cristo, io la desidero». E indi a poco la loderà e poi l'approverà.


II.

Ma Cristo non solo è presente in mezzo al mondo, bensì anche si accosta all'uomo e sta con lui, coi suoi apostoli, coi suoi fedeli, con tutte le genti, conquista del suo sangue. Duplice è la sua presenza. Ha una presenza divina, con la quale sostiene l'universo da lui creato, segue i passi degli uomini per le vie del bene e del male ed è loro testimone e giudice inclinatore al bene e punitore del male. Ha un'altra presenza umana e insieme divina, per la quale innalza i suoi padiglioni nelle catacombe, fra le dense case dei popoli, per le campagne, per le selve, nelle valli, sui monti, per i deserti, per le nevi, in mezzo ai ghiacci perpetui, dovunque un sacerdote con la onnipotente parola di Lui levi in alto un pane e un calice, adorando ciò che ha fatto in memoria di Lui. Là Egli sta col suo ministro, con lui cammina, si fa nostro cibo, viatico dei moribondi e degli infelici, fratello, sposo, padre, medico, conforto e vita delle anime, pane degli angeli, arra di gaudio immortale. Ecce ego vobiscum sum. Oh come vorremmo che non Noi colla nostra povera voce, ma vi parlasse Pietro Giuliano Eymard, che a fondo penetrava e scandagliava questo mistero di fede e d'amore: la sua parola sarebbe una fiamma, un incendio da far ardere e avvampare i vostri cuori di adoratori del Dio che sta con noi ed è tanto dimenticato e offeso dagli uomini.

Non Ci chiedete, venerandi sacerdoti, se la missione da Dio affidata a Pietro Giuliano Eymard gli costò sangue, e se a lui, ramingo ai tabernacoli di La Seyne-sur-Mer, di Lione e di Parigi, Dio chiese, come ad Abramo, il totale sacrificio di ciò che amava - ed era pur dono divino -, per poi restituirglielo con rinnovata promessa di eletta progenie. Iddio lo mise alla prova, a quel modo che l'oro si purifica nel fuoco, che la pazienza è arma di vittoria; a quel modo che la croce, sigillo dei martiri, si erge e sovrasta ai nostri altari, vessillo di Cristo con noi e coi suoi santi. Il tabernacolo era però il suo rifugio: dal tabernacolo aveva udito la voce di Cristo che gli diceva che sarebbe stato ogni dì con lui compagno nei cammino della tribolazione fra la domanda e il rifiuto per l'Opera Eucaristica, fra l'opposizione dei confratelli e la lode del Pontefice Pio IX, fra l'ambascia di un dilemma e la croce del sacrificio; aveva ascoltato la parola di quel Dio umanato che proclamava ai suoi discepoli: «Ecce ego vobiscum sum omnibus diebus usque ad consummationem saeculi».

III.

Dell'adempimento di questa mirabile e benigna promessa di Cristo lungo il corso fuggevole dei tempi, nessuno, meglio del sacerdote, è fedele testimonio e parte, come quegli che, quale ministro delle fonti della grazia, ebbe da Cristo la sovrana missione di fare in sua memoria all'ara incruenta ciò ch'Egli aveva fatto nella vigilia della sua Passione: Pro Christo ergo, vi diremo, o diletti sacerdoti, con S. Paolo, legatione fungimur. Siamo legati e ambasciatori di Cristo, non solo con la parola, ma ancora con l'opera. Questa missione della parola e dell'opera oh quanto intimamente la sentì nell'animo il Beato Eymard! Sacerdote, ben sapeva che Cristo è con la sua Chiesa e con noi, tutti i giorni, per la sua autorità e per la sua grazia; ma, vedendolo anche velato presente sui nostri altari, e spesso quasi obliato e ignorato come Re e Pastore delle anime nostre, voleva che con la parola e con l'opera fosse dalla società cristiana riconosciuto, adorato, ringraziato, propiziato, pregato tutti i giorni fino al termine dei secoli.


Noi non seguiremo il fondatore dell'Adorazione perpetua nell'Opera delle Comunioni tardive nella capitale francese, nella erezione delle case di Marsiglia, di Angers, di Bruxelles e di altre città; non vi diremo come sorgessero l'Aggregazione del SS.mo Sacramento, la Congregazione delle Ancelle dell'Eucaristia, come si onorasse la Madonna del SS.mo Sacramento; come intorno al Servo di Dio andasse crescendo la religiosa famiglia da lui guidata, vincendo travagli, povertà, contraddizioni e dissensi interni ed esterni. Di pene e dolori non può mai vivere scevro il cuore dei seguaci di Cristo crocifisso; né il sentiero della santità è seminato dei dolci pomi e dei fiori dell'Eden. Credete voi che l'intimo suo martirio non rimanesse a tutti segreto né traboccasse mai in lamento fuori delle labbra? Solo l'ardore amoroso per il Dio d'amore egli effondeva nei suoi sermoni, nei suoi discorsi, nei suoi colloqui, nella sua direzione degli spiriti; e un'eco ancora ne mormorano le pagine che raccolgono la parola di lui.

Ma, al pari dell'Apostolo Paolo, egli si glorierà nelle sue tribolazioni, perchè la virtù di Cristo abiti in lui. E la virtù di Cristo, che al dolore pareggia il conforto che non sa dare il mondo, come la sentì divina ai piedi degli altari, il P. Eymard la trovò potente e provvida ai piedi del Vicario di Cristo in Roma. E tre volte lo vide Roma pellegrino per le sue vie, nelle sue basiliche, alle tombe e agli arcosolii dei martiri e un giorno lo udì in Sant'Andrea della Valle glorificare il Dio Bambino, Roma, con la voce del gran Pontefice Pio IX, gli fu propizia; ne lodava l'Istituto Eucaristico e poi ne approvava le Costituzioni, fondamento di sicuro e canonico avvenire.

A questo punto il nostro pensiero si arresta davanti all'opera del paziente e forte Adoratore e Apostolo della Eucaristia, mentre contempliamo il passato e l'avvenire saldarsi col presente e sopra l'onda dei secoli ascoltiamo la parola di Paolo, il quale ci ammonisce che ogni qual volta mangeremo questo pane e beveremo questo calice, annunzieremo la morte del Signore, fino a tanto che egli venga (2).

Finché sui campi del nostro globo spunterà una spiga di grano e penderà un grappolo d'uva, e un sacerdote salirà pensoso del sacrificio l'altare, l'Ospite divino sarà con noi; e il credente curverà nella fede la mente e il ginocchio innanzi a un'Ostia consacrata, come all'ultima cena gli apostoli nel pane e nel vino consacrato che il Salvatore dava loro dicendo: Questo è il mio corpo; Questo è il mio sangue; adorarono Cristo, il Maestro divino con quella pura e alta fede che crede ai portenti della sua parola, e di cui si sostanzia l'interna adorazione, fede senza la quale è vano segno il piegare di un ginocchio. Da quell'ora del Cenacolo cominciarono i secoli del Dio dell'Eucaristia; il giro del sole ne illuminò i passi con le sue aurore e i suoi tramonti; le scavate viscere della terra lo accolsero salmodiando; negli eremi, nei cenobii, nelle basiliche, sotto gli aerei pinnacoli s'inchinarono a lui pastori e popoli, principi ed eserciti. Nelle sue conquiste si avanzava coi suoi araldi e sacerdoti oltre í mari e gli oceani, e dall'Oriente all'Occidente, da un polo all'altro il Redentore ormai pianta ogni dì i suoi tabernacoli, perseverando contro l'ingratitudine degli uomini in trovare le sue delizie a stare con essi, solo bramoso di effondere a loro salvezza i tesori delle sue grazie e della sua magnificenza.

A tanta degnazione e generosità divina, se la pietà dei secoli corrispose con le festive annuali commemorazioni dei più mirabili fatti della vita mortale del Salvatore e con l'istituzione di Ordini e Congregazioni religiose che ne prendessero il nome, era per divino consiglio riservato ai tempi moderni e alla Adorazione Perpetua inaugurata dal fiammante zelo del Beato Eymard il mandato di glorificare con culto solenne e continuo, in tale ardore quale non si era visto nei secoli passati, l'umanato Verbo Divino, veramente, realmente, sostanzialmente presente nel Sacramento del suo amore. Dal sacro nascondimento del tabernacolo egli intendeva esaltarlo fra gli splendori dell'altare, non solo per alcune ore e giornate, ma: «omnibus diebus usque ad consummationem saeculi», come Re di ogni secolo, perchè Cristo Signor Nostro mai non cessa di essere quel Dio da terra esaltato sulla croce per trarre a sè l'universo.

E non lo esalta forse il sacerdote sopra il suo capo ogni giorno nell'incruento sacrificio alla vista dei fedeli, perchè lo adorino, lo lodino, lo supplichino di perdono di grazia? Non è la santa Messa il mistico olocausto, in cui il Redentore, Sacerdote e Vittima eterna, si fa presente sul Calvario dell'altare, col suo corpo e col suo sangue sparso, sotto tali segni di morte? Se l'altare è un Golgota, diceva A nostro Beato, esaltiamovi esposto, non tra le tenebre del sole oscurato, ma fra il fulgore trionfale della risurrezione, quasi uscisse risorto dall'ombra del tabernacolo, il divino Vincitore della morte e dell'inferno. Chiniamoci davanti a Lui, adoriamolo, ricorriamo al mite e umile suo Cuore. Da quel nuovo Golgota luminoso, con maggiori lampi di bontà e misericordia trarrà a sé tutte le nazioni e tutte le genti, perchè Egli è venuto affinché gli uomini possedessero la vita e più abbondante la possedessero.

Tale era la missione di Pietro Giuliano Eymard nella Chiesa dí Cristo: sempre di prostrarglisi in adorazione col pensiero, col cuore, con l'opera; sempre di farsi apostolo della presenza di Lui in mezzo a noi e di adunargli intorno al trono eucaristico una coorte di religiosa fedeltà e omaggio. Vi aveva consacrati più che mai gli ultimi due lustri del viver suo fra disinganni e contrasti, fra dolori fatiche; e a cinquantasette anni il campione del Santissimo Sacramento si appressava al premio della corona immortale.

Infaticabile nel promuovere la gloria e il culto della Eucaristia, nell'invitare e raccogliere intorno alla sacra mensa ogni età e condizione di fedeli, nel profondere gli ardori del suo zelo nella predicazione al popolo e nei ritiri religiosi, tornava dagli ultimi suoi viaggi nelle province di Francia e del Belgio con forze fiaccate in Parigi, con l'animo travagliato da interni timori e lotte esterne, ma sotto il cui peso la sua virtù, non che curvarsi o accasciarsi, si risollevava più forte, più che imitabile, ammirabile per eroismo. Ma Parigi non gli restituiva la salute: sola speranza a ridonargli vigore era l'aria montana del paese nativo.

Cedette allora alle affettuose insistenze dei suoi religiosi; mosse per Lione; a Grenoble saliva per l'ultima volta l'altare. Che disse mai in quel celeste convito al suo Gesù? che gli chiese? che gli offrì? A sera giungeva a La Mure, nella casa paterna, sfinito, raggiunto poscia da due confratelli. Eccolo là dov'era nato, dove presso il tabernacolo aveva avuto il primo colloquio col Dio nascosto, dove aveva bevuto l'aura della vivace sua giovinezza; ma quell'aura non era più per ristorarlo, bensì per rasciugargli sul viso il sudore del bacio di morte. Il suo umile giaciglio diveniva seggio di pazienza inalterabile e di affetto, di consiglio e di sorriso, di benedizione e di preghiera, di calma e di dolcezza. Presso all'ora suprema il Divino Amante e Amico venne ancora a confortare il suo diletto adoratore e apostolo; entro la nube eucaristica gli si posò nel petto, cibo di una vita che non viene meno e si eterna nel gaudio del celeste amore.

