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LA FORMAZIONE DEI PRETI

Ultimo Aggiornamento: 23/04/2012 21:40
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22/08/2009 16:35
 
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Il Papa: la formazione dei preti, chiave della nuova evangelizzazione


In occasione dell'Udienza generale del mercoledì


CASTEL GANDOLFO, mercoledì, 19 agosto 2009 (ZENIT.org).- La santità e una formazione permanente dei sacerdoti costituiscono la chiave di volta della nuova evangelizzazione. E' quanto ha sottolineato questo mercoledì Benedetto XVI durante l'Udienza generale tenuta a Castel Gandolfo.

Quest'oggi il Papa ha preso spunto per la sua catechesi dalla figura di San Giovanni Eudes, “apostolo infaticabile della devozione ai Sacri Cuori di Gesù e Maria”, vissuto nella Francia del XVII sec., evidenziando in particolare il suo impegno per la formazione del clero.

L’opera del santo, ha spiegato il Pontefice, si inserisce in particolare nella scia del Concilio di Trento, che “nel 1563, aveva emanato norme per l'erezione dei seminari diocesani e per la formazione dei sacerdoti, in quanto il Concilio era ben consapevole che tutta la crisi della riforma era anche condizionata da un'insufficiente formazione dei sacerdoti, che non erano preparati per il sacerdozio in modo giusto, intellettualmente e spiritualmente, nel cuore e nell'anima”.

Tuttavia, “siccome l'applicazione e la realizzazione delle norme tardavano sia in Germania, sia in Francia”, San Giovanni Eudes decise di istituire una Congregazione dedita in maniera specifica alla formazione dei sacerdoti, secondo un cammino che “aveva come fondamento una solida fiducia nell’amore che Dio ha rivelato all’umanità” nei Cuori di Gesù e Maria.

“Voleva richiamare le persone, gli uomini e soprattutto i futuri sacerdoti al cuore, mostrando il cuore sacerdotale di Cristo e il cuore materno di Maria”, ha ricordato il Papa.

Una lezione questa, ha osservato il Pontefice, valida ancora oggi, in cui “si avverte la necessità che i sacerdoti testimonino l’infinita misericordia di Dio con una vita tutta ‘conquistata’ dal Cristo, ed apprendano questo fin dagli anni della loro preparazione nei seminari”.

Il Papa ha quindi ricordato l’Esortazione apostolica “Pastores dabo vobis” di Giovanni Paolo II che ha aggiornato le norme del Concilio tridentino sulla formazione del clero, sottolineando “soprattutto la necessaria continuità tra il momento iniziale e quello permanente della formazione”.

“Questo per noi – ha detto Benedetto XVI – è un vero punto di partenza per un’autentica riforma della vita e dell’apostolato dei sacerdoti, ed è anche il punto nodale affinché la ‘nuova evangelizzazione’ non sia semplicemente solo uno slogan attraente, ma si traduca in realtà”.

Le fondamenta poste nella formazione seminaristica – ha rilevato Benedetto XVI – costituiscono quell’insostituibile ‘humus spirituale’ nel quale ‘imparare Cristo’, lasciandosi progressivamente configurare a Lui, unico Sommo Sacerdote e Buon Pastore”.

“Il tempo del seminario va visto pertanto – ha aggiunto – come l’attualizzazione del momento in cui Gesù, dopo aver chiamato gli apostoli e prima di mandarli a predicare, chiede loro di stare con Lui”.

Il Papa ha infine invitato i fedeli a pregare in quest’Anno Sacerdotale “per quanti si preparano a ricevere il dono straordinario del sacerdozio”.

Donatevi a Gesù – ha detto poi rivolgendosi ai presbiteri con le parole di San Giovanni Eudes – , per entrare nell’immensità del suo grande Cuore, che contiene il Cuore della sua Santa Madre e di tutti i santi, e per perdervi in questo abisso di amore, di carità, di misericordia, di umiltà, di purezza, di pazienza, di sottomissione e di santità”.

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23/08/2009 11:29
 
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All'udienza generale del 19 agosto Benedetto XVI indica nella santità dei preti la chiave della nuova evangelizzazione

Testimoni della misericordia di Dio


La necessità che "i sacerdoti testimonino l'infinita misericordia di Dio con una vita tutta conquistata dal Cristo" è stata sottolineata dal Papa durante l'udienza generale di mercoledì 19 agosto, a Castel Gandolfo. Benedetto XVI ha dedicato la catechesi a san Giovanni Eudes - vissuto nella Francia del XVIi secolo - ricordando in particolare il suo impegno per la formazione del clero.


Cari fratelli e sorelle!
ricorre oggi la memoria liturgica di san Giovanni Eudes, apostolo infaticabile della devozione ai Sacri Cuori di Gesù e Maria, vissuto in Francia nel secolo XVIi, un secolo segnato da contrapposti fenomeni religiosi e anche da gravi problemi politici. È il tempo della guerra dei Trent'anni, che ha devastato non solo gran parte del Centro Europa, ma ha devastato anche le anime. Mentre si andava diffondendo il disprezzo per la fede cristiana da parte di alcune correnti di pensiero allora dominanti, lo Spirito Santo suscitava un rinnovamento spirituale pieno di fervore, con personalità di alto rilievo come il de Bérulle, san Vincenzo de Paoli, san Luigi M. Grignon de Montfort e san Giovanni Eudes. Questa grande "scuola francese" di santità ebbe tra i suoi frutti anche san Giovanni Maria Vianney. Per un misterioso disegno della Provvidenza, il mio venerato predecessore Pio xi proclamò santi insieme, il 31 maggio 1925, Giovanni Eudes e il Curato d'Ars, offrendo alla Chiesa e al mondo intero due straordinari esempi di santità sacerdotale.

Nel contesto dell'Anno Sacerdotale, mi è caro soffermarmi a sottolineare lo zelo apostolico di san Giovanni Eudes, particolarmente rivolto alla formazione del clero diocesano. I santi sono la vera interpretazione della Sacra Scrittura. I santi hanno verificato, nell'esperienza della vita, la verità del Vangelo; così ci introducono nel conoscere e capire il Vangelo.

Il Concilio di Trento, nel 1563, aveva emanato norme per l'erezione dei seminari diocesani e per la formazione dei sacerdoti, in quanto il Concilio era ben consapevole che tutta la crisi della riforma era anche condizionata da un'insufficiente formazione dei sacerdoti, che non erano preparati per il sacerdozio in modo giusto, intellettualmente e spiritualmente, nel cuore e nell'anima. Questo nel 1563; ma siccome l'applicazione e la realizzazione delle norme tardavano sia in Germania, sia in Francia, san Giovanni Eudes vide le conseguenze di questa mancanza. Mosso dalla lucida consapevolezza del grave bisogno di aiuto spirituale, in cui versavano le anime proprio a causa anche dell'inadeguatezza di gran parte del clero, il santo, che era un parroco, istituì una Congregazione dedita in maniera specifica alla formazione dei sacerdoti. Nella città universitaria di Caen fondò il suo primo seminario, esperienza quanto mai apprezzata, che ben presto si allargò ad altre diocesi.

Il cammino di santità, da lui percorso e proposto ai suoi discepoli, aveva come fondamento una solida fiducia nell'amore che Dio ha rivelato all'umanità nel Cuore sacerdotale di Cristo e nel Cuore materno di Maria. In quel tempo di crudeltà, di perdita di interiorità, egli si rivolse al cuore, per dire al cuore una parola dei Salmi molto ben interpretata da sant'Agostino. Voleva richiamare le persone, gli uomini e soprattutto i futuri sacerdoti al cuore, mostrando il cuore sacerdotale di Cristo e il cuore materno di Maria. Di questo amore del cuore di Cristo e di Maria ogni sacerdote deve essere testimone e apostolo. E qui arriviamo al nostro tempo.

Anche oggi si avverte la necessità che i sacerdoti testimonino l'infinita misericordia di Dio con una vita tutta "conquistata" dal Cristo, ed apprendano questo fin dagli anni della loro preparazione nei seminari. Papa Giovanni Paolo ii, dopo il Sinodo del 1990, ha emanato l'Esortazione apostolica Pastores dabo vobis nella quale riprende e aggiorna le norme del Concilio di Trento e sottolinea soprattutto la necessaria continuità tra il momento iniziale e quello permanente della formazione; questo per lui, per noi è un vero punto di partenza per un'autentica riforma della vita e dell'apostolato dei sacerdoti, ed è anche il punto nodale affinché la "nuova evangelizzazione" non sia semplicemente solo uno slogan attraente, ma si traduca in realtà.

Le fondamenta poste nella formazione seminaristica, costituiscono quell'insostituibile "humus spirituale" nel quale "imparare Cristo", lasciandosi progressivamente configurare a Lui, unico Sommo Sacerdote e Buon Pastore. Il tempo del Seminario va visto pertanto come l'attualizzazione del momento in cui il Signore Gesù, dopo aver chiamato gli apostoli e prima di mandarli a predicare, chiede loro di stare con Lui (cfr. Mc 3, 14). Quando san Marco racconta la vocazione dei dodici apostoli, ci dice che Gesù aveva un duplice scopo:  il primo era che stessero con Lui, il secondo che fossero mandati a predicare. Ma andando sempre con Lui, realmente annunciano Cristo e portano la realtà del Vangelo al mondo.

Durante questo Anno Sacerdotale vi invito a pregare, cari fratelli e sorelle, per i sacerdoti e per quanti si preparano a ricevere il dono straordinario del Sacerdozio ministeriale. A tutti rivolgo, e così concludo, l'esortazione di san Giovanni Eudes, che dice così ai sacerdoti:  "Donatevi a Gesù, per entrare nell'immensità del suo grande Cuore, che contiene il Cuore della sua Santa Madre e di tutti i santi, e per perdervi in questo abisso di amore, di carità, di misericordia, di umiltà, di purezza, di pazienza, di sottomissione e di santità" (Coeur admirable, iii, 2).

In questo senso cantiamo adesso insieme il Padre Nostro in latino.


(©L'Osservatore Romano - 14/21 agosto 2009)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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16/09/2009 08:11
 
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martedì 15 settembre 2009

La (buona) formazione del clero di Albenga-Imperia


Giovedì 16 settembre alle ore 10 nel corso dell'annuale raduno del clero (16-18 settembre), i sacerdoti di Albenga-Imperia ascolteranno un intervento dal titolo "La divina liturgia", relatore don Nicola Bux (consultore dell’Ufficio della Celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice) la cui perfetta consonanza con Benedetto XVI è ampiamente nota (cfr. N.Bux, La riforma di Benedetto XVI, Piemme 2008).

Fin qui nulla di strano, se non fosse che in un mondo clericale abituato - ahinoi - a crogiolarsi nell'ermeneutica della rottura e a vivere "etsi Petrus non daretur", l'ennesima iniziativa meritoria di Mons. Mario Oliveri fa notizia, in quanto (purtroppo) abbastanza inusuale. Lo segnaliamo per ringraziare questo vescovo devoto e coraggioso e con la speranza che tante altre diocesi seguano il suo esempio e manifestino lo stesso amore per la liturgia e la stessa cura nella formazione del clero.

Mario reverendissimo episcopo
et omni clero ei commisso
pax, vita et salus perpetua!






Fraternamente CaterinaLD

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26/09/2009 13:41
 
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ATTENZIONE.....COMUNICATO PER TUTTI I SACERDOTI:

ECCO IL sussidio ufficiale della Pontificia Commissione Ecclesia Dei per la Messa antica

RIGUARDA TUTTI, ASCOLTATE LA VOCE UFFICIALE DELLA CHIESA......

SIAMO DOCILI ALL'ASCOLTO DELLA PREGHIERA......ANCHE QUESTO COMUNICATO E' PREGHIERA....



Fraternamente CaterinaLD

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22/10/2009 22:09
 
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Dies academicus a Gerusalemme sul tema “Studio della Teologia e Sacerdozio”


Il prossimo 22 ottobre, nell’auditorium di Terra Sancta College


GERUSALEMME, martedì, 20 ottobre 2009 (ZENIT.org).- Il prossimo 22 ottobre, nell’auditorium di Terra Sancta College a Gerusalemme, lo Studium Theologicum Salesianum “Saints Peter and Paul” organizza un solenne dies academicus per riflettere sul tema “Studio della Teologia e Sacerdozio”.

Sarà l’Arcivescovo Rino Fisichella, Rettore della Pontificia Università Lateranense, eccellente teologo, apprezzato in tutto il mondo, a tenere la lectio magistralis. Con questa iniziativa si vuole riflettere sul sacerdozio ministeriale e, in tal modo, accogliere l’invito del Santo Padre che ha voluto che quest’anno fosse dedicato a tale scopo.

La responsabilità di offrire l’insegnamento di una sana teologia ai futuri sacerdoti, in piena armonia con il Magistero del Papa, è un impegno che lo Studium Theologicum Salesianum ha assunto sin dall’inizio della sua presenza a Gerusalemme, cinque anni fa, ha spiegato don Roberto Spataro, Preside dell’istituzione.

Il Cardinale Raffaele Farina, Archivista e Bibliotecario di Santa Romana Chiesa, ha inviato un caloroso messaggio per esprimere il suo apprezzamento per l'iniziativa.

A partire dal 2004 fino all’anno accademico attuale, più di 100 studenti, appartenenti a varie Congregazioni religiose e provenienti dai cinque continenti, hanno frequentato i loro studi di teologia presso lo Studium Theologicum Salesianum.


 

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03/02/2010 21:30
 
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Il Cardinale Rodé annuncia due nuovi documenti sulla vita consacrata


Riguarderanno i fratelli laici, la preghiera e la formazione liturgica dei religiosi e delle religiose


ROMA, martedì, 2 febbraio 2010 (ZENIT.org).- La Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica sta preparando un documento sui fratelli laici – che dovrebbe uscire già per l’autunno prossimo - e uno rigurdante la preghiera e la formazione liturgica dei religiosi e delle religiose.

E' quanto ha anticipato ai microfoni della Radio Vaticana il Cardinale Franc Rodé, Prefetto del Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica.

“Costatiamo che negli ultimi decenni il numero dei fratelli laici è calato molto – ha spiegato il porporato –: i fratelli delle scuole cristiane – ad esempio - erano 16 mila nel ’65; oggi non arrivano a 5 mila”.

Un problema, secondo il porporato, che riguarda tutte le Congregazioni di fratelli e anche le Congregazioni miste di sacerdoti e fratelli: “il numero dei fratelli è calato molto di più rispetto al numero dei sacerdoti”.

“Noi pensiamo – ha continuato – che una delle ragioni del calo di queste vocazioni di fratelli laici sia dovuta proprio ad una certa mancanza di attenzione da parte della Chiesa a questa figura di cristiano consacrato del fratello laico: né il Vaticano II, né i documenti post-conciliari hanno infatti ribadito l’importanza di questa vocazione”.

“Ci sono delle allusioni qua e là, ma non c’è niente di più – ha aggiunto –. Noi vogliamo fare un documento dedicato specificatamente a questa figura del fratello laico, che è una figura autonoma, una figura che ha un senso in se stessa, che ha un’identità propria”.

“Un fratello laico non è – come si pensa spesso e come la gente crede – qualcuno che non ha potuto, non ha voluto o non poteva per qualche ragione diventare prete – ha affermato il Cardinale Franc Rodé –. Si tratta di una vocazione che ha una logica in se stessa, che ha una missione particolare nella Chiesa: e la storia lo prova ampiamente”.

A questo proposito il porporato ha menzionato il ruolo svolto dalle Congregazioni dei fratelli nella formazione e nell’educazione dei giovani, o come modello di santità (molti di loro sono stati canonizzati).

La Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica è inoltre impegnata in una riflessione sull’importanza della preghiera che, secondo il Cardinal Rodé, “presenta oggi delle difficoltà, che forse in un tempo passato, in un tempo in cui il ritmo della vita era un po’ più umano e non c’era tanto stress, non c’era tanto rumore” non presentava.

“Oggi in un mondo così movimentato come il nostro, la preghiera diventa certamente più difficile – ha detto –. Noi dobbiamo mettere l’accento sulla assoluta necessità della preghiera nella vita spirituale di un consacrato e di una consacrata. Questo vogliamo cercare di farlo con la realizzazione di un documento che stiamo preparando”.

“C’è poi anche un altro punto di vista – ha proseguito –: il Cardinale Cañizares, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, ha avuto l’idea – che mi ha proposto – di fare un documento interdicasteriale, con una prima parte affidata al nostro dicastero ed una seconda curata dal dicastero per il Culto Divino, sulla formazione liturgica dei religiosi e delle religiose”.

Al riguardo il Cardinal Rodé ha lamentato da una parte “una certa 'ignoranza', una certa mancanza di conoscenza e di formazione liturgica nei giovani religiosi e religiose”, e dall'altra “anche delle fantasie liturgiche che non sono sempre di buon gusto e che non corrispondono al desiderio e alla volontà della Chiesa e allo spirito stesso della Liturgia”.

“Questa parte sarà compito della Congregazione per il Culto Divino e faremo insieme un documento unico, composto da due parti, quella relativa alla preghiera e quella relativa alla formazione liturgica – ha quindi concluso –. Io penso che ambedue le parti siano necessarie e saranno – mi auguro – di profitto per la vita spirituale dei religiosi e delle religiose”.

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09/02/2010 12:19
 
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Formazione al sacerdozio, tra secolarismo e modelli di Chiesa

di mons. Jean-Louis Bruguès OP, Segretario della Congregazione per l'Educazione Cattolica

(dall' Osservatore Romano del 3 giugno 2009)


È sempre rischioso spiegare una situazione sociale a partire da una sola interpretazione. Tuttavia, alcune chiavi aprono più porte di altre. Da molto tempo sono convinto del fatto che la secolarizzazione sia diventata una parola-chiave per pensare oggi le nostre società, ma anche la nostra Chiesa.

La secolarizzazione rappresenta un processo storico molto antico, poiché è nato in Francia a metà del XVIII secolo, prima di estendersi all'insieme delle società moderne. Tuttavia, la secolarizzazione della società varia molto da un paese all'altro.

In Francia e in Belgio, per esempio, essa tende a bandire i segni dell'appartenenza religiosa dalla sfera pubblica e a riportare la fede nella sfera privata. Si osserva la stessa tendenza, ma meno forte, in Spagna, in Portogallo e in Gran Bretagna. Negli Stati Uniti, invece, la secolarizzazione si armonizza facilmente con l'espressione pubblica delle convinzioni religiose: l'abbiamo visto anche in occasione delle ultime elezioni presidenziali.

Da una decina d'anni a questa parte è emerso tra gli specialisti un dibattito molto interessante. Sembrava, fino ad allora, che si dovesse dare per scontato che la secolarizzazione all'europea costituisse la regola e il modello, mentre quella di tipo americano costituisse l'eccezione. Ora invece sono numerosi coloro i quali - Jürgen Habermas per esempio - pensano che è vero l'opposto e che anche nell'Europa post-moderna le religioni svolgeranno un nuovo ruolo sociale.


RICOMINCIARE DAL CATECHISMO


Qualunque sia la forma che ha assunto, la secolarizzazione ha provocato nei nostri paesi un crollo della cultura cristiana. I giovani che si presentano nei nostri seminari non conoscono più niente o quasi della dottrina cattolica, della storia della Chiesa e dei suoi costumi. Questa incultura generalizzata ci obbliga a effettuare delle revisioni importanti nella pratica seguita fino ad ora. Ne menzionerò due.

Per prima cosa, mi sembra indispensabile prevedere per questi giovani un periodo - un anno o più - di formazione iniziale, di "ricupero", di tipo catechetico e culturale al tempo stesso. I programmi possono essere concepiti in modo diverso, in funzione dei bisogni specifici di ciascun paese. Personalmente, penso a un intero anno dedicato all'assimilazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, che si presenta come un compendio molto completo.

In secondo luogo occorrerebbe rivedere i nostri programmi di formazione. I giovani che entrano in seminario sanno di non sapere. Sono umili e desiderosi di assimilare il messaggio della Chiesa. Si può lavorare con loro veramente bene. La loro mancanza di cultura ha questo di positivo: non si portano più dietro i pregiudizi negativi dei loro fratelli maggiori. È una fortuna. Ci troviamo quindi a costruire su una "tabula rasa". Ecco perché sono a favore di una formazione teologica sintetica, organica e che punta all'essenziale.

Questo implica, da parte degli insegnanti e dei formatori, la rinuncia a una formazione iniziale contrassegnata da uno spirito critico - come era stato il caso della mia generazione, per la quale la scoperta della Bibbia e della dottrina è stata contaminata da uno spirito di critica sistematico - e alla tentazione di una specializzazione troppo precoce: precisamente perché manca a questi giovani il background culturale necessario.

Permettetemi di confidarvi alcune domande che mi sorgono in questo momento. Si ha mille volte ragione di voler dare ai futuri sacerdoti una formazione completa e d'alto livello. Come una madre attenta, la Chiesa desidera il meglio per i suoi futuri sacerdoti. Per questo i corsi si sono moltiplicati, ma al punto di appesantire i programmi in un modo a mio parere esagerato. Avete probabilmente percepito il rischio dello scoraggiamento in molti dei vostri seminaristi. Chiedo: una prospettiva enciclopedica è forse adatta per questi giovani che non hanno ricevuto alcuna formazione cristiana di base? Questa prospettiva non ha forse provocato una frammentazione della formazione, un'accumulazione dei corsi e un'impostazione eccessivamente storicizzante? È davvero necessario, per esempio, dare a dei giovani che non hanno mai imparato il catechismo una formazione approfondita nelle scienze umane, o nelle tecniche di comunicazione?

Consiglierei di scegliere la profondità piuttosto che l'estensione, la sintesi piuttosto che la dispersione nei dettagli, l'architettura piuttosto che la decorazione. Altrettante ragioni mi portano a credere che l'apprendimento della metafisica, per quanto impegnativo, rappresenti la fase preliminare assolutamente indispensabile allo studio della teologia. Quelli che vengono da noi hanno spesso ricevuto una solida formazione scientifica e tecnica - il che è una fortuna - ma la loro mancanza di cultura generale non permette ad essi di entrare con passo deciso nella teologia.


DUE GENERAZIONI, DUE MODELLI DI CHIESA


In numerose occasioni ho parlato delle generazioni: della mia, di quella che mi ha preceduto, delle generazioni future. È questo, per me, il nodo cruciale della presente situazione. Certo, il passaggio da una generazione all'altra ha sempre posto dei problemi d'adattamento, ma quello che viviamo oggi è assolutamente particolare.

Il tema della secolarizzazione dovrebbe aiutarci, anche qui, a comprendere meglio. Essa ha conosciuto un'accelerazione senza precedenti durante gli anni Sessanta. Per gli uomini della mia generazione, e ancor di più per coloro che mi hanno preceduto, spesso nati e cresciuti in un ambiente cristiano, essa ha costituito una scoperta essenziale, la grande avventura della loro esistenza. Sono dunque arrivati a interpretare l'"apertura al mondo" invocata dal Concilio Vaticano II come una conversione alla secolarizzazione.

Così di fatto abbiamo vissuto, o persino favorito, un'autosecolarizzazione estremamente potente nella maggior parte delle Chiese occidentali.

Gli esempi abbondano. I credenti sono pronti a impegnarsi al servizio della pace, della giustizia e delle cause umanitarie, ma credono alla vita eterna? Le nostre Chiese hanno compiuto un immenso sforzo per rinnovare la catechesi, ma questa stessa catechesi non tende a trascurare le realtà ultime? Le nostre Chiese si sono imbarcate nella maggior parte dei dibattiti etici del momento, sollecitate dall'opinione pubblica, ma quanto parlano del peccato, della grazia e della vita teologale? Le nostre Chiese hanno dispiegato felicemente dei tesori d'ingegno per far meglio partecipare i fedeli alla liturgia, ma quest'ultima non ha perso in gran parte il senso del sacro? Qualcuno può negare che la nostra generazione, forse senza rendersene conto, ha sognato una "Chiesa di puri", una fede purificata da ogni manifestazione religiosa, mettendo in guardia contro ogni manifestazione di devozione popolare come processioni, pellegrinaggi, eccetera?

L'impatto con la secolarizzazione delle nostre società ha trasformato profondamente le nostre Chiese. Potremmo avanzare l'ipotesi che siamo passati da una Chiesa di "appartenenza", nella quale la fede era data dal gruppo di nascita, a una Chiesa di "convinzione", in cui la fede si definisce come una scelta personale e coraggiosa, spesso in opposizione al gruppo di origine. Questo passaggio è stato accompagnato da variazioni numeriche impressionanti. Le presenze sono diminuite a vista d'occhio nelle chiese, nei corsi di catechesi, ma anche nei seminari. Anni fa il cardinale Lustiger aveva tuttavia dimostrato, cifre alla mano, che in Francia il rapporto fra il numero dei sacerdoti e quello dei praticanti effettivi era restato sempre lo stesso.

I nostri seminaristi, così come i nostri giovani sacerdoti, appartengono anch'essi a questa Chiesa di "convinzione". Non vengono più tanto dalle campagne, quanto piuttosto dalle città, soprattutto delle città universitarie. Sono cresciuti spesso in famiglie divise o "scoppiate", il che lascia in loro tracce di ferite e, talvolta, una sorta d'immaturità affettiva. L'ambiente sociale di appartenenza non li sostiene più: hanno scelto di essere sacerdoti per convinzione e hanno rinunciato, per questo fatto, ad ogni ambizione sociale (quello che dico non vale dovunque; conosco delle comunità africane in cui la famiglia o il villaggio portano ancora delle vocazioni sbocciate nel loro seno). Per questo essi offrono un profilo più determinato, individualità più forti e temperamenti più coraggiosi. A questo titolo, hanno diritto a tutta la nostra stima.

La difficoltà sulla quale vorrei attirare la vostra attenzione supera dunque la cornice di un semplice conflitto generazionale. La mia generazione, insisto, ha identificato l'apertura al mondo col convertirsi alla secolarizzazione, nei confronti della quale ha sperimentato un certo fascino. I più giovani, invece, sono sì nati nella secolarizzazione, che rappresenta il loro ambiente naturale, e l'hanno assimilata col latte della nutrice: ma cercano innanzitutto di prendere le distanze da essa, e rivendicano la loro identità e le loro differenze.


ACCOMODAMENTO COL MONDO O CONTESTAZIONE?


Esiste ormai nelle Chiese europee, e forse anche nella Chiesa americana, una linea di divisione, talora di frattura, tra una corrente di "composizione" e una corrente di "contestazione".

La prima ci porta a osservare che esistono nella secolarizzazione dei valori a forte matrice cristiana, come l'uguaglianza, la libertà, la solidarietà, la responsabilità, e che deve essere possibile venire a patti con tale corrente e individuare dei campi di cooperazione.

La seconda corrente, al contrario, invita a prendere le distanze. Ritiene che le differenze o le opposizioni, soprattutto nel campo etico, diventeranno sempre più marcate. Propone dunque un modello alternativo al modello dominante, e accetta di sostenere il ruolo di una minoranza contestatrice.

La prima corrente è risultata predominante nel dopoconcilio; ha fornito la matrice ideologica delle interpretazioni del Vaticano II che si sono imposte alla fine degli anni Sessanta e nel decennio successivo.

Le cose si sono invertite a partire dagli anni Ottanta, soprattutto - ma non esclusivamente - sotto l'influenza di Giovanni Paolo II. La corrente della "composizione" è invecchiata, ma i suoi adepti detengono ancora delle posizioni chiave nella Chiesa. La corrente del modello alternativo si è rinforzata considerevolmente, ma non è ancora diventata dominante. Così si spiegherebbero le tensioni del momento in numerose Chiese del nostro continente.

Non mi sarebbe difficile illustrare con degli esempi la contrapposizione che ho appena descritto.

Le università cattoliche si distribuiscono oggi secondo questa linea di divisione. Alcune giocano la carta dell'adattamento e della cooperazione con la società secolarizzata, a costo di trovarsi costrette a prendere le distanze in senso critico nei confronti di questo o quell'aspetto della dottrina o della morale cattolica. Altre, d'ispirazione più recente, mettono l'accento sulla confessione della fede e la partecipazione attiva all'evangelizzazione. Lo stesso vale per le scuole cattoliche.

E lo stesso si potrebbe affermare, per ritornare al tema di questo incontro, nei riguardi della fisionomia tipica di coloro che bussano alla porta dei nostri seminari o delle nostre case religiose.

I candidati della prima tendenza sono diventati sempre più rari, con grande dispiacere dei sacerdoti delle generazioni più anziane. I candidati della seconda tendenza sono diventati oggi più numerosi dei primi, ma esitano a varcare la soglia dei nostri seminari, perché spesso non vi trovano ciò che cercano.

Essi sono portatori d'una preoccupazione d'identità (con un certo disprezzo vengono qualificati talvolta come "identitari"): identità cristiana - in che cosa ci dobbiamo distinguere da coloro che non condividono la nostra fede? - e identità del sacerdote, mentre l'identità del monaco e del religioso è più facilmente percepibile.

Come favorire un'armonia tra gli educatori, che appartengono spesso alla prima corrente, e i giovani che si identificano con la seconda? Gli educatori continueranno ad aggrapparsi a criteri d'ammissione e di selezione che risalgono ai loro tempi, ma non corrispondono più alle aspirazioni dei più giovani? Mi è stato raccontato il caso di un seminario francese nel quale le adorazioni del Santissimo Sacramento erano state bandite da una buona ventina d'anni, perché giudicate troppo devozionali: i nuovi seminaristi hanno dovuto battersi per parecchi anni perché fossero ripristinate, mentre alcuni docenti hanno preferito dare le dimissioni davanti a ciò che giudicavano come un "ritorno al passato"; cedendo alle richieste dei più giovani, avevano l'impressione di rinnegare ciò per cui si erano battuti per tutta la vita.

Nella diocesi di cui ero vescovo ho conosciuto difficoltà simili quando dei sacerdoti più anziani - oppure intere comunità parrocchiali - provavano una grande difficoltà a rispondere alle aspirazioni dei giovani sacerdoti che erano stati loro mandati.

Comprendo le difficoltà che incontrate nel vostro ministero di rettori di seminari. Più che il passaggio da una generazione ad un'altra, dovete assicurare armoniosamente il passaggio da un'interpretazione del Concilio Vaticano II ad un'altra, e forse da un modello ecclesiale a un altro. La vostra posizione è delicata, ma è assolutamente essenziale per la Chiesa.



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Un libro di Waldermar Turek sulla spiritualità sacerdotale

Forti nella fede
sull'esempio dei Padri della Chiesa



Sit orator antequam dictor - "Sia prima uomo di preghiera che predicatore". A sant'Agostino, nel De doctrina Christiana, sono sufficienti poche parole per sintetizzare i tratti del sacerdote ideale. Non un uomo insuperbito dalla conoscenza della dottrina o dalla raffinatezza della propria arte oratoria, ma - sostiene - una persona scrupolosa, certamente ben preparata e che, tuttavia, "avvicinandosi l'ora di parlare" e ancora "prima di muovere la lingua" solleva innanzitutto a Dio la propria "anima assetata", in modo che "proferisca quel che ha bevuto e versi ciò che lo riempie". Poiché, nel campo della fede e della carità - osserva il santo vescovo d'Ippona - "molte sono le cose da dire e molti i modi in cui le può dire" e nessuno conosce "rettamente cosa noi dobbiamo dire volta per volta o cosa si aspettano gli uditori di ascoltare da noi, all'infuori di colui che penetra i cuori di tutti".

Pillole di saggezza e di realismo cristiano valide anche per l'oggi, nell'attualità dell'Anno sacerdotale. Briciole di verità accortamente lasciate cadere dalla mensa riccamente imbandita nei primi secoli cristiani dagli antichi maestri di spiritualità. Non solo Agostino, dunque, ma anche altri grandi Padri della Chiesa, da Clemente a Origene, da Ambrogio a Ilario, a Giovanni Crisostomo per citarne solo alcuni.

A raccogliere un po' di queste "briciole" in un'invitante sequenza d'agile lettura è Waldemar Turek, studioso di patristica, sacerdote polacco in servizio presso la Segreteria di Stato, nel volume "Forti nella fede". Riflessioni patristiche sulla spiritualità sacerdotale (Roma, Libreria Editrice Rogate, 2009, pagine 134, euro 11).

Rifuggendo dalla tentazione d'inseguire la strada dei toni accademici, Turek sceglie con questo libro piuttosto la via del suggerimento, dell'accenno sottovoce, delle "briciole" appunto, quasi a voler stimolare l'appetito di un ulteriore approfondimento. Al lettore non viene dunque riservata una trattazione esauriente della spiritualità sacerdotale, ma più semplicemente una specie di vademecum patristico a uso dei presbiteri, ma anche di quei laici desiderosi di un maggior impegno personale e impazienti d'accostarsi agli insegnamenti dei grandi maestri della fede.

Il libro, inserito nella collana di spiritualità "Carità pastorale" che si richiama all'esortazione apostolica Pastores dabo vobis di Giovanni Paolo ii, sofferma l'attenzione su undici autori del periodo patristico. E, principalmente, li distingue attraverso un loro detto che esemplarmente ne sintetizza personalità e santità. Così, se Policarpo di Smirne esorta a essere "forti nella fede" e Clemente Alessandrino ricorda l'importanza dell'incarico di "aiutare il prossimo", Gregorio di Nissa invita a "contemplare il cielo e le bellezze superiori". Seguono per ciascuno degli autori schematiche notazioni biografiche, l'invito alla lettura di alcune pagine e una riflessione spirituale conclusiva che concorre a formare, come in un mosaico ben congeniato, l'immagine del sacerdote e della sua vocazione, quale uomo amato e segnato particolarmente dall'azione gratuita di Dio.

Un uomo chiamato a vincere, con la grazia di Dio, ogni umana resistenza quando questa si adagia entro gli accomodanti orizzonti terreni. Origene, per esempio, con insistenza indica l'impegno missionario del presbitero e avverte che il suo compito principale è quello d'avvicinare i peccatori. Basilio di Cesarea esorta i sacerdoti alla liberazione dalle cattive abitudini e alla preghiera per ricevere l'assistenza divina necessaria per sopportare il peso delle promesse solennemente proclamate. Cipriano di Cartagine esorta i pastori ad avere particolare cura nel guidare il proprio gregge in modo da non perdere nessuna anima e ad avere misericordia verso quanti sono "caduti" (lapsi), specie se questi danno segno di pentimento.

Ambrogio, a sua volta, esalta il valore dell'amicizia perché quando questa è sincera aiuta a vincere la superbia e l'ansia delle ricchezze terrene. Suggerimenti e briciole antiche che in maniera sorprendente parlano ancora a sacerdoti e fedeli del nostro tempo che hanno l'avventura di vivere la fede in un contesto per certi versi certamente non meno facile rispetto a quello dei primi secoli cristiani. (fabrizio contessa)


(©L'Osservatore Romano - 13 febbraio 2010)

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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24/03/2010 21:17
 
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I perché del sacerdozio ministeriale

L'identità
viene prima della funzione


Viene presentato il 24 marzo a Roma il libro Perché sacerdote? Risposte attuali con Benedetto XVI (Cinisello Balsamo, Edizioni San Paolo, 2010, pagine 256, euro 14) del presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum, di cui pubblichiamo quasi per intero l'intervento. Con l'autore, alla presentazione partecipa il senatore italiano Marcello Pera.
 

di Paul Josef Cordes

Già dopo il concilio Vaticano ii era sorta la battuta:  "Il concilio ha schiacciato i sacerdoti fra episcopato e laicato". E tra gli interessati c'è chi da ormai quasi cinquant'anni è tormentato dalla domanda se nella Chiesa effettivamente servono ancora.

Hans Küng nel 1971 scrisse il libro Wozu Priester? Eine Hilfe ("Preti perché? Un aiuto"). Il professore di Tubinga già all'epoca era un autore estremamente attento per quanto riguarda i problemi della Chiesa, e di grande talento nel campo del marketing strategico. Egli era molto abile nel mettere il dito nelle piaghe della Chiesa, certo spesso e volentieri senza curarle. Le sue osservazioni sul presbiterato sono guidate esclusivamente dalla domanda sul suo scopo e ruotano intorno alle attività cui il sacerdote deve dedicarsi. Sin dall'approccio neotestamentario delle sue considerazioni l'autore mira alla definizione di attività quali "apostoli, profeti, insegnanti e vari servizi ausiliari". Egli infine le riassume nel ruolo della guida della comunità, che a sua volta si articola sotto forma di molteplici "funzioni". La pubblicazione fu in grado di offrire un orientamento alla ricerca di identità dei sacerdoti? Seppe essere loro un "aiuto", come promesso dal titolo?

Certo, da una singola pubblicazione teologica non possiamo aspettarci la soluzione di un gravoso problema teologico-pastorale, né tantomeno possiamo imputare all'autore il disorientamento che persiste all'interno della Chiesa. Nonostante questa attenuante dobbiamo tuttavia rimproverare al tentativo di orientamento del professor Küng un errore fondamentale, che all'epoca forse poteva apparire supportato da un consenso diffuso, e che continua a insinuarsi nella definizione dell'identità sacerdotale sino ai nostri giorni:  l'autore formula le proprie risposte all'interno di un sistema di coordinate utilitaristiche. Si indicano impiego e scopo del sacerdote nonché i suoi ambiti operativi. Se ne vuole fissare la missione nella e per la Chiesa, precisamente secondo il sistema della funzionalizzazione.

La funzionalizzazione corrisponde indiscutibilmente a una sensibilità moderna. I suoi argomenti sono popolari, perché facilmente convincenti. Essa però nell'ambito della ricerca di verità teologico-spirituali conduce in un vicolo cieco. In quanto pone la domanda sbagliata.

Robert Spaemann, uno dei maggiori filosofi tedeschi viventi, ha ben delineato il sistema della funzionalizzazione. Dal suo importante saggio Die Frage nach der Bedeutung des Wortes 'Gott' ("La questione del significato della Parola "Dio"", in Einsprüche. Christliche Reden, Einsiedeln 1977, pp. 13-35) ho tratto alcuni spunti e li ho applicati alle riflessioni sull'identità sacerdotale.


La teologia del ministero ordinato viene funzionalizzata non appena l'identità del sacerdote è derivata dallo svolgimento del proprio ufficio ecclesiastico. Naturalmente è innegabile che egli abbia un suo posto nella Chiesa in virtù delle sue mansioni. Dopo tutto, già il titolo dello straordinario decreto vaticano dedicato ai ministri ordinati recita:  "Ministero e vita dei presbiteri". L'impegno del sacerdote è empiricamente verificabile e - per esempio guardando al ruolo della "guida comunitaria" - può essere giustificato e spiegato sociologicamente. La comunità ne ha bisogno per via dei suoi servizi.

Certo, in una prospettiva strettamente funzionale le mansioni del sacerdote sono sempre anche intercambiabili. Di conseguenza fu solo logico che alcune diocesi procedettero alla sostituzione del sacerdote come guida della comunità. Un uomo o una donna non ordinati si assumono la responsabilità per una parrocchia, prendendo eventualmente a servizio un sacerdote ordinato per le mansioni presbiterali. Una simile prassi non è speculazione, essa si consuma per esempio, con il consenso dei vescovi locali, in alcune diocesi svizzere e italiane; anche in Germania almeno una diocesi opera in questo modo. Nei suoi statuti addirittura accorda al  consiglio parrocchiale la compartecipazione nella guida della comunità (simili "concessioni", tra l'altro, sono in contrasto con il Codice di diritto canonico); la guida della comunità, secondo questa nuova concezione, è intesa "sotto responsabilità comunitaria".

Inevitabilmente, in presenza di una simile lettura del ministero pastorale, criterio determinante l'intera missione della Chiesa non sarà l'evangelizzazione, quanto pianificazione e ripartizione settoriale. Non i pastori d'anime, ma consulenti aziendali professionisti sono le figure determinanti per il servizio di salvezza. E quel che è peggio:  è messa in ombra l'identità dei sacerdoti. Giacché le funzioni risultano intercambiabili, si va oscurando la vera natura del presbiterato. Perfino per attività sinora in genere riservate a uomini ordinati - quali presiedere l'Eucaristia, impartire l'assoluzione sacramentale - alcuni rinomati docenti di teologia ultimamente nelle proprie speculazioni propongono figure equivalenti.

Vediamo dunque che, volendo far luce sull'identità sacerdotale, la domanda sugli scopi è fuorviante. Solo chi saprà dare un nuovo orientamento al proprio pensiero troverà una soluzione al problema. Non dobbiamo porre questioni incentrate sulle mansioni, quanto quella sulle origini. Vanno esplorate le radici del ministero sacerdotale nella Rivelazione e nella Chiesa delle origini. Solo conoscendo cosa la rese possibile si potrà dare stabile fondamento all'identità del presbitero. Cosa ha dato origine al sacerdozio? "Perché sacerdote"? Il mio libro intende indagare a fondo l'oggetto "sacerdote", nella convinzione che la sua identità è in ogni caso anteposta allo scopo.

L'indagine di Robert Spaemann ci offre un'ulteriore traccia per la prosecuzione delle nostre riflessioni. Il filosofo pone in rilievo che "un'interpretazione funzionalistica dell'idea di Dio (...), che attribuisce a Dio una funzione, di fatto annulla l'idea di Dio" (p. 19). Quest'affermazione, che qui non possiamo approfondire, vista nel contesto della teologia del ministero, deve destare la nostra attenzione. L'oggetto centrale della questione riguardante l'ufficio ecclesiastico non è certo la realtà di Dio stesso. Tuttavia, la funzionalizzazione dell'ufficio ecclesiastico potrebbe non soltanto arrecare danno all'identità sacerdotale, ma andare a inficiare anche la fede in Dio e nella sua grazia salvifica. Alcuni rimandi - estremamente sintetizzati e isolati - a uno dei "padri" della sociologia moderna possono contribuire a riconoscere con maggiore chiarezza tale pericolo. Prendo quindi a prestito alcuni concetti da Emile Durkheim.

Il sociologo francese studiò l'evoluzione e la struttura dei sistemi di valore umani nonché dell'ordine sociale. Alla filosofia sociale dell'individuo egli contrappose il cosiddetto "anti-individualismo". Egli guardò alla società come a una realtà chiusa, dotata inoltre di una dinamica vitale che si articola indipendentemente da quella degli individui. Attraverso l'esperienza essa giunge alla scoperta della verità e delle norme necessarie. Verità e norme predominano sull'individuo; esse sono i presupposti per la riuscita della vita comunitaria e strutturano la collettività. La società accetta le responsabilità che ne conseguono per "solidarietà sociale". I singoli individui interiorizzano la "coscienza collettiva" come un impegno. Il sociologo Durkheim dunque non ha bisogno di un'autorità attribuita alla collettività dall'esterno né per la conoscenza della verità né per l'ordine sociale.

Si evidenzia nella lettura della realtà di Durkheim una possibile lezione per la Chiesa e i suoi ministri. Ne conseguirebbe senz'altro la possibilità di intendere le funzioni e i ministeri della Chiesa quali effetti, emanazioni, per così dire "prodotti" della Chiesa. Quando venne a costituirsi la comunità dei credenti, essa naturalmente dovette istituire anche i propri ministri. Applicando la chiave interpretativa di Durkheim, questi potrebbero essere sorti dalla coscienza della collettività. Ciò non necessariamente è da intendersi in chiave ateistica.

Ma Dio e il suo piano di salvezza in Gesù Cristo risulterebbero perlomeno tralasciati, se non addirittura irrilevanti per quanto riguarda i ministeri ecclesiastici. Poco dopo il Vaticano ii il grande teologo Henri de Lubac già evidenziò il rischio che la concezione cristocentrica della Chiesa venisse sacrificata in nome di una visione antropocentrica, e che una conseguente autoreferenzialità dei cristiani possa quindi andare a oscurare il radicamento della Chiesa in Gesù Cristo. Tale  ecclesiocentricità  non  è  per nulla diminuita verso la fine del Novecento. In un'ottica funzionale una struttura di servizi e ministeri ecclesiastici rimane certo plausibile. Il funzionalismo tuttavia la interpreterà come  "sistema  autoreferenziale". E la trasparenza del ministero per Dio e la sua grazia è purtroppo dimenticata.

Si tratta dunque di portare nuovamente nelle coscienze il "perché" dei ministeri ordinati. Ne vanno esplorate le radici neotestamentarie, mentre nel mandato apostolico assegnatoci dal Signore e nelle lettere dell'Apostolo delle Genti andranno individuati indizi per l'istituzione del ministero fin dai tempi della Chiesa delle origini. Procedendo in questo modo, il riferimento ontologico del sacerdote a Cristo si rivelerà quale segno distintivo preminente. Inoltre, nella stessa liturgia di consacrazione possiamo riconoscere il significato che la Chiesa attribuisce all'ordinazione:  essa è un sacramento attraverso il quale lo speciale dono dello Spirito Santo si rivela essere il criterio decisivo. Tutte queste forme ed elementi conferiscono al sacerdote una propria posizione all'interno della Chiesa, con qualifiche specifiche e caratteristici impegni, e ne determinano l'identità.

Sostanziale è tuttavia il fatto che il suo segno distintivo non deriva al presbitero dalla comunità. Il ministero sacerdotale ha carattere strettamente teocentrico. In esso continua a vivere l'Eterno Sommo Sacerdote come vero portatore di Salvezza, e soltanto una simile concezione saprà contrastare l'auto-secolarizzazione che si va diffondendo all'interno della Chiesa.


(©L'Osservatore Romano - 25 marzo 2010)
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30/03/2010 18:35
 
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BREVE SINTESI DI FORMAZIONE DELL'APOSTOLO
FORMAZIONE SPIRITUALE
[SM=g1740752]

Chi vuole muovere guerra a Satana e meritare il nome di apostolo si prepari attraverso una lunga formazione spirituale le virtù indispensabili a questo grande ministero. Si disponga ad una umiltà sincera ed abituale perché DIO è geloso delle glorie della sua Grazia e non opera attraverso strumenti vani od orgogliosi. «Considerate la vostra vocazione, o fratelli, come non molti sapienti secondo la carne, non molti potenti, non molti nobili: ma le cose stolte del mondo elesse DIO per confondere i sapienti e le cose deboli del mondo per confondere i forti, e le ignobili cose del mondo e le spregevoli elesse DIO e quelle che non sono, per distruggere quelle che sono; affinché nessuna carne si dia vanto dinanzi a Lui» (1 Cor. I, 26-29).

- Acquisti una confidenza filiale ed illimitata in DIO per mezzo d'una fedele e soda devozione al Divin Cuore di GESÙ, che ci ha promesso il segreto di muovere i cuori più induriti. Si elevi ad un pieno distacco del cuore dal denaro, dalle comodità, dagli applausi.

- Si apra ad una magnanimità che lo sostenga in mezzo alle contraddizioni, ai dolori, alle difficoltà di ogni genere, e lo renda risoluto nel condurre a termine qualsiasi impresa, che abbia conosciuto essere voluta da DIO.

- Si armi di una purezza conscia e decisa a custodirsi nelle imprese più seducenti e nelle molteplici occasioni che si presenteranno durante il ministero.

- Si addestri ad una ossequiosa obbedienza di fede e di amore alla CHIESA, ai PASTORI, ai SUPERIORI, mostrandosi sempre pronto ad ogni cosa senza critiche o diffidenze.

- Soprattutto sia uomo di orazione e di meditazione. Poco valgono i bei discorsi, se non sono usciti dal proprio cuore, frutto di lunghe e sentite meditazioni.

- Dalla meditazione giornaliera l'apostolo attinge luce, conosce il mondo, si assicura l'unione con DIO, nutre la pietà attuale e trova i concetti, le parole, le similitudini, le industrie più efficaci a commuovere ed a persuadere. L'apostolo con la continua orazione ed elevazione a COLUI che lo manda e lo fa parlare, riceve ad ogni istante, ad ogni discorso, come un mendicante, l'elemosina, i lumi, le grazie attuali e l'energia apostolica.

«La principale (anzi l'unica) disposizione di chi vuol dedicarsi all'apostolato, sarà uno spirito retto, ed un fermo e sincero proposito di agire solamente per promuovere la gloria di DIO e la salute delle anime, e mai per fare vana pompa di sé o per diventare famoso, o per riscuotere l'applauso e le acclamazioni della gente, ma per essere con GESÙ CRISTO ed i SS. APOSTOLI caricati d'ingiurie e di offese» (S. Alfonso M. de Liguori).

L'apostolo deve avere un cuore grande, magnanimo e pieno di quella carità che S. PAOLO definisce:

1. PATIENS EST. È paziente. Della pazienza ce ne vuole, più di quella che si prepara. Si pensi di essere mandato come agnello fra i lupi. GESÙ CRISTO ci ha preannunciato persecuzioni, patimenti e morte. Gli apostoli devono avere unione vera con il desiderio di patire. La parola illumina, il buon esempio convince, la pazienza soggioga. Il giovane apostolo si persuada che quanto più muoverà guerra al mondo e al demonio, portando le anime sulle posizioni conquistate, tanto più vedrà sferrarsi l'opposizione.

2. BENIGNA EST. È benigna. «Non si prendono i colombi con gettar pietre, ma grano» (S. Francesco di Sales). Gli uomini non si convertono umiliandoli. «Abbiamo cura -scrive S. FRANCESCO SAVERIO- di avvicinare tutti con volto sorridente e sereno; allontanate dalla vostra figura ogni aspetto tetro, corrucciato, sdegnoso, impaziente, per non portare in pubblico che una fisionomia amabile e piena d'amore per tutti».

«Chi predica con amore, predica molto contro l'eresia, sebbene non pronunci neppure una parola di disputa con essa». (S. FRANCESCO di Sales). Ciò non toglie che in qualche circostanza si disputi e si tuoni, quando si debba abbassare l'orgoglio insensato di erranti pertinaci ed in mala fede.

3. NON ÆMULATUR. Non è gelosa. Verso altri apostoli o verso altreassociazioni e molto meno verso i confratelli se riescono meglio di noi.

4. NON AGIT PERPERAM. È prudente: «Ne vituperetur ministerium nostrum». «È astuzia del demonio eccitare le anime buone a fare più di quello che possono, affinché esse non possano più far nulla» (S. Vincenzo de' Paoli).

5. NON INFLATUR. Non si gonfia, non fa chiasso, né per l'onore inerente a tale ministero, né per gli applausi della gente, né per i frutti consolanti. «Abbiate per unico fine la gloria di DIO e la salute delle anime; tutto ciò che non tenderà a questa meta, vi frutterà almeno il fuoco del purgatorio, e vi meriterà il disprezzo degli uomini» (Padre Le Jeune).

6. NON EST AMBITIOSA. Non ambisce i primi posti e i primi uffici; cerca l'ultimo posto e desidera trattare con gli umili. S. FRANCESCO REGIS aveva le sue preferenze per i poveri e diceva loro: «Venite miei cari figli; voi siete il mio tesoro e le delizie del mio cuore». Stretto al confessionale dai poveri, vi rimaneva senza mangiare fino a notte e si scusava dicendo: «Quando io sono così vicino a questi cari poveri, non posso pensare ad altra cosa».

7. NON QUÆRIT QUÆ SUA SUNT. Non è egoista. Non cerca comodità, soddisfazioni morali, sontuose abitazioni o buone mense.

8. NON IRRITATUR. Non si adira: «Io non nego che la collera sia venuta qualche volta in aiuto al vostro zelo: ma più frequentemente è lo zelo che viene in aiuto alla passione coprendo del suo nome le più vergognose escandescenze».
(S. Francesco di Sales).

9. NON COGITAT MALUM. Non è sospettosa. Batte l'errore e il vizio, ma scusa il peccatore; in tutto cerca di giustificare le intenzioni, non fa caso delle offese o delle indelicatezze, ma conserva solo il ricordo del bene ricevuto.

10. OMNIA SUFFERT. È longanime. Non si stanca, e nel seguire lo scopo prefissosi, è tenace e perseverante fino al trionfo. Quasi sempre è necessario vincere il demonio, l'ostinazione, la freddezza e spesso l'opposizione organizzata.

11. OMNIA CREDIT. Trasfonde la fede attraverso il vivo esempio, la parola, e il fuoco dell'anima nelle verità più ardue, difficili e ripugnanti all'orgoglio e alla sensualità.

12. OMNIA SPERAT. La fiducia, l'ottimismo e l'entusiasmo mentre sono il profumo e l'irradiazione della carità, sono anche il segreto indispensabile per la riuscita dell'apostolato. Fanno agire con tutte le forze e con allegrezza, danno modo di esercitare con libertà tutte le doti personali e soprattutto trasfondono la fiducia e la simpatia nell'uditorio, il quale anche se sarà scarso all'inizio, aumenterà certamente in seguito. Nulla di più fatale e disastroso della sfiducia e dell'avvilimento manifesto al pubblico.

13. OMNIA SUSTINET. «L'apostolo deve avere buone spalle ed il cuore generoso. Né le veglie [...], né le prediche continue, né le corse presso gli ammalati, né i lunghi e laboriosi studi, niente, in una parola, sconcerta il suo zelo» (S. Leonardo).


continua.........


Fraternamente CaterinaLD

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BREVE CORSO PEDAGOGICO RELIGIOSO DI AVVIO ALLA CONVERSAZIONE [SM=g1740752]

OSSERVAZIONI PRELIMINARI.


A) Il nostro piccolo corso non è fine a sé stesso; non è fatto per far bella figura, per snobbismo, per ambizione di parlar bene, per abbindolare gli altri o per batterli con l'arma del sofisma velato. Uno dei nostri fini fondamentali (conoscere, vivere, diffondere e difendere il cristianesimo) è quello di conoscere bene la verità, non solo per viverla noi stessi, ma anche per diffonderla (con le parole appunto) e difenderla (con la persuasione, con l'azione decisa e illuminante, ecc...).

B) Lo scopo da raggiungere con il nostro corso fa parte del nostro apostolato, che può essere: «silenzioso» (attuato solamente con l'esempio cristiano); «individuale» (attuato singolarmente con l'amicizia); «a gruppi» (compiuto con conferenze, corsi, conversazioni, ecc...).

C) É necessario sentire nella mente e nel cuore il bisogno dell'espansione del Regno di DIO.

D) Si richiede una vera conoscenza ed un notevole approfondimento dei temi religiosi: quindi delle verità cristiane, della morale cattolica, dei mezzi della grazia, dei problemi di attualità, degli errori più comuni e più perniciosi da smascherare, ecc...

E) Deve animarci una grande carità ed una profonda comprensione del nostro prossimo, anche quando sbaglia, pensando all'azione distruttiva che i mass-media stanno operando nei cervelli e alla carenza di fari orientatori. E se anche tanti non si convertiranno, avranno tuttavia sentito la voce di DIO e avranno riportato una buona impressione dalla nostra serenità.

F) Molta serenità nell'ascoltare e nel rispondere: essa deriva dalla certezza di possedere la verità. Non perché noi abbiamo la verità in tasca, come esseri privilegiati; ma perché CRISTO e la sua CHIESA sono infallibili. Per mezzo della S. Scrittura e del Magistero Ecclesiastico di sempre, essi ci danno la massima sicurezza di essere nella verità.

CAPITOLO I

IL CORPO O LA SOSTANZA DEL TEMA


Osservazione. Con «tema» si indica l'argomento, la tesi o il problema (come oggi si dice) da sostenere, provare, difendere, risolvere o illustrare. Circa la sostanza o il corpo del tema da trattare:

A) Bisogna «stare in tema». Non uscire da esso. Non divagare. Non disperdersi a danno dell'argomento fondamentale. E, d'altra parte, è necessario evitare il difetto opposto, quello cioè di essere lacunoso ed incompleto. Sono ugualmente nocive le disgressioni inutili e le riduzioni semplicistiche.

B) Nella trattazione del tema si deve fissare ciò che è fondamentale ed essenziale e metterlo in risalto, e si deve notare ciò che è secondario e derivato per metterlo in sottordine (vedi Cap. II).

C) L'assunto principale del tema deve essere dimostrato con precise e taglienti argomentazioni o prove di ragione (la retta ragione) e, com'è naturale trattandosi di temi religiosi, con prove documentatissime dalla S. Scrittura o Rivelazione, dalla Sacra Tradizione e dal Magistero Ecclesiastico. (N.B.: É pregio, forza e validità probante della trattazione portare, anche negli argomenti di ragione, citazioni chiare, persuasive e possibilmente brevi di autori, scienziati, Santi e grandi uomini, con fonti relative).

D) Se il corpo o la sostanza del tema è stato svolto con sufficiente chiarezza e forza di argomentazione, sarà più facile alla fine trarre le «conclusioni», che vanno evidenziate con estrema vigoria, con precise allusioni agli errori di oggi smascherandoli, con inviti a propositi concreti, ad azioni di diffusione e di difesa dei sani principi emersi e ad iniziative tendenti a contrastare con la parola e con l'azione le attività nefaste dei nemici di CRISTO e della sua CHIESA.


CAPITOLO II

METODO DELLA TRATTAZIONE


Un punto particolare del Cap. I, B), merita una maggiore considerazione: è il sistema adoperato come schema di svolgimento, il METODO, cioè il modo abituale più proficuo con cui svolgere il tema proposto. Nella giusta gerarchia dei valori, che sempre va tenuta presente, è necessario procedere con precisa logicità. Ecco come:

A) TITOLO ( thesis ).

Già in esso, scegliendolo opportunamente e saggiamente, si deve dare una perfetta sintesi di tutto l'elaborato (ad esempio: Aborto: strage degli innocenti; Droga: dalla rivoluzione all'autodistruzione; Eutanasia: crimine, parricidio, follia; ecc...).

B) IMPOSTAZIONE ( Status quæstionis ).

É l'inquadratura della trattazione. Iniziando il proprio discorso è doveroso calare il tema trattato nella vita di oggi, facendo rilevare che, per esempio, è un argomento dimenticato (tradizionale), oppure è causa di equivoci, oppure è stato risolto in modo errato, e come tale reclamizzato dalla stampa, dallo spettacolo, dalla vita pagana, ecc...

C) TERMINI ( Explicatio terminorum ).

Avviandosi verso il corpo essenziale del tema, è necessario chiarire i termini, cioè dare le definizioni precise delle parole adoperate, mettendo in risalto le suddivisioni dei termini stessi, di quali si intende parlare, quali si intende escludere, e perché. (N.B.: Fatto questo, conviene concludere questa fase, ripetendo ora con maggiore esattezza il preciso tema scelto).

D) AVVERSARI ( Adversarii ).

La conversazione non è letteraria o accademica perciò è necessario a questo punto citare coloro che, come persone o come gruppi, sono contrari all'assunto e lo contrastano con parole, con scritti, con azioni, ecc... (N.B.: É importante citare esattamente le loro parole e documentare con prove la loro azione).

E) PROVA ( Argumentatio apodictica ).

É il nerbo essenziale della conversazione, ed il punto culminante che apre alla verità. La prova o le prove devono essere brevi, concise, logiche, irrefutabili. Questa parte è proprio la «sostanza», e perciò va tenuto presente quanto si è detto al Cap. I, C).

F) OBIEZIONI ( Objectiones ).

É sempre bene prevenire le domande, i dubbi, le obiezioni e le perplessità che gli ascoltatori potrebbero avanzare, spinti magari da sollecitazioni emotive (per esempio, i casi pietosi nel divorzio) o slogans e sofismi ben congegnati che disorientano (per esempio, la donna è libera di gestire il proprio corpo, nell'aborto, ecc...) quindi, dopo la prova convincente, si deve sgombrare il campo da dubbi, obiezioni e prevenzioni varie, risolvendo in precedenza (e prima che qualcuno le avanzi in modo dispersivo) quelle più comuni e perniciose, colpendole decisamente e definitivamente.

G) DIFFICOLTÀ ( Scholia ).

Può sorgere qualche difficoltà nell'armonizzare una verità o una legge con altra legge o verità cristiana esistente. Può sembrare uno scoglio difficile; ma, generalmente, non dipenderà dalle leggi o dalle verità (perché vengono tutte da DIO), ma dall'individuo in particolare. È il caso, allora, di avere comprensione verso la persona, senza scuotere affatto la legge generale (ad esempio, due coniugi, in una vita impossibile, che credono lecito risposarsi...).

H) CONCLUSIONI ( Conclusiones ).

Tenendo presente quanto detto al Cap. I, D), è opportuno sempre studiare bene la conclusione della conversazione, sia come logica conseguenza ben condensata del tema svolto, sia come frase che riporti espressioni di massima autorità (Chiesa, GESÙ CRISTO, Papa e autori seri), sia per chiudere con uno slogan saggio e determinante o con una citazione che lasci all'uditorio un oggetto di proficua meditazione.

CAPITOLO III

DIDATTICA, PEDAGOGIA E FORMA ESTERIORE


In definitiva, a parte l'età di chi parla e di chi ascolta, chi svolge un tema ad un determinato gruppo è come un insegnante che spiega e istruisce: è un catechista. Deve perciò aver presenti alcune norme:

A) LE PERSONE A CUI SI RIVOLGE.

l Adattarsi alla loro istruzione e condizione. Se sono molto giovani, adottare un metodo intuitivo, con esempi e possibilmente immagini, sempre traendo conclusioni rigorose. Se rurali, puntare sui fatti, ecc...

l Considerare le loro esigenze: per esempio, un uditorio di adulti, poco istruiti religiosamente, esigerà più accorgimenti e più prove delle verità, senza tuttavia essere pesanti; basterà sfrondare la trattazione, limitandosi all'essenziale, da ribadirsi in modo sicuro.

B) IL MODO DI SVOLGERE IL TEMA.

- Calma, posatezza e fermezza nell'esporre, nel provare e nell'incoraggiare. Non è urlando che si persuade, né scalmanandosi. La verità ha una sua forza penetrativa. Certo, con la voce, è bene mettere in risalto l'essenziale, ma senza eccedere.

- Curare molto l'italiano, il periodare e la dizione. Al riguardo sono controproducenti e deleterie le improvvisazioni. Bisogna preparare «sempre, tutto». È essenziale scrivere in antecedenza tutto, vedere, rivedere, correggere e ricorreggere, limare, sfoltire... e poi rimettere in «bella» ogni cosa nella stesura definitiva più appropriata.

