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Lettera di Montini alla Chiesa ambrosiana alla vigilia del Concilio Pasqua 1962

Ultimo Aggiornamento: 20/07/2013 19:22
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[SM=g1740758] Lettera pastorale all’arcidiocesi ambrosiana dal Cardinale Giovanni Battista Montini per la Quaresima 1962, sul tema del prossimo concilio.



Venerabili Confratelli e diletti Figli,

1. Cominciamo a scrivere questa Lettera pastorale da Roma, dove ci chiamano le adunanze preparatorie del Concilio ecumenico, che entro quest’anno 1962, come lo ha solennemente annunciato il Santo Padre, il Papa nostro Giovanni XXIII, con la Bolla, che s’intitola Humanae salutis, del 25 dicembre 1961, dovrà essere inaugurato. Anzi, ora sappiamo dall’annuncio fatto dal Papa stesso, che il Concilio Vaticano II si aprirà il giorno 11 Ottobre prossimo.

L’importanza di questo avvenimento è tale, che altro argomento non possiamo scegliere per questa nostra principale istruzione annuale, anche se la singolarità e la grandezza dell’annunciato Concilio ecumenico hanno già suscitato mille voci di spiegazione, di commento e di augurio, ed anche se i suoi preparativi hanno già riempito il mondo di notizie e di presagi: in omnem terram exivit sonus eorum, il loro eco si è diffuso per tutta la terra (Ps. 18, 5).

2. Anche presso di noi s’è già molto parlato del Concilio. Fin dal primo momento in cui il Papa ne dette l’annuncio, noi stessi levammo un grido di gioia e di speranza, esortandovi a «subito comprendere l’ora di Dio» (Rivista Diocesana milanese», p. 73 e 101-102).1 Pubblicazioni, conferenze, convegni, istruzioni, preghiere hanno già divulgato informazioni e suscitato sentimenti, che sembrerebbero bastare per predisporre i nostri animi alla prossima celebrazione del Concilio; ma pensiamo tuttavia che non sia inutile invitarvi, con questo nostro messaggio pasquale, a nