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Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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MA CHI SONO I FALSI MAESTRI, COME RICONOSCERLI? (qui alcuni esempi) (3)

Ultimo Aggiornamento: 19/02/2020 13:43
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24/10/2012 17:00
 
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[SM=g1740771] .... non è certo con gioia, questa volta, che ci tocca aprire un terzo thread sui.... CATTIVI MAESTRI..... mentre quello sui BUONI MAESTRI è ancora scarso... segno di una evidentissima piaga nella Chiesa e di una proliferazione di maestri dai quali proprio Cristo ci mise in guardia.... PER IL SECONDO TREAD CLICCATE QUI, dentro troverete il collegamento anche al primo.....
Non ci divertiamo a fare questa sorta di elenco, ma è necessario per poter fare un sano discernimento, pregare per questi pastori storditi, e proseguire fiduciosi nel Magistero della Chiesa e non in quello dei singoli pastori quando parlano per se stessi....

Apriamo dunque questo nuovo thread con il sottolineare le asinerie di tale cardinale Kasper.
Veramente egli non è nuovo a certe uscite, ma le credavamo superate.....
Nel 2000 fu lo stesso allora Prefetto della Dottrina della Fede, cardinale Ratzinger, a doverlo correggere niente meno che con un Documento ufficiale che troverete cliccando qui al secondo post, egli scriveva queste parole:

La Congregazione per la Dottrina della Fede richiama l'attenzione sul fatto che la Chiesa ha inizio nella comunità dei 120 radunata intorno a Maria, soprattutto nella rinnovata comunità dei dodici, che non sono membri di una Chiesa locale, ma sono gli apostoli, che porteranno il vangelo ai confini della terra. Per chiarire ulteriormente si può aggiungere che essi nel loro numero di dodici sono allo stesso tempo l'antico ed il nuovo Israele, l'unico Israele di Dio, che ora — come fin dall'inizio era contenuto fondamentalmente nel concetto di popolo di Dio — si estende a tutte le nazioni e fonda in tutti i popoli l'unico popolo di Dio.

Questo riferimento viene rafforzato da due ulteriori elementi: 

la Chiesa in questa ora della sua nascita parla già in tutte le lingue. I padri della Chiesa hanno giustamente interpretato questo racconto del miracolo delle lingue come un anticipo della Catholica — la Chiesa fin dal primo istante è orientata «kat'holon» — abbraccia tutto l'universo.
A ciò fa da corrispettivo il fatto che Luca descriva la schiera degli ascoltatori come pellegrini provenienti da tutta quanta la terra, sulla base di una tavola di dodici popoli, il cui significato è quello di alludere alla onnicomprensività dell'uditorio; Luca ha arricchito questa tavola dei popoli ellenistica con un tredicesimo nome: i romani, con cui senza dubbio voleva sottolineare ancora una volta l'idea dell'Orbis.

Non si rende del tutto esattamente il senso del testo della Congregazione per la Dottrina della Fede, quando al riguardo Walter Kasper dice che la comunità originaria di Gerusalemme sarebbe stata di fatto Chiesa universale e Chiesa locale allo stesso tempo e poi continua: «Certamente questo rappresenta un'elaborazione lucana; infatti dal punto di vista storico esistevano presumibilmente sin dall'inizio più comunità, accanto alla comunità di Gerusalemme anche comunità in Galilea».
Qui non si tratta della questione per noi ultimamente insolubile, quando esattamente e dove per la prima volta sono sorte delle comunità cristiane, ma dell'inizio interiore della Chiesa nel tempo, che Luca vuol descrivere e che egli al di là di ogni rilevamento empirico riconduce alla forza dello Spirito Santo. Soprattutto però non si rende giustizia al racconto lucano, se si dice che la «comunità originaria di Gerusalemme» sarebbe stata allo stesso tempo Chiesa universale e Chiesa locale.
La realtà prima nel racconto di san Luca non è una comunità originaria gerosolimitana, ma la realtà prima è che nei dodici l'antico Israele, che è unico, diviene quello nuovo e che ora questo unico Israele di Dio per mezzo del miracolo delle lingue, ancora prima di divenire la rappresentazione di una Chiesa locale gerosolimitana, si mostra come una unità che abbraccia tutti i tempi e tutti i luoghi.


L'Ecclesiologia della costituzione «Lumen Gentium»

Card. JOSEPH RATZINGER
Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede
Da L'osservatore romano del 4 marzo 2000 

http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_20000227_ratzinger-lumen-gentium_it.html

****************

[SM=g1740733]  a quanto pare la delicatezza di Ratzinger nel correggere con mitezza le uscite stravaganti di Kasper, non è stata ripagata.... cosa ha combinato oggi il cardinale emerito "in pensione" e che farebbe bene a ritirarsi in una fervente clausura?

Niente meno che NEGARE I MIRACOLI DI GESU'.....

certi presuli invecchiando invece di santificarsi si perdono trascinandosi dietro non poche pecore, quindi attenti!!!
[SM=g1740729]
Leggiamo quanto segue:

Miracoli di Gesù: si inizia con lo smentire i primi, si finisce col negare il secondo

Gesù

Che resta del Salvatore se ci disfiamo dei suoi miracoli?

 

Per Kasper ed altri studiosi (ma non per tutti): “con una certa probabilità… non sono da considerarsi storici i cosiddetti miracoli naturali”. Perché allora gli evangelisti li avrebbero elaborati?  (…) Ma i miracoli di Gesù non sono fantasie della comunità primitiva. E, se togliamo i miracoli, di Gesù non restano altro che le parole. Che possono essere belle e consolanti ma, se non sono seguite dai fatti, sono aria fritta. Occorre diffidare anche delle ermeneutiche moderne che riducono al lumicino il soprannaturale. Gli evangelisti rendono un grande servizio alla verità storica: con piccoli tocchi realistici, sanno incastonare perfettamente lo straordinario nell’ordinario. Se gli elementi che contestualizzano il racconto sono storici, non si capisce perché poi, d’improvviso, questi stessi evangelisti debbano rapidamente trasformarsi in fantasiosi bugiardi.  Per conservare il profumo della Verità occorre mantenere la sostanza.

di Claudia Cirami dal sito papalepapale.com

 

Se c’è un miracolo che amo più degli altri è quello in cui Gesù, sulla barca scossa da onde impetuose e venti forti, viene svegliato dalle grida impaurite dei suoi discepoli – in Marco persino rabbiose – e si erge con autorità a placare la furia degli elementi della natura. Lo conosciamo con il titolo La tempesta sedata (Mc 4, 35-41; Mt 8, 23-27; Lc 8, 22-25). Così, qualche anno fa, sono rimasta davvero sconcertata leggendo queste parole sul testo del card. Kasper, Gesù il Cristo: “Alcuni racconti miracolosi si sono dimostrati, all’indagine della storia delle forme, come proiezioni dell’esperienza pasquale sulla vita terrena di Gesù, o come anticipazioni dell’attività del Cristo glorificato. Tra queste storie… il miracolo della tempesta sedata… Proprio i miracoli operati nella sfera della natura vengono quindi ad assumere il carattere di elementi accessori della tradizione originaria”. Non facciamoci ingannare dal frasario astruso da professore teutonico. Più in là, per evitare equivoci, il cardinale aggiunge: “con una certa probabilità… non sono da considerarsi storici i cosiddetti miracoli naturali”.

SE NON SA DOMARE NEMMENO UNA TEMPESTA… CHE SIGNORE È? 

Il miracolo della tempesta sedata, spesso liquidato sbrigativamente come invenzione della comunità cristiana delle origini.

Kasper sposa una tesi comune a molti studiosi (ma non a tutti): questi miracoli non sono mai avvenuti e sono stati elaborati, come mostrerebbe la storia delle forme, sul modello di racconti di prodigi di ambiente ellenistico o giudaico. Perché allora gli evangelisti li avrebbero inventati… pardon, elaborati? Perché la comunità cristiana primitiva ha considerato Gesù, dopo la sua Resurrezione, il Signore della vita: il suo potere doveva allora estendersi su ogni cosa, anche sulla natura. Da qui la necessità di creare i miracoli sulla natura. Ora, probabilmente, solo professori chiusi nei loro studi o nelle biblioteche delle facoltà teologiche possono fare con leggerezza di queste affermazioni, pensando che il credente comune non ne risentirà. La tempesta, per tutte le generazioni di cristiani che si sono succedute, è metafora di tutte le tempeste che squassano le nostre esistenze e la vita della Chiesa. I vangeli sinottici ci hanno raccontato che Qualcuno, duemila anni, fa ne aveva domata una vera. Ma se Costui non era in grado di domare nemmeno una tempesta in un lago (neanche fosse in mare aperto) come può avere la meglio sulle varie tempeste della vita? La tentazione per la fede è forte. Se poi viene detto che non solo questo, ma anche altri miracoli non sono che “prodotti” della comunità primitiva, la fede vacilla ancora di più.

PERCHÈ QUESTO DISAGIO? 

Del resto, il disagio che permane, anche negli studiosi cristiani, sembra incoraggiare in tal senso. Per esempio, entrando per ricerche nel sito del Pontificio Istituto Biblico, ho fatto una ben triste scoperta. Qui (http://www.biblico.it/doc-vari/bibl_nt.html#XV) è offerta, a studenti e studiosi, una bibliografia che viene definita “basilare” per la ricerca sui testi del Nuovo Testamento. Nella categoria “monografie”, alla voce “parabole” ci sono quasi 30 testi, mentre, incredibilmente, non esiste nessuna voce relativa ai miracoli e nessun testo “basilare” viene consigliato sull’argomento. L’introduzione alla bibliografia è chiara: “Questa selettiva raccolta bibliografica privilegia quegli studi che pare diano maggiore affidabilità scientifica, per i risultati conseguiti, o che siano in grado di aprire piste inesplorate nei molti settori dell’indagine biblica a favore dei giovani ricercatori”. Dunque, secondo chi ha redatto questa bibliografia, gli studi sui miracoli di Gesù non sono “affidabili” e non aprono “piste inesplorate”. Così i miracoli meritano soltanto di essere rintracciati, qui e lì, in studi generici, quasi fossero stati un accessorio nella sua vita. E questa non è l’unico caso di imbarazzo da studiosi.

GESÙ: NÈ PSICOTERAPEUTA ANTE LITTERAM, NÈ GUARITORE, NÈ CIARLATANO

Gesù mago: uno dei tanti tentativi di sminuire la figura del Nazareno.

Osservando questo disagio, verrebbe allora da pensare che hanno ragione quegli intellettuali che considerano i miracoli – chi più chi meno – prodotti mentali di cristiani fervorosi o quegli anticlericali che li ritengono storie astute inventate per impressionare gente credulona. Non è così.  Appena i miei studi me l’hanno consentito, ho scelto di occuparmi proprio dei miracoli, in particolare della Tempesta sedata. Per quello che mi riguarda, l’idea che mi sono fatta, studiando e confrontando i contributi di esegeti e storici, è che i miracoli di Gesù non sono fantasie della comunità primitiva.  Ed è quantomeno inspiegabile – se non sintomo di malafede – continuare a considerarli tali. Come è stato osservato “certamente Gesù non ha fatto solo miracoli. Sono altrettanto caratteristiche del suo comportamento le azioni simboliche: l’elezione dei dodici, l’invio dei discepoli, la comunione di mensa con i pubblicani e i peccatori, l’ingresso in Gerusalemme, la purificazione del Tempio e l’ultima cena. Ma Gesù ha impressionato e sconcertato i suoi contemporanei soprattutto con i miracoli” ( G. Theißen- A. Merz, Il Gesù Storico. Un manuale). Questo vale per tutti i miracoli, anche per quelli sulla natura. Il tentativo di dissolvere certi miracoli di Gesù e lasciarne altri – guarigioni ed esorcismi – non ci deve ingannare: non è per fare piazza pulita degli elementi leggendari al fine di rendere giustizia a quelli storici. È, invece, per dissolvere anche gli altri miracoli, i quali, poi, a poco a poco, poiché meno eclatanti, possono essere spiegati come liberazioni da suggestioni mentali, da patologie psichiche più o meno conclamate, da deliri allucinatori più o meno gravi. Il tentativo, insomma, di ridurre Gesù ad uno psicoterapeuta ante-litteram o uno dei tanti con fama da guaritori, esorcisti o maghi – molti dei quali ciarlatani – che solcavano le strade del mondo antico. Ammesso che sia davvero esistito, naturalmente: perché, spesso, a furia di togliere un miracolo di qui, una parola di là, molti lo hanno pure cacciato a pedate dalla storia, relegandolo al mondo mitologico. Se togliamo i miracoli, però, di Gesù non restano altro che le parole. Che possono essere belle e consolanti ma, se non sono seguite dai fatti, sono aria fritta: tanto per dirne una, per esempio, come ha notato qualcuno in modo molto acuto, solo uno che ridà la vista ai ciechi può proclamarsi Luce del mondo, senza temere di essere seppellito da risate di scherno.

NON DOBBIAMO ELIMINARE I MIRACOLI, NÈ LEGGERLI SECONDO IL MONDO

Parodia di Gesù nei Simpson. Anche se in negativo, è sempre un segno della sempre-verde attualità di Gesù di Nazareth.

A chi si ostina a negarli o a sminuirli, ricordiamo che il tempo ha letteralmente inghiottito la maggior parte di quelli che avevano fama di taumaturghi e di esorcisti vissuti, prima di lui o suoi contemporanei, e solo di alcuni ci sono rimaste poche tracce. Niente a che vedere con l’esplosiva e sempreverde fama di Gesù di Nazareth che ha spaccato in due la storia. Occorre, inoltre, stare in guardia non solo di fronte a certi studi che eliminano o riducono al lumicino il soprannaturale, ma anche rispetto a certe ermeneutiche moderne, che, pur offrendo qualche spunto interessante, vorrebbero interpretare i miracoli con categorie esclusivamente psicologiche, sociologiche, storiche o filosofiche: ora, per quanto il testo biblico, nella sua interezza – quindi anche i racconti di miracoli – non sia lettera morta, ma un testo che vuole e che deve essere parola viva per i credenti di oggi, non possiamo piegarlo a letture riduttive che, ancora una volta, hanno tutto l’interesse a togliere di mezzo il soprannaturale per sottomettere i versetti alle logiche terrene, ai desideri dell’inconscio, alle rivendicazioni sociali, alle letture femministe, etc…

Il GRANDE LAVORO DEGLI EVANGELISTI

Molti ritengono Gesù ancora più evanescente di come appare in questo santino: Lui, però, è ben ancorato nella storia.

Gli evangelisti hanno dato solide radici ai miracoli, evitando che questi si dissolvessero nella nebbia dei secoli come leggende edificanti. I Magnifici Quattro (Marco, Matteo, Luca e Giovanni, secondo un probabile ordine cronologico) descrivono il miracolo in modo asciutto, lo riportano anche quando gli apostoli fanno una pessima figura, non ne approfittano per fare l’elogio sperticato di Gesù. Rendono, inoltre, un grande servizio alla verità storica: con piccoli tocchi realistici, sanno incastonare perfettamente lo straordinario nell’ordinario, il mirabolante nel quotidiano, il prodigioso nel consueto. Un cuscino, un’indicazione geografica, il riferimento ad un tetto, i sintomi di una malattia… tutto serve per far capire che si tratta di fatti accaduti, non di favole. Non offrono racconti di cronaca, ovviamente. Scrivono i testi con precisi intenti teologici ma non per questo li inventano. I sapienti tocchi realistici hanno consentito, man mano che gli studi e le ricerche archeologiche sono andati avanti, di mostrare che questi racconti non sono prodotti a tavolino, ma nascono da ricordi reali di luoghi e situazioni che possiamo considerare altamente attendibili.

PER CONSERVARE IL PROFUMO DELLA VERITÀ

Certo, non troveremmo mai la prova regina dei miracoli e non certo perché all’epoca mancassero le videocamere. E’ la fede, infatti, che ci conduce all’accettazione di questi. I vangeli lo dicono chiaramente: anche di fronte ad un segno molto forte, accanto alle reazioni positive, c’erano anche quelle negative: ingratitudine, sconcerto, ostilità. Qualche avversario si è spinto persino a supporre che, forse, dietro le opere di quel rabbi galileo, ci fosse lo zampino del demonio. Le reazioni avverse di molti contemporanei di Gesù non ci devono scandalizzare: le sue azioni straordinarie non obbligano a credere. Non per questo, però, dobbiamo mettere in dubbio la loro esistenza. Se, come abbiamo osservato, gli elementi che contestualizzano il racconto sono storici, non si capisce perché poi, d’improvviso, questi stessi evangelisti che descrivono con grande aderenza al vero un luogo, una scena, un contesto debbano rapidamente trasformarsi in fantasiosi bugiardi quando introducono l’elemento soprannaturale. Non sono queste le regole della fabulazione, dell’invenzione, del mito. Così stiamo attenti a fare le pulci ai vangeli cercando di eliminare quei passi in cui ci sembra che gli evangelisti abbiano lavorato di fantasia. Perché si manomette la verità, si danneggia la serietà del lavoro di ricerca che c’è dietro, si perde di vista la vera identità di Gesù e, infine, si smarrisce la fede. Scriveva Guitton, nella sua opera Gesù: “Non critico coloro che respingono la verità evangelica, ma diffido di coloro che pretendono di possederla dopo averla respinta, che tolgono la sostanza e vogliono conservare il profumo

 

[SM=g1740771]



[Modificato da Caterina63 19/02/2020 13:43]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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[SM=g1740758] VATICANO II, LA LETTERA E I FUMI DEL PARACONCILIO - di Piero Vassallo

da RiscossaCristiana

La sera dell'otto ottobre, sulla rete televisiva Sette, Gad Lerner ha pilotato un dibattito sul Vaticano II nella direzione gradita dagli scolarchi bolognesi, tardi eredi delle illusioni nutrite dal card. Giacomo Lercaro, da don Giuseppe Dossetti e dal prof. Giuseppe Alberigo.

cv2La scuola di Bologna, nel dibattito rappresentata dal mellifluo epigono Giuseppe Melloni, era stata costituita negli anni Sessanta al fine di promuovere la de-ellenizzazione del Cristianesimo, ossia la separazione di fede e ragione quale propedeutica all'intesa dei cattolici con gli esponenti dell'ideologia progressista.

Lercaro, Dossetti e Alberigo non erano banditori dei torrentizi e innocui documenti stilati dai padri del Vaticano II ma antesignani di una cristianità conforme alle illusioni festanti e agli stati d'animo circolanti intorno all'aula conciliare. Stati d'animo che don Finotti ha puntualmente definito paraconciliari.

Ora l'effervescenza paraconciliare aveva avuto origine dalla fantasia dei teologi giornalisti, i quali,  obbedendo ai messaggi lanciati dalla propaganda sovietica e dalla chiacchiera stampata, pensava fosse in atto una sincera e pia autocritica dei pensatori comunisti.

Il giornalismo teologico, venuto allo scoperto dopo la morte di Pio XII, il papa che ne aveva denunciato e sconfessato il delirio, contemplava, infatti, tre abbaglianti e consolanti novità:

 

a. il Vangelo è vero socialismo.

b. il socialismo ateo sta diventando cristiano,

c. la Chiesa e il mondo sono prossimi a una felice e gongolante intesa.

 

Ingannato dalle notizie diffuse dai teologi di giornata, Giovanni XXIII, nell'orazione inaugurale del Vaticano II, "Gaudet Mater Ecclesia", sostenne che la condanna degli errori non era più necessaria, dal momento che gli erranti avevano incominciato a correggerli spontaneamente.

A distanza di cinquant'anni questa è la vera domanda sul paraconcilio: quale fu la fonte dell'inganno ordito dai teologi ai danni di Giovanni XXIII?

Papa Roncalli non era tenuto a conoscere lo stato dell'opera mai teologi che lo consigliavano non avevano il diritto di ignorare che la revisione dell'ideologia era indirizzata a nuovi e più deleteri errori, a una delirante blasfemia.

Fin dagli anni Trenta le avanguardie comuniste avevano iniziato la trasformazione mistica dell'ideologia. Il francofortese Walter Benjamin (un pensatore morto nel 1942) aveva rovesciato l'ateismo di Marx in un furente odio rivolto a Dio.

La scolastica fondata da Benjamin era al lavoro da venti anni e stava preparando la cultura di sinistra a quella rivoluzione decadente, cinerea e borghese (questa è la calzante definizione di Augusto Del Noce) che esploderà nel 1968.

E' dunque certo che la correzione degli errori era una fantasticheria, un'illusione generata dalla disattenzione o spacciata dall'ignoranza invincibile dei teologi trionfanti dopo la morte di Pio XII (morte che era invocata dall'orante e coerente prof. Alberigo, come è stato rammentato durante la trasmissione di Lerner).

La notizia dell'involuzione gnostica dell'ideologia comunista non era un segreto. Dell’invincibile attrazione che la capovolta teologia degli gnostici esercita nei confronti del pensiero moderno il cardinale Giuseppe Siri aveva scritto più volte a cominciare dal 1957.

In Getzemani il card. Siri affermerà: “Se si nega la capacità dell’intelletto di conoscere il mondo e si affida, more kantiano, questa conoscenza alla volontà, diventa estremamente facile raggiungere la tesi di una inconoscibilità naturale di Dio. È la fine della teologia razionale. In tal caso la croce di Cristo può non apparire più come la croce dell’umanità del Signore, che sussistendo nel Verbo raggiunge la efficacia salvifica, quella che redime, giustifica e fa consorti della natura divina. Dio allora può persino  apparire nel mondo, non come Signore, ma come impotente; la croce rovesciandosi tutto, può apparire come lo stesso mistero di Dio. Queste tesi che qualificheremo neognostiche, hanno come fondamento la linea di pensiero appunto condannata dal Vaticano primo, la linea che da Kant va ad Heidegger”.

Un allievo del cardinale Siri, nel 1958 e nel 1962, aveva scritto e pubblicato saggi finalizzati a richiamare l'attenzione degli studiosi cattolici sul slavina neognostica che stava devastando la cultura progressista.

L'ottimismo del paraconcilio era dunque teoreticamente infondato. Ingiustificata l'euforia che si impossessò del mondo cattolico durante e dopo il Vaticano II. Fatale il rovesciamento delle sue festanti attese nel fumo di satana, oggetto dell'accorata denuncia di Paolo VI.

Purtroppo il dibattito nel salotto di Lerner (e presumibilmente negli altri salotti televisivi, nei quali si celebrerà il cinquantesimo anniversario del Concilio Vaticano II) ha girato al largo del paraconcilio. La cultura di massa detesta le questioni scomode. Senza contare che l'omissione, probabilmente, è dovuta alla sopravvivenza delle illusioni paraconciliari nei pensieri e nei discorsi - laici e paracattolici - intorno alla rottura causata dall'immaginario Vaticano II.



[SM=g1740771]




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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28/11/2012 16:44
 
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“Casa di tolleranza religiosa”.
Bose, dal cristianesimo al sincretismo. 1° parte

BOSE: LA FEDE C’È.

MA NON SEMBRA

QUELLA CATTOLICA

unindagine

parte 1

Scusandoci con gli animi più sensibili, si parla di una casa dove si raccolgono le diverse religioni cristiane non cattoliche, ma il cui fondatore si ritiene un cattolico.
Si parla di quella “tolleranza religiosa” che, a nostro parere, non è più un rispetto della vera fede, ma confusione.
Bianchi non è prete e si è fatto monaco e priore da se stesso, essendone il “fondatore”, adattando una regola creata a ridosso dello “spirito del concilio” che Benedetto XVI ha condannato.
Siamo all’ennesimo caso in cui l’allergia alle dottrine della Chiesa Cattolica è evidente, ma dove non si vuole rinunciare a far parte in qualche modo della Chiesa, una Chiesa fatta a propria immagine e somiglianza.
Un conto è il progredire nell’ecumenismo autentico, altra cosa è il dare origine ad una Comunità, una “Casa di tolleranza”, nella quale le varie fedi cristiane non cattoliche – che si sono separate proprio perché rigettano le dottrine cattoliche – imparino la falsa dottrina di essere tutte sullo stesso piano della Chiesa e in qualche modo “nella” Chiesa. Nel “martirologio ecumenico” c’è posto per Buddha e Gandhi e i santi patroni sono solo semplici testimoni, come tutti gli altri…




e..... [SM=g1740771]

Casa di tolleranza religiosa.
Bose: non quante fedi ci son sotto lo stesso cielo,
ma quale Dio c’è sopra 2° Parte.


A Bose, I non cattolici vengono messi sullo stesso piano dei cattolici e, peggio ancora, sullo stesso piano di Pietro; anche i non cattolici dunque possono “confermare, riconfermare i fratelli”.
Ma Nostro Signore Gesù Cristo volle istituire con la sua Chiesa un mezzo sicuro ed efficace per trasmettere la Salvezza.
Il Cattolicesimo, dunque, non è solo una confessione tra le altre. Il fatto, poi, che il papa incontri Enzo Bianchi, gli stringa le mani, lo benedica, non significa affatto una conferma, come lascerebbe intendere Bianchi per farsi pubblicità.
Nei suoi discorsi la Scrittura non è la Parola di Dio custodita e interpretata dalla Chiesa, dice mons. Livi.
Certamente, in una qualche misura, a Bose, il centro è Gesù Cristo, ma spogliato del suo Corpo che è la Chiesa.
E ci pare giusto ribadire che é sufficiente non essere d’accordo su una sola parte della dottrina per non essere cattolici ma “cristiani separati”, separati dalla piena comunione con la Chiesa. Uno dei mali del periodo postconciliare, denunciato molte volte da studiosi attenti alle vicende della Chiesa, è la debolezza delle autorità nel correggere gli errori dottrinali.





[SM=g1740733]  a dimostrazione che nei due articoli riporto il vero, posto una voce assai più autorevole della mia....

L'anti-catechismo di Enzo Bianchi di Antonio Livi22-12-2012
 

Ci eravamo lasciati in aprile con una polemica a proposito di una meditazione che Enzo Bianchi, priore della Comunità di Bose, aveva pubblicato su Avvenire con una esposizione che contrastava con il Magistero della Chiesa cattolica (chi vuole riprendere gli argomenti di quella polemica può cliccare qui). Ora siamo in un altro “tempo forte”, l’Avvento, e di nuovo Bianchi - sempre dalle colonne di Avvenire - ha modo di propinare ai fedeli cattolici il suo anti-catechismo.

Il 16 dicembre si è messo a pontificare sul giudizio di Dio, e anche in questo contesto torna a riferirsi  a Cristo, nostro Signore, in un modo che certamente urta chiunque viva la fede cattolica e abbia pertanto un sentimento di vera adorazione nei confronti del Verbo Incarnato. A un certo punto Bianchi, riferendosi al giudizio universale, scrive: «Gesù confessa la sua ignoranza relativa all’ora precisa del giorno del giudizio: “Quanto a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli del cielo né il Figlio, ma solo il Padre” [Mc 13,32]. Se Gesù non conosce l’ora, annuncia però il criterio del giudizio: il concreto amore fraterno». Ora, parlare di Gesù come di uno che «confessa la sua ignoranza» suona a bestemmia, almeno per chi ama Gesù come il Verbo eterno, consustanziale al Padre, che tutto sa e tutto può. Solo chi è ormai assuefatto al modo di parlare di Bianchi, che si riferisce sempre solo all’umanità di Cristo (lasciando intendere che Egli è un semplice uomo: un uomo esemplare, di grande spiritualità, tanto da poter essere chiamato “Figlio di Dio”, ma pur sempre un uomo) resta indifferente di fronte a questo discorso.

Bianchi può continuare a parlare così perché sa di poter contare, da una parte, sull’appoggio di molti opinion makers laici ed ecclesiastici, e dall’altra sull’ignoranza religiosa del pubblico cui si rivolge. La gran massa dei fedeli cattolici, infatti, soffre di una specie di analfabetismo di ritorno in materia di dottrina cattolica, e questa ignoranza è il vero dramma religioso che ci interpella tutti. Il relativismo dottrinale ha pervaso a tal punto la coscienza di tanti fedeli – quelli che non hanno avuto mai una adeguata catechesi circa il dogma trinitario e cristologico – che ormai non reagiscono più nemmeno di fronte a discorsi che sono oggettivamente blasfemi. E infatti la maggior parte dei fedeli non avverte alcun disagio nel leggere considerazioni spirituali o teologiche che riducono l’Emanuele, il “Dio-con-noi”, il Santo che nasce dalla Vergine Maria e riceve l’adorazione dei pastori e dei Maghi, a un santone laico o a “uno dei profeti”.

Ma chi ha sensibilità pastorale deve ragionare così: proprio perché c’è una carenza sempre più estesa di formazione catechistica nel popolo, è responsabilità degli operatori della pastorale far sì che gli strumenti della catechesi sappiano fornire argomenti di riflessione che mettano in luce, e non in ombra, il dogma centrale della nostra fede. Se non si predica che Gesù è Dio, come si può sperare che ci sia culto eucaristico? Come si può sperare che i “lontani” ritornino alle pratiche religiose, che sono tutte incentrate sull’adorazione di Cristo, vero Dio e vero Uomo, presente nell’Eucaristia «in corpo, sangue, anima e divinità»? Come si può attuare il programma pastorale del Vaticano II, che chiede di fare dell’Eucaristia «il centro e la radice di tutta la vita cristiana»?

L’artificio retorico cui ricorre Bianchi è quello tipico del “biblicismo”, che Giovanni Paolo II deprecava nell’enciclica Fides et ratio.  Esso consiste nel citare solo alcuni passi della Scrittura, selezionandoli e  interpretandoli con un’ermeneutica arbitraria, cioè per dare una parvenza di giustificazione alle proprie tesi di natura ideologica. Da secoli l’esegesi cattolica ha chiarito il senso di quella pericope evangelica nella quale Gesù parla ai discepoli del giorno del giudizio finale. La Scrittura non dice assolutamente che Cristo sia “ignorante” riguardo ai decreti eterni del Padre: dice solo che la rivelazione dei misteri del Padre da parte del Figlio è limitata, per divina disposizione, ad alcuni determinati contenuti, ossia che la missione di Cristo, rivelatore del Padre, ha dei limiti precisi nell’oggetto, nei modi e nei tempi. Chi adopera il metodo esegetico corretto (che esige il ricorso costante all’analogia della fede) ha presenti i passi del Nuovo Testamento nei quali ci è chiaramente rivelata l’onniscienza di Gesù.

In effetti, in Gesù non c’è una persona umana e una persona divina: c’è una sola Persona, ed è la Persona del Verbo eterno, consustanziale al Padre e allo Spirito santo. Per questo Gesù dice di sé: «Nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio voglia rivelarlo». Questo Figlio, secondo il Vangelo di Giovanni (Gv 1, 1-8), è il Verbo, che «è presso Dio ed è Dio». Certamente Gesù, Dio fatto uomo, ha una conoscenza umana limitata, fatta anche di esperienza e di acquisizione di nuovi saperi: ma in Lui questa conoscenza umana è unita ipostaticamente a quella visione immediata di ogni cosa che compete all’onniscienza divina. Tutti ricordano l’espressione di Pietro, dopo la Resurrezione, quando si rivolge a Gesù e gli dice «Signore, tu sai tutto!». Prima ancora, Tommaso apostolo rivolge al Risorto questa esplicita professione di fede nella sua divinità: «Tu sei il mio Signore, tu sei il mio Dio!». La Tradizione non ha mai tralasciato di porre l’accento sulla divinità di Cristo. Si pensi, ad esempio, a come parla dei Novissimi (il tema di cui si è voluto occupare Bianchi in un altro articolo su Avvenire del 6 dicembre) san  Giovanni Crisostomo: «Quando Tu, vita immortale, discendesti incontro alla morte, allora annientasti l’Inferno con il fulgore della tua divinità; poi però, quando resuscitasti i morti dai luoghi sotterranei, tutte le potenze che sono sopra il cielo esclamarono: “Gloria a te, o Cristo, Dio nostro, che dai la vita!”».

Non è comunque solo il dogma cristologico a essere ignorato da Bianchi con il ricorso ad arbitrarie interpretazioni della Scrittura. Anche il tema della giustizia divina e del castigo delle colpe è maltrattato nello scritto del 16 dicembre su Avvenire. Con una sicumera che non si sa su che cosa possa essere fondata, Bianchi afferma perentoriamente che «Dio non ci castiga mentre siamo in vita». Subito dopo, per giustificare in qualche modo questa sua tesi teologicamente ingiustificabile, scrive: «In questo caso [nell’ipotesi, cioè, che Dio ci castigasse mentre siamo in vita, ndr] saremmo “costretti” ad agire secondo il suo volere, senza la libertà che appartiene alla nostra dignità umana». Si tratta certamente di considerazioni antropologiche prive di qualsiasi coerenza logica, perché l’ipotesi che Dio ci castighi mentre siamo in vita non comporta affatto la perdita della nostra libertà, che certamente è la condizione per praticare l’amore e avere meritare il perdono in questa vita e infine la salvezza eterna. Nella teologia cattolica il concetto di “castigo divino” è visto in rapporto alla colpa dell’uomo, e quindi presuppone nell’uomo l’esercizio del libero arbitrio, con la conseguente responsabilità personale, sia prima che dopo il castigo stesso; per questo la teologia morale ha creato la figura morale della “recidività”, ossia l’ipotesi di una colpa liberamente ripetuta anche dopo un’eventuale ammonizione e un’eventuale castigo, persino dopo un eventuale pentimento.

Ma preme qui rilevare soprattutto come Bianchi manipoli la Scrittura. Egli commenta e interpreta un passo biblico facendo finta di ignorare tutti quegli altri passi, sia dell’Antico che del Nuovo Testamento, dai quali si evince che Dio, nella sua sapienza e giustizia infinita, infligge talvolta ai peccatori un castigo, già nella vita presente, in vista del loro ravvedimento. Ma chi conosce la Scrittura non ignora invece che nell’Antico Testamento c’è il racconto del  diluvio universale, della distruzione di Sodoma e Gomorra, delle piaghe che Dio infligge agli Egiziani, delle vicissitudini degli Ebrei nei quarant’anni dell’Esodo (ed è significativo che Dio punisca molte volte il suo stesso popolo per le sue ripetute infedeltà, e alla fine anche Mosè, l’«amico di Dio», è castigato e impedito di entrare nella Terra promessa). Così come non ignora, per quanto riguarda il Nuovo Testamento, che san Luca narra negli Atti degli Apostoli l’episodio drammatico di Anania e Saffira, e che san Paolo e l’autore della Lettera agli Ebrei parlano dei mali temporali che devono essere interpretati come castighi che Dio infligge per indurre i peccatori alla penitenza.  Le considerazioni astratte che si fanno per negare questa verità di fede  sono basate su fantasiose teorie pseudo-teologiche, di cui ho trattato già in passato e che sarebbe lungo ripetere in questa sede.

Resta il rammarico di constatare come l’autore di questo anti-catechismo non solo goda di ampia popolarità fra molti vescovi, ma addirittura trovi modo di propagarlo sistematicamente attraverso il quotidiano ufficiale della Cei che, da parte sua, tratta tesi molto opinabili (per non dire altro) da “verità sacrosante” al punto da escludere qualsiasi altro punto di vista, invitando a “vergognarsi” chiunque ci provi.

********************

e ancora, in data 2007 leggiamo quanto segue, una denuncia di un Vescovo..... [SM=g1740771]

Alla Chiesa non servono intellettuali improvvisati
I cattolici riuniti nel convento di Bose hanno attaccato senza appello Radio Maria pretendendo di dare lezioni non richieste.

di Mons. GIROLAMO GRILLO, riportato da BOSECURIOSE

vescovo emerito di Civitavecchia-Tarquinia

In merito a un recente incontro di un gruppo di cosiddetti cattolici, appartenenti all'ala progressista della Chiesa, nel ben noto pacifico monastero di Bose, mi sento in dovere di fare qualche piccola riflessione in ordine ad alcune affermazioni che questi nostri fratelli pare abbiano fatto andando un tantino al di sopra delle righe. Francamente non si possono condividere alcune loro espressioni lette sui giornali, come la seguente: «Questi ultimi anni rappresentano una parentesi da chiudere nel rapporto tra Chiesa e politica...», per nulla evitando di soffermarsi sulle solite critiche ridanciane rivolte in fuoco incrociato anche da comici di spicco ad alcuni uomini di chiesa. Stranamente si invoca, poi, la riapertura dell'impegno del Concilio, quasi che quest'ultimo sia stato chiuso prematuramente, dimenticando che, per anni, si è anche invocato un nuovo Concilio. Incredibile, inoltre, la convinzione di volere essere i veri artefici dì quella che essi chiamano addirittura "una serena correzione fraterna", per far notare ai vescovi di aver imboccato una strada sbagliata, con una frase che una certa pubblicistica dì sinistra ha sempre attribuito al vecchio Sant'Ufficio, cioè all'attuale Congregazione per la Dottrina della Fede.

Quando poi i medesimi correttori, i quali naturalmente non riescono a vedere la trave esistente nel loro occhio, vorrebbero assestare un colpo alla (per loro) fastidiosa "Radio Maria", alla quale non dovrebbe essere lasciato il compito di formare le coscienze cattoliche, è chiaro che ci si debba sentire coinvolti in prima persona, proprio perché ci si rende conto del bene fatto finora da questa emittente cattolica, la quale fa di tutto per illuminare le coscienze, al fine di distoglierle soprattutto dall'ignoranza anche delle cose più essenziali della fede, secondo i dati del "Catechismo della Chiesa Cattolica" e della esegesi biblica più aggiornata. Si è convinti, infatti, che le comunicazioni sociali cattoliche e specialmente "Radio Maria", stiano facendo molto di più, soprattutto per evitare la totale scristianizzazione dell'Italia secondo i modelli consumistici e materialistici, di quanto non riescano a fare i convegni, per quanto dotti, e con tanti illustri partecipanti, come questo del monastero dì Bose.

È da pensare che ci si debba attendere da essi la solita risposta e cioè che quel che conta è fare la cosa giusta, cioè seguire il Vangelo. Ma non c'è scritto proprio nel Vangelo: «Ti benedico, Padre, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te»? Ed allora, come la mettiamo?
Della buona fede dei convenuti a Bose non si vuole dubitare, anche se i loro toni ed i loro messaggi peccano, come già detto, di una certa presunzione: quella di voler fare da maestri al Papa e ai Vescovi, sui quali, peraltro, Cristo ha voluto fondare la sua Chiesa.

(da "Il Tempo" del 8/7/2007)



[SM=g1740733]

[Modificato da Caterina63 23/12/2012 16:19]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Il Concilio Vaticano II e la scuola di Bologna
pubblicata da Ester Maria Ledda il giorno Domenica 16 dicembre 2012 alle ore 23.12 ·

di P. Giovanni Cavalcoli, OP (16/12/2012)

 

Sappiamo bene quanto sono importanti gli studi storici sui Concili Ecumenici e in particolare, oggi, gli studi sulle origini, lo svolgimento, le circostanze e le conclusioni del Concilio Vaticano II. Tra questi studi certamente il più ampio, documentato e famoso, è la storia del Concilio in cinque volumi elaborata dalla Scuola di Bologna guidata da Giuseppe Alberigo, emanazione del ricchissimo Centro di Documentazione per la Scienze Religiose fondato dal Card. Giacomo Lercaro, Arcivescovo di Bologna, uno dei Padri del Concilio, e Giuseppe Dossetti, che fu importante perito del Concilio.

 

L’opera notevole, di fama internazionale, anche per la quantità di qualificati collaboratori, diretta dall’Alberigo, è stata di recente riedita e riveduta. Essa ha suscitato una notevole discussione fra gli studiosi, come sempre accade, alcuni favorevoli, altri di tendenza critica. Tra questi ultimi emergono gli interventi dell’illustre storico vicino alla S. Sede, il Vescovo Agostino Marchetto, il quale, pur apprezzando i pregi dell’opera, le ha tuttavia rivolto una critica che mette in luce un’interpretazione del Concilio come quella che il Pontefice ha chiamato “esegesi di rottura”: il Concilio proporrebbe l’immagine di una nuova Chiesa finalmente e veramente evangelica, liberata dalla lunga “era costantiniana” di una Chiesa tradizionale sclerotizzata e consegnata al dogma; propone invece una nuova immagine di Chiesa profetica, ecumenica e pneumatica, di “comunione e kerigma”, legata al carattere di “evento” del Concilio stesso, per cui la novità escatologica (“nuova pentecoste”) dell’evento stesso supererebbe e annullerebbe la continuità con la precedente dogmatica invischiata in una scolastica che ormai ha fatto il suo tempo.

 

Nell’ultima edizione infatti l’Alberigo, nella presentazione dell’opera, esce in un discorso come il seguente: “È sempre più attuale riconoscere la priorità dell’evento conciliare anche rispetto alle sue decisioni, che non possono essere lette come astratti dettati normativi, ma come espressione e prolungamento dell’evento stesso”[1].

 

Notiamo anzitutto come Alberigo non dice: “È sempre più giusto o doveroso”, ma “è sempre più attuale”, il che potrebbe sembrare a tutta prima che egli si limiti ad una semplice constatazione di fatto; ma in realtà il tono dell’espressione lascia intendere l’atteggiamento tipicamente storiricista-modernista di identificare il vero con l’attuale o col moderno, come se non fosse il vero a valutare l’attuale, ma fosse l’attuale a determinare il vero. Per questa mentalità, oggi assai diffusa, se qualcosa è attuale, soprattutto se condiviso da una maggioranza o dalla classe dominante, è necessariamente vero o comunque da assumersi per non apparire superati o invecchiati.

 

Ma a parte questo partire di Alberigo col piede sbagliato, si possono fare altre osservazioni al suo discorso, che appare evidentemente, così messo nell’introduzione, come discorso programmatico e criterio ispiratore della stessa intera opera. Da qui l’interesse che esso suscita e l’importanza di vagliarlo criticamente.

 

Osserviamo dunque innanzitutto che è senz’altro lecito, da un punto di vista storico qual è quello dal quale del resto si pone Alberigo, parlare di una “priorità dell’evento” sulle decisioni finali, in quanto è chiaro che l’evento del Concilio contiene fatti, atti, comportamenti, dibattiti, contesti, situazioni, circostanze che vanno al di là delle semplici decisioni finali che pure fanno parte dell’evento.

 

Tuttavia occorre tener presente che gli insegnamenti del Concilio, contenuti negli atti ufficiali conclusivi, aventi valore di Magistero solenne e straordinario, soprattutto gli insegnamenti dogmatici, danno, quanto meno agli occhi del teologo e del fedele, il senso di fondo e la ragion d’essere essenziali dell’evento del Concilio, in quanto esso si è riunito appunto per prendere delle decisioni, che poi sarebbero state quelle date decisioni che tutti conosciamo.

 

Quindi, se, dal punto di vista storico, l’evento, con la ricchezza dei suoi elementi o fattori, prevale sul semplice fatto o dato dei documenti finali, questi ultimi, dal punto di vista teologico-dogmatico, presentano per i fedeli e per la Chiesa stessa l’interesse decisivo e principale rispetto a quanto è accaduto durane i lavori del Concilio, senza che perciò siano privi d’interesse o di incidenza sulle stesse conclusioni tutte le altre notizie pazientemente e scientificamente raccolte dallo storico su quelli che furono i lavori del Concilio, le sue origini, le sue vicende, il suo svolgimento, la sua durata, le sue fasi, quanti e chi ne hanno preso parte, la sua recezione, i fatti principali che ne seguirono e le cause storiche ed ideali che portarono alla sua indizione.

 

È chiaro che la conoscenza di tutti quegli elementi storici è di innegabile aiuto per capire meglio il senso e la portata delle decisioni finali, seppure spetti sempre al Magistero della Chiesa il compito della loro definitiva interpretazione.

 

Quello che invece non si può accettare nel discorso di Alberigo è il tono spregiativo col quale egli parla di “astratti dettati normativi”, pensando di averli messi fuori gioco col semplice qualificarli nominalisticamente come “astratti”. Abstrahentium non est mendacium, dicevano saggiamente i logici scolastici. L’astrarre è funzione naturale del pensiero umano, l’importante è astrarre bene e non ipostatizzare le astrazioni come faceva Platone.

 

Ogni concetto, anche quello dello storico, tenuto più di altri a guardare al concreto, è un qualcosa di astratto. Indubbiamente anche le norme pratiche devono essere il più concrete possibile, ma anch’esse non possono essere espresse se non in concetti. Oltre a ciò, le norme generali della morale, compresa l’etica cristiana, e le dottrine speculative, come per esempio il dogma, sono per loro natura ancora più astratte, ma ciò non deroga per nulla alla loro verità e quindi alla loro obbligatorietà.

 

Che le decisioni del Concilio discendano da fatti precedenti o stiano al termine di fatti, atti e dibattiti che le hanno precedute, è evidente, e quindi possiamo accettare che esse ne siano, come dice Alberigo, un loro “prolungamento”. Quanto invece alla qualifica da lui data alle decisioni di essere semplice “espressione” dell’evento, bisogna intendersi. Esse, certo, come ho detto, fanno parte dell’evento conciliare complessivo, tanto da darne il senso intellegibile: un Concilio, come è noto, si riunisce non tanto per creare degli “eventi” - per questo va bene anche il teatro o uno spettacolo televisivo o una partita di calcio, ma per prendere, sotto l’assistenza dello Spirito Santo, e sulla base della Rivelazione divina, delle decisioni serissime e spesso immutabili, anche se queste ovviamente, una volta prese, sono indubbiamente “eventi”.

 

Tuttavia occorre dire con chiarezza, soprattutto come cattolici, che gli insegnamenti del Concilio, soprattutto quelli dottrinali-dogmatici, sono sì “espressione” dell’evento del Concilio, ma lo sono proprio in quanto decisioni normative obbliganti e vincolanti le coscienze dei fedeli o in nome dell’autorità della Chiesa o in nome della stessa fede, anche se, come è noto, il Concilio non contiene dogmi definiti o in formula definitoria, il che non vuol dire che non contenga dottrine vere e definitive, in tal senso infallibili.

 

Per questo, per quanto riguarda un Concilio, è certo importante sapere che cosa è successo, ma, in ordine ad una retta vita cristiana, è importante sapere che cosa ha voluto insegnare. Per questo, ancor oggi come oggi, primario problema riguardo al Concilio, soprattutto per il comune fedele, non è tanto conoscere dettagliatamente il succedersi enormemente complesso degli eventi del suo svolgimento, quanto piuttosto la retta interpretazione dei suoi documenti con l’ausilio indispensabile del Magistero della Chiesa.

 

Non ha quindi nessun senso, come fa l’Alberigo, contrapporre la normatività delle decisioni conciliari, estenuandola fino quasi ad escluderla, al loro essere state un “evento” contingente e passato, quasi a volerle invalidare, relativizzare o dissolvere nella molteplicità eterogenea e a volte - diciamolo pure - contradditoria dei dibattiti e delle discussioni avvenuti durante i lavori del Concilio, col pretesto di raccontare scientificamente ed esaurientemente tutto quanto è successo durante quei lavori.

 

Certamente lo storico serio deve informarci su tutto ciò, ma non con la pretesa di invertire l’ordine naturale dei valori, dando più importanza a quegli eventi che si sono verificati durante i lavori, dove emergono evidenti i limiti e le debolezze umani, rispetto alle conclusioni, circa le quali il cattolico non dubita invece dell’assistenza dello Spirito Santo che le rende infallibili, se non nei loro contenuti pastorali-disciplinari-organizzativi, che possono essere rivedibili o mutati o addirittura abrogati, certo in quelli dottrinali-teologico-dogmatici.

 

Occorre pertanto ricordare con forza contro Alberigo che quegli eventi del Concilio che hanno condotto alla formulazione delle decisioni finali, ben lungi dal dar senso e quasi giustificazione alle dette decisioni, sono essi stessi che da queste traggono la loro ragione d’essere e il senso della direzione che li ha condotti a tali decisioni, essendo essi stati di queste niente più che l’abbozzo, la preparazione e la germinazione.

 

Nulla toglie che in quei progetti non realizzati o meglio elaborati si trovino elementi o suggerimenti utili che non furono presi in considerazione e che potranno invece essere addirittura approvati o canonizzati in un successivo Concilio. Gli studiosi, esaminando gli schemi preparatori o le proposte avvenute in aula nel corso di certi Concili, come per esempio il Vaticano I o lo stesso Vaticano II, hanno rintracciato interessanti proposte che non furono accettate nei documenti finali, ma che nessuno impedisce che oggi vengano riprese in esame per la loro saggezza e per il vantaggio che si potrebbe trarre per risolvere o illuminare problemi e situazioni del presente.

 

La dinamica di un Concilio assomiglia al sorgere e al maturare di un organismo vivente: il filosofo che vuol definire per esempio i caratteri essenziali della natura umana, li considera nell’adulto e non nelle fasi precedenti dello sviluppo, quale può essere l’embrione, il fanciullo o il giovane, anche se ovviamente queste fasi sono estremamente interessanti e fanno parte delle scienze umane.

 

Ma, come diceva il saggio Aristotele, è dalla considerazione dell’atto che si comprende il passaggio dalla potenza all’atto, anche se è vero che nel corso di questo passaggio si può prevedere come andranno le cose. Lo storico ha una sua funzione indispensabile nelle scienze umane, ma, quando ci si pone la domanda sulla natura di valori umani universali e fondamentali, non può avere la pretesa di dar maggiore importanza ai fatti contingenti o al maturare dei valori, più che alla compiutezza finale dei medesimi valori.

 

Così lo storico della Chiesa deve certo farci conoscere i dinamismi, i fatti e gli stessi contrasti che successivamente conducono alla maturazione o esplicitazione di certe dottrine o direttive pratiche stabilite dal Magistero della Chiesa, ma non è assolutamente autorizzato, pena la deformazione del suo lavoro di storico, a dar maggiore importanza, col pretesto della ricchezza esistenziale e irripetibile dell’evento, all’evento stesso rispetto a quel definitivo e decisivo evento intellettuale e morale che è la formulazione definitiva delle dottrine e delle decisioni morali della Chiesa, mettendo in discussione la loro obbligatorietà davanti alla coscienza del credente, quasi che questi possa trovare una norma superiore nell’intrecciarsi a volte confuso e contradditorio, anche se “concreto”, degli eventi precedenti.

 

Similmente può essere interessante sapere quali progetti erano stati fatti prima di quello definitivo che ha condotto alla costruzione di un edificio, ma è evidente che chi vuol descrivere mettiamo, per il turista o per il catasto del Comune, il detto edificio così come è risultato ed ora si presenta, non ha bisogno di rifarsi ai progetti precedenti, ma a quello finale.

 

Così, analogamente, nella costruzione di quella casa di Dio che è la Chiesa, opera certamente l’uomo con i suoi tentativi, le sue incertezze, le sue stesse miserie e contraddizioni, ma poi il credente sa che alla fine chi costruisce la casa non è l’uomo ma è Dio, come dice il Salmo: “Se il Signore non costruisce la casa, invano faticano i costruttori” (Sal 127,1), e questi costruttori siamo tutti noi, dal ragazzino catechista di una parrocchia di campagna sino al Sommo Pontefice, giacchè è vero che il Concilio deve essere guidato e sancito da lui, ma neppure il Papa, quando indice un Concilio, sa esattamente che cosa da esso verrà fuori, anche se è sicuro che il potere di sanzionare le decisioni del Concilio è nelle sue mani, grazie al carisma dello Spirito Santo.

 

A questo riguardo, gli storici hanno ormai chiarito per esempio che l’idea originaria di Giovanni XXIII era semplicemente quella che la Chiesa proponesse l’immutabile messaggio evangelico al mondo moderno in un linguaggio moderno. In tal senso il Concilio doveva essere solo “pastorale”.

 

Fu invece Paolo VI, intelligenza più fine e più portata alla speculazione dottrinale (ammiratore di grandi pensatori come S. Agostino, Pascal, Guitton, Maritain e Journet) che non Papa Roncalli, che veniva dalla carriera diplomatica, ad aver l’idea di aggiungere a questa impostazione pastorale, un orientamento dogmatico-dottrinale - soprattutto l’approfondimento del mistero della Chiesa - dal quale poi sono scaturite le quattro grandiose “Costituzioni dogmatiche”, le quali, se non contengono nuovi dogmi definiti, certamente chiariscono ed esplicitano molte verità di fede in perfetta linea - come potrebbe essere diversamente? - con la Scrittura e la Tradizione.

 

Una cosa importante che ci insegnano gli storici, contro l’apriorismo astratto degli idealisti e dei razionalisti, è che il sapere umano e quindi anche il sapere dogmatico della Chiesa non escono dallo nostra testa improvvisamente bell’e fatti o “a priori” come Minerva dalla testa di Giove, ma sorgono da umilissime origini empiriche superando un’originaria totale ignoranza (“tabula rasa”); è il risultato di un’evoluzione, di un’educazione, di un apprendimento e di ardua conquista che si raggiungono quasi sempre faticosamente e rischiosamente, con umiltà e tenacia, dopo vani tentativi, errori e cadute.

 

Il cammino della Chiesa non ignora affatto questo complesso insieme di eventi a volte dolorosi per non dire drammatici. Il suo divin Fondatore l’ha voluta così, ma nel contempo le ha dato una luce e un forza invincibile che la conduce infallibilmente alla pienezza finale della verità e tutti coloro che vogliono vivere nella Chiesa, seppure con i loro limiti e difetti, finiscono però per vincere ogni ostacolo e partecipare della sua stessa invincibile infallibilità.

 

NOTE

[1] “Storia del Concilio Vaticano II” diretta da Giuseppe Alberigo, Edizioni Peeters, Levun e Il Mulino, Bologna, 2012, vol.I, p.10.

 

(Fonte: riscossacristiana.it)

 

 

 




e ancora:

P. Giovanni Cavalcoli, OP. Il peccato originale secondo il Card. Ravasi

 

Un testo da conoscere. Fonte: Riscossa cristiana


Il Card. Gianfranco Ravasi è oggi uno dei membri più in vista del Sacro Collegio, uomo di vasta cultura, brillante scrittore ed oratore, particolarmente impegnato, come sappiamo, nel dialogo con non-cattolici, non-cristiani e non credenti, sensibile ai temi di fondo della ragione e della fede, temperamento di poeta che però non dimentica le esigenze del rigore scientifico che si addice alla teologia.
 
Di recente ha pubblicato per i tipi della Mondadori un libro dal titolo Guida ai naviganti. Le risposte della fede: una guida, scritta con stile sciolto e avvincente, per affrontare con serietà le questioni più profonde dell’esistenza e della vita. Viene un po’ in mente la famosa Guida dei perplessi del grande filosofo ebreo medioevale Mosè Maimonide, ammirato da S. Tommaso d’Aquino.
 
Non intendo qui fare un recensione del libro. Voglio solo fermarmi su di un punto dottrinale di capitale importanza trattato dall’illustre e dinamico Porporato: la questione del racconto biblico della creazione dell’uomo e del peccato originale.
 
Devo dire con tutta franchezza che grande è stata la mia sorpresa, sia detto ciò con tutto il rispetto dovuto a un Principe della Chiesa, quando ho letto, a proposito di questo famosissimo racconto, che esso “è un’apparente narrazione storica, con eventi e una trama, che hanno però un valore simbolico, filosofico-teologico, quindi ‘sapienziale’ ed esistenziale” (p.45).
 
Si tratterebbe, come dice anche Karl Rahner, di un’“eziologia metastorica”, ossia di un genere letterario antico, che per mezzo del racconto di un mito riferito al passato, intende istruirci su di una condizione dell’uomo che riguarda il presente, anzi una condizione “metastorica”, quindi qualcosa che riguarda l’uomo come tale, indipendentemente dai tempi e dal corso della storia. Insomma, un modo di far filosofia ricorrendo alla narrazione, anziché a concetti speculativi.
 
Lo scritto del Cardinale prosegue poi sullo stesso tono: “lo scopo” (del racconto biblico)  “non è tanto quello di spiegare cosa sia successo alle origini, ma di individuare chi è l’uomo nel contesto della creazione: è, allora, una ‘metastoria’, ossia è il filo costante sotteso a eventi, tempi e vicende storiche umane. Si risale all’archetipo … non per narrare  cosa sia accaduto nel processo di ominizzazione in senso scientifico o per scoprire gli atti di un singolo individuo primordiale, ma per identificare nella sua radice iniziale lo statuto permanente di ogni creatura umana” (ibid.).
 
Sono rimasto molto sorpreso davanti a simili affermazioni, anche se so che oggi sono condivise da molti. Ma, come sappiamo, la verità di fede non dipende dal consenso della maggioranza, ma dalla retta interpretazione della Parola di Dio che ci è garantita dal Magistero della Chiesa. [SM=g1740721]
 
Che il racconto genesiaco faccia riferimento a una condizione dell’uomo che copre tutto il corso della storia, non c’è alcun dubbio, come pure non c’è dubbio che alcuni elementi sono evidentemente ingenuamente mitologici, come c’è da aspettarsi da una cultura primitiva come quella dell’agiografo. Ma la Chiesa ha sempre insegnato che in questa congerie di fatti, di immagini, di quadri e di elementi occorre saper discernere con somma saggezza, sotto la guida dello stesso Magistero, ciò che è mitico da ciò che è storico, ciò che è inventato da ciò che è realmente accaduto, ciò che è simbolico da ciò che va preso alla lettera.
 