- Sempre, ma specialmente nei primi anni, è conveniente avere tutto lo scritto sotto gli occhi, ben pronto ad ogni evenienza («Si charta cadit tota scientia evadit»).

- Evitare gli intercalari inutili e dispersivi (...«diciamo così»...; «naturalmente»...; «certamente»...; «comunque»...; «quelli che sono», ecc...). Evitare specialmente gli errori urtanti di espressione, che danno fastidio e nuocciono alla chiarezza: «Allora», per indicare; «Comincio»; «Dunque», (idem); «cioè», per indicare «mi correggo», ecc...

- I periodi siano brevi: ma non e bene troncare un periodo avviato. Sia ben chiara la dizione, lento e preciso il parlare, esatta la punteggiatura (via il «bla bla bla» televisivo).

- É grande dote di sensibilità avvertire subito se l'uditorio segue e partecipa. Eventualmente, saper ripiegare sui punti più essenziali, più facili o più vivaci, a seconda dei casi.

- Il proprio contegno deve essere composto, sereno e fiducioso. Non si va alla guerra. La compostezza dovrà trasparire soprattutto dal vestito, dalla pulizia, dal gesto e dal contegno corretto.

- Sarà bene cogliere gli agganci umani che si presentano in genere, (per esempio, il saluto agli intervenuti, ringraziandoli della presenza e della fiducia riposta) o in particolare (verso singole persone).

- Per ultimo. ciò che è più indispensabile: PREGARE: pregare in antecedenza per l'efficacia della propria azione di apostolato ed invocare MARIA SS.MA, Sedes Sapientiæ, ora pro nobis.

A.M.D.G.


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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Il Patriarca interviene sulla questione della pedofilia e conferma “l’appassionata sequela” a Papa Bendetto XVI. Il testo pronunciato dopo la Messa del Crisma a San Marco

FONTE ORIGINALE QUI

La ricorrenza solenne della Santa Messa del Crisma che vede qui riunito tutto il presbiterio, con i diaconi, le religiose ed i religiosi e non pochi fedeli laici, mi spinge a dire una doverosa parola in merito alla questione del peccato e del crimine di pedofilia commesso da sacerdoti e consacrati. Questo tema, anche nel nostro Paese, è da più giorni in primo piano.

Con un giudizio pacato ed obiettivo intendo manifestare a voi tutti, a tutto il popolo cristiano e a tutti gli abitanti del Patriarcato quanto in proposito ho nel cuore da giorni.

1. Come ha affermto Benedetto XVI, hanno ribadito il Cardinale Angelo Bagnasco ed il recente Comunicato finale del Consiglio permanente della Conferenza Episcopale Italiana, la pedofilia «è un crimine odioso, ma anche peccato scandalosamente grave che tradisce il patto di fiducia inscritto nel rapporto educativo… Se commesso da una persona consacrata, acquista una gravità ancora maggiore».

Da qui il nostro sgomento, senso di tradimento e rimorso per l’infanzia violata e ancor più la nostra vicinanza alle vittime e ai loro famigliari. Da qui anche, senza tentennamenti e minimizzazioni, il rinnovato impegno a rendere conto di ognuno di questi misfatti, decisi a non nascondere nulla. La misericordia ed il perdono verso quanti hanno sbagliato implica da parte loro il sottomettersi alle esigenze di piena giustizia e quindi il rispondere «davanti a Dio onnipotente come pure davanti ai tribunali debitamente costituiti».

I Vescovi italiani si impegnano a seguire le direttive ribadite dal Santo Padre sia attraverso le procedure canoniche che mediante una leale collaborazione con le autorità dello Stato. Moltiplicheranno inoltre i loro sforzi per prevenire simili situazioni. Anche un solo caso «è sempre troppo, soprattutto se a compierlo è un sacerdote».

Fa parte di un atteggiamento obiettivo rilevare il dato, sottolineato da molte parti anche non cattoliche, che il fenomeno della pedofilia concerne diversi ambienti e varie categorie di persone. Questa notazione non intende sminuire la gravità dei fatti segnalati in ambito ecclesiastico, ma invita «a non subire – qualora ci fossero – strategie di discredito generalizzato».

2. Mi preme in questo contesto ringraziare voi tutti, carissimi sacerdoti del Patriarcato, per la vostra indefessa e diuturna azione in campo educativo. I gravissimi episodi segnalati in talune diocesi non debbono oscurare questo vostro luminoso impegno e gettare discredito sulla preziosa azione che da tempo immemorabile voi svolgete nelle nostre parrocchie, nelle nostre scuole, nonché nelle aggregazioni di fedeli. Azione educativa che nelle Chiese del Nord-Est e nella diocesi di Venezia oggi è più che mai attenta a tutti i risvolti pedagogici.

Invito voi tutti a proseguire serenamente e ancora più energicamente nel prezioso compito di trasmettere alle nuove generazioni il senso cristiano della vita che, se adeguatamente proposto, è in grado di far crescere personalità equilibrate e mature a tutti i livelli, compreso quello affettivo e sessuale. Per questo sono certo che i moltissimi genitori che normalmente affidano alle parrocchie, alle scuole cattoliche, ai patronati, ai GREST, alle associazioni cattoliche i loro figli intensificheranno la loro fiducia e prenderanno ancor più coscienza della decisiva importanza della famiglia per introdurre ed accompagnare, nell’ambito della parrocchia, i bambini, i fanciulli ed i pre-adolescenti all’incontro con Cristo nella comunità cristiana.

3. È fuorviante e inaccettabile mettere in discussione a partire dai casi di pedofilia in ambito ecclesiastico, il santo celibato che la Chiesa latina domanda, in piena libertà, ai candidati al sacerdozio alla luce di una lunghissima tradizione. Ne stiamo riscoprendo la bellezza in questo anno sacerdotale. Il celibato, quando è vissuto con lo sguardo fisso in Gesù sacerdote e con cuore indiviso per il bene del popolo di Dio che ci è affidato, è una preziosa esperienza d’amore che fa fiorire la nostra umanità. Accogliere liberamente il dono del celibato e percorrerne la via non implica alcuna mutilazione psichica e spirituale. Per coloro che sono chiamati, la grazia del celibato è strada per una singolare ma compiuta espressione della propria affettività e sessualità. Certo siamo vasi di argilla e portiamo in essi un tesoro grande ma, con l’aiuto di Dio ed il sostegno della comunità cristiana, lo portiamo con responsabilità e letizia.

4. Infine in questa straordinaria giornata del Giovedì Santo, espressione del peculiare “genio cattolico” perché in essa splende la potenza dell’Eucaristia ed il significato pieno del sacerdozio ordinato, intendiamo ridire pubblicamente e con forza il nostro affetto e la nostra appassionata sequela al Santo Padre Benedetto XVI. A lui che tanto ha fatto e tanto fa per togliere “ogni sporcizia” dalla compagine degli uomini di Chiesa vengono rivolte accuse menzognere. Ma l’ «umile lavoratore della vigna» - così Egli si definì presentandosi al mondo ormai cinque anni fa in occasione della Sua elezione al Pontificato – riceverà dallo Spirito la grazia di offrire questa iniqua umiliazione trasformandola in rinnovata energia per l’indispensabile Suo ministero di Successore di Pietro.

Noi, sacerdoti e popolo veneziano, Lo affidiamo oggi, in modo del tutto speciale, alla Santissima Vergine Nicopeja.

Carissimi, accogliete con cuore aperto queste parole del vostro Patriarca. E siate certi della sua piena fiducia e della sua stima. Sono fondate sulla conoscenza ormai pluriennale del vostro amore per Cristo e per la Chiesa che si trasforma in dono quotidiano, spesso silenzioso e non compreso, della vostra vita a favore di ogni nostro fratello uomo.

Il cammino della Visita Pastorale continui a rinsaldare la nostra unità affinché, come Gesù ci ha chiesto, il mondo creda e scopra in tal modo la pienezza del vivere.

Vi invito a trovare i modi opportuni per far conoscere il più capillarmente possibile questa Dichiarazione a tutti i fedeli e a tutti gli uomini e le donne che vivono nel nostro Patriarcato.

Con vivo affetto di comunione nel Signore benedico voi e tutti i fedeli augurandovi una Santa Pasqua.

+ Angelo Card. Scola

patriarca

Venezia, 1 aprile 2010, Giovedì Santo








Ulteriori approfondimenti sull'argomento:

ATTENZIONE: LETTERA DI BENEDETTO XVI CONTRO GLI ABUSI SESSUALI NELLA CHIESA

Visita straordinaria dei Vescovi Irlandesi e Tedesco dal Pontefice per condannare gli abusi sessuali

Dolce Vicario di Cristo in terra, abbiamo bisogno di Lei! Lettere aperte al Santo Padre

Ottimo intervento di M.Introvigne e Padre Lombardi alla trasmissione di Uno-Mattina

Marcello Pera scrive Lettera aperta contro gli attacchi al Papa ed alla Chiesa per le colpe di pochi sugli abusi sessuali


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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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06/04/2010 12:46
 
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Dalla tonsura all’invisibile il salto dei preti nel moderno


di Alessandro Zangrando

«Vede questo lembo di pelle scoperta? Mi ha salvato e protetto da tante tentazioni ». Il prete china un po’ la testa e mostra la «tonsura», i capelli rasati in cima alla testa a formare una chierica, l’area di una moneta da due euro. La Chiesa nella sua storia ha cercato di salvaguardare la santità e la moralità dei propri sacerdoti in tanti modi. Alcuni erano molto semplici e pratici, altri riguardavano in maniera più profonda la formazione e la vita spirituale. La maggior parte di queste soluzioni sono state frettolosamente abbandonate, considerate residui di un passato da abbattere tutto e presto. Ma qualcuno, dentro la Chiesa stessa, si sta chiedendo se non sia il caso di dare loro una spolveratina e riportarle in auge. Ma torniamo alla tonsura. Che cosa c’entra la tonsura con lo scandalo che sta scuotendo la Chiesa cattolica in questi giorni? C’entra, c’entra.

Teologicamente la tonsura significa portare sul proprio corpo il segno dell’appartenenza a Dio.
Una sorta di tatuaggio.
Scomparsa persino fra i religiosi (benedettini ecc), anche gli ordini religiosi più conservatori non la prevedono più. Il sacerdote con la tonsura è sempre riconoscibile come tale (ammesso che la calvizie non gli abbia falcidiato la capigliatura...). E così se gli passava per la mente di fare visita a un bordello (ci si perdoni la brutalità), un prete ci pensava due volte, ché certo la tonaca poteva lasciarla in canonica ma la tonsura non se la poteva togliere.

Certo, qualche bello spirito un po’ più intraprendente, tirava fuori il lucido da scarpe e se lo passava sul cocuzzolo così da nascondere la sua vera identità. Visto: la scappatoia si trova sempre? Certo, ma tutto diventava più macchinoso e rocambolesco. Insomma, prima di compiere passi sbagliati, uno ci pensava due volte. E poi la vecchia questione dell’abito religioso. Si sa che negli ultimi 50 anni, dopo il ’68, il clero ha vissuto la sua «rivoluzione», e da «visibile» è diventato «invisibile». Via i segni di riconoscimento, via subito l’abito religioso, ormai quasi scomparso anche fra gli ordini.

«È scomodo », «Nessuno si veste più così», «La modernità ci impone di vestirci in borghese».
 
Ecco, il prete che portava l’abito (la famosa tonaca) era subito distinguibile, come un carabiniere per la strada, un soldato in uniforme. Si allontanava con qualcuno? Veniva subito seguito con lo sguardo. Tentava di nascondersi? Tutto era più difficile con quell’ingombrante vestito nero, poco comodo per gli spostamenti. Era una sorta di obiettivo sempre puntato sul prete, la cui missione non si esauriva dopo poche ore, ma era sempre in servizio attivo.

Insomma, nella Chiesa, una volta, tutto aveva un significato e una funzione. Non è un discorso reazionario. Non c i v u o l e l ’ a c u m e d i un’aquila per capire che un prete secolarizzato, blue jeans e maglietta, tutto meeting e telefonino, sempre davanti al computer a navigare su internet è ovviamente allontanato dalla sua funzione spirituale per andare dove non sa bene neppure lui, nella maggior parte dei casi. Lo dimostra la crisi della vocazioni e i casi quotidiani di preti deviati. «Vietato vietare», lo slogan del ’68 sembra essere stato assimilato in parte anche dalla Chiesa. La tolleranza verso il male è ancora peggio del male. Quella sì, è meglio vietarla.

in Corriere del Veneto, 2 aprile 2010

san Domenico nel dipinto del Beato Angelico con la tonsura:




 un frate oggi.... con la tonsura...

La tonsura oggi nella FSSPX ...



Cari Sacerdoti, riflettiamo:

Il 26 marzo  sono andata al Giuramento di un nutrito gruppo di giovani di 17 anni entrati nella scuola militare della Teuliè a Milano, fra questi anche mio figlio prestava giuramento....  
L'ORGOGLIO di indossare una DIVISA non era semplicemente una vanità esteriore, ma un vero PROGRAMMA DI VITA, una manifestazione non solo di orgogliosa appartenenza ma soprattutto L'IDEALE, la sua storia, l'impegno e il duro lavoro di un anno per indossarla con decoro e motivazione....  
Al passaggio poi della Bandiera storica della scuola che reca la scritta: VIA DIO, L'ITALIA E PIO IX che un gruppo di ragazzi di 16 anni nell'800 salvarono dalla distruzione, è diventato un passaggio di consegne associato al motto che cantato dice: "SIAMO RAGAZZI, IN ALTO VOLIAMO"  
ITERUM ALTE VOLAT  (cliccate qui per ascoltare il loro orgoglio sano)...  
 
Ordunque, mi son sempre chiesta cosa spingesse questi giovani, compreso mio figlio, ad assumersi un impegno così serio per la loro età e il senso del valore che danno ALLA DIVISA....il senso dell'appartenenza ad un corpo, gli ideali che a 16 anni fanno propri....ebbene non ci sono risposte sensazionali, il tutto avviene da qualcosa che abbiamo dentro di noi e da quel "Qualcuno"  che ci invita e ci richiama a dare un senso ed un valore alla nostra vita...  
 
Ecco che ho apprezzato maggiormente l'articolo che avete postato, la tonsura o la tonaca, così come la divisa ed anche il taglio dei capelli cortissimi per questi giovani militari... assumono lo stesso impegno, lo stesso valore, gli stessi significati seppur sappiamo che naturalmente per il sacerdozio, il religioso, parliamo di ideali diversi ma pur sempre comuni....con la Cresima si diceva: SIETE SOLDATI DI CRISTO! per un seminarista o un religioso esiste pertanto LA DIVISA che solo uno sprovveduto idealismo partigiano-modernista ha ritenuto erroneamente superfluo....  
Tagliando la DIVISA(=TALARE) si è di fatto voluto tagliare l'appartenenza ad una immagine di Chiesa che non si accetta più....non è forse vero che dopo il Concilio è proprio la sua immagine che si è voluta cambiare? e dunque via anche la divisa=talare ed ogni segno esteriore che potesse indurre il laico a pensare a quella Chiesa e piuttosto ad inventarne una nuova immagine, più moderna, più APERTA AL MONDO ED ALLE SUE ESPERIENZE....  

Questo gruppo di giovani mi hanno rafforzata nell'idea di quanto sia importante invece l'esteriorità e la TRADIZIONE....e di come questa non sia semplicemente associata ad un motto: ITERUM ALTE VOLAT, al contrario, è proprio l'esteriorità (la divisa, la Bandiera) che aiuta questi giovani a rendere vivo il motto e a comportarsi DIGNITOSAMENTE ed eroicamente perchè chi li guarda possa davvero CREDERE in ciò che fanno...  

Amati Sacerdoti! Rimettete l'abito, perchè anche l'occhio vuole la sua parte, e lo dicono i GIOVANI che cercano negli adulti I SEGNI esteriori di ciò che è nobile seguire e perseguire....





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LA DIGNITA’ DEL SACERDOZIO VISTO DA SANT’ALFONSO MARIA DE LIGUORI



Il consiglio di San Paolo, nella 2a Lettera a Timoteo di lavorare incessantemente per il Regno di Dio, riassume bene la vita di san Alfonso (1696-1787), questo santo che è il patrono dei teologi moralisti. Egli aveva fatto il voto di non permettersi alcuna inutile perdita di tempo.

La sua vita si è prolungata al di là del 90o anno. A 16 anni, aveva già conseguito i gradi accademici del diritto civile e del diritto canonico, ma, avvocato brillante in carriera del foro di Napoli,  a trent’anni subì un pesante insuccesso di carattere professionale, perdendo per un semplice cavillo una causa in tribunale.  Egli valutò i pericoli e la vanità del mondo e intelligentemente si volse verso gli studi ecclesiastici ed il sacerdozio deponendo la sua spada ai piedi della statua della Madonna nella Chiesa della Mercede. Sacerdote, professore ; apostolo, vescovo santo, egli fondò un nuovo ordine religioso, la Congregazione  dei Sacerdoti del Santissimo Redentore, per l’evangelizzazione delle campagne e degli ambienti rurali e delle periferie delle città.

A Napoli arrivò ad ideare le Cappelle Serotine. Ossia il raduno al suono serale dell’Angelus nelle piazzette per consentire alla gente dei bassifondi, ai cosiddetti “lazzaroni”, ma anche agli operai e agli artigiani di riunirsi alla sera per partecipare alla preghiera e parlare di Dio. La sua oratoria trascinava le folle per le quali usava un linguaggio semplice e comprensibile e quando serviva, utilizzava anche la letteratura e la poesia per far penetrare il messaggio di Dio. Sant’Alfonso è anche noto per le sue doti di compositore di musiche e canti popolari tra i quali spicca la celebre pastorale natalizia “ Tu scendi dalle stelle”, composta nel corso di una missione popolare a Nola. Egli è anche autore di una cinquantina di canzoncine popolari per le feste religiose più significative.

Costretto dal  Pontefice, dovette accettare l’episcopato, con grande zelo per le anime, con scienza e  santità, egli governò la sua diocesi, si ritirò in ragione delle deficienze della sua salute e, in mezzo ai suoi religiosi redentoristi, nel lavoro, nell’austerità, nella sopportazione generosa delle sofferenze fisiche, egli trascorse l’ultima parte della sua esistenza. E’ interessante, in questo speciale anno sacerdotale indetto dal papa Benedetto XVI,  leggere che cosa il nostro santo scrive sulla dignità del sacerdote che per lui è superiore a quella degli angeli:  “Dunque la dignità del sacerdote è la più nobile fra tutte. Scrive sant’Ambrogio: “Non c’è nulla di più eccelso in questo mondo” (De dignitate Sacerdotis). “Supera tutte le dignità di re, imperatori e degli stessi angeli” – conferma san Bernardo (Sermo ad Pastor. In Syn.). “La dignità del sacerdote – nota sant’Ambrogio – supera quella dei re, quanto l’oro il piombo.

L’oro non è tanto più prezioso del piombo, quanto invece è più alta la dignità del Sacerdozio sulla dignità regale”. E questo perché il potere dei re si limita ai corpi dei sudditi, ai beni materiali, quello dei sacerdoti invece si estende sui beni spirituali, sull’anima.
“Quanto più l’anima è importante nel corpo – scrive san Clemente Alessandrino (Constit. Ap. 1.2, c. 34) – tanto più eccellente è il sacerdozio su un regno”. E san Giovanni Crisostomo conferma (De Jac. 1.3): “i principi hanno potere sui vincoli del corpo; i sacerdoti anche sull’anima”.

“La dignità sacerdotale supera anche quella angelica – scrive san Tommaso d’Aquino (3 p., q. 22, art. 1). E san Gregorio Nazianzeno (Sermo 26 de Sanct. Petr.) osserva che “il sacerdozio è venerato anche dagli angeli”. “Tutti gli angeli del cielo – nota anche san Pier Damiani (Sermo 26 de Sanct. Petr.) – non possono assolvere neppure un solo peccato. Infatti assistono sì le persone a loro affidate e fanno anche in modo che, se si trovano in peccato, ricorrano ai sacerdoti per l’assoluzione, ma “benché assistano, in attesa del potere del Sacerdote, tuttavia, non godono del potere di assolvere”. Lo stesso Arcangelo san Michele, se si trovasse accanto a un moribondo che lo invoca, potrà pure allontanare i demoni, ma non liberare quel suo devoto dalle catene del peccato, se non accorre un sacerdote che lo assolva. San Francesco d’Assisi era solito dire: “Se vedessi un angelo del paradiso e un sacerdote, prima genufletterei davanti al sacerdote, poi davanti all’angelo”.

Il potere del sacerdote supera anche quello di Maria Santissima. La divina Madre, infatti, può pregare per una persona e, pregando, ottenere ciò che vuole, ma non assolverla da una pur minima colpa. Scrive papa Innocenzo III (Nova quaedam de Poen. Rem.): “Benché la beata Vergine sia superiore agli Apostoli, tuttavia solo a questi sono state affidate le chiavi del Regno dei cieli”. E san Bernardino da Siena (Tom. I, Sermo 20, art. 2, c. 7) esclama: “Vergine benedetta, perdonami, non intendo minimamente offenderti, ma il sacerdote prevale su di te!”. Maria, infatti, ha concepito Cristo una volta sola, ma il sacerdote – diciamo -, consacrando lo concepisce quante volte vuole. Sicché se la persona del Redentore non fosse ancora venuta su questa terra, il sacerdote, con le parole della consacrazione, genererebbe la persona dell’uomo-Dio.

Come a Dio fu sufficiente dire “Fiat” (Sal 32, 9) e il mondo fu, così al sacerdote basta dire sul pane e sul vino: “Questo è il mio corpo; questo è il mio sangue” e il pane non è più pane, il vino non più vino, ma sostanza del corpo di Cristo. “Il potere sacerdotale – scrive san Bernardino d Siena (Tom. I, Sermo 20, art. 2, c. 7) – è come quello delle tre divine persone, giacché per la transustanziazione del pane si richiede tanta potenza quanta la creazione del mondo”. “O venerabile santità nelle mie mani! – scrive sant’Agostino (In Ps. 37) – O felice opera! Chi mi creò (se è lecito dirlo), mi diede potere di creare lui! Chi creò senza di me, egli stesso ha creato se stesso mediante me!”. “Con la parola di Dio creò dal nulla cielo e terra, così, dice san Girolamo (Sermo de corpore Christi) – la parola del sacerdote crea Cristo”.

Don Marcello Stanzione

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margaritas ante...



"gli scandali che fanno rumore oggi nascono proprio nel momento in cui vasti settori (della Chiesa) hanno cominciato a predicare l'apertura al mondo. Spazzato via il demonio per essere teologicamente corretti, sradicato il concetto di peccato per essere sociologicamente corretti, eliminato il rigore ascetico per essere pedagocicamente corretti, i cattolici hanno finito per comportarsi come il mondo. E il mondo adesso rimprovera a tutta la Chiesa di essere a sua immagine e somiglianza." (Alessandro Gnocchi, Mario Palmaro, C'è una una Chiesa che vuole il Papa dimezzato, Libero, 8 aprile 2010)

"occorre che le gerarchie ecclesiastiche riconoscano che la deriva pansessualista che ha investito tutta la società, si è infiltrata anche nella Chiesa. Anzitutto per una crisi di fede: la verginità sacerdotale, come la castità degli sposi, sono perle che devono essere custodite gelosamente con estrema cura. Preghiera e senso del soprannaturale sono fondamentali. Se, come è avvenuto nel post Concilio, si perde il senso vero del sacerdozio, attraverso la desacralizzazione della liturgia e la diminutio del valore dei sacramenti, l'eroismo richiesto ai chierici risulta incomprensibile, anzitutto a loro stessi. La figura del sacerdote come operatore sociale non regge più. La seconda causa della crisi è la rinuncia al governo. Nel clima utopico del post concilio molti vescovi hanno cessato di seguire l'ideale tridentino: hanno perso il contatto con i propri seminaristi e sacerdoti, omettendo di vagliarli, di formarli e di fungere loro da padri, da maestri e da sorveglianti. La Controriforma che occorre, allora, è proprio quella indicata dal Papa: ribadire il valore del sacerdote come alter Christus, anzitutto attraverso la centralità dell'Eucaristia e del confessionale. Il curato d'Ars è proprio l'esempio che occorre ad un clero non di rado secolarizzato, e per questo ignaro della sua missione, e quindi smarrito." (Francesco Agnoli, Foro secolarista, il Foglio, 8 aprile 2010)

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18/05/2010 20:00
 
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Riflessioni per l'Anno sacerdotale

San Vincenzo Pallotti
e la formazione dei presbiteri


di Jan Kupka
Direttore dell'Istituto San Vincenzo Pallotti di Roma


L'intensità del servizio pastorale al popolo di Dio dipende dalla formazione dei sacerdoti. A volte si sente dire che i preti di oggi non rispondono alle sfide del tempo, non sono aggiornati sugli attuali problemi del mondo, non esercitano i loro uffici pastorali in modo professionale. Le cause possono risiedere in una carente e non aggiornata formazione sacerdotale.

La celebrazione dell'Anno sacerdotale 2009-2010 offre l'occasione per ribadire la necessità della formazione sacerdotale e cercare i modelli adeguati per renderla spiritualmente ricca ed efficace. Ciò che ha sottolineato Benedetto XVI nell'omelia per l'apertura dell'Anno sacerdotale:  "Per essere ministri al servizio del Vangelo - ha detto il Papa - è certamente utile e necessario lo studio con una accurata e permanente formazione teologica e pastorale, ma è ancor più necessaria quella "scienza dell'amore" che si apprende solo nel "cuore a cuore" con Cristo".

A tal riguardo, è fonte di ispirazione la figura e il pensiero di san Vincenzo Pallotti (1795-1850), ordinato sacerdote nella basilica di San Giovanni in Laterano il 16 maggio 1818. Apparteneva al clero di Roma. Era quindi un prete romano che nella prima metà dell'Ottocento si è distinto tra i sacerdoti per la sua formazione intellettuale e spirituale. Era un modello di sacerdote buon pastore che guidava e difendeva i credenti nel tempo dell'indebolimento della fede. Ma, soprattutto, si è iscritto nella storia della Chiesa con le sue iniziative per promuovere la formazione spirituale e pastorale dei sacerdoti romani.

Vincenzo Pallotti aveva un'ampia conoscenza della vita sacerdotale. Egli era convinto che il fondamento della santità dei sacerdoti e del loro impegno pastorale fosse la buona formazione. Perciò fin dall'inizio della sua attività sacerdotale si notò la sua grande premura per il continuo rinnovamento della vita del clero.
 
Ciò è confermato dal suo testo degli anni 1823-1829 (il periodo del pontificato di Leone XII), intitolato:  "Vari punti di riforma pel Clero" (cfr. Opere complete v, pp. 544-557). In questo testo, che contiene le proposte per il rinnovamento della vita sacerdotale, il Pallotti sollecita a promuovere tutto ciò che contribuisce alla formazione dei perfetti servi di Cristo. I sacerdoti, i confessori devono essere ben preparati e condurre una vita santa. I predicatori devono distinguersi per la loro dottrina e integrità morale. Dalla santità, scienza e vigilanza dei pastori dipende in gran parte la pace della cristianità e la salvezza eterna delle anime. Inoltre, il Pallotti ebbe dal 1827 la direzione spirituale del Seminario Romano, poi quella del Collegio Inglese e Irlandese e, dal 1833, quella del Collegio Urbano di Propaganda Fide.

L'esercizio dell'incarico di direttore spirituale accresceva la sua convinzione della necessità di una profonda formazione sacerdotale, soprattutto di quella missionaria. Quale dovesse essere il tenore della formazione spirituale lo dice questo appunto:  "Per disporre gli alunni ad essere veri missionari tra gli infedeli è necessario formarli nella pratica indicata da Gesù Cristo:  "Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua" (Matteo, 16, 24)" (Opere complete XI, p. 449). Negli scritti di Vincenzo Pallotti ricorre continuamente il pensiero che l'ecclesiastico deve impegnarsi personalmente a crescere lungo tutto il cammino della sua vita. Il Pallotti era convinto che esiste un legame intrinseco tra la crescita spirituale, lo studio e l'impegno apostolico.

Riguardo a ciò merita attenzione il suo testo sull'obbligo di tutti i sacerdoti "di crescere nella santità e d'istruirsi" (cfr. ibidem ii, pp. 81-86). E il Pallotti enumerava i campi in cui ci si deve istruire e cercare di impegnarsi continuamente:  la Sacra Scrittura, la storia ecclesiastica, la teologia dogmatica e fondamentale, la teologia dei sacramenti, la liturgia e la teologia morale. Di conseguenza, lo scopo fondamentale di questa continua istruzione è espressa dal Pallotti in questi termini:  "Per non tornare indietro e per vivere sempre nella più perfetta imitazione della vita del nostro Signore Gesù Cristo; onde efficacemente cooperare alle opere della sua maggiore gloria, e della maggiore santificazione delle anime" (ibidem vii, pp. 63-64).

Vincenzo Pallotti iniziò nel 1839 a celebrare nella chiesa dello Spirito Santo dei Napoletani, a via Giulia, nel mese di maggio, con i sacerdoti romani, sia diocesani che religiosi. All'origine c'erano la sua devozione mariana e l'intento di arrivare più profondamente all'animo di tutti i fedeli. A tal riguardo si deve ricordare che nel 1833 il Pallotti compose il testo del mese mariano in tre versioni (per i consacrati, i fedeli e gli ecclesiastici). I sacerdoti romani risposero con un'attiva partecipazione all'invito del Pallotti di celebrare insieme il mese mariano nella chiesa dello Spirito Santo dei Napoletani. I presbiteri espressero il desiderio di radunarsi nello stesso luogo periodicamente nel corso dell'anno. Così nacque l'idea delle conferenze settimanali per i sacerdoti, che ebbero luogo nella chiesa fin dal 1839.

La prima conferenza settimanale per i sacerdoti ebbe luogo il 6 giugno 1839, primo giovedì del mese. Da quel giorno il clero romano cominciò a radunarsi ogni giovedì pomeriggio nella chiesa dello Spirito Santo in via Giulia. Vi parteciparono presbiteri diocesani e regolari, monsignori, teologi, consultori dei dicasteri pontifici e anche alcuni vescovi. Le conferenze, grazie a Vincenzo Pallotti, erano indirizzate a rinnovare la vita spirituale e all'aggiornamento pastorale. Nell'intraprendere quest'iniziativa, il Pallotti si ispirò all'idea di san Vincenzo de' Paoli di promuovere adunanze periodiche di ecclesiastici per la loro preparazione pastorale. In questi raduni si proponeva un caso di morale o di liturgia, lo si analizzava e si davano le soluzioni.

Vincenzo Pallotti era profondamente convinto che ogni sacerdote doveva sentirsi responsabile della propria formazione ed essere aperto ad accogliere i suggerimenti degli altri. Il presbitero per crescere ha bisogno di formarsi. Inoltre, il progresso delle scienze e i cambiamenti nel mondo esigono un aggiornamento continuo del nostro sapere per poter operare in modo efficace. È una necessità di vita. Ma ciò che sorprende nel pensiero del Pallotti è la sua motivazione spirituale:  dobbiamo istruirci per imitare Gesù Cristo. Ciò costituisce un fondamento cristologico solido della formazione sacerdotale.

Il secondo punto emerge dal significato più profondo delle conferenze settimanali per i sacerdoti. Il Pallotti le ha istituite e promosse non da solo, ma in collaborazione con gli altri sacerdoti, coinvolgendo tutti i partecipanti. A questo si unisce un altro fattore molto significativo per le conferenze settimanali:  esse non si limitarono solo alla formazione, ma furono anche un forum di azione. Il 13 gennaio 1847 Pio ix visitò la chiesa di Sant'Andrea della Valle per la conclusione dell'Ottavario dell'Epifania organizzato dal Pallotti.

In quell'occasione il Papa fece una fervente predica, invitando tutti al rinnovamento della vita cristiana. Il Pallotti si sentì personalmente interpellato e il giorno seguente scrisse quanto segue:  "Nel dì 14 gennaio 1847 i sacerdoti delle Conferenze ecclesiastiche settimanali, che si promuovono dalla Congregazione dei Sacerdoti della detta pia Società nel S. Ritiro del SS. Salvatore in Onda, considerando che siamo tutti obbligati ad eseguire efficacemente, e stabilmente la detta missione a tal fine ha giudicato necessaria e opportuna la istituzione di una pia Unione (...) per promuovere la maggiore glorificazione dei Nomi di Dio, di Gesù Cristo, di Maria Santissima, degli Angeli e dei Santi, e per estirpare l'orrendo vizio della bestemmia, per conservare la purità dell'anima e del corpo e per distruggere il vizio della disonestà e di ogni impurità (cfr. Opere complete III, pp. 392-393)".



(©L'Osservatore Romano - 19 maggio 2010)
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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09/06/2010 20:51
 
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Il segretario di Stato a un incontro con il clero nell'aula Paolo VI

Profeti
di un mondo nuovo



Uomini di Dio e della comunione, profeti d'un mondo nuovo. È questa l'immagine del sacerdote delineata dal cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, che nell'aula Paolo VI ha aperto, mercoledì 9, un pomeriggio di testimonianze e riflessione dedicato appunto ai sacerdoti. Un'immagine che oggi è chiamata a confrontarsi con una provvidenziale stagione di rinascita e rinnovamento, anche e soprattutto dopo le "infedeltà, a volte anche gravi", di alcuni membri del clero. Poiché - ha ribadito il porporato - "la Chiesa e la società hanno bisogno di sacerdoti".
 
L'incontro in Vaticano, "che si inserisce - ha detto Bertone - come una gemma nelle iniziative per la conclusione dell'Anno sacerdotale", è stato promosso dai sacerdoti aderenti al movimento dei Focolari, dal movimento di Schoenstatt, dal Rinnovamento carismatico cattolico internazionale e da altre aggregazioni ecclesiali. "Sacerdoti oggi", il titolo della manifestazione alla quale hanno partecipato preti provenienti da oltre 70 Paesi. ""Sacerdoti" e non "sacerdote":  per dire che la nostra vita - ha chiosato il cardinale - si declina al plurale. Il sacerdote è l'uomo della comunione, e mi piace sottolineare che il respiro della comunione è un elemento fondamentale per la salute del corpo della Chiesa".

A scandire l'incontro una serie di testimonianze. Un sacerdote dell'Irlanda sulla fedeltà alla vocazione. Dal Burundi, i sopravvissuti all'assalto al seminario minore di Buta. Dalla Germania, un prete che ha superato l'esperienza dell'alcolismo grazie all'aiuto della sua comunità. E, infine, la testimonianza teologica del cardinale arcivescovo di Santiago del Cile, Francisco Javier Errázuriz Ossa, insieme alla rivisitazione di alcune pagine di Chiara Lubich, fondatrice dei Focolari, e di padre Josef Kentenich, fondatore di Schoenstatt. Il tutto suddiviso in tre momenti, che come in un mosaico hanno  contribuito a formare l'identikit dei sacerdoti oggi:  uomini di Dio; fratelli tra i fratelli, nell'unico popolo; profeti di un mondo nuovo. E ogni "tappa"  introdotta  da  brani  in video  dell'incontro di Benedetto XVI con i sacerdoti, nel luglio del 2005 ad Aosta.

"Il primo scopo della mia venuta fra voi è quello di portarvi il saluto, l'affetto e la benedizione di Benedetto XVI", ha detto il cardinale Bertone che ha assicurato come il Papa abbia "manifestato il suo apprezzamento verso i movimenti ecclesiali, che hanno voluto questo convegno nel segno dell'unità e della fraternità". Quello che emerge dal convegno - ha proseguito - è "il percorso di una vita sacerdotale robusta e generosa, improntata a "una radicale forma comunitaria", secondo la ricca espressione dell'esortazione apostolica Pastores dabo vobis, che fa del sacerdote un tutt'uno con il vescovo e il presbiterio e che si trova in rapporto di corresponsabilità con i fedeli laici".
Per Bertone, "non lo si dirà mai abbastanza che il sacerdote è un uomo di Dio, icona di Cristo, e questo non solo quando prega o celebra i sacramenti, ma in tutta la sua vita, egli è immagine di Dio che è Amore - Deus caritas est - della sua misericordia, dell'Amore crocifisso".

I sacerdoti, inoltre, "sono essenzialmente fratelli tra i fratelli nei quali ravvisano il volto di Cristo. Fratelli di ogni persona umana, degli uomini e delle donne, da amare e da servire con totale dedizione, senza nessun attaccamento, senza ricerca del proprio interesse. Allora si comprende l'attualità e la bellezza del celibato. E in voi questa bellezza risplende di quell'amore incondizionato che è sempre stato tenuto in grande considerazione nella Chiesa, come segno e stimolo della carità e come una speciale sorgente di fecondità nel mondo".

La Chiesa e l'umanità "hanno bisogno di sacerdoti di questa tempra, di autentici "profeti d'un mondo nuovo"; quel mondo iniziato con la venuta di Cristo, in continuo divenire, in continua formazione".
Rivolgendosi in particolare ai "cari amici sacerdoti", il cardinale Bertone ha quindi sottolineato come "in questo tempo, ci siamo dovuti far carico del dolore per le infedeltà, a volte anche gravi, di alcuni membri del clero, che hanno inciso così negativamente sulla credibilità della Chiesa, per cui il Papa rispondendo ai giornalisti durante il recente viaggio in Portogallo, ha parlato di una "persecuzione" che nasce dall'interno stesso della Chiesa".

Tuttavia, - ha aggiunto Bertone citando la Lettera pastorale ai cattolici dell'Irlanda - "da questo dolore scaturisce una presa di coscienza provvidenziale:  occorre vivere "una stagione di rinascita e di rinnovamento spirituale", seguire "con coraggio la via della conversione, della purificazione e della riconciliazione", "trovare nuove vie per trasmettere ai giovani la bellezza e la ricchezza dell'amicizia con Gesù Cristo nella comunione della sua Chiesa", come ci ha invitato a fare Benedetto XVI". Sin dall'indizione dell'Anno sacerdotale - ha concluso il cardinale Bertone - "il Papa ci ha orientati, inoltre, a "cogliere la nuova primavera che lo Spirito sta suscitando ai giorni nostri nella Chiesa, non per ultimo attraverso i Movimenti ecclesiali e le nuove Comunità" (Lettera di indizione, 16 giugno 2009). Siatene certi, soprattutto voi che trovate la linfa vitale per la vostra santità sacerdotale proprio nell'ambito di alcuni di questi movimenti ecclesiali".

Al termine dell'incontro la celebrazione dei vespri. Nell'omelia il cardinale Cláudio Hummes, prefetto della Congregazione per il Clero, ha parlato della stagione di "rinnovata Pentecoste" alla quale in primo luogo sono invitati i presbiteri nel rispondere alla missione loro affidata dal Signore. "Il sacerdozio ministeriale - ha detto inoltre - di cui voi, sacerdoti, siete stati insigniti sacramentalmente, vi ha configurato a Cristo, capo e pastore del popolo di Dio. Con tutte le altre membra del Corpo, siate discepoli di Gesù. Ciò è determinante perché così siete entrati nella strada della salvezza. Eppure, per l'ordinazione presbiterale siete non soltanto discepoli, ma anche capi e pastori della comunità dei discepoli.

Capi non nel senso mondano, ma piuttosto come servitori del popolo di Dio. Sant'Agostino lo disse alla sua comunità:  "Con voi sono cristiano, per voi sono vescovo". In conseguenza, il presbitero è pastore sempre, ventiquattr'ore al giorno, e bisogna assumere questa identità e questo ministero con lo stesso amore che Gesù richiese da Pietro:  "Tu mi ami?" e Pietro:  "Signore, tu sai che ti amo" e Gesù:  "Pasci le mie pecorelle"".


(©L'Osservatore Romano - 10 giugno 2010)
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21/09/2010 18:44
 
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Cultura e religione nella Napoli settecentesca in un volume di monsignor Dovere

Il buon governo
del clero



di Michele Giordano
Cardinale arcivescovo emerito di Napoli

Un buon affresco sul clero cattolico d'età moderna, a partire dalla storia religiosa e culturale di Napoli, una delle più grandi e, complesse capitali dell'Europa di antico regime. Questo è in sintesi l'ultimo volume di Ugo Dovere, storico della Chiesa, che insegna alla Facoltà teologica dell'Italia meridionale (Il buon governo del clero. Cultura e religione nella Napoli di antico regime. Roma, Edizioni di storia e letteratura, 2010, pagine XVI + 318 con 16 tavole fuori testo, euro 46, "Biblioteca di storia sociale", 36).

Il saggio si basa su un dossier del 1804, ritrovato dall'autore nell'archivio storico diocesano di Napoli. Si tratta di una corposa relazione, che l'appena nominato arcivescovo di Napoli, il cardinale Luigi Ruffo Scilla (1750-1832), aveva commissionato a un anziano sacerdote napoletano per farsi raccontare i costumi del clero della Chiesa che andava a reggere. E poiché il fidato collaboratore non si risparmiò, grazie alla freschezza del linguaggio e alla franchezza del dire di questo purtroppo anonimo prete napoletano del Settecento, si può comprendere qualcosa in più sulla storia della Chiesa nella cruciale stagione di passaggio dall'età moderna a quella contemporanea.

Il clero del Settecento, almeno quello in cura d'anime, attesta un elevato livello culturale, documentando il distacco dalle prime generazioni post-tridentine, che avevano faticato a raggiungere standard adeguati. Gli strumenti di selezione messi in moto nella seconda metà del XVIi secolo avevano portato i chierici fuori dalle secche del semi-analfabetismo derivante dal pasticciato ed effimero apprendistato, che compivano presso le loro parrocchie o presso qualche prete più distinto, in vista del conseguimento di uno striminzito beneficio. Il fenomeno non fu ovviamente lineare, tuttavia è certo. Come del resto è assodata la persistenza di difetti antichi, difficili da disciplinare:  la fuga dalla formazione seminariale attraverso il chiericato esterno, la ricerca dell'ufficio ben retribuito, il vizio della "raccomandazione", la sciatteria e l'imperizia nella predicazione, la fatica d'accettare la residenza canonica, l'inadeguatezza o la malafede nel servizio al confessionale.

La ricerca di Dovere, dedicando ampio spazio agli elementi della formazione sacerdotale e della cura animarum, consente di scandire le tappe di questo processo. È più difficile invece, perché quasi del tutto lasciato sotto silenzio, tracciare un quadro dei comportamenti morali del clero del periodo. Riferimenti indiretti ad armi, frequentazioni, abbigliamento, vita in famiglia e carrierismo clientelare lasciano intuire un panorama piuttosto frastagliato. Scarse sono pure le informazioni che si riferiscono ai risvolti sociali della condizione sacerdotale nel mezzogiorno d'Italia. Il gran numero di ecclesiastici infatti costituì un bruciante problema politico nell'età del riformismo borbonico, ricadendo negli interessi sia della politica economica del regno sia dell'ordine pubblico, spesso messo in crisi dallo stile di vita marginale di quegli "abati di mezza sottana" di cui erano piene le gazzette del tempo.

L'immagine di prete che emerge corrisponde ancora sostanzialmente a quella delineata a Trento, che non era completa, ma comunque conteneva in nuce tutti gli elementi di carattere dottrinale e pastorale, che negli anni successivi si sarebbero sempre più evidenziati, specie attraverso le proposte di spiritualità sacerdotale. Come il Concilio individuava alcuni decisivi elementi negativi degni di censura e ne proponeva altri positivi da introdurre e incentivare, allo stesso modo oltre due secoli e mezzo dopo si operava a Napoli e altrove, delegando all'arcivescovo la responsabilità della repressione degli abusi e della promozione degli strumenti di miglioramento dello stato ecclesiastico.

Il dossier napoletano menziona appena gli aspetti più specificamente spirituali della vita del clero, mentre molto spazio dedica alla cura animarum, che della spiritualità sacerdotale è indispensabile controparte. Essa infatti richiede importanti qualità, come obbedienza senza ipocrisia per la formazione, vasta dottrina e prudenza per la confessione e la predicazione, zelo per l'amministrazione della parrocchia, compassione e disponibilità per l'assistenza ai moribondi. Da qui il ricorso - allora come oggi - alla formazione profonda e non superficiale in fatto di Bibbia e liturgia, sulla dignità sacramentale dello status, sui doveri ministeriali, sulla testimonianza personale di pietà e moralità. Tuttavia, la preferenza data agli studi compiuti, come elemento di premialità, a prima vista sembra mostrare la volontà di una qualificazione culturale del clero, ma in realtà svela la difficoltà di trovare elementi oggettivi nell'ambito valutativo della crescita spirituale e morale dei candidati.

Dal documento emerge un'idea di fondo molto antica e diffusa, a Napoli incarnata nella figura e nella dottrina di sant'Alfonso Maria de' Liguori, e cioè che il buon prete è il santo prete. Quello cioè che, conservandosi fedele alle tradizioni, non fa scolorire - per usare la metafora del testo - "la bellezza del suo ottimo oro di santità", alimentato dalla cultura e dalla generosa fatica pastorale, e assolve con coscienza al "tremendissimo ministero".

È interessante notare che, ben diversamente da quanto avveniva altrove in Italia, l'autorità civile a Napoli non intervenne sull'insegnamento impartito nei seminario. Al nord, nei territori imperiali, il Governo asburgico agiva direttamente in questo settore con un generale programma di centralizzazione, tale da condizionare i modelli disciplinari e i curricula di studio per fare del "buon prete" un bravo "funzionario statale" attivo sul territorio. In maniera non dissimile, un modello unico sembrava imposto anche in area sabauda attraverso l'accademia di Superga, dove si formavano i candidati alla dirigenza ecclesiastica secondo un modello francese e filo-giansenista. Nel Mezzogiorno invece un simile orientamento era impensabile, sia per la sostanziale assenza di un unitario programma di studi offerto dallo Stato, sia per il prevalente stile delle Chiese locali, legate alla struttura familiare e paesana, di cui erano significativa rappresentanza le "chiese ricettizie" e il numeroso chiericato esterno, sopravvissuto anche all'unità d'Italia.

Il colto prete napoletano doveva esercitare il suo ministero principalmente attraverso la confessione e la predicazione. La confessione era praticata in maniera diffusa fra il popolo, anche se i suoi contenuti sfuggono inesorabilmente allo storico, per emergere riflessi nei più diffusi comportamenti morali di massa. La buona, indispensabile preparazione richiesta al confessore mirava a favorire nei penitenti l'interiorizzazione dei temi morali e sociali, ossia la ricerca della santità, nonché di nuovi modelli di comportamento, che peraltro trovavano sponda in molti provvedimenti della legislazione civile. La predicazione invece non era per tutti, ma solo dei "pagellati", ossia di quei preti che avevano conseguito una specifica abilitazione.