Ammiriamo, veneriamo, o onorandi e devoti sacerdoti e ministri di Dio, questo eroico antesignano degli adoratori di Cristo vivente con noi sui sacri altari. Egli ci mostrò quanto possa in un sacerdote la viva e verace fede e devozione verso il Sacramento più augusto di tutti i nostri religiosi vincoli con Dio; ci mostrò come è dato formare i veri adoratori che adorino il Padre in spirito e verità e siano apostoli della dilatazione del suo regno nel mondo delle anime.


Questa è la voce del Beato Eymard; questo il suo sopravvivente apostolato, quasi dicesse col Salmista: «Congregate ilei sanctos eius qui ordinant testamentum eius super sacrificia» (3). Radunategli intorno tutti i suoi santi, che eseguiscono la sua alleanza per mezzo di sacrifici. Chi sono mai questi santi? Non siamo noi, o sacerdoti, noi consacrati, non ad offrire a Dio svenati agnelli e tori, ma a rinnovare l'incruento sacrificio della Vittima divina, unica ed eterna? Non è il calice del suo sangue l'alleanza del nuovo ed eterno testamento? E questo Congresso sacerdotale non è forse il convegno dei santi che eseguiscono e sanciscono col sacrificio, ineffabile al pari del mistero della fede, l'alleanza di Cristo col nuovo suo popolo eletto? In questa solenne assemblea di sacerdoti adoratori Noi vediamo gli eredi dello spirito di Pietro Giuliano Eymard, anelanti a santificare se stessi per trasfondere la santità nelle anime altrui.
 
Dal cielo egli ci contempla e ci segue per quella via, dove chi è giusto più si giustifica e chi è santo più si santifica. Quest'albero dell'adorazione, che oggi stende i suoi rami e le sue fronde a tante regioni del mondo, non fu forse da lui piantato in germe? I suoi figli lo innaffiarono; Dio gli diede l'incremento. E quale incremento! Mirate, numerate le multiformi opere eucaristiche, le case dell'Istituto del SS.mo Sacramento diffuse per il mondo, sparse per l'Europa e per le Americhe, rammentate i trionfi dei Congressi eucaristici universali, nazionali e diocesani: in essi è la culla dell'Associazione dei sacerdoti adoratori. Perchè è pur vero che anche per la vittoria del regno di Cristo nel mondo il congregarsi nel nome di Lui, com'è un invito al Re del cielo, così vince la divina volontà, la quale vuol esser vinta con quella violenza ch'è sorriso di divino favore. Quanto sono belli i tuoi padiglioni, o Chiesa di Cristo! Quanto amabili i tuoi tabernacoli, o Gesù! Sono come valli boscose, come giardini bagnati da ruscelli, come cedri in riva alle acque! (4). Sono il rifugio sicuro del sacerdote, il ricovero delle anime estatiche nell'amore e nel dolore, la rocca donde escono i campioni della verità e della virtù a combattere le battaglie di Dio in questa valle di lacrime e di miserie contro i figli delle tenebre, contro gli erranti e gli empi, contro gli ignari e i nemici di Cristo e della sua Chiesa.

Oh lasciate che Noi scorriamo questi campi di sacre lotte e vittorie, che raccogliamo da ogni regione di qua e di là dagli oceani i gloriosi labari e allori dei Congressi eucaristici, delle devote assemblee e adunate sacerdotali, delle schiere degli adoratori e delle adoratrici, delle legioni dei fanciulli così cari al Dio d'amore, e insieme con le corone e i serti della vostra pietà e del vostro zelo, o diletti sacerdoti adoratori, tutti li deponiamo dinanzi alla fulgida immagine del Beato Eymard, in riconoscimento e ringraziamento di quell'ardore e ardimento di missione eucaristica, onde, fattosi apostolo di quel Cristo che sempre è con noi tutti i giorni fino alla consumazione dei secoli, ci lasciava altissimo esempio e sprone come dal sacro tabernacolo possiamo attingere assiduo e forte vigore di preghiera, d'azione e di sacrificio, che ci renda, a pro del popolo e dell'anime traviate o noncuranti del Redentore, divina luce del mondo e sale della terra, e come servi buoni e fedeli alfine ci innalzi avanti a Dio nel gaudio della visione eterna del dischiuso mistero della fede che passa ogni velo.

Con questo augurio e con questo auspicio impartiamo con effusione di cuore a tutti e ognuno di voi, Venerabili Fratelli e diletti Figli, come pegno delle più abbondanti grazie celesti per le vostre opere di zelo a gloria del Re eucaristico, l'Apostolica Benedizione.


NOTE

(1) Apoc., I, S, 17-18.
(2) I Cor., XI, 26.
(3) Ps., XLIX, 6.
(4) Num., XXIV, 5

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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14/06/2009 12:26
 
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PIO XII
SACERDOZIO E GOVERNO PASTORALE
Discorso sul Sacerdozio e il governo pastorale rivolto da PIO XII il 2 novembre 1954 agli Em.mi Cardinali e agli Ecc.mi Vescovi convenuti a Roma per i solenni riti in onore di Maria Regina.



Anno Sacerdotale

Traduzone del testo originale latino (AAS, XLVI, 666-677) a cura di una monaca dei Carmelo S. Giuseppe di Moncalieri (Torino). Un grazie al sito:
HAERENT ANIMO



«Magnificate con me il Signore ed esaltiamo insieme il suo nome» (1), poiché mentre per un nuovo favore divino si compiono i Nostri voti, abbiamo la gioia di vedere oggi, Diletti Figli Nostri e Venerabili Fratelli, la vostra graditissima presenza e di contemplare la vostra imponentissima assemblea. Il motivo stesso della nuova festa liturgica della Madre di Dio, Maria, Regina del cielo e della terra, che abbiamo da poco solennemente decretata, accresce questa Nostra gioia, poiché è convenientissimo che i figli manifestino il loro gaudio al vedere accresciuta la gloria della Madre.