Ora non è difficile venire a sapere, per chi voglia informarsi, che il suddetto racconto, nella sua sostanza, non è per nulla un mito inventato per spiegare una situazione attuale, benchè di fatto il racconto spieghi ottimamente tale situazione; ma, come dice lo stesso Catechismo della Chiesa Cattolica, erede di una millenaria tradizione dogmatica, “il racconto della caduta (Gn 3) … espone un avvenimento primordiale, un fatto che è accaduto all’inizio della storia dell’uomo” (n.390) (in corsivo nel testo, quasi a sottolineare l’importanza dell’affermazione), ossia un fatto che è oggetto della divina Rivelazione, quindi, come tale, verità di fede indispensabile per la salvezza.
 
Inoltre il Catechismo, a più riprese, nei parr. 6 e 7 del cap. I, in perfetta linea con la Tradizione e la Scrittura, fonti della Rivelazione che ci è mediata dalla Chiesa, soprattutto a partire dal Concilio di Trento sino allo stesso Concilio Vaticano II, ricorda come l’umanità ha avuto inizio da una coppia, - Pio XII nella Humani Generis respinge il poligenismo - la quale, caduta nel peccato per istigazione del demonio, ha trasmesso questa colpa - la colpa originale - a tutta l’umanità per via di generazione, colpa dalla quale siamo liberati dalla grazia del Battesimo.
 
Dunque netta distinzione fra il peccato personale - il “peccato” nel senso corrente della parola -, la cui colpa resta nel colpevole, e il peccato originale, la cui colpa è trasmessa ai discendenti. Il peccato dei progenitori è stato un peccato personale, ma nel contempo ha avuto il carattere di una colpa che si è trasmessa ai discendenti: peccato originale (originante).
 
Indubbiamente la Bibbia non è un trattato di paleoantropologia, per cui da essa non possiamo attenderci alcuna informazione su quella che è stata l’evoluzione dell’uomo dalle origini ad oggi e neppure c’è l’ombra di una derivazione dell’uomo dalla scimmia. Anzi, il quadro della coppia edenica, nobilissima, sapientissima, bellissima, sanissima, immortale, perfetta nella virtù, signora del creato, felice, in comunione con Dio, ci fa pensare che fosse stata dotata da Dio di un corpo nobilissimo, ben superiore a quello della scimmia, benchè Pio XII nella medesima Humani Generis non escluda l’ipotesi che quanto al corpo i progenitori possano essere provenuti da un vivente precedente inferiore (ex iam exsistenti ac viventi materia, Denz.3896), salva restando la verità di fede che comunque l’anima spirituale dev’essere considerata come immediatamente creata da Dio, con buona pace di Vito Mancuso.
 
Invece nell’interpretazione del Card.Ravasi il peccato sembra essere spiegato semplicemente col libero arbitrio dell’uomo capace di operare il bene come il male, ma sembra totalmente assente la vera condizione di miseria nella quale ognuno viene al mondo, ossia quello stato di colpa, che si chiama colpa originale o peccato originale originato, derivante per generazione dai nostri progenitori.
 
Nella visione del Cardinale resta quindi inspiegata l’esistenza delle pene della vita presente nelle loro molteplici e tragiche forme, e l’innata, a volte irresistibile, tendenza al peccato esistente in ognuno di noi, anche i più buoni, tendenza dalla quale, come insegna la nostra fede, sono stati esentati solo Gesù Cristo e la Beata Vergine Maria, il primo in quanto Figlio di Dio, la seconda in quanto preservata, come è ben noto, per specialissimo privilegio, dalla macchia della colpa originale. Se tutti nasciamo buoni, dove va a finire il privilegio di Cristo e della Madonna? Se tutti siamo originariamente, necessariamente, sempre e inevitabilmente in grazia, dove va a finire il privilegio di Maria? E che ne è del peccato come assenza o perdita della grazia?
 
Invece la Scrittura è chiarissima nel raccontare come il peccato dei progenitori li ha esclusi dal paradiso terrestre privandoli di quei preziosi beni che possedevano nello stato d’innocenza e nel farci comprendere come la serie infinita di pene che da allora affligge l’umanità sia causata, nella sua prima radice, dall’avverarsi di quel castigo che Dio aveva minacciato ai progenitori e alla loro progenie nel caso avessero disobbedito al comando divino di non “mangiare dell’albero del bene e del male”.
 
E’ chiaro che tantissimi mali sono poi causati dai peccati personali dei singoli, eventualmente ancora sotto l’istigazione di Satana, ma anche questi peccati sono resi possibili dal fatto storico del peccato originale dei nostri progenitori all’origine della storia dell’uomo. “La morte - come dice S.Paolo - è entrata nel mondo a causa del peccato”.
 
Nella concezione di Ravasi sembra invece che ognuno di noi sia creato naturalmente buono ed innocente, come nella concezione di Jean-Jacques Rousseau, e che possa corrompersi soltanto per una sua volontaria malizia o per l’influsso negativo della società. Ma allora a questo punto ci si chiede: a che serve la grazia cristiana della remissione dei peccati, a che serve il Battesimo, se ognuno di noi ha in sé la forza e la possibilità di osservare la legge divina e di conseguire la virtù, purchè lo voglia?
 
O forse che ognuno possiede la grazia sin dalla nascita senza mai perderla, come crede Rahner? O forse la grazia è Dio, sicchè l’uomo in grazia in fin dei conti è Dio? Oppure l’uomo, essere sostanzialmente divino, come insegna la filosofia indiana, prende coscienza di tale sua divinità al termine di un opportuno cammino sapienziale di autopurificazione (yoga)? Dove egli allora si distingue da Gesù Cristo? Forse che egli diventa identico a Cristo, come pensava appunto Meister Eckhart che concepiva così la vita di grazia?
 
Bisogna dire con tutta franchezza che questa concezione è in contrasto con la visione cristiana e combacia invece con le concezioni razionalistiche o naturalistiche o gnostiche, come per esempio la massoneria, il laicismo, il liberalismo, l’idealismo, l’esoterismo, il marxismo o il positivismo, dove il problema del male non è risolto per un intervento sanante della grazia di un Dio trascendente, ma per il fatto che l’uomo o è un essere originariamente divino o per il semplice moto dialettico della ragione o per la forza della volontà o le risorse della scienza, della tecnica e della politica.
 
Ma se l’uomo nasce già buono e volto verso Dio e il peccato è un semplice incidente di percorso o è sempre e comunque perdonato o può convivere benissimo con la grazia o è il polo dialettico della dinamica della storia, a che la predicazione del Vangelo? A che l’esortazione alla penitenza e alla conversione? Che senso ha la Redenzione di Cristo? E la preghiera? E la Chiesa? E i sacramenti? E come e perché raggiungere la resurrezione e la vita eterna? Che cosa diventa la santità? Non è sufficiente per ogni evenienza il “dialogo” e la buona volontà?
 
Da qui vediamo che la negazione o la deformazione o la decurtazione della dottrina cattolica della creazione della coppia primitiva e la dottrina del peccato originale, crea un processo a catena di negazioni, per le quali alla fine del cristianesimo non resta più nulla se non un’illusoria autodivinizzazione dell’uomo o un vago umanesimo, utopistico, relativista ed incapace di condurre gli uomini alla giustizia ed alla felicità.


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[Modificato da Caterina63 23/12/2012 15:53]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Suore ribelli: “Basta essere domestiche del clero”. Da libere donne di Dio a schiave dell’ideologia

Dirty Habit

  KUNIGONDE E LE ALTRE.

DA LEGGIADRE LIBERE DONNE DI DIO

A LESBICOSE “SCHIAVE”… NON DEL CLERO,

MA DELL’IDEOLOGIA:

 FEMMINISTA

CHE AVVELENA LA VOCAZIONE

 

Come riporta il “Foglio” del 12 giugno 2012, in un articolo di Rodari, Sr. Furst si è così espressa: “Prendiamo la questione del diaconato per le donne: perché non deve essere possibile che delle donne vengano incaricate e ordinate per questo incarico nella chiesa? Perché le si esclude? E’ la paura delle gerarchie, che le donne si avvicinino troppo al presbiterato, o addirittura alla funzione di vescovo”. Ma non c’è solo sr. Furst. Anche suor Rita Giarretta di recente ha tuonato contro il maschilismo nella Chiesa. Ma è davvero così? Già Giovanni Paolo II accusava certe religiose di alimentare un femminismo esasperato e dannoso, in un momento in cui in altri Paesi occidentali le donne cattoliche e le stesse suore impegnate vanno ricercando la via di “rivendicazioni” più realistiche e invitata a ben distinguere fra i diritti civili e umani di una persona e i diritti, i doveri, il ministero e le funzioni che gli individui hanno o godono all’ interno della Chiesa. L’esempio di Maria e di altre sante.

 

Tea Lancellotti dal sito papalepapale.com

Dorotea Lancellotti

Kunigunde Furst non è il nome di uno yogurth, di un frullato o di una birra… ma è il nome di una suora francescana, appartenente ad una diocesi austriaca. Non una suora qualunque: la Furst è, infatti, superiora generale delle francescane, di un istituto di Diritto Pontificio (perciò maggiormente responsabile) ma anche dottore in teologia. Questa religiosa sta impegnando di recente – e non poco – la Congregazione per la Dottrina della Fede per le sue recenti uscite non solo poco ortodosse, ma proprio eretiche. Tanto che, seppur francescana, potremmo associarla forse più al francescanesimo eretico di Pietro Valdo (da cui derivano i Valdesi) che non al povero santo patrono di Assisi, della cui vera fede ortodossa abbiamo già scritto:  qui e qui

Sia il sito che l’articolo non si occupano di anticipare quelle giuste sentenze ecclesiali che verranno, ma ci par ragionevole approfondire l’argomento riguardo al tema “suore di oggi” e chiederci il perché di certa inquietudine, cosa vogliono alcune di queste sorelle e dove pretendono di arrivare.

CHE VUOLE? IL SACERDOZIO PER LE DONNE O, COME MINIMO, IL DIACONATO FEMMINILE

Sr Kunigunde Furst non vuole essere la “domestica del clero”

Come riporta il “Foglio” del 12 giugno 2012, in un articolo di Rodari, Sr. Furst si è così espressa: “Prendiamo la questione del diaconato per le donne: perché non deve essere possibile che delle donne vengano incaricate e ordinate per questo incarico nella chiesa? Perché le si esclude? E’ la paura delle gerarchie, che le donne si avvicinino troppo al presbiterato, o addirittura alla funzione di vescovo”.

E alla domanda se le donne debbano essere ammesse al presbiterato, la suora risponde: “Posso immaginare che sia possibile, anche se non per ogni donna. Le cose cambiano. Le religiose sono sempre state viste come domestiche del clero. Ma noi non ci consideriamo più domestiche del clero, e lo diciamo anche”.

O qui c’è malafede oppure sr. Furst ha cambiato Chiesa. Ciò che lei “può immaginare” glielo lasciamo con gioia, ma non è ciò che la Chiesa insegna. Ora, non è questo lo spazio adatto per una lectio sul tema: tuttavia, è sufficiente chiarire alcuni punti per comprendere l’eresia della suora. In sintesi:

- Al presbiterato la Chiesa latina accosta il carisma del celibato, senza eccezione, mentre il diaconato sanziona la stabilità nello stato di vita al momento dell’ordinazione (il diacono celibe deve rimanere tale, lo sposato se rimane vedovo, non può accedere a nuove nozze). Per il diaconato “permanente” invece, la Chiesa accetta e tollera quelli sposati, ma le condizioni permangono le stesse anche per loro: se rimasto vedovo, non può accedere poi a nuove nozze.  Il diacono non deve mai tendere ad imitare il presbitero perché egli riceve un mandato che lo legittima ad un “ministero specifico” a servizio di chi ha bisogno nelle comunità.

Il diaconato, dunque, ha le sue radici, fin dal primo secolo, nell’organizzazione ecclesiale del presbiterio a servizio del Vescovo e del presbitero stesso, ma soprattutto è suo il servizio specifico della carità. A Roma, nel sec. III, periodo delle grandi persecuzioni dei cristiani, appare la figura straordinaria di san Lorenzo, arcidiacono del papa san Sisto II e suo fiduciario nell’amministrazione dei beni della comunità.

Di san Lorenzo dice il nostro amato Papa Benedetto XVI: “La sua sollecitudine per i poveri, il generoso servizio che rese alla Chiesa di Roma nel settore dell’assistenza e della carità, la fedeltà al Papa, da lui spinta al punto di volerlo seguire nella prova suprema del martirio e l’eroica testimonianza del sangue, resa solo pochi giorni dopo, sono fatti universalmente noti” (omelia nella Basilica di san Lorenzo, il 30.11.08). La sacramentalità del diaconato va compresa nella prospettiva unitaria del sacramento dell’Ordine. Un diaconato al femminile c’era, è vero, ma già nel secolo X questo non veniva più praticato in tutta la Chiesa, sia da Oriente quanto in Occidente, ed in verità non era mai stato appoggiato dalla Chiesa fin dal secondo secolo.

GIOVANNI PAOLO II ERA STATO CHIARO: SI’ ALLE DONNE, NO AL FEMMINISMO NELLA CHIESA 

Non padrone e serva. Ma padre e figlia, servi dei servi, servi di Dio. E’ servendo Dio che si diventa “signori”.

Torniamo ora alla disobbedienza di queste suore. Il problema non è solo Sr. Furst, ma anche tutta una associazione di suore statunitensi aderenti alla Leadership conference of women religious (Lcwr), la cui battaglia contro i vescovi e Roma è aperta, conclamata. Queste, di recente, hanno ricevuto una condanna da parte della CdF a riguardo delle loro idee stravaganti sull’etica, sulla morale e sui ministeri.

Iniziata già con Paolo VI, l’inquietudine di certe religiose e laiche si era meritata l’attenzione di Giovanni Paolo II. Su un articolo di Avvenire del 1993 leggiamo:

“Il Papa riceveva ieri in visita “ad limina” i vescovi americani delle province ecclesiastiche di Baltimora, Washington, Miami e Atlanta. Ancora una volta Giovanni Paolo II ha ripetuto il suo fermo no ad ogni ipotesi di aprire alle donne le porte del sacerdozio, come continuano a reclamare molte femministe degli Stati Uniti.

Nello stesso tempo, e per la prima volta in modo così esplicito, ha accusato certe religiose di alimentare un femminismo esasperato e dannoso, in un momento in cui in altri Paesi occidentali le donne cattoliche e le stesse suore impegnate vanno ricercando la via di “rivendicazioni” più realistiche.

In un discorso, il pontefice ha affrontato due temi particolarmente delicati: il ruolo della donna nella Chiesa e la corretta concezione del rapporto fra sacerdozio ordinato e sacerdozio comune, quello cioè dei fedeli.

La Chiesa – ha affermato – considera i diritti della donna un passo essenziale verso una più giusta e matura società ed essa non può non far proprio questo giusto obiettivo. Ma ha voluto puntualizzare che nella Chiesa vi sono dei limiti. E per indicarli, ha preferito lamentarsi del clima di insoddisfazione che alcuni circoli cercano di rafforzare contro la posizione della Chiesa sul problema femminile ed in particolare sul sacerdozio delle donne, ormai accettato nel mondo anglicano e da altre Chiese cristiane negli Stati Uniti.

Giovanni Paolo II ha invitato a ben distinguere fra i diritti civili e umani di una persona e i diritti, i doveri, il ministero e le funzioni che gli individui hanno o godono all’ interno della Chiesa. Una ecclesiologia manchevole, ha affermato, può facilmente condurre a presentare false questioni o a sollevare false speranze.

Ciò che e’ certo è che la questione non può essere facilmente risolta attraverso un compromesso con un femminismo che si polarizza lungo linee aspre e ideologiche. Non e’ solo il fatto che alcune persone reclamano un diritto per le donne di essere ammesse al sacerdozio nella sua forma estrema. E’ la stessa fede cristiana che rischia di essere compromessa – ha sottolineato Papa Wojtyla, concludendo – Sfortunatamente questo tipo di femminismo e’ incoraggiato da alcune persone nella Chiesa, comprese alcune religiose i cui atteggiamenti, convinzioni e comportamenti non corrispondono a ciò che il Vangelo e la Chiesa insegnano.

Spetta ai vescovi affrontare la sfida che persone con queste convinzioni rappresentano ed invitarle ad un sincero e onesto dialogo sulle aspettative delle donne nella Chiesa“.

LE MANIE ECCLESIALI ANNI ’70 E LE PESANTI RICADUTE DI UN CERTO ECUMENISMO

Il volto di Lesbo. La “suora” ribelle americana Margaret Farley. Si è lanciata in una campagna furiosa a favore dell’ideologia omosessualista. E da lesbica qual è, per entrare in competizione con gli uomini. Ma può un simile virago rappresentare le “donne”? Di femminile gli è rimasto solo il nome…

Non c’è dubbio che, come l’amico Mastino sottolineava parlandomi di Suor Furst, assistiamo ad un “terribile, risibile anacronismo clericale di questa fraseologia usata oggi con 40 anni di ritardo e creduta avvenieristica, ma in realtà è solo una riproposizione delle frasi fatte delle veterofemministe anni ’70″. Del resto, come abbiamo appena visto, il beato Giovanni Paolo II denunciava “un femminismo” strisciante, incoraggiato da “alcune persone nella Chiesa”, che inesorabilmente giunge a compromettere la fede della Chiesa e che avanza con comportamenti che non sono in linea né con l’insegnamento del Vangelo, né con l’insegnamento della Chiesa stessa nel suo Magistero.

Questa mania anni ‘70 della discussione su tutto, sullo stile delle manie assembleariste sterili come post sessantottine nelle università, continua a produrre divisione ecclesiale. Mi si conceda però di fare un appunto che ci porta alla radice di certe contestazioni, nelle quali non c’entra solo il femminismo. A causa di una falsa ermeneutica sull’ecumenismo, che è meglio chiamare “ecu-mania” e che ha imperversato fino a qualche anno fa, siamo stati spettatori impotenti di fronte a certe immagini davvero catastrofiche come quelle in cui Giovanni Paolo II celebrava i solenni Vespri ecumenici anche alla presenza di vescovi donne. Questo ora con Benedetto XVI non avviene più, ma non c’è dubbio che la fascinazione di certe adunanze ecumeniche abbia dato forza e linfa alle rivendicazioni di queste suore già ammalate di femminismo. Tuttavia è bene ricordare che laddove Giovanni Paolo II ha dato delle testimonianze dubbie e persino fuorvianti (non dimentichiamo che spesso il Papa è messo davanti al fatto compiuto specialmente in questi incontri), non si può criticare il suo ricco Magistero dentro il quale, e senza mezze misure, si condanna ogni lettura femminista della dottrina cattolica e dove si ribadisce la condanna all’Ordinazione femminile.

LA SUORA: ESPRESSIONE VISIBILE DEL “Si’” DI MARIA. NESSUNA RIBELLIONE E DISOBBEDIENZA PREVISTE

E se, invece di lamentarsi, prendessero esempio da Maria?

Vi è da aggiungere una certa inadeguatezza e sguaiatezza intellettuale di certe religiose che vorrebbero fare la voce grossa da “affrancate”.

Sono stata cresciuta dalle suore e confesso che oggi, certe pretese e certa disinvoltura intellettuale da parte di queste religiose moderniste-femministe davvero non la comprendo! C’è stato in molte di loro un grave cambiamento che sta pregiudicando il carisma dei fondatori o fondatrici degli ordini religiosi a cui appartengono. Io mi ritengo ancora fortunata per la testimonianza di santità di ieri e di oggi che ho potuto cogliere in molti membri della mia amata congregazione domenicana e che si riscontra in altri ordini religiosi, ma è proprio per questo che non si può tacere il danno di una sr. Furst o quello che sta provocando l’Associazione delle religiose ribelli in America e che provocano quanti, nella Chiesa, la sostengono! Dice il Papa: “la chiesa è stata sempre riformata dalla santità non dalla ribellione”. La suora, proprio perché ha come modello principale ed assoluto la Beata Vergine Maria, non ha alcun diritto di ribellarsi alla Chiesa: non essendo affatto obbligata ad essere una religiosa ed una cattolica, meglio ancora che se ne vada via se non si trova più a suo agio nella vocazione che liberamente ha scelto.

Del resto, cosa è la vocazione religiosa? Di solito si risponde che è una chiamata di Dio e in parte è vero, ma c’è di più: alla radice, c’è un rapporto materno particolare ed unico con il Signore. Papa Paolo VI a chi gli chiese “perché farsi suora di clausura?”, rispose: “E’ necessario che ci siano al mondo persone che trattino il Signore da Signore”.

La monaca di clausura (queste si svilupparono quasi contemporaneamente ai monaci per dedicarsi esclusivamente alla vita contemplativa) è colei che ha avuto la chiamata di vivere alla lettera il messaggio evangelico. Essa ha Maria quale modello di vita silenziosa e nascosta, tuttavia mai oziosa e mai distaccata dalla missione terrena del Figlio. La monaca di clausura è presente nella vita di ogni uomo perché il suo umile “SI” si è fuso nel “SI” di Maria: se Maria è in attesa del Figlio di Dio per la salvezza dell’umanità, la monaca di clausura è in “attesa” della rinascita spirituale d’ogni uomo vivendo attraverso e mediante il sacrificio di Gesù sulla Croce. Ecco perché il silenzio, la dura disciplina, l’Eucarestia sono il fulcro della vita claustrale, così come lo sono per tutta la Chiesa, così come dovrebbe esserlo per noi seppur nei modi che ci sono propri!

Pochi forse sanno che prima delle suore di vita attiva, furono fondate e presenti nella Chiesa le monache. Lo stesso san Domenico di Guzman, nel lontano 1217, prima di fondare l’Ordine dei Predicatori (i Frati), si prodigò perché fossero presenti le monache di clausura alle quali affidare una interrotta lode a Dio affinché l’opera della predicazione dei frati portasse frutto. Le suore di clausura sono, perciò, “separate” tuttavia mai divise dal resto del mondo, nel silenzio delle loro mura, sono il battito del cuore orante perpetuo della Chiesa; sono la sua linfa, attaccata ai tralci i quali, a loro volta e come ci dice il Cristo, sono attaccati all’intera Vite, cioè Lui stesso, “pietra angolare” della Chiesa e su cui poggiano le sue fondamenta! Famosa e profondamente vera la frase di santa Teresina del Bambin Gesù: “Nel cuore della Chiesa mia Madre, io sarò l’amore”. Altro che contestazione, ribellione, disobbedienza!

Le suore (termine latino che significa “sorelle”) di “vita attiva” si svilupparono nel XVI sec. quando l’attività evangelizzatrice della Chiesa cominciò ad espandersi anche nelle terre d’oltre Oceano. Molti fondatori e fondatrici di queste congregazioni femminili provenivano dai monasteri o dalle comunità Terziarie degli ordini religiosi, dopo aver ottenuto dal Pontefice la dispensa e la benedizione di prodigarsi in una forma, allora nuova per la Chiesa, più impegnativa perché riguardava le attività caritative e l’ insegnamento. Fino ad allora erano i laici aggregati alle Confraternite o agli Ordini Terziari ad occuparsi delle attività caritative affiancandosi, appunto, ai sacerdoti spesso diventati poi fondatori e santi.

DOMESTICHE DEL CLERO? TUTTI SIAMO CHIAMATI AL SERVIZIO. 

Quando si pregava di più, c’erano meno problemi…

Ma c’è un’altra frase di Sr. Furst, già riportata, che va spiegata. Dice la suora: ” Le religiose sono sempre state viste come domestiche del clero. Ma noi non ci consideriamo più domestiche del clero, elo diciamo anche”. Non conosco la fondatrice o il fondatore della Congregazione a cui appartiene, ma so per certo che questo termine “domestiche” non corrisponde al vero. O c’è mala fede o c’è ignoranza. Semmai è il presbitero che si fa servo delle comunità recandosi dalle monache per confessare, celebrare la Santa Messa, amministrare loro i Divini Sacramenti: senza tale servizio come si alimenterebbero le monache? a cosa servirebbero? Certo, nei monasteri si preparano le ostie che poi serviranno per la Messa; loro stesse per mantenersi lavorano preparando le casule e altri accessori per la liturgia: per fare questo, però, ricevono un compenso (non lavorano mica gratis) e molti conoscono l’opera delle loro mani attraverso la preparazione di liquori, miele, unguenti e creme salutari, ecc…

Io sono casalinga da 28 anni e il mio lavoro non è riconosciuto dallo Stato, ma da Dio, da mio marito e dai miei figli sì; la Chiesa stessa parla della famiglia come di una “chiesa domestica”: eppure, anche in questo caso, esiste oggi una ribellione che potremmo definire domestica. Di questi tempi, le donne si offendono se si sentono dire che sono “a servizio del focolare domestico”; si indignano se si sentono dire che “servire” è proprio delle donne; si arrabbiano se si dice loro che è bello e dignitoso “servire il marito e i figli”…

Senza dubbio c’è un esasperato femminismo alla radice di tutto questo. Sarebbe interessante approfondire la tematica in un’altro articolo e parlare così anche dei maschietti, ma qui è indispensabile ribattere a questa frase in modo categorico e senza tentennamenti.

Gesù venne “per servire” e il presbitero lo fa attraverso il ruolo che gli è proprio, dando i Sacramenti; la monaca di clausura serve il Signore attraverso atti che le sono propri quali la preghiera, la donazione della propria vita come disse appunto santa Teresa del Bambin Gesù: “Nel cuore della Chiesa mia Madre, io sarò l’amore”; la suora serve il Signore attraverso una maternità che è propria di questo servire i figli rigenerati dalla Chiesa mediante il Battesimo, e lo fa attraverso l’insegnamento, la catechesi, il servizio nelle Case Famiglia – che si occupano di bambini abbandonati, ragazze madri, ecc – e in tutti gli altri compiti in cui sono chiamate secondo la volontà di Dio… Nella consacrazione di ognuna di loro (come anche per noi spose e madri, così come di donne impegnate anche se non sposate) c’è alla base l’essere “servi” proprio sul modello della Beata Vergine Maria che disse: “L’anima mia magnifica il Signore (…) perché ha guardato l’umiltà della sua ancella, d’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata…”. Come fa Sr. Furst cantando il Magnificat ogni sera ai Vespri, a pronunciare quella parola “ancella” e poi affermare una balordaggine simile: “…ma noi non ci consideriamo più domestiche del clero”?







[SM=g1740771]  continua..................

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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SAN FILIPPO NERI SCOPRE LA SUPERBIA IN UNA SUORA

“Suore” ribelli americane: “la Chiesa del futuro siamo noi”. 2012 odissea all’ospizio. Dalla croce alla “forbice”…

Nella vita di san Filippo Neri si racconta questo fatto che sembra proprio condurci alla superbia di questa monaca: a Roma girava voce di una monaca che faceva miracoli, che era buona, brava, e che guariva i poveri pellegrini che andavano da lei a mendicare una grazia. La voce giunse al Papa il quale volle vederci chiaro e per questo affidò l’incarico a Filippo, di recarsi dalla monaca e verificare se ciò che si raccontava corrispondesse al vero. San Filippo vestiva in modo assai poveramente e giunse dalla monaca non certo in abiti di lusso: in più gli facevano male i piedi e, trovandosi davanti alla presunta miracolante, dopo essersi presentato come prete, le chiese umilmente di aiutarlo a togliersi le bende dai piedi e se poteva, così, dargli un qualche sollievo. La monaca appena vide i piedi del povero santo, sporchi e piagati, con tono superbo gli disse: “ma cosa pretende da me, io sono la serva del Signore, non sono monaca per pulire i suoi piedi, come si permette?”

San Filippo Neri sorrise mentre vedeva la monaca ritirarsi: l’aveva smascherata. Non era affatto una serva del Signore, ma di Satana, e i miracoli che compiva erano patacche.

Questo episodio ci porta a dire con tutta onestà, quanta libertà ci sia, invece, nel consacrarsi e nel servire il Signore in tanti modi. Nel nostro caso le suore, le monache, sono per loro carisma, votate ad una autentica libertà che non è altro che un assaggio, ma anche una prova in questo mondo, di quella pienezza promessa da Nostro Signore a chi, lasciando tutto, ma proprio tutto, si fa servo dei servi di Cristo.

Vi ricordate chi usava molto questa frase? Santa Caterina da Siena. La patrona d’Italia scriveva: “io Catharina, serva dei servi (i Presbiteri, i Vescovi, il Papa) di Cristo, nel Suo preziosissimo Sangue, voglio!…”. Come fa una monaca, una suora oggi, a rigettare tale grande chiamata, rifiutare quel “fiat” con il quale la Beatissima Vergine Maria fu la prima serva, correndo dalla cugina Elisabetta per portarle il suo aiuto, per servirla?

E’ COLPA DEL CONCILIO? NO. ERA GIA’ IN ATTO UNA TRASFORMAZIONE…

Non diciamo che è sempre colpa del Concilio…

Vi prego, non continuate con la solfa “è colpa del Concilio”. Qui il Concilio non c’entra nulla.

Paolo VI, nell’omelia del 30 giugno 1967, per la chiusura dell’Anno della Fede e prima di pronunciare il solenne Atto di Fede della Chiesa, disse:

“Nel far questo, Noi siamo coscienti dell’inquietudine, che agita alcuni ambienti moderni in relazione alla fede. Essi non si sottraggono all’influsso di un mondo in profonda trasformazione, nel quale un così gran numero di certezze sono messe in contestazione o in discussione. Vediamo anche dei cattolici che si lasciano prendere da una specie di passione per i cambiamenti e le novità. Senza dubbio la Chiesa ha costantemente il dovere di proseguire nello sforzo di approfondire e presentare, in modo sempre più confacente alle generazioni che si succedono, gli imperscrutabili misteri di Dio, fecondi per tutti di frutti di salvezza. Ma al tempo stesso, pur nell’adempimento dell’indispensabile dovere di indagine, è necessario avere la massima cura di non intaccare gli insegnamenti della dottrina cristiana. Perché ciò vorrebbe dire – come purtroppo oggi spesso avviene – un generale turbamento e perplessità in molte anime fedeli.”

Scriveva Giovanni Paolo II: “Viene l’ora, l’ora è venuta, in cui la vocazione della donna si svolge con pienezza, l’ora in cui la donna acquista nella società un’influenza, un irradiamento, un potere finora mai raggiunto. E’ per questo che, in un momento in cui l’umanità conosce una così profonda trasformazione, le donne illuminate dallo spirito evangelico possono tanto operare per aiutare l’umanità a non decadere. (..)  il mio Predecessore Paolo VI  ha esplicitato il significato di questo «segno dei tempi», attribuendo il titolo di Dottore della Chiesa a santa Teresa di Gesù e a santa Caterina da Siena, ed istituendo, altresì, su richiesta dell’Assemblea del Sinodo dei Vescovi nel 1971, un’apposita Commissione, il cui scopo era lo studio dei problemi contemporanei riguardanti la «promozione effettiva della dignità e della responsabilità delle donne». In uno dei suoi discorsi Paolo VI disse tra l’altro: “Nel cristianesimo, infatti, più che in ogni altra religione, la donna ha fin dalle origini uno speciale statuto di dignità, di cui il Nuovo Testamento ci attesta non pochi e non piccoli aspetti (…); appare all’evidenza che la donna è posta a far parte della struttura vivente ed operante del cristianesimo in modo così rilevante che non ne sono forse ancora state enucleate tutte le virtualità..” (discorso citato nella lettera apostolica Mulieris Dignitatem di Giovanni Paolo II,  n.1)

Nella Lettera ai Vescovi dell’allora cardinale Ratzinger, Prefetto della CdF, sulla collaborazione fra l’uomo e la donna, così esordisce: ” Esperta in umanità, la Chiesa è sempre interessata a ciò che riguarda l’uomo e la donna. In questi ultimi tempi si è riflettuto molto sulla dignità della donna, sui suoi diritti e doveri nei diversi settori della comunità civile ed ecclesiale. Avendo contribuito all’approfondimento di questa fondamentale tematica, in particolare con l’insegnamento di Giovanni Paolo II,  la Chiesa è oggi interpellata da alcune correnti di pensiero, le cui tesi spesso non coincidono con le finalità genuine della promozione della donna“.

Trasformazione?

Quali sono queste “correnti di pensiero” che non coincidono con l’autentica promozione della donna? Riportiamo i passi salienti dal documento citato:

- ” Una prima tendenza sottolinea fortemente la condizione di subordinazione della donna, allo scopo di suscitare un atteggiamento di contestazione. La donna, per essere se stessa, si costituisce quale antagonista dell’uomo. Agli abusi di potere, essa risponde con una strategia di ricerca del potere. Questo processo porta ad una rivalità tra i sessi, in cui l’identità ed il ruolo dell’uno sono assunti a svantaggio dell’altro, con la conseguenza di introdurre nell’antropologia una confusione deleteria che ha il suo risvolto più immediato e nefasto nella struttura della famiglia.

- Una seconda tendenza emerge sulla scia della prima. Per evitare ogni supremazia dell’uno o dell’altro sesso, si tende a cancellare le loro differenze, considerate come semplici effetti di un condizionamento storico-culturale. In questo livellamento, la differenza corporea, chiamata sesso, viene minimizzata, mentre la dimensione strettamente culturale, chiamata genere, è sottolineata al massimo e ritenuta primaria. L’oscurarsi della differenza o dualità dei sessi produce conseguenze enormi a diversi livelli. Questa antropologia, che intendeva favorire prospettive egualitarie per la donna, liberandola da ogni determinismo biologico, di fatto ha ispirato ideologie che promuovono, ad esempio, la messa in questione della famiglia, per sua indole naturale bi-parentale, e cioè composta di padre e di madre, l’equiparazione dell’omosessualità all’eterosessualità, un modello nuovo di sessualità polimorfa”.

Appare evidente che la crisi d’identità della donna e del suo ruolo, contribuisce inevitabilmente anche all’espandersi dell’omosessualità, alla crisi d’identità dell’uomo, ripercuotendosi inevitabilmente sulla Famiglia e sulla società.

La chiave di comprensione per affrontare e tentare di risolvere il problema non può non tenere conto del fatto che i ruoli dell’Uomo e della Donna non sono assolutamente concorrenziali o competitivi, ma di collaborazione e completamento delle risorse intellettive ed affettive. La radice di questi problemi va ricercata in quel malsano tentativo della persona umana di “liberarsi” dai propri “condizionamenti biologici” , spiega infatti l’allora cardinale Ratzinger: “Secondo questa prospettiva antropologica la natura umana non avrebbe in se stessa caratteristiche che si imporrebbero in maniera assoluta: ogni persona potrebbe o dovrebbe modellarsi a suo piacimento, dal momento che sarebbe libera da ogni predeterminazione legata alla sua costituzione essenziale. Questa prospettiva ha molteplici conseguenze. Anzitutto si rafforza l’idea che la liberazione della donna comporti una critica alle Sacre Scritture che trasmetterebbero una concezione patriarcale di Dio, alimentata da una cultura essenzialmente maschilista. In secondo luogo tale tendenza considererebbe privo di importanza e ininfluente il fatto che il Figlio di Dio abbia assunto la natura umana nella sua forma maschile”.

L’utero è mio e lo gestisco io” di infelice memoria, nel cuore della protesta femminista degli anni ’60, non ha fatto altro che offuscare il ruolo della donna facendola precipitare in una pietosa solitudine sfociata in una ribellione contro l’uomo. La prima vittima di questa assurda ed incomprensibile rivendicazione è stata proprio la donna stessa, il suo ruolo, la famiglia, la vita umana, i figli concepiti che vengono uccisi (per legge) per rivendicare una libertà che è diventata una autentica schiavitù del nostro tempo. Vittima di se stessa anche la società che ha permesso la deriva dell’irragionevolezza, dell’irrazionalità sull’identità dell’essere maschio e dell’essere femmina. Se è vero che la donna ha dovuto combattere contro una certa misoginia dura a morire, è anche vero che nessuna suora o monaca (ma neppure laica) può accusare la Chiesa di essere misogina, rispondendo ad una sua inquietudine, sollevando la bandiera del femminismo più sfrenato dalla presunzione di azzerare o equiparare, al fine annullandole, l’identità delle persone e dei ruoli.

MA NON C’E’ SOLO KUNIGONDE: SUOR RITA GIARETTA, LA FEMMINISTA

Niente più sorriso sul loro volto: ma un ghigno inquietante e livoroso. Suor Rita Giaretta. Suora “impegnata”, ma è un’altra di quelle suore che parlano di maschilismo nella Chiesa… Perché si devono mettere in competizione con gli uomini: se si guardasse allo specchio dovrebbe solo mettersi in competizione con se stessa. Per sembrare non solo una suora, ma una donna.

A questo punto vorrei unire una breve riflessione che traggo da un articolo segnalatomi da Claudia Cirami.

Si tratta di una “suora orsolina” (tra virgolette perché le orsoline furono tra le prime a togliersi l’abito negli anni ’70): suor Rita Giaretta e la sua (encomiabile per molti aspetti) battaglia in difesa delle donne sfruttate attraverso “Casa Rut”, centro di accoglienza per donne vittime di tratta, di abusi e di violenze.

In un recente articolo , la suora rimprovera a don Piero Corsi di aver affisso alla bacheca della Chiesa un volantino, tratto dal sito Pontifex, che sostanzialmente dice: “Le donne e il femminicidio, facciano sana autocritica. Quante volte provocano!”

E’ vero che la questione non può essere affrontata in un modo simile, rischiando di diventare una nota stonata dal momento che la maggior parte delle donne vittime della violenza maschile non sono quelle che provocano o vanno in giro “svestite”. E’ vero, tuttavia, che suor Rita reagisce da femminista oscurando il fatto che questa frase, seppur infelice in un contesto in cui le donne subiscono e vengono uccise, porta con se un fondamento di verità.

Come possiamo dimostrarlo? Lo abbiamo fatto con quanto è stato detto fin qui, ma possiamo aggiungere (e lo faccio da donna, sposa e madre di due figli, maschio e femmina) il famoso proverbio che “l’occasione fa l’uomo ladro”. Questo non giustifica la violenza e spesso la morte che le donne subiscono, ma nessuno con un po’ di onestà intellettuale può negare che oggi esiste una grave provocazione al femminile che parte dal vestire (o forse meglio dire dallo svestirsi), fino a descrivere comportamenti provocatori da parte delle donne del nostro tempo.

Porto un esempio pratico di cui sono stata testimone in cui due donne sono al tempo stesso una la vittima, l’altra la colpevole quanto l’uomo (Adamo ed Eva peccarono insieme): marito e moglie felicemente sposati, con due figli, il più piccolo ha appena compiuto un anno. La mamma si occupa a tempo pieno dei due figli e il marito va a lavorare. Tutto bene, tutto normale, quando, di punto in bianco, il marito le annuncia di avere una amante e decide di andarsene. In breve la provocante donna (non italiana) fa girare la testa al maschio di turno padre di famiglia, noncurante del suo impegno e delle sue responsabilità familiari e spinge l’uomo a lasciare tutto quello che aveva costruito fino a quel momento.

Certo, la colpa è dell’uomo che non ha saputo tenere le responsabilità assunte, ma come definire questa donna?

E come non citare le affermazioni di una pornostar che dal pulpito di un altare ha osato dire che se i mariti vanno a prostitute o lasciano le mogli è perché queste donne (solitamente italiane) non sarebbero in grado di far “impazzire” i propri mariti? Perché scrive a Don Piero Corsi e non al parroco che ha fatto parlare delle pornostar dall’altare contro le mogli ree di non essere in casa delle prostitute per i propri mariti ed incapaci di numeri da pornostar?

Ci sono persino affermazioni dalle lobby omosessualiste le quali sostengono che l’80% degli uomini sposati in verità sarebbero omosessuali nascosti, vittime delle donne megere e “cattive”…. o che le suore sarebbero lesbiche mancate o incapaci di vivere la propria omosessualità, e qui mi fermo per carità cristiana!

LA CHIESA MASCHILISTA? CRISTO HA SCELTO GLI UOMINI COME CAPI, CARA SUOR RITA…

Quando le suore erano veri uomini. E libere donne di Dio. Oggi, le quattro gatte spelacchiate delle “suore ribelli” devo fingersi femministe per sembrare almeno donne, col risultato finale che sembrano solo lesbiche arrabbiate. E il più delle volte lo sono.

Suor Rita denuncia: “Ma davanti a questo spettacolo una domanda mi rode dentro: dove sono gli uomini, dove sono i maschi? Poche sono le loro voci, anche dei credenti, che si alzano chiare e forti. Nei loro silenzi c’è ancora troppa omertà, nascosta compiacenza e forse sottile invidia. Credo che dentro questo mondo maschile, dove le relazioni e i rapporti sono spesso esercitati nel segno del potere, c’è un grande bisogno di liberazione”…

La domanda è pertinente e la condividiamo, ma suor Rita non può chiudersi esclusivamente dal suo punto di vista elencando le donne solo come vittime.

Senza togliere nulla alla sua comunità attraverso la quale ha salvato e salva centinaia di donne vittime però di situazioni ben diverse da quelle descritte nella frase incriminata, resta palese che sbaglia quando scrive: “Parole, queste (lettera sopra citata), che sento oggi con forza di rinnovare e di rivolgere non solo a don Piero Corsi, ma a tutto il mondo maschile, e soprattutto alla mia Chiesa, che purtroppo dal punto di vista istituzionale è ancora fortemente maschilista….”

Ci risiamo: il tarlo femminista colpisce ancora, alla suora “le rode”: la Chiesa – secondo lei – è maschilista dal punto di vista istituzionale!…

No, non ci siamo, cara suor Rita! Se “le rode”, non si scagli sulla Chiesa. La sua fondatrice – con la sua luminosa testimonianza – dovrebbe rammentarle che l’istituzione della Chiesa non è umana ma divina. Non è maschilista l’Istituzione, mentre lei ha assunto liberamente, in questa Chiesa, un atteggiamento femminista, pronta ad attaccare la Chiesa nella sua legittima gerarchia generata al maschile da Cristo in persona.

Le rammento che la Chiesa ha anche una sua parte femminile, rappresentata benissimo e in primis da Maria, ma la Vergine Santa, Madre di Dio, non ha mai accusato il Figlio di aver dato alla Chiesa una gestione al maschile!

SUOR RITA “RAZZOLA” BENE, MA “PREDICA” MALE…

Suor Rita è una buona suora, intendiamoci, e fa questo “lavoro” da 16 anni a Caserta, in un centro di accoglienza chiamato Casa Ruth. Il giorno dell’inizio lo ricorda perfettamente. Era l’8 marzo 1997. «Con due volontarie andai sulla strada dove sapevo c’erano queste ragazze per portare loro un fiore. No, non era una mimosa, era una piccola piantina di primule, un messaggio vitale, con il quale volevamo segnalare la nostra vicinanza. Hanno capito e ci hanno chiesto di incontrarci. Abbiamo visto i segni della tortura, i tagli sul loro corpo e la paura. Ne avevano tanta. Erano schiave. Come donna e come consacrata non ho potuto tirarmi indietro.

Abbiamo fatto spazio nella nostra comunità e abbiamo accolto la prima ragazza.

Si chiamava Vera, era polacca. Aveva sul corpo e sulla testa le ferite e i segni della violenza. Poi ne sono venute altre e la nostra struttura è diventata più grande. Oggi abbiamo tre appartamenti nel centro di Caserta».

Ma suor Rita va ben oltre il suo ruolo di buona samaritana verso le donne vere vittime, e attacca la Chiesa, e questo non possiamo accettarlo:

“O ancora oggi i seminari sono prevalentemente luoghi chiusi, riservati ai soli maschi – docenti e animatori – mentre le figure femminili presenti sono unicamente di contorno, con servizi generici: cucina, lavanderia, pulizie?

Quale idea di donna può elaborare e coltivare un futuro sacerdote che è formato a vivere e a sentire il ruolo sacerdotale come un ‘privilegio sacro’ riservato unicamente al genere maschile?

Mi auguro che la mia chiesa, di cui mi sento parte viva, possa sempre più aprirsi alla luce di Cristo per vivere in novità di vita il Vangelo nel quale, come afferma S. Paolo nella lettera ai Galati “Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, perché tutti siete uno in Cristo”, che significa tutti uguali in dignità…”

Fa bene suor Rita a dire “la mia chiesa” perché di fatto sta descrivendo la sua immagine di Chiesa, come la vorrebbe: ai suoi piedi, ai piedi delle donne, femminista. Temo che questa suora non conosca assolutamente il mondo maschile, o sembra addirittura schifarlo, o assoggettarlo alla mentalità di questo tempo.

Abbiamo già detto sopra che il sacerdote presta un servizio unico ed indispensabile per i monasteri: senza il sacerdote la donna, la suora consacrata, non riceverebbe alcun sacramento. Che male c’è dunque se delle donne prestano il proprio servizio ai futuri sacerdoti?

Pensiamo alla Casa Pontificia, di Giovanni Paolo II prima e di Benedetto XVI oggi, è gestita dalle donne, religiose consacrate con l’altro Papa e consacrate laiche con Benedetto XVI: non c’è altro da aggiungere.

Infine l’ interpretazione di Suor Rita riguardo alla frase paolina è davvero meschina. Tra uomo e donna, la dignità è uguale, non il ruolo! Non ci vuole una laurea per capire la differenza… Ma suor Rita fa finta di non scorgerla. Anche l’ultimo prete della più sperduta parrocchia ha pari dignità con il Pontefice e il loro sacerdozio è il medesimo: anzi, spesso, sono più santi certi parroci del Papa stesso, ma questo non li pone sullo stesso piano nel ruolo.

Fare la donna delle pulizie è dignitoso quanto fare l’impiegato, ma non sono uguali. Ma questo vuol dire solo che c’è bisogno delle pulizie e c’è bisogno dell’impiegato: non è discriminazione, è costatazione.

UOMINI E DONNE IN TUTTE LE PARTI DEL MONDO SONO VITTIME DELLE TANTE SCHIAVITU’ NATE DAL PECCATO

due “suore” ribelli travestite da preti: basta guardarle in faccia per capire che son adoratrici più che della croce delle forbici

Ricordiamo, inoltre, che esiste anche una schiavitù al maschile: specialmente bambini venduti come schiavi per la prostituzione e la vendita degli organi, o costretti a diventare soldati, imbracciare fucili, armi, e ad uccidere….

Ricordiamo anche la schiavitù dei cristiani, quando le donne vengono violentate e gli uomini mutilati e torturati prima di essere uccisi… Un  caso  emblematico è  quello  di  Giuseppe,  cristiano  sudanese  la  cui  triste  storia  è  stata  denunciata due anni fa dalla Lega italiana dei diritti dell’uomo. Catturato dai predoni musulmani del Nord nel suo villaggio a sette anni, fu venduto come schiavo (come migliaia di donne e bambini  cristiani)  a  un  padrone  musulmano,  il  quale  un  giorno,  irritato,  l’ha  torturato  e  crocifisso  a  un  tavolaccio  di  legno. Storie terribili come quelle di catechisti mutilati e sacerdoti ai quali vengono tagliate le mani perché non possano più celebrare l’Eucaristia. In questi casi è la schiavitù del mondo che li uccide nella loro scelta alla vera libertà, mentre i casi qui trattati nell’argomento, riguardano le donne schiave o del femminismo, e quindi di una ideologia, o rese schiave dall’erotismo del mondo…

GESU’ RISORTO APPARVE ALLE DONNE, MA NON NE FACCIAMO UNA BANDIERA PER RIVENDICARE 

Gesù si mostra alle donne appena risorto. Ma non vuol dire che le mette a capo della Chiesa.

Quindi alla domanda di suor Rita: “Quale idea di donna può elaborare e coltivare un futuro sacerdote che è formato a vivere e a sentire il ruolo sacerdotale come un ‘privilegio sacro’ riservato unicamente al genere maschile?” basta rispondere: e quale idea di donna dovrebbe elaborare e coltivare un figlio maschio o una figlia femmina che vengono cresciuti in una casa dove la madre fa la casalinga e il padre magari è un militare? Ma che domande sono? Il “privilegio sacro” esiste e lo ha istituito Nostro Signore, per questo i sacerdoti rei di gravi peccati rischiano direttamente l’Inferno e sono giudicati con maggiore severità, proprio perché “hanno ricevuto di più“…. ma suor Rita lo legge tutto il Vangelo o solo quello che le fa comodo? Marta e Maria le dicono nulla?

Infine, conclude suor Rita: “anche oggi risuona il grande annuncio di vita e di speranza consegnato da Gesù alle donne: “Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risuscitato. Ed esse, tornate dal sepolcro, annunziarono tutto questo agli Undici e a tutti gli altri” (Lc 24,5-6)”.

Si, è vero il messaggio fu consegnato alle donne, ma le chiavi per la gestione di questo annuncio che le donne dovevano portare agli Apostoli infatti, sono state consegnate a Pietro e al Collegio degli Apostoli, non alle donne!

Perciò, cara suor Rita, si metta l’anima in pace: continui ad occuparsi delle donne bisognose – “i poveri li avrete sempre fra voi” – e lasci la gestione dottrinale a quel Collegio al maschile istituito da Nostro Signore Gesù Cristo, e prenda a modello la Madre di Dio!

Come siamo ben lontani dall’insegnamento di santa Teresina del Bambin Gesù, Dottore della Chiesa, quando insegnava: “Nel cuore della Chiesa, mia Madre, io sarò l’Amore“, che non significa altro che mettersi a servizio dell’uomo, della Chiesa e della stessa società con quel ruolo materno che Dio ci ha dato.

«Quello che facciamo è solo una goccia nell’oceano, ma se non lo facessimo l’oceano avrebbe una goccia in meno» diceva la beata Madre Teresa di Calcutta.

Ma vogliamo riportare almeno il nome di suor Miriam Stimson, domenicana, la biologa che individuò i meccanismi del Dna, sopranominata la suora della doppia elica. Una donna che ha speso la sua vita tra la clausura e il suo laboratorio di chimica, che, conciliando la creazione e le teorie sull’evoluzione di Darwin (non le strumentalizzazioni e speculazioni interpretative), ha saputo coniugare il difficile rapporto tra fede e scienza e soprattutto ha contributo alla scoperta del XX secolo: la doppia elica del Dna. E con essa ha individuato l’origine genetica del cancro, imponendosi magistralmente sull’ambiente scientifico maschile degli anni ’50.

DONNE MAI PROTAGONISTE DELLA VITA DELLA CHIESA. NO, CARE RIBELLI: NON E’ COSI’.DA ILDEGARDA…

Ildegarda di Bingen

Dal settembre 2010 al febbraio 2011 il santo Padre Benedetto XVI ha tenuto una serie di catechesi dedicate alle donne nel Medioevo, donne che hanno fatto grande la Chiesa e che hanno avuto un ruolo, a volte anche determinante, nella società del proprio tempo. Certo, il Papa parla di donne impegnate nella Chiesa, diventate sante, donne di preghiera e consacrate, ma non è da sottovalutare la loro biografia nel sociale. Nel presentare la figura di santa Ildegarda, che è diventata di recente Dottore della Chiesa, ebbe a dire: “su questa grande donna profetessa, che parla con grande attualità anche oggi a noi, con la sua coraggiosa capacità di discernere i segni dei tempi, con il suo amore per il creato, la sua medicina, la sua poesia, la sua musica, che oggi viene ricostruita, il suo amore per Cristo e per la Sua Chiesa, sofferente anche in quel tempo, ferita anche in quel tempo dai peccati dei preti e dei laici, e tanto più amata come corpo di Cristo (…) Con l’autorità spirituale di cui era dotata, negli ultimi anni della sua vita Ildegarda si mise in viaggio, nonostante l’età avanzata e le condizioni disagevoli degli spostamenti, per parlare di Dio alla gente. Tutti l’ascoltavano volentieri, anche quando adoperava un tono severo: la consideravano una messaggera mandata da Dio. Richiamava soprattutto le comunità monastiche e il clero a una vita conforme alla loro vocazione. In modo particolare, Ildegarda contrastò il movimento dei cátari tedeschi. Già da questi brevi cenni vediamo come anche la teologia possa ricevere un contributo peculiare dalle donne, perché esse sono capaci di parlare di Dio e dei misteri della fede con la loro peculiare intelligenza e sensibilità, queste donne parlano anche a noi oggi“.

Nella figura di queste e tante altre donne impegnate nella Chiesa, vediamo come la fede e l’amicizia con Cristo creino il senso della giustizia, dell’uguaglianza di tutti, dei diritti degli altri e aumentino l’amore e la vera carità.

…PASSANDO PER BRIGIDA DI SVEZIA…

Brigida di Svezia: apostolato e orazione ma… con determinazione.

Nel presentare l’opera di un’altra santa, Brigida di Svezia, il Papa scrive: “A Roma, in compagnia della figlia Karin, Brigida si dedicò a una vita di intenso apostolato e di orazione. E da Roma si mosse in pellegrinaggio in vari santuari italiani, in particolare ad Assisi, patria di san Francesco, verso il quale Brigida nutrì sempre grande devozione. Finalmente, nel 1371, coronò il suo più grande desiderio: il viaggio in Terra Santa, dove si recò in compagnia dei suoi figli spirituali, un gruppo che Brigida chiamava “gli amici di Dio”. Durante quegli anni, i pontefici si trovavano ad Avignone, lontano da Roma: Brigida si rivolse accoratamente a loro, affinché facessero ritorno alla sede di Pietro, nella Città Eterna…”

 

… A CATERINA DA SIENA, SOLO PER CITARNE ALCUNE.

S. Caterina da Siena: senza rivendicazioni femministe, era una donna molto influente. E riportò i papi a da Avignone a Roma. Era la forza della fede non dell’ideologia a scoppio ritardato

Supplica che, come sappiamo, si realizzò con l’operato di un’altra donna, santa Caterina da Siena, della quale scrive il Papa:

“La dottrina di Caterina, che apprese a leggere con fatica e imparò a scrivere quando era già adulta, è contenuta ne Il Dialogo della Divina Provvidenza ovvero Libro della Divina Dottrina, un capolavoro della letteratura spirituale, nel suo Epistolario e nella raccolta delle Preghiere. Il suo insegnamento è dotato di una ricchezza tale che il Servo di Dio Paolo VI, nel 1970, la dichiarò Dottore della Chiesa, titolo che si aggiungeva a quello di Compatrona della città di Roma, per volere del Beato Pio IX, e di Patrona d’Italia, secondo la decisione del Venerabile Pio XII. (..) Molti si misero al suo servizio e soprattutto considerarono un privilegio essere guidati spiritualmente da Caterina. La chiamavano “mamma”, poiché come figli spirituali da lei attingevano il nutrimento dello spirito. Anche oggi la Chiesa riceve un grande beneficio dall’esercizio della maternità spirituale di tante donne, consacrate e laiche, che alimentano nelle anime il pensiero per Dio, rafforzano la fede della gente e orientano la vita cristiana verso vette sempre più elevate. (..)

Viaggiò molto per sollecitare la riforma interiore della Chiesa e per favorire la pace tra gli Stati: anche per questo motivo il Venerabile Giovanni Paolo II la volle dichiarare Compatrona d’Europa: il Vecchio Continente non dimentichi mai le radici cristiane che sono alla base del suo cammino e continui ad attingere dal Vangelo i valori fondamentali che assicurano la giustizia e la concordia. “

La lista delle donne che resero grande la Chiesa e la società stessa, è lunga e vi invitiamo a scoprirla. Certo è che Sr. Furst e l’associazione delle religiose americane contestatrici, non faranno mai grande la Chiesa e neppure la società.

Régine Pernoud, la storica francese già direttrice degli archivi nazionali di Parigi i cui libri hanno tirature da bestseller, sfata una leggenda, un mito sulle donne: altro che “secoli bui”, nel medioevo, ci sono donne a capo di conventi, maggior età a 14 anni, predicatrici di crociate che leggono il Corano, educatrici, severi moniti per la corruzione del proprio tempo, contro la corruzione del clero, contro la disobbedienza di preti e vescovi, richiami per il ruolo del Pontefice, amministratici sagge e prudenti…

Quando parla del Medioevo si infervora e come darle torto!?

NON VOLETE QUESTO SERVIZIO? CERCATEVI UN ALTRO IMPIEGO

Una badessa ai nostri giorni: signora e serva delle sue consorelle. Libera e sovrana donna di Dio.

Queste monache di oggi, queste suore, dovrebbero forse riscoprire non soltanto la vita dei propri fondatori, ma soprattutto il valore del silenzio, quello della preghiera, del senso del sacrificio, della virtù del pudore, della prudenza, dell’obbedienza… insomma riscoprire la propria vocazione. Se non vogliono questa vita, c’è sempre la zappa, ci sono tante imprese di pulizia… con tutto il rispetto per le donne delle pulizie delle quali ben conosco il duro lavoro e sacrificio!

La vita monacale o religiosa, seppur pregna di sacrifici, austerità, disciplina, in fondo, è davvero una pacchia rispetto alla vita di tante donne costrette con la violenza alla strada, o costrette dalla sorte a dover faticare, a causa delle persecuzioni, persino per pregare… Certo la vocazione è una chiamata – “non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi”, dice Gesù -  ma a noi resta se accogliere questa chiamata o voltarle le spalle, se accettarla e poi tradirla oppure usarla per santificarci. Vero è che quando si smette di pregare e di predicare Cristo Crocefisso, ogni vocazione finisce nello slogan dell’ “utero è mio e lo gestisco io”! C’è solo un modo per raffreddare certi calori: pregare e tacere, faticare e accontentarsi, essere felici del ruolo che Dio ci ha dato. Chi accetta questa “chiamata” non ha alcun diritto di modificarla, e questo vale per la vita consacrata quanto per la vita coniugale.

Mi piace concludere con quanto segue e che vuole essere un modesto consiglio per queste suore e per queste monache, e per quanti nella Chiesa, inconsciamente o spudoratamente le sostengono:

“Abbiate memoria di Cristo crocifisso, Dio e Uomo (…) – conclude Benedetto XVI usando le parole di Santa Caterina da Siena – ponetevi per obietto Cristo Crocifisso, nascondetevi nelle piaghe di Cristo crocifisso, annegatevi nel sangue di Cristo crocifisso” (Epistolario, Lettera n. 16: Ad uno il cui nome si tace).”

[SM=g1740758]




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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16/01/2013 17:59
 
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[SM=g1740733] L’altra faccia della medaglia che le suore dell’articolo postato sopra, hanno tradito….

Postiamo dunque qui I BUONI MAESTRI per non dividere i due aspetti, quello negativo - ariticolo sopra, e quello positivo - il video qui sotto

Le vere Suore dalla vera vocazione, dalla vera gioia del loro stato
www.gloria.tv/?media=382483



[SM=g1740717]

[SM=g1740738]

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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10/02/2013 10:13
 
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[SM=g1740758] La "teologia" di Dossetti

di Giacomo, cardinale, Biffi

da lanuovaBussolaQuotidiana 10-02-2013

Il 13 febbraio 2013 si compie il primo centenario dalla nascita di Giuseppe Dossetti (1913-1996), politico e giurista bolognese che dopo aver militato nella Resistenza e aver partecipato attivamente alla Costituente fu parlamentare democristiano, compagno di partito e avversario di De Gasperi. Monaco e sacerdote, fondò la Piccola famiglia dell’Annunziata a Monteveglio e fu una presenza importante del Concilio Vaticano II. Docente universitario e storico, fondò anche, a Bologna, l’Istituto per le scienze religiose.

Nella ricorrenza, mons. Giacomo Biffi, Arcivescovo emerito di Bologna, ne ricorda la "straordinaria" ma anche "complessa personalità" e ripropone una raccolta di tutte le pagine che gli ha dedicato nelle sue
Memorie e digressioni di un italiano cardinale (Cantagalli, 2010). Il nuovo libro-estratto s'intitola Don Giuseppe Dossetti – Nell’occasione di un centenario ed esce anch'esso per i tipi di Cantagalli. In accordo con l'editore ne pubblichiamo qui integralmente il IX capitolo.

 

La “teologia” di Dossetti

Giuseppe Dosetti è stato anche un vero teologo e un affidabile maestro nella “sacra doctrina”?
La questione non è semplice, data la complessa personalità del protagonista, e richiede un discorso articolato. Mi limiterò, richiamando qualche notizia utile, a formulare alcune osservazioni che riguarderanno prima di tutto l’ecclesiologia, poi la cristologia e infine la metodologia propria e inderogabile della “sacra doctrina”.

Un’ecclesiologia politica
Il 19 novembre 1984, in una lunga conversazione con Leopoldo Elia e Pietro Scoppola5, don Dossetti si è lasciato andare a qualche considerazione che deve renderci avvertiti. Egli legge sorprendentemente il suo apporto al Vaticano II alla luce della sua partecipazione ai lavori della Costituente: «Nel momento decisivo proprio la mia esperienza assembleare ha capovolto le sorti del Concilio stesso».
Parrebbe da questa frase che egli non percepisse l’assoluta eterogeneità dei due eventi.
Ma come è possibile – a chi abbia qualche consuetudine di contemplazione della realtà trascendente della Chiesa – confrontare e porre in relazione un’accolta disparata di uomini lasciati alle loro forze, ai loro pensieri terreni, ai loro problemi economici e sociali, alla loro ricerca del difficile equilibrio degli interessi, con la convocazione di tutti i successori degli apostoli, assistita dallo Spirito Santo da essi quotidianamente invocato? Senza dire, che un presbitero ammesso, fosse pur legittimamente, alle loro discussioni non può ritenere di avere la funzione di “manovratore strategico” (tanto meno quella di “capovolgere”). La sua presenza è per aiutare i vescovi, se gli riesce, a chiarirsi e ad enucleare al meglio quella verità rivelata che essi (soli maestri, in senso rigoroso e pertinente, del popolo di Dio) già possiedono, sia pure implicitamente.
Di più, nella stessa circostanza Dossetti addirittura si compiace di aver «portato al Concilio – anche se non fu trionfante – una certa ecclesiologia che era riflesso anche dell’esperienza politica fatta». Ma che tipo di “ecclesiologia” poteva scaturire da una tale ispirazione e da queste premesse “mondane”?

“Anche se non fu trionfante”
Questo inciso, sommesso e un po’ reticente, evoca con discrezione la fine dell’attività conciliare di don Giuseppe; e merita che lo si chiarifichi nella sua rilevanza.
Egli era stato introdotto legittimamente nell’assise vaticana con la qualifica di esperto personale dell’arcivescovo di Bologna. Il 12 settembre 1963 il nuovo papa, Paolo VI, comunica la sua decisione di designare quattro “moderatori”, nelle persone dei cardinali Lercaro, Suenens, Dopfner e Agagianian, con il compito di presiedere a turno l’assemblea conciliare per conto del papa6. Era, come si vede, un incarico che ciascuno dei designati avrebbe dovuto esercitare soltanto singolarmente.
Lercaro persuade invece i suoi colleghi ad accettare don Giuseppe Dossetti come loro comune segretario; e con questa nomina si configura in pratica una specie di “Consiglio dei Moderatori”, che finisce con l’avere indebitamente una funzione molto diversa da quella prevista e intesa, con un’autorità ben più ampia della sua indole originaria. È il momento della massima influenza di Dossetti; ma non poteva durare. Si trattava, in fondo, di un arbitrario colpo di mano che alterava la struttura legittimamente stabilita. Il Concilio aveva già una Segreteria Generale, presieduta dal vescovo Pericle Felici, il quale non tarda a lamentarsi della situazione irregolare che si era creata. Di più, l’attivismo del segretario sopraggiunto e le tesi innovative da lui propugnate cominciano a suscitare qualche naturale inquietudine. “Quello non è il posto di don Dossetti”, è il commento del papa. “Alla fine don Dossetti – afferma il cardinale Suenens – a causa dell’atmosfera ostile e per tatto verso il papa, si ritirò spontaneamente evitandoci una situazione imbarazzante”7.

Su quell’incidente dell’attività conciliare mette conto di conoscere il giudizio del Segretario Generale, Pericle Felici, che egli ha espresso nella relazione annuale consegnata a Paolo VI il 12 dicembre 1963:
“Gli Em.mi Cardinali Moderatori all’inizio dei lavori del secondo periodo hanno creduto di poter agire da soli, indipendentemente dalla Segreteria Generale, servendosi dell’opera del Rev. Don Giuseppe Dossetti.
A seguito dell’intervento del Santo Padre8, i rapporti con la Segreteria Generale sono migliorati.
“È mancato però per tutto il secondo periodo una intesa tra gli Em.mi Moderatori ed il Consiglio di Presidenza ed a volte i primi hanno preso iniziative assai impegnative e di grande importanza per il Concilio senza avvertire tempestivamente i Membri della Presidenza, come avvenne per i famosi quattro punti sulla ‘collegialità’, che furono annunziati all’Assemblea e proposti alla votazione su affrettata e unilaterale iniziativa degli Em.mi Moderatori…
È stato inoltre rilevato come sia poco consono con la propria funzione che i Moderatori esprimano sulle questioni più dibattute idee personali: averlo fatto ha posto i Moderatori in posizione di dirigenti non imparziali, diminuendo nei Padri la fiducia nella loro azione. Sembra perciò opportuno che in futuro si astengano dal partecipare ai dibattiti”9.
Le apprensioni di Paolo VI però non erano soltanto di natura procedurale e organizzativa.
Egli sentiva acutamente la sua responsabilità di salvaguardare in pienezza, pur nella cordiale accettazione della collegialità episcopale, la verità di fede del primato di Pietro e del suo totale, incondizionato e libero esercizio. Questa è la ragione che lo spinge a proporre la famosa Nota esplicativa previa, nella quale offriva alcuni criteri interpretativi inderogabili di lettura e comprensione del capitolo III della Lumen gentium (che pur veniva accolto integralmente). Così tranquillizzò tutti i padri sinodali e ottenne l’approvazione praticamente unanime del documento nella votazione del 21 novembre 1964: 2.151 placet e solo 5 non placet. “Con il suo intervento diretto e risoluto aveva evitato il rischio di possibili future interpretazioni contrarie alla dottrina tradizionale”10; e aveva salvato il Concilio.

C’è anche da dire che papa Montini, per il suo naturale temperamento e per la sua abitudine al rispetto dell’interlocutore e alla gentilezza del tratto, non doveva avere una grande simpatia per l’aggressività del linguaggio che talvolta manifestavano gli appartenenti all’ambiente dossettiano. Sono indicativi, a questo riguardo, i giudizi che si leggono nel diario della sua attività conciliare (!) di Angelina Nicora Alberigo11 al giorno 19 novembre 1963: “Uomini insignificanti come Carli, vescovo di Segni”, “uomini inintelligenti e teologicamente vuoti come Siri”, “uomini conservatori e reazionari come Ottaviani, Ruffini e alcuni nord-americani”. Così erano impietosamente squalificati dei legittimi successori degli Apostoli, i quali non avevano altro demerito che quello di non condividere in coscienza le posizioni ideologiche della signora Nicora, che non aveva altra oggettiva autorevolezza che quella di essere moglie del prof. Giuseppe Alberigo, al quale Dossetti era legatissimo.

Una cristologia improponibile
Alla fine di ottobre del 1991 Dossetti mi ha cortesemente portato da leggere il discorso che gli avevo commissionato per il centenario della nascita di Lercaro (cui già s’è fatto cenno in queste pagine). «Lo esamini, lo modifichi, aggiunga, tolga con libertà», mi ha detto. Ed era certamente sincero: in quel momento parlava l’uomo di Dio e il presbitero fedele.
Purtroppo, qualcosa che non andava ho effettivamente trovato; ed era l’idea, presentata con favore, che, come Gesù è il Salvatore dei cristiani, la Torah (la Legge mosaica) è, anche attualmente, la strada alla salvezza per gli ebrei. L’asserzione era mutuata da un autore tedesco contemporaneo, e gli era cara probabilmente perché ne intravedeva l’utilità ai fini del dialogo ebraico-cristiano.

Ma, come primo responsabile dell’ortodossia nella mia Chiesa, non avrei mai potuto accettare che si mettesse in dubbio la verità rivelata che Gesù Cristo è l’unico Salvatore di tutti.

Per superare la mia opposizione, egli cercò di attenuare la frase in questi termini: «Non sembra che risulti ancora abbastanza fondata la proposta delle due vie di salvezza, cioè Cristo per i gentili e la Torah per Israele». Era, come si vede, un maldestro compromesso ideologico; non era la fede di sempre. «Don Giuseppe, – gli dissi – ma non ha mai letto le pagine di san Paolo e la narrazione degli Atti? Non Le pare che nella prima comunità cristiana il problema fosse addirittura quello contrario? In quei giorni era indubbio e pacifico che Gesù fosse il Redentore degli ebrei; si discuteva caso mai se anche i gentili potessero essere pienamente raggiunti dalla sua azione salvifica».
Basterebbe tra l’altro – dicevo tra me – non dimenticare una piccola frase della Lettera ai Romani, là dove dice che il Vangelo di Cristo “è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede, del Giudeo prima e poi del Greco” (cfr. Rm 1,16).

Dossetti non era solito rinunciare a nessuno dei suoi convincimenti. Ma qui alla fine cedette davanti alla mia avvertenza che, nel caso, l’avrei interrotto e pubblicamente contraddetto; e accondiscese a pronunciare questa sola espressione: «Non pare che sia conforme al pensiero di san Paolo dire che la strada della salvezza per i cristiani è Cristo, e per gli ebrei è la Legge mosaica». Non c’era più niente di errato in questa frase, e non ho mosso obiezioni, anche se ciò che avrei preferito sarebbe stato di non accennare nemmeno a un parere teologicamente tanto aberrante (che, tra l’altro, non aveva nessun nesso con il centenario di Lercaro).

Questo “incidente” mi ha fatto molto riflettere e l’ho giudicato subito di un’estrema gravità, pur se non ne ho parlato allora con nessuno. Ogni alterazione della cristologia compromette fatalmente tutta la prospettiva nella “sacra doctrina”: in un uomo di fede e di sincera vita religiosa, come don Giuseppe, era verosimile che l’abbaglio fosse conseguenza di una ambigua e inesatta impostazione metodologica generale.

Due traguardi, una sola tensione
“C’era in Dossetti il monaco nel politico e il politico nel monaco”12. Questa breve espressione, enunciata da uno che gli è stato per diverso tempo vicino e ha collaborato con lui, coglie con rapida sintesi una
personalità singolare e complessa. Chi ha studiato la lunga e multiforme vicenda di questa personalità straordinaria, non può non riconoscere la validità e la pertinenza di tali parole.

Dossetti nel suo intimo era già “monaco” quando partecipava attivamente alla Resistenza emiliana. Ed era ancora un “politico” nel 1974, quando noi sacerdoti milanesi ordinati nel 1950 siamo andati a trovarlo a Gerico. Ormai da diciotto anni egli aveva abbracciato la vita religiosa e da un anno si era dato alla meditazione e alla preghiera in Terra Santa. Eppure ci ha intrattenuti soltanto sulla “catastrofica” politica italiana: nelle sue parole abbiamo avvertito il rammarico, ancora vivo in lui, di non essere riuscito a far prevalere la sua linea su quella alternativa di De Gasperi (che era morto da vent’anni).

Nei suoi ultimi giorni non esitò a uscire dal suo ritiro e a rompere il silenzio monastico per salvare la “sua” Costituzione, dicendo di seguire in questo l’esempio di san Saba, l’archimandrita del deserto di Giuda che nel VI secolo abbandonò il suo eremo per difendere l’ortodossia calcedonese
e combattere il monofisismo (quasi che nei due casi si trattasse di valori omogenei e paragonabili).

La coesistenza – se non l’identificazione – dei due traguardi (quello “politico” e quello “teologico”), inseguiti simultaneamente e col medesimo impegno, è all’origine di qualche incresciosa confusione metodologica. Egli proponeva le sue intuizioni politiche con la stessa intransigenza del teologo che deve
difendere le verità divine; ed elaborava le sue prospettive teologiche mirando a finalità “politiche” (sia pure di “politica ecclesiastica”).

E qui c’è anche il limite intrinseco del suo pensiero e del suo insegnamento. Perché la teologia autentica è essenzialmente contemplazione gratuita e ammirata del disegno concepito dal Padre prima di tutti i secoli per la nostra salvezza e per il nostro vero bene; e solo in quel disegno si trovano e vanno esplorate le luci e gli impulsi che potranno davvero giovare alla Sposa del Signore Gesù, che è pellegrina nella storia.

I “teologi autodidatti”
Dossetti ha avuto uno svantaggio iniziale: è stato teologicamente un autodidatta.

Qualcuno domandò una volta a san Tommaso d’Aquino quale fosse il modo migliore di addentrarsi nella sacra doctrina e quindi di diventare un buon teologo. Egli rispose: andare alla scuola di un eccellente teologo, così da esercitarsi nell’arte teologica sotto la guida di un vero maestro; un maestro, soggiunse, come per esempio Alessandro di Hales13.

La sentenza a prima vista meraviglia un po’: ci si sarebbe aspettati prima di tutto il suggerimento di un percorso culturale e libresco; di buone letture personali; di esplorazione degli scritti dei padri e degli scrittori sacri; di ricerche esegetiche, filosofiche, storiche. E invece ancora una volta il Dottore Angelico rivela la sua originalità, la sua saggezza, la sua conoscenza dell’indole sia della sacra doctrina sia della psicologia umana. Nella sua concretezza egli vedeva il rischio non ipotetico degli autodidatti: quello di ripiegarsi su se stessi e di ritenere fonte della verità le proprie letture e la propria acutezza; più specificamente il rischio di finire col compiacersi di un sapere incontrollato, e perfino di arrivare a un’ecclesiologia incongrua e a una cristologia lacunosa.

È stato appunto il caso di don Giuseppe Dossetti, che nell’apprendimento della “scientia Dei, Christi et Ecclesiae” non ha avuto maestri adeguati. A chi gli avesse chiesto da dove avesse preso le sue idee, le sue prospettive di rinnovamento, le sue proposte di riforma, egli avrebbe ben potuto rispondere (e non facciamo che usare le sue parole): «dalla mia testa e dal cuore»14.


[Tratto da Memorie e digressioni, 2010, pp. 485-492]



5 A colloquio con Dossetti e Lazzati – Intervista di Leopoldo Elia e Pietro Scoppola (19 novembre 1984), Il Mulino, Bologna 2003, p. 106.

6 A. Tornielli, Paolo VI – L’audacia di un papa, Mondadori, Milano 2009, p. 358.
7 Ibidem, p. 365.
8 Chiara e sobria allusione all’allontanamento di don Dossetti, presentato all’esterno come “spontanea dimissione”.

9 Acta Synodalia Sacrosancti Concilii Oecumenici Vaticani II – Volumen VI – Acta Secretariae Generalis,
552 s.

10 A. Tornielli, Paolo VI, op. cit., p. 39.
11 Si tratta della moglie del professor Alberigo. Le frasi sono riportate da A. Torniell i, Paolo VI, op.
cit., p. 363.
12 La frase è del prof. Achille Ardigò ed è citata in G. Baget Bozzo – P. P. Saleri, Giuseppe Dossetti – La
Costituzione come ideologia politica, Edizioni Ares, Milano 2009, p. 123.
13 L’episodio è riferito da Giovanni Gerson (1363-1429), ed è citato da I. Biffi in Figure medievali della teologia, Jaca Book, Milano 1992, p. 25 (nota). Incidentalmente notiamo la libertà di spirito del Dottor Angelico che non cita Alberto, il suo grande Maestro di Colonia, ma l’iniziatore della scuola francescana.
14 Si veda A colloquio con Dossetti e Lazzati…, op. cit., p. 27.





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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27/05/2013 14:36
 
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[SM=g1740732] Dopo i porno-funerali di Gallo, autopsia di una Chiesa suicida, nella persona di Bagnasco Angelo

o-LUXURIA-570 (1)

I terrificanti funerali di Andrea Galloè difficile invitare alla vergogna Angelo Bagnasco quando assieme alla vergogna certi vescovi hanno smarrito ormai il senso del ridicolo. Dopo che il Gallo ha cantato (Bella ciao), tradimento, passione e morte della Sposa di Cristo. Mentre Cristo è di nuovo da solo nel Getzemani a sudare sangue, i suoi discepoli (Bagnasco&colleghi), che avrebbero dovuto vegliarlo, si sono addormentati nel sonno della ragione e degli inetti

di Ariel S. Levi di Gualdo da papalepapale.com

LA SFIDA DELL’OBBEDIENZA NELLA FEDE: PER UN PRETE, PROTEGGERE UN VESCOVO, VUOL DIRE TUTELARE LA CONTINUITÀ STESSA DEL MISTERO SACRAMENTALE DELLA CHIESA

Don Ariel Levi di Gualdo

Non nascondo disagio all’idea che Angelo Bagnasco sia il presidente di quei Vescovi d’Italia che a loro volta sono vescovi nostri. Rendendo però grazie ai doni dello Spirito Santo che molti sacerdoti hanno accolto veramente all’atto sacramentale della loro ordinazione, la nostra grazia di stato ci permette di separare l’uomo dall’ufficio apostolico che è chiamato a ricoprire, accettando e facendo nostra la sfida che spesso si pone dinanzi a noi: obbedire in coscienza e libertà anche le diverse mezze figure che popolano il collegio episcopale, nelle quali risiede il deposito della pienezza del sacerdozio apostolico e per questo meritevoli di sacro rispetto, non per ciò che umanamente sono, ma per ciò che rappresentano sul piano metafisico per l’ineffabile ministero sacerdotale istituito dal Signore Gesù. Ciò rende anche i vescovi più limitati e inadeguati dei legittimi continuatori della catena apostolica e come tali oggetto di dovuta venerazione, all’occorrenza anche di protezione; dovesse costare la nostra stessa vita, perché per un prete, proteggere un vescovo, vuol dire tutelare la continuità stessa del mistero sacramentale della Chiesa.

ANDREA GALLO: UNA PUBBLICA VERGOGNA DEL SACERDOZIO CHE HA SPOSATO TUTTO CIÒ CHE ERA IN CONFLITTO CON LA MORALE LA TEOLOGIA E LA DOTTRINA DELLA CHIESA

Il 22 maggio, ricevendo notizia della morte del presbitero genovese Andrea Gallo, scrivendo su un pubblico forum di discussione informai amici e conoscenti che il giorno dopo avrei celebrato una Santa Messa di suffragio per lui, senza omettere di indicarlo appresso come una autentica vergogna del collegio sacerdotale.

Andrea Gallo ha trascorso la vita a sposare e sostenere tutto ciò che è in aperto conflitto con la teologia, la morale e la dottrina sociale della Chiesa, ma soprattutto in aperto conflitto col Vangelo. Che egli abbia assistito i poveri e i disagiati, non fa di lui né un vero cristiano né un vero annunciatore del Vangelo. Se difatti così fosse, ogni filantropo ateo potrebbe costituire un modello di cristiano ideale, o come avrebbe detto quell’altro intoccabile seminatore di confusione di Karl Rahner: un “cristiano anonimo”[cf. Giovanni Cavalcoli O.P. qui].

Alla santità e alla saggezza del padre della Rerum Novarum, il Sommo Pontefice Leone XIII che dette con essa vita alla Dottrina Sociale della Chiesa [vedere qui], Andrea Gallo ha preferito Hegel e Marx. Tutto ciò che la Chiesa dichiarava moralmente illecito lui lo dichiarava lecito, sempre e di rigore con critiche per nulla larvate, mirate non verso certe note aberrazioni dei clericali e del clericalismo, ma con critiche spesso accese e distruttive verso il magistero della Chiesa e dei suoi Sommi Pontefici, la dottrina e l’etica cattolica [vedere qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui ecc..].

E’ stato un elemento di scandalo e soprattutto di divisione il povero Andrea Gallo, basti pensare quando al termine di una Santa Messa cantò “Bella Ciao” sventolando un fazzoletto rosso [ vedere qui].

PER NOI PRETI NON ESISTONO FASCISTI E COMUNISTI MA SOLO UOMINI E FIGLI DI DIO, NOSTRO DOVERE È ACCOGLIERE TUTTI COLORO CHE DESIDERANO ACCOGLIERE CRISTO

“Bandiera rossa la trionferà… “. Ormai ci riesce solo nelle chiese cattoliche.

Come sacerdoti noi dobbiamo accogliere tutti coloro che intendono veramente accogliere Cristo, cosa che molti nostri confratelli hanno fatto in periodi drammatici della nostra storia patria italiana. Molti preti hanno accolto — alcuni pagando persino con la vita — l’accoglienza e la protezione data ai partigiani rossi mossi da ideali comunisti e ai partigiani bianchi d’ispirazione cattolico-popolare e liberale. Abbiamo accolto e nascosto i giovani socialisti ricercati dalla polizia fascista direttamente dentro il palazzo di San Giovanni in Laterano, sede del Vescovo di Roma. Allo stesso modo abbiamo accolto i giovani fascisti e i giovani della Repubblica di Salò, quando all’apertura dei conti rischiavano il massacro da parte di coloro che per vent’anni avevano subìto le angherie del regime fascista. Per i santi preti che grazie a Dio l’Italia ha conosciuto in anni purtroppo ormai lontani, erano da proteggere dall’ira i ventenni manganellati dai fascisti e i ventenni diventati repubblichini di Salò che alla caduta del regime e dopo l’uccisione di Benito Mussolini rischiavano più o meno analoga fine.

Questo è il prete, questo è il sacerdozio. Non dovrei spiegarlo io al Presidente dei Vescovi d’Italia, che noi siamo servi istituiti a servizio della Chiesa di Cristo e dell’uomo, di ogni uomo, per la salvezza dell’uomo.

Il presbitero Andrea Gallo è stato un paradigma di prete ideologizzato a servizio dell’ideologia, che per propria natura è escludente; che non guarda all’uomo ma al “credo” politico al quale appartiene o dice di appartenere l’uomo. E avere usato il pretesto del Vangelo per simili scopi, è di per sé cosa malvagia e perversa. Nonostante che le autorità ecclesiastiche abbiano scelto di cedere all’immagine mediatica e di soprassedere su tutto questo, camuffandosi dietro al dito medio di una non meglio precisata misericordia e carità, basate l’una e l’altra — cosa sempre più dimenticata — sulla giustizia e sulla verità, all’occorrenza anche sulla giusta pena, come indica il Signore nel Vangelo [cf. Mt. 18, 15-17].

ANDREA GALLO E LA MANCATA PERCEZIONE DELLA DIVINA DIGNITÀ SACERDOTALE: INDOMITO E IMPUNITO HA TRASCORSO LA VITA A DIVIDERE ANZICHÉ A UNIRE, FACENDO USO DISTORTO DEL VANGELO PER SUPPORTARE L’IDEOLOGIA MARXISTA, IL TUTTO SOTTO GLI OCCHI DELL’AUTORITÀ ECCLESIASTICA IMPOTENTE

Due vecchi psicopatici vestiti di carnevale vanno a danzare alla pesca amorosa dei porno-funerali

Della verità noi siamo servi e non padroni: «Tu non possiedi la Verità, è la Verità che possiede te» [Cf. S. Tommaso d’Aquino, De Veritate, 1257]. Sia chiaro: la grazia, la misericordia e il perdono di Dio costituiscono tutti assieme un mistero che valica di molto ogni giudizio umano, che di rigore non va dato perché non spetta all’uomo giudicare la coscienza dell’uomo. Compito nostro non è condannare con l’arrogante spirito di chi si sostituisce al giudizio di Dio pensando di poter leggere dentro l’intimo delle coscienze altrui. Compito e dovere nostro è indicare sempre con decisa amorevolezza al Popolo di Dio ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, ciò che è lecito e ciò che invece è disordinato o intrinsecamente malvagio. La Chiesa mater et magistra [Cf. Giovanni XXIII, 15 maggio 1961] ci indica e ci insegna da sempre in che modo si può giungere alla beatitudine celeste e in qual altro si può correre il serio rischio di compromettere l’eterna salute della nostra anima. Perché Dio è «Lento all’ira e grande nell’amore» [Salmo 144 (145)]. Essere lenti all’ira non vuol dire però essere privi di ira divina, come narra il racconto della distruzione di Sodoma e Gomorra [Ge 18:16-22], così particolarmente azzeccato nello specifico contesto in questione.

Nella sua vita pubblica Andrea Gallo ha vissuto, predicato e ubbidito la Chiesa sua sposa e i vescovi che reggono le membra del Corpo Mistico del Cristo, in modo conforme al Vangelo? Il tutto nella gravosa misura alla quale sono chiamati in responsabilità coloro che partecipano non solo al sacerdozio regale di Cristo come battezzati, ma coloro che sono chiamati col sacro ordine a partecipare per mistero di grazia al sacerdozio ministeriale di Cristo?

Pure i comunisti lo sfottono… il presidente dei vescovi italiani. Se il presidente è così, provate a immaginare cosa sono i subordinati

Era chiaro — od era stato in qualche modo chiarito ad Andrea Gallo —, che noi sacerdoti abbiamo una dignità superiore a quella degli Angeli [Cf. S. Tommaso d’Aquino, cf. 3 p., q. 22, art. 1] essendo chiamati a celebrare il Sacrificio Eucaristico, memoriale vivo e santo di Dio incarnato, morto e risorto?

Oltre alle opere dei sociologi comunisti, Andrea Gallo ha letto qualche libro di teologia o di patristica in vita sua? A parte l’Arcivescovo di Genova Angelo Bagnasco e i suoi eminenti predecessori Dionigi Tettamanzi e Tarcisio Bertone, questo prete ha avuto qualche vera e autorevole figura episcopale e qualche buon formatore che gli spiegasse con le parole di San Gregorio Nazianzeno che «Il sacerdozio è venerato anche dagli Angeli»? [cf. Sermo 26 de Sanct. Petr.]. E del sacerdozio, che a lui come a tutti noi è stato dato solo in comodato d’uso, non per nostro merito ma per servire la Chiesa e il Popolo di Dio, nel concreto, che cosa ne ha fatto Andrea Gallo, sotto gli occhi di tutti, pubblicamente, per anni e anni?

Di questo prete che ha trascorso la propria esistenza in modo alquanto confuso, tutti abbiamo sempre vivo il ricordo umiliante e imbarazzante di un ideologo e di un demagogo che ha concorso a dividere anziché unire, facendo uso distorto del Vangelo per supportare la propria ideologia marxista [vedere qui] , anziché usare il Vangelo per liberare se stesso e il Popolo di Dio dalle devastazioni che da sempre hanno prodotto le ideologie. Cosa questa che lui, nato nel 1928, quindi protagonista del Novecento, avrebbe dovuto sapere meglio di chiunque altro, circa i prezzi pagati dal mondo per le ideologie sia di destra che di sinistra.

LA VOLTA CHE VIDI I LIBRI DI ANDREA GALLO ESPOSTI NELLA VETRINA DELLA LIBRERIA INTERNA DELLA PONTIFICIA UNIVERSITÀ LATERANENSE, SCRISSI AL CARDINALE  BAGNASCO E AL CARDINALE MAURO PIACENZA DICENDO CHE MI SPETTAVA DI DIRITTO DIVENTARE PREFETTO DELLA CONGREGAZIONE PER L’EDUCAZIONE CATTOLICA E CHIESI DI PORTARE AVANTI LA MIA CANDIDATURA. SONO SEMPRE IN ATTESA DI UNA LORO RISPOSTA.

La segretaria di don Gallo interrompe la demenziale omelia di Bagnasco, già interrotta dai cori di Bella Ciao e Bandiera rossa in chiesa.

Non sono mai stato scandalizzato dalle stravaganze di Andrea Gallo, anche perché nel nostro clero si cela di più e di peggio. A scandalizzarmi è stato invece il suo vescovo e i suoi predecessori  che non hanno mai preso alcun provvedimento verso di lui. Mai sono state applicate le sanzioni canoniche a carico di questo chierico che i canoni li ha violati tutti, assieme alle regole più basilari del cristiano e sacerdotale buon comportamento. E parlando del suo vescovo, non parliamo di un vescovo qualsiasi, ma del presidente dei Vescovi d’Italia. Pertanto, il vero errore — invero gravissimo — lo ha commesso l’Arcivescovo Metropolita di Genova, al quale tempo fa inviai una lettera che qui metto a disposizione di chiunque voglia leggere [VEDI ALLEGATO 1 A FINE ARTICOLO]  e per la quale non ho mai ricevuto risposta. Capisco che per essere degnati di attenzione da un cardinale, di questi tempi bisogna essere un rabbino ebreo o un imam mussulmano, perché in tal caso le risposte giungono subito, amabili, ecumeniche e interreligiose.

Il senso di quella lettera è più che comprensibile: quando l’autorità è completamente priva di quella evangelica e cattolica autorevolezza che di fatto la priva di ogni credibilità, non resta altro che la pacata e rispettosa presa di giro. Quelle prese di giro alla San Filippo Neri, per intendersi, profondamente cattoliche e rammaricate, quanto più sono ironiche nella forma.

Scene da un pornofunerale

La vera e profonda vergogna sta nel fatto che l’Arcivescovo Metropolita di Genova si sia esposto e abbia esposto la Chiesa italiana al ridicolo, dato il particolare ufficio da lui ricoperto nell’assemblea dei Vescovi d’Italia. Il vergognoso e indignitoso teatrino di quei funerali ha offeso la Chiesa, la sua dottrina cattolica e la dignità dei veri credenti. Una sconcia passerella di gay, transessuali, anticlericali, comunisti irriducibili ideologizzati sino al midollo e aggressivi scapestrati dei centri sociali che hanno egemonizzato la triste scena, cosa peraltro facilmente prevedibile e che proprio per questo andava prudentemente evitata. Una sfilata di tutto ciò che non è, ma che soprattutto esige in modo deciso e spesso anche violento di non essere cattolico.

IL CABARETTISTA EBREO MONI OVADIA CI HA REGALATO DUE PERLE DI DOGMATICA TRINITARIA: «ANDREA RIUSCIVA A ESSERE UNO E TRINO»

Comici ebrei e atei salgono sul pulpito

“Stupendo” il commiato del cabarettista ebreo Moni Ovadia, agnostico dichiarato e orgoglioso che non crede nella religione propria e tanto meno in quella degli altri. Un Ovadia affetto da evidenti corti circuiti psicoanalitici dati dal fatto che da una parte si proclama agnostico e dall’altra mangia cibo kasher, anzi glatt kosher. Grottesco oltre ogni limite, quando riferendosi al defunto ci ha rassicurato: «Sono ebreo e agnostico ma secondo me il Gallo risorge» [vedere qui]. Da questo guitto che gioca a fare l’aschenazita e che per i rabbini ortodossi è come fumo agli occhi, mentre per diversi amici miei che sono ebrei osservanti costituisce da sempre pessimo esempio di israelita che cavalcando la moda ebraica ha trovato solo modo per fare soldi, ci siamo dovuti sorbire anche una “lezione” di dogmatica trinitaria: «Andrea» — ha detto l’Ovadia con demenziale serietà — «riusciva a essere uno e trino» [vedere qui  e qui].



[SM=g1740771]  continua............


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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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L’OLIO DI VASELINA DELL’OSSERVATORE ROMANO, L’UNTUOSITÀ DELL’AVVENIRE, LO SCIVOLOSO COMMIATO DI RADIO VATICANA DEDICATO AD ANDREA GALLO

La demagogia clericale sale sul pulpito

La vera vergogna è stato tutto ciò che di ovattato, di untuoso e di cosparso d’olio di vaselina hanno scritto l’Osservatore Romano diretto da Giovanni Maria Vian [vedere qui] e l’Avvenire diretto da Marco Tarquinio, che sul giornale dei Vescovi d’Italia lascia pontificare quel piccolo eresiarca di Enzo Bianchi [vedere qui], impendendo al tempo stesso a un nostro stimatissimo confratello, l’eminente teologo e filosofo metafisico Antonio Livi [vedere qui], di contraddirlo pacatamente e d’indicare l’ovvio: quella di Enzo Bianchi non è teologia cattolica, anzi può essere ed è — aggiungo io — autentico veleno, specie per le giovani menti. In particolare per coloro che si stanno formando al sacerdozio e che solo certi nostri vescovi ormai fuori dalla grazia di Dio possono mandare a fare i ritiri spirituali nella comunità cattoprotestante di Bose prima di impartire loro i sacri ordini. Per non parlare poi dello scivoloso commiato di Radio Vaticana [vedere qui e qui]. Siamo davvero al capovolgimento …

… questa somma di vergogne si edificano su una tragica realtà: viviamo in una Chiesa ridotta ormai alla totale inversione, dove il bene diventa male e il male bene, l’eterodossia ortodossia e l’ortodossia eterodossia da condannare e da perseguitare. Per questo assieme alla mia lettera del 18 aprile rimasta senza risposta, inviai in omaggio ad Angelo Bagnasco anche una copia del mio penultimo libro E Satana si fece Trino [vedere qui], dove illustro e analizzo questo processo di inversione ecclesiale. Sono certo e fiducioso che quando Sua Eminenza avrà imparato a leggere, quel libro forse lo leggerà. Quando avrà imparato a scrivere, mi risponderà come si conviene a un gentiluomo detto anche “Principe della Chiesa”. Infatti, lo spirito principesco, io non lo misuro sulla base dei titoli o di certe dignità onorifiche, per le quali sempre più preti e vescovi in carriera si venderebbero l’anima al diavolo. Lo misuro in base alla buona educazione e al devoto servizio reso alla Chiesa, in nome del quale spesso bisogna avere la forza di esibire i virili attributi per andare contro corrente e per prendersi la dolorosa responsabilità di non piacere alle masse. Per propria natura le masse sono quasi sempre brutte e irragionevoli, non piacque ad esse neppure il Signore Gesù. Tanto che alla domanda rivolta da Ponzio Pilato alla folla su chi dei due liberare, si levò deciso un terribile grido: «Libera Barabba!».

QUANDO UNA CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA PRESIEDUTA DA UN VESCOVO RISCHIA DI DIVENIRE UN AUTENTICO LUPANARE SACRILEGO NEL QUALE CRISTO È RIDOTTO A MENO DI UN PRETESTO PER DARE SFOGO ALL’EGO IDEOLOGICO DEGLI ERETICI IN PRIMA LINEA

La pornocrazia sale sul pulpito

Come sacerdote che vive la liturgia come un sacro mistero che appartiene alla Chiesa e non certo a me che ne sono solo servo devoto, non padrone o primo attore, ho vissuto come un vero colpo basso quella processione filmata di preti “trasgressivi … fuori dal coro … disobbedienti … progressivi … arcobalenisti … filocomunisti …” capitanati da quell’altro notorio squallore sociologico-demagogico di Luigi Ciotti [vedere qui], il cui commiato durante la sacra celebrazione è stato — come suo uso — una gazzarra di sociologia politica [vedere qui] priva di teologia, priva di dottrina, intrisa di buoni pensieri sociali ai quali Cristo e il Vangelo fanno da sempre secondario contorto come cornice di tutt’altro quadro, nelle parole di quest’altro arruffapopoli. Che tristezza quelle sciarpette variopinte multicolore dei preti pacifondisti pronti sempre a fare a pezzi i loro confratelli legati alla sana ortodossia cattolica, indossate sopra ai camici al posto di sobrie e consone stole viola, come prevede il rito e la liturgia delle esequie funebri. Che squallore, quell’altra indecente vergogna del sacerdozio di Vitaliano Della Sala, prete filo-omosessualista formato no global [vedere qui e qui] , che ha dichiarato: «Quella di Don Gallo è la vera Chiesa» [vedere qui]. Quanta ignoranza cristologica e teologica, quanta pubblica eresia tollerata dal nostro debole e pavido episcopato italiano! Poveri preti fallimentari fabbricanti di fallimenti e di falliti ecclesiali, grotteschi residuati sessantottini da discarica appartenenti alla “religione” di un non meglio precisato “sociale”, alla “religione” dell’ideologia che nel primo come nel secondo caso finisce spesso per essere una religione senza Cristo Dio, che si serve all’occorrenza di Cristo ma, beninteso: come uomo sociale, come “grande rivoluzionario liberatore”, non come il Verbo Incarnato proclamato e annunciato nel prologo giovanneo [Cf. Gv. 1,1].

DINANZI AI PUBBLICI PECCATORI IO NON CALO LE BRACHE COME IL CARDINALE  BAGNASCO PER TIMORE DEL GIUDIZIO DEI MEDIA E DELLE REAZIONI DEGLI INTEGRALISTI LAICI, LI AMO CON CRISTOLOGICO CUORE SACERDOTALE E CERCO DI LAVORARE PER LA SALVEZZA DELLE LORO ANIME

E un po’ di tette&culi, la Parietti. E una bella fumata di sigaro al posto dell’incenso

Se a calarsi le brache e a presiedere questo teatro funerario porcino è stato il presidente dei Vescovi d’Italia, figurarsi gli altri nostri vescovi! Figurarsi a quale sbando totale siamo esposti noi poveri preti che dalle loro autorità sempre più prive di autorevolezza dipendiamo …

Non aveva l’Arcivescovo Metropolita di Genova un vicario generale, un vicario episcopale o un presidente del capitolo metropolitano al quale far celebrare quel funerale al posto del presidente dei Vescovi d’Italia, semmai nella chiesa di appartenenza anziché nella chiesa cattedrale?

Io vivo nel mondo del reale, al contrario del Cardinale Angelo Bagnasco che vive nel proprio palazzo feudale circondato da devoti e compiacenti segretari e collaboratori ai quali non passerebbe mai per la mente di dire in coscienza al proprio potente prelato: “Ritengo che questo sia sbagliato, ma detto ciò decida come meglio crede perché è Lei l’autorità episcopale e, a meno che non mi comandi cose contrarie alla dottrina e alla morale della Chiesa, io che non la penso come lei, proprio per questo sarò il primo a ubbidirle”.

Diversamente dal Cardinale Angelo Bagnasco io non mi sposto con la scorta perché qualche burlone ha scritto nottetempo sui muri “Morte al Padre Ariel”. Io ho accolto e accolgo tutti, ma lo faccio in modo pastorale, paterno, evangelico e soprattutto cattolico, sempre e di rigore nel silenzio e nel nascondimento. Nel mio confessionale sono giunte decine di omosessuali afflitti e, come di recente ho dichiarato in una intervista a una rivista cattolica [vedere qui] nessuno di loro ne è mai uscito senza assoluzione. Quando celebravo il Sacrificio Eucaristico in una basilica romana, ogni domenica sera, in fondo a quel maestoso tempio, quasi nascosti un gruppo di transessuali sudamericani partecipava sempre alla liturgia eucaristica. Non osavano presentarsi a ricevere il Santissimo Corpo di Cristo poiché consapevoli della vita che vivevano e che avrebbero seguitato a vivere, ma partecipavano con sincera devozione. Poi, dopo la celebrazione, venivano da me a chiedermi la benedizione. Io tracciavo sempre sulla loro fronte un segno di croce col pollice destro e poi li abbracciavo e li baciavo a uno a uno.

Vorrei far notare all’Arcivescovo Metropolita di Genova la sostanziale differenza che corre tra queste anime sofferenti e combattute, che spesso mantengono col loro lavoro di prostituzione intere famiglie nei propri paesi di origine, coscienti che quel loro vivere non è bene ed è molto sbagliato; e l’arrogante trans Vladimiro Guadagno, detto Luxuria, ex politico, ideologo rasente l’integralismo, fiero e orgoglioso e, soprattutto, per nulla contristato dal proprio stile di vita …

VLADIMIRO GUADAGNO DETTO LUXURIA RICEVE LA COMUNIONE DAL PRESIDENTE DEI VESCOVI ITALIANI E CI DONA APPRESSO UN PREDICOZZO SULL’ACCOGLIENZA DAL PRESBITERIO DELLA CATTEDRALE DI GENOVA. NOI SACERDOTI, IN OBBEDIENZA ALLE DISPOSIZIONI DELLA CHIESA ALLE QUALI NON POSSIAMO E MAI DOBBIAMO VENIRE MENO, SI DEVE INVECE NEGARLA AI DIVORZIATI RISPOSATI

L’abominio della desolazione al posto del Cristo detronizzato durante la pesca amorosa nella porno-liturgia ancheggiata da Bagnasco

… è stata cosa imprudente e pure vergognosa l’Eucaristia amministrata dal Presidente dei Vescovi d’Italia al transessuale Luxuria durante la Messa funebre di Andrea Gallo [vedere qui e qui]. Semmai ciò non fosse stato sufficiente, l’Arcivescovo Metropolita di Genova ha concesso a questa creatura di prendere la parola all’interno della sua chiesa cattedrale dall’ambone da dove si amministra la Mensa della Parola di Dio, per fare a tutti noi questo predicozzo: «Grazie per averci aperto le porte della tua Chiesa e del tuo cuore. Grazie per averci dimostrato che in una Chiesa comprensiva, inclusiva, che non caccia via nessuno è possibile. Grazie per averci fatto sentire noi tutte creature transgender figlie di Dio amate da Dio. Noi ci auguriamo che tanti seguano il tuo esempio e ci auguriamo anche che qualcuno ti chieda scusa, Don Gallo» [vedere qui].

Due parole sulla accoglienza, posto che queste persone, notoriamente strapiene di un ego narcisista, disordinato e orgoglioso, aggressive oltre ogni umano limite verso chiunque osi non pensarla come loro, pare non abbiano chiaro che essa procede da Cristo e che la vera Chiesa è quella di Cristo, non certo quella “di base … di piazza … alternativa … disobbediente … arcobalenista” di Andrea Gallo. Il problema è che a questi ideologi del transgender non interessa che la Chiesa apra le porte. Loro vogliono che la Chiesa apra le gambe, possibilmente dalla parte posteriore, per poterla infiltrare da dentro e distruggerla con seme venefico. Ovviamente in nome di una strana carità evangelica e di una non meglio precisata accoglienza e misericordia.

È consapevole Luxuria cosa voglia dire e che cosa comporti in senso ecclesiologico ed escatologico aprire le porte a Cristo per essere accolti da Cristo e dalla Chiesa suo corpo mistico? Comporta anzitutto accogliere Cristo e tutte le regole di vita contenute nel suo messaggio di salvezza, non certo pretendere di sovvertire le regole di Dio per andare incontro ai capricci della cultura gender e ai gravi disordini umani e morali di certi soggetti, che non reclamano affatto accoglienza, perché nei concreti fatti vogliono solo sfondare le porte per prendere possesso della casa cristiana alle loro condizioni, in massimo spregio a quelle che sono le regole dettate dalla divina rivelazione.

È consapevole Luxuria che la Chiesa deve sì accogliere, ma al tempo stesso deve evitare che lupi rapaci facciano irruzione nell’ovile dove il buon pastore dovrebbe custodire e proteggere le pecore che il Signore ha lui affidato? O forse dobbiamo farci distruggere l’ovile e divorare le pecore perché i lupi travestiti da agnelli ci vengono a parlare di accoglienza, invitandoci a prendere esempio dai Gallo, dai Ciotti e dai Dalla Sala che la Chiesa l’hanno così male servita, con tanto di perentorio invito a chiedere scusa fatto da sotto ai nostri altari a chi la Chiesa intende invece proteggerla, il tutto proferito da un alto esponente di coloro che rivendicano il “sacrosanto” diritto a trasformare la Sposa di Cristo in una prostituta, affinché possa corrispondere alla loro desolante immagine e somiglianza da casa di tolleranza transgender?

È consapevole l’Arcivescovo Metropolita di Genova che quel Santissimo Corpo di Cristo da lui amministrato a Vladimiro Guadagno detto Luxuria, noi preti, in devota obbedienza a quanto la Chiesa ci comanda [vedere qui, qui, qui], dobbiamo negarlo a coppie di divorziati risposati?

L’abominio della desolazione: le chiese ridotte a discarica abusiva del monnezzaio ideologico del mondo.

Forse, a questo punto, al Cardinale Angelo Bagnasco non resta che andare a celebrare un solenne pontificale direttamente al Gay Village con Luxuria che fa da madrina alla manifestazione con tutte le accoglienti transgender travestite da agnellini rosa. Per molte volte Luxuria è stata infatti madrina delle parate del Gay Pride [vedere qui] alle quali ha partecipato col politico e determinato spirito ideologico di chi esige che la Chiesa accolga e apra quelle porte che poc’anzi — senza irriverenza ma con molto allarme — ho chiamato gambe. E semmai, tutti gli integralisti gay che di prassi mettono in scena pantomime satirico-dissacranti marciando travestiti da suorine vogliose in calze a rete o da vescovi con mitrie color fucsia [vedere qui e qui], l’eminentissimo cardinale potrebbe portarseli dietro come chierichetti. Siamo o non siamo una Chiesa accogliente, includente, caritatevole, misericordiosa? Però, con debita e caritatevole misericordia, anziché nascondere la testa sotto la sabbia come gli struzzi, tra una accoglienza e l’altra si dia uno sguardo a certe ripetute immagini dissacranti del gay pride, per avere idea del tasso di rispetto verso l’altrui fede e l’altrui patrimonio di sacralità che alberga in coloro che pretendono di farti sbattere in galera per omofobia, se solo osi semplicemente non condividere il loro stile di vita, improntato sull’evidente disordine umano e morale [VEDI ALLEGATO 2 A FINE ARTICOLO].

LA PUBBLICA PECCATRICE FU PERDONATA DAL REDENTORE PERCHÈ ERA PENTITA E PERCHÉ CAMBIÒ VITA. NON DIVENNE CERTO PALADINA E IDEOLOGA PRE-CRISTIANA  DELL’ASSOCIAZIONE DELLE LIBERE PROSTITUTE PER LA LIBERALIZZAZIONE E LA LEGALIZZAZIONE DEL MERETRICIO, IN NOME DEL CRISTO RISORTO, ACCOGLIENTE E MISERICORDIOSO.     

L’abominio della desolazione

Tutti quanti sappiamo bene che genere di mestiere svolgeva la pubblica peccatrice pentita e perdonata [Lc, 7, 36-50] che bagnò con le proprie lacrime i piedi del Signore, asciugandoli coi propri capelli e cospargendoli col prezioso olio profumato contenuto nel suo vaso di alabastro. Ma sappiamo anche che dopo quell’incontro e quel pianto sui piedi del Redentore, cambiò mestiere e vita. Non divenne certo paladina e ideologa pre-cristiana dell’associazione delle libere prostitute per la liberalizzazione e la legalizzazione del meretricio nel nome del Cristo risorto accogliente, caritatevole e misericordioso.

Devo proprio invitare io, il Presidente dei Vescovi d’Italia, a leggere bene e con attenzione quel Vangelo di cui egli è supremo maestro in sua qualità di sommo sacerdote?

POSSA IL SIGNORE PERDONARE IL CARDINALE ANGELO BAGNASCO PER L’UMILIAZIONE INFERTA ALLA CHIESA D’ITALIA E SPERIAMO CHE QUANDO ACCADUTO CON ANDREA GALLO, NON SI RIPETA TRA ALTRI ANNI CON UN’ALTRA VERGOGNA DEL SACERDOZIO: PAOLO FARINELLA, ANCH’ESSO PRESBITERO GENOVESE

Assicuro le mie sincere preghiere al Cardinale Angelo Bagnasco, perché temo che assieme all’anima di Andrea Gallo oggi si debba cominciare a pensare di salvare anche quella del suo vescovo, nonché presidente dei Vescovi d’Italia, che tutt’oggi, nel proprio presbiterio, può vantare un’altro celebre, impunito e ahimè intoccabile ideologo: Paolo Farinella [vedere qui]. A tempo e luogo, dobbiamo forse attenderci un altro tripudio di plebaglia da osteria e da pornografico bordello transgender, con rumoroso seguito di giovani spinellari da centro sociale che egemonizzano col pugno chiuso alzato anche la scena dei funerali di quest’altra vergogna del sacerdozio, con la turba ebbra di cieca ideologia che dentro la Casa di Dio rinnova ancora il disumano grido sacrilego: «Barabba … Barabba!», ovviamente in nome di una non meglio precisata accoglienza, carità e misericordia?

Possa Dio perdonare Angelo Bagnasco per il male che ha recato in questo delicato frangente alla Chiesa d’Italia e per l’umiliazione inferta ai devoti sacerdoti di Cristo e alle membra vive sempre più sofferenti del Popolo di Dio.

Ariel Stefano Levi di Gualdo

presbitero

* Titoli e didascalie del testo sono a cura della redazione

*ALLEGATI

Allegato 1 – Lettera Bagnasco – Piacenza 

Allegato 2 – pantomima dissacrante 

 





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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[SM=g1740758] Il card. Bagnasco al funerale di don Gallo. Tutto secondo copione
da CorrispondenzaRomana 29.5.2013

card. Bagnasco e Vladimir Luxuria

(di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro) I cattolici più avveduti, ormai ridotti a una riserva indiana fatta in larga parte di semplici fedeli, avevano cominciato a tremare quando larcivescovo di Genova, il cardinale Angelo Bagnasco, manifestò il desiderio di celebrare i funerali di don Andrea Gallo. Con un pò di sensus fidei e un pò di conoscenza del mondo, i poveri semplici fedeli avevano intuito come sarebbe andata a finire.

Tutto secondo un copione scritto dal mondo, in un sapiente climax culminato nella comunione data dal cardinale al signor Vladimiro Guadagno, meglio conosciuto come il “transgender” Vladimir Luxuria, una persona con un evidente problema morale noto a tutti, una persona che non solo sbaglia, come tutti i peccatori di questa terra, ma che teorizza e ostenta da anni la legittimità morale del suo errore oggettivo.

Il silenzio imbarazzato di molti non riesce a nascondere lo scandalo che questa vicenda sta suscitando tra i fedeli. E la stampa cattolica ufficiale, così poco libera da non poter criticare nemmeno se capisse che c’è da criticare, con la sua versione rassicurante non riesce a diradare le nuvole nere prodotte dal malcontento che serpeggia tra i credenti.

È difficile essere rassicuranti davanti a quanto accaduto durante la cerimonia funebre del prete genovese. E il cardinale Bagnasco è persona troppo intelligente per non aver calcolato quali sarebbero state le conseguenze implicite nella sua decisione. Celebrare i funerali di don Gallo ha voluto dire, innanzitutto, accettare preventivamente uno scenario liturgico abborracciato, più simile a una manifestazione politico-rivoluzionaria che non al sacrificio di Cristo. E, puntualmente, sono arrivate le contestazioni verbali rivolte al presule da parte di non pochi presenti: un principe della chiesa trascinato dentro un’indegna ed evitabilissima gazzarra.

Ma c’è ben altro. L’arcivescovo che celebra quel funerale dice esplicitamente all’opinione pubblica che, per la Chiesa cattolica, don Gallo ha rappresentato una legittima interpretazione del sacerdozio. Il Curato d’Ars e don Gallo sarebbero così le facce di un’identica medaglia: il primo un vecchio modello superato, il secondo una nuovissima e attuale versione, più aperta e meno rigida.

Su questa china, l’omelia del cardinale ha confermato il clima da sdoganamento del prete di strada, trasformandosi nella celebrazione post mortem di una figura che, a onor del vero, ha vissuto predicando agli antipodi della dottrina cattolica sulle più importanti questioni che riguardano la morale e il bene comune, il diritto e la regalità sociale di Cristo. Del resto, se si tiene tanto in conto il mondo, si può andare a un funerale di un personaggio così ingombrante tenendo un’omelia dal sapore censorio nei confronti del defunto?

Don Gallo era diventato da tempo un fenomeno mediatico e, dunque, se si accetta la logica dei media, incriticabile. Inoltre, in quanto fenomeno mediatico, attirava intorno a sé la solita corte di personaggi dello spettacolo che non poteva mancare di manifestarsi in massa ai suoi funerali. Anche questo era noto e, dunque, era altrettanto prevedibile che ci sarebbero stati i soliti, imbarazzanti “incidenti” in merito al legittimo accesso alla Comunione da parte di alcuni vip. In tal senso, la foto di Vladimir Luxuria che riceve il Santissimo dal Cardinale Bagnasco è l’icona, il simbolo potentissimo del “rito” cui il presidente della Conferenza episcopale ha deciso di partecipare. Nelle parrocchie, centinaia di preti di buona volontà si sgolano ogni domenica per spiegare ai fedeli divorziati risposati che la Comunione non possono riceverla. E l’arcivescovo di Genova cosa fa? Se la logica non è un opinione, fa il contrario.

Per spiegare tutto questo, si potrebbe fare appello alla legge fondamentale della Chiesa, a quella “salus animarum” dimenticata dalla teologia ufficiale degli ultimi cinquant’anni. In altri termini: un sacerdote, e quindi anche un cardinale, se sa che c’è anche una sola anima da salvare, non si ferma di fronte a nulla, prende e va anche in capo al mondo. Se c’è da confessare, da visitare un infermo, da dare cristiana sepoltura a un morto, da inseguire un’anima ribelle e lontana, il prete deve fare la sua parte, andando anche a casa di Matteo il pubblicano. Ma questo ammirevole apostolato il sacerdote non lo svolge sotto l’occhio osceno e volgare del Grande Fratello, sotto lo sguardo perverso e manipolatorio dei mezzi di comunicazione di massa.

Nei confronti di don Andrea Gallo si dovevano compiere tutti gli atti di pietà possibili e immaginabili, ma a patto di sottrarsi al palcoscenico mondano e deturpante del sistema mediatico. Si poteva celebrare un funerale in forma riservata e privatissima ed evitare parole di encomio che suonano francamente come oltraggiose nei confronti di tutti quei cattolici che ogni giorno si battono contro il relativismo e il nichilismo anticattolico montante nella società. Si doveva difendere il Corpus Domini dalla profanazione che, ragionevolmente, si compie accettando di comunicare chi non ha notoriamente la condizione soggettiva per farlo, compiendo così un atto d’amore nei confronti dello stesso peccatore, che evita di aggiungere colpa a colpa. Senza dimenticare che nelle chiese cattoliche di questa tragica modernità, alcuni sacerdoti negano la comunione a un fedele che osi, semplicemente, inginocchiarsi per riceverla.

Accettare di diventare protagonisti dello spettacolo allestito dai mass media per i funerali del personaggio pubblico don Gallo: questa è la colpa grave del cardinale. Cosa ben diversa dal compiere, discretamente, l’azione salvifica del sacerdote. Accettare la logica del mondo propagata dai suoi media porta a situazioni grottesche nella loro essenza ma anche nel dettaglio. Come si fa, per esempio, ad andare al funerale di un prete che sul sagrato viene pubblicamente elogiato dall’ebreo Moni Ovdia e, nello stesso tempo chiedere, ai bolognesi di non votare per l’abolizione del contributo comunale alle scuole cattoliche in un referendum nel quale Moni Ovadia stesso era uno dei testimonial della fazione anticattolica? Un cattolico, per fare un altro esempio, non può accettare di essere ridotto alla condizione di schizofrenico, che da un lato si batte contro l’aborto, e poi è costretto a vedere “beatificato” il prete che non faceva mistero di accompagnare le prostitute in ospedale ad abortire.

Ma, a conti fatti, sorge il sospetto che ai funerali di don Gallo il cardinale sia andato non malgrado i mass media, ma proprio per la loro presenza. Anche lui vittima di quel patetico complesso di inferiorità che spinge presuli di varia indole e grado gerarchico a inseguire il consenso e l’attenzione del mondo. Vescovi e cardinali scrivono discorsi e compiono gesti nella speranza di poter “passare” nelle notizie e nelle immagini del Tg delle 20. “Eminenza, siamo sul Tg3″ saltellano garruli per le curie i segretari dei pastori che hanno bucato lo schermo, credendo, così, di rendere un gran servizio alla Chiesa. Del resto, basta onestamente rispondere alla seguente domanda: se don Gallo fosse stato lo stesso identico tipo di prete, ma sconosciuto, ignoto a giornali e tv, senza Albe Parietti e Vladimiri Luxuria pronti a piangerlo al suo funerale, se fosse stato un prete rivoluzionario, ma inesorabilmente anonimo, il Presidente della Cei si sarebbe scomodato andando ai suoi funerali?

(Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro)

[SM=g1740722]




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04/02/2014 15:48
 
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  Quando si vuole presentare una fede alla moda

di Tommaso Scandroglio
04-02-2014

Rodriguez Maradiaga, Andreas Moehrle, Vincenzo Paglia, Domenico Mogavero. Nomi di alti prelati che su comunione ai divorziati risposati – i primi due – e coppie di fatto – i secondi - qualche nota fuori dal coro del cattolicamente corretto l’hanno cantata. Da ultimo in una nuova intervista, ma questa volta al Frankfurter Allgemeine Zeitung, il cardinale honduregno Maradiaga, responsabile di quell’equipe di otto cardinali voluti dal Papa per riformare la curia, è tornato sul tema della famiglia e ha detto che occorre “attribuire patenti” anche ad altre relazioni interpersonali (leggi coppie di fatto). Il cardinal Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, in occasione della plenaria del suo dicastero, ha tagliato corto: «Alla crescente mancanza di comprensione circa la santità del matrimonio la Chiesa non può rispondere con un adeguamento pragmatico a ciò che appare inevitabile, ma solo con la fiducia piena nello spirito di Dio».

Che dire di Maradiaga &Co.? Nulla di nuovo in realtà sotto la cupola di San Pietro: in casa cattolica si sono sempre aggirati dei falsari. Artisti del dogma che con perizia spacciano per autentiche opere d’arte della fede dipinti e sculture che invece sono delle croste. E non serve mica la competenza dell’esperto per capire di tenere tra le mani un falso: basta un’occhiata superficiale e ci si accorge subito di essere di fronte ad una copia d’autore. Quest’ultima espressione è corretta perché chi riproduce la sana dottrina corrompendola non è in genere uno qualunque – il catechista dell’oratorio o il sagrista – bensì spesso si veste delle insegne episcopali, è direttore o presidente di qualche consesso prestigioso che si fregia della qualifica di “cattolico”, siede (all’occorrenza) da “credente” in Parlamento, regge un ateneo di ispirazione “cattolica”, insegna da teologo in qualche rinomata università pontificia, scrive su giornali e riviste di carattere religioso che stampano decine di migliaia di copie.

Il falso d’autore viene praticato poi non per burla, come avvenne con le famose teste di Modigliani trovate in un fosso di Livorno, ma con la convinzione che i propri manufatti siano espressioni autentiche del depositum fidei oppure in alcuni casi, siano più veri del Vero, quasi il suo naturale superamento, la sua inevitabile evoluzione. Insomma il falsario delle fede crede nel suo lavoro d’artista.

Ci credono poco invece quei cattolici che hanno il vezzo dell’ortodossia e che esaminando affermazioni, scritti e iniziative dei falsari scoprono una serie infinita di adulterazioni ed hanno facile gioco nello sconfessare la paternità dell’opera. Questo processo di sofisticazione del portato culturale cattolico negli ultimi anni si è infittito e riguarda democraticamente un po’ tutto lo scibile dottrinale sia nel campo della morale che in quello della fede: dall’omosessualità all’aborto, dalla fecondazione artificiale all’eutanasia, dal divorzio alle coppie di fatto, dalla figura storica di Gesù alle veridicità dei Vangeli, dal primato petrino all’ecumenismo, dalla liturgia ai sacramenti.

Il falso è facilmente individuabile perché la mano dell’artista ha provveduto a sostituire alcuni elementi pittorici dell’originale, i più salienti e caratteristici, con altri di propria fattura, spesso grossolana. Un esempio è dato dalla sostituzione delle virtù cardinali e teologali con le virtù laiche. Passiamole dunque in rassegna.

La prudenza da virtù che indirizza la ragione a declinare il vero e il giusto nella situazione concreta e a rinvenire gli strumenti atti allo scopo, è diventata pusillanimità. Da habitus che ci aiuta a decidere con risolutezza e sicurezza cosa fare è scolorata nel suo opposto, incarnandosi in un atteggiamento attendista, incline a rimandare sempre a tempi migliori la decisione perché “la situazione è complessa e bisogna agire tenendo in conto tutte le sensibilità presenti”. Temporeggiare affinchè sia la storia a decidere a posto nostro.

Poi c’è la giustizia che da virtù che sprona la volontà a dare a ciascuno il suo ora è stata degradata a giurisprudenza. Su questioni morali rilevantissime come aborto e “nozze” gay – così il falsario si esprime - attendiamo ossequiosi la sentenza dei giudici. Perché quella di Dio sarà sicuramente conforme alla prima e comunque nell’Aldià – statene certi - sarà ridotta ad amnistia generale. Si è sostituita così la giustizia con il legalismo di impronta positivista rintracciando in norme e sentenze ingiuste qualche barbaglio di verità che dovrebbe guidare il cattolico nella sua esistenza terrena. Nelle mani del falsario la giustizia non è più la virtù che insieme alle altre ci avrebbe potuto meritare il Paradiso: ora al massimo ci può far evitare sanzioni pecuniarie dall’Agenzia delle Entrate perché abbiamo pagato le tasse, unico e vero peccato contro lo Spirito Santo.

Arriviamo alla fortezza scalzata dalla codardia apostolica: mai esporsi, mai denunciare, mai battagliare, mai resistere fino alla morte sui principi non negoziabili, mai avere il coraggio di metterci la faccia prendendo decisioni impopolari, ma semmai delegare le stesse ad organi consultivi, comitati e conferenze di esperti, così la colpa del fallimento eventualmente non verrà divisa per uno ma per cento. Invece sempre sfumare, sempre mediare, sempre ammorbidire, sempre minimizzare, sempre dire e non dire e quando si opta per il dire farlo tra le righe. La fortezza impallidisce nel volto del politico o dell’uomo di cultura “cattolico” in atteggiamento remissivo ed imbelle, evapora nell’arrendevolezza di chi si abbassa le braghe ad ogni refolo di vento contrario. Il falsario, che porta con sé sempre una immacolata bandiera bianca pronta all’uso, concilia tutto con tutti, fuorché con la sana dottrina verso cui mai è accondiscendente perché i suoi padroni, da servire con docilità, sono il consenso e la vita senza troppi scossoni.

Una volta Sant’Agostino così ebbe a scrivere dei cattivi e codardi pastori d’anime: “Chi è il mercenario? Colui che fugge, se vede il lupo; colui che cerca la sua gloria, non la gloria di Cristo; colui che non ha il coraggio di riprendere con libertà di spirito i peccatori. Il lupo azzanna una pecora e la trascina per il collo; il diavolo induce un fedele a commettere adulterio. E tu taci, non riprendi. Tu sei mercenario; hai visto venire il lupo e sei fuggito. Forse egli dirà: no, sono qui, non sono fuggito. No, rispondo, sei fuggito perché hai taciuto; e hai taciuto perché hai avuto paura” (In Ioannis Evangelium tractatus, 46, 8).

La temperanza poi da virtù che rende capace la volontà di porre un dominio su se stessi è stata intesa - forse per una certa assonanza tra le due parole - come tolleranza del male sempre e comunque. Dall’accoglienza del peccatore all’accoglienza del peccato. Si vuole alleggerire il carico e la quantità dei peccati elencati nel Catechismo sperando così di imbarcare più passeggeri per la vita eterna. Si tenta invano di stemperare il male intingendolo nel catino di una falsa misericordia che non guarda in faccia a nessuno, nemmeno a Dio stesso.

Il meglio di sé comunque il falsario lo dà nelle virtù teologali. La fede nella Santissima Trinità oggi è stata sostituita nella triplice fede in Enzo Bianchi, Vito Mancuso e Gianteresio Vattimo. Ne consegue che tutto l’armamentario cattolico è cambiato: al posto dei Dieci Comandamenti si preferisce la Costituzione, all’autorità del Pontefice un governo di larghe intese, al Paradiso-Purgatorio-Inferno un wellness spirituale secolarizzato, alla salvezza eterna un posto di lavoro a tempo indeterminato, ai sacramenti dei corsi di autostima, alla dottrina infallibile del Magistero l’arbitrio della propria coscienza creduta sempre infallibile.

La speranza poi non guarda più al Cielo nella fiduciosa attesa di essere salvati, posto che ne abbiamo lucrato i meriti, ma si è prostituita nell’aspettativa tutta mondana che la scienza possa allungare la vita dell’uomo quasi all’infinito, che la tecnica possa rendere sempre più leggero il carico di sofferenze della nostra esistenza, che l’uomo rinsavisca del tutto e non ci siano più guerre e fame nel mondo, che il genere umano viva d’aria e non si cibi più di animali e vegetali perché il creato, quello no, proprio non si tocca. La speranza si è miniaturizzata in una frustrante illusione utopica.

Infine la carità. Questa non ci sprona più ad amare Dio e gli altri in virtù dell’amore per Dio, bensì - adulterata dai copisti - è scemata in filantropia, non proprio sempre accessibile a tutti. E sì perché una volta uno poteva eccellere nella carità anche chiuso per tutta la sua vita in una cella di un monastero e da lì raggiungere con gli strali del suo amore ogni persona sulla faccia della terra. Ma oggi non è più così: devi avere un cellulare per essere in grado di aiutare con due euro gli sfollati del Regno delle Banane distrutto da un ciclone (cosa giustissima si badi bene), devi aver il dono della bi-tri-multilocazione per fare in contemporanea il volontario nella Caritas, nella mensa per i poveri e nel Gruppo di ausilio dei senzatetto (cose sempre giustissime). Per accendere e accedere alla carità una volta bastava avere un cuore pensante e pulsante. Ora invece la carità l’hanno delocalizzata, come si fa con le aziende in crisi, e si trova quasi esclusivamente in Pakistan sotto le tende di Emergency, in Amazzonia nelle missioni e a Scampia il quartiere napoletano ad alta infiltrazione mafiosa. Per i più fortunati la carità si trova anche nel negozietto sotto casa che vende prodotti del commercio equosolidale.






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03/04/2014 23:57
 
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    L'INTERVISTA

di 

Dogma o non dogma, questo è il problema. La polemica sulla teologia cattolica sta offrendo diversi spunti al dibattito culturale, in tema di obbedienza al magistero della Chiesa.

LA RIBELLIONE DELLE SUORE USA. Negli Stati Uniti si sono recentemente registrati casi di resistenza da parte di fedeli, laici e religiosi, rispetto ad alcune scelte di dottrina. Per esempio, il Vaticano ha di fatto «commissariato» la Leadership Conference of Women Religious (Lcwr), l’organizzazione che raccoglie la  maggioranza delle Superiore delle congregazioni delle suore americane, accusata di non attenersi ai «principi della dottrina in materia di sessualità». E a Seattle intere parrocchie si sono rifiutate di raccogliere firme per il referendum contro i matrimoni gay.

LA POLEMICA ITALIANA. In Italia l'impennata polemica è partita con la presa di posizione di un teologo, monsignor Antonio Livi, che sulla rivista online La bussola quotidiana ha criticato la teologia (che da molti viene definita «light») di Enzo Bianchi, fondatore della comunità monastica di Bose.

CONTRO LA «DIFFERENZA CRISTIANA». Livi, docente di Filosofia della conscenza all'università Gregoriana e allievo del grande filosofo Étienne Gilson, ha attaccato Bianchi, e tutta l'onda di teologi che aprono al cambiamento.
Tutta una vague, secondo Livi e altri, «eretica», convinta che alcuni punti fondamentali del magistero cattolico siano modificabili: Bianchi è proprio il teorizzatore della «differenza cristiana», cioè della modificabilità di alcune posizioni della chiesa.

I «CATTIVI MAESTRI» DELLA CHIESA. Ma Livi ha specificato a Lettera43.it che la sua polemica, più che le questioni pratiche, riguarda la «non negoziabilità» dei dogmi della Chiesa.
«Ho parlato di Enzo Bianchi solo ultimamente», ha detto il monsignore, «dopo aver scritto in passato anche di Piero Coda, illustre teologo ed esponente di spicco dei focolarini, di Vito Mancuso, discepolo di Coda, e di David Maria Turoldo. Personaggi che inquadro nella categoria di “cattivi maestri” nell'ambito cattolico: esponenti di una falsa teologia».

DOMANDA. Perché li giudica cattivi maestri?
RISPOSTA. Premetto una cosa: Rispetto Giuliano Ferrara, che è un «ateo devoto», Marcello Pera che è ateo ma rispetta il cristianesimo. Rispetto Paolo Flores D'Arcais, che è un anticattolico viscerale, e anche l'antireligioso Piergiorgio Odifreddi. Ma se uno si presenta come teologo cattolico deve stare a certe regole, logiche ed epistemolgiche.

D. Che evidentemente molta filosofia e teologia moderna non seguono...
R. Nel mio libro Vera e falsa teologia (Leonardo da Vinci) me la son presa con tutte quelle pseudo-teologie, a cominciare da quelle di Hegel e Schelling, che in realtà sono interpretazoni culturali della dottrina cristiana, presupponendo che il dogma non sia una verità rivelata da Dio. Per loro la verità è una scoperta dell'uomo, è la filosofia.

D. Secondo lei dove sbagliano Coda, Turoldo, Mancuso, Bianchi?
R.
 Secondo questi «teologi», più si è progressisti, contro il Magistero, contro Padre Pio, a favore dei protestanti e dei buddhisti, più si è davvero cristiani. Chi si fa passare per teologo cattolico e poi usa posizioni del genere secondo me fa del «millantato credito». Fa un danno reale: la gente riceve dottrine umane che sono obiettivamente contrarie alla vera fede cristiana.

D. Può fare un esempio?
R.
 La prima domenica di Quaresima i lettori di Avvenire si sono trovati nelle chiese l'inserto in cui Bianchi spiegava che le tentazioni di Gesù nel deserto sono l'esempio di come l'uomo deve amare l'uomo. Ma Gesù Cristo non è una metafora dell'amore. Per un cattolico è Dio stesso fatto uomo, che ci rivela il Padre e ci redime dal peccato.

D. Nulla di semplicemente umano...
R. Ai cattolici interessa Gesù Cristo in carne e ossa, non si può ridurlo a un simbolo di ideali umani, per quanto suggestivi dal punto di vista letterario. Il Cristo del Vangelo è il Verbo che si è fato carne, che è morto e che è risorto. È lui che ci giudicherà sull soglia dell'eternità, è lui che qui sulla terra è presente nell'Eucaristia.

D. I dogmi non devo essere messi in discussione seguendo i tempi, dunque.
R.
 Ci si può e ci si deve adattare al cambiamento storico non nella teologia, ma nella pastorale: prima c'era la messa in latino, adesso è in italiano. La pastorale è organizzazione pratica della evangelizzazione e della disciplina ecclesiastica. Ma la teologia in quanto interpretazione del dogma deve rispettare il nucleo di verità del dogma.

D. Niente dialettica in teologia secondo lei?
R.
 In questo senso la Chiesa non si divide in conservatori e progressisti: c'è una sola fede. Anche un cattolico progressista deve ammettere che Gesù è veramente morto ed è veramente risorto. Altrimenti, semplicemente, non è un cattolico.

D. Una ricerca Usa condotta in 27 Paesi ha mostrato che il numero dei credenti è diminuito negli ultimi anni.
R.
 I movimenti veri della fede sono molto difficili da capire. Quando è stato canonizzato Padre Pio erano presenti 2 milioni di persone. Cose che non si capiscono se davvero la religione è qualcosa di così distante. Il problema è che non si può sapere chi di chi pratica ha davvero la fede...

D. Se, come ha scritto Vito Mancuso, il popolo di Dio diventasse un «circolo per pochi», sarebbe necessariamente un male?
R. Sono tutte cose esteriori. Sono vecchio, sono vissuto all'epoca di Pio XII quando il cattolicesimo in Italia era potente. Ma gli italiani erano veramente un popolo cattolico? E chi lo sa? C'erano porcherie, ipocrisia, tanti che si fregiavano del titolo di «cattolico» per interessi materiali.

D. Dunque, secondo lei la chiesa non deve seguire il consenso pubblico?
R.
 No. Che restasse poca gente, nella Scrittura, è il segno dell'autenticità. L'Apocalisse dice che alla fine dei tempi ci sarà la grande apostasia. Che i fedeli saranno una minoranza. Che gli anticristo saranno al potere. La Chiesa, nel suo progresso, finisce nel peggiore dei modi. Questo dice il Vangelo. Che c'importa di questi flussi statistici?

D. Secondo lei anche testate cattoliche come Avvenire e Famiglia Cristiana inseguono questo tipo di consenso invece di trattare di Dio. Fa venire in mente Adriano Celentanoche, a Sanremo, aveva criticato questi giornali perché «non parlano mai del Paradiso».
R.
 Sono sicuro che non è farina del suo sacco, non può avere detto una cosa così intelligente.

D. Però secondo lei ha ragione, in sostanza.
R.
 Certo, ha perfettamente ragione. Famiglia Cristiana e Avvenire parlano solo di sociologia, economia, politica. Già ai tempi di Paolo VI Famiglia Cristiana fu redarguita perché contro la morale cattolica. In seguito Giovanni Paolo II ha rimproverato le Edizioni Paoline e sempreFamiglia Cristiana per aver sposato tutte le teorie peggiori incentivando la disaffezione alla confessione, che fa molto comodo a chi non crede più al peccato, alla vita eterna e alla salvezza nei sacramenti.

D. Invece?
R.
 Invece il peccato esiste. Un mondo che non accetta l'idea di peccato non può capire il messaggio del Vangelo, che è un messaggio di conversione e di salvezza.

D. Lei ha accusato Corriere della SeraLa Stampala Repubblica, di essere anticattolici
R.
 Certo. In fondo vedono la chiesa come fumo negli occhi. Guardi il Sole 24Ore. Mi devo leggere il supplemento culturale ogni santa domenica. Non c'è una parola che non sia contro il cattolicesimo.

D. Ma ci scrive il cardinal Gianfranco Ravasi...
R.
 Appunto. Già otto anni fa sul Sole negava il peccato originale. Malgrado questo è diventato cardinale perché è molto apprezzato per le sue doti di letterato e comunicatore di idee morali e religiose. È uno dei potenti di oggi.

D. Ma questo secondo lei non ne fa necessariamente un'autorità...
R.
 Né Ravasi, né Bianchi, né altri hanno autorità dottrinale se non rispettano il dogma e se non si identificano con il magistero ecclesiastico. Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno insistito sul fatto che non si può mettere in dubbio il peccato originale, insegnato in modo inequivoco non solo nella Genesi ma anche testimoniato nella lettera di San Paolo ai romani.

D. Padre Pio era molto amato. Era a favore del dogma?
R. Credeva talmente al dogma della divinità di Gesù e alla presenza di Cristo nell'Eucaristia che anche fisicamente viveva con sofferenza la celebrazione della Messa. E viveva il ministero della confessione, il sacramento del perdono, stando in confessionale quasi tutto il giorno. Non aveva fatto particolari studi teologici. Era un povero frate credente.

D. Diciamolo: per essere un vero teologo non è necessario essere una persona colta...
R.
 Certo. Abbiamo dottori della Chiesa come Caterina da Siena che era analfabeta, Teresa D'Avila che aveva letto solo romanzi cavallereschi e non conosceva il latino. Ma che riuscì a convincere un teologo dottissimo come Giovanni della Croce, e lo trascinò con sé. Lei, ignorante, portò un teologo a condividere le stesse categorie ascetico-mistiche della riforma dell'ordine carmelitano.

Domenica, 22 Aprile 2012




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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14/05/2014 13:51
 
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È sempre così: distruggono il mondo e la società, rovinano le famiglie e i bambini, poi nella fase finale della loro vita tornano piangenti tra le braccia della madre Chiesa, che, come sempre, li accoglie e li perdona, nonostante il grande male che hanno fatto e che continuano a fare. I gay che odiano la Chiesa mi fanno davvero pena: è proprio la Chiesa l'unica istituzione che li accetta e li intende aiutare, le altre li sfruttano politicamente e poi, quando non servono più, li gettano nel fosso, esponendoli al ludibrio generale. Ed allora è ancora la Chiesa a porgere la mano a questi fratelli ingannati e, si spera, realmente pentiti. (cit.)






                     

Chi fondò l’Arcigay? Don Marco Bisceglia. E questa è la sua (straordinaria) storia

Leggi di Più: Don Marco Bisceglia, il prete che fondò l'Arcigay | Tempi.it 


Ai tanti che non lo hanno mai saputo potrà sembrare un’assurda fantasia, ma è semplicemente un fatto: l’Arcigay è stata ideata da un prete.

Sì, l’associazione per i diritti omosessuali più importante e numericamente rilevante d’Italia deve la sua anima a un consacrato, omosessuale egli stesso. Accadde a Palermo nel dicembre del 1980 e quel sacerdote, allora quasi sessantenne e sospeso “a divinis” alcuni anni prima, si chiamava Marco Bisceglia, per tutti don Marco.
Suo compagno di avventura nonché di appartamento, nei mesi successivi, un giovane obiettore di coscienza in servizio civile presso l’Arci, Nicola Vendola detto Nichi.

Chiare le premesse?
Adesso, però, non ci si scandalizzi per il giudizio in arrivo, forse ancor più sorprendente: la storia di don Marco è una delle più belle storie di vita che si possano raccontare.
Di quelle che rendono palese, per chi non lo credesse, quale straordinario luogo di accoglienza e ripresa umana possa essere la Chiesa.

Nelle scorse settimane, per la collana “DietroFont” dell’esordiente casa editrice lucana EdiGrafema, è uscito un libro (acquistabile su Ibs) che ne percorre la vita: Troppo amore ti ucciderà, con testimonianze di Vendola, Franco Grillini e Beppe Ramina. O meglio, ne percorre le “tre vite”, come recita il sottotitolo del testo, ben scritto e documentato dal giornalista potentino Rocco Pezzano. Nella biografia del sacerdote, infatti, si riconoscono almeno tre momenti di profondissimo strappo per contenuti e stili di vita.

IL PRIMO MATRIMONIO GAY. Nella sua “prima vita” don Marco Bisceglia è un prete di lotta. Nato nel 1925, sacerdote dal 1963, ha studiato e abbracciato la Teologia della Liberazione, in particolare la lezione del poco ortodosso teologo gesuita José Maria Diez-Alegria Gutierrez. Quando gli viene affidata la parrocchia del Sacro Cuore di Lavello, suo paese di origine in Basilicata, il desiderio di esprimere i propri ideali si trasforma in azione.
La difesa dei più deboli è per don Marco l’autentico contenuto dell’evangelizzazione. Le cronache dell’epoca iniziano a chiamarlo “il don Mazzi del Sud”.
Don Marco si oppone a tutto ciò che reputa ingiusto, soprattutto all’interno della Chiesa: i funerali a pagamento, per esempio. La lotta al celibato dei sacerdoti, le operazioni finanziarie, le banche, gli investimenti immobiliari, l’arricchimento di alcuni preti con la speculazione edilizia. E la gente si lega a lui: tanti braccianti mai stati in chiesa prima d’allora, si ritrovano a seguirlo nelle sue battaglie, spesso vicine a quelle del Partito Comunista.

Don Marco esprime con toni forti, anche in pubblico, durante le omelie la sua opposizione decisa alla Chiesa e alla sua struttura organizzativa. Ne nasceranno presto contrasti con il vescovo della diocesi. Non solo per le idee, ma anche per le azioni.
Don Marco, infatti, non si ferma alle parole.
In quegli anni, assieme alla sua comunità, è protagonista e animatore di scioperi al fianco di lavoratori, blocchi stradali e altre forme di protesta “borderline”, talvolta con conseguenti procedimenti penali. Il 30 settembre 1974, in un clima di esasperata contrapposizione e dopo alcune richieste di ravvedimento, arriva il decreto di rimozione da parte del vescovo Giuseppe Vairo: la parrocchia del Sacro Cuore è dichiarata vacante.
Le ragioni non mancano: adesione al movimento radicale per la depenalizzazione dell’aborto e la libertà sessuale; uso della parrocchia come sede dei comitati per i referendum; assenze continue; violenti attacchi a Chiesa cattolica, clero e gerarchia.
Poi un’accusa anomala, «scelta socio-rivoluzionaria», e un’altra più drammatica, ma decisiva, «chiara rottura della Comunione col vescovo».

Da quel momento la vicenda prende una piega inattesa, che porterà a Lavello i corrispondenti dei maggiori quotidiani e settimanali italiani. La comunità del Sacro Cuore, infatti, non accetta il decreto e si barrica all’interno della chiesa, letteralmente la occupa. Sulla facciata del Sacro Cuore compare una scritta: “La Chiesa è del popolo”. È una dichiarazione di intenti. Lavello diventa un caso nazionale, un parroco e il suo popolo contro il vescovo e la Chiesa “ufficiale”.
Ma il fatto che più avrebbe fatto parlare di don Marco era accaduto pochi giorni prima di quella pubblicazione.
È quello che le cronache ricorderanno per anni, seppur impropriamente, come il «primo matrimonio gay celebrato da un sacerdote italiano».
Un giorno due omosessuali si presentano nella sagrestia e chiedono se la loro unione possa diventare sacra. «Il vostro matrimonio è già un sacramento di fronte a Dio», spiega don Marco. Quei due signori, in verità, non erano omosessuali ma Bartolomeo Baldi e Franco Iappelli, giornalisti del Borghese che registrano e spiattellano tutto sul giornale.
Il 9 maggio 1975, il vescovo prende ulteriori provvedimenti: «Al sacerdote è proibito ogni atto di sacro ministero», si legge nel documento della curia. È la sospensione a divinis.
Da quel momento l’immagine di don Marco, agli occhi della gente, si aggrava. Ma per don Marco non è un dramma.
Tutto continua come prima. Si celebra, si fanno i sacramenti, si legge la Parola di Dio. Eppure il legame coi fedeli è sempre più debole. Le presenze si diradano, molti cominciano a staccarsi. Le foto dei primi anni di “occupazione” della parrocchia, sempre stracolma di gente, e quelle “spoglie” degli ultimi tempi, offrono l’immagine di questo progressivo distacco. È drammatica l’immagine dell’ultima Messa, il 25 aprile 1978, con don Marco che celebra tra poche vecchiette e dietro una fila di carabinieri e poliziotti.

 

LA CONVIVENZA CON NICHI VENDOLA. Don Marco si ritrova da solo, senza lavoro, senza futuro, ma soprattutto senza rapporti con la Chiesa. Un “disoccupato” Foto_1 1985 conferenza stampa di presentazione dell'Arcigayin cerca di patria.
Eppure non perde occasione per far parlare di sé. Il 3 giugno 1979 sono previste le elezioni politiche. Pochi mesi prima si presenta dal sacerdote un vecchio amico di tante battaglie con un’ipotesi scioccante: candidarsi con i Radicali.
Quell’amico è Marco Pannella. Don Marco accetta: «Se si vuole essere liberi – scrive in quei mesi – bisogna necessariamente essere eretici. Personalmente non posso non essere uno di loro». La candidatura fa rumore, ma i voti non bastano per entrare in Parlamento.

In quei mesi, mentre Bisceglia è ancora impegnato con i Radicali, avviene un incontro decisivo. In «circostanze fortuite», ricorderà poi, incontra a Roma Enrico Menduni (presidente, dal 1978 al 1983, dell’Arci, storica associazione culturale della sinistra italiana) che propone a don Marco di curare l’aspetto organizzativo dell’Arci per la “sezione” diritti civili. Nasce da lì, nel giro di poco, il copyright dell’Arcigay, “proprietà” di Marco Bisceglia.

La fondazione ufficiale arriverà solo nel 1985, ma come si legge sul sito arcigay.it: «Il primo circolo Arcy-gay nasce informalmente a Palermo il 9 dicembre del 1980 da un’idea di don Marco Bisceglia, sacerdote cattolico dell’area del dissenso» (a destra, la conferenza stampa di presentazione dell’Arcigay. Si riconoscono don Marco e Franco Grillini, secondo e terzo da sinistra, e Nichi Vendola, secondo da destra).
Di qualche anno prima è il coming out di don Marco: la pubblica dichiarazione di omosessualità. Marco è già attivo da tempo nell’organizzazione dei diritti gay, ma non ha ancora liberato del tutto la sua, di omosessualità. Difficile ricostruire la data e la testata che avrebbe dato spazio alla clamorosa dichiarazione (qualcuno ricorda Panorama), ma nell’aprile 1982 un articolo di Andrea Marcenaro sull’Europeo ne parla come un fatto noto: «I preti omosessuali esistono, ma uno solo si è dichiarato», si legge. Quell’uno, naturalmente, è Marco Bisceglia. In quel periodo vive con 400 mila lire al mese (tanto è lo stipendio) e a stento riesce a recuperare i contributi da religioso per garantirsi una pensione. Risalgono a quegli anni l’amicizia e la convivenza con Nichi Vendola, che non smetterà mai di considerarlo «un maestro».
I due vivono insieme per qualche mese a Monte Porzio Catone, nella casa di don Marco. Intanto con l’Arci, da qualche tempo, sorgono i primi problemi. Don Marco, in modo lento e silenzioso, si fa da parte. Non si avrà mai una vera e propria rottura, ma una sfumata e continua presa di distanza.

E così, proprio quando la sua creatura metterà le ali per diventare un punto di riferimento nazionale, calerà il sipario sul suo padre nobile. 
Da quel momento si perdono le tracce di Marco Bisceglia. Una volta era inseguito dai cronisti di tutta Italia, da quel momento quasi nessuno scriverà più un rigo su di lui, e nessuno si preoccuperà di scoprire come finì i suoi giorni. È questo il merito più grande di Rocco Pezzano.

Nel luglio 1987 Bisceglia appare ormai lontano dall’Arcigay. Dalle sue lettere si apprende che si trova ancora a Monte Porzio Catone, dove convive con l’omosessuale Dadì, trentenne di origini algerine. In quei giorni scrive la sua lettera più intima, forse la più bella. È una sorta di diario epistolare destinato agli amici Carla e Wouter.
Racconta di aver letto La conoscenza di sé, opera del filosofo francese René Daumal. «Ci sto trovando – scrive don Marco – alcune cose che stanno accadendo in me. Nonostante tutto, l’età dell’oro esiste sempre, simultaneamente, in rare persone, ma sta a noi meritare di poterle individuare e avvicinare». In quelle parole c’è tanto, troppo, della sua imminente svolta per non leggere l’affacciarsi in lui di una nuova prospettiva di liberazione (l’età dell’oro). Non più ricercata in un’organizzazione, in uno sforzo di cambiamento sociale, ma in un modestissimo desiderio di prossimità a persone autentiche.

IL RITORNO E LA RICONCILIAZIONE. In un giorno della prima metà degli anni Novanta, squilla il telefono della parrocchia di San Cleto a Roma, quartiere San Basilio.
A un capo della cornetta c’è padre Paolo Bosetti, responsabile della parrocchia, dall’altro monsignor Luigi Di Liegro, fondatore della Caritas diocesana.
La richiesta del prelato è quella di accogliere un sacerdote, il quale, però, porta con sé un tremendo fardello: l’Aids. «Cosa dobbiamo fare?», chiede padre Paolo.
«Vogliategli solo bene», risponde il monsignore. Sarà così. 
Don Marco comincia, in punta di piedi, una nuova vita assieme ai confratelli della Congregazione di Gesù sacerdote che lì convivono. Poche parole, tanto tempo libero, nessun impegno parrocchiale.


La vita trascorre lenta, don Marco, semplicemente, segue e comincia a vivere tutte le tappe della giornata: lodi, Messa, cena. Sempre creativo e autonomo nelle scelte culturali, accetta anche consigli su cosa leggere: comincia dal Presbyterorum Ordinis, un decreto del Concilio Vaticano II sul ministero e la vita sacerdotale; poi l’Optatam Totius sulla formazione sacerdotale; senza tralasciare naturalmente Bibbia e Vangeli.
Testi fondamentali se si pensa alla sua vita passata. Decisivi perché letti con occhi diversi. Don Marco si mette in discussione, come uomo e come sacerdote. Il suo passato è noto a tutti, ma nessuno ne parla. «Solo una volta è successo», ricorda padre Paolo. «Don Marco diceva di non rinnegare nulla, ma di voler prendere le distanze dal passato, per “qualcosa che gli gira dentro”, dice. E su cui don Marco vive e medita con serenità».

Vivendo al fianco di altri sacerdoti fiorisce nel suo cuore il desiderio più bello: tornare a celebrare l’Eucaristia. Sono trascorsi, dall’ultima volta, almeno quindici anni. Don Marco ne parla con i confratelli. Non può essere il capriccio di un istante, e allora si approfondisce la questione. A frenare tutto c’è la sua sospensione a divinis. Ma non è un ostacolo insormontabile.
La persona da informare è il vicario generale, il cardinale Ugo Poletti (colui che fa le veci del Vescovo di Roma, allora Giovanni Paolo II), che si prodiga per la vicenda e che spiega che c’è un unico passo decisivo da fare: la supplica.

Don Marco prende carta e penna e stende la sua richiesta. La figura a cui presentare la supplica e che deve valutarla è il prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, Joseph Ratzinger.

Dopo qualche tempo arriva la risposta: la sospensione a divinis è cancellata. Qualche giorno dopo don Marco ne dà notizia alla sorella Anita: «Sono cosciente della mia indegnità, così come sono fermamente fiducioso nel perdono di Dio e nella sua azione purificatrice e rigeneratrice. Spero di potere, con il suo aiuto, riparare ai miei errori e traviamenti».

Quella missiva arriva da Loreto. Padre Bosetti ricorda: «Se si riprende a celebrare l’Eucaristia, che è il corpo di Cristo, non si può farlo senza la riconciliazione». E così è stato. Il giorno della “prima Messa” arriva a Loreto una delegazione della vecchia diocesi di don Marco, guidata da monsignor Vincenzo Cozzi. Quella Chiesa a lungo contestata è lì per riabbracciarlo nel giorno più bello. Nessun passato può vincere il presente: i rancori e le incomprensioni sono fatti reali, concreti, ma non prevalgono. È la festa del perdono e della rinascita, è l’Eucaristia.

Don MarcoGLI ULTIMI ANNI, DURI MA INTENSI. Quelli che restano da vivere sono anni duri ma intensi.
Non è semplice la vita per un malato di Aids, tra continue visite e frequenti ricoveri. «Eppure lui è sereno», racconta Vittorio Fratini, un amico. Una serenità che diventa conforto per gli altri, come testimonia un compagno di stanza in ospedale. Vittorio gli chiede da dove gli provenga questa gioia. La risposta è di quelle che non si dimenticano: «Ricordati che io ero morto e sono risorto. Se devo andare verso la fine della mia vita, ci vado con tanta serenità». 

Una delle ultime lettere di don Marco è del 4 aprile 2001. Risponde all’amico Giancarlo che si lamenta delle gerarchie ecclesiastiche. Don Marco rompe gli schemi. Prima spiega di esserne consapevole, poi aggiunge: «Non lasciamoci irretire da facili stereotipi. Il mio vescovo è un uomo mite, ricco di umanità, ha favorito la mia reintegrazione, pur sapendo di avere a che fare con un soggetto sieropositivo».
È sorprendente. Il vecchio sguardo polemico su ciò che nella Chiesa dovrebbe o non dovrebbe esserci, ha lasciato il passo a uno sguardo pieno di gratitudine per quello che c’è.

L’ideologia ha lasciato il posto all’esperienza. Marco Bisceglia muore il 22 luglio 2001, nei giorni del G8 di Genova. Il “contestatore” muore in un giorno di contestazione. Ma quanto è lontano quello scenario di lotta dalla pace che regna ora nel suo cuore. Oggi riposa nel cimitero di Lavello, nella cappella dedicata ai sacerdoti.



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[Modificato da Caterina63 14/05/2014 13:56]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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21/02/2015 16:55
 
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Nel Blog di "unafides" riportiamo le foto che ritraggono: " ....l'impegno  e lo zelo con cui alcuni “Vescovi" cileni partecipano ad un rito pagano in onore del “dio Tata Inti, dio del Sole Inca"....." vedi qui le foto.

Dire che siamo "scandalizzati" è poco, e sentirsi "furiosi" perchè animati dalla santa inquietudine non  è solo un diritto, ma anche un dovere.

"Guai al mondo per gli scandali! È inevitabile che avvengano scandali, ma guai all'uomo per colpa del quale avviene lo scandalo!" (Mt.18,7)

Non staremo qui a fare del moralismo, lo scandalo che ci anima non proviene dalle intenzioni di questi Vescovi di cui non vogliamo neppure dubitare la "bontà", ma dal ciò che vediamo e che ci confonde, ci inquieta.

Dove sta nella Bibbia il culto e l'adorazione al “dio Tata Inti, dio del Sole Inca"?

Piuttosto leggiamo: Non avrai altro Dio all'infuori di Me.

Qualcuno dirà: "ma non esageriamo! guarda che non stanno adorando, è solo una condivisione..."

No! I Vescovi indossano qui abiti liturgici, usano la stola e la casula, usano il camice vesti del Sacerdote per eccellenza, ed usano la mitra che è simbolo dell'autorità del Cristo al quale si deve l'unico culto.

Lo diciamo onestamente: non avremo ardito ad un articolo se i Vescovi lì presenti si fossero presentati in abito piano, ossia con la sola talare, tanto ci hanno abituati a questi incontri sincretisti, cercando di tollerare il tollerabile - vedi qui, ma qui è diverso, l'uso degli abiti liturgici e gli atti eseguiti dai Vescovi presenziano un culto vero e proprio e il cui celebrante non è un Sacerdote del Cristo, ma un laico, "sacerdote" della sua cultura idolatra, non certo un Sacerdote di Cristo! Quell'uomo ha officiato in favore del dio Inca e non nell'unico Nome che salva: Gesù Cristo!

Così spiegava Ratzinger sul nostro rapporto con le "altre religioni":

«Un simile ritorno, il recupero della propria storia, deve ripetersi in continuazione. Avviene nei quaranta giorni trascorsi da Gesù nel deserto. La Chiesa cerca di farlo ogni anno nei quaranta giorni di preparazione alla Pasqua:uscire nuovamente dal peso del paganesimo, che continua a spingerci lontano da Dio, tornare sempre a rivolgerci a Lui. E all’inizio della celebrazione eucaristica, nella confessione dei peccati, cerchiamo anche noi di riprendere questo cammino, di uscire nuovamente, di tornare ad incontrare sul monte di Dio la sua parola e la sua presenza» (Benedetto XVI - vedi qui).

e dice ancora:

«Un approccio falsamente «rassicurante» è quello «mistico», che sfumerebbe la molteplicità delle religioni e dei loro dogmi – con annesse presunte intolleranze - in una esperienza sentimentale, il cui carattere prevalentemente interiore terrebbe al riparo dal conflitto con la ragione..... la religione […] diventa, per così dire, una terapia individuale: la salvezza si trova al di fuori del mondo; per operare in esso non ci viene data altra indicazione al di fuori della forza che si può accrescere ritirandosi regolarmente nella dimensione spirituale. Ma questa forza, come tale, non ha per noi alcun messaggio chiaramente definibile. Nel nostro agire all’interno del mondo restiamo dunque abbandonati a noi stessi» (Benedetto XVI - vedi qui).

e arriva a concludere:

«A questo punto, «falliti» i tentativi di sfumare le asperità delle religioni teistiche, relativizzando la propria idea di Dio e i dogmi, per portare in primo piano l’impegno pragmatico o l’esperienza mistica, ci si chiederà: L’attitudine alla pace è legata alla rinuncia alla verità?»

La risposta è no.

Ratzinger dice chiaramente che «l’incontro tra le religioni non può avvenire nella rinuncia alla verità, ma è possibile solo mediante il suo approfondimento. Lo scetticismo non unisce. E nemmeno il puro pragmatismo unisce. […] Vanno incoraggiati invece il rispetto profondo per la fede dell’altro e la disponibilità a cercare, in ciò che incontriamo come estraneo, la verità che ci può concernere e può correggerci e farci progredire» (Benedetto XVI - vedi qui).

E qui ci fermiamo perchè il discorso piega poi verso l'ecumenismo che è cosa assai diversa dal dialogo interreligioso: nel primo caso si cerca la comunione nella Santissima Trinità e nel Dio Uno e Trino, Vivo e che tutti i Cristiani, separati, credono; nel secondo caso si avanza nel dialogo e non comunione, cercando, fra le tante differenze che ci contraddistinguono, "i semi sparsi dallo Spirito Santo" il quale, per altro, non può certo contraddire Se stesso, ne la Sposa del Cristo!

Tornando alle immagini ed alla gravità del fatto, per comprendere l'enormità dello scandalo, occorre ricordare che la Chiesa, nei suoi Santi Padri e tanti Martiri, fin dai primi secoli aveva risolto ogni riferimento pagano e idolatrico del "dio sole" inserendo a buon diritto l'adorazione al Cristo, il vero ed unico Sole - non il "dio Sole" mi raccomando - ma il Cristo il vero Sole che illumina il mondo, le genti, i cuori e le menti, e l'unico Dio degno di essere adorato.

Ed è certo che siamo scandalizzati ed inquieti, qui non siamo neppure nel comune paganesimo, ma rientriamo proprio nel panteismo puro! Qui ci troviamo davanti a dei Vescovi della Chiesa che hanno reso un culto panteista, con tanto di usi di paramenti sacri e dove l'incenso lo ha messo il sacerdote Inca....

La dottrina Inca crede in Wiraqucha, la divinità creatrice del Sole, della Luna e delle stelle, il dio che aveva plasmato i primi uomini nell'argilla.

Inti (Sole), creatore e protettore degli Inca è sposo e fratello di Mama Quilla (madre Luna) e padre del primo inca, e di Mama Ocllo (madre Uovo)

Ci facciano capire questi Vescovi: chi ci ha creati? Chi è morto sulla Croce al quale si deve l'unico Culto? e per il quale usate quei paramenti sacri che avete prostituito?

Vergogna!!

E per carità cristiana non ci soffermeremo davanti al fatto che i Vescovi e preti non si inginocchiano più davanti a Gesù-Ostia Santa, davanti all'Eucaristia o alla Consacrazione, ma vedete bene come si inginocchiano davanti al nulla!

VERGOGNA!!!

Se siamo davanti a quella misericordia di Dio che farà gridare dalla Croce quelle parole supplichevoli: "Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno", dall'altra parte non siamo principianti, abbiamo duemila anni di storia durante i quali molti hanno tentato di offuscare o cancellare la divina Rivelazione del Dio vero, l'ignoranza non è più scusabile, soprattutto a chi indossa gli abiti liturgici del vero Culto divino ed è Sacerdote di Cristo, l'Alter Christus.

A ragione Benedetto XVI denunciava:

Ma dove non c’è più verità alcuna, si può allora modificare qualsiasi criterio valutativo, e, in ultima istanza, dovunque fare in un modo e nell’esatto suo contrario. L’aver rinunciato alla verità mi pare il vero e proprio nucleo della nostra crisi odierna. Dove però la verità non offre più terreno solido, là anche la solidarietà comunitaria — peraltro, ancora tanto considerevole — finisce per sfilacciarsi, poiché anch’essa resta in ultima istanza senza radici. In quale misura, dunque, noi viviamo secondo l’interrogativo di Pilato, apparentemente tanto umile, ma in realtà così presuntuoso: « Ma che cosa è la verità? ». Proprio così, però, noi prendiamo posizione contro Cristo. Certo, quando degli uomini credono di poter disporre a buon mercato e con troppa fiducia della verità è il momento in cui si corre un rischio davvero enorme. Ma un pericolo ancora maggiore incombe là dove l’evidenza comune, la validità e l’obbligatorietà vincolante dell’affermazione del vero vengono addirittura considerate come un qualcosa che non sarebbe più in alcun modo possibile e attuabile.." (vedi qui).

Siamo in Quaresima e non vogliamo assolutamente infuocare gli animi in modo negativo, al contrario, vogliamo suscitare il santo sdegno, lutto, pianti e lamenti, e il legittimo scandalo per poterlo offrire a Nostro Signore; usare questo fatto doloroso per vivere nel cuore questa Quaresima in Cristo, con Cristo e per Cristo, unendo all'unico Sacrificio perfetto e all'unico vero Culto a Dio, la supplica per il perdono e la conversione di questi Vescovi.

Perciò chiuderemo l'articolo con alcuni passi della Lettera Enciclica di Pio XI "Ad Catholici Sacerdotii" del 20 dicembre 1935 - vedi qui -

"Il sacerdote, secondo la magnifica definizione che ne dà lo stesso San Paolo, è bensì un uomo “preso di mezzo agli uomini”, ma “costituito a vantaggio degli uomini per i loro rapporti con Dio” (Eb 5,1): il suo ufficio non ha per oggetto le cose umane e transitorie, per quanto sembrino alte e pregevoli, ma le cose divine ed eterne; cose, che possono essere per ignoranza derise e disprezzate, che possono anche venire osteggiate con malizia e furore diabolico, come una triste esperienza lo ha spesso provato e la prova pur oggi, ma che stanno sempre al primo posto nelle aspirazioni individuali e sociali dell’umanità, la quale sente irresistibilmente di essere fatta per Iddio e di non potersi riposare se non in Lui. (...)

Ma il sacerdote cattolico è ministro di Cristo e dispensatore de’ misteri di Dio (cf 1 Cor 4,1), anche con la parola, con quel “ministero della parola” (cf At6,4), che è un diritto inalienabile e insieme un dovere imprescrittibile impostogli da Gesù Cristo medesimo: “Andate adunque e ammaestrate tutte le genti,… insegnando loro di osservare tutto quello che vi ho comandato” (Mt 28,19-20).

La Chiesa di Cristo, depositaria e custode infallibile della divina rivelazione, per mezzo de’ suoi sacerdoti sparge i tesori delle celesti verità, predicando colui che è “luce vera, che illumina ogni uomo che viene a questo mondo” (Gv 1,9),spargendo con divina profusione quel seme, piccolo e disprezzato allo sguardo profano del mondo, ma che, come l’evangelico grano di senape, ha in sé la virtù di mettere radici salde e profonde nelle anime sincere e sitibonde di verità e di renderle, come alberi robusti, incrollabili anche tra le più forti bufere (cf Mt 13,31-32)..." (...)

Perciò già nell’Antico Testamento, Iddio comandava ai suoi sacerdoti e ai leviti: “Siano dunque santi, perché santo sono anch’io, il Signore che li santifico” (Lv 21,8). E il sapientissimo Salomone, nel cantico per la dedicazione del tempio, questo appunto chiede al Signore per i figli di Aronne: “I tuoi sacerdoti si rivestano di giustizia e i tuoi santi esultino” (Sal131,9).

Orbene, Venerabili Fratelli, “se tanta perfezione e santità e alacrità – diremo con San Roberto Bellarmino – si esigeva in quei sacerdoti, che sacrificavano pecore e buoi e lodavano Dio per benefici temporali, che cosa mai non si dovrà esigere in quei sacerdoti che sacrificano l’Agnello divino e rendono grazie per benefici eterni?”. “Grande in vero – esclama San Lorenzo Giustiniani – è la dignità dei Prelati, ma maggiore ne è il peso; posti come sono in grado così elevato davanti agli occhi degli uomini, bisogna che anche si innalzino al sommo vertice delle virtù davanti agli occhi di Colui che tutto vede; altrimenti sono sopra gli altri non a proprio merito, ma a propria condanna”.

***

e per amore alla Verità, vi invitiamo a leggere questo testo:

La Chiesa e noi di San Gregorio Magno

Laudetur Jesus Christus

   


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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27/08/2015 18:06
 
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  Nunzio Galantino è paradigma di un episcopato sul ponte del Titanic colpito dall’iceberg

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Portare personaggi come Nunzio Galantino all’episcopato, affidare a loro delle Chiese particolari e infine nominarli in ruoli di siffatta delicatezza ai vertici della Conferenza Episcopale Italiana, equivale a seguitare imperterriti a danzare sulle note dell’orchestrina nel salone delle feste del Titanic che sta colando a picco dopo avere colpito l’iceberg.

 

 

 Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

 

nunzio galantino 1
S.E. Mons. Nunzio Galantino Segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana

La mancanza di prudenza manifestata più volte dal Segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana S.E. Mons. Nunzio Galantino conduce a quella mancanza di tatto tipica dei soggetti che invece di praticare le strade della Dottrina Sociale della Chiesa ― il cui tracciato parte nel 1891 dal magistero del Sommo Pontefice Leone XIII attraverso l’Enciclica Rerum Novarum [cf. QUI] e culmina nel 1991 con laCentesimus annus [cf. QUI] del Santo Pontefice Giovanni Paolo II ― può portare sulla via di quei teologismi dai quali si sprofonda infine nel fumo dei sociologismi politici, ripetutamente stimmatizzati con rigore teologico tra le colonne telematiche di questa nostra rivista.

Un pensiero teologico erroneo quello del Vescovo Galantino, nel quale Cristo  – di fatto – non è inizio, centro e fine ultimo escatologico del nostro intero umanesimo [cf. Dominus JesusQUI], ma un accessorio; d’indubbia importanza, d’importanza fondamentale, ma comunque accessorio. E su quest’ultimo tema del Cristo accessoriopubblicherò a breve un’apposita e specifica analisi teologica.

Nell’Isola di Patmos si fa teologia e al momento opportuno è nostro imperativo di coscienza affermare cos’è oggettivamente ortodosso e cos’é oggettivamente eterodosso alla luce della Verità rivelata del Verbo Incarnato e del Magistero della Chiesa. Neppure dinanzi all’errore più ostinato abbiamo mai colpito le persone alle quali va sempre il nostro rispetto, a partire anzitutto dalle Autorità Ecclesistiche. Colpire però le idee sbagliate, ed in specie quelle portate avanti in modo molto pericoloso da talune Autorità Ecclesiastiche, è un dovere al quale non possiamo e non dobbiamo sottrarci, perché difendere la verità dall’errore costituisce il fondamento della carità cristiana, che si fonda appunto sulla verità, non sul buonismo nazionalpopolare. Nostro compito pastorale e teologico è quindi spiegare e diffondere la Verità rivelata del Verbo Incarnato e il Magistero della Chiesa. Per il resto esiste una vasta gamma di riviste cattoliche che gioiscono nel girare il mestolo dentro il pentolone della politica; cosa peraltro del tutto legittima, perché i cattolici sono parte integrante e viva della vita di questo Paese, oltre che suoi cittadini dotati del diritto di voto, come di recente ho ricordato analizzando le inopportune comparse televisive di S.E. Mons. Domenico Sigalini Vescovo della Diocesi Suburbicaria di Palestrina [cf. QUI].

galantino ciotti 2
“Le accoppiate vincenti della Chiesa contemporanea” –  A sinistra S.E. Mons. Nunzio Galantino, alla sua destra il “prete per caso” Luigi Ciotti il cui annuncio “evangelico” sono i diritti civili e il culto idolatrico di una male intesa “legalità”

Nessun “Galantino” dell’episcopato moderno ― o meglio filo-modernista ― cresciuto negli anni Settanta al grido di «più collegialità, più dialogo, più democrazia nella Chiesa», può quindi inibire a dei sacerdoti e teologi l’esercizio della libertà dei figli di Dio e il conseguente esercizio del senso critico nell’ambito della speculazione teologica. Esattamente ciò che il Codice di Diritto Canonico consente da sempre ai ministri in sacris e alle membra vive del Popolo di Dio. Il canone 212 domanda infatti, da una parte, l’obbedienza dei fedeli ai Pastori, dall’altra, riconosce a loro il diritto di esprimere delle riserve «su ciò che riguarda il bene della Chiesa». Il tutto basato a monte su un fatto documentato: ad Antiochia l’Apostolo Paolo muove delle severe critiche all’Apostolo Pietro su questioni di carattere pastorale [Gal 2,11]. Oggi purtroppo, nella moderna Antiochia, gli errori di Pietro potrebbero essere anche più gravi in quanto proporzionati a tempi molto tristi e ad una società occidentale al completo collasso, ma purtroppo pare non esserci neppure l’ombra di un Paolo nell’intero Collegio Apostolico.

Ignorare questi presupposti può comportare la caduta in due diversi errori: l’idolatria rivolta con supino spirito ruffiano ai potenti del momento sulla cresta dell’onda; la ribellione all’Autorità della Chiesa di Cristo per altro verso. Nell’uno e nell’altro caso, alla base del tutto c’è l’immaturità della fede, ma soprattutto il tentativo di togliere alle menti speculative la libertà dei figli di Dio, in nome dello spot del post-concilio: «Più collegialità, più dialogo, più democrazia nella Chiesa», il quale ha finito col portare al potere i peggiori dittatori, esattamente coloro che a cavallo tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta il concetto stesso di autorità lo hanno distrutto. Come però da sempre risaputo i dittatori non ammettono mai sane discussioni, perché non si confrontano e non accettano il dibattito pubblico, sono auto-referenziali e distruttivi verso ogni opinione diversa dalla loro; e sulle ceneri dell’autorità hanno eretto i propri autoritarismi basati sul loro selvaggio e umorale arbitrio.

immigrati clandestini
una delle tante “carrette del mare” che trasportano a getto continuo immigrati clandestini in Italia, problema divenuto oggetto di accesi scambi tra il Segretario generale della CEI e vari esponenti del mondo politico italiano

La critica, col più devoto garbo del caso può essere rivolta in modo lecito anche al Romano Pontefice, quand’egli non si esprime in materia di dottrina come colui che, «una volta ravveduto» è chiamato per divino mandato a «confermare i fratelli nella fede» [cf. Lc 22, 31-34]. Figurarsi per ciò se non è lecito rivolgere critiche ai nebulosi sociologismi politici pseudo teologici e pseudo pastorali del Vescovo Nunzio Galantino.

Se per alcuni, quello di Galantino è un problema politico, per noi è dunque un problema teologico connesso a un dramma che sta vituperando la Chiesa: le persone sbagliate messe a fare danni nei posti più delicati. Indubbiamente siamo noi i primi a riconoscere che mai come oggi le relazioni tra Governo della Repubblica Italiana e Santa Sede erano state così tese, con punte notevoli di imbarazzo da ambo le parti, proprio per le improvvide sparate verbali del Vescovo Nunzio Galantino [cf. QUI]. Infatti, noi cattolici italiani, dobbiamo indubbia gratitudine a tutti i governi succedutisi dal dopoguerra in poi, inclusi governi socialisti e in seguito governi formati da membri della sinistra liberale post-comunista; perché tutti hanno sempre avuto un grande occhio di riguardo per la Chiesa Cattolica italiana, cosa questa che non andrebbe dimenticata e se il caso lo richiede spiegata anche al Segretario generale della CEI. A meno che egli non intenda sputare sul piatto dove l’episcopato italiano “mangia” all’incirca oltre un miliardo e mezzo di euro all’anno provenienti dal gettito fiscale dell’Otto per Mille. E con questi soldi vengono mantenuti anche molti inutili parassiti con stipendi da funzionari negli uffici centrali della CEI, gran parte dei quali hanno come unico merito quello di essere parenti, nipoti o amici degli amici di qualche monsignorotto, non sempre tra l’altro eterosessuale, visto il diffuso omosessualismo che pare a volte regnare nella Chiesa, con tutte le ben note ed evidenti conseguenze. Questo per dire che prima di puntare il dito sull’acne adolescenziale dei politici bisognerebbe pensare alle nostre antiche croste da lebbrosi, specie in quest’anno liturgico nel quale, durante la sacra liturgia, si sta leggendo il Vangelo di Matteo dove il Signore Gesù tuona parole di fuoco contro gli ipocriti. Ora, che la boria verbale di Galantino sia fuori luogo, è pacifico, ma ripeto: il problema non è per noi politico ma teologico, frutto a monte di una pastorale sbagliata e demagogico-populistica. E ribadisco ancora che il problema è teologico perché dalla pseudo-teologia di Galantino si capiscono tutti i suoi improvvidi attacchi politici camuffati dietro pretesti pastorali che non reggono e che non stanno in piedi, se non alla luce dell’imprudenza e sotto certi aspetti anche della sottile carenza di autentica carità cristiana, la quale richiede anzitutto sapienza.

Nunzio galantino 3
S.E. Mons. Nunzio Galantino Segretario generale della CEI

Per capire da dove procedere il parlar nebuloso di Galantino bisogna andare alle origini della sua formazione filosofica e teologica, posto che la prima – malgrado i “sacri titoli” conseguiti – filosoficamente parlando è pressoché inesistente. La seconda è invece confusa, come spiegheremo in dettaglio a breve. Se infatti fossero sufficienti titoli in perfetta regola rilasciati da istituzioni accademiche civili o ecclesiastiche per essere delle autentiche menti speculative, dei filosofi o dei teologi, o dei naturali candidati all’episcopato, in tal caso il mondo sarebbe a tal punto pieno di Dottori della Chiesa che si avrebbero serie difficoltà a collocarli in qualche modo in vita e poi appresso da morti nell’Albo dei Santi.

Se il Galantino filosofo fosse messo dinanzi ad un filosofo metafisico, non saprebbe neppure da dove cominciare il discorso e forse cercherebbe di salvarsi le penne facendo un giro di parole sulla …sintesi dialettica dell’alternanza ideologica secondo il paradigma della piattaforma del pensiero pensato in modo impensabile all’interno di un nucleo para-logico e fanta-razionale ma parzialmente oggettivo secondo i parametri dei contesti socio-politici contingenti di Dietrich Bohnöffer  … perché questo è di fatto il post sessantottino Galantino, una sorta di socio-politologo che nei caldi anni Settanta consegue la laurea in filosofia all’università civile di Bari discutendo una tesi sulla Antropologia di Bohnöffer come premessa al suo impegno politico.

Nunzio galantino 4
S.E. Mons. Nunzio Galantino Segretario generale della CEI

Di male in peggio i suoi studi teologici, attraverso i quali ha conseguito tutte quelle “santissime carte” in base alle quali troppi pensano che ciò basti per essere teologi dogmatici fuori d’ogni possibile discussione. Galantino consegue infatti la licenza specialistica in teologia dogmatica presso uno dei vari disastrati studi teologici del post-Sessantotto, quello dell’Italia Meridionale, noto come uno tra i peggiori del nostro Paese, visto che in esso erano spediti a insegnare dei gesuiti che a livello teologico risultavano imbarazzanti persino per la Pontificia Università Gregoriana degli anni Settanta, che è tutto dire. Se infatti a Roma, per la presenza della Sede Apostolica, c’era all’epoca perlomeno un debole tentativo di controllo delle università pontificie e delle cattedre, gli studi teologici periferici, a partire da quello di Napoli, erano invece incontrollata fucina e polo di diffusione dei peggiori pensieri ereticali. Un po’ come la Camorra, che svolge ed esercita i propri loschi traffici nelle zone di provincia di Caserta e località limitrofe, evitando così di dare troppo nell’occhio nelle zone centrali di Napoli sulle quali le forze dell’ordine cercano di esercitare un qualche controllo.

Bonhoeffer 1
immagine iconografica di Dietrich Bohnöffer

Come tesi di studio Galantino presenta un perfetto duplicato della sua tesi filosofica: Bohnöffer tra teologia ed impegno politico. E qui sarebbe interessante sottoporre Galantino ad un dibattito con dei veri teologi dogmatici per appurare quale sia, ma soprattutto quanto profonda sia la sua conoscenza della complessa e articolata storia del dogma, a partire dai primi concili della Chiesa, ma soprattutto quando sia profonda la sua conoscenza di quei Dottori della Chiesa grazie ai quali oggi possiamo parlare di teologia dogmatica: Sant’Anselmo d’Aosta, San Tommaso d’Aquino, San Bonaventura di Bagnoregio … a meno che l’Ecc.mo Presule non intenda, come un altro intellettuale della Magna Grecia, il Prof. Don Giuseppe Ruggieri, sostenere che «San Tommaso d’Aquino è superato», ed una volta affermata questa “colta” stoltezza principiava il ciclo di lezioni allo Studio Teologico San Paolo di Catania basando la propria “teologia” su parametri hegeliani, nel silenzio totale dei vescovi siciliani che lo lasciarono per tre decenni avvelenare i cervelli ai loro futuri preti, con tutte le visibili e innegabili conseguenze disastrose del presente.

Infine, il già filosofo e teologo dogmatico Nunzio Galantino, consegue l’inevitabile dottorato che a Napoli, dove lo ha conseguito ― come del resto a Roma dove oggi i dottorati sono tirati dietro a tutti come coriandoli a carnevale, ivi incluso a soggetti con serie lacune non sulla teologia bensì sul Catechismo della Chiesa Cattolica ― è una cortesia che alla stregua di un caffè non si nega a nessuno per buon cuore clericale. Ovvio e scontato il titolo della tesi: La storicità come fedeltà alla terra in Bohnöffer.

Cop_IlConcilioTradito
l’opera di Giovanni Cavalcoli  su Karl Rahner

Per fugare ogni potenziale malinteso preciso che non solo è cosa giusta ma persino doverosa e preziosa che i teologi facciano studi su autori infarciti delle peggiori eresie, ma allo scopo di confutare i loro errori. Basti pensare al mio confratello sacerdote e maestro, il Domenicano Giovanni Cavalcoli, col quale mandiamo avanti l’esperienza pastorale e teologica di questa rivista. L’insigne teologo pontificio ha dedicato tre decenni della propria vita allo studio dei complessi e articolati teologismi di Karl Rahner, indicando la velenosità del loro impianto e spiegando e dimostrando come e perché questo celebre teologo tedesco è una autentica fabbrica di eresie. Del tutto diverso invece il discorso speculativo di Galantino, che non ha confutato gli errori dottrinali e le eresie di Bohnöffer, ma le ha gioiosamente sposate e diffuse, ed oggi ce lo ritroviamo come numero due in carica presso la Conferenza Episcopale Italiana.

santo uffizio
il grande palazzo dell’ex Sant’Uffizio, oggi sede della Congregazione per la Dottrina della Fede, che potrebbe essere trasformato in ostello per poveri in occasione del Giubileo della Misericordia oppure mutato in Congregazione per i profughi mussulmani



Vista la sua attuale “inutilità”
 forse si potrebbe mutare il palazzo dell’ex Sant’Uffizio, oggi Congregazione per la Dottrina della Fede, in un ostello per ospitare i poveri che a breve accorreranno a Roma per il Giubileo della Misericordia, giacché i poveri sono la “vera fede”, sono la “carne di Cristo” dinanzi alla quale “inginocchiarsi adoranti”, mica inginocchiarsi davanti alla Santissima Eucaristia, ci mancherebbe altro! Tutto il resto è quindi un inutile sovrappiù, anzi è proprio una reminiscenza della Roma curiale del passato, che anziché preoccuparsi di collocare docce per i barboni sotto il colonnato del Bernini, richiamava presso quel dicastero i vari teologi che partivano per la tangente diffondendo dottrine non cattoliche in seno alla Chiesa Cattolica. Pertanto, Sua Eminenza il Cardinale Ludwig Müller oggi Prefetto di quel Dicastero, potrebbe diventare nuovo Prefetto della Congregazione per i profughi musulmani, sempre ammesso che non venga soppiantato dall’Arcivescovo di Agrigento Francesco Montenegro, Cardinale del titolo di San Maometto Profeta in Lampedusa alle Porte Sfondate d’Europa.

A questo punto mi limito a sintetizzare solo alcune delle varie eresie che strutturano il pensiero dell’eretico luterano Dietrich Bohnöffer, mai indicate e come tali confutate da Galantino in alcuna sua pubblicazione e pubblica conferenza:

1. Bohnöffer negò l’ispirazione divina dell’Antico Testamento giudicandone i Libri testimonianze che divengono Parola di Dio al momento che essa parla ad un individuo; altrimenti è solo la parola di uomo [1].

2. Bohnöffer Negò il Dio biblico perché a suo dire il concetto di Dio come Essere supremo, assoluto in potenza e bontà, è una falsa concezione di trascendenza e che l’idea di Dio come una ipotesi operante nella morale, nella politica e nella scienza dovrebbe essere abbandonata, o nei limiti del possibile eliminata [2].

3. Bohnöffer mise in dubbio la nascita verginale di Cristo [3].

4. Bohnöffer sostiene che «Gesù Cristo Oggi non è una persona reale o un essere reale, ma una presenza corporativa», quindi negò di fatto la divinità del Verbo Incarnato [4].

5. Bohnöffer afferma che la resurrezione del Cristo deve essere letta nell’ambito degli aspetti «mitologici», con evidente richiamo alle eresie di Rudolf Bultman, quindi che il Cristianesimo «deve essere interpretato in modo tale da non rendere la religione una pre-condizione della fede», quindi egli negò di fatto la resurrezione fisica di Cristo. E sempre su influsso di Bultman afferma che i miracoli e l’ascensione di Cristo erano «concezioni mitologiche» [5].

6. Bohnöffer crede che Cristo non è la sola via che porta a Dio, aprendo così le porte al relativismo e al sincretismo e vanificando in tal modo l’intero mistero della Rivelazione [6].

7. Bohnöffer era un evoluzionista [7] e credeva che il libro della Genesi è un testo infantile e come tale pieno di miti [8] che necessitano di essere adeguatamente de-mitizzati.

8. Bohnöffer aderì alla teologia neo-ortodossa concernente la salvezza [9], era un sacramentalista [10], credeva che il battesimo dei bambini rigenerasse [11], come quello degli adulti [12], equiparò l’appartenenza alla Chiesa alla salvezza [13] e negò decisamente l’idea di una salvezza personale/individuale [14].

Walter Kasper e Karl Lehmann
I Cardinali Walter Kasper e Karl Lehmann, due dei fedeli discepoli che hanno trascinato dentro la Chiesa il cavallo di Troia di Karl Rahner e che inevitabilmente sono finiti rivestiti di rosso porpora

Oggi abbiamo vescovi e cardinali che si sono formati con le idee velenose di Rahner, di Schillebeeckx, di Teilhard de Chardin, di Cox, di Heidegger, di Schleiermacher, di Kierkegaard, di Barth, di Bohnöffer, di Bultmann, di Moltmann, di Cullmann, di Lutero, di Loisy, di Cartesio, di Kant, di Hegel, di Freud, di Gentile …

I nostri vescovi pagano l’imprevidente ignavia della precedente generazione di loro confratelli formatisi nel periodo dell’immediato post concilio. E di tutti costoro il Vescovo Nunzio Galantino è paradigma e come tale è stato fatto Segretario generale dei Vescovi italiani.

Il fatto non passibile di smentita è che il Vescovo Nunzio Galantino, il quale sprizza di fatto più modernismo che sorrisi, si è formato ed ha sviluppato il proprio pensiero “filosofico” e “teologico” su tesi e teorie di autori non cattolici infarciti delle peggiori eresie; e questi autori sono tutt’oggi i suoi punti strutturali di riferimento, Bohnöffer in testa. Da ciò ne consegue un problema davvero drammatico per un Vescovo posto in simile delicato ruolo, quello di non servire e di non diffondere la autentica Verità Rivelata del Verbo Incarnato ma di servire e di diffondere il verosimile, ossia quelle favole di cui parla il Santo Apostolo Paolo: «Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole» [II Tm 4, 3-4].

titanic affondamento
l’affondamento del Titanic avvenuto la notte del 14 aprile 1912

Portare personaggi come Galantino all’episcopato,affidare a loro delle Chiese particolari e infine nominarli in ruoli di siffatta delicatezza ai vertici della Conferenza Episcopale Italiana, equivale in tutto e per tutto a seguitare imperterriti a danzare sulle note dell’orchestrina nel salone delle feste del Titanic che sta colando a picco dopo avere colpito l’iceberg. Sia chiaro: nessuno pone in discussione l’autorità del Vescovo Nunzio Galantino che a lui deriva per sacramento di grazia dalla pienezza del sacerdozio. Sarei io il primo a prestargli devota e filiale obbedienza se per disgrazia fosse il vescovo avente giurisdizione canonica su di me. Il problema, a mio sommesso ma deciso parere, è che soggetti come Galantino non andrebbero proprio fatti vescovi; ma una volta che lo sono diventati la loro autorità apostolica è fuori discussione, mentre la loro autorevolezza o la loro mancanza di autorevolezza umana, filosofica, teologica e pastorale può essere invece soggetta a molte discussioni, senza nulla togliere a ciò che ad essi è dovuto in rispetto e obbedienza da parte dei presbìteri e dei sudditi delle loro Chiese particolari. O per dirla in altri termini: «Ti ubbidisco» — direi a Galantino se fosse mio Vescovo — «perché l’obbedienza ti è dovuta e perché te l’ho solennemente promessa, sappi però che non ti stimo, perché la mia stima non ti è invece dovuta, perché mai te l’ho solennemente promessa, perché mai la Chiesa ha chiesto a me ed a qualsiasi presbitero dell’orbe catholica di promettere solennemente stima ai vescovi, ed io, nell’esercizio della riconosciuta libertà dei figli di Dio, non ti reputo affatto degno della mia stima».

orchestra del titanic
L’orchestra sul ponte del Titanic che sta colando a picco [ vedere il video in fondo all’articolo]

Il Padre Giovanni Cavalcoli e io non siamo neppure scesi dal Titanic, per il semplice fatto che non vi siamo mai saliti sopra. Quando infatti nel porto di Liverpool udimmo in che modo l’uomo sfidava il Creatore affermando «Questa nave è inaffondabile perché neppure l’ira di Dio riuscirebbe mai a colpirla!», ci siamo messi a gridare: «Non salite sopra a quella nave, perché la superbia porta all’inevitabile rovina!». Fatto ciò ci siamo allontanati in attesa di poter correre come soccorritori delle vittime sopravvissute a quel grande naufragio che domani sarà imputato ai vari Galantino, ed a tutti i piccoli cicisbei in carriera a caccia del loro posticino al sole che oggi lo invitano a tagliare i nastri ai vari eventi in giro per l’Italia, nella illusoria certezza di avere scelto il cavallo vincente. E mentre in verità costoro traballano su un calessino sgangherato tirato da un pony, rapiti dagli interessi del loro vivere solo l’immediato che deriva dal non avere capito cosa significa veramente l’Incarnazione del Verbo di Dio quindi cosa realmente è la Chiesa di Cristo in una prospettiva escatologica, sono persino convinti di procedere in trionfo sulla carrozza del re trainata da dodici stalloni arabi, col popolo bue che s’inginocchia per la strada incapace di urlare che il re è nudo, perché ciò è politicamente scorretto; e siffatta scorrettezza politica non sarebbe mai permessa dai nuovi ecclesiologi atei del quotidiano La Repubblica e dai massoni oggi più che mai gaudenti per l’ovile di Dio in rovina ad opera dei suoi stessi Pastori che hanno accolto i lupi tra le pecore. Ma prima o poi un ragazzino urlerà la evidente nudità del re e sarà così compiuta la volontà di Dio che ha «disperso i superbi nei pensieri del loro cuore e ha esaltato gli umili», mentre il tallone della Beata Vergine Maria schiaccerà la testa all’antico serpente, ed anche a tutta la nidiata delle sue viperelle ruffiane …

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NOTE

[1] Cf. Testimony to Freedom, pp. 9, 104; Sanctorum Communio, p. 161
[2] Cf. Letters and Papers from Prison, S.C.M. Press edition, Great Britain: Fontana Books, 1953, pp. 122, 164, 360
[3] Cf. The Cost of Discipleship, p. 215
[4] Cf. Testimony to Freedom, pp. 75-76; Christ the Center, p. 58
[5] Cf. Christ the Center, p. 112; Letters and Papers from Prison, S.C.M. Press edition, Great Britain: Fontana Books, 1953, pp. 93-94, 110
[6] Cf. Testimony to Freedom, pp. 55-56
[7] Cf. No Rusty Swords, p. 143
[8] Cf. Creation and Fall: A Theological Interpretation of Genesis 1-3
[9] Cf. Testimony to Freedom, p. 130
[10] Cf. Life Together, p. 122; The Way to Freedom, pp. 115, 153
[11] Cf. Letters and Papers from Prison, Macmillan, pp. 142-143
[12] Cf. The Way to Freedom, p. 151
[13] Cf. The Way to Freedom, p. 93
[14] Cf. Letters and Papers from Prison, Macmillan, p. 156

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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Quell’“esameˮ che fa perdere la coscienza del peccato

 

p. Gianni Notari


(di Luigi Bertoldi) È un testo, che circola ai ritiri per istituti religiosi. Quattro paginette fitte, ma che presentano numerose criticità. Sono state recentemente proposte da padre Gianni Notari, gesuita, al ritiro delle suore Canossiane ‒ provenienti da tutta Italia ed alcune anche dall’estero ‒, svoltosi a Roverè, nel Veronese.

È uno schema che, sotto un’apparenza di ortodossia cattolica, si rivela essere un autentico campo minato, contrapponendo al tradizionale esame di coscienza una versione davvero problematica della cosiddetta «preghiera di alleanza». Ne girano anche altre edizioni, più o meno accettabili. Ma questa è densa di insidie. In cosa consiste? Nello spostare pericolosamente il centro della questione, invitando a prestar attenzione non più «alle mie azioni per distinguerle e classificare in buone e cattive», bensì «all’azione di Dio in me per far crescere e “fiorireˮ la mia relazione con Lui».

Lo sguardo al «vissuto di oggi», agli «avvenimenti interiori ed esteriori» ed ai «sentimenti che li hanno accompagnati» non sarebbe più finalizzato quindi ad individuare le proprie colpe ed a farne ammenda, bensì semplicemente a «scoprire la presenza e le opere» del Signore. Per questo lo schema proposto crea anche neologismi, bollando il primo come «esame morale di coscienza», quasi squalificandolo, ed il secondo appunto come «esame spirituale» o «preghiera di Alleanza», compiendo distinzioni inesistenti, operando distinguo insussistenti e così rischiando di confondere le carte, almeno nell’ordinaria Dottrina cattolica.

È corretta tale procedura? No, e lo dice in modo esplicito il Catechismo Maggioredi San Pio X: «L’esame di coscienza si fa col richiamare diligentemente alla memoria, innanzi a Dio, tutti i peccati commessi, non mai confessati, in pensieri, parole, opere ed omissioni, contro i Comandamenti di Dio e della Chiesa, e gli obblighi del proprio stato, a cominciare dall’ultima confessione ben fatta» (n. 697).

Il proposito è quello di individuare e denunciare «le abitudini cattive e le occasioni del peccato» (n. 698), in particolar modo ricercando eventualmente «il numero dei peccati mortali» (n. 699) ovvero quelli per i quali vi sia «materia grave, piena avvertenza e perfetto consenso della volontà» (n. 700).

Non solo. Secondo tale schema “innovativo” andrebbe cambiato «l’oggetto» cui applicare il «dialogo con il Signore»: non più la Parola di Dio, bensì «il vissuto della giornata appena trascorsa», come se i famosi «segni dei tempi», di cui parla la Costituzione pastorale Gaudium et Spes del Concilio Vaticano II, dovessero prevalere sulla Sacra Scrittura. La realtà è un’altra e ben la precisa il Catechismo della Chiesa Cattolica, laddove spiega come sia da compiersi l’esame di coscienza: «Alla luce della Parola di Dio» (n. 1454) con particolare riferimento al Decalogo, ai Vangeli ed alle Lettere degli Apostoli. Ovvero l’esatto contrario.

Strategico il lessico, cui fa ricorso l’«esame spirituale di coscienza»: non esiste più la parola «colpa», non si commette più il «peccato»; sono termini aboliti. Quindi, nemmeno è possibile emendarli. Né l’una, né l’altro. Al massimo, si parla di «non risposte», di «vuoti», di «chiamate non accolte, perché scomodanti oppure accolte a metà oppure non prese in dovuta considerazione». Ed ora è chiaro come, nell’immaginario collettivo, un invito non accolto, quand’anche fattoci da Dio, appaia meno grave del male da me volutamente compiuto, dell’errore da me volutamente commesso.

Un altro aspetto è quello del perdono: in questo schema pare esser gratis. Non più solo «per quanti si convertono a Lui», ma incondizionato, per tutti: «Ti ringrazio del Tuo perdono», si dà per scontato nel testo, come se fosse automatico, dimenticando così quanto dice la Sacra Scrittura: «Non esser troppo sicuro del perdono, tanto da aggiungere peccato a peccato. Non dire: “La Sua misericordia è grande; mi perdonerà i molti peccatiˮ, perché presso di Lui ci sono misericordia e ira, il Suo sdegno si riverserà sui peccatori» (Sir 5, 5-6).

La Lettera ai Galati spiega come Cristo ci abbia «liberati perché restassimo liberi; state dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù» (Gal 5, 1), specificando come questa tale prospettiva sia possibile. Non esclude il giogo, anzi. Dice solo che, per evitarlo, occorre guardarsi da «fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere; circa queste cose chi le compie non erediterà il Regno di Dio» (Gal 5, 19-21). Non erediterà. Ergo, non è gratis.

L’«esame spirituale di coscienza» o «preghiera di Alleanza» si chiude con una sorta di riso, che richiama quel che Qoelet chiama «follia» (Qo 2, 2), tutto pieno di bei sentimenti, di sguardi acritici verso l’avvenire col «cuore nuovo colmo di fiducia, di coraggio, di ottimismo». Nessuno spazio per la mortificazione derivante dalla consapevolezza delle mancanze compiute. Ci si dimentica totalmente di ciò che scrisse S. Agostino: «Signore, fa ch’io Ti conosca per amarTi e che mi conosca per disprezzarmi». E guai al contrario, poiché – si legge – ciò significherebbe esser stati sviati «dallo spirito del male».

L’esatto contrario – anche in questo caso – di quanto contenuto nella Sacra Bibbia, laddove si dice: «È preferibile la mestizia al riso, perché sotto un triste aspetto il cuore è felice. Il cuore dei saggi è in una casa in lutto e il cuore degli stolti in una casa in festa» (Qo 7, 3-4). E l’invito contenuto nella Lettera di San Giacomo è molto chiaro: «Gemete sulla vostra miseria, fate lutto e piangete; il vostro riso si muti in lutto e la vostra allegria in tristezza. Umiliatevi davanti al Signore ed Egli vi esalterà» (Gc 4, 9-10).

In realtà, il Catechismo della Chiesa Cattolica invita a compiere l’esame di coscienza in tutt’altro modo, ovvero in modo «diligente», quand’anche si trattasse «dei peccati più nascosti e commessi soltanto contro i due ultimi Comandamenti del Decalogo, perché spesso feriscono più gravemente l’anima e si rivelano più pericolosi di quelli chiaramente commessi» (n. 1456). Il desiderare la donna o la roba d’altri appartiene cioè a quei «peccati impuri», che – come rivelò la Madonna alla piccola Giacinta, veggente di Fatima – son poi quelli che «più offendono Dio e portano più anime all’inferno». Aggiunse Giacinta: «Verranno certe mode che offenderanno molto Nostro Signore. Le persone che servono Dio, preti, religiosi, buoni cristiani, non devono seguire le mode. La Chiesa non ha mode. Nostro Signore è sempre lo stesso».

Impossibile non scorgere, in queste parole della Beata Vergine, una fotografia di quel che oggi, tragicamente, accade, proprio grazie anche alla crescente inconsapevolezza del peccato, alla perdita del senso della colpa. Il che erode la nostra coscienza. Anche a causa di schemi come questa «preghiera di Alleanza». Che non pare proprio esser di aiuto. Tutt’altro. (Luigi Bertoldi)



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Enzo Bianchi: la Madonna “ruota del carro”. Il commento di Mons. Antonio Livi



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BIANCHIQuando, pur nella grave situazione di notevole confusione nel mondo cattolico, riusciamo a scherzarci sopra io e mia sorella rievochiamo quel vecchio film –“L’invasione degli ultracorpi”- nel quale spaventosamente uno dopo l’altro i protagonisti vengono “contagiati” e, appunto, diventano degli “ultracorpi”. Così pare stia accadendo negli ambiti ecclesiali dove, con prassi e modalità diverse, molti ecclesiastici si distanziano pericolosamente dal Magistero.


Non è il caso di fare una black list (sarebbe troppo complesso) ma in questa sede vorremmo citare gli ultimi due casi, in ordine di tempo, di gravi deviazioni dalla retta Dottrina. Anzitutto il Vescovo di Vienna, Cardinale Christoph Schönborn, che in una lunga intervista concessa al Gesuita siciliano Antonio Spadaro (LEGGI IL TESTO INTEGRALE DELLE DICHIARAZIONI DEL CARDINALE) contribuisce alla demolizione del Magistero cattolico: “E’ un altro tassello nel mosaico della rivoluzione sessuale avviata dal clero modernista” è l’amaro ma lucido commento di Monsignor Antonio Livi, teologo e filosofo di spessore ( LEGGI DI PIU)


LIVI

Teologo e filosofo di notevole spessore Monsignor Antonio Livi ha fondato la Associazione “Fides et Ratio”. E’ scrittore ed editore: autore e curatore di innumerevoli pubblicazioni. Si menziona il suo “Dogma e pastorale” (Ed. Leonardo da Vinci)



Che con notevole comprensione del fenomeno in atto aggiunge: “Alla fine – secondo le intenzioni di chi promuove questa rivoluzione – il magistero della Chiesa dovrebbe sancire ufficialmente (dogmaticamente) la distruzione totale della legge morale naturale e della legge divina positiva (non di alcuni sviluppi tradizionali ma proprio della dottrina del Vangelo, dei comandamenti espliciti di Gesù stesso).”


E’ un quadro spaventoso ma vero o comunque assolutamente verosimile. Non è solo Mons. Livi, grazie a Dio, ad avvedersi di tale spaventoso sbandamento che il Papa Giovanni Paolo II definì “apostasia silenziosa” nella Esortazione Apostolica “Ecclesia in Europa”. Era il 2003 e da allora le cose non sono migliorate, anzi. Ma per Grazia di Dio, in quegli anni,  i vertici massimi della Chiesa hanno garantito di essere autenticamente una roccia ove milioni e milioni di fedeli hanno potuto saldamente afferrarsi con la certezza di essere nella Verità di Cristo.


permanere


Ecco, questo il punto: permanere nella Verità di Cristo. Ma torniamo a Schönborn che, come detto, ha praticamente toccato tutti i punti della morale sessuale coniugale con “aperture” spaventose ma purtroppo vere. E che fanno eco a molti altri ecclesiastici che hanno oramai nettamente deviato dal Vangelo. Monsignor Antonio Livi ha parlato della intenzione oramai in atto di “distruzione totale della legge morale naturale e della legge divina positiva” ma subito aggiunge che  “ciò non può avvenire, logicamente, e forse si arriverà soltanto a enunciazioni ambigue e confusionarie, utili a lasciar parlare impunemente i cattivi maestri e i falsi profeti che ora dominano la scena pubblica.”


 



Il Cardinale Schonborn durante una Celebrazione Eucaristica



Sistemato Schönborn, che pure qualche lustro fa era visto come una “roccia” della sana teologia e della retta dottrina, passiamo brevemente alle ultime pazzesche sortite di un laico piemontese, tale Enzo Bianchi, eccole testuali: “Nella chiesa c’è buona volontà ma poi della donna si hanno immagini irreali: il modello di Maria, vergine e madre, che non può essere il riferimento per una promozione della donna nella chiesa; l’idea, insinuata per moda, che la Madonna sia più importante di San Pietro, idea insipiente come dire che la ruota in un carro è più importante del volano…”.


Da piccolo son stato educato che le parolacce non si ripetono neppure e, col tempo, ho imparato che non si fa pubblicità al male neppure per denunciarlo (cercando di attuare l’ammonimento paolino “di queste cose neppure si parli”) ma quando una persona che gode, incredibilmente, della stima incondizionata di molti ecclesiastici e persino di Bergoglio stesso arriva a definire la Madre di Dio “una ruota del carro” davvero non si può tacere.


INTESA

SGUARDO D’INTESA – Il signor Enzo Bianchi e Papa Bergoglio



Ecco come, con calma, monsignor Livi arriva in soccorso dell’Immacolata e commenta le incredibili esternazioni di Enzo Bianchi:  “sono anni che io denuncio inutilmente le assurdità teologiche di Enzo Bianchi (che materialmente sono eresie, ma formalmente non hanno la dignità di un discorso eretico, perché sono solo strumenti dialettici di una politica ecclesiastica a favore della lobby modernista). Lui, imperterrito, continua a pontificare, forte dell’appoggio dei caporioni di quella lobby e della cultura massonica ad essa associata (come “la Stampa”, la “Repubblica” eccetera). A noi non resta che pregare e consigliare a tutti di non ascoltare, o per lo meno di non prendere per magistero quello che Magistero non è.”


Ecco, preghiamo Lei, la Vergine Santa, debellatrice di tutte le eresie; ci doni il suo perdono per le autentiche bestemmie rivolteLe  E’ certo il trionfo del Suo Cuore Immacolato.


cosimo de matteis


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Enzo Bianchi, l'«umanista ateo» getta la maschera
di mons. Antonio Livi

14-09-2015
Enzo Bianchi

 

L’intervista apparsa su la Repubblica il 9 settembre scorso sarebbe ripetitiva e insignificante se non fosse anche il riassunto del vasto progetto politico-religioso di Enzo Bianchi ("La Chiesa del futuro", a cura di Silvia Ronchey, il cui testo è stato tolto dal sito del Monastero di Bose e di Repubblica, ndr). Il “piccolo riformatore” piemontese ha affisso le sue “tesi” alla porta, non di una chiesetta della Germania cinquecentesca ma di un quotidiano romano la cui sede è a pochi passi dalla basilica di San Pietro. 

Tutto è chiaramente simbolico: il giornale che lo intervista proprio perché parli male del cristianesimo e bene dell’islam (le domande sembrano proprio redatte da chi deve rispondere) è lo stesso giornale dove il suo fondatore, Eugenio Scalfari, ha lodato papa Francesco per avergli dato ragione in tutto, e in particolare sul rifiuto di Dio come creatore del mondo e come autore della legge morale naturale. Erano altri tempi quando La Repubblica usciva con un articolo in prima pagina intitolato «Il Papa contro le donne» (si trattava di una delle reiterate condanne dell’aborto da parte di san Giovanni Paolo II). Quel papa era da criticare ferocemente, e con lui tutta la tradizione dogmatica e morale della Chiesa cattolica. Il papa attuale invece va elogiato perché – dice esplicitamente Scalfari e dice implicitamente anche Bianchi – ha iniziato un’opera di demolizione della Chiesa come depositaria della verità rivelata da Cristo, per trasformarla in uno dei tanti movimenti “spirituali” che contribuiscono al “nuovo ordine mondiale”, che mira all’annullamento delle differenze tra le religioni e ultimamente all’annullamento della religione stessa. 

Perché questo progetto mondialista si presenta talvolta come espressione del più genuino senso religioso, ma i suoi presupposti sono sempre quelli dell’umanesimo ateo. Lo scrissi nel 2012 a proposito della riduzione che Bianchi fa di Cristo a semplice modello di umanità, e lo ho ripetuto a proposito della riduzione che il cardinale Kasper fa dell’Eucaristia a mero strumento rituale dell’identificazione dei fedeli nella comunità. Ora, nel cosiddetto monastero di Bose, Bianchi ha chiamato proprio il suo maestro Kasper a parlare dell’ecumenismo, inteso logicamente come attività  politico-culturale con la quale la Chiesa cattolica dovrebbe dissolversi in un’indifferenziata religiosità umanistica. E alla vigilia del convegno, Bianchi illustra alla compiacente e compiaciuta giornalista di Repubblica i criteri fondamentali del suo progetto etico-politico, che passa dalla critica di ogni dottrina e di ogni prassi della Chiesa cattolica che non siano omologabili all’ecumenismo inteso come indifferentismo religioso.

La prima critica di Bianchi colpisce la cristianità del quarto e quinto secolo: «Quando con Teodosio il cristianesimo è diventato religione dello stato imperiale la furia dei monaci – lo dico con dolore, mi strappa il cuore – ha distrutto i templi pagani, fatto uno scempio di opere d'arte non diverso da quello dell'Is, ma ben più vasto. È il motivo per cui san Basilio non ha mai usato nei suoi scritti la parola "monaco": designava integralisti violenti, i talebani del momento. Guardando i secoli mi permetto di dire, pur con tutte le differenze: vediamo che altri rifanno a noi quello che abbiamo fatto». Poi fa continuare il discorso all’ignara giornalista: «Come ad Alessandria d'Egitto, quando fu distrutto il Serapeo e i parabalani del vescovo Cirillo assassinarono Ipazia. Nel "Libro dei testimoni", lo straordinario martirologio ecumenico di Bose, questa martire pagana potrebbe trovare posto?». Ecco la scontata risposta di Bianchi alla non-domanda della giornalista diRepubblica: «Sì, come tutti coloro che – da Buddha a Savonarola, da Rumi a Gandhi – in qualunque religione o anche all'esterno hanno perseverato in una posizione di umanità». 

Il discorso di Bianchi non potrebbe essere più chiaro: invece di unirsi alla Chiesa cattolica, che nelMartirologium Romanum, elenca i cristiani che hanno testimoniato eroicamente la loro fede in Dio, Enzo Bianchi elenca nel suo “martirologio ecumenico” una serie eterogenea di personaggi che avrebbero testimoniato una non precisata «posizione di umanità». Insomma, si tratta di un’altra esplicita professione di fede nella “religione dell’uomo”. La cosa strana, peraltro, è che Bianchi nomina, accanto al Buddha (che è un maestro di sapienza nichilistica e quindi atea) e ad altri maestri di spiritualità naturalistica (il persiano Rumi e l’indiano Gandhi), anche il frate domenicano Girolamo Savonarola, che per quanto vittima di lotte politiche tra Firenze e il Papa, non ha nulla a che vedere con l’umanesimo ateo, anzi è stato un uomo di autentica fede e di grande rigore morale, tanto che a Firenze si oppose energicamente ai costumi e anche alle arti dell’Umanesimo paganeggiante, tanto da far bruciare libri e quadri sconvenienti, proprio come avevano fatto i «monaci integralisti» contro i quali Bianchi  si era scagliato qualche riga più sopra.

Ma non è questa l’unica incongruenza del discorso di Bianchi (le ideologie non riescono a esprimersi senza tradire le loro contraddizioni interne). Più avanti egli si mostra entusiasta di papa Francesco, non perché sia, come tutti i suoi predecessori, il Vicario di Cristo (figuriamoci!), ma solo perché in qualche caso le sue direttive pastorali sembrano in sintonia con le direttive politiche emanate dalle lobbies installate negli organismi internazionali, dall’ONU all’UE, delle quali sono zelanti propagandisti La Repubblica e gli altri media di orientamento laicista, cioè massonico. Ad esempio, parlando delle direttive pastorali di papa Francesco riguardo all’accoglienza dei profughi in Italia, Bianchi va all’attacco di ogni opinione e di ogni prassi che a lui sembrano “disobbedienza” al Papa: «Il papa ha lanciato l'allarme già due anni fa, dopo la visita a Lampedusa. È rimasto inascoltato e credo che anche questo suo nuovo appello lo sarà. Il fastidio di un certo clero verrà magari dissimulato dall'ipocrisia religiosa, che è la più bieca e spaventosa di tutte». E poi: «Un mese fa il vescovo di Crema ha chiesto di ospitare i rifugiati in locali adiacenti una scuola cattolica, è stato contestato dalle famiglie. La situazione italiana è una vergogna, soprattutto nelle regioni tradizionalmente più cattoliche, il Veneto e la Lombardia». L’intervistatrice domanda a Bianchi: «Il rifiuto è più sociale o più confessionale?», volendo forse far dire a Bianchi che si tratta di ragioni più religiose che politiche. E infatti Bianchi risponde: «Quello confessionale l'hanno gridato a suo tempo il cardinal Biffi e il vescovo Maggiolini, secondo cui bisognava eventualmente accogliere solo i cristiani. Ma il problema è la vera e propria fabbrica di paura dei barbari, edificata da forze politiche attente solo all'interesse locale, forze che prima di Francesco la chiesa italiana ha assecondato, anche se all'inizio sembravano assumere riti pagani, precristiani, quelli sì barbarici. Ora si proclamano cattolici ma io li chiamo cristiani del campanile. Il grande silenzio di una chiesa complice li ha aiutati a iniettare nel tessuto sociale del territorio il veleno della xenofobia». 

Insomma, dove ci sono principi formulati dal pensiero unico, non c’è spazio per la coscienza e la responsabilità personale, non sono possibili interpretazioni e applicazioni prudenziali, nemmeno se vengono suggerite da pastori esemplari come Biffi e Maggiolini, la cui memoria (sono entrambi defunti) Bianchi non esita a infangare. E pensare che lo stesso Bianchi – i cui discorsi mancano non solo di fede soprannaturale ma anche di logica naturale – poco dopo sostiene che il dettame della propria coscienza prevale sull’obbedienza al Papa: «La dottrina cattolica del Vaticano II ribadisce con chiarezza che la coscienza prevale su qualsiasi autorità, anche su quella papale». Non è affatto questa la «dottrina cattolica» sul rapporto tra legge morale e coscienza: è piuttosto  la “dottrina Scalfari”, che ignora l’esistenza di Dio creatore e legislatore e la natura libera e responsabile degli atti umani. 

La dottrina morale cristiana – che si estende anche agli orientamenti socio-politici che costituiscono la “dottrina sociale della Chiesa” – non è stata affatto rivoluzionata dal Concilio, come peraltro ebbe a chiarire definitivamente san Giovanni Paolo II con la sua enciclica Veritatis splendor. Ma tant’è: quando non è d’accordo con il Papa, Bianchi incita tutti a disobbedirgli, e quando invece è d’accordo esige da tutti la più assoluta obbedienza, anche quando non si tratta di veri e propri ordini (come sono quelli contenuti in precise leggi canoniche, dove sono specificati i tempi, i modi e i soggetti interessati).

Dove l’incoerenza del discorso raggiunge i vertici della più volgare dialettica ideologica è quando Bianchi tesse le lodi della «tolleranza islamica», da contrapporre all’intolleranza dei cristiani, sia di Oriente che di Occidente. Senza preoccuparsi di distinguere l’espansione militare degli Arabi da quella dei Turchi, senza accennare alle persecuzioni di cristiani e di ebrei iniziate già con Maometto, Bianchi racconta questa favola: «Al tempo della conquista musulmana i cristiani del Medio Oriente hanno aperto le porte delle loro città agli arabi che portavano libertà di culto e affrancavano dalle angherie economiche del governo imperiale cristiano. La convivenza di cristiani, ebrei e musulmani nel corso del medioevo islamico ha fatto fiorire momenti di cultura straordinari, come nel mondo sufita, che conosco bene». Allargando il discorso, aggiunge: «L'islam è una religione di pace e mitezza con una mistica di forza pari a quella cristiana». 

Ecco di nuovo la voluta confusione dei termini propriamente religiosi, con l’intenzione di riconoscere in ogni religione – e anche al di fuori di ogni religione, come prima ha detto – valori umanistici. Bianchi sa bene che la parola “mistica”, in un contesto religioso cristiano, ha il significato di unione di volontà e di affetti con Dio Uno e Trino, e non è mai possibile senza la fede nel Verbo Incarnato; al di fuori di questo contesto la parola “mistica” non ha il medesimo significato religioso, soprattutto se la divinità di  Cristo viene negata e la Trinità viene considerata una corruzione blasfema della vera nozione di Dio. E non ne parliamo nemmeno se di tratta della mistica che si pretende di riscontrare nel pensiero panteistico (neoplatonismo) o addirittura ateo (buddismo, induismo). 

Passando poi dalla  mistica alla violenza, e volendo ripartirne equamente la colpa a cristiani e islamici, Bianchi espone la teoria aberrante della pari verità e della pari falsità di tutti i cosiddetti “libri sacri”, che andrebbero interpretati alla luce – guarda un po’ – della morale umanistico-atea: «Se nel Corano ci sono testi di violenza, non sono molto diversi da quelli che troviamo nella Bibbia e che ci fanno inorridire. La lettura integralista della Bibbia può rendere integralisti quanto quella del Corano. L'esegesi storico-critica delle scritture, cui il cristianesimo è approdato con fatica e subendo terribili condanne dell'autorità ecclesiastica, è il primo passo di un lungo cammino che aspetta anche i musulmani. Nel frattempo servono ascolto, dialogo, seri studi universitari per dissipare la propaganda ideologica che attecchisce sull'ignoranza: non è vero che l'islam è una religione della violenza e della jihad, affermarlo serve solo a giustificare la nostra nei suoi confronti». 

Insomma, nel cristianesimo non ancora riformato da Bianchi c’è solo violenza, ipocrisia e/o ignoranza. E la colpa dell’ignoranza va attribuita all'«autorità ecclesiastica» (san Pio X?) che avrebbe ostacolato con «terribili condanne» la lotta dei teologi illuminati (i modernisti?) per liberare i fedeli dall’interpretazione integralistica della Scrittura. Così Bianchi conferma il suo progetto di graduale eliminazione di tutti quegli aspetti di verità soprannaturale che sono propri della Chiesa cattolica, a cominciare dall’ispirazione divina della Scrittura e dal carisma dell’infallibilità conferito da Cristo al Magistero, che della retta interpretazione della Scrittura è garante (contrariamente a quanto pretende Lutero con la dottrina del “libero esame”)... 

Eliminata la verità di Dio creatore e autore della legge naturale; eliminata la verità di Cristo, unico «Salvatore dell’uomo», e quindi la verità di Dio uno e trino; resta da eliminare – per finire di togliere al cristianesimo la sua dimensione soprannaturale - la verità di Maria «Madre del Redentore». E Bianchi, per denigrare il culto mariano (inviso ai protestanti e quindi considerato da Bianchi un ostacolo sulla via dell’ecumenismo), non esita a tirare in ballo il vecchio tema della misoginia nella Chiesa cattolica: «Si dice sbrigativamente che certi musulmani siano ancora nel medioevo. Ma il velo completo per le suore di clausura è stato abolito solo nel 1982. È molto recente la presa di coscienza della pari dignità della donna e dell'uomo nel cristianesimo, che non ha ancora nemmeno il linguaggio per esprimerla. La soggezione delle donne agli uomini è un retaggio scritturale nell'islam, ma è presente anche nelle nostre scritture: san Paolo afferma che le donne non devono assolutamente parlare nell'assemblea della chiesa e devono stare a capo coperto. Di nuovo, serve una rilettura storico-critica di tutti i libri sacri, per scorgerne l'intenzione e non le forme. Nella chiesa c'è buona volontà ma poi della donna si hanno immagini irreali: il modello di Maria, vergine e madre, che non può essere il riferimento per una promozione della donna nella chiesa; l'idea, insinuata per moda, che la Madonna sia più importante di San Pietro, idea insipiente come dire che la ruota in un carro è più importante del volano... Non siamo ancora capaci di prendere sul serio l'uguaglianza indubbia tra uomini e donne. Il cammino per la chiesa è ancora lunghissimo perché ovunque ci sia un esercizio di comando restano gli uomini, mentre le donne sono confinate al servizio umile». 

Indubbiamente Bianchi sogna (assieme a Hans Küng) una riforma della Chiesa cattolica che la porti ad assomigliare alle comunità protestanti, con donne-sacerdoti e donne-vescovi. Ma per i cattolici dotati di buon senso e di autentico sensus fidei questo non è un bel sogno, anzi è un incubo. Ho letto tanti commenti di laici che sul web hanno espresso la loro indignazione di fronte alle assurdità teologiche di Bianchi nel suo ultimo intervento pubblico. Trascrivo uno qualsiasi di questi commenti: «Le monache di clausura sapevano che, consacratesi a Cristo, avrebbero fatto anche la scelta del velo. Purtroppo le donne islamiche vengono costrette in quanto donne, e non è loro scelta quella di portare il velo. La Bibbia dice cose che prese alla lettera sono peggio del Corano? Bianchi dimentica che siamo cristiani cattolici. Che la nostra non è una religione del libro, che Cristo è Dio incarnato che ha portato quelle novità che hanno spazzato via le regolette molto care ai Farisei. Che c'è il Vangelo... Di che cosa parla quest'uomo? La Madonna è meno importante di San Pietro? Maria è l'unica creatura nata senza peccato originale, San Pietro era un peccatore, poi pentito e scelto per fondare quella Chiesa che Bianchi pare non amare. Stiamo parlando di due livelli diversi, non vedo classifiche, non ci ho pensato mai». 

Aggiungo, per completezza, che il culto dovuto a Maria è baso su dogmi fondamentali della verità cristiana. Bianchi non ignora il concilio ecumenico di Efeso (anno 351), dove la Madonna è stata proclamata “theotokos”, ossia “madre di Dio”. Ma a Bianchi non interessano i dogmi, anzi vorrebbe eliminarli tutti uno per uno. Io, se qualche volta volesse ascoltare, gli ricorderei che anche il Vaticano II, che per lui è “il Concilio”, l’unico, ha confermato la dottrina di sempre sul culto mariano nel capitolo ottavo della costituzione dogmaticaLumen gentium. E gli farei anche notare che, se si ostina a non accettare gli insegnamenti di san Giovanni Paolo II sul culto mariano e sul ruolo della donna nella Chiesa (vedi la Mulieris dignitatem), potrebbe almeno rispettare la grande devozione mariana di Francesco, il papa del quale egli si presenta come legittimo interprete.  

Concludo allargando il discorso. Come i lettori della Nuova Bussola Quotidiana sanno bene, sono anni che io denuncio inutilmente le assurdità teologiche di Enzo Bianchi. Ho detto e ripeto che materialmente sono indubbiamente eresie, anche se formalmente non hanno la dignità di un discorso eretico, perché sono solo strumenti dialettici di una politica ecclesiastica a favore della lobby umanistico-atea. Lui, imperterrito, continua a pontificare, forte dell’appoggio istituzionale di chi è a capo di quella lobby e dell’appoggio mediatico della cultura “laica” (così si suole dire per non dire “massonica”). 

Il bello è che nemmeno lo stesso Bianchi è stato capace di contraddire le mie critiche alla sua falsa teologia, ad esempio quando gli facevo notare che parlava di Cristo come di una creatura, negandone esplicitamente la divinità (del resto lo ha imparato dal suo maestro Walter Kasper, il quale lo ha imparato a sua volta da Karl Rahner). Ogni volta che ha replicato alle mie critiche teologiche, Bianchi non ha saputo dire altro che in Vaticano lo stimano e lo nominano consulente di questo o di quello, e che i vescovi italiani lo chiamano continuamente a parlare ai fedeli delle loro diocesi, eccetera. Cose che sono vere (purtroppo!) ma nulla hanno a che vedere con le mie critiche, che non sono rivolte alla persona ma alle sue dottrine, e sono teologicamente ineccepibili, perché fondate sulla fede e sulla logica (l'una e l'altra cosa insieme). 

Bianchi si è sempre comportato come Bruno Forte, Gianfranco Ravasi e tanti altri che di fronte alle mie critiche teologiche (cfr il mio trattato su Vera e falsa teologia) non tentano nemmeno di confutarle ma si accontentano di mostrarmi orgogliosamente le loro insegne episcopali o cardinalizie. A me non resta che pregare, mentre continuo a consigliare tutti di non prendere per magistero quello che Magistero assolutamente non è.

 

da LaNuovaBussolaQuotidiana




[Modificato da Caterina63 14/09/2015 21:28]
Fraternamente CaterinaLD

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11/10/2015 23:17
 
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  IL BERGOGLISMO STA AFFONDANDO (AL SINODO E NON SOLO). IMPORRA’ IL DIKTAT ALLA MANIERA ARGENTINA?

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“Arranca la spavalda macchina da guerra?”, si chiede un vaticanista svizzero. In effetti al Sinodo la macchina da guerra argentina con motore tedesco (i vescovi progressisti) si è impantanata: si sa, di questi tempi i “motori” tedeschi sono da rottamare e la carrozzeria argentina è un ferrovecchio, impastato di peronismo e di rugginosa teologia della liberazione.

PRIMA SETTIMANA

Infatti il Sinodo si è aperto con la relazione del cardinale Erdo che ha ribadito la dottrina cattolica demolendo le eresie di Kasper (e facendo irritare Bergoglio).

Inoltre, dopo questa prima settimana, uno dei relatori delle commissioni, l’australiano Mark Coleridge, ha sintetizzato così la situazione: “Se il Sinodo finisse oggi, il 65 per cento dei padri voterebbe contro l’ipotesi di ammettere alla comunione i divorziati risposati”.

Per il partito di Bergoglio e Kasper la sconfitta sarà ancora più scottante sul tema dell’omosessualità, perché dalle relazioni dei vari circoli emerge la richiesta di opporsi con vigore alle teorie gender, considerate la nuova pericolosa ideologia che ha preso il posto del marxismo e che ha effetti devastanti sulla mentalità e sulla formazione dei giovani.

Del resto la parte cattolica del Sinodo, maggioritaria numericamente (quella che si rifà al magistero di sempre e specie a Giovanni Paolo II e Benedetto XVI), ha fatto anche energiche proteste contro la minoranza bergogliana al potere, che sta imponendo le sue procedure, i suoi metodi e i suoi uomini nei posti chiave, ma di tali proteste non si sa nulla fuori o vengono rappresentate dalla macchina della propaganda in modo caricaturale (i cattivi conservatori contro gli illuminati progressisti).

Sebbene il Sinodo discuta di famiglia, quei milioni di famiglie cristiane che stanno fuori – secondo i bergogliani – non devono sapere niente (a differenza degli altri Sinodi) o devono avere un’informazione filtrata e “impacchettata” da loro.

Il partito bergogliano è come una squadra di calcio che sta perdendo 5 a 0 sul campo di gioco (e quindi rosica), ma può impunemente assestare calci, provare a fare gol con le mani (alla maniera argentina) e ostentare arroganza perché sa che l’arbitro è il loro leader e alla fine darà loro partita vinta a tavolino contro ogni regola (infatti Bergoglio si riserva pure di cambiare le regole a partita in corso – per esempio sulla relazione finale – in base alla convenienza della sua squadra).

I CATTOLICI

Un grande conforto della parte cattolica è rappresentato dal mite e sapiente Benedetto XVI, il cui magistero e la cui presenza, come un faro nella notte tempestosa, indicano il cammino.

La settimana scorsa del resto il vaticanista americano Edward Pentin ha rivelato la risposta che papa Benedetto – allo scorso Sinodo – dette a un prelato tedesco che gli domandava cosa dovesse fare di fronte alla tempesta scatenatasi nella Chiesa: “Halten Sie sich unbedingt an die Lehre!” (rimanete assolutamente fermi sulla dottrina).

Ratzinger è oggi ascoltato dai più, perché l’inerme Verità è l’unico tesoro della Chiesa, essendo Cristo stesso, e se la Chiesa tradisse o svendesse la verità della dottrina cattolica, farebbe come Giuda e toglierebbe all’umanità la vera misericordia di Dio e la salvezza.

Illuminata dalla luce di Benedetto XVI, la parte cattolica è arrivata a questo Sinodo più forte e preparata rispetto al precedente e al Concistoro del febbraio 2014, quando fu colta di sorpresa dalle inaudite tesi di Kasper fatte proclamare da Bergoglio.

E’ significativo del resto che fra i più decisi a opporsi al sovvertimento della dottrina cattolica ci sia una chiesa giovane come quella africana, particolarmente curata per 40 anni da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI.

Essa infatti, oltre ad esprimere grandi cardinali come Sarah, una luce per tutta la cristianità, è di gran lunga oggi la Chiesa più dinamica, più missionaria, più in crescita avendo ormai superato i 200 milioni di fedeli con un impressionante 238 per cento in più rispetto al 1980.

Mentre quella sudamericana di Bergoglio, quella tedesca di Kasper e quella belga di Daneels sono al tracollo.

MODERNISMO FALLITO

Ma questo è il paradosso di oggi: alla guida della Chiesa stanno coloro le cui ricette si sono rivelate fallimentari nei loro paesi. E vogliono applicare le stesse disastrose ricette alla Chiesa intera, con effetti devastanti su scala planetaria.

Certo, molti indicano la popolarità del papa argentino come segno di rinascita. Ma è un bluff e dentro la Chiesa lo si è ormai capito. E’ la popolarità drogata del circo mediatico laicista, che non porta una sola conversione, ma esulta piuttosto per la conversione del papa all’agenda Obama e all’agenda onusiana.

I dati della pratica cattolica in Italia, che sotto Giovanni Paolo II e Benedetto XVI erano cresciuti, con Bergoglio continuano a diminuire. La stessa “Repubblica” sabato scorso, riferendo gli studi della “Fondazione Critica liberale” e della Cgil, ha dovuto riconoscere che per la Chiesa “l’effetto Francesco non c’è”, anzi “l’Italia continua ad allontanarsi dalla Chiesa”, quindi l’effetto Bergoglio c’è a rovescio: allontana i fedeli.

PANORAMA DI ROVINE

I cattolici hanno la sensazione che con Bergoglio stia venendo giù tutto. Per esempio l’imbarazzante coming out (con il compagno) di monsignor Charamsa, il quale pretende che sull’omosessualità la Chiesa cambi la legge morale basata sulla Parola di Dio, non sarebbe stato possibile senza le mille sconcertanti aperture e i chi-sono-io-per-giudicare di Bergoglio, che Charamsa definisce “fantastico”. Chi semina vento raccoglie tempesta, dice la Bibbia.

E come evitare la confusione e il disorientamento per il Motu proprio sulle nullità matrimoniali di Bergoglio che anche un giurista cattolico come il professor Danilo Castellano ha demolito?

E’ inevitabile constatare che esso introduce di fatto il divorzio, sovverte il Vangelo e il millenario insegnamento della Chiesa. Cosicché – invece di sostenere la famiglia aggredita dalle ideologie moderne – le si dà il colpo di grazia.

C’è poi tutta la lista degli altri errori bergogliani. Quello sull’immigrazione è colossale. Come quello sui cristiani perseguitati a cui non ha certo giovato il suo atteggiamento di resa verso l’Islam e i regimi comunisti.

Poi ci sono i cristiani massacrati dall’Isis che egli ha sostanzialmente abbandonato, delegittimando ogni concreto intervento in loro difesa: di fatto oggi i vescovi del Medio Oriente (e le loro comunità) vedono nell’intervento di Putin la speranza della liberazione dal terrore.

Prendiamo poi i comizi noglobal di Bergoglio contro “l’economia che uccide” (quella capitalistica).

Secondo i dati della Fao diffusi in questi giorni la percentuale dei denutriti nei paesi in via di sviluppo è passata dal 23,3 per cento del 2000 al 12,9 per cento di oggi.

In 50 anni il tasso globale di povertà estrema è passato dall’80 per cento al 10 per cento, mentre la popolazione mondiale raddoppiava (è accaduto l’opposto di quanto prevedevano le teorie malthusiane).

E anche i dati sull’ambiente, l’aria e la salute negli ultimi 50 anni sono molto migliorati smentendo l’ecocatrastofismo marxisteggiante dell’enciclica bergogliana.

Pure ciò che viene celebrato come il successo internazionale di Bergoglio, la fine dell’embargo a Cuba, a ben vedere risulta essere il soccorso a una vecchia dittatura odiosa e sanguinaria che il papa è andato a omaggiare ignorando le vittime e i dissidenti.

E’ un panorama di macerie quello che Bergoglio sta lasciando. Con cadute incredibili come la comica lite da strapaese con Ignazio Marino, cosa inimmaginabile per giganti come Ratzinger e Wojtyla (con buona pace di Scalfari che elogia Bergoglio perché avrebbe portato la Chiesa fuori dalla politica).

Marino deve andarsene e merita tutte le critiche del mondo, ma Bergoglio si è meritato la battuta della compagna Ferilli: “Che il papa si senta in dovere di fare un comunicato per sfancularlo è – posso dirlo? – decisamente inaudito”.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 11 ottobre 2015

Facebook: “Antonio Socci pagina ufficiale”

(nella foto Gilbert K. Chesterton e una sua citazione)







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Settimo Cielo di Sandro Magister

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Sinodo in confusione. La "Relatio finalis" tra gli oggetti smarriti

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papa_cartella

Il primo a mettere in dubbio che una "Relatio finalis" vi sarà, al termine di questo sinodo, è stato il cardinale di Manila Luis Antonio Gokim Tagle, uno dei quattro presidenti delegati dell'assise.

Venerdì 9 ottobre, in conferenza stampa, il cardinale si è riscoperto storico della Chiesa – come in effetti è, con la "scuola di Bologna" – è ha ripercorso la sequenza dei sinodi, dal primo con Paolo VI all'attuale. Con un botto finale che ha lasciato tutti di sasso:

"In passato i circoli minori proponevano proposizioni per il Santo Padre, che poi scriveva una esortazione post-sinodale, ma i primi sinodi di Paolo VI non finivano con una esortazione papale. Paolo VI permise al sinodo di pubblicare il proprio documento finale, e solo con la 'Evangelii nuntiandi' iniziò la pratica delle 'propositiones' per l'esortazione papale, ma suppongo che non sia obbligatorio. Oggi, a questo riguardo, attendiamo la decisione del papa".

Attendiamo?

Ma non era stato detto e ridetto, l'ultima volta il 5 ottobre in apertura dei lavori, in forma ufficialissima, dal segretario generale del sinodo, il cardinale Lorenzo Baldisseri, che una "Relatio finalis" ci doveva essere e doveva essere discussa e votata e infine consegnata al papa, e che a questo approdo tutti i lavori del sinodo erano finalizzati?

> Relazione del segretario generale

E non era stato papa Francesco, lui di persona, a nominare il 2 ottobre una commissione di dieci cardinali e vescovi in rappresentanza dei cinque continenti proprio "per l'elaborazione della relazione finale"?

> Briefing per fornire informazioni su tema e metodo della XIV Assemblea

E il meticoloso calendario del sinodo reso pubblico il 2 ottobre non dedica forse ben quattro giorni, dal 21 al 24 del mese, alla scrittura della "relazione finale", alla sua presentazione in aula, alla discussione e presentazione delle osservazioni scritte, alla riscrittura della stessa, alla sua ripresentazione in aula e alla sua votazione definitiva?

Calendario dei lavori

Come non detto. Alla fine della prima delle tre settimane del sinodo, improvvisamente nessuno sa più come il sinodo andrà a finire.

Sabato 10 ottobre è toccato a padre Federico Lombardi confermare che il sinodo ha perso la bussola:

"Riguardo alle votazioni, la maggioranza dei due terzi si pone solo nella relazione finale. Ovviamente se ci sarà. Perché ancora non abbiamo la certezza di come avverrà la conclusione, cioè se ci sarà un documento finale. Vedremo se il papa darà delle indicazioni precise".

Lombardi rimanda a quanto detto il giorno prima dal cardinale Tagle. Che in effetti aveva anche aggiunto qualcosa d'altro, e di molto appropriato:

"Il metodo nuovo adottato dal sinodo probabilmente è costato un po' di confusione, ma è bene essere confusi ogni tanto. Se le cose sono sempre chiare non sarebbe più la vita vera".

Sta di fatto che in nome di questa "vita vera" non solo non vi sarà più una classica esortazione post-sinodale del papa, ma forse nemmeno più una "Relatio finalis" dei lavori del sinodo stesso, votata punto per punto. In questo caso a chiudere tutto – per modo di dire, perché qui l'incompiutezza regna sovrana – sarà solo un discorso di papa Francesco.

*

Ma non è finita. Perché il 10 ottobre padre Lombardi ha dato notizia di un altro cambiamento avvenuto in corso d'opera.

Stando al calendario del sinodo, la discussione sia in aula che nei circoli minori avrebbe dovuto seguire l'ordine delle tre parti del documento base, l'"Instrumentum laboris", con ognuna di esse introdotta ogni volta da una "presentazione del relatore generale", il cardinale Péter Erdõ.

Invece al cardinale Erdõ – autore il 5 ottobre di una formidabile relazione generale introduttiva che ha seminato il panico tra i novatori – non è più stato dato il microfono per tornare a presentare le tre parti dell'"Instrumentum", e gli interventi in aula sono andati avanti per conto loro. Col risultato che sabato 10 ottobre già si è cominciato a parlare in aula della parte terza, quella più appetibile, con i piatti forti del divorzio e dell'omosessualità, mentre nei circoli linguistici ancora si andava avanti fino a mercoledì 14 a discutere e votare sulla seconda parte del documento.

Il 10 ottobre padre Lombardi ha detto serafico che degli interventi in aula in anticipo sui tempi, quelli dedicati alla terza parte dell'"Instrumentum", avrebbe dato conto ai giornalisti un paio di giorni più in là. Per non far confusione.

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NOTA BENE !

Il blog “Settimo cielo” fa da corredo al sito “www.chiesa”, curato anch’esso da Sandro Magister, che offre a un pubblico internazionale notizie, analisi e documenti sulla Chiesa cattolica, in italiano, inglese, francese e spagnolo.

Gli ultimi tre servizi di "www.chiesa":

10.10.2015
> Sinodo. Un tweet non fa primavera
Mai così segreti i lavori dell'assise. Inservibili le notizie fornite dai canali ufficiali. Inesistenti le traduzioni per i padri che non conoscono l'italiano. Il simbolico gesto di rottura dei vescovi polacchi

8.10.2015
> Sinodo. Il primo colpo a segno è dei conservatori
Grazie soprattutto alla relazione introduttiva del cardinale Erdõ, molto deciso nello stroncare le ambigue "aperture" del documento base. Ma i novatori sono già al contrattacco. E contano sull'appoggio del papa






 

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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20/10/2015 21:51
 
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EDITORIALE
Monsignor Cupich
 

Su coscienza e legge morale, l'arcivescovo di Chicago ha affermato gli stessi concetti che tanti teologi e conferenze episcopali avevano usato per ribellarsi all'enciclica Humanae Vitae. Ma la visione della coscienza capace di creare una verità morale è già stata bollata da san Giovanni Paolo II come "delirio".

di Renzo Puccetti


Non so se lo fanno ancora oggi, ma quand'ero bambino uno dei giochini che preferivo delle riviste di enigmistica era "trova le differenze". Mi è venuto in mente mentre leggevo le dichiarazioni di monsignor Blaise J. Cupich, arcivescovo dell'importantissima diocesi di Chicago, durante la conferenza stampa di venerdì a margine del Sinodo sulla famiglia che in occasione della sua apertura ha visto pregare così tante persone per il suo buon esito. 

Riguardo la contraccezione, negli anni '60 molti teologi ed intere conferenze episcopali impiegarono l'argomento della coscienza soggettiva per sterilizzare (è un termine qui singolarmente appropriato) la dottrina bimillenaria della Chiesa ribadita da Papa Paolo VI con l'enciclica Humanae vitae. La conferenza episcopale belga istruiva il fedele a «seguire la sua convinzione» se «giunge ad altre conclusioni». I vescovi tedeschi ammonivano il proprio clero «soprattutto nell’amministrazione dei sacramenti, a rispettare le decisioni personali della coscienza dei fedeli». L'episcopato austriaco scriveva che chi «giunge a questa convinzione divergente può seguirla». Nel paragrafo 26 della dichiarazione di Winnipeg i presuli canadesi fecero altrettanto: «Chiunque scelga il corso che gli sembra giusto, lo fa in buona coscienza».

I reporters che seguono i lavori del Sinodo hanno potuto ascoltare la riproposizione di questa tesi: «Se le persone giungono ad una decisione in coscienza allora il nostro compito è quello di aiutarli ad andare avanti e rispettarla. La coscienza è inviolabile e dobbiamo rispettarla quando prendono le decisioni, e io l'ho sempre fatto». 

Con queste parole monsignor Cupich ha dato sostegno alla proposta di dare la Comunione ai divorziati risposati. Da vescovo della diocesi di Spokane di sicuro egli fu consigliato dalla propria coscienza nel proibire ai sacerdoti di partecipare alle semestrali veglie di preghiera "40 giorni per la vita", una delle più importanti iniziative antiabortiste che dal 2004 mobilita il mondo pro-life americano ed è giunta a coinvolgere ben 25 nazioni nell'ultima edizione. 

Per il presule americano lo stesso criterio vale anche per le persone che compongono le relazioni gay:  «Penso che anche le persone omosessuali siano esseri umani e hanno una coscienza. E il mio ruolo di pastore è quello di aiutarli a discernere qual è la volontà di Dio guardando l'insegnamento morale oggettivo della Chiesa, ma anche, allo stesso tempo, aiutandoli attraverso un periodo di discernimento per capire quello a cui Dio li sta chiamando in questo momento», ha aggiunto il vescovo di Chicago.

Il riverbero del "ma anche" di veltroniana memoria e la particella avversativa posta dopo la presentazione del Magistero oggettivo della Chiesa lascia stupefatti adombrando che la coscienza possa suggerire qualcosa di difforme dalla morale oggettiva che qui significa astenersi dai rapporti sodomitici. Gli atti omosessuali non sono più un male intrinseco, ma in determinate circostanze sono il male minore da consigliare di eligere contravvenendo alla prima norma della morale che il male è da evitare? Oppure per Cupich non esistono mali intrinseci oltre l'opposizione atematica a Dio per cui queste azioni possono costituire in determinate circostanze addirittura l'azione buona? Qui non è questione di pastorale, ma verità sull'uomo.

Di verità parlava San Giovanni Paolo II nell'insegnamento della Veritatis splendor rivolto esplicitamente ai vescovi, quando respingeva la visione della coscienza come istanza capace di creare la verità morale e di assolvere da ogni azione utilizzando non casualmente le parole durissime dei predecessori Gregorio XVI e Pio IX: "deliramenta", deliri. 

Sembra sia passato un secolo da quando la folla alzava i cartelli di fronte alla bara di Karol dove si poteva leggere "Santo subito!". Avevano pregato piangenti per la sua guarigione, si erano sobbarcati lunghissime ore di attesa prima di potergli rendere omaggio e si erano entusiasmati e commossi nel vedere il vento volgere le pagine del Vangelo posato sulla bara, interpretandolo come un segno della presenza dello Spirito di Dio nel guidare i passi del vicario di Cristo appena salito al Cielo. I fotogrammi di 26 anni di pontificato venivano riproposti quale tributo della statura gigantesca dell'uomo e del pontefice. 

Eppure era solo dieci anni fa, e quelli che ora discettano paiono essere convinti che prima di oggi chi ha guidato la Chiesa come vicario di Cristo, chissà come, chissà perché, lo abbia fatto sequestrando la Misericordia di Dio. Com'è breve il tempo tra l'osanna con le palme e il crucifige! Forse se oggi al grande Papa  polacco fosse dato diritto di parola egli ammonirebbe certi confratelli ripetendo quelle parole: siamo al delirio.

Devo dunque confessare di non riuscire a conciliare l'argomentazione di mons. Cupich con quel poco che ho capito della morale cattolica.

Mi parrebbe infatti che seguirla condurrebbe necessariamente a dovere giustificare qualsiasi comportamento. Se infatti la coscienza dei coniugi poteva contraddire la norma di Paolo VI sulla contraccezione, al termine di una riunione appositamente indetta per consigliare la famiglia cattolica dei Kennedy di fronte alle legislazioni abortiste, i teologi Joseph Fuchs, Charles Curran e Richard McCormick dovettero concludere che «un politico cattolico può in buona coscienza votare a favore dell’aborto».

L'attuale Papa emerito, da prefetto della Congregazione per la dottrina per la fede scrisse sulle pagine del settimanale ciellino Il Sabato un magistrale intervento che provvidenzialmente l'editore Cantagalli ha poi incluso nel libro "Elogio della coscienza". In quel testo il cardinale Ratzinger introduceva il lettore alla corretta comprensione del ruolo della coscienza prendendo le mosse da una disputa accademica a cui aveva assistito. Secondo una delle due parti, i nazisti, nel compiere le loro azioni profondamente convinti nella loro coscienza di agire bene, si comportarono moralmente bene e non si sarebbe dovuto avere alcun dubbio sulla loro salvezza. Questo il commento del futuro Benedetto XVI: 

«Dopo una tale conversazione fui assolutamente sicuro che c’era qualcosa che non quadrava in questa teoria sul potere giustificativo della coscienza soggettiva, in altre parole: fui sicuro che doveva esser falsa una concezione di coscienza, che portava a simili conclusioni. Una ferma convinzione soggettiva e la conseguente mancanza di dubbi e scrupoli non giustificano affatto l’uomo». 

Rispettando il ragionamento (teologico?) di Cupich non vedo come egli potrebbe violare la "coscienza inviolabile" di un pedofilo, qualora questi riferisse anche a sé ciò che il cardinale Kasper, da Cupich tanto ammirato da diffonderne il pensiero nella propria diocesi, ha detto della condizione omosessuale: "Gay si nasce". Perché non potrebbe egli dire: "Pedofilo si nasce"? Perché non potrebbe invocare il diritto a seguire la propria natura, così come rivendicato da mons. Charamsa? Sarebbe interessante apprendere se Cupich incoraggerebbe a seguire la propria coscienza anche ad un ipotetico sacerdote della sua diocesi che gli confidasse l'attrazione per i minori, o se in questo caso la sua regola non potrebbe essere applicata. E mi interrogo anche se Cupich nello svolgere la propria azione pastorale, dopo avere esperito la doverosa presentazione della dottrina cristiana riguardo al quinto comandamento, non sarebbe costretto a rispettare la "coscienza inviolabile" di un tagliagole islamico convinto che ammazzare gli infedeli sia preciso dovere di ogni buon musulmano e, come dice di avere sempre fatto, "aiutarlo ad andare avanti". 

Fu il predecessore di monsignor Cupich, il cardinale George, a predire che egli sarebbe morto in un letto, come poi difatti è avvenuto, mentre il suo successore sarebbe morto in prigione e chi sarebbe venuto dopo sarebbe stato martirizzato. Con queste dichiarazioni, così consonanti con il sentire del mondo, prevedo che monsignor Cupich possa pensare ai suoi ultimi giorni dormendo sonni tranquilli. A dirla tutta, ho qualche preoccupazione in più per noi che scriviamo sulla Bussola.




 

ANTEPRIMA
Vittorio Messori
 

Per il priore di Bose l'apparizione del 1917 sarebbe una frode perché un Dio che parla di cristiani perseguitati e dimentica i sei milioni di ebrei annientati in Germania, non è un Dio credibile. Ma Bianchi dovrebbe ricordare che il comunismo (nel 1917 Lenin prende il potere) ha fatto almeno 100 milioni di morti...

di Vittorio Messori

Vittorio Messori torna alla carica con nuove «Ipotesi su Maria». Il fortunato volume pubblicato da Ares per la prima volta nel 2005, approda in libreria in una veste tutta nuova, in edizione interamente rivista dall’Autore e ampliata di 13 capitoli (150 pagine in più, per un totale di 672, al prezzo di 21,50 euro). Di seguito riportiamo, in anteprima, alcune spigolature tratte dal penultimo capitolo, in cui lo scrittore difende la veridicità di Fatima dalle critiche avanzate dal teologo Enzo Bianchi sulla scorta del padre domenicano Jean Cardonnel. 

Mi càpita di rivedere in rete l’articolo apparso su Le Monde nel maggio del 2000, quando Giovanni Paolo II fece rivelare al mondo quello che chiamano «terzo segreto» di Fatima. Il pezzo del giornale francese su questo evento è firmato da Jean Cardonnel, il domenicano morto alcuni anni fa, per tutta la vita l’intrattabile leader di ogni contestazione sia clericale sia politica, uno dei vedovi inconsolabili degli anni di piombo della Chiesa e della società. Uno per il quale non solo i soliti Mao, Che Gue­vara, Ho Chi Minh ma anche lo sterminatore del popolo cambogiano, Pol Pot, erano da venerare nell’Olimpo delle sacre rivoluzioni.

A Cardonnel si deve tra l’altro un precedente giuridico inedito e pericoloso. Era già molto vecchio, più vicino ai novanta che agli ottanta, insopportabile per la maggioranza dei confratelli per questa sua ossessione contestatrice, per il suo culto del «no» previo a tutto, ma si continuava a ospitarlo – data l’età – nel convento domenicano di Montpellier. Alla fine, il superiore di quella casa religiosa, non potendone più dei suoi costanti malumori, approfittò di uno dei suoi viaggi per sgomberare la sua cella, impacchettare con cura le cose e trovargli un posto in una casa di riposo per anziani. Al ritorno, l’ira di Cardonnel (egli pure, come da copione di ogni prete «adulto» che si rispetti, vietava a chiunque di chiamarlo «padre») esplose clamorosa e, dicendosi vittima di una violenza intollerabile, non pensò neanche un momento a confrontarsi con la legge della Chiesa, il diritto canonico. 

Si rivolse invece alla legge della laicissima Repubblica francese, chiamando la Gendarmerie e denunciando il superiore per violazione di domicilio. Il tribunale, dopo lungo dibattito, gli diede ragione, condannò il superiore del convento che aveva proceduto allo sgombero e – per la prima volta, non solo in Francia – dichiarò che la cella di un religioso era un domicilio privato come ogni comune alloggio. Sentenza faziosa e pericolosa, dicevo, perché scavalca e in qualche modo imbavaglia l’autorità ecclesiastica anche all’interno dei suoi spazi.

Ma torniamo al Cardonnel commentatore di Fatima. Scriveva su Le Monde: «Quel presunto “segreto” è un falso, tanto falso quanto la donazione di Costantino con la quale si è voluto legittimare un diabolico controsenso: l’impero cristiano. Un grande teologo italiano – non si dimentichi il suo nome: Enzo Bianchi, fondatore di una nuova comunità monastica – si è subito reso conto della superstizione e della frode perpetrata dal Vaticano a Fatima. Sul quotidiano romano La Repubblica, fratel Bianchi mette implacabilmente il dito nella piaga. Scrive infatti: “Un Dio che, nel 1917, pensa di rivelare che i cristiani saranno perseguitati e che non parla della shoah e dei sei milioni di ebrei annientati non è un Dio credibile”». Continua l’articolo di Cardonnel: «Sì, bisogna scoprire la piaga: come non vedere la tara del presunto segreto di Fatima, la prova lampante che è un falso, che non può venire da Dio? Un falso che squalifica, che scredita l’Eterno. Un Dio, ripeto, non credibile: il Dio del razzismo cattolico, che si interessa solo dei suoi, della sua razza cattolica, nell’oblio del popolo di Gesù».

C’è da rimanere molto sorpresi da simili discorsi e soprattutto, per noi cattolici italiani, c’è da sorprendersi per la citazione (non smentita, anzi ribadita, dall’interessato) di fratel Bianchi. Circola ormai una convinzione, anche tra certi cristiani, secondo la quale la persecuzione degli ebrei da parte dei nazisti nei 12 anni tra 1933 e 1945 sarebbe, senza paragone possibile: il Male Assoluto, il Massimo Delitto della storia intera, l’Esempio Radicale della malvagità umana. Non a caso, la colpa nazista è considerata inespiabile e ancor oggi si braccano, per processarli e condannarli, dei novantenni se non dei centenari considerati in qualche modo responsabili di quello che viene detto, con termine religioso, «l’Olocausto» per eccellenza. Per un simile delitto, e solo per questo, non è prevista alcuna prescrizione. Stando al Cardonnel e al Bianchi, Dio stesso – se vuol parlarci attraverso Maria – deve, sottolineo deve, ricordare e ovviamente maledire la Shoah, altrimenti non sarebbe «un Dio credibile». Non è il vero Signore se non esecra esplicitamente Auschwitz.

Sia ben chiaro – è davvero inutile sottolinearlo – che non si tratta certo di sminuire la gravità del delitto perpetrato all’ombra di una croce uncinata, che fu il tragico rovesciamento della croce cristiana. Non c’è che da unirsi, ovviamente, alla condanna universale. Ma è davvero paradossale rifiutare Fatima perché nel 1917 la Madonna non avrebbe previsto e condannato – a nome del Figlio e della Trinità intera – quei lager tedeschi che sarebbero venuti una ventina d’anni dopo. Nel 1917, ripetiamo: proprio l’anno in cui Lenin prendeva il potere, dando inizio a quel mostro comunista che avrebbe fatto almeno 100 milioni di morti e che avrebbe praticato la più violenta e sanguinosa repressione religiosa della storia, in nome di un ateismo di Stato proclamato sin dalle Costituzioni dell’Unione Sovietica e dei suoi satelliti. 

La ricerca storica più recente, capeggiata dal celebre docente tedesco Ernst Nolte, dimostra, documenti alla mano, che il nazionalsocialismo nasce come reazione al marx-leninismo: senza Lenin nel 1917, niente Hitler nel 1933. Senza il colpo di Stato di San Pietroburgo, l’ex imbianchino di Vienna avrebbe al massimo fatto l’ideologo in qualche stube di Monaco di Baviera per qualche oscuro gruppetto di fanatici. Mettere in guardia, a Fatima, dal comunismo che proprio allora nasceva, significava mettere in guardia dalle altre ideologie mortifere che sarebbero venute dopo di esso e per causa di esso. Il nazionalismo primo fra tutti.

Tra l’altro, Bianchi e Cardonnel sono incomprensibili anche quando denunciano che a Fatima si sarebbe manifestato «il Dio del razzismo cattolico, che si interessa solo dei suoi, della sua razza cattolica». Ma che discorso è mai questo? Per l’ateismo sovietico non c’erano zone franche, nel mondo religioso: a parte il fatto che la stragrande maggioranza delle vittime da Lenin sino a Gorbaciov (egli pure ebbe una giovinezza da persecutore) passando per Stalin, non furono cattoliche, ma ortodosse, i due dimenticano che nell’immensa Unione Sovietica erano presenti tutte le religioni. Così, i pope furono massacrati alla pari dei preti, dei rabbini, degli imam, dei maestri buddisti.

Lo stesso avvenne ovunque, nel mondo, il comunismo giunse al potere: nessuno scampo per chi non accettava il materialismo e non condannava la religione, tutte le religioni, come «oppio dei popoli». E questo cominciò proprio in quel fatale 1917, quando la Madonna diede l’allarme per una ideologia perversa, anche perché si presentava con un volto nobile, apparentemente evangelico (giustizia, liberazione, eguaglianza, fraternità), ma che avrebbe risvegliato tutti i dèmoni, compreso quel regime tedesco che si presenta, sin dal nome, come l’unione di nazionalismo e di socialismo. 

Le apparizioni di Fatima, come tutte le altre pur ufficialmente riconosciute, non sono de fide, possono essere criticate e magari non accettate anche dai credenti. Purché, però, lo si faccia su basi più presentabili di queste.

Visto che parliamo di Fatima e di comunismo: viene giusto a proposito ricordare quanto avvenne a Vienna nel decennio tra il 1945 e il 1955. Mentre gli inglesi, esperti e pragmatici, avrebbero voluto contenere l’Urss a Est, l’insipienza americana fermò i suoi carri armati in vista di Berlino per permettere a Stalin di dilagare nell’Europa orientale, occupando anche l’Austria. Il Paese fu diviso in quattro zone, sul modello della Ger­mania, ma quella riservata ai russi era la più importante e vasta, era quella dove stava la capitale stessa. Il ministro degli esteri, quel Molotov che aveva firmato il trattato con Hitler, permettendogli così di scatenare la guerra, disse e ripeté che Mosca mai si sarebbe ritirata da ciò che aveva occupato e tutti si aspettavano che, come a Praga e a Budapest, i comunisti organizzassero un colpo di Stato per andare da soli al potere nell’intera Austria. Le stesse cancellerie occidentali sembravano rassegnate. Opporsi significava quasi certamente una nuova guerra. 

Ma non si rassegnò un francescano, padre Petrus che, tornato dalla prigionia proprio in Urss (e conoscendo quindi sulla sua pelle l’orrore di quel regime), andò in pellegrinaggio nel santuario nazionale austriaco, a Mariazell, per avere ispirazione sul che fare per la sua Patria. Lì, fu sorpreso da una voce interiore, una locuzione interna, che gli disse: «Pregate tutti, tutti i giorni, il rosario e sarete salvi». Buon organizzatore, oltre che sacerdote stimato, padre Petrus promosse una «Crociata nazionale del Rosario», nello spirito esplicito di Fatima, che in breve tempo raccolse milioni di austriaci, compreso lo stesso presidente della Repubblica, Leopold Figl. Giorno e notte, grandi gruppi si riunivano, spesso all’aperto, nelle città e nelle campagne recitando la corona e la stessa Vienna era percorsa da imponenti processioni mariane, sorvegliate con ostilità dall’Armata Rossa.

Gli anni passavano senza che l’occupazione cessasse, ma il popolo non si stancava di pregare la Madonna di Fatima. Ed ecco che nel 1955, all’improvviso, il Cancelliere austriaco fu con­vocato a Mosca, dove fu ricevuto al Cremlino dal Soviet Supremo. Qui, gli fu comunicato che l’Urss aveva deciso di ritirare le sue truppe e di ridare all’Austria la piena indipendenza. In cambio, si poneva una sola condizione, che le autorità del Paese che veniva liberato accettarono di buon grado: un impegno di neutralità che, tra l’altro, avrebbe portato grandi vantaggi a Vienna, facendola diventare la terza città delle Nazioni Unite dopo New York e Ginevra. I governi occidentali furono colti di sorpresa da una decisione del tutto inaspettata e unica, sia prima sia dopo: mai, come aveva ricordato Molotov dieci anni prima, mai l’Urss aveva accettato né avrebbe accettato di ritirarsi spontaneamente da un Paese occupato. 

Furono stupiti politici, diplomatici, militari, nel mondo intero. Ma non si stupirono coloro che da anni pregavano con la «Crociata del Rosario»: in effetti, il giorno in cui la notizia del ritiro fu annunciata a Mosca al Cancelliere era un 13 maggio, l’anniversario dell’inizio delle apparizioni di Fatima. Tanto per completare il quadro, lo sgombero totale dell’Armata Rossa fu fissato dal governo comunista per l’ottobre: tra i generali russi (dispiaciuti di lasciare un Paese così bello e strategicamente così importante) nessuno, ovviamente, sospettava che proprio ottobre è, per la tradizione cattolica che risale ai tempi della battaglia di Lepanto, il mese del rosario.




 
 

[Modificato da Caterina63 09/12/2015 13:40]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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I neuroni di Ravasi sono certamente evasi....

 

E non cominciamo con il mantra dell'offesa ad un cardinale "principe" di santa romana Chiesa, perchè qui Ravasi, il cardinale per nulla principe, l'ha detta grossa e non accettiamo affatto di tacere sulle sue rivelazioni recenti a favore della Massoneria, su IlSole24ore (14-02-2016).

Intanto mettiamo subito nero su bianco, ecco cosa fece firmare san Giovanni Paolo II dal Prefetto della CdF nel 1981 e poi ripreso dal nuovo Prefetto (Ratzinger) nel 1983 a chi gli chiedeva se la scomunica contro la Massoneria fosse decaduta con il Concilio e nel nuovo Codice di Diritto Canonico, entrambi citati dallo stesso Ravasi:

"Non compete alle autorità ecclesiastiche locali di pronunciarsi sulla natura delle associazioni massoniche con un giudizio che implichi deroga a quanto sopra stabilito, e ciò in linea con la Dichiarazione di questa S. Congregazione del 17 febbraio 1981..."

E a cosa non si poteva e non si può far deroga? A questo:

"Rimane pertanto immutato il giudizio negativo della Chiesa nei riguardi delle associazioni massoniche, poiché i loro principi sono stati sempre considerati inconciliabili con la dottrina della Chiesa e perciò l'iscrizione a esse rimane proibita. I fedeli che appartengono alle associazioni massoniche sono in stato di peccato grave e non possono accedere alla Santa Comunione."

Neppure Ravasi può far deroga a questa posizione firmata da san Giovanni Paolo II, qui il testo integrale, ma non lo dice questo particolare e però alla fine ci gira intorno perchè non potendolo smentire, vedremo cosa si inventa per farlo decadere.

La Massoneria è quanto di più diabolico e perverso possa esserci quale arma portata a compimento dal demonio per sconfiggere, attaccare, umiliare, dividere la Santa Madre Chiesa.

Pensate, esiste persino la profezia di un Vescovo che l'aveva predetta ben 200 anni prima che venisse fondata. Si tratta del Vescovo Giorgio Varens, arcivescovo a Dublino nel 1553 - vedi qui testo - il quale definisce quest'opera in questo modo:

« 1. Saravvi una estesissima fraternità, che avrà sua sede in un grande impero (forse una società segreta).

» 2. Sedurranno mollissimi, menando una vita come già gli scribi ed i farisei.

» 3. Isforzerannosi d'abolire la verità, e quasi quasi conseguiranno  lo scopo loro.

» 4. Cotesta genìa di persone si vestirà di parecchie forme; conciossiacchè coi pagani saranno pagani, cogli atei saranno atei, coi giudei saranno giudei, coi riformatori saranno riformatori; tutto coll’intendimento di conoscere le altrui intenzioni, e per lusingar gli altri di questo modo a diventar somiglianti all' insensato, che dice nel suo cuore che non v’è niun Dio in cielo, epperciò non debbevi punto essere sovrano di sorta sulla terra.

» 5. Faranno ogni sforzo per annientare l'autorità dei principi sulla terra col fallace pretesto di lavorar per la libertà e pel benessere dei popoli. Benessere che questi popoli perderanno senz’avvedersene...

» 6. Nulladimeno Iddio alla perfine, per giustificare la sua legge, distruggerà all’improvviso cotesta società colle stesse mani di quelli che l'avranno più validamente sostenuta e soccorsa, e si saranno serviti d'essa...

L'insulsaggine alla semplicità dei piccoli, ai quali bastava e basta ancora l'accennato testo firmato da San Giovanni Paolo II, il serpente Ravasi - citandolo spudoratamente - fa intendere che esso è superato da un testo dei vescovi tedeschi del 1980 e dalle "circostanze mutate" in questo tempo...

1980? Ma che fa Ravasi, ci prende anche per i fondelli? La risposta del cardinale Ratzinger Prefetto della CdF di allora rispose proprio alla sfacciataggine di quei vescovi che osarono e tentarono accreditare la Massoneria presso la Chiesa dal momento che, il nuovo Codice di Diritto Canonico (del 1983), aveva purtroppo eliminato il riferimento letterale alla condanna della Massoneria e così, tutti questi bei vescovi sfacciati, ne stavano approfittando per fare una sorta di golpe interno alla Chiesa. Ma non gli riuscì, la risposta di Ratzinger è del 1983 perciò è alquanto diabolico che ora Ravasi citi il testo dei vescovi tedeschi del 1980 quasi fosse una nuova luce sull'argomento.

Il testo poi dei vescovi filippini del 2003 non ha proprio voce, perchè nessun Papa gli ha mai dato spazio o ascolto o accoglienza. O forse dovremo pensare che sotto questo strano Pontificato e l'indice di gradimento scaturito per il cardinale Tagle (appunto dalle Filippine) c'entri qualcosa con i vaneggiamenti di Ravasi? Speriamo proprio di no!

Infine Ravasi - che diabolicamente ammette e riconosce l'incompatibilità della Massoneria con la Chiesa - abbassa il tiro sulla chiusura dell'articolo e fa una virata:

"Queste varie dichiarazioni di incompatibilità tra le due appartenenze alla Chiesa e alla massoneria non impediscono, però, il dialogo...."

Ah! Ecco, ci siamo: sì, c'è incompatibilità tra le due appartenenze (e dunque lo riconosce), però queste non devono impedire il dialogo, ebbè, mica pizzi e fichi!! E il motivo quale sarebbe? LA FILANTROPIA, dice infatti il Ravasi: "la dimensione comunitaria, la beneficenza, la lotta al materialismo, la dignità umana, la conoscenza reciproca....", tutte doti e qualità della Massoneria! Un florilegio di virtù.

Effettivamente non ha tutti i torti, basti andare ad approfondire l'orrendo mausoleo dedicato a quel povero di san Padre Pio per accorgersi di come la massoneria sia entrata pienamente nel progetto filantropico di questa ed altre Chiese. Effettivamente è stata la Massoneria a finanziare il progetto (certi architetti costano più o pari dell'opera stessa) e questo interesse non fu certo per amore a Padre Pio o per amore dei fedeli del Santo, e quindi ci sarebbe da chiedersi: perchè questi massoni sono così umanitari?

 

Nell'eccezionale enciclica di Leone XIIIHumanum genus - che forse Ravasi dovrebbe andarsi a rileggere -  si spiegano molte cose sulla provenienza della Massoneria, e non è un caso che questa usi gli stessi simboli cristiani e lo fa rovesciandoli, ossia per il semplice motivo di voler ingannare...

Non diamo per scontato che tutti comprendano. Se ciò fosse possibile tutti comprenderebbero il danno che fa la Massoneria, non per nulla siamo chiamati a fare sempre "discernimento", distinguere fra ciò che è bene e ciò che è male.

Leone XIII parla, infatti di INGANNO e una cosa che inganna, dunque, significa che usa anche ciò che usano gli altri, ma rovesciando, scimmiottando proprio per trarli in inganno. Il Papa nel condannare la Massoneria non parlò male di loro in quanto persone fisiche, ma parla male proprio delle loro azioni ingannatrici e condannò il suo "relativismo filosofico e morale", no diciamocelo chiaramente, e Ravasi sarebbe il prefetto della cultura? Ma di che stiamo parlando, per favore!

Forse Ravasi dovrebbe andarsi a rileggere le cronache di quell'Anno giubilare sacerdotale di Papa Leone XIII 1887 nel quale, la Massoneria che governava l'Italia con Crispi, gli impose come "dono" la statua di Giordano Bruno e gli impose l'obbligo di non predicare contro quella inaugurazione che avvenne puntualmente il giorno di Pentecoste (al quale fu impedita al Pontefice ogni solennità e processione) del 1889. Porta Pia era stata conquistata, il Risorgimento massonico era all’apice della sua ubriacatura anticattolica: Giordano Bruno diventa così l’icona della non sottomissione a nessuno, la prima vera icona dell’uomo senza un Dio, l’ideale quale simbolo massonico e non a caso è definito il “monumento malinconico” alla cui inaugurazione parteciparono circa tremila massoni, raggruppati sotto i labari delle logge di appartenenza; l'icona del "libero pensiero" che paradossalmente - tale libertà di pensiero - veniva negata alla Chiesa. Non è un caso che lo stesso filosofo liberale Benedetto Croce (1866-1952) attaccò affermando «l’idiota religione massonica», un’eredità che era derivata dalla Rivoluzione francese, anche'essa dall'odore massonico.

Leone XIII fu invece lungimirante, ispirato divinamente a mettere in allerta i fedeli da questa divoleria:

"Ci siam risoluti di prender direttamente di mira la stessa società Massonica nel complesso delle sue dottrine, dei suoi disegni, delle sue tendenze, delle sue opere, affinché, meglio conosciutane la malefica natura, ne sia schivato più cautamente il contagio...."

e ancora più chiaro qui, nel delineare il piano massonico per nulla cambiato:

"E poiché è privilegio singolare e unicamente proprio della Chiesa cattolica il possedere nella sua pienezza, e conservare nella sua integrità il deposito delle dottrine divinamente rivelate, l'autorità del magistero, e i mezzi soprannaturali dell'eterna salute, somma contro di lei è la rabbia e l'accanimento dei nemici. Si osservi ora il procedere della setta Massonica in fatto di religione, là specialmente dov'è più libera di fare a suo modo, e poi si giudichi, se ella non si mostri esecutrice fedele delle massime dei Naturalisti. Infatti con lungo ed ostinato proposito si procura che nella società non abbia alcuna influenza, né il magistero né l'autorità della Chiesa; e perciò si predica da per tutto e si sostiene la piena separazione della Chiesa dallo Stato. Così si sottraggono leggi e governo alla virtù divinamente salutare della religione cattolica, per conseguenza si vuole ad ogni costo ordinare in tutto e per tutto gli Stati indipendentemente dalle istituzioni e dalle dottrine della Chiesa...." (Leone XIII nel testo sopra citato)

Per comprendere questa nostra presa di posizione, vi invitiamo a leggere qui anche questo articolo: Non aspettiamo nessun "nuovo Ordine mondiale", il vero nuovo ordine lo ha portato Nostro Signore Gesù Cristo e si chiama: Cristianesimo.

 

Le contraddizioni del prefetto della "cultura" (sic!)

Dice Ravasi: "Non vogliamo ovviamente addentrarci in questo arcipelago di “logge”, di “orienti”, di “arti”, di “affiliazioni” (..) così come non è possibile tracciare linee di demarcazione tra l’autentica, la falsa, le degenere, o la para-massoneria e i vari circoli esoterici o teosofici. Arduo è anche disegnare una mappa dell’ideologia che regge un universo così frammentario, per cui forse si può parlare di un orizzonte e di un metodo più che di un sistema dottrinale codificato...."

Ma che discorso è mai questo?

- non vogliamo addentrarci; non è possibile tracciare linee tra ciò che è falso o vero (??); è arduo disegnare una mappa dell'ideologia....

No! diteci voi se questo è un discorso chiaro dal quale trarre dei vantaggi alla propria conoscenza. Se non posso tracciare linee tra ciò che è vero e ciò che è falso e non conosco la mappa dell'ideologia, come posso capire se mi trovo nell'associazione buona o falsa? Ravasi è come se dicesse: " embè, forse voi non lo sapete, ma io si! Sono io che non mi sono voluto addentrare, fidatevi di me, sono stato anche in Uruguay ospite tra fratelli massoni eh! Tutta brava gente.."

Ma la Massoneria è costituita di proposito come un vero LABIRINTO, tipico proprio dell’agire di Satana per imbrogliare, confondere, scimmiottare, ingannare e inoltre ha molte ramificazioni che se anche alcune possono sembrare condivisibili, in verità sono TUTTE dannose e tutte rivolte allo smembramento dell’ordine ecclesiale. Inoltre, sempre Leone XIII sottolinea che molti stessi, tra i massoni, non sanno cosa stanno facendo e che a loro volta si auto-ingannano.

Il punto è che sappiamo bene che Ravasi non è senza neuroni, e che il suo concetto di "dialogo e dialogare" non può (lo sa bene) scalfire la condanna fatta dalla Chiesa e allora cosa fa? S'inventa, aiutato dai compari tedeschi e dai "Fratelli-massoni", il dialogo come se in passato la Chiesa non abbia mai adoperato questa opportunità e quindi chiude l'articolo dicendo:

"In conclusione, come scrivevano già i vescovi di Germania, bisogna andar oltre «ostilità, oltraggi, pregiudizi» reciproci, perché «rispetto ai secoli passati sono migliorati e mutati il tono, il livello e il modo dì manifestare le differenze» che pure continuano a permanere in modo netto..."

Ma qui cade l'asino perchè la condanna alla Massoneria, come ha scritto bene Leone XIII, non fu per questione di «ostilità, oltraggi, pregiudizi», altrimenti bisognerebbe pensare (ma anche provare) che tutte le scomuniche date dalla Chiesa avvenivano NON PER QUESTIONI DOTTRINALI ma per questioni umane quali "l'ostilità, l'oltraggio, il pregiudizio", ma se così fosse allora davvero che i neuroni di Ravasi sono evasi... Oppure bisognerebbe arrivare a dire che lo stesso Lutero non fu scomunicato per questioni dottrinali, ma per "ostilità, per oltraggio al Papa e per pregiudizio", pregiudizio naturalmente della vecchia Chiesa cattiva e matrigna contro il dolcissimo, pio e santo Lutero!

E poi non è che Ravasi dice che la Massoneria si è convertita e quindi oggi un dialogo sarebbe anche possibile, no! Stoltamente (il diavolo fa le pentole ma non i coperchi), lo dice lui stesso che «rispetto ai secoli passati sono migliorati e mutati il tono, il livello e il modo di manifestare le differenze».... sono mutati non il loro credo e la loro filosofia contro Cristo e la sua dottrina, ma i "modi" di manifestarsi oggi, sono mutati "i toni", in una parola sono degli "anticristi più buoni di ieri"....

Insomma, se la Chiesa avesse dialogato con Lutero prima e la Massoneria dopo, sicuramente oggi vivremo tutti in santa pace! Tutta colpa, ancora una volta, della Chiesa di "ieri". Signori e signore, ecco chi abbiamo come Prefetto per la cultura, un regalo purtroppo lasciatoci da Benedetto XVI!

L'articolo di Ravasi è quanto di più contorto, perverso e diabolico potesse essere stato scritto da un "principe" (sic) di santa romana Chiesa, prefetto della cultura, sì! Della cultura liberalista dei senza Dio, o peggio, di un dio creato a tavolino e che si elevasse al di sopra della dottrina Cattolica.

Siamo caduti tanto in basso d'aver elevato il culto del dio Dialogo. E a dirlo non siamo noi, ma è stato Giacomo Galeazzi (che non è certo soggetto casa e chiesa) a descrivere chiaramente come la Massoneria stessa elogiò il Concilio Vaticano II a riguardo del "dio dialogo", vedi qui.

Galeazzi riporta una affermazione allucinante del Gran Maestro massone in Italia a cinquant'anni dal Concilio e che fa comprendere come Ravasi abbia ceduto a questi "auguri-auspici", dice il Gran Maestro:

«Il Concilio obbligò gli uomini di Chiesa al confronto con la società nel momento in cui questa andava aprendosi alla modernità. Tra i risultati, una nuova concezione di una istituzione che rischiava di restare chiusa nella torre d’avorio della dottrina e che invece decise di aprire le porte agli uomini. Spiace dover constatare oggi che questa grande spinta verso una visione più umana della Chiesa sia stata poi sostituita da un arroccamento dogmatico, da un atteggiamento di chiusura aprioristica».

Ma a questa "Chiesa più umana e privata della dottrina e dei dogmi" aveva già risposto Ratzinger nel famoso meeting di CL del 1990:

"Siccome la Chiesa non è così come appare nei sogni, si cerca disperatamente di renderla come la si desidererebbe: un luogo in cui si possano esprimere tutte le libertà, uno spazio dove siano abbattuti i nostri limiti, dove si sperimenti quell'utopia che ci dovrà pur essere da qualche parte. (...) Una Chiesa che riposi sulle decisioni di una maggioranza diventa una Chiesa puramente umana. Essa è ridotta al livello di ciò che è plausibile, di quanto è frutto della propria azione e delle proprie intuizioni ed opinioni. L'opinione sostituisce la fede. (...) Non è di una Chiesa più umana che abbiamo bisogno, bensì di una Chiesa più divina; solo allora essa sarà anche veramente umana. E per questo tutto ciò che è fatto dall'uomo, all'interno della Chiesa, deve riconoscersi nel suo puro carattere di servizio e ritrarsi davanti a ciò che più conta e che è l'essenziale..." (vedi qui testo integrale)

Effettivamente la cosa non è che ci stupisce poi tanto, tutte le peggiori eresie e l'apostasia stessa avviene da dentro la Chiesa, non certo dal di fuori, basti pensare al presbitero Ario col suo drammatico arianesimo, al vescovo Donato col suo donatismo, a Lutero monaco agostiniano fin dove ci ha portato la sua cultura biblica.... Ma dirci "scandalizzati" questo sì, è un dovere sentirci tali per chi ama la Santa Chiesa e sa bene che la Massoneria non ha nulla di compatibile con un battezzato, neppure il dialogo. 

 

Così scriveva san Padre Pio: "Gesù, purtroppo, ha ragione di lamentarsi della nostra ingratitudine! Quanti disgraziati nostri fratelli corrispondono all’amore di Gesù col buttarsi a braccia aperte nell’infame setta della Massoneria! Preghiamo per costoro acciocché il Signore illumini le loro menti e tocchi il loro cuore....” (Epistolario I, Lettera N°123, Pietrelcina 7 aprile 1913)

Perchè la Massoneria è stata creata proprio per erigersi contro Cristo. A meno che Ravasi non intenda definire un Leone XIII, o un Giovanni Paolo II o pure un Benedetto XVI un "ostile, oltraggioso e pure pieno di pregiudizi" nei confronti di un'opera così "grande, umanitaria, santa, pia, solidale..." che è - per lui - la Massoneria.

E allora, caro Ravasi, ce lo lasci dire da "liberi figli di Dio" (cfr Don Divo Barsotti), noi con lei non abbiamo nulla da spartire, preferiamo tenerci la nostra santa ignoranza e continuare a pensarla come Leone XIII, come san Giovanni Paolo II, come Ratzinger-Benedetto XVI che ebbe, purtroppo, la pessima idea di nominarla vescovo prima e subito dopo cardinale, ma in tutto ciò sappiamo che non c'entra l'infallibilità papale e che anche un Papa può sbagliare.

Vogliamo narrare un fatto, tra i tanti, perché qui l'autore è credibile.

“Predicando a Lione, il P. Alessandro Vincenzo Jandel, poi Maestro Generale dell'Ordine dei Domenicani, insegnò ai fedeli la virtù del segno della croce. Nell'uscire dalla Cattedrale, venne accostato da un uomo che si professava massone e, quindi, incredulo; sfidato a provare la potenza del segno della croce, il massone esclamò: ‘Tutte le sere ci riuniamo (...) e il demonio viene, egli stesso, a presiedere all'adunanza. Venite con me stasera; ci fermeremo alla porta della sala; farete il segno della croce sull'adunanza, e vedrò se quello che avete detto è verità’!

Chiesto consiglio all'Arcivescovo e al suo gruppo di teologi, padre Jandel decise di accettare! La sera del giorno stabilito, andò col massone all'adunanza. Nulla avrebbe dato a conoscere che fosse religioso, poiché indossava abiti secolari; portava, però, nascosta, una grossa croce. Insieme si recarono in una gran sala, ammobiliata con gran lusso, ma P. Jandel si fermò sulla porta... A poco a poco, la sala fu piena; tutte le sedie erano occupate, quando, d'un tratto, il demonio apparve in forma umana. Trasse, allora, subito dal petto il crocifisso che teneva nascosto e con tutte e due le mani lo alzò, formando sull'adunanza il segno della croce.

Lo scoppio d'un fulmine non avrebbe avuto effetti più inaspettati, più subitanei, più strepitosi! I lumi si spensero, le sedie si rovesciarono tutte le une sulle altre, gli intervenuti scapparono... Il massone trascinò il frate, e quando si trovarono lontano,il discepolo di Satana si gettò alle ginocchia del P. Jandel: ‘Credo - gli disse - sì, credo! Pregate per me!... Convertitemi!... Ascoltatemi!...’” (mons. Leone Meurin, gesuita e vescovo di Ascalon, op. Framassoneria sinagoga di Satana, Siena, 1895, pp. 210-211).

Per la verità, il cardinale Ravasi, non è nuovo a certe uscite. Fin da quando fu eletto vescovo ha sempre suscitato attorno a se forti incomprensioni, il suo parlare è sempre stato oggetto di discussioni ma non certo di edificazione! Sempre sul medesimo giornale sul quale scrive da anni a ruota libera, aveva in passato suscitato forti ripercussioni negative sul suo concetto esegetico della "tomba vuota" di N.S. Gesù Cristo generando persino dubbi sulla Risurrezione... salvo poi fare più danni nel tentativo pietoso di porre argine alla fuori-uscita del suo pensiero liquido.

Già nel 2012 aveva suscitato disagio la sua Prefazione ad un libro che "canonizzava" pure il Fogazzaro il cui pensiero è sempre stato condannato dalla Chiesa di ieri e di oggi e il prof. de Mattei ne aveva data ampia delucidazione -vedi qui -

A ragione si chiede il prof. de Mattei: "In che cosa crede allora il cardinale Ravasi? Sicuramente nella propria capacità di unire gli opposti, di tentare spericolate sintesi intellettuali, di dire e non dire, lasciando intendere a chi vuole intendere. Ma cosa c’entra tutto questo con la pienezza e la integrità della fede cattolica, la gloria di Dio e la salvezza delle anime? Glielo chiediamo sommessamente, con tutto il rispetto che si deve a chi resta, comunque, un principe della Chiesa e un successore degli Apostoli...."

Assistiamo, non di rado, ad una strumentalizzazione del famoso "Cortile dei Gentili" descritto nelle Lettere di San Paolo e nel quale, oggi, si pensa piuttosto ad una sorta di piazza  "pride" (=orgoglio) che va tanto di moda, un pride della propria opinione elevata a nuovo sacro dogma laicista. Ma scriveva così Benedetto XVI ai giovani e a Ravasi: "E se, all’epoca, il Cortile era allo stesso tempo un luogo di esclusione, poiché i “Gentili” non avevano il diritto di entrare nello spazio sacro, Cristo Gesù è venuto per “abbattere il muro di separazione che divideva” ebrei e gentili, “per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, eliminando in se stesso l’inimicizia. Egli è venuto ad annunziare pace …” (Ef 2, 14-17), come ci dice san Paolo.... (...) riconoscendo che solo Dio, in Cristo, ci libera interiormente e ci dona la possibilità di incontrarci davvero come fratelli..." (Benedetto XVI - Messaggio al Cortile dei Gentili - 25.3.2011)

 

Nel sito ufficiale della Massoneria italiana - grandeoeriente.it - alla voce "che cosa è la Massoneria, sul segreto massonico", leggiamo:

L’unico mistero presente in Massoneria è un mistero filosofico: impossibile da spiegare a parole, ma percepibile attraverso l’esperienza individuale… insomma è essenzialmente personale! Il Mistero della Massoneria è per sua natura inviolabile.

Il Massone lo conosce solo per intuizione, non per averlo appreso.

Lo scopre a forza di frequentare la Loggia, di osservare, di ragionare e dedurre.

Quando lo ha conosciuto si guarda bene dal far parte della scoperta a chicchessia, sia pure il migliore amico massone, perché, se costui non è stato capace di penetrare il Mistero, non sarà nemmeno capace di approfittarne se lo apprenderà da altri. Il Mistero rimarrà sempre tale..."

Intanto leggiamo questo "Mistero" scritto maiuscolo.... non divulgabile perchè se non è stato capace di penetrarlo, non sarà capace di sfruttarlo e non sarà capace di penetrarlo neppure apprendendolo da altri.

E' una vera scimmiottatura del vero Mistero racchiuso nella fede cristiana, il quale però "quando lo abbiamo appreso" va divulgato, va dato gratuitamente e con generosità anche se, tale Mistero di un Dio incarnato e che si è fatto Eucaristia, resta in se stesso un grande mistero.

E comunque, come fa a dire Ravasi: "penso, ad esempio, all’Uruguay ove ho partecipato recentemente a vari dialoghi con esponenti della società e della cultura di tradizione massonica" se, di ciò che avrebbe presumibilmente conosciuto, non deve farne parola a nessuno? Curioso poi che per capire questo mistero filosofico (ricordate? tale filosofia venne condannata dai Papi) "non è possibile spiegare a parole" e perché mai? Semplice, devi aderire per capirlo, è una comprensione personale. E allora di che "dialogo" andiamo cianciando?

Leone XIII lo aveva già detto: " Imperocché la legge del segreto vi domina e molte sono le cose, che per inviolabile statuto debbonsi gelosamente tener celate, non solo agli estranei, ma ai più dei loro adepti: come, ad esempio, gli ultimi e veri loro intendimenti; i capi supremi e più influenti; certe conventicole più intime e segrete; le risoluzioni prese, e il modo ed i mezzi da eseguirle. A questo mira quel divario di diritti, cariche, offici tra' soci; quella gerarchica distinzione di classi e di gradi, e la rigorosa disciplina che li governa... Il candidato deve promettere, anzi, d'ordinario, giurare espressamente di non rivelar giammai e a nessun patto gli affiliati, i contrassegni, le dottrine della setta." (Humanum genus)

Nulla è cambiato!

E in definitiva, ha davvero compreso il Ravasi questo "Mistero" racchiuso nella Massoneria? Noi crediamo di no, diversamente dovremo dir di lui che è proprio fratello del demonio! Infatti, dal messaggio del Gran Maestro a Rimini nel 2015, apprendiamo questa nuova dottrina che di fatto sta invadendo anche la Chiesa: " Se ci riusciamo facciamo la rivoluzione, la rivoluzione del cuore. Cambiamenti: questo cambiare è quello che noi chiediamo quando da ‘profani’ bussiamo alla porta del Tempio e dall’altra parte ci sono uomini che ci accoglieranno come Fratelli, non ci chiederanno a chi apparteniamo, di quale religione siamo ma ci chiederanno soltanto di essere buoni. Buoni, una parola semplice. Buoni e basta...."

Non c'è da commentare, ma tristemente da meditare a che livelli di apostasia Ravasi ed altri prelati siano arrivati. Ricordiamo infine a Ravasi l'atteggiamento minaccioso e aggressivo che la Massoneria ha dichiarato a mons. Luigi Negri qualche mese fa, sfruttando e strumentalizzando le stesse parole del Pontefice su questa presunta laicista "rivoluzione del cuore", una rivoluzione che scardina Dio, il Dio cattolico, il Dio Incarnato, Gesù Cristo Nostro Signore, l'innominabile dentro la Massoneria stessa, una rivoluzione dove è sufficiente essere "buoni e basta..." quando, da ben Duemila anni il Cristianesimo aveva già fatto progredire i popoli superando il buonismo per approdare nel Cuore palpitante del Dio Vivo e vero nella Santissima Eucaristia.

E allora, caro Frammassone Ravasi si decida: o con Cristo o contro Cristo, non c'è la comoda via di mezzo! Ce lo lasci dire nuovamente da "liberi figli di Dio"(cfr Don Divo Barsotti), noi con lei non abbiamo nulla da spartire, e se i termini della sua nuova professione di fede sono questi, preferiamo tenerci la nostra santa ignoranza e continuare a pensarla come la "vecchia cara santa Madre Chiesa" con tutti i suoi Padri, Dottori, Santi e Beati, mentre per la nostra evangelizzazione noi non la riconosciamo affatto. E si badi bene: non è un giudizio alla sua persona, ma al suo "libero pensiero" filo massonico, a quella filosofia morale massonica espressamente condannata e oggetto di condanna nel Magistero della Santa Chiesa.

Sia lodato Gesù Cristo +

Per comprendere questa nostra presa di posizione, vi invitiamo a leggere qui anche questo articolo: Non aspettiamo nessun "nuovo Ordine mondiale", il vero nuovo ordine lo ha portato Nostro Signore Gesù Cristo e si chiama: Cristianesimo.

e ricordiamo anche qui. l'Esorcismo di Papa Leone XIII, fatto anche per porre riparo e rimedio al piano diabolico della Massoneria.

   


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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20/05/2016 08:53
 
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Vaticanate, la “canonizzazione” di Pannella

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È morto Giacinto Marco Pannella ferocemente anticattolico, nonché simbolo di tutte le leggi contro Dio approvata in Italia negli ultimi 50 anni (divorzio, aborto, etc.). Eppure, il portavoce della Santa Sede, il gesuita Federico Lombardi, lo ha elogiato pubblicatemene in quanto “ammiratore di papa Francesco”.

Sinceramente parlando non volevamo dare alcuna voce al fatto, ma la canonizzazione di padre Lombardi alla memoria di Giacinto Marco Pannella (vedi qui) no davvero, è un inaccettabile delirio di onnipotenza! Questo è davvero abuso di potere.

"San Marco Pannella, ammiratore di papa Francesco, prega per me"
“San Marco Pannella, ammiratore di papa Francesco, prega per me”

Premesso che un Requiem non si nega a nessuno, noi preferiamo pregare affinché in cielo lo accolgal’esercito di milioni di abortiti che lui ha contribuito a formare, sostenendo, osannando e alimentando la legge più iniqua che l’uomo potesse legiferare, l’aborto.

Non vogliamo neppure pensare di scaraventarlo nell’inferno, o se farsi un certo tempo nell’angolo più doloroso del purgatorio, noi gli auguriamo di cuore di essersi in qualche modo salvato, se non altro per due motivi: il primo perché è costato anche lui, come noi, tanta sofferenza al Cristo che pagò anche per lui con la Sua vita; secondo perché abbiamo a cuore il monito del Cristo: «perché col giudizio con cui giudicate sarete giudicati, e con la misura con la quale misurate sarete misurati» (Mt 7,2).

Ma il Vangelo stesso ci spinge a fare discernimento sulle opere inique, sugli operatori di iniquità, e l’aborto è una iniquità che non solo va condannato, ma vanno contrastati anche coloro che operano in questo modo, o vi hanno dato un cospicuo contributo.

Per padre Lombardi è eloquente il titolo: a Pannella piaceva papa Francesco, a quanto pare basta questo per canonizzarlo. Mica ha scritto che “ammirava Gesù Cristo”, o grande difensore della vita, macché, ma ammirava il papa. E poi giù, un necrologio zeppo di pensieri mistici cui le parole più false e più contraddittorie sono queste: “Lo ricordo quindi con stima e simpatia, pensando che ci lascia una eredità umana e spirituale importante, di rapporti franchi”.

È poco prima aveva ammesso che: “Noti i suoi scioperi della fame e della sete con cui era solito manifestare il proprio impegno antiproibizionista, contro la pena di morte, a favore dei carcerati, dell’aborto, del divorzio e dell’eutanasia

Ma padre Lombardi c’è o ci fa? Ha capito che quegli scioperi erano a favore dell’aborto e dell’eutanasia oppure, furbescamente, avendo mischiato i suoi impegni contro la pena di morte, vorrebbe far dire che Pannella magari era contro l’aborto e l’eutanasia?

Marco PannellaDi quale “eredità spirituale” sta parlando padre Lombardi? Milioni di abortiti sono per lui una ricca e santa eredità spirituale? Qui non stiamo giudicando l’anima del defunto e nessuno di noi può certamente dire dove è finito, ma santo cielo! non siamo dementi! Cristiano non è sinonimo di compromesso o di stordimento. A quando l’elogio funebre ufficiale per dichiararlo “Testimone della fede e confessore”? Magari anche martire, che mica è morto perseguitato, cacciato di casa, ma nella Casa di Cura delle suore che padre Lombardi si è affrettato a minimizzare e a coprire con un più anonimo: “ricoverato in una struttura sanitaria romana”.

L’VIII Comandamento ce lo rammenta: non dire falsa testimonianza, che non significa soltanto il non calunniare il prossimo, ma anche non mentire, non ingannare il prossimo. Il Catechismo del concilio di Trento insegna:

Commettono infine questo peccato gli uomini lusingatori e adulatori che, con blandizie e lodi simulate, si insinuano nelle orecchie e nell’animo di coloro di cui ricercano il favore, il denaro e gli onori, chiamando male il bene e bene il male, come scrive il Profeta (Is 5,20)” (n.349).

Ed anche il Catechismo del 1992, dice su questo Comandamento:

2497 Proprio per i doveri relativi alla loro professione, i responsabili della stampa hanno l’obbligo, nella diffusione dell’informazione, di servire la verità e di non offendere la carità.

La Chiesa non “canonizza” il defunto (per fare questo ci sono i processi della congregazione per i santi), ma lo affida a Dio con il cuore contrito ed umiliato, che  solo da Lui attende la lode a seconda delle opere che avrà compiuto. E c’è, esiste la giustizia divina che è misericordia per i milioni di abortiti. In qualche modo, nelle esequie, la Chiesa, secondo la parabola evangelica del banchetto nuziale (Lc 14, 7ss.), pone il defunto all’ultimo posto, ossia “steso a terra” ai piedi dell’altare, e attende che Dio stesso, e solo Lui, sorga e dica “Amico, passa più avanti” (Lc 14, 10).

Noi auspichiamo a Pannella questo incontro con Dio, l’unico che potrà giudicarlo, ma la Chiesa stessa non presume mai nei suoi figli quello stato perfetto di santità, che solo Dio può riconoscere e, umilmente, invoca misericordia, eleva il suffragio e si mantiene sotto il giogo della penitenza. Ma nessun sacerdote  può arrogarsi il diritto (abuso di potere) di “canonizzare” qualcuno la cui condotta di vita non è stata affatto esemplare per il cristiano, specialmente se soggetto pubblico, che ha dato di scandalo e per tutta la sua vita ha lottato contro la vita degli altri, godendo per la legge sull’aborto, rivendicandola quale sua opera meritoria.


O Signore!! Leggo dalle parole di Lombardi:
“di espressione libera e di impegno civile e politico generoso, per gli altri e in particolare per i deboli e i bisognosi di solidarietà.”
O mamma!!!! in particolare per i deboli? e i concepiti non sono i più deboli e i più bisognosi della solidarietà?
Confesso che forse è meglio pregare di più per padre Lombardi che per Pannella.
SCONCERTANTE!!!
san Giovanni Paolo II definì l’aborto IL GRANDE OLOCAUSTO ALLE SOGLIE DEL TERZO MILLENNIO….. ed erano gli anni delle battaglie più feroci di Pannella….