I predicatori andavano incontro alle attese di un pubblico vasto, anche se non per forza motivato religiosamente, che ai piedi del pulpito ricercava spesso il "diletto" più che la Parola di Dio, condizionando pesantemente i predicatori in voga, quelli cioè che richiamavano le folle e riempivano le chiese. Per la verità a Napoli si predicava con sufficiente zelo e qualità. Né poteva essere diversamente, se si considera che i migliori predicatori provenivano dall'eccezionale palestra delle missioni popolari, che li educavano all'esercizio del ministero senza attesa di lucro e con stile semplice e comunicativo.

Nel documento sul buon governo del clero studiato da Dovere, alcuni fondamentali elementi della vita sacerdotale sono ben illustrati, per taluni settori persino nei dettagli più minuti. Risultano perciò ancor più incomprensibili certi silenzi dell'anonimo redattore, che sembra ignorare questioni delicate e non marginali della vita civile ed ecclesiale del periodo. Ma probabilmente non si va lontano dal vero, se si fanno dipendere i suoi silenzi dalla sottovalutazione dell'incidenza che sulla vita del prete esercitavano gli elementi storico-ambientali, e dalla sostanziale  indifferenza al contestuale dibattito culturale, che pure, con lo spirito illuministico, stava introducendo nel mezzogiorno d'Italia i presupposti d'una secolarizzazione, solo ritardata rispetto ad altre parti d'Europa, dalle radicali chiusure del Governo borbonico.

La lettura dell'antico documento napoletano fa emergere rimpianti nostalgici del redattore e qualche suo personale risentimento, che peraltro impreziosiscono di credibilità il dossier. Ma per l'ampiezza del quadro e per la vivacità del dettato, i suggerimenti per il buon governo del clero si fanno indicativi di un'epoca e di un'immagine di prete, che l'arcidiocesi di Napoli condivideva con la Chiesa di antico regime in area mediterranea.

All'alba del xix secolo, a un cardinale che prendeva possesso della più importante arcidiocesi del mezzogiorno d'Italia si suggeriva d'applicare in maniera integrale e rigorosa quanto disposto dal concilio di Trento due secoli e mezzo prima, sia pure interpretato e affiancato dalla scarsamente creativa legislazione sinodale successiva. Opportunamente Dovere si interroga. Era il segno dell'attualità delle disposizioni tridentine? Oppure era la prova di un sostanziale fallimento delle norme conciliari, circoscritte dal versante dottrinale e poco o male applicate fino ad allora? E opta per una posizione intermedia, che tiene conto sia dei radicati convincimenti dottrinali, sia delle vistose resistenze sul piano delle realizzazioni pastorali.

Nel corso dell'età moderna è stato dato per acquisito il carattere sacramentale dell'ordinazione sacerdotale e quello sacrificale della celebrazione eucaristica. E sul piano pratico s'è operato per eliminare gli abusi derivanti da indirizzi di vita diversi, manifestati nell'esercizio della cura animarum. Erano gli stessi preti nella pratica ministeriale e i seminari con i loro programmi formativi a dare consistenza a un modello sacerdotale poi passato come tridentino, che risentiva piuttosto dello stile dei chierici regolari, da cui ci si cominciò a liberare solo nel XVIii secolo, sulla scorta d'una nuova spiritualità proveniente dalla Francia, proposta come specifica del clero diocesano. I fenomeni che coinvolsero il clero - dalla riflessione teologica di natura sacramentale alla condanna e repressione degli abusi in campo pastorale - sono stati fatti rientrare in quel vasto processo di disciplinamento. Sta di fatto che la varietà dei comportamenti sociali mostra una Chiesa compatta nella riconferma dottrinale e giuridica dei principi, ma anche duttile e attenta al caso per caso sul piano della prassi pastorale.

La resistenza di chierici e preti all'uso dell'abito, come ripetutamente richiesto dalla legislazione canonica, era indizio d'una irriflessa resistenza ai processi di disciplinamento. E lo stesso valeva per il vezzo di barbe e parrucche, a cui non sfuggivano neppure i vertici delle gerarchie ecclesiastiche. Il processo di qualificazione culturale del clero, pur avendo trovato sostanziale applicazione in una grande capitale come la Napoli settecentesca, non riusciva a impedire che, con mezzi miserevoli, ecclesiastici di basso profilo raggiungessero alte responsabilità gerarchiche o calcassero ingloriosamente i pulpiti più prestigiosi. Lo stesso popolo delle parrocchie, ritenuto di solito disciplinato nei comportamenti devoti di massa per la forte guida dei parroci confessori, mostrava di fatto un volto antico di fragilità nella fede e di disordine nel vissuto, tanto che la pratica liturgica o il culto eucaristico extra Missam diventavano occasione di preoccupazione pastorale e di disordine sociale.

Si deve allora concludere che il pieno controllo del clero e la sua perfetta e uniforme organizzazione sono fondamentalmente un auspicio, difficilmente un'esperienza compiuta. Malgrado ciò, come ricordava Benedetto XVI nell'omelia della messa per la conclusione dell'Anno sacerdotale, l'"audacia" porta Dio ad affidare se stesso a esseri umani, pur conoscendo le debolezze di cui sono capaci i suoi ministri. Solo la vicinanza a Lui e l'imitazione del modello sacerdotale offerto da Gesù Cristo possono insegnare a governare i cuori e quindi a superare le personali fragilità che il popolo di Dio talvolta coglie.



(©L'Osservatore Romano - 22 settembre 2010)
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17/02/2011 12:16
 
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“Noi seminaristi non siamo una categoria in estinzione”


Celebrato a Castel Gandolfo il V incontro internazionale di seminaristi focolari


ROMA, venerdì, 9 gennaio 2009 (ZENIT.org).- Il numero dei seminaristi nel mondo è passato dai 50.000 di alcuni decenni fa agli oltre 72.000 attuali, con una notevole crescita in America Latina, Asia e Africa, anche se c'è una forte diminuzione in Europa.

E' questo uno dei dati principali resi noti dal teologo Hubertus Blaumeiser, assessore della Congregazione per l'Educazione Cattolica, durante il V incontro internazionale di seminaristi focolari svoltosi a Castel Gandolfo (Roma) nei primi giorni dell'anno.

Il congresso ha riunito dal 2 al 4 gennaio nel Centro Mariapolis circa 500 seminaristi dei cinque continenti appartenenti al Movimento dei Focolari sul tema “C'è una via... la sfida delle relazioni umane”.

L'incontro è terminato con la partecipazione all'Angelus in Piazza San Pietro, in cui Benedetto XVI ha rivolto alcune parole ai partecipanti, che ha accolto “con gioia” e di cui ha benedetto “di cuore” il cammino.

Il congresso si è concentrato sulla formazione dei candidati al sacerdozio, in particolare sulla loro preparazione umana e spirituale per migliorare il rapporto con i fedeli.

Secondo quanto ha spiegato Blaumeiser durante le sessioni, “essere sacerdote non offre più una posizione privilegiata, ma richiede una scelta controcorrente, una scelta di Dio più profonda”.

Un altro oratore, lo psicologo e rettore del seminario di Münster (Germania) Andreas Tapken,

ha avvertito del rischio di vivere il celibato come un'“affettività repressa” o “una forma di vita ridotta”, sottolineando che la vocazione sacerdotale deve invece “rispondere alle aspettative di una società sempre più chiusa nel privato, in un individualismo che isola nella solitudine e ci rende incapaci di aprirci alla scoperta dell'altro”.

“I sacerdoti sono celibi, non zitelloni”, ha aggiunto.

Secondo quanto ha spiegato il Cardinale Zenon Grocholewski, prefetto della Congregazione per l'Educazione Cattolica, il sacerdote è chiamato a “costruire una trama di relazioni intessute dall'amore evangelico – soprattutto relazioni con Cristo, con il Vescovo e con gli altri sacerdoti, con tutta la comunità di fedeli, in definitiva con l'umanità intera”.

Il porporato, citando la fondatrice del Movimento dei Focolari, Chiara Lubich, morta il 14 marzo scorso, ha invitato i seminaristi a “fare propri i dolori del mondo come Gesù sulla croce, che con il grido di abbandono ha unito gli uomini a Dio e tra loro”.

Da parte sua Maria Voce, attuale presidente dei Focolari, ha invitato i futuri sacerdoti a “vivere, ciascuno nel proprio ambiente, l'arte di amare, suscitando molte cellule vive, così che nei seminari, nelle facoltà di Teologia, nelle parrocchie, ovunque, si avverta la presenza viva di Cristo”.

La Voce ha chiesto ai seminaristi di formare “una rete di unità”, proposta lanciata quarant'anni fa da Chiara Lubich che ha dato origine al movimento focolare GEN'S (generazione nuova sacerdotale).

“Con lo spirito dell'unità, i giovani seminaristi non solo hanno salvato la loro vocazione, ma hanno suscitato durante il periodo in seminario un'irradiazione di unità tale da aver attratto molti altri giovani”, ha aggiunto.


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23/04/2012 21:40
 
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Io, sacerdote, scandalizzato...
Poche volte mi capita di ascoltare omelie che lasciano il segno, attraverso le quali l'anima si rende conto di trovarsi davanti la Verità. Ma quando questo succede non posso che condividere con altri la Gioia che resta nel cuore. Buona lettura.



Io che per voi sono sacerdote, ma con voi sono cristiano, qualche volta mi scandalizzo. Poche volte… e non sono le debolezze umane a scandalizzarmi, piuttosto l'arroganza ridicola e assurda di chi pretende di essere qualcuno o qualcuno importante. Questo mi scandalizza. Di chi pretende di sapere più di coloro che sanno davvero e questo è il segno della più patetica di tutte le ignoranze. E questo mi scandalizza. Dirsi cristiano o cristiana e poi infischiarsene olimpicamente di quanto la Chiesa, nella voce dei legittimi pastori professa, difende e insegna. Questo mi scandalizza. Parla duro, oggi, il Signore nel Vangelo e, scusatemi, per oggi parlerà duro anche questo Suo sacerdote.






(nella foto Padre Juan Pablo Esquivel)




Mi scandalizza l'atteggiamento, balordo e maleducato, di chi, dicendosi cristiano o cristiana non sa trattare con un minimo di rispetto e considerazione il Papa, i Vescovi, i ministri di Dio. Mi scandalizza l'incoerenza brutale di troppi cattolici che nella vita pubblica e nel modo di trattare gli altri disdicono con patetica sfrontatezza tutto quanto poi vengono a "professare", tra virgolette, in chiesa. Mi scandalizza la madornale stupidità di chi usa internet per rinnegare la propria appartenenza alla Chiesa, affrettandosi ad appoggiare il primo scemo che abbia qualcosa da dire contro la Chiesa. "Il Papa venda il suo anello per sfamare gli affamati del Congo". Andiamo a mettere in vendita, all'asta, la Pietà, così sfamiamo la gente di chissà dove… e andando non solo a sottoscrivere, ma anche a condividere pornografia, bestemmi e scelleratezze ed esserne fiero. Questo mi scandalizza. Così facendo non sono né freddi né caldi, né cristiani né atei… sono tiepidi.

Ebbene, col Libro dell'Apocalisse io vi ricordo che "i tiepidi saranno vomitati dalla bocca di Dio." E dico tutto questo non nascosto dietro la sicurezza vigliacca di un computer, nel soggiorno della propria casa, ma dalla cattedra più sacra che ci sia in questo Paese, dalla cattedra della Parola di Dio. Mi scandalizza che ben lungi dal prendere decisioni coraggiose, anche radicali - il Signore parla oggi di tagliare una mano, un occhio, un piede - per il bene della propria salvezza eterna, preferisce tagliare e ritagliare il tempo della preghiera, della messa, della catechesi, dell'adorazione, della confessione e di tutto quanto mantiene effettivamente viva la propria fede. Il resto non si tocca. Ma in quanto alla fede si riferisce accomodatevi, siamo alla svendita totale.

Mi scandalizzano i genitori che, anziché farsi aiutare dagli altri educatori, anche quelli dell'ambito della fede, tagliano ogni eventuale correzione o richiamo, generando così piccoli bulli e teppisti, totalmente impreparati per la vita e destinati con ogni probabilità al più strepitoso fallimento in tutti i campi della vita. Altro che genitori… Complici! I primi e inescusabili responsabili della vita sciupata dei figli, che pensano che il parroco debba essere un simpaticone disposto a fare tutti gli sconti immaginabili se vuole che il figlio o la figlia vengano alla catechesi. Ebbene, capitelo bene, una volta per tutte, il parroco non è qua per accontentare tutti, ma per insegnarvi l'ardua e impegnativa via della salvezza. Di tagli parla oggi il Signore. Bene! Io ve ne suggerisco la versione aggiornata. Si tagli la lingua chi la usa per diffamare, per spettegolare, per calunniare, per uccidere. Tagli la linea telefonica chi la usa per distruggere l'unità delle famiglie, delle comunità, delle persone. Tagli la connessione di internet chi la usa per rimanere "appoltronato" nella mediocrità di un mondo virtuale nel quale di impegno o apporto positivo non c'é proprio nulla, tranne che un patetico cyber-fannullare che fa perdere in modo penoso il senso della realtà, nonché dare una patetica visione dei propri squallidi interessi. Dia un taglio alla superficialità, alla banalità, alla vanità, alla superbia petulante chi vive chiuso nel proprio egocentrismo, incapace di scoprire quanta silenziosa sofferenza si aggira nel nostro mondo, nel nostro tempo.

L'ultima frase del Vangelo odierno parla dell'Inferno, del quale io vi parlo sempre molto poco perché preferisco orientarvi in positivo, ed è una scelta che mantengo, evidentemente, ma più di una pecora insolente farà bene a ricordare oggi e ogni tanto, la drammatica possibilità che incombe sulla vita di ognuno di noi. Lo stesso Signore che insegna oggi che chi non è contro di noi è per noi, è quello che dice, senza contraddirsi, che chi non è per Lui è contro di Lui. E che chi non raccoglie con lui, disperde.

Quel Signore che esige decisioni chiare ed effettive, non solo affettive, non solo chi dice "Signore, Signore" entrerà nel Regno dei Cieli, ma chi compie veramente la volontà del Padre. Quel Signore che attende prese di posizione senza tentennamenti e senza ripensamenti. Nel professare adesso il Credo, io intendo rinnovare a Lui la mia fede assoluta e la mia disponibilità totale alla Sua volontà, fede che si deve dimostrare nell'obbedienza alla Sua Parola. Obbedienza… non è una parolaccia. Obbedienza alla Parola di Dio. Chi non è disposto all'obbedienza della fede… sì, perché la fede implica un'obbedienza, non può essere cristiano.

Chi non è disposto all'obbedienza della fede, se ne torni a casa, perché viene in chiesa a perdere il tempo. Chi è disposto, ma non solo adesso, bensì per tutta la vita, a mostrare al Signore la disponibilità della Madonna, degli angeli che rimasero fedeli, dei santi di tutti i tempi, professi allora ad alta voce, con me, il Credo, ma non solo con le labbra, ve ne prego… con il cuore, anzi, con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutte le forze, come ci insegna il primo comandamento. Amen.
(Testo e foto da Facebook)

E' possibile anche ascoltare l'omelia dalla diretta voce del Sacerdote.
www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=-Dh4lQLpqxo


Read more: sursumcorda-dominum.blogspot.com/#ixzz1stUoJLwr


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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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