Che se la Beatissima Vergine Maria è Regina di tutti, a titolo speciale e in maniera più stretta Essa presiede alle vostre persone, ai vostri disegni e alle vostre iniziative poiché si è soliti invocarla con lo speciale, augusto e onorifico titolo di Regina degli Apostoli. Essa infatti che è la madre del bell'amore, del timore, della scienza e della santa speranza (2), che cosa maggiormente desidera, o meglio procura se non che il verace culto del vero Dio metta nelle anime sempre più profonde radici, la carità sia sempre più ardente, il casto timore di Dio sostenga i propositi, e la speranza sicura delle immortali promesse consoli il mesto esilio terreno? Tutto questo viene offerto agli uomini dall'industriosa attività del vostro ministero apostolico affinché conducendo nella sobrietà, nella giustizia e nella pietà una vita che finirà, raggiungano nel cielo una felicità che non conosce tramonto.

Sotto la guida dunque e l'auspicio di Maria, Madre sempre Vergine e Signora nostra, intendiamo ora parlarvi di alcune cose che con ferma fiducia riteniamo utili a voi e al diligente lavoro con cui coltivate il campo di Dio.

All'inizio del giugno scorso, ai Sacri Pastori che da ogni parte della terra erano venuti in gran numero a Roma per rendere omaggio di venerazione e di pietà al Sommo Pontefice Pio X, cui Noi decretammo allora gli onori dei Santi, tenemmo un'allocuzione sul magistero che per divina istituzione e prerogativa spetta ai successori degli Apostoli sotto l'autorità del Romano Pontefice. Ora, quasi a continuare un discorso già cominciato, valendoci di questa occasione, Ci piace parlarvi degli altri due uffici, cioè del Sacerdozio e del governo che, intimamente congiunti col primo, spettano a voi e reclamano il vostro premuroso intervento.

Volgiamo di nuovo la nostra mente e il nostro pensiero al Sommo Pontefice S. Pio X.
Dalla sua biografia sappiamo che cosa fosse per lui, durante tutta la sua vita sacerdotale, l'altare e il Sacrificio Eucaristico, dal giorno in cui offri al sommo Iddio le primizie del Sacerdozio, quando, sacerdote novello, pronunziò commosso ai gradini dell'altare per la prima volta le parole «Introibo ad altare Dei»; quando divenne parroco, quando fu costituito Direttore spirituale in Seminario, quando fu consacrato Vescovo e nominato Patriarca e Cardinale e finalmente quando fu eletto Sommo Pontefice
.

L'altare e il Sacrificio Eucaristico furono per lui il fine e come il centro della sua pietà, rifugio e fortezza d'animo nelle fatiche e nelle angustie, fonte di luce, di vigore, di zelo assiduo per la gloria di Dio e la salvezza delle anime. Questo Pontefice, come fu ed è un modello di Maestro, cosi fu ed è un modello di Sacerdote.
Officio proprio e principale del Sacerdote fu sempre ed è quello di sacrificare, in modo tale che, ove manchi un vero e proprio potere di sacrificare, non si può parlare di sacerdozio vero e proprio.

Questo stesso si verifica nella maniera più perfetta nel sacerdote della Nuova Legge, la cui precipua potestà e funzione propria è quella di offrire l'unico ed altissimo sacrificio del Sommo ed Eterno Sacerdote, Cristo Signore, quel sacrificio cioè che il Divin Redentore in maniera cruenta offrì sulla croce e, senza spargimento di sangue, anticipò nell'ultima cena e volle incessantemente ripetuto, comandando ai suoi Apostoli: «Fate questo in memoria di me» (3). Lo stesso Cristo dunque fece e costituì sacerdoti gli Apostoli, e non tutti i fedeli in genere, dando ad essi il potere sacrificale. Di questo eccelso ufficio e funzione sacrificale del Nuovo Testamento, il Concilio di Trento ebbe ad insegnate: «In questo divin sacrificio, che si compie nella Messa, è contenuto e si immola incruentemente quello stesso Cristo che si offrì cruentemente una sola volta sull'altare della croce... Unica e medesima è la vittima; chi ora offre per mezzo del sacerdote, è il medesimo che si offrì allora sulla croce; diverso solamente è il modo dell'offerta» (4).

Perciò è il sacerdote celebrante, e solamente lui, che, rappresentando Cristo, compie il sacrificio; non il popolo, non i chierici e nemmeno i sacerdoti che con religiosa pietà assistono il celebrante, sebbene tutti costoro possano partecipare e partecipino in qualche modo attivamente al sacrificio. «La partecipazione dei fedeli al Sacrificio Eucaristico - così ammonivamo nella Nostra Enciclica Mediator Dei" - non implica altresì un potere sacerdotale».

Sappiamo che queste cose sono a voi ben note, Venerabili Fratelli; nondimeno abbiamo ritenuto necessario ricordarle poiché sono quasi il fondamento e la premessa di quanto subito diremo. Non mancano infatti coloro che non lasciano di rivendicare un potere sacrificale nel Sacrificio della Messa a tutti coloro che vi assistono piamente. Contro costoro è necessario che, senza alcuna ambiguità, distinguiamo la verità dall'errore. Già sette anni fa, nella stessa Enciclica abbiamo riprovato l'errore di coloro i quali non esitano a dichiarare che il precetto di Cristo:«Fate questo in mia memoria» si riferisce direttamente a tutta la Chiesa dei fedeli, e che soltanto in seguito vi è subentrato il sacerdozio gerarchico. Perciò il popolo gode di un vero potere sacerdotale, mentre il sacerdote agisce per delega della comunità. Essi ritengono in conseguenza, che il Sacrificio Eucaristico è una vera e propria concelebrazione e pensano essere più conveniente che i sacerdoti presenti concelebrino piuttosto che offrano privatamente il Sacrificio.

Nella stessa occasione ricordammo in che senso si può dire che il sacerdote celebrante «fa le veci del popolo», per il fatto cioè che rappresenta Nostro Signore Gesù Cristo in quanto è capo di tutte le membra e per esse offre se stesso; perciò (il sacerdote) va all'altare come ministro di Cristo, inferiore a Lui, ma superiore al popolo. Mentre il popolo, non rappresentando in alcun modo il Divin Redentore e non essendo mediatore tra sé e Dio non può assolutamente fruire di diritti sacerdotali.

Nell'esame di questo problema non si tratta soltanto di misurare il frutto che si può ricavare dalla celebrazione o dall'assistenza al Sacrificio Eucaristico: può certamente avvenire che uno ricavi più frutto con l'assistere piamente e con devozione a una Messa, che coi celebrarla con leggerezza e negligenza. Ma si tratta di stabilire la natura dell'atto che si pone nell'assistere alla Messa e nella sua celebrazione, da cui derivano gli altri frutti del sacrificio e cioè - per non parlare ora del culto divino di adorazione e ringraziamento - il frutto propiziatorio e impetratorio in favore di coloro per cui si offre il sacrificio, anche se essi non vi assistono; così pure il frutto «per i peccati, le pene, le soddisfazioni e le altre necessità dei vivi come anche per i defunti in Cristo, non ancora del tutto purificati» (5).

Sotto questo aspetto, si deve respingere come errore l'asserzione che oggigiorno fanno e vanno spargendo, non solo laici, ma talvolta anche alcuni teologi e sacerdoti. Dicono costoro che la celebrazione di una sola Messa, a cui assistono con religiosa devozione cento sacerdoti, è la stessa cosa che cento Messe celebrate da cento sacerdoti. Ma non è davvero così. Quando si tratta della oblazione del Sacrificio Eucaristico tante sono le azioni di Cristo, Sommo Sacerdote, quanti sono i sacerdoti celebranti: ma non quanti sono i sacerdoti che ascoltano devotamente la Messa di un Vescovo o di un sacerdote che celebra. Costoro infatti, assistendo al sacrificio, non rappresentano affatto Cristo che compie il sacrificio, né agiscono in suo nome; ma devono equipararsi ai fedeli e laici che assistono alla Messa.

D'altra parte non si deve negare né mettere in dubbio che anche i fedeli hanno un certo sacerdozio; né è lecito disprezzarlo o sottovalutarlo. Il Principe degli Apostoli nella sua prima lettera, parlando ai fedeli usa queste parole: «Ma voi (siete) stirpe eletta, sacerdozio regale, gente santa, popolo di conquista» (6); e poco prima nella medesima lettera afferma che spetta ai fedeli «un sacerdozio santo, per offrire vittime spirituali, gradite a Dio per mezzo di Gesù Cristo» (7).

Ma qualunque sia il vero e pieno senso di questo titolo onorifico e della cosa stessa, bisogna tuttavia ritenere fermamente, che questo comune sacerdozio di tutti i fedeli, per quanto alto ed arcano, differisce non solo di grado, ma anche essenzialmente dal vero e proprio sacerdozio, che consiste nel potere di operare il sacrificio dello stesso Cristo, impersonando appunto Cristo Sommo Sacerdote.

Con piacere abbiamo notato che in molte Diocesi sono sorti speciali Istituti di Liturgia, si sono costituite associazioni liturgiche, si sono nominati direttori del movimento liturgico, si sono tenuti Congressi Liturgici diocesani e internazionali, e si sono svolti o si preparano Congressi internazionali. Con molta soddisfazione abbiamo sentito che in questa o quella diocesi gli stessi Vescovi erano presenti o presiedevano a tali congressi. Queste assemblee talora seguono una loro propria regola, cioè, che uno solo celebra la Messa, mentre gli altri (o tutti o la maggioranza) assistono a quell'unica Messa e durante quella ricevono la sacra Comunione dalle mani del celebrante.

Questa pratica, se si segue per una causa giusta e ragionevole, e il Vescovo, ad evitare la meraviglia dei fedeli non ha determinato nulla in contrario, non è da riprovare, purché sotto questo modo di procedere non si nasconda l'errore da Noi sopra ricordato. Quanto poi ai programmi di tali Congressi, si sono discussi argomenti circa la storia, la teoria o la pratica; si trassero delle conclusioni e si formularono dei voti, che parvero necessari o convenienti ad un maggior progresso, da sottomettersi tuttavia al giudizio della legittima autorità ecclesiastica. Questo movimento liturgico non si limitò alla celebrazione dei Congressi; ma nello stesso tempo le applicazioni pratiche andavano di continuo aumentando e crescendo, sicché i fedeli stessi si sentono spinti ad una sempre più frequente, numerosa ed attiva partecipazione ed unione col sacerdote celebrante.

Tuttavia, Venerabili Fratelli, pur favorendo - e giustamente - la pratica e lo sviluppo della sacra Liturgia, non permettete però che i cultori di questa disciplina nelle vostre Diocesi si sottraggano alla vostra direzione e vigilanza e che abbiano a menomare e alterare arbitrariamente la sacra Liturgia in contrasto con le esplicite norme della Chiesa: «Alla sola Sede Apostolica, spetta l'ordinamento della Liturgia e l'approvazione dei libri liturgici» (8), e specialmente circa la celebrazione della Messa: «Riprovata ogni altra consuetudine contraria, il sacerdote celebrante osservi accuratamente e con devozione le rubriche dei propri libri rituali, e stia attento a non aggiungere di proprio arbitrio altre cerimonie e preghiere» (9). E neppure voi a tali iniziative e impulsi, audaci più che prudenti, vogliate concedere la vostra approvazione e permesso.

«Diventati modelli del gregge» (10): queste parole del Beato Pietro riguardano soprattutto il Vescovo, in quanto ha ed esercita l'ufficio di Pastore. Caratteristica del pontificato di Pio X è stata appunto la nota di Pastore. Appena egli fu asceso al fastigio della dignità apostolica, tutti si accorsero che era stato elevato alla cattedra del Principe degli Apostoli un sacerdote, che era cresciuto in cura d'anime, che fin dall'inizio del suo sacerdozio era stato ed aveva continuato ad essere un pastore di anime finché fu designato a pascere l'intero gregge di Cristo. La norma imprescindibile seguita nell'azione, il programma di vita che si era fissato fu la salvezza delle anime. Se desiderò «restaurare tutte le cose in Cristo» ciò fu solo per la salvezza delle anime; a questo scopo, a questo suo ufficio, in certo senso, subordinò tutto il resto. In mezzo al suo gregge fu il buon pastore, premuroso per le sue necessità, preoccupato per i pericoli che lo minacciavano; tutto intento a dirigere e guidare il gregge di Cristo per la via di Cristo.
Ma Noi, mentre ora rivolgiamo la parola a voi, Venerabili Fratelli, pastori dei vostri greggi, non abbiamo intenzione di presentarvi qui di nuovo l'eccelsa immagine e la figura perfetta di questo santo Pontefice e Pastore. Vorremmo piuttosto ricordare - come già abbiamo fatto circa il magistero dei Vescovi e il sacerdozio - alcuni punti che ai nostri giorni soprattutto esigono l'attenzione, la parola e l'opera del sacro pastore.

Anzitutto oggi si fanno notare correnti di pensiero e tendenze che tentano di impedire e limitate la potestà dei Vescovi - non escluso lo stesso Romano Pontefice - precisamente in quanto sono Pastori del gregge loro affidato. Ne coartano l'autorità, la cura e vigilanza entro determinati limiti che riguardano le cose strettamente religiose, la predicazione delle verità della fede, la direzione delle pratiche di pietà, l'amministrazione dei sacramenti e l'esercizio delle funzioni liturgiche. Vogliono allontanare la Chiesa da tutte le iniziative ed affari che toccano, come essi dicono, la «realtà della vita», con il pretesto che queste cose non sono di loro competenza. Questo modo di pensare viene espresso concisamente talora nei pubblici discorsi di alcuni laici cattolici, anche elevati a posti di importanza, quando dicono: «Volentieri noi, i Vescovi e i sacerdoti li vediamo, li ascoltiamo, li avviciniamo nelle chiese, nell'ambito delle loro giurisdizioni; ma sulle piazze e negli edifici pubblici in cui si trattano e si decidono le questioni di questa vita terrena, non li vogliamo vedere, né vogliamo ascoltare la loro voce. In questi posti infatti, siamo noi laici, non il clero, di qualsiasi dignità o grado, i legittimi giudici».

In opposizione a questi errori, si deve ritenere apertamente e fermamente, che il potere della Chiesa in nessuna materia è limitato, come si suol dire, «alle cose strettamente religiose»; ma che tutta la materia della legge naturale, la sua esposizione, interpretazione e applicazione, qualora si consideri il loro aspetto morale, è di competenza della Chiesa. Infatti l'osservanza della legge naturale, per disposizione divina, riguarda la via per la quale l'uomo deve tendere al suo fine soprannaturale. Orbene. su questa via, quanto al fine soprannaturale, è la Chiesa guida e custode degli uomini. Già gli Apostoli e poi sempre lungo i secoli fin dai primi tempi, la Chiesa ha sempre seguito e segue anche oggi questa norma, e non come una guida e consigliere privato, ma per mandato e volontà del Signore. Perciò quando si tratta di prescrizioni o decisioni, che i legittimi Pastori (e cioè il Sommo Pontefice per la Chiesa universale e i Vescovi per i fedeli commessi alle loro cure) emanano in materia di legge naturale, i fedeli non devono richiamarsi all'effato - solito ad usarsi circa pareri privati - «tanto vale l'autorità, quanto valgono gli argomenti».

Quindi perdura l'obbligo di obbedire, anche se a qualcuno una prescrizione ecclesiastica non sembra provata dagli argomenti apportati. Questo fu il pensiero, queste sono le parole di S. Pio X nella sua Enciclica «Singulari quadam» del 24 settembre 1912:
«Il cristiano qualunque cosa faccia, anche nell'ordine naturale, non deve trascurare i beni soprannaturali: anzi come ci impone la sapienza cristiana, deve indirizzare tutto verso il sommo bene, come ad ultimo fine: tutte le sue azioni poi sottostanno al giudizio e alla giurisdizione della Chiesa, in quanto sono buone o cattive sotto l'aspetto morale, cioè in quanto sono conformi al diritto naturale e divino o ne sono difformi». E subito applica questa regola generale al campo sociale: «Il problema sociale e le questioni che ad esso si ricollegano... non sono di natura puramente economica, e quindi tali da potersi risolvere prescindendo dall'autorità della Chiesa. Al contrario la questione sociale è principalmente morale e religiosa e per questo deve essere risolta soprattutto in base alla legge morale e al giudizio della religione».

Vi sono in sociologia, non una, ma molte e gravi questioni, sia puramente sociali, sia Politico-sociali, che toccano l'ordine etico, le coscienze, la salvezza delle anime. Non si può assolutamente dire che tali questioni si trovino sottratte all'autorità e alle cure della Chiesa. Anzi, anche fuori dell'ordine sociale vi sono questioni, non strettamente religiose o di politica, sia nazionale che internazionale, le quali toccano l'ordine etico, premono sulle coscienze, possono esporre e difatti spessissimo espongono, a non leggero pericolo il conseguimento dell'ultimo fine. Così il problema del fine e dei limiti del potere civile; le relazioni dei singoli uomini e la società; i cosiddetti «Stati totalitari» qualunque sia la loro origine e derivazione; la «totale laicizzazione dello Stato» e della vita pubblica; l'aperta laicizzazione della scuola; la natura etica della guerra, la liceità o illiceità delle guerra moderna: la cooperazione ad essa o il rifiuto da parte di un uomo di timorata coscienza; i vincoli e le relazioni etiche tra le Nazioni.
Ora andrebbe contro la verità, anzi contro la stessa retta ragione, chi asserisse che questi punti accennati, e tanti altri del medesimo genere, trascendono l'ordine etico, e perciò oltrepassano, o almeno possono oltrepassare la competenza dell'Autorità stabilita da Dio, per la cura dell'ordine giuridico, la guida e la direzione delle coscienze e delle azioni degli uomini per il retto sentiero al loro ultimo fine.

E tutto questo non in modo nascosto soltanto, tra le pareti del tempio e delle sagrestie, ma anche e molto più parlando all'aperto; «sopra i tetti» come disse Nostro Signore, sullo stesso campo di battaglia, in mezzo all'infuriare della lotta tra la verità e l'errore, tra la virtù e il vizio, tra il mondo e il regno di Dio, tra il principe di questo mondo e Cristo Salvatore del mondo.
Ci rimane da aggiungere ancora alcune parole intorno alla disciplina ecclesiastica. Chierici e laici devono sapere che tanto la Chiesa quanto gli Ordinari del luogo nel proprio territorio entro i limiti del diritto comune, sono autorizzati a imporre ed esigere la disciplina ecclesiastica, a determinare cioè il modo esterno di agire e di comportarsi in ciò che riguarda l'ordine esteriore e non trae origine né dalla natura delle cose né immediatamente da istituzioni divine.
Non è lecito al clero o al laicato sottrarsi a questa disciplina: ma tutti devono usare diligenza affinché, con la perfetta osservanza della disciplina ecclesiastica, l'azione del Pastore divenga più facile e più efficace, l'unione tra il gregge e il Pastore si consolidi; tra le file stesse del gregge regni pacifico accordo e collaborazione, con vicendevole buon esempio ed aiuto.

Purtroppo quanto abbiamo detto del diritto dei Vescovi, come pastori del gregge loro affidato, per tutto quanto riguarda sia la religione, come la morale o la disciplina ecclesiastica, va soggetto ad una certa critica, spesso velata e sorda, e non ottiene quel doveroso e fermo assenso degli animi, anche perché diversi spiriti moderni più orgogliosi, di cui si hanno indizi dove più dove meno, provocano un pericoloso turbamento. La coscienza di aver raggiunta la maggiore età, che di giorno in giorno va più diffondendosi, fa sì che gli animi siano sempre maggiormente agitati da non sappiamo quale febbre. Non pochi uomini e donne del nostro tempo reputano la guida e la vigilanza della Chiesa una cosa indegna del modo di trattare un'età adulta; non solo lo vanno ripetendo, ma ne sono intimamente convinti.

Non vogliono essere «sotto tutori e amministratori» a guisa di minorenni; vogliono essere tenuti e trattati come adulti già "sui iuris" e che sanno da sé stabilire quello che in qualsiasi circostanza debbono fare ed omettere. Non esitano a ripetere: proponga pure la Chiesa i dogmi della sua dottrina, promulghi pure le leggi che regolano la nostra attività. Ma poi quando si tratta di applicare tutto questo alla vita dei singoli e di metterlo in pratica, essa se ne stia fuori senza intromettervisi; lasci che ogni fedele si guidi secondo il giudizio della propria coscienza. E aggiungono che questo è tanto più necessario, in quanto sia la Chiesa che i suoi ministri per lo più ignorano la condizione esatta e precisa delle cose; non hanno, cioè, una visione concreta e sintetica delle circostanze sia interne che esterne all'uomo, nelle quali ciascuno si trova e nelle quali ciascuno deve decidere e pensare a sé. Infatti, tutti costoro non vogliono avere alcun interprete o intermediario, di qualsiasi dignità o nome, tra se stessi e Dio, nelle intime e profonde deliberazioni della loro volontà.

Abbiamo già parlato di queste biasimevoli opinioni due anni fa nelle allocuzioni del 23 marzo e del 18 aprile 1952, e ne abbiamo esaminati gli argomenti. Quanto al peso e valore che si attribuisce ad una raggiunta «maggiore età personale », si asserisce, a ragione, essere giusto e naturale che gli adulti non siano trattati come bambini. S. Paolo Apostolo asserisce di sé: «Quando ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino; ma fatto uomo, ho lasciato i costumi del bambino» (11).

Non esiste certo arte educativa che segua altro sistema o via, né esiste vero Pastore di anime che miri ad altro se non a far crescere i fedeli affidati alle sue cure «fino a uomo perfetto, alla misura di età della pienezza di Cristo» (12). Ma è cosa ben diversa essere adulti, ed avere abbandonati i costumi di bambino, ed altro è essere adulti e perciò non sottostare alla guida e al governo della legittima autorità. Il governatore infatti non è una specie di tutela di minorenni, ma è la guida efficace di adulti verso lo scopo della società civile. Siccome per ora, parliamo a voi, Venerabili Fratelli, e non ai fedeli; quando cominciano a manifestarsi e a crescere in mezzo al vostro gregge tali germi e indizi, richiamate alla mente dei fedeli questi punti:

1) Dio ha stabilito nella Chiesa Pastori di anime non per imporre un peso sulle spalle del gregge, ma per guidare e difendere il gregge.

2) Con la guida e la vigilanza dei pastori viene assicurata la vera libertà dei fedeli; vengono salvaguardati dalla schiavitù di errori e di vizi, sono difesi dalle sollecitudini, provenienti dai cattivi esempi e dalla convivenza forzata con uomini perversi.

3) Perciò i fedeli agiscono contro la prudenza e la carità che devono avere verso se stessi, se rifiutano, per dir così, questa mano di Dio, loro protesa, questo aiuto sicurissimo che loro si offre. Se poi incontrerete anche tra il clero e tra i sacerdoti certuni imbevuti di queste idee o teorie, presentate loro gli argomenti gravissimi del Nostro Predecessore, Benedetto XV, che così si esprimeva: «C'è un punto che non può essere passato sotto silenzio, vogliamo, cioè, ammonire come figli a Noi sommamente diletti tutti i sacerdoti, quanto sia necessario per la salvezza loro propria e per il frutto del loro sacro ministero, che essi siano quanto mai uniti ognuno con il proprio Vescovo, e rispettosissimi. Purtroppo, come abbiamo più sopra deplorato, non tutti i ministri dell'altare sono immuni dall'alterigia e caparbietà dei nostri tempi; e non è raro che Pastori della Chiesa trovino dispiacere o ostilità proprio là donde avrebbero dovuto aspettarsi aiuto e consolazione» (13).

Abbiamo finora trattato di qualche punto della cura pastorale e delle persone verso cui il ministero pastorale si dirige; non è giusto che finiamo senza rivolgere almeno qualche Nostro pensiero agli stessi Pastori. A Noi ed a Voi Pastori, si devono applicare quelle santissime parole dell'Eterno Pastore: «Io sono il buon Pastore, io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano molto abbondantemente » (14). A Pietro il Signore disse: «Se mi ami, pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle» (15). A questi pastori buoni, Cristo oppone il mercenario, che cerca sé e i propri vantaggi e non è pronto a dare la vita per il gregge; oppone gli Scribi e i Farisei, che avidi di regno e di dominio e desiderosi della propria gloria, occupavano la cattedra di Mosè, legavano pesi gravi e insopportabili e li caricavano sulle spalle degli uomini. Cristo invece, disse del suo giogo: «Prendete sopra di voi il mio giogo! il mio giogo infatti è soave e il mio peso è leggero» (16).

All'efficacia e al frutto del ministero pastorale contribuiscono molto i frequenti e mutui contatti tra i Vescovi. Così uno è di aiuto all'altro con l'esperienza e la pratica degli affari; si ottiene una maggiore uniformità di governo, evitandosi così la meraviglia dei fedeli, che non possono rendersi conto come mai in una diocesi si faccia in un modo, e in un'altra, forse vicinissima alla prima, si faccia diversamente e talora anzi in modo del tutto contrario. Sono utilissime a questo scopo le Conferenze Episcopali, che ormai sono già in uso quasi in ogni luogo e da celebrarsi in forma più solenne, i Concili Provinciali e Plenari, prescritti e regolati da determinate norme nel Codice di Diritto Canonico. A questa unione e a questi vicendevoli scambi fra i Fratelli di Episcopato, deve aggiungersi l'unione e la comunicazione viva e frequente con questa Sede Apostolica. Dai primissimi tempi del cristianesimo vige quest'uso di ricorrere alla Santa Sede, non solo in cose di dottrina e di fede, ma anche per quanto riguarda il governo e la disciplina. Le fonti storiche antiche ne offrono non poche prove ed esempi.

E i Romani Pontefici, quando erano interpellati, non rispondevano come teologi privati, ma in forza della loro autorità, con la consapevolezza del potere ricevuto da Cristo Signore per reggere tutto il gregge e qualsiasi sua parte. Il medesimo si deduce dai fatti e dai casi in cui i Romani Pontefici, senza esserne interpellati, intervennero a decidere questioni che erano sorte, o avocarono a sé la soluzione di dubbi. Questa unione e debita comunicazione con la Santa Sede non nasce da una certa ambizione di tutto concentrate e unificare, ma dal diritto divino e da un elemento proprio della stessa costituzione della Chiesa di Cristo. E questo non verrà a nuocere, ma anzi ad aiutare i Vescovi, cui è stato affidato il governo di parti speciali di gregge. Dal contatto con la Sede Apostolica, infatti, seguirà luce e sicurezza nei dubbi; consiglio e forza nelle difficoltà, aiuto nelle fatiche, conforto e sollievo ne le tribolazioni. D'altra parte, per mezzo d le relazioni dei Vescovi alla Santa Sede, questa verrà a conoscere meglio e più presto la condizione del gregge intero, saprà meglio e più presto quali pericoli incombono e quali rimedi si possono applicare.

Venerabili Fratelli, Cristo, il giorno antecedente alla sua passione, pregò il Padre per gli Apostoli e nello stesso tempo per tutti i successori nel loro ministero apostolico.
«Padre Santo, conserva nel tuo nome coloro che tu mi hai dato, affinché siano una cosa sola come siamo noi. Come tu hai mandato me nel mondo, così anch'io ho mandato loro nel mondo. L'amore con il quale mi hai amato sia in essi ed io in loro» (17).

Così quindi Noi, seniore con Voi, Vicario in terra dell'Eterno Pastore, a Voi, Fratelli Nostri, seniori, e Pastori dei vostri greggi, abbiamo parlato presso il sepolcro del Principe degli Apostoli e del santo Pontefice Pio X; e ora al termine del Nostro discorso rivolgiamo nuovamente il pensiero del Nostro animo riconoscente alla Messa «Si diligis», da cui abbiamo esordito. Nel Prefazio di tale Messa noi preghiamo: «O Pastore Eterno, non abbandonare il tuo gregge, ma custodiscilo, e proteggilo continuamente per intercessione dei tuoi Santi Apostoli; affinché sia governato dai medesimi Capi, Tuoi Vicari, che tu stesso hai costituito come Pastori».

Nella seconda orazione dopo la Comunione si aggiunge: «Moltiplica, o Signore, te ne preghiamo, nella tua Chiesa, lo spirito di grazia che ci hai donato, affinché, per l'intercessione del Beato Pio, Sommo Pontefice, non venga a mancare né al Pastore l'obbedienza del gregge, né al gregge l'assistenza del Pastore ».


E questo voglia Iddio concedere a tutti Voi, nella misura della sua divina liberalità.


NOTE

1) Ps., 33, 4,
2) Eccli., 24, 24.
3) Luc., 22, 19.
4) Sess. XXII, cap. 2.
5) Canc. Trid., Sess. XXII, cap. 2.
6) 1 Petr., 2, 9.
7) 1 Petr., 2, S.
8) C.LC., can. 1257.
9) C.LC., can. 818.
10) 1 Petr., 5, 7.
11) 1 Cor., 13, 11.
12) Ef., 4, 13.
13) Litt. Enc. Ad Beatissimi Apostolorum Principis, 1° nov 1914.
14) Giov., 10, 11.
15) Giov., 21, 15-17.
16) Matt., 11, 29-30.
17) Giov., 17, 1 e ss.


[Modificato da Caterina63 14/06/2009 12:37]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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