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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01/06/2016 12:08
 
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  Un testo da leggere tutto d'un fiato! 
Non è una favola ma un fatto vero: un sacerdote posseduto dal demonio, l'esorcista anche lui intrappolato in quella causa che ha portato il confratello ad essere posseduto, al centro la dottrina perversa di Pierre Teilhard de Chardin SJ gesuita che il demonio stesso, durante l'esorcismo rivelerà, appunto, come eretica....
Se conosci il vero Male, lo eviti, ricordati che la Dottrina di Cristo è davvero più semplice e pura, e solo i veri Santi sono riusciti a trasmettercela nei testi e nella loro vita 
  


Nel famoso libro "In mano a Satana" (1), padre Malachi Martin (2) racconta di un esorcismo molto singolare che ha avuto come protagonista, nel posseduto, un sacerdote, padre Yves (Jonathan durante l'esorcismo), e padre David nel ruolo dell'esorcista.

Ciò che ci interessa fare emergere da questa triste vicenda è un elemento comune sia al sacerdote posseduto, quanto al sacerdote esorcista: la dottrina di Pierre Teilhard de Chardin SJ. Quanto riportiamo qui di seguito è tratto fedelmente dal libro, ma da noi abbreviato e adattato allo stile della rete, per rendere il tutto più scorrevole ed immediato.

Padre David, l'esorcista di questa storia, nasce nello stato del New Hampshire nel 1922 da famiglia agiata e cattolica, di stampo "conservatore", figlio unico di tradizione "yankee". Una famiglia tranquilla. A quattordici anni David viene mandato a frequentare il ginnasio nel New England. A diciotto anni, nel 1940, decide di entrare in seminario per diventare sacerdote, anche se il padre avrebbe preferito per lui la carriera militare. Dopo sette anni diventa sacerdote, aveva venticinque anni e poichè David era un appassionato di antropologia e storia antica, il vescovo lo chiamò a questa attività raccomandandogli, prima,la conclusione degli studi di teologia, che fece, iscrivendosi alla Sorbona a Parigi.

Ed eccoci al primo "incontro" con il gesuita Pierre Teilhard de Chardin del quale, al principio, non subì alcun fascino particolare. Giunto a Parigi, invece, subì l'influenza diretta delle teorie concepite da Teilhard. Lo influenzava soprattutto il fatto che venisse eguagliato "un San Tommaso d'Aquino" del ventesimo secolo, e non meno accattivante era il fascino di Teilhard quando riceveva una sorta di devozione personale che solo un San Bonaventura aveva esercitato in passato.

Francese di primissima estrazione, intellettuale, asceta, eroe della prima guerra mondiale, studente brillante, insegnante scrupoloso a introdurre innovazioni, mistico più nel senso di "solitario", scopritore dell'Uomo di Pechino (Sinanthropos), pioniere dell'archeologia nel Sin Kiang, nel deserto del Gobi, in Birmania, sull'isola di Giava, nel Kashmir, nel Sudafrica.... Pierre Teilhard de Chardin (3), si mise così, di buzzo buono, a cercare un sistema innovativo che consentisse, dal punto di vista intellettuale cristiano, di accettare le teorie evoluzioniste di Darwin, pur conservando la fede.

Ciò che preoccupava l'Autorità di Roma per la difesa della fede era il tentativo di Teilhard di rendere razionali, materiali, i "misteri" della fede cattolica, pretendere di spiegare scientificamente il Divino e di rendere le verità della Rivelazione spiegabili in ogni punto con l'ausilio delle "provette" scientifiche e dei resti fossili. Insomma, una umanizzazione della fede. Roma non aveva torto di preoccuparsi delle teorie di Chardin, peraltro teorie appunto che non provenivano neppure dai Vangeli.

Egli creò per i francesi e i belgi, stanchi dell'ortodossia (cfr 2Tim.4,3-5), parole nuove da proclamare con fierezza e di cui far mostra. Teilhard fu responsabile di quell'apostasia fiammante che già bruciava lentamente i cervelli degli olandesi e tedeschi, assetati di innovazioni. Sempre la dottrina di Teilhard fu responsabile nell'aver alimentato il latente emozionalismo dei teologi anglicani, che oramai si stavano liberando delle rimanenze tradizionali (ricordiamo l'apertura alle donne-prete e poi vescovesse, ed oggi alle unioni omosessuali).

 

Ma Teilhard de Chardin non fu né nutrimento autentico e sostanzioso per chi aveva fame né una "manna celeste" per la presunta nuova Pentecoste. Fu più perversamente una sorta di "bicchiere della staffa", pieno di vino inebriante. Teilhard fu ridotto al silenzio sotto il pontificato di Pio XII, ma i suoi discepoli lavorarono per lui diffondendo a macchia d'olio le sue idee nei circoli intellettuali d'Europa e d'America.

Padre David e padre Yves furono tra questi che, influenzati ed abbagliati, inebriati dalle idee innovatrici di Teilhard, arrivarono a toccare  il fondo di questo "bicchiere della staffa".

Padre David, però, era più in buona fede e credeva davvero, in termini esuberanti, che una "nuova era" si stesse avvicinando per la Chiesa. Padre Yves, dal canto suo, arrivò anche a farsi scomunicare, avendo fatte proprie le teorie di Chardin che però portò alle estreme conseguenze, trascinandosi prima in una ossessione, poi in una vera possessione diabolica.

Nato nel 1936, Yves a diciassette anni decise di entrare in seminario, aveva quattordici anni meno di padre David, e se lo ritrovò come professore. Già in seminario Yves faceva emergere un lato oscuro della sua anima, ma non fu certo facile capire fino a dove si fosse egli spinto. Yves non era un tipo tranquillo, creava molti scompigli, ma sapeva esercitare un forte autocontrollo, poi la verbosità, la retorica, una spiccata intelligenza, modi remissivi e una strana ma efficace "simpatia", riuscivano ad appianare tutto e tutto a farsi perdonare.

Durante un esame, padre David (che aveva già fatto esperienza in campo esorcistico) faceva da moderatore quando si accese una accanita disputa tra Yves e uno degli esaminatori, sui sette sacramenti. Ciò che colpì l'attenzione di padre David fu l'atteggiamento insolito (per una persona normale) di Yves, il suo repentino cambiamento di umore con una vistosa patina d'odio, l'accanimento che lasciava trasparire dalle parole che pronunciava con odio e sfida verso l'altro sacerdote esaminatore, e per le espressioni facciali che le accompagnavano, infine il disagio provato dall'esaminatore, l'imbarazzo, quel sudare e provare perfino un certo timore.

In parole brevi: Yves aveva insistito che tutti i sacramenti non erano altro che "espressioni" del postulato (4) per cui l'uomo per la sua natura sarebbe tutt'uno con il mondo che lo circonda. Ma una affermazione del genere è eretica! I sacramenti, infatti, sono il mezzo supremo di unione con Dio e le parole usate da Yves, invece, implicano che Gesù, dopo la sua morte, era "ritornato alla natura" e che perciò i sacramenti erano il nostro modo per essere "tutt'uno" con Gesù, e non nel "presunto regno del Paradiso" ma... in terra, in cielo, in mare, nell'universo, in tutto.

Padre David si sentì responsabile per l'accaduto perché ebbe come l'impressione che le sue lezioni sulla creazione e sull'origine dell'uomo (da lui filtrate attraverso le teorie di Teilhard), c'entrassero per qualche verso con la reazione di Yves, pensando che questi poteva aver interpretato malamente la dottrina di Teilhard.

Premettiamo qui che padre David solo durante l'esorcismo a padre Yves comprese gli errori della dottrina di Teilhard (fu il demonio a renderglielo palese prima durante l'esorcismo e poi durante una dura lotta nel suo getsemani interiore), e che fino a quel momento aveva comunque compreso che solo un sottile e fragile ostacolo separa l'opinione di Teilhard dalla totale negazione della divinità di Gesù.

 

I concetti e le teorie di de Chardin potevano essere considerati alla stregua di affascinanti giocattoli per la mente e padre David si rese conto come potevano essere utilizzati, ad esempio, per esaltare l'uomo come animale, fino a ridurre Gesù alla condivisione di un eroe cristiano, certamente nobile, ma miseramente mortale come il Prometeo della mitologia greca, e per vedere in Dio nient'altro che le viscere della terra e del cielo e le distanze spaziali dell'universo con tutte le galassie in espansione. Ma con gli eventi che susseguono, padre David si accorge che questi non sono "giocattoli" per la mente, ma delle vere porte ad altri ingressi cupi e spaventosi.

Il fenomeno della possessione dovuto allo Spirito del Male progredisce seguendo la struttura della vita quotidiana, non è affatto facile individuarlo, delle volte ci vogliono persino anni prima che riesca ad uscire allo scoperto, e spesse volte deve essere provocato. Nel caso di padre Yves la possessione si sviluppò servendosi della struttura sacerdotale della sua vita, la quale non era semplicemente imbevuta delle idee di Teilhard, ma dottrine portate alle estreme conseguenze da Yves quali, per esempio, il sacramento del matrimonio riletto in chiave naturalistica, infine arrivò a toccare tutte le sue attività sacerdotali.

E' qui importante ricordare che il sacramento dell'Ordine sacro coinvolge la persona integralmente. Il sacramento non gli conferisce solo una nuova capacità o una preziosa autorità. Si tratta piuttosto di una nuova dimensione dello spirito che influisce necessariamente su tutto ciò che il neosacerdote fa fisicamente e mentalmente. Qualsiasi deformazione di questa dimensione, dovuta all'introduzione di un qualunque elemento ostile o contrario, o assolutamente estraneo, comporta inevitabilmente fenomeni di disturbo e... di guai. E dove la dimensione del sacerdozio non può essere annullata né sostituita, può essere invece avvilita, trascurata, depredata, offesa, falsata, adulterata.

La fissazione in padre Yves ebbe come epicentro la celebrazione dei matrimoni. Sapeva nascondere bene la possessione diabolica, le sue omelie attiravano la gente e le sue cerimonie incantavano. Ma ben presto cominciò a provare insoddisfazione e profonda inquietudine verso il rito, il cerimoniale prescritto dal Rituale Romano, cominciò a provare persino repulsione per le parole che gli sposi e lui dovevano convenientemente ripetere. Così cominciò a modificare dapprima le omelie nelle quali inseriva nuovi concetti dottrinali, Gesù restava certamente il "modello ideale" e supremo poi però, sviluppando il tema, cominciava a spiegare a modo suo, cosa Gesù dava alla sua Chiesa. Qui iniziò ad usare anche le lezioni di padre David sulla dottrina di Teilhard, ma da Yves maggiormente contorta, portata alle estreme conseguenze.

In sostanza Gesù, il grande punto Omega, rendeva bella la natura, ivi compresi i corpi e l'amore delle persone sposate, perché Egli sarebbe così dedito al perfezionamento del mondo materiale da diventare il vertice di perfezione di questo mondo umano. Non la "Persona" della SS.ma Trinità ma il "tutto nel tutto", una sorta di panteismo. Non è certo questo che insegna la Chiesa!

La goccia che fece traboccare il vaso, o meglio, che fece uscire allo scoperto la possessione, fu quando padre Yves stava celebrando un matrimonio e dopo l'omelia, il coadiutore più anziano della parrocchia, ammonì il sacerdote con tono severo: "Lei fa apparire il matrimonio come una faccenda puramente umana... - protestò - il matrimonio è un sacramento, un mezzo per godere della Grazia sovrannaturale. Gesù Cristo Nostro Signore non si evolverà dalla terra o dal corpo di una donna, o dai gas nella atmosfera...." Padre Yves incassò il rimprovero celando magnificamente la possessione con la sua solita parlantina convincente, ma la situazione era giunta al bivio: per lui il matrimonio era un "sacramento della natura", la Grazia non esisteva, la fede di padre Yves aveva sposato, ma anche andata ben oltre, la dottrina di Teilhard, traducendola nell'applicazione. Ciò che per Teilhard era la teoria, Yves lo tradusse nella pratica, pagando di persona queste estreme conseguenze.

 

Pur continuando a celebrare i sacramenti padre Yves, in un latino seminascosto, modificava tutte le formule, ma alla fine dovette cedere e rassegnarsi ad uscire allo scoperto, quando non riuscì più a fingere il suo stato durante la Consacrazione. Fatti strani accadevano sempre più frequenti durante le sue messe, ma non erano eventi mistici, edificanti, o di santità... i diaconi e ministranti che lo aiutavano, provavano a volte anche "terrore", ansia, confusione. Una volta Yves se la fece anche addosso... il parroco assistente, rendendosi conti della faccenda seria, fece uscire tutti i fedeli dalla chiesa chiudendo le porte, interrompendo la messa. Padre Yves cercò di impadronirsi della situazione ma venne scaraventato, da una mano invisibile, fuori del presbiterio. Qui ebbe inizio il suo percorso con padre David per essere esorcizzato.

Padre David, nel frattempo, si era consigliato con il proprio vescovo il quale aveva già concesso che si procedesse con l'esorcismo. Ma qui iniziarono anche i problemi di padre David il quale seppur non permise mai alle teorie di Teilhard di impossessarsi delle sue idee radicate nella sana dottrina, era palese che anche in lui, queste dottrine, avevano giocato un ruolo determinante. Alle sue perplessità il saggio vescovo rispose con una domanda secca e mirata: "Mi dica, padre, è l'evoluzione un fatto concreto come, diciamo, la Redenzione di noi tutti da parte di Gesù?". Una domanda sciocca, pensò, quasi priva di senso, eppure quella domanda cominciò a tormentarlo, a dargli fastidio. Pregò, padre David, fino a che la sua mente si rifece lucida e si arrabbiò con se stesso: "era proprio necessario scegliere tra l'evoluzione e Gesù? Era proprio indispensabile? Se Gesù era il culmine di tutto ciò, una scelta del genere non era affatto necessaria...."

In preda a queste considerazioni, padre David telefona a padre Yves: "Riguardo all'evoluzione e tutta quella roba lì, voglio dire... se per ipotesi Teilhard si fosse sbagliato completamente e tutta la sua teoria e la stessa evoluzione fossero irriconciliabili con la divinità di Gesù, che ne direbbe?" Seguì una breve pausa. Poi padre Yves rispose con una voce pacata, ma che celava una nota trionfale: "Sembra che lei lo stia chiedendo a se stesso, e per la prima volta, padre David!" - "Ma che cosa pensa lei, Yves... - insisté padre David - ora lo sto chiedendo a lei". "Un conflitto del genere è impossibile, padre David...".  Nel colloquio emerse alla fine che anche padre David era confuso e che la dottrina di Teilhard aveva fatto presa nel suo intimo e lo Spirito del Male che aveva posseduto padre Yves stava giocando con lui in modo assai pericoloso.

Padre David era shoccato e andò a consultarsi dal vescovo. David era alle prese con un problema che riguardava lui stesso: aveva ceduto allo Spirito del Male? Fino a che punto la dottrina di Teilhard l'aveva corrotto nell'animo? Era lui responsabile delle derive e della possessione di padre Yves? E fino a che punto? Il genio, ma meglio chiamarla perversione, di Teilhard consisté nel fatto che la sua "offerta" fu alta come quella di qualsiasi altro studioso non cattolico attivo in questo campo, per costruire un ponte (illusorio) al di sopra di una voragine così invalicabile e impossibile.

E fu in vista di questa premessa che padre David, padre Yves, insieme a un'intera generazione di uomini e donne, cattolici e non, adottò la dottrina di Teilhard. E per quanti tentativi vi furono (ancora oggi) di conciliare queste teorie con la dottrina cattolica, l'errore fu inevitabile. Se per padre Yves si giunse alle estreme conseguenze, non da meno fu l'effetto devastante nel mondo e soprattutto all'interno della Chiesa.

Il Dio-Creatore non veniva più considerato un Essere divino-Persona (Io Sono), ma divenne immanente (5) nel mondo in una maniera misteriosa ed essenziale. Gesù, nella sua qualità di Redentore, non era più Colui che irrompe nell'universo umano (Incarnazione) e capovolge la storia, ma viene ridotto a una figura posta all'apice dell'evoluzione di quell'universo, a un elemento naturale come... gli aminoacidi! Gesù era così un "accidente dell'evoluzione", una specie di "scherzo cosmico", arrivando così a permeare la "piena consapevolezza" negli "ultimi giorni".

 

L'incontro con il gesuita Teilhard fu, per padre David "breve e penoso".

Mentre padre David gli raccontava dei suoi studi antropologici, de Chardin prese dalle sue mani la copia del suo libro e scrisse sul rovescio alcune parole, chiuse il libro, lo restituì e fissò David. Ciò che gli rimase impresso fu l'espressione degli occhi di Teilhard. Padre David si aspettava lo sguardo di un uomo che, spintosi così tanto avanti, con teorie ardite sui problemi più profondi della vita, gli avesse potuto offrire qualcosa di più profondo, condivisibile, appagante, edificante. Ma per David fu una grande delusione: gli occhi erano spalancati e non rivelavano alcun indizio e "non vi si scorgeva neppure il fuoco di una brillante intelligenza". Dopo qualche istante il vecchio gesuita disse a David: "Lei resterà fedele. Lei resterà fedele, padre. Cerchi lo spirito. Ma anche se tutto dovesse andare a catafascio, dia speranza. Speranza".

Nel mentre ritornava a casa aprì il libro per leggervi la dedica: " Hanno detto che con questo libro ho aperto il vaso di Pandora. Ma non si sono accorti di una cosa. In un angolino di esso si celava ancora la speranza".

Padre David fu disturbato per settimane dopo quell'incontro da un'idea che non gli dava pace: che sperare fosse diventato difficile per il settantatreenne gesuita.

Avviandosi, così, ai preparativi dell'esorcismo a padre Yves, padre David dovette arrendersi al fatto, fin troppo evidente, che sia per la dottrina, sia per la spiritualità, i due avevano una base in comune: Pierre Teilhard de Chardin. "Se padre Yves è in errore - confidò David al proprio vescovo, cercando consiglio - allora lo sono anch'io. E ora, che cosa devo fare?" Gli rispose il vescovo: "Io suppongo che se tutta questa paleontologia e gli insegnamenti di de Chardin dovessero portarla a un punto in cui fosse costretto a scegliere tra la fede o de Chardin, lei sceglierebbe la fede, padre David". Un flash, la dedica nel libro riportava la stessa conclusione: "Lei resterà fedele".

Ora era chiaro, padre David doveva confrontarsi con se stesso prima di procedere alla parte finale dell'esorcismo, doveva liberare prima se stesso dall'influenza della dottrina di Teilhard, prima di affrontare lo Spirito del Male che possedeva padre Yves, perché il tutto si giocava sulla medesima questione. Gli disse infatti padre Yves in segno di sfida: "Padre David, figlio mio, anche lei finirà per trovare la luce e uscire all'aperto e adorare la Nuova Epoca e il Nuovo Essere...". A quelle parole David sentì divampare in pieno nel proprio intimo il conflitto, un senso di approvazione, ma anche un senso di terrore che lo attanagliava.

Nel raccontare i fatti, padre David, ricorda ancora perfettamente il lento e profondo senso di nausea che s'impadronì di lui mentre era seduto dentro in quella stanza con l'inferno, durante l'esorcismo. Era una sensazione di disgusto permeata di paura. L'esorcismo rivelò una denuncia chiara alla dottrina di Teilhard sulla Persona di Gesù Cristo.

Il primo tentativo di esorcizzare Yves fallì perché il Male sputò in faccia a padre David il suo stesso problema, dal quale non riusciva ad uscirne fuori. Fu a quel punto che Yves (Jonathan durante l'esorcismo) gli gridò in faccia: "Tu sei esattamente come me, David! Padre David! Tu hai accettato il Signore della luce (Satana) come ho fatto io, vecchio fesso!" - strillò Jonathan tra una risata e l'altra.

Poi tolse la mano da quella di padre David, si alzò in piedi e con aria di trionfo e di disprezzo, gli gridò: "Medico, cura te stesso!". Disprezzo e risate, il Male aveva vinto il primo round: "E tu stavi tentando di esorcizzare me? - e giù risate e disprezzo - Fuori di qui. Torna nelle tenebre, idiota. F-U-O-R-I !!" furono le ultime parole cariche di odio, disprezzo e trionfo.

 

Padre David barcollava. La madre di padre Yves intenta a pregare con il rosario, gli dice con parole piene di dolore: "Ha ragione mio figlio. Lo schiavo del demonio. Ha ragione, padre David. Lei ha bisogno di purificarsi. Che Dio l'assista".

Ci vollero quattro settimane in un forzato "ritiro spirituale" attraverso il quale, giorno e notte, padre David esercitò su se stesso tutto ciò fosse stato possibile per liberarsi da ogni dubbio, da ogni errore, rigettare completamente le teorie di Teilhard e riprendere pieno possesso della vera fede, senza più alcun compromesso, senza novità! Tutte le tessere del mosaico trovarono il loro posto giusto. E così, Teilhard è sistemato, rifletté padre David amaramente.

In preda all'angoscia che non riusciva ancora a dominare, padre David si rese conto delle conseguenze di tutto ciò solo in quelle quattro settimane, in quella lotta solitaria e penosa veglia per la salvezza della propria anima.

Padre David visse il suo Getsemani, alla fine cadde in ginocchio con le mani congiunte in preghiera. Tutto sembrava perduto. In verità era perduto tutto ciò che lui aveva studiato, ogni direttrice e scappatoia del ragionamento intellettuale, della sottigliezza psicologica, le presunte prove teologiche, della logica filosofica, della dimostrazione storica.... Tutte queste cose assunsero l'aspetto di altrettanti oggetti posseduti, paccottiglia accumulata da David e ora gettata con profonda umiltà, nelle fiamme che stavano varcando la soglia del suo intimo io. E tutto ciò che padre David gettava in questo mare di fuoco bruciava e si dissolveva. Rimaneva accesa una forza, la sua forza di volontà, il suo libero arbitrio. Restava solo il tormento della libera scelta.

Padre David aveva vinto. Aveva scelto la Verità pura e semplice. Era davvero una giornata radiosa e padre David recitava l'Ave Maria nel greco di San Paolo, San Luca, San Giovanni: "Kaire Miriam, kekaritomene" e, commuovendosi fino alle lacrime, ripeteva a lungo quella parola dell'Arcangelo Gabriele alla Vergine: " kekaritomene, kekaritomene, kekaritomene... Piena di grazia....". Aveva vinto, aveva accolto la Grazia. Ora poteva portare a compimento l'esorcismo.

Padre David ritornò a casa di padre Yves che, nel frattempo, era rimasto tranquillo con la madre che disse: "Jonathan era stato bene tranne il momento in cui lei fu liberato... si sentì proprio male!" L'esorcismo riprese e padre Yves fu finalmente liberato dal demonio che lo teneva in possesso.

Mentre padre David dava gli ultimi colpi, tutti udirono la preghiera di una madre, rivolta alla Madre per eccellenza: "Tu eri Sua Madre! Tu l'hai visto morire. Tu l'hai visto redivivo. Tu capisci. Avresti potuto morire di dolore in un caso o nell'altro. Aiutami ora...", poi intonò la Salve Regina in gregoriano. Tutti si commossero.

L'esorcista era in ginocchio davanti a padre Yves, ora c'era il momento della confessione. Tutti uscirono dalla stanza, ora il volto di padre Yves era sereno e raggiante, il volto di chi era ritornato a credere, a sperare. Una pace invidiabile.

 Riepilogo:

Le conclusioni non spettano a noi, a noi spetta il pregare e seguire la sana dottrina, fare sano discernimento e denunciare - quando si può - con carità e verità, l'errore e poi attendere pazientemente.
Certo è che qui abbiamo un quadro inquietante: i gesuiti. I Gesuiti che durante il concilio di Trento furono davvero eccezionali, santi e santificatori e sempre i gesuiti che nel concilio Vaticano II non solo non sono stati santi, ma neppure santificatori, anzi, hanno seminato errori, fior fiore di eresie oggi non condannate (ricordiamo anche il gesuita Karl Rahner) ma piuttosto sposate dagli attuali gesuiti che fanno corona di protezione attorno ai loro maestri.

In questa storia che vi abbiamo raccontato, scritta da un gesuita che per salvarsi l'anima lasciò i gesuiti, ci troviamo davanti al fatto che per colpa dell'eresia gesuitica un sacerdote si lasciò corrompere fino alla possessione mentre l'altro, l'esorcista, abbagliato dalle dottrine gesuitiche ed essendo professore, trasmette l'errore rendendosi conto, solo dopo, i danni seminati.

La storia finisce bene perché, quando si combatte nel proprio Getsemani con Gesù e Maria, si esce sempre vittoriosi, ma quante lacrime, quanti drammi e quanti cadaveri lasciati per la via. Pensiamo a quanti sacramenti (Battesimi, Cresime, Eucaristia, la Confessione, il Matrimonio e pure il Viatico...) dati in questo modo, nell'eresia, quanti fedeli tratti in inganno!
E la battaglia non è finita, forse siamo solo nel cuore di questa lotta, ma è certo che un pontificato gesuitico, con un Pontefice che non nasconde nella sua pastorale la simpatia per queste eresie facendole proprie, adottandole nello stile pastorale, non promette nulla di buono. Preghiamo incessantemente per il Papa e restiamo fedeli al Catechismo, ai Santi, ai Padri, ai Dottori, tutto il resto passerà, i Papi passano, ma la Chiesa trionferà, la dottrina trionferà: Gesù ha vinto tutto!

Laudetur Jesus Christus 

P.S. vi consigliamo - qui - anche l'esorcismo attraverso il quale il demonio fu costretto a recitare un magnifico sonetto circa l'Immacolatezza di Maria Santissima

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Note

1) di Malachi Martin "In mano a Satana" cinque vite possedute dal demonio, cinque storie autentiche, del 1978, vedi qui per l'acquisto. Non si tratta di "racconti" inventati o storielle, sono fatti autentici e tutti documentati

2) ex gesuita padre Malachi Martin, un 'Savonarola' del nostro tempo, confidente del Vaticano - è stato segretario del cardinale Bea -   ha poi chiesto ed ottenuto la dispensa da papa Paolo VI, per perseguire una carriera più letteraria, mantenendo il voto di castità. Ha criticato molto la Chiesa modernista, con accuse che arrivano a 'ci sono dei satanisti in Vaticano' - vedi qui -

3) Pierre Teilhard de Chardin SJ - vedi qui.

4) po·stu·là·to/sostantivo maschile. Principio indimostrato la cui validità si ammette a priori per evidenza o convenzione allo scopo di fornire la spiegazione di determinati fatti o di costruire una teoria. In logica, proposizione o regola di inferenza che si assume, senza provarne la validità, fra i costituenti di un sistema deduttivo.

5) im·ma·nèn·te/ aggettivo. Insito e inseparabile  "le proprietà i. di un corpo". In filosofia (contrapposto a trascendente), di ogni realtà coessenziale con altre.



[Modificato da Caterina63 01/06/2016 12:48]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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29/07/2016 17:33
 
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Galantino “salva” Sodoma e Gomorra e riscrive la Bibbia



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Sì, avete letto bene e non siamo “noi” i cattivi che fanno le pulci alla sacra Gerarchia della Chiesa allo sbando. Il tutto è portato magnificamente, virgolettato, nelle pagine – niente meno – di Avvenire, voce ufficiale dell’episcopato italiano, e tutti zitti, guai a chi fiata.


Ecco come è riportato:


“Concelebrando con numerosi sacerdoti italiani e col vescovo della diocesi abruzzese Tommaso Valentinetti, Galantino ha commentato il brano biblico della supplica di Abramo per salvare Sodoma, “una città sulla quale nessuno avrebbe scommesso niente, eccetto Abramo”. Infatti, fa notare Galantino alle centinaia di giovani che gremiscono la bella chiesa barocca a ridosso della collina del Wawel, “la sua preghiera di intercessione e la sua voglia di osare salvano Sodoma. La città è salva perché ci sono i giusti, anche se pochi; ma la città è salva soprattutto perché c’è Abramo, uomo di preghiera, che non fa da accusatore implacabile, non parla contro ma parla a favore….” vedi qui.


E le castronerie proseguono riscrivendo la Sacra Scrittura a proprio uso e consumo. Non vogliamo giudicare il pastore se c’è o ci fa… ma è certo che non possiamo tacere davanti a questa gravissima lacuna o mistificazione. Ci viene il sospetto che questo modo diabolico di procedere non è isolato, ma una specie di “passaparola” della nuova pastorale, quella di modificare i testi biblici perché ci è stato segnalato che domenica scorsa, la cui prima lettura era proprio il brano biblico della preghiera di Abramo, non sono stati pochi i sacerdoti che hanno detto ai propri fedeli che “grazie alla preghiera di intercessione di Abramo, Dio risparmiò Sodoma e Gomorra dalla distruzione…”


Riteniamo che il primo grave errore fatto dalla riforma liturgica – forse anche non voluto, diamo spazio al dubbio – sia stato nella scelta di molti brani della Scrittura SPEZZATI, ossia, molti brani non terminano con il finale dei fatti riportato dalle Scritture, ma vengono lasciati alla libera interpretazione del celebrante o del predicatore di turno. Il passo di Abramo di cui si parla, infatti, termina con la distruzione di Sodoma e Gomorra perché, come poi sappiamo, Dio non trovò neppure un giusto…. (Gn.18,20-32) ed è strana la cosa perché c’erano dei giusti, ma Dio parlava degli abitanti della città non degli “ospiti”, e il testo riportato nel Messale termina con la supplica di Abramo, vedi qui dove il sito ufficiale riporta il link alla lettura biblica anche questa spezzata, monca, privata del come andrà a finire il fatto. Certo, il capitolo della distruzione è il 19, non il 18…. ma davvero basta per poter dire che Sodoma e Gomorra furono salvate? Ecco come si conclude la vicenda:


“Il sole spuntava sulla terra e Lot era arrivato a Zoar,  quand’ecco il Signore fece piovere dal cielo sopra Sòdoma e sopra Gomorra zolfo e fuoco proveniente dal Signore.  Distrusse queste città e tutta la valle con tutti gli abitanti delle città e la vegetazione del suolo.  Ora la moglie di Lot guardò indietro e divenne una statua di sale. Abramo andò di buon mattino al luogo dove si era fermato davanti al Signore; contemplò dall’alto Sòdoma e Gomorra e tutta la distesa della valle e vide che un fumo saliva dalla terra, come il fumo di una fornace…” (Gn.19,23-28)


Provando ad aggirare le parole di Galantino per trovare ogni scusa plausibile, si potrebbe pensare che egli intendesse dire che oggi ci sono molti Abramo (molti “giusti”, sic!) che intercedono presso Dio, che “non fanno gli accusatori” dei gravi peccati degli uomini, abbiamo un Papa misericordioso che è il nuovo Abramo che intercede per noi peccatori oggi, e Dio ci salverà, non ci distruggerà… è scontato!


Ammessa e non concessa questa vena poetica, questa santa intenzione, bisognerà allora e, quanto meno riconoscere, che esiste un Dio giustizia pronto a distruggere i luoghi infestati da peccatori impenitenti, altrimenti perchè pregare, supplicare, intercedere e cercare almeno dieci giusti?


Eppure sono anni che si nega a Dio il diritto di esercitare la propria giustizia, anzi, come abbiamo appena dimostrato, si è arrivati a modificare perfino la Bibbia, pur di piegare Dio alle nostre risposte, al nostro modo di leggere la storia passata, presente e futura. Del resto siamo nell’Anno della Misericordia straordinario, era forse scontato che anche la lettura della Scrittura subisse – o dovesse subire – un ripiegamento forzato nella sua interpretazione forse, sì insomma, una rilettura straordinaria.


Ciò che appare oramai evidente è che esiste una sorta di “passaparola pastorale” attraverso la quale si vorrebbe contrapporre – ad un dio guerrafondaio entrato nell’immaginario collettivo di una Chiesa del passato spietata e matrigna, che usava Dio per imporre dottrine, dogmi e stili di vita troppo castranti – un Dio tutto misericordia, la cui giustizia non è distruggere Sodoma e Gomorra, ma mettere in pratica le pie intenzioni di voler vedere tutti salvati, a prescindere dai propri peccati personali.


Si vuole contrapporre un dio islamico che arma questo terrorismo attuale (quando mai il dio dell’Islam è stato misericordioso!), ad un Dio che – giustamente – non fa violenza sulle persone inermi. Ma le persone abitanti in Sodoma e Gomorra, seppur non armate, non erano affatto inermi… erano colpevoli di uno di quei peccati gravi che “gridano vendetta al cospetto di Dio”, la sodomia, la quale non è meno grave di un terrorista che si fa esplodere in mezzo alla gente. Perché mentre il terrorista uccide i corpi, i sodomiti uccidono le anime. E questo vale sia per chi, omosessuale pratica la sodomia e la rivendica come atto moralmente lecito e santo, ma sia anche per chi, affermandosi etero e vantando anche un matrimonio cristiano, fa uso di questa spregevole e perversa unione dei corpi. Ed è allarmante che il termine “sodomia” sia scomparso dalla predicazione moderna.


Come si arriva a queste conclusioni? Sempre dalla Gmg – privata dell’adorazione Eucaristica pubblica con il Papa inginocchiato davanti al Re dei re – stanno arrivando messaggi contrastanti ed inquietanti. Alla Messa di apertura fatta dal cardinale di Cracovia Stanisław Dziwisz, il 26 luglio, per fare un esempio, prima dell’arrivo del Papa, ha detto testuali parole: “riconosciamoci peccatori, bisognosi della misericordia di Dio“. All’apparenza è una frase lucida e tranquilla, e invece no! L’atto penitenziale dice che abbiamo DEI PECCATI da farci perdonare, abbiamo dei peccati che riconosciamo come tali e per cui ci pentiamo, chiedendo perdono a Dio e quindi volendo rimuoverli facendoci aiutare proprio da una autentica confessione e poi dalla Messa, dalla Eucaristia.


E’ stato rimosso quel “riconoscere i propri peccati” sostituito da un più generico “riconosciamoci peccatori”. Guardate che l’astuzia del demonio non ha rivali! Se non riconosciamo I SINGOLI PECCATI, ma restiamo fermi al generico “siamo peccatori” (e tutti lo siamo), sarà impossibile cambiare davvero e allora ecco la soluzione più semplice: Sodoma e Gomorra non furono distrutte. Perché sembra oramai scontato che l’essere peccatori è generalizzato esclusivamente alle opere materiali, mentre si sorvola tranquillamente sui peccati personali e che sono, in primis, grave offesa a Dio.


Perciò stiamo tutti tranquilli, cantiamo, balliamo e facciamo festa, non c’è bisogno di alcuna conversione personale, l’importante è riconoscerci peccatori, così in generale, perchè abbiamo pastori che – come Abramo – intercedono per noi, non ci giudicano, e Dio ci perdonerà. Del resto lo ha detto Lutero: basta che tu accetti Gesù Cristo come tuo Salvatore e anche se continui a peccare, Egli ti salverà lo stesso.


Ci par corretto segnalare la profezia di San Gregorio Magno, perché sembra proprio un monito a questi fatti, dice:


“La Chiesa sarà come Giobbe sofferente, esposto alle perfide insinuazioni di sua moglie e alle critiche amare dei suoi amici; egli, davanti al quale gli anziani si alzavano e i principi tacevano!


La Chiesa – dice più volte il grande Papa – verso la fine del suo pellegrinaggio, sarà privata del suo potere temporale; si cercherà di toglierle ogni punto d’appoggio sulla terra. Ma dice di più e dichiara che essa sarà spogliata dello sfarzo stesso che deriva dai doni soprannaturali.


Il potere dei miracoli – dice – sarà ritirato, la grazia delle guarigioni tolta, la profezia sarà scomparsa, il dono di una lunga astinenza sarà diminuito, gli insegnamenti della dottrina taceranno, i prodigi miracolosi cesseranno.


Così dicendo non si vuole dire che non ci sarà più nulla di tutto questo; ma tutti questi segni non brilleranno più apertamente e sotto mille forme come nei primi secoli. Sarà anche l’occasione – spiega ancora il Pontefice – di un meraviglioso discernimento.


In questo stato umiliato della Chiesa, aumenterà la ricompensa dei buoni, che aderiranno a lei unicamente in vista dei beni celesti; quanto ai malvagi, non vedendo più in lei alcuna attrattiva temporale, non avranno nulla da nascondere, si mostreranno quali sono” (Moralia in Job, libro 35).







la risposta di Benedetto XVI: i dieci giusti che NON salvarono Sodoma e Gomorra....




Cari fratelli e sorelle,

nelle due scorse catechesi abbiamo riflettuto sulla preghiera come fenomeno universale, che – pur in forme diverse – è presente nelle culture di tutti i tempi. Oggi, invece, vorrei iniziare un percorso biblico su questo tema, che ci guiderà ad approfondire il dialogo di alleanza tra Dio e l’uomo che anima la storia della salvezza, fino al culmine, alla parola definitiva che è Gesù Cristo.

Questo cammino ci porterà a soffermarci su alcuni importanti testi e figure paradigmatiche dell’Antico e del Nuovo Testamento. Sarà Abramo, il grande Patriarca, padre di tutti i credenti (cfr. Romani 4, 11-12.16-17), ad offrirci un primo esempio di preghiera, nell’episodio dell’intercessione per le città di Sodoma e Gomorra.

E vorrei anche invitarvi ad approfittare del percorso che faremo nelle prossime catechesi per imparare a conoscere di più la Bibbia, che spero abbiate nelle vostre case, e, durante la settimana, soffermarsi a leggerla e meditarla nella preghiera, per conoscere la meravigliosa storia del rapporto tra Dio e l’uomo, tra Dio che si comunica a noi e l’uomo che risponde, che prega.

Il primo testo su cui vogliamo riflettere si trova nel capitolo 18 del libro della Genesi; si narra che la malvagità degli abitanti di Sodoma e Gomorra era giunta al culmine, tanto da rendere necessario un intervento di Dio per compiere un atto di giustizia e per fermare il male distruggendo quelle città.

È qui che si inserisce Abramo con la sua preghiera di intercessione. Dio decide di rivelargli ciò che sta per accadere e gli fa conoscere la gravità del male e le sue terribili conseguenze, perché Abramo è il suo eletto, scelto per diventare un grande popolo e far giungere la benedizione divina a tutto il mondo. La sua è una missione di salvezza, che deve rispondere al peccato che ha invaso la realtà dell’uomo; attraverso di lui il Signore vuole riportare l’umanità alla fede, all’obbedienza, alla giustizia. E ora, questo amico di Dio si apre alla realtà e al bisogno del mondo, prega per coloro che stanno per essere puniti e chiede che siano salvati.

Abramo imposta subito il problema in tutta la sua gravità, e dice al Signore: "Davvero sterminerai il giusto con l’empio? Forse vi sono cinquanta giusti nella città: davvero li vuoi sopprimere? E non perdonerai a quel luogo per riguardo ai cinquanta giusti che vi si trovano? Lontano da te il far morire il giusto con l’empio, così che il giusto sia trattato come l’empio; lontano da te! Forse il giudice di tutta la terra non praticherà la giustizia?" (vv. 23-25).

Con queste parole, con grande coraggio, Abramo mette davanti a Dio la necessità di evitare una giustizia sommaria: se la città è colpevole, è giusto condannare il suo reato e infliggere la pena, ma – afferma il grande Patriarca – sarebbe ingiusto punire in modo indiscriminato tutti gli abitanti. Se nella città ci sono degli innocenti, questi non possono essere trattati come i colpevoli. Dio, che è un giudice giusto, non può agire così, dice Abramo giustamente a Dio.

Se leggiamo, però, più attentamente il testo, ci rendiamo conto che la richiesta di Abramo è ancora più seria e più profonda, perché non si limita a domandare la salvezza per gli innocenti. Abramo chiede il perdono per tutta la città e lo fa appellandosi alla giustizia di Dio; dice, infatti, al Signore: "E non perdonerai a quel luogo per riguardo ai cinquanta giusti che vi si trovano?" (v. 24b). Così facendo, mette in gioco una nuova idea di giustizia: non quella che si limita a punire i colpevoli, come fanno gli uomini, ma una giustizia diversa, divina, che cerca il bene e lo crea attraverso il perdono che trasforma il peccatore, lo converte e lo salva.

Con la sua preghiera, dunque, Abramo non invoca una giustizia meramente retributiva, ma un intervento di salvezza che, tenendo conto degli innocenti, liberi dalla colpa anche gli empi, perdonandoli. Il pensiero di Abramo, che sembra quasi paradossale, si potrebbe sintetizzare così: ovviamente non si possono trattare gli innocenti come i colpevoli, questo sarebbe ingiusto, bisogna invece trattare i colpevoli come gli innocenti, mettendo in atto una giustizia "superiore", offrendo loro una possibilità di salvezza, perché se i malfattori accettano il perdono di Dio e confessano la colpa lasciandosi salvare, non continueranno più a fare il male, diventeranno anch’essi giusti, senza più necessità di essere puniti.

È questa la richiesta di giustizia che Abramo esprime nella sua intercessione, una richiesta che si basa sulla certezza che il Signore è misericordioso. Abramo non chiede a Dio una cosa contraria alla sua essenza, bussa alla porta del cuore di Dio conoscendone la vera volontà. Certo Sodoma è una grande città, cinquanta giusti sembrano poca cosa, ma la giustizia di Dio e il suo perdono non sono forse la manifestazione della forza del bene, anche se sembra più piccolo e più debole del male? La distruzione di Sodoma doveva fermare il male presente nella città, ma Abramo sa che Dio ha altri modi e altri mezzi per mettere argini alla diffusione del male. È il perdono che interrompe la spirale del peccato, e Abramo, nel suo dialogo con Dio, si appella esattamente a questo. E quando il Signore accetta di perdonare la città se vi troverà i cinquanta giusti, la sua preghiera di intercessione comincia a scendere verso gli abissi della misericordia divina. Abramo – come ricordiamo – fa diminuire progressivamente il numero degli innocenti necessari per la salvezza: se non saranno cinquanta, potrebbero bastare quarantacinque, e poi sempre più giù fino a dieci, continuando con la sua supplica, che si fa quasi ardita nell’insistenza: "forse là se ne troveranno quaranta… trenta… venti… dieci" (cfr vv. 29.30.31.32). E più piccolo diventa il numero, più grande si svela e si manifesta la misericordia di Dio, che ascolta con pazienza la preghiera, l’accoglie e ripete ad ogni supplica: "perdonerò… non distruggerò… non farò" (cfr vv. 26.28.29.30.31.32).

Così, per l’intercessione di Abramo, Sodoma potrà essere salva, se in essa si troveranno anche solamente dieci innocenti. È questa la potenza della preghiera. Perché attraverso l’intercessione, la preghiera a Dio per la salvezza degli altri, si manifesta e si esprime il desiderio di salvezza che Dio nutre sempre verso l’uomo peccatore. Il male, infatti, non può essere accettato, deve essere segnalato e distrutto attraverso la punizione: la distruzione di Sodoma aveva appunto questa funzione. Ma il Signore non vuole la morte del malvagio, ma che si converta e viva (cfr. Ezechiele 18, 23; 33, 11); il suo desiderio è sempre quello di perdonare, salvare, dare vita, trasformare il male in bene.

Ebbene, è proprio questo desiderio divino che, nella preghiera, diventa desiderio dell’uomo e si esprime attraverso le parole dell’intercessione. Con la sua supplica, Abramo sta prestando la propria voce, ma anche il proprio cuore, alla volontà divina: il desiderio di Dio è misericordia, amore e volontà di salvezza, e questo desiderio di Dio ha trovato in Abramo e nella sua preghiera la possibilità di manifestarsi in modo concreto all’interno della storia degli uomini, per essere presente dove c’è bisogno di grazia. Con la voce della sua preghiera, Abramo sta dando voce al desiderio di Dio, che non è quello di distruggere, ma di salvare Sodoma, di dare vita al peccatore convertito.

È questo che il Signore vuole, e il suo dialogo con Abramo è una prolungata e inequivocabile manifestazione del suo amore misericordioso. La necessità di trovare uomini giusti all’interno della città diventa sempre meno esigente e alla fine ne basteranno dieci per salvare la totalità della popolazione. Per quale motivo Abramo si fermi a dieci, non è detto nel testo. Forse è un numero che indica un nucleo comunitario minimo (ancora oggi, dieci persone sono il quorum necessario per la preghiera pubblica ebraica). Comunque, si tratta di un numero esiguo, una piccola particella di bene da cui partire per salvare un grande male. Ma neppure dieci giusti si trovavano in Sodoma e Gomorra, e le città vennero distrutte. Una distruzione paradossalmente testimoniata come necessaria proprio dalla preghiera d’intercessione di Abramo. Perché proprio quella preghiera ha rivelato la volontà salvifica di Dio: il Signore era disposto a perdonare, desiderava farlo, ma le città erano chiuse in un male totalizzante e paralizzante, senza neppure pochi innocenti da cui partire per trasformare il male in bene. Perché è proprio questo il cammino della salvezza che anche Abramo chiedeva: essere salvati non vuol dire semplicemente sfuggire alla punizione, ma essere liberati dal male che ci abita. 

Non è il castigo che deve essere eliminato, ma il peccato, quel rifiuto di Dio e dell’amore che porta già in sé il castigo. Dirà il profeta Geremia al popolo ribelle: "La tua stessa malvagità ti castiga e le tue ribellioni ti puniscono. Renditi conto e prova quanto è triste e amaro abbandonare il Signore, tuo Dio" (Geremia 2, 19). È da questa tristezza e amarezza che il Signore vuole salvare l’uomo liberandolo dal peccato. Ma serve dunque una trasformazione dall’interno, un qualche appiglio di bene, un inizio da cui partire per tramutare il male in bene, l’odio in amore, la vendetta in perdono. Per questo i giusti devono essere dentro la città, e Abramo continuamente ripete: "forse là se ne troveranno…". "Là": è dentro la realtà malata che deve esserci quel germe di bene che può risanare e ridare la vita. È una parola rivolta anche a noi: che nelle nostre città si trovi il germe di bene; che facciamo di tutto perché siano non solo dieci i giusti, per far realmente vivere e sopravvivere le nostre città e per salvarci da questa amarezza interiore che è l’assenza di Dio. E nella realtà malata di Sodoma e Gomorra quel germe di bene non si trovava.

Ma la misericordia di Dio nella storia del suo popolo si allarga ulteriormente. Se per salvare Sodoma servivano dieci giusti, il profeta Geremia dirà, a nome dell’Onnipotente, che basta un solo giusto per salvare Gerusalemme: "Percorrete le vie di Gerusalemme, osservate bene e informatevi, cercate nelle sue piazze se c’è un uomo che pratichi il diritto, e cerchi la fedeltà, e io la perdonerò" (5,1). Il numero è sceso ancora, la bontà di Dio si mostra ancora più grande. Eppure questo ancora non basta, la sovrabbondante misericordia di Dio non trova la risposta di bene che cerca, e Gerusalemme cade sotto l’assedio del nemico.

Bisognerà che Dio stesso diventi quel giusto. E questo è il mistero dell’Incarnazione: per garantire un giusto egli stesso si fa uomo. Il giusto ci sarà sempre perché è lui: bisogna però che Dio stesso diventi quel giusto. L’infinito e sorprendente amore divino sarà pienamente manifestato quando il Figlio di Dio si farà uomo, il Giusto definitivo, il perfetto Innocente, che porterà la salvezza al mondo intero morendo sulla croce, perdonando e intercedendo per coloro che "non sanno quello che fanno" (Luca 23, 34). Allora la preghiera di ogni uomo troverà la sua risposta, allora ogni nostra intercessione sarà pienamente esaudita.

Cari fratelli e sorelle, la supplica di Abramo, nostro padre nella fede, ci insegni ad aprire sempre di più il cuore alla misericordia sovrabbondante di Dio, perché nella preghiera quotidiana sappiamo desiderare la salvezza dell’umanità e chiederla con perseveranza e con fiducia al Signore che è grande nell’amore.


Roma, 18 maggio 2011


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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 due ottimi articoli che chiariscono in modo breve e semplice due falsi maestri....

PICCOLI ERETICI CRESCONO: DAL GRILLO TEOLOGANTE DEL SANT’ANSELMO AL DOMENICANO BURLONE CHE ESALTA SCHILLEBEECKX

Parlando solo sul piano prettamente teologico, giammai su quello umano, va’ rilevato che questo accademico, dottrinalmente parlando, è una sorta di antitesi del mitico Re Mida che mutava in oro tutto ciò che toccava. Al suo contrario, Andrea Grillo, come una specie di Re Mirda, tutto ciò che teologicamente e dottrinalmente tocca diventa merda, perché palesemente e radicalmente viziato nel suo pensiero dalla madre di tutte le eresie: il Modernismo.

Autore Padre Ariel
Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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Caro Padre Ariel.

Il mio vescovo mi mandò anni fa al Sant’Anselmo di Roma per far la specializzazione. Non terminai neppure il primo semestre, perché dopo aver partecipato a una serie di lezioni tenute dal prof. Elmar Salmann e dal prof. Andrea Grillo, dissi al vescovo che non intendevo proseguire, dato che in quell’ateneo non s’insegnava teologia e sacramentaria cattolica. Il vescovo non la prese bene, mi destituì dall’incarico di cerimoniere, ma accettò la mia decisione. Leggendo quest’ultimo articolo del prof. Grillo [Ndr vedere QUI], mi glorio di quella mia decisione passata. Tu che cosa ne pensi?

Lettera Firmata

 

andrea-grillo
il Pontificio Ateneo Sant’Anselmo, un nome, ed una garanzia, oggi, di eresia …

Andrea Grillo è un uomo intellettualmente sgradevole, come lo sono di prassi le persone d’indole altezzosa. Lo abbiamo visto anche di recente, attraverso il modo in cui ha dibattuto col vaticanista della Rai Aldo Maria Valli, noto a tutti ― anche ai suoi colleghi non in linea con lui ― come uomo amabile dallo stile espressivo delicato e signorile [link del dibattito, QUI].

 

Trovo sgradevole Andrea Grillo non come persona, perché come persona non è affatto sgradevole, tutt’altro! Lo trovo sgradevole sul piano squisitamente teologico, come trovo sgradevoli tutti quei teologastri dell’ultimo cinquantennio che non parlano di Dio e dei Misteri della Fede, ma delle fenomenologie politico-clericali. Si prenda come esempio tra i tanti l’articolo segnalato dal Sacerdote nostro lettore [cf. QUI], lo si analizzi e poi si dica: dove, quante volte, in qual modo Andrea Grillo, parlando della sua fenomelogia clerical-politica di un Sacramento come l’Ordine Sacro, ha menzionato solo di sfuggita Dio, o il Verbo di Dio, il Figlio consustanziale al Padre, che il Sacramento dell’Ordine lo ha istituito per la perpetuazione del Memoriale vivo e santo? Una sola volta lo menziona — ed a sproposito — affinché: «la “presenza di Cristo” esca dalle contrapposizioni storiche tra “transustanziazione” e “consustanziazione”». E ciò equivale a leggere il concetto di “presenza di Cristo” non in una dimensione metafisica, ma come problema politico da risolvere, affinché trionfi il supremo dogma di quel dialogo inaugurato dal falso ecumenismo distruggente, quello che sta protestantizzando la Chiesa da dentro, grazie ai Pony di Troia come Andrea Grillo. Pertanto, in modo intellettualmente molto più onesto, questo accademico dovrebbe fare il sociologo o l’esperto in fenomenologia ecclesiale, anzi meglio ancora: ecclesiastica, non però il teologo sacramentario liturgico, posto che quanti i Sacramenti li vivono e quanti come noi li celebrano per mistero di grazia, hanno con essi tutt’altro rapporto, che è un rapporto di fede, un rapporto mistico, non un rapporto clerical-politico-fenomenologico.

Sempre parlando solo sul piano teologico, giammai su quello umano, va’ rilevato che questo accademico, dottrinalmente parlando, è una sorta di antitesi del mitico Re Mida che mutava in oro tutto ciò che toccava. Al suo contrario, Andrea Grillo, come una specie di Re Mirda, ciò che teologicamente e dottrinalmente tocca diventa merda, perché palesemente e radicalmente viziato nel suo pensiero dalla madre di tutte le eresie: il Modernismo. E sempre a scanso di equivoci torno a ripetere: “tutto ciò che teologicamente e dottrinalmente tocca”, perché solo a questo è riferita l’espressione del mirdianomutamente dell’oro delle Verità di fede, nella merda delle eresie. Infatti, per quanto poi riguarda tutto l’altro resto, quest’uomo è sicuramente il più degno ed esemplare cittadino della Repubblica Italiana, la persona più splendida, il marito più fedele al sacro vincolo del matrimonio, il modello di padre di famiglia più lodevole di questo mondo e via dicendo a seguire. Infatti — ribadisco — io non contesto la persona, né le sue indubbie qualità umane e morali, ciò che contesto è solo la sua eterodossia teologica, alla quale ho applicata la parola più appropriata: «Merda». Perché l’eresia rimane ed è tale per ogni buon cattolico: la peggiore merda di Satana, principe della corruzione e della falsificazione, colui che muta il vero in falso ed il falso in vero.

Andrea Grillo è degno allievo del monaco benedettino tedesco Elmar Salmann [cf. QUI], al quale va’ il merito di avere protestantizzato nel corso di un trentennio di suo dominio il Pontificio Ateneo Sant’Anselmo. Basti solo ricordare ― e con me lo ricordano molti altri ―, che quando Elmar Salmann teneva tra il 2010 e il 2011 i corsi di preparazione al dottorato presso questo ateneo, soleva dilettarsi a definire il Beato Pio IX come «un caso psichiatrico», citando a suffragio di queste sue idee il Gesuita Giacomo Martina, che risulta esser stato un insigne storico, non però uno psichiatria specializzato in disturbi psicosomatici della personalità pontificia. E menzionando i quattro volumi editi dallo storico Gesuita avverso alla beatificazione di questo Sommo Pontefice [cf. QUI QUI] ― che non risultano essere “verità di fede” ma opinioni di uno studioso ―, il buon Benedettino affermava in che modo quel caso clinico-psichiatrico di Pio IX « si è posto la sua medaglietta sul petto inventandosi un nuovo dogmino », con chiara allusione al dogma della infallibilità pontificia.

Sberleffi teutonico-romanofobi del tutto comprensibili, considerata la testa e la bocca in questione, oltre al fatto che gli adoranti allievi modernisti della corte dei miracoli salmanniana, consigliavano ― ovviamente a livello critico, s’intende! ― la lettura di due opere dell’eretico Hans Küng, tra le quali: Infallibile? Una domanda. Dopo di ché, il sacro fuoco luteran-teutonico di Elmar Salmann procedeva avanti e si abbatteva sul Santo Pontefice Pio X, il quale ― cito testualmente ― «con la sua Pascendi Dominici Gregis, tentò di frenare il progresso e la speculazione scientifica, mentre gli esegeti protestanti facevano meraviglie sul piano delle ricerche filosofiche, teologiche e bibliche». E detto questo merita ricordare che tra il ristretto pubblico beneficiario di siffatte perle di saggezzasalmanniana, era presente come uditore anche il celebre giornalista Giuliano Ferrara, che proprio non mi risulta esser privo di eccellente memoria.

Questo è l’uomo, o meglio il minuscolo eretico che ha messo in cattedra al Sant’Anselmo la propria corte dei miracoli modernista, Andrea Grillo incluso, con questa logica conseguenza: all’interno di quelle mura, oggi non può neppure avvicinarsi ciò che teologicamente e dottrinalmente è cattolico. Basti dire che gli interscambi tra il Sant’Anselmo e la Facoltà teologica valdese spaziano tra l’idolatria pseudo-ecumenica e la vera e propria prostrazione ai protestanti, a tal punto che il Pastore evangelico Paolo Ricca è da anni professore ospite in quel pontificio ateneo.

Questo per dire che se un cattolico, per sua somma sventura, si avvicinasse a siffatto ambiente avvelenato e avvelenante, radicalmente corrotto poiché infarcito di modernismi e protestantismi, verrebbe arso al rogo dai membri della ereticale corte dei miracoli insediata al suo interno da Elmar Salmann, inclusi non pochi monaci sculettanti che lanciavano occhiate languide a vari studenti, perché l’eresia ― per parafrasare il mio Confratello polacco Darius Oko [cf. QUI e QUI] ―, diventa spesso omoeresia, con tutto il nubifrocio universale che ne consegue nella Chiesa, com’ebbi a spiegare io senza troppe perifrasi in un mio libro del 2011.

Molto vi sarebbe da scrivere sull’eretico modernista Andrea Grillo, che dell’ingegno dei grandi modernisti del calibro di Ernesto Buonaiuti, dotati di notevole intelletto, di scienza e di sapienza usata però purtroppo al contrario, non ha proprio niente, perché ormai siamo divenuti mediocri persino nell’eresia. E che il Grillo teologante sia un modernista, è fuori discussione, non perché lo dica io, ma perché lo provano i suoi scritti, le sue idee non cattoliche sulla Eucaristia, sul Sacramento dell’Ordine, sul Sacramento del Matrimonio, o più generalmente sulla dogmatica sacramentaria. Per non parlare dell’ecumenismo, della esaltazione della inter-comunione coi protestanti, dell’ipotesi sugli ordini sacri alle donne, del secondo matrimonio cattolico, per seguire con tutto il devastante corollario che ha portato al collasso le varie aggregazioni luterane e anglicane. Perché con le loro ideologie liberali sostituite ai vecchi dogmi della fede, il loro femminismo esasperato, le loro “donne prete”, le loro pittoresche “vescovesse” lesbiche sposate che adottano bambini con la loro coniuge [cf. QUI], nei concreti fatti, i tanto ammirati teologisti luterani, hanno solo ottenuto il risultato di svuotare le loro chiese, da tempo molto più vuote di quelle cattoliche, dove capita invece che entrino per professare la fede nella Chiesa «una santa cattolica e apostolica» numerosi loro fuoriusciti, in particolare gli anglicani.
Se infatti il Grillo teologante fosse un teologo cattolico anziché un teologista-ideologico, dovrebbe anzitutto ricordare a se stesso che nel Simbolo di fede niceno-costantinopolitano, noi non professiamo la fede nella “molteplicità delle Chiese”, seguitiamo a professare: «Credo la Chiesa una, santa cattolica e apostolica» [Εἰς μίαν, Ἁγίαν, Καθολικὴν καὶ Ἀποστολικὴν Ἐκκλησίαν]. Perché Il Verbo di Dio Incarnato, tramite il Beato Apostolo Giovanni, ci esorta a essere perfetti nell’unità [cf. Gv 17, 23], non nella molteplicità e nella frammentarietà delle “chiese”. Pertanto, l’unico ecumenismo che noi possiamo cattolicamente concepire, è quello che mira a riportare i fratelli separati nell’unità della Chiesa «una, santa cattolica e apostolica», non certo a conferire al loro scisma ereticale il rango di “riforma” ed al loro eresiarca Lutero il rango di “riformatore”.

Ciò malgrado, il Grillo teologante non perde occasione per insistere in modo oggi aperto, non più subliminale, di quanto sarebbe a suo parere opportuno discutere sulla amissione delle donne ai sacri ordini, sebbene dolosamente consapevole che questo discorso è stato chiuso per sempre con un pronunciamento di San Giovanni Paolo II, che rifacendosi a quanto già affermato dal conciliarissimoBeato Paolo VI — e non dalla “vecchia Chiesa” dei Santi Pontefici Pio X o Pio V —, ribadì che la Chiesa«non si riconosce l’autorità di ammettere le donne all’ordinazione sacerdotale» [vedere documento, QUI]. Affermazione alla quale il Grillo teologante ribatte con sofismi di bassa lega definendola come: «una dichiarazione di “non autorità”» [vedere articolo integrale, QUI]. A quel punto, il Grillo Teologante, giocando più sul giuridico che sul teologico, afferma: «la non irreformabilità di Ordinatio Sacerdotalis che, in una prospettiva più lunga, la autorità ecclesiale potrebbe riconoscere domani di avere la autorità di estendere la ordinazione sacerdotale anche alla donna. Infatti il testo del 1994 è definitive tenendum, ma non in modo assoluto. Solo finché la Chiesa non riterrà di avere quella autorità che nel 1994 ha ritenuto di escludere. Mancando dei requisiti di “infallibilità”, il documento è solo relativamente irreformabile».

Purtroppo, questo giocatore per niente abile, giocando pro domo sua con il fallibile e l’infallibile, non tiene conto del Vangelo e soprattutto della vita del Verbo di Dio Incarnato, proprio quella dinanzi alla quale, i Sommi Pontefici, hanno affermato che la Chiesa «non si riconosce l’autorità di ammettere le donne all’ordinazione sacerdotale». Semplice il motivo per il quale la Chiesa non si riconosce questa autorità, perchè chi vive una dimensione della fede cristocentica anziché politicocentrica, sa bene che Cristo, con le donne, non aveva problemi di alcun genere, come invece li avevano i giudei soggetti, ancor più che alla Legge Mosaica, alle cavillosità rabbiniche. Basti pensare al genere di scandalo più volte destato dal Cristo che permetteva alle donne di avvicinarlo e persino di toccarlo; in una società e dinanzi a una Legge che non consentiva neppure ai padri stessi, di toccare le proprie figlie, ma soprattutto viceversa, per non parlare dei criteri meticolosi di separazione tra uomini e donne, dei relativi riti di purità e via dicendo. Cose queste di cui, il Cristo, non si curava affatto. E allora perché mai, istituendo il Sacerdozio e l’Eucaristia, non scelse come Sacerdoti delle donne? E qual genere di donne, che stavano vicine a Cristo Dio!

A partire dalla Mater Dei, nata senza macchia di peccato originale. Perché scelse invece Giuda che lo tradì, Pietro che lo rinnego tre volte, ed altri che, dinanzi alla mal parata, come narra il Vangelo della Passione: «Allora tutti i discepoli, abbandonatolo, fuggirono»? [cf. Mt 26,56]? Perché non scelse quella figura straordinaria di Maria Maddalena, che lo seguì fin sotto la croce e che giunse per prima il mattino al sepolcro? Probabilmente, il Verbo di Dio, non scelse le donne perché non era ancora un cristiano adulto, non c’era stata ancora la “riforma” del grande “riformatore” Lutero grazie al quale oggi possiamo assistere al grottesco carnevale delle “vescovesse” lesbiche che si pavoneggiano con mitria e pastorale; non c’era ancora stato il post-concilio dei teologi interpreti fautori del loro personale concilio egomenico, ma soprattutto non era stata sviluppata la ermeneutica della discontinuità da parte della Scuola di Bologna di Dossetti & Alberigo. Adesso che però abbiamo avuto questo e molto altro, potremmo andare anche oltre, rispetto a certe “limitatezze” del … povero Cristo, per causa delle quali la Chiesa «non si riconosce l’autorità di ammettere le donne all’ordinazione sacerdotale». In fondo, basterebbe solo porsi al di sopra di Dio, ed agire di conseguenza come meglio riteniamo opportuno. Non è forse questa l’essenza della bestemmia contro lo Spirito Santo?

Andrea Grillo è un eretico perché nel suo pensiero eterodosso e pseudo ecumenico ricorrono tutti i principali errori indicati nella dichiarazione Dominus Jesus dell’anno 2000, mentre nelle sue errate concezioni della sacra liturgia ricorre tutto ciò che è indicato come errore dalla istruzione Redemptionis Sacramentum, posto che egli stesso si è prestato a gravissimi abusi liturgici in varie chiese parrocchiali della Liguria, dove più volte ha tenuto le omelie al Vangelo al posto del Presbitero durante la celebrazione del Sacrificio Eucaristico, che è appunto “sacrificio”, attraverso il quale il pane e il vino si transustanziano nel Corpo e Sangue di Cristo, realmente presente in anima, corpo e divinità. L’Eucaristia non è una luterana transignificazione, né una protestantica transfinalizzazione, né una festosa cena alla maniera calvinista nella quale l’Eucaristia è intesa come mero simbolo svuotato di ogni sacralità. Perché per il Grillo Teologante qualsiasi termine è buono, specie se protestante, fuorché il termine di sacrificio vivo e santo. Senza infatti andare neppure a sfiorare le alte sfere della dogmatica sacramentaria, basterebbe limitarsi a ricordare ciò che insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica sulla Santissima Eucaristia:

Nel SS. Sacramento dell’Eucaristia è contenuto veramente, realmente, sostanzialmente il Corpo e il Sangue di nostro Signore Gesù Cristo, con l’anima e la divinità e, quindi, il Cristo tutto intero. Tale presenza si dice “reale” non per esclusione, quasi che le altre non siano “reali”, ma per antonomasia, perché è sostanziale, e in forza di essa Cristo, Dio e uomo, tutto intero si fa presente [cf. CCC, n. 1374]

Ma in fondo, chi sono io, per giudicare una celebrità come il Grillo teologante, lasciato libero da anni di avvelenare le menti con le proprie eresie in un Pontificio Ateneo, direttamente sotto le finestre della Congregazione per la dottrina della fede presieduta dal Cardinale Gerhard Ludwig Müller e della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei Sacramenti presieduta dal Cardinale Robert Sarah? Se infatti non ci pensano questi due Cardinali, vestiti di rosso non per coreografia, bensì qual simbolo di fedeltà e di obbedienza alla fede sino allo spargimento del loro stesso sangue, preposti come tali a dirigere questi due dicasteri strettamente competenti per le eresie moderniste spacciate dalla cattedra pontificia del Grillo Teologante, dovrei forse pensarci io? Purtroppo non ho la potestas per destituire dalle cattedre certi personaggi palesemente e orgogliosamente non cattolici. Fossi stato in carica al posto di certi Prefetti, lo avrei fatto da tempo, incurante delle ire e degli attacchi della potente cordata dei modernisti che da mezzo secolo a questa parte la fa da padrona all’interno della Chiesa.

Questo per dire quanto io sia memore d’esser davvero poca cosa, dinanzi a questa realtà andata ormai ben oltre la stessa «Immaginazione al potere», perché neppure la più fervida fantasia avrebbe mai immaginato che un giorno, tutto ciò che fu condannato dal Santo Pontefice Pio X, riguardo il Modernismo qual madre di tutte le eresie, avrebbe spadroneggiato all’interno della Chiesa, al punto che oggi sono gli eretici, a punire ed estromettere i devoti alla dottrina e al sacro deposito della fede cattolica, a partire dalle più blasonate università e atenei pontifici, ed in specie quelli più antichi, nei quali non si insegna ai futuri teologi quanto perniciosi siano stati gli errori della eresia protestante, tutt’altro! Si chiama l’eresiarca Lutero «riformatore», si giunge persino a dire che grazie alla “riforma” protestante si è potuto avere, dopo quasi cinque secoli, il Concilio Vaticano II, che «ha accolto le istanze di Lutero» (!?). E se questo non bastasse, si accolgono direttamente i protestanti in casa nostra come professori invitati nelle università ecclesiastiche dove si formano i nostri futuri teologi, gran parte dei quali presbiteri e religiosi, che una volta titolati in eresia mediante il suggello delle sante carte accademiche romane, saliranno poi sui pulpiti delle chiese per annunciare fieramente altrettante eresie, con aura da intellettuali sopraffini e scimmiottando in modo peggiorativo i loro cattivi maestri.

Consapevole pertanto della mia pochezza, lascio che a rispondere alle eterodossie del Grillo teologante sia il Sommo Pontefice San Pio X, che riguardo la corte dei miracoli modernista posta dal capo eretico Elmar Salmann sulle cattedre del Pontificio Anteneo Sant’Anselmo, afferma con parole chiare e inequivocabili quanto sotto segue …

dall’Isola di Patmos, 3 novembre 2016

 

stemma-pio-xDISCORSO DEL SOMMO PONTEFICE PIO X
RIVOLTO AI NUOVI CARDINALI *

Città del Vaticano, 17 aprile 1907

san-pio-x
il Santo Pontefice Pio X, autore della solenne sconfessione dell’eresia modernista [Vedere Pascendi Domici GregisQUI]

Accogliamo colla più viva compiacenza i sentimenti di devozione e di amore figliale verso di Noi e di questa Sede Apostolica, che Ci avete significati in nome vostro e dei vostri dilettissimi confratelli per l’onore della Porpora a cui foste chiamati [1]. Ma se accettiamo i vostri ringraziamenti, dobbiamo pur dire, che le preclare virtù, di cui siete adorni, le opere di zelo, che avete compiute, e gli altri segnalati servigi, che in campi diversi avete resi alla Chiesa, vi rendevano pur degni di essere annoverati nell’albo del Nostro Sacro Senato.

E Ci allieta non solo la speranza, ma la certezza, che anche rivestiti della nuova dignità consacrerete sempre, come per il passato, l’ingegno e le forze per assistere il Romano Pontefice nel governo della Chiesa.

Se sempre i Romani Pontefici hanno avuto bisogno anche di aiuti esteriori per compiere la loro missione, questo bisogno si fa sentire più vivamente adesso per le gravissime condizioni del tempo in cui viviamo e pei continui assalti, ai quali è fatta segno la Chiesa per parte dei suoi nemici.

E qui non crediate, Venerabili Fratelli, che Noi vogliamo alludere ai fatti, per quanto dolorosi, di Francia, perché questi sono largamente compensati dalle più care consolazioni: dalla mirabile unione di quel Venerando Episcopato, dal generoso disinteresse del clero, e dalla pietosa fermezza dei cattolici disposti a qualunque sacrificio per la tutela della fede e per la gloria della loro patria; si avvera un’ altra volta che le persecuzioni non fanno che mettere in evidenza e additare all’ ammirazione universale le virtù dei perseguitati e tutto al più sono come i flutti del mare, che nella tempesta frangendosi negli scogli, li purificano, se fosse necessario, dal fango che li avesse insozzati.

E voi lo sapete, Venerabili Fratelli, che per questo non temeva la Chiesa, quando gli editti dei Cesari intimavano ai primi cristiani: o abbandonare il culto a Gesù Cristo o morire; perché il sangue dei martiri era semente di nuovi proseliti alla fede. Ma la guerra tormentosa, che la fa ripetere: Ecce in pace amaritudo mea amarissima, è quella che deriva dalla aberrazione delle menti, per la quale si misconoscono le sue dottrine e si ripete nel mondo il grido di rivolta, per cui furono cacciati i ribelli dal Cielo. E ribelli pur troppo sono quelli, che professano e diffondono sotto forme subdole gli errori mostruosi sulla evoluzione del dogma, sul ritorno al Vangelo puro, vale a dire sfrondato, com’ essi dicono, dalle spiegazioni della teologia, dalle definizioni dei Concilii, dalle massime dell’ascetica, — sulla emancipazione dalla Chiesa, però in modo nuovo senza ribellarsi per non esser tagliati fuori, ma nemmeno assoggettarsi per non mancare alle proprie convinzioni, e finalmente sull’ adattamento ai tempi in tutto, nel parlare, nello scrivere e nel predicare una carità senza fede, tenera assai pei miscredenti, che apre a tutti purtroppo la via all’eternarovina.

Voi ben vedete, o Venerabili Fratelli, se Noi, che dobbiamo difendere con tutte le forze il deposito che Ci venne affidato, non abbiamo ragione di essere in angustie di fronte a quest’attacco, che non è un’eresia, ma il compendio e il veleno di tutte le eresie, che tende a scalzare i fondamenti della fede ed annientare il cristianesimo.

Sì, annientare il cristianesimo, perché la Sacra Scrittura per questi eretici moderni non è più la fonte sicura di tutte le verità che appartengono alla fede, ma un libro comune; l’ispirazione per loro si restringe alle dottrine dogmatiche, intese però a loro modo, e per poco non si differenzia dall’ ispirazione poetica di Eschilo e di Omero. Legittima interprete della Bibbia è la Chiesa, però soggetta alle regole della così detta scienza critica, che s’impone alla Teologia e la rende schiava. Per la tradizione finalmente tutto è relativo e soggetto a mutazioni, e quindi ridotta al niente l’autorità dei Santi Padri. E tutti questi e mille altri errori li propalano in opuscoli, in riviste, in libri ascetici e perfino in romanzi e li involgono in certi termini ambigui, in certe forme nebulose, onde avere sempre aperto uno scampo alla difesa per non incorrere in un’ aperta condanna e prendere però gli incauti ai loro lacci.

Noi pertanto contiamo assai anche sull’opera vostra, Venerabili Fratelli, perché qualora conosciate coi Vescovi Vostri suffraganei nelle vostre Regioni di questi seminatori di zizzania, vi uniate a Noi nel combattere, Ci informiate del pericolo a cui sono esposte le anime, denunciate i loro libri alle Sacre Congregazioni Romane e frattanto, usando delle facoltà che dai Sacri Canoni vi sono concesse, solennemente li condanniate, persuasi dell’obbligo altissimo che avete assunto di aiutare il Papa nel governo della Chiesa, di combattere l’ errore e di difendere la verità fino all’ effusione del sangue.

Del resto confidiamo nel Signore, o diletti figli, che ci darà nel tempo opportuno gli aiuti necessarii; e la benedizione Apostolica, che avete invocata, discenda copiosa su voi, sul clero e sul popolo delle vostre diocesi, sopra tutti i venerandi Vescovi e gli eletti figli, che decorarono con la loro presenza questa solenne cerimonia, sui vostri e sui loro parenti; e sia fonte per tutti e per ciascuno delle grazie più elette e delle più soavi consolazioni.

Pius, PP X

___________________

NOTE

[1] Card. Aristide Cavallari, Patriarca di Venezia.

 *  AAS, vol. XL (1907), pp. 259-262.


  - continua


[Modificato da Caterina63 04/11/2016 08:46]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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  QUEL DOMENICANO BURLONE CHE ESALTA SCHILLEBEECKX


Uno dei gravi difetto di Edward Schillebeeckx è che egli confonde concetto e linguaggio. I linguaggi variano, mutano e devono mutare; devono essere aggiornati e adattati all’ambiente; ma certe realtà di ragione o di fede, che essi esprimono, sono universali e immutabili, sono, per dirla con Benedetto XVI, valori “non negoziabili”, irrinunciabili. Quindi andiamo cauti prima di definire Schillebeeckx un “grande teologo”.


Autore Giovanni Cavalcoli OP
Autore
Giovanni Cavalcoli, OP






Caro Padre Giovanni ,

vi seguo da sempre sull’Isola di Patmos e ricordo d’aver letto suoi giudizi critici sul teologo olandese domenicano Schillebeeckx, da lei accusato di modernismo, gnoseologia, ecc.. Giorni fa, mi sono imbattuta in una presentazione fatta sul sito ufficiale dell’Ordine Domenicano [Ndr. QUI], dove questo teologo da lei più volte criticato è presentato nella lista delle “grandi figure domenicane”. Sono un po’ confusa, potrei chiederle una spiegazione?

Francesca Papa
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Edward Schillebeeckx
nella foto: Edward Schillebeeckx – Caratteristica degli ecclesiastici e dei religiosi modernisti, è che rimangono agli annali loro foto ufficiali che li ritraggono di rigore in giacca e cravatta, con in mano un boccale di birra (Kark Rahner) o con una sigaretta (Edward Schillebeeckx), ma nessuno di loro si è fatto immortalare con il proprio abito ecclesiastico o religioso, meno che mai con il breviario o con la corona del rosario in mano …

Sul sito della Provincia domenicana di San Tommaso d’Aquino dell’Ordine dei Frati Predicatori è apparsa la presentazione della figura e dell’opera del domenicano Edward Schillebeeckx per la penna di Padre Gerardo Cioffari, OP [Vedere QUI].

 

L’Autore ne fa grandi lodi, molte delle quali sono immeritate, perché io sin dal 1984 [1], insieme con altri critici e in consonanza con le censure, che Edward Schillebeeckx a suo tempo ha ricevuto dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, ho segnalato in molte occasioni e in alcune pubblicazioni [2], i suoi gravi errori, che trovano la loro radice nella sua gnoseologia storicista e relativista e che mettono la sua teologia in contrasto con la dottrina della fede.

Il fatto che Schillebeeckx sia stato tra gli ispiratori del Catechismo olandese, messo così in rilievo da Gerardo Cioffari, non fa onore a Schillebeeckx, dato che il Catechismo conteneva errori contrari alla fede e così gravi lacune, che il Beato Paolo VI fu costretto a farlo correggere e completare da una commissione cardinalizia appositamente istituita. Il Catechismo Olandesesenza le correzioni apportate da Roma, è la bandiera dell’attuale neo-modernismo filo-protestante e si spaccia falsamente per interpretazione del Concilio Vaticano II.

Il vizio fondamentale della gnoseologia di Schillebeeckx sta in una radicale sfiducia nella ragione, sostituita da una “fede” esperienziale ed atematica, che ricorda molto l’impostazione di Lutero. Egli infatti crede che il concetto non coglie la realtà, quindi non può essere una rappresentazione oggettiva e fedele del reale, ma è l’espressione o interpretazione relativa al soggetto di una precedente “esperienza atematica” della realtà, sicché il concetto si limita ad indicare l’oggetto, senza identificarsi intenzionalmente con esso, ma lo rappresenta solo in forma convenzionale, linguistica o simbolica, così come, per esempio, un cartello stradale indica la direzione da seguire per giungere alla meta, ma non è ancora il luogo che occorre raggiungere.

Da notare che l’ “esperienza atematica” non è l’esperienza dei sensi, ma è una intuizione intellettuale apriorica del reale concreto mista a senso, che Schillebeeckx desume dalla fenomenologia husserliana. Il sapere, quindi, per Schillebeeckx, non inizia con l’esperienza sensibile, come per Aristotele e San Tommaso, ma con questa esperienza o intuizione apriorica, che ricorda anche l’apriorismo cartesiano e kantiano.

L’esperienza sensibile, per Schillebeeckx, non avviene prima della concettualizzazione, come nel tomismo, ma nell’orizzonte dell’esperienza atematica, che non esiste in San Tommaso, e che invece per Schillebeeckx è il punto di partenza del conoscere. Egli ammette che il concetto sia legato all’esperienza del senso, ma esso è formato solo dopo l’esperienza atematica, come interpretazione ed espressione “inadeguata” (nel senso che vedremo) di questa esperienza. Il tutto è accompagnato da una spiccata antipatia per l’astrazione intellettuale, di origine occamistica, che rende Schillebeeckx incapace, in nome di un’indiscreta concretezza e storicità, di cogliere e apprezzare il valore oggettivo e realista dell’astrazione dell’essenza universale dal particolare concreto, e quindi l’indipendenza dell’essere sovratemporale ed immutabile dal temporale e mutevole.

Secondo il vecchio pregiudizio occamista, l’astrarre è inevitabile, ma esso toglie qualcosa o impoverisce il contenuto del conoscere, che sarebbe raggiunto solo dall’esperienza atematica, ed aggiunge un elemento soggettivo, che sarebbe la “interpretazione”, se si tratta di cogliere l’oggetto; o l’espressione concettuale nel linguaggio, se si tratta di comunicarlo agli altri.

Per Schillebeeckx, noi, per mezzo del concetto non possiamo conoscere oggettivamente la realtà, ma solo “interpretarla” secondo categorie mutevoli e diversificate, compresi i dogmi. L’esperienza atematica coglierebbe il reale, ma è in se stessa, in quanto atematica, incomunicabile nel concetto e nel linguaggio. È presto detto che tutto ciò ovviamente è deleterio per la comprensione dei dogmi della fede, il cui contenuto è notoriamente immutabile ed eterno, essendo interpretazione infallibile della Parola di Dio. Per questo, meraviglia sommamente, per non dire che scandalizza, che lo Schillebeeckx sia stato proprio docente di teologia dogmatica. Del resto, casi simili nella storia del pensiero non sono nuovi. Basti pensare che Kant era docente di metafisica. Si direbbe che per Schillebeeckx l’enciclica Pascendi Dominici Gregis di San Pio X sia venuta per niente.

Per comprendere la teoria di Schillbeecckx sul concetto, non comprensore ma “indicatore”, possiamo fare un esempio. Se io vedo per la strada il cartello “Bologna”, conosco la direzione che devo mantenere per arrivare a Bologna, ma non posso dire ancora di essere a Bologna. Ma questa separazione dalla realtà si aggrava nella visione Schillbeecckxiana, per la quale il concetto indica la realtà, ma non la fa mai raggiungere.

Così si spiega la dichiarazione di Schillebeeckx citata da Gerardo Cioffari: «L’espressione concettuale non è che l’imperfetta, inadeguata ed astratta esplicitazione dell’atto conoscitivo costituito da una intuizione implicita. Essa dipende sempre da una determinata esperienza terrena, da un dato momento storico e da una particolare cultura».

Questa “intuizione implicita” è un’esperienza originaria pre-concettuale, globale ed ineffabile della realtà, che successivamente viene “interpretata” o espressa in concetti che tendono ad essa, ma non la raggiungono.

La realtà, per Schillebeeckx, è una ed oggettiva; dà la verità, ma gli approcci concettuali sono molti e contingenti, così come sono molti i segnali stradali, che indicano Bologna nelle diverse direzioni. Di una sola realtà, quindi, non si dà un solo concetto, ma molti nel tempo e nello spazio. Da qui la mutabilità e relatività dei concetti dogmatici.

Per esempio, uno è il mistero di Cristo. Ma un conto è la cristologia neotestamentaria, un conto quella calcedonese, un conto quella medioevale, un conto quella moderna. Confrontate tra di loro in assoluto, si contraddicono tra di loro. Esse invece risultano vere, se riferite ciascuna al proprio tempo. Veritas filia temporis. Il concetto ontologico di persona andava bene per i tempi di Calcedonia. Oggi bisogna usare quello esistenzialista. La bandiera si muove a seconda del vento.

Osserviamo altresì che “espressione inadeguata” non è solo sinonimo di “imperfetta” — l’imperfezione è connaturale al concetto umano, soprattutto in teologia, nel senso che il concetto non comprende totalmente la cosa —, ma vuol dire che manca quell’ adaequatio intellectus et rei, che condiziona e costituisce la verità del conoscere. E manca appunto perché il concetto non raggiunge la realtà, non la fa propria, non la assimila, non la interiorizza, ma le resta fuori, impenetrabile, inconoscibile ed estranea, ci gira solo attorno, come nella gnoseologia kantiana.

In tal modo il soggetto — “una determinata esperienza terrena, un dato momento storico, una particolare cultura” — entra, mediante l’ “interpretazione”, a costituire l’oggetto, per cui la verità non è più una semplice adaequatio all’oggetto, ma è relativa al soggetto. È il relativismo gnoseologico. Non posso conoscere la cosa com’è, ma come è per me.  L’oggetto non è in sé, ma è relativo a me. Non c’è più pura oggettività, ma il soggetto concorre a costituire o a formare l’oggetto, come in Kant.

Osserva Gerardo Cioffari: «Non si tratta però di un’affermazione di agnosticismo, in quanto l’inadeguatezza del concetto non significa che non corrisponde ad alcunché di reale, bensì che non coglie adeguatamente il reale, ma lo indica, ne offre la direzione ed il senso. Il che vale specialmente per il discorso su Dio, del quale conosciamo, al dire di S. Tommaso, ciò che non è, e non ciò che è. Di conseguenza la rivelazione resta un mistero insondabile, e le definizioni dogmatiche hanno la funzione di orientarci verso il mistero della salvezza».

Per evitare l’agnosticismo non basta che il concetto corrisponda a “qualcosa di reale”, se poi il concetto non lo raggiunge e non si sa cosa sia questo qualcosa.  Anche per Kant la cosa in sé esiste, ma il  guaio è che è inconoscibile. Occorre invece che la mente sappia qual è l’essenza della cosa. Se manca questo atto della mente, manca la stessa conoscenza, perchè conoscere vuol dire appunto sapere, di una cosa, che cosa è, vuol dire conoscerne l’essenza. La conoscenza è conoscenza di qualcosa.

Riguardo poi alla conoscenza di Dio, bisogna ricordare la distinzione fatta dal Gaetano tra il cognoscere quidditatem, conoscere l’essenza in qualunque modo e il cognoscere quidditative, conoscere per modo di essenza o in forza dell’essenza.

Quando San Tommaso dice che di Dio razionalmente sappiamo solo ciò che non è, piuttosto che ciò che è, si riferisce al conoscere quidditativamente, ossia conoscere Dio per essenza o nella sua essenza propria. E’ impossibile definire l’essenza di Dio o formare un concetto di Dio per genere e differenza, perchè Dio è purissimo Essere, al di sopra di tutti i generi e le specie. Conosciamo Dio quidditativamente solo nella fede e soprattutto nella visione beatifica. Ma ciò non vuol dire che sia del tutto impossibile formare un qualunque concetto di Dio o definirne la essenza — cognoscere quidditatem — in un modo qualunque, per quanto imperfetto ed analogico. Si utilizza, come ci suggerisce la stessa Sacra Scrittura [Es 3,14], la categoria dell’ente, che è al di sopra di tutti i generi,  e quindi meglio di ogni altra si presta per formare un concetto di Dio, come appunto fa San Tommaso con la sua famosa nozione dell’ipsum Esse per Se Subsistens.

Il concetto, come già sapeva Hegel, non è altro che la cosa “nell’elemento del pensiero”; la cosa in quanto pensata, la cosa in anima, come diceva San Tommaso. Questo non vuol dire che non occorra distinguere il pensiero dall’essere, o la cosa dal concetto della cosa. Confondere questi due termini, con la pretesa di conoscere esaustivamente l’oggetto, come fece Hegel, sarebbe idealismo gnostico, più volte condannato da Papa Francesco [3]

Gerardo Cioffari cita poi altre parole di Schillebeeckx: «Teologicamente mi sembra insostenibile e anche impossibile voler fissare una volta per sempre i concetti teologici ricorrendo ad una regolazione ecclesiastica del linguaggio. Perché ogni asserzione, anche dogmatica, significa qualcosa soltanto entro un contesto concreto. Se viene portata dentro un altro contesto, il significato di quanto era stato asserito viene inevitabilmente spostato».

Un altro grave difetto dello Schillebeeckx è che egli confonde concetto e linguaggio. I linguaggi variano, mutano e devono mutare; devono essere aggiornati ed adattati all’ambiente; ma certe realtà di ragione o di fede, che essi esprimono, sono universali e immutabili, sono, per dirla con Benedetto XVI, valori  “non negoziabili”, irrinunciabili.

È vero che una medesima cosa può essere espressa in modi diversi. Ma non bisogna prendere a pretesto il mutamento dell’espressione o del linguaggio, cose che possono essere utili o necessarie, per cambiare la cosa. Se si cambia il significato o il concetto di una cosa, la cosa non può più essere la stessa. E se un valore è immutabile, è sleale e ingannevole presentarlo come mutevole. Deve permanere il concetto di ciò che permane e mutare il concetto di ciò che muta. Il sapere, certo, deve progredire; ma se l’oggetto conosciuto è immutabile, non si tratta di cambiar concetto, ma di migliorarlo.

Il linguaggio certamente non è fatto solo di termini verbali o segni linguistici. È troppo evidente che questi variano e mutano. Ma esistono anche modi espressivi di carattere concettuale, come per esempio i concetti metaforici, le immagini, i simboli, i miti, i paragoni, differenti da cultura a cultura, da tempo a tempo in una medesima cultura. È chiaro che anche questi elementi espressivi variano e devono cambiare, restando lo stesso il significato dell’oggetto.

Stando così le cose, bisogna dire che il Magistero della Chiesa fissa una volta per sempre i concetti teologici, soprattutto dogmatici, non ricorrendo anzitutto “ad una regolazione ecclesiastica del linguaggio”, ma approfondendo il significato della Parola di Dio. Il Magistero non è l’Accademia della Crusca. Esso fissa per sempre tali concetti, soprattutto nelle solenni definizioni dogmatiche, semplicemente perchè le realtà o verità che sono oggetto di queste definizioni sono eterne e divine.

Si tratta dell’interpretazione infallibile, sotto l’assistenza dello Spirito Santo, di quella Parola di Dio, che “non passa” (Mt 24,35) e che è “stabile come il cielo” [Sal 119,89]. Che poi il Magistero tenga anche alla proprietà del linguaggio, questo è vero; ma sempre e solo al fine di far comprendere al fedele il vero significato del dogma e quindi di quella Parola di Dio che il dogma interpreta.

È quindi falso che «ogni asserzione, anche dogmatica, significa qualcosa soltanto entro un contesto concreto». Al contrario, essa significa qualcosa, ossia la verità di fede, entro qualunque contesto, anche se dev’essere mediata da un certo contesto, perché la verità di fede è una verità universale ed immutabile. Il significato delle verità di fede, quale che sia il contesto nel quale esso viene espresso, è sempre lo stesso, perché esso è al di sopra del tempo ed appartiene all’orizzonte dell’eterno e del divino, non è legato a nessun particolare contesto storico e vale per tutti. Verbum Domini manet in aeternum.

Diverso discorso vale per il linguaggio, col quale la Chiesa esprime la verità dogmatica. Il suo linguaggio è e può effettivamente essere legato al variare dei contesti storici e dei sistemi linguistici. La formula dogmatica, però,  può variare nel suo aspetto linguistico e semantico, ma giammai nel concetto di fede che essa esprime.

Altre dichiarazioni di Schillebeeckx riferite da Gerardo Cioffari: «Il Magistero stabilisce ogni volta nelle mutevoli circostanze temporali quale linguaggio è valido nella Chiesa; in altre parole esso regola l’uso del linguaggio ecclesiastico e stabilisce: Chi non parla così e così della fede, espone, almeno in questa situazione culturale con i suoi presupposti specifici, se non se stesso, certamente gli altri fedeli, al pericolo di alterare il senso inteso del messaggio evangelico riguardo alla realtà salvifica».

Compito della Chiesa non è anzitutto stabilire delle parole o delle formule verbali, ma dei concetti, chiarire i concetti, i concetti di fede, sia pure espressi in parole adatte e comprensibili. Certamente la Chiesa ha la preoccupazione di esprimere il messaggio evangelico nella maniera più adatta, così da farsi comprendere dagli uomini del suo tempo. Ma ciò che le sta più a cuore è di farci sapere che cosa Cristo ci ha insegnato per la nostra salvezza. E per capire queste cose, occorre una gnoseologia che ammetta che l’intelletto coglie il reale mediante il concetto, altrimenti la conoscenza svanisce e noi perdiamo l’altissima dignità che Dio ci ha dato di essere stati creati a sua immagine e somiglianza. Quindi andiamo cauti prima di definire Schillebeeckx un “grande teologo”.

Varazze, 3 novembre 2016

NOTE

[1] Cf Il criterio della verità in Schillebeeckx, in Sacra Doctrina, 2, 1984, pp.188-205.

[2] Accenno a Schillebeeckx anche nel mio recente articolo “Decadenza e ripresa dell’Ordine Domenicano” [vedere testo QUI].

[3] Cf il mio saggio “La dipendenza dell’idea dalla realtà nell’ Evangelii Gaudium di Papa Francesco, in PATH, 2, 2014, pp.287-316.





PER DISCUTERE, E' NECESSARIO CONOSCERE

KARL RAHNER, MAESTRO DEL CONCILIO, DI MARTINI E DELLA COSCIENZA RELATIVA

Il nome di Karl Rahner è un passaggio obbligato per chi voglia entrare nel cuore del dibattito intraecclesiale dei nostri giorni. Come perito conciliare del cardinale Franz König il gesuita tedesco svolse, dietro le quinte, un ruolo cruciale nel Vaticano II, fino a essere definito dall’allora decano della Gregoriana, Juan Alfaro, “il massimo ispiratore del Concilio”.

di Roberto de Mattei

Il Foglio, 16 Giugno 2009 alle 21:20

Risultati immagini per karl RahnerIl nome di Karl Rahner è un passaggio obbligato per chi voglia entrare nel cuore del dibattito intraecclesiale dei nostri giorni. Come perito conciliare del cardinale Franz König il gesuita tedesco svolse, dietro le quinte, un ruolo cruciale nel Vaticano II, fino a essere definito dall’allora decano della Gregoriana, Juan Alfaro, “il massimo ispiratore del Concilio”. Di certo ha dominato il postconcilio come conferenziere di grido e scrittore dalla alluvionale produzione, pronto a intervenire disinvoltamente su tutti i problemi del momento: i suoi titoli sono oltre quattromila, le sue opere, tradotte e diffuse in tutto il mondo, continuano a esercitare una larga influenza sul mondo cattolico contemporaneo.

Sembra giunta però l’ora di “uscire da Rahner”, come implicitamente auspicato da Benedetto XVI nell’ormai storico discorso alla Curia Romana del 22 dicembre 2005, sulle “ermeneutiche” del Concilio Vaticano II. Lo “spirito del Concilio” a cui si richiamano gli ermeneuti della “discontinuità” ha infatti la sua fonte nel Geist in Welt di Rahner, quello “Spirito nel mondo” che è il titolo del suo primo importante libro, pubblicato nel 1939. Se in questo volume Rahner delinea la sua concezione filosofica della conoscenza, nel successivo, “Uditori della parola” (Hörer des Wortes), pubblicato nel 1941, espone la sua visione propriamente teologica.

Le tesi di questi due libri e dei successivi, già lucidamente criticate dal padre Cornelio Fabro (“La svolta antropologica di Karl Rahner”, 1974), sono ora oggetto di un importante volume, a cura di padre Serafino M. Lanzetta, che raccoglie gli atti del convegno tenutosi a Firenze nel novembre 2007, con la partecipazione di eccellenti studiosi, provenienti da diverse parti del mondo: Ignacio Andereggen, Alessandro Apollonio, Giovanni Cavalcoli, Peter M. Fehlner, Joaquín Ferrer Arellano, Brunero Gherardini, Manfred Hauke, Antonio Livi, H. Christian Schmidbaur, Paolo M. Siano, (“Karl Rahner. Un’analisi critica. Le figure, le opere e la recensione. Teologia di Karl Rahner, 1904-1984”. Cantagalli).

OGGETTO DELLA SCIENZA TEOLOGICA, PER RAHNER, NON È DIO, di cui NON può essere dimostrata l’esistenza, MA L’UOMO, che costituisce l’unica esperienza di cui abbiamo l’immediata certezza. Non si può dunque parlare di Dio al di fuori del processo conoscitivo dell’uomo. Dio, più precisamente, esiste “autocomunicandosi” all’uomo che lo interpella. Rahner afferma che nessuna risposta va al di là dell’orizzonte che la domanda ha già precedentemente delimitato. L’orizzonte di Dio è misurato dall’uomo che, delimitando nella sua domanda la risposta divina, diviene la misura stessa della Rivelazione di Dio. Rahner non dice che l’uomo è necessario a Dio perché Dio possa esistere, ma poiché senza l’uomo Dio non può essere conosciuto, la conoscenza umana diviene la chiave di quella che egli definisce la “SVOLTA ANTROPOLOGICA” della teologia. Rahner si richiama spesso a san Tommaso d’Aquino, ma di fatto riduce la metafisica ad antropologia e l’antropologia a gnoseologia ed ermeneutica.

La “TEOLOGIA TRASCENDENTALE” di Rahner appare, in questa prospettiva, come uno spregiudicato tentativo di liberarsi della tradizionale metafisica tomista, in nome dello stesso san Tommaso. Ciò naturalmente può avvenire solo a condizione di falsificare il pensiero dell’Aquinate. Fabro non esita a definire Rahner “deformator thomisticus radicalis”, a tutti i livelli: dei testi, dei contesti e dei principi. L’esito è un “trasbordo” dal realismo metafisico di Tommaso all’immanentismo di Kant, di Hegel e soprattutto di Heidegger, acclamato dal gesuita tedesco come il suo “unico maestro”.
Rahner accetta il punto di partenza cartesiano dell’io come auto-coscienza. L’uomo, spogliato della sua corporeità, è innanzitutto coscienza, puro spirito, immerso nel mondo. Come per Cartesio e per Hegel, anche per Rahner è il conoscere che fonda l’essere, ma la conoscenza ha il suo fondamento nella libertà, perché “nella misura in cui un essere diventa libero, nella medesima misura esso è conoscente”. La coscienza coincide con la volontà dell’uomo e la volontà dell’uomo è l’attuarsi dell’Io.

L’IO A SUA VOLTA NON È SOTTOMESSO A NULLA CHE LO POSSA CONDIZIONARE, perché il suo fondamento sta proprio nella sua incondizionatezza e dunque nell’assenza di ogni oggettiva limitazione esterna.

La conseguenza della riduzione dell’uomo ad auto-coscienza è la DISSOLUZIONE DELLA MORALE. La libertà prevale sulla conoscenza perché, come afferma Heidegger, dietro il cogito cartesiano irrompe la libertà. L’uomo è coscienza che si auto-conosce e libertà che si auto-realizza. Per Rahner, come per il suo maestro, l’uomo conosce e vive il vero facendosi libero. IL VALORE MORALE DELL’AZIONE NON HA UNA RADICE OGGETTIVA, ma è fondato sulla libertà del soggetto.

Forzando il n. 16 della “Lumen Gentium”, in cui si parla della possibilità di salvezza di coloro che “non sono giunti a una conoscenza esplicita di Dio”, Rahner afferma che la salvezza non è un problema, perché è assicurata a tutti, senza limiti di spazio, di tempo e di cultura. La chiesa è una comunità vasta come il mondo, che include i “CRISTIANI ANONIMI”, i quali, benché possano dirsi non-cattolici, o addirittura atei, hanno la fede implicita. Chiunque infatti “accetta la propria umanità, costui, pur non sapendolo, dice di sì a Cristo, perché in lui ha accettato l’uomo”. Tutti, dunque, anche gli atei, in quanto atei, si salvano se seguono la propria coscienza.

QUALSIASI UOMO, QUANDO CONOSCE SE STESSO, ANCHE NEL MALE CHE COMPIE, SE SI ACCETTA COME TALE, ALLORA È AUTO-REDENTO ED HA FEDE. E quanto più conosce e accetta la propria “esperienza trascendentale” tanto più ha fede. Questo, osserva giustamente il padre Andereggen, significa che ha più fede un individuo che si sia psicanalizzato freudianamente durante dieci anni, piuttosto che un religioso che preghi (p. 35).

Il cardinale Franz König, uomo di punta del progressismo conciliare, fu il grande “sdoganatore” di Rahner, in odore di eresia fino agli anni Sessanta.

TRA I NUMEROSI E ILLUSTRI DISCEPOLI DEL GESUITA, bisogna ricordare l’ex presidente della Conferenza episcopale tedesca KARL LEHMANN e, in Italia, il cardinale CARLO MARIA MARTINI. Le ultime interviste-confessioni di Martini, con Georg Sporschill (“Conversazioni notturne a Gerusalemme”, Mondadori) e con don Luigi Verzé (“Siamo tutti nella stessa barca”, Edizioni San Raffaele), sono di impronta rahneriana, per l’universalismo salvifico e la “morale debole”. Martini, come Rahner, ritiene che la missione della chiesa sia aprire le porte della salvezza a tutti, compresi coloro che si discostano dalla fede e dalla morale cattolica.
Lo stesso Martini, istituì a Milano una “cattedra dei non credenti”, PER ASCOLTARE IL LORO CONTRIBUTO ALLA SALVEZZA DEL MONDO. Il successore di san Carlo Borromeo, RINUNCIAVA COSÌ AL COMPITO DI PORTARE CRISTO A CHI NON CREDE, PER AFFIDARE AD ATEI DICHIARATI COME UMBERTO ECO LA MISSIONE DI “EVANGELIZZARE” I FEDELI DELLA DIOCESI AMBROSIANA.

Non è eccessivo affermare che Rahner è il padre del relativismo teologico contemporaneo. A confermarlo è la sua più intima confidente, LUISE RINSER, che l’11 maggio 1965 gli scriveva: “SAI QUAL È LA MAGGIOR DIFFICOLTÀ CHE MI VIENE DA PARTE TUA? CHE SEI UN RELATIVISTA. Da quando ho imparato a pensare come te non oso affermare nulla con sicurezza” (“Gratwanderung”, Kösel). Qualche anno dopo la stessa Rinser avrebbe solidarizzato con i terroristi Andreas Baader e Gudrun Ensslin. Rahner, da parte sua, il 16 marzo 1984, poco PRIMA DI MORIRE, SCRISSE UNA LETTERA IN DIFESA DELLA TEOLOGIA DELLA LIBERAZIONE che chiamava i cattolici alle armi in America Latina.

La lettura del libro curato dal padre Lanzetta conferma nell’idea che Karl Rahner, per lo spregiudicato uso delle sue indubbie capacità intellettuali, fu soprattutto un grande avventuriero della teologia. Il giovane Ratzinger subì il fascino della sua personalità, ma intravide presto le conseguenze devastanti del suo pensiero e, sotto un certo aspetto, dedicò tutta la sua successiva opera intellettuale a confutarne le tesi. Oggi il nome di Rahner rappresenta la bandiera teologica di chi si oppone al pensiero antirelativista di Benedetto XVI-Ratzinger. L’analisi critica merita di essere portata fino in fondo.


[Modificato da Caterina63 17/11/2016 14:38]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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  Il lato oscuro di Paulo Coelho, guru della New Age, tra satanismo e massoneria


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Alcune sue opere parlano di temi cristiani, ma in realtà Paolo Coelho è uno dei maggiori diffusori contemporanei della New Age. Anche se lui non ama essere catalogato nella New Age: è lo stesso scrittore brasiliano Coelho, autore de ”L’Alchimista”, a rivelare di essere da molto tempo un ”iniziato” alla libera muratoria con un’intervista a ”Massoneria oggi”, rivista del Grande Oriente d’Italia, diretta dal gran maestro Virgilio Gaito. Di fronte all’osservazione degli intervistatori, Cinzia Lilliu e Roberto Rojas Gomez, che vedono nell”’Alchimista” un romanzo che ”raccoglie lo spirito della massoneria universale”, Coelho precisa: ” Questa simbologia che la Massoneria custodisce e utilizza molto bene tramandandola di generazione in generazione, e’ universale”. Coelho sostiene di essere un mago e afferma che la salvezza è solo nell’individuo, in se stesso: l’uomo, che scopre la sua divinità e non ha bisogno né della Chiesa, né di  alcun Salvatore… Pertanto, il suo messaggio è molto vicino al satanismo, è molto ingannevole e pericoloso. COELHO NON HA MAI RINNEGATO DI APPARTENERE ALLA MASSONERIA e ne difende i contenuti, quindi è nemico del vero Cristianesimo e della Chiesa cattolica:


http://www.grandeoriente.it/resapubblica-paulo-coelho-ho-appartenuto-alla-massoneria-e-i-suoi-simboli-sono-universali/


“La storia di Paulo Coelho è davvero molto forte”, ha detto nell’estate 2013 Daniel Augusto, regista del film Não Pare na Pista: A Melhor História de Paulo Coelho, che in Spagna è uscito nelle sale cinematografiche lo scorso 23 dicembre 2016, proprio in concomitanza con il periodo delle vacanze natalizie. Se la pellicola è stata fallimentare quando è stata proiettata in Brasile, suo paese natale, e altrove, non è andata diversamente in Spagna. Le recensioni sono state molto dure, verso un prodotto considerato di bassa qualità.


Da parte sua Jordi Costa, critico di El Pais, ha detto che “il film lascia aperta la questione su quanto l’autore sia a conoscenza dei forti sospetti circa la sua integrità creativa”.


Lo scrittore brasiliano Paulo Coelho è, senza dubbio, uno degli autori più letti in questo momento, con milioni di copie vendute in 60 lingue.


Ogni volta che lancia un nuovo prodotto nel mercato editoriale rimane nelle prime posizioni delle classifiche internazionali delle vendite per molto tempo. La sua narrativa rende l’autore molto influente, come dimostrano gli oltre 11 milioni di follower su Twitter. Hector Abad, noto scrittore colombiano, ha detto di lui: “Se Coelho da solo vende più libri di tutti gli altri scrittori brasiliani è proprio perché i suoi libri sono stupidi ed elementari. Se i suoi libri fossero profondi, complessi letteralmente, con idee serie e ben sviluppate, il pubblico non li comprerebbe, perché le masse tendono ad essere ignoranti e hanno molto cattivo gusto.”


Uno scrittore famoso come Paulo Coelho non poteva non avere delle sue biografie, già pubblicate durante nel corso della sua vita. Le principali sono, in ordine cronologico, Le confessioni del pellegrino, un libro-intervista del giornalista spagnolo Juan Arias, corrispondente in Brasile per il quotidiano madrileno El Pais, e l’ampio lavoro El Mago, del giornalista brasiliano Fernando Morais, che è ancora più interessante perché si basa sui diari del protagonista.


Tra marxismo e movimento hippy


Partiamo da questi due libri, prima di tutto, per fare una panoramica biografica di Coelho, necessariamente sintetica, e concentrarci maggiormente sui suoi aspetti più oscuri, come lui stesso li ha definiti.


Paulo Coelho è nato nel 1947 a Rio de Janeiro e ha studiato presso il Collegio della Compagnia di Gesù a San Ignacio. La sua adolescenza è stata caratterizzata dalla ribellione, che si è riflessa non solo nel distacco della fede cattolica della sua famiglia, ma anche dalla ricerca di ideologie di sinistra, quindi per un breve periodo di tempo dalla lettura di opere considerate prevalentemente marxiste e atee. Il passo successivo è stato la sua incursione nel movimento hippy, durante la sua frequentazione del mondo del teatro.


Il cammino nell’occultismo 


“Ho cominciato a sperimentare tutte le altre religioni e sette, in particolare quelle di origine orientale”. Ma al di là di questi movimenti, Coelho cercava qualcuno che lo iniziasse, e voleva, oltre ad essere diverso dagli altri, poter sedurre e stupire le donne con la sua conoscenza criptica, e così “è arrivato un momento in cui il mio carattere estremista mi ha portato a guardare fortemente ciò che era a sinistra della sinistra nella ricerca spirituale […], la società segreta considerata la pecora nera, la più difficile”. Nei suoi diari rifletteva sul come avere potere sugli elementi della natura.


Fu allora che si avvicinò alla setta Ordo Templi Orientis(OTO), e in particolare alla figura dell’occultista e satanista britannico Aleister Crowley. Fu attratto soprattutto dalla totale libertà di pensiero e di comportamento sessuale, oltre che dalla potenza che avrebbe potuto esercitare sugli altri. Nonostante la resistenza interna dovuta al suo passato religioso, eseguiva questi rituali.


Coelho sperimenta la reale esistenza del diavolo


Così è finito per vendere la sua anima al diavolo attraverso un patto firmato. Tuttavia, dopo due anni nella setta, nel 1974, pochi giorni dopo il suo ingresso formale con il nome magico di Staars o Eterna Luce, visse un evento che ha cambiato il corso della sua vita.Trovandosi solo nella sua casa, vide una macchia nera intorno a lui, come un fumo scuro e rumoroso, e sentì di andare incontro alla morte.


Aveva capito che in quel momento lì era presente il male che aveva così spesso invocato per ottenere potere, e fu in grado di contrastare questa esperienza attraverso un’altra persona che stava vivendo la stessa esperienza. Quello che fece fu aprire la Bibbia a caso e dal brano evangelico trovato (Mc 9, 24), decise di porre fine alla sua partecipazione a quel gruppo occulto, senza però mai smettere di essere attratto dall’esoterismo.


Si deve sottolineare che dopo una carriera decisamente non positiva come drammaturgo, attore e giornalista, ha ottenuto un notevole successo professionale ed economico grazie alla collaborazione con il musicista e cantautore ribelle Raul Seixas.


Con lui ha cercato di creare una setta occulta di magia nera chiamata Sociedad Alternativa, affermando che “l’individuo non cesserà mai di godere di Satana, che è davvero affascinante“(IN FOTO: Raul Seixas e Paulo Coelho).



Ma in fin dei conti il grande obiettivo di tutta la sua vita è sempre stato quello di diventare uno scrittore di fama mondiale. La biografia di Coelho tratta dai suoi diari ci mostra tutti i tipi di eccessi e stravaganze che l’hanno portato anche a essere ricoverato più volte in un manicomio, su richiesta dei genitori, preoccupati per la deriva che la vita del figlio stava prendendo.


Troviamo successivamente episodi di consumo di droga(che ha deciso di abbandonare progressivamente, dalla cocaina alla marijuana passando per l’LSD), di promiscuità sessuale (compresi rapporti con diverse amiche in una sola volta o “sperimentazioni” omosessuali), di diffusione di pratiche esoteriche nel sistema educativo brasiliano con il pretesto dei laboratori teatrali per le scolaresche, l’iniziazione allo sciamanesimo di Carlos Castaneda, e altro.


Un ritorno al cristianesimo? No, il suo è sempre e solo esoterismo


Dopo la sua esperienza satanica del 1974, il suo percorso biografico prevede una sorta di conversione al cristianesimo, che l’ha portato a introdurre gradualmente nella sua vita i vari elementi cattolici, anche se sempre accompagnati a tendenze esoteriche, come la consultazione dell’I Ching (l’oracolo cinese millennio delle “mutazioni” ) prima di ogni decisione importante, l’approfondimento del mondo del vampirismo e l’interesse per presagi e segni.


Nel 1980 ha sposato la sua attuale moglie, Christina Oiticica, che ha anche influenzato il suo profilo spirituale, visto che prima di conoscerlo lei era una specialista dei tarocchi, aveva consultato l’I Ching e in seguito alle letture spiritiste di Coelho, aveva fatto con lui un paio di pratiche da medium.


Nel dicembre 1981 ha intrapreso un lungo viaggio attraverso l’Europa, in cui una serie di eventi, letti come soprannaturali dal suo protagonista, hanno cambiato il corso della sua vita e determinato quello che è oggi.


Il momento più importante è stato la visita al campo di concentramento nazista di Dachau, nel 1982. Pochi giorni prima a Praga aveva avuto un’esperienza molto spiacevole durante la visita di un sotterraneo medievale, che “aveva suscitato ricordi che minacciavano di spingerlo a una crisi depressiva di proporzioni allarmanti”.


E questo è si è ripetuto con maggiore intensità nell’entrare nella camera a gas di Dachau. Rabbrividì, terrorizzato e costretto a lasciare il forno crematorio nel momento in cui le campane della cappella cattolica segnarono il mezzogiorno. Vi entrò in cerca di pace, ma si rese conto che le barbarie disumane erano continuate nel tempo in altri modi e, secondo il suo diario, “in quel momento ho capito il segnale: ho sentito che il rintocco delle campane della cappella erano per me. Poi ho avuto l’apparizione“.


L’apparizione era costituita da una figura umana, che parlava senza parole, anima ad anima, sotto un fascio di luce, e che gli disse che due mesi dopo sarebbe riapparsa di nuovo.


L’ammissione a un ordine esoterico falsamente “cattolico”Risultati immagini per paulo coelho RAMPassato questo periodo, incontrò un uomo che ha identificato con l’apparizione. Questo gli rivelò che lui era maestro di un ordine segreto chiamato RAM, un acronimo che corrisponde a due significati, come spiega Coelho: da un lato, Regnum, Agnum, Mundi; dall’altro, rigore, amore e misericordia. Più volte Coelho ha sottolineato la natura cattolica di questa società segreta, ma la vera fede cattolica non ha mai legami con l’occultismo, quindi è evidente che si tratta di Massoneria occultista: di questa sètta , al di fuori del lavoro dell’autore, non si sa nulla.


Così Paulo Coelho ha ripreso il suo percorso di vita magico, ammantandolo di una sorta di “cristianesimo ” relativista; Coelho è sempre legato al mondo dell’occultismo, a tutto ciò che in passato aveva abiurato solo a parole.


Al suo ritorno in Brasile, per essere iniziato alla RAM ha dovuto rispondere a diverse sfide, riti e prove implementate dal suo Maestro, che ha sempre chiamato J. o Jean.


Nel 1986, il Maestro della RAM che ha guidato l’itinerario iniziatico di Paulo Coelho lo ha convocato per prendere parte alla cerimonia segreta in cui avrebbe ricevuto la spada, momento ritualistico dopo il quale sarebbe stato considerato Mago o Maestro dell’Ordine, e che avrebbe avuto luogo in una montagna brasiliana.


Il Cammino di Santiago


In presenza di pochissimi testimoni, ha preso la sua vecchia spada, che fino ad allora aveva usato nei suoi esercizi privati esoterici. Così arrivò il momento in cui Jean pronunciò le parole magiche: “Davanti al Santo Volto di RAM possa tu toccare con le mani la Parola di vita, e ricevere così tanta forza da diventare testimone fino agli estremi confini della terra!”


Dopo questo, ha poggiato la sua vecchia spada e quando lui stava per prendere da terra la nuova, quella del suo ordinamento rituale, il suo Maestro gli ha calpestato la mano dicendo che non era degno: “Se tu fossi più umile avresti respinto la spada. Se l’avessi resa, allora il tuo cuore sarebbe stato puro. Ma come temevo, nel momento sublime sei scivolato e caduto. A causa della tua avidità dovrai camminare alla ricerca della tua spada ancora una volta. E a causa del tuo orgoglio e della tua passione per i miracoli, dovrai lottare duramente per ottenere indietro ciò che così generosamente ti era stato donato”.


Per ottenere la sua tanto attesa arma magica, Coelho l’avrebbe dovuta cercare e infine trovare alla fine di un processo di conversione interiore. Il luogo di questo processo non è altro che il Cammino di Santiago, che lo scrittore avrebbe dovuto percorrere. Che, d’altra parte, avrebbe portato al suo primo libro, il suo primo successo, che si sviluppa proprio attorno al percorso di pellegrinaggio di San Giacomo. MA IL TUTTO E’ RIVISITATO SOTTO FORMA DI CAMMINO INIZIATICO OCCULTISTA, NON CRISTIANO. Durante il suo pellegrinaggio, Paolo viene istruito su come contattare il demone personale (che ha chiamato Messenger) e su come combattere la “buona battaglia”, per trovare l’agape. Come si può vedere, Coelho utilizza un linguaggio di tipo cristiano, che viene reinterpretato simbolicamente nel quadro dell’ esoterismo, dal momento che sono costantemente ripetute allusioni alla”Grande Opera” e alla “tradizione” (termini alchemici riferiti alla iniziazione massonica).


Un guru New AgePaolo Coelho non è cristiano, in realtà è  uno dei più grandi divulgatori contemporanei della New Age, grazie alle sue evidenti radici nell’occulto e nel satanismoLa sua vita e le sue opere rivelano (o meglio velano) una strategia di ridefinizione della fede cristiana. E ripeto ciò che è stato detto prima: non siamo solo davanti a un abile scrittore che ha approfittato della sete spirituale di molte persone per commercializzare i suoi libri. Le sue radici occulte e le linee principali delle sue opere sono collocabili direttamente nella scia della New Age, Massoneria e satanismo.


Tratto da articoli di Luis Santamaría del Río, Sacerdote cattolico, membro della Rete Iberoamericana di Studio delle Sette (RIES)


http://www.religionenlibertad.com/paulo-coelho-vender-alma-diablo-ser–54174.htm




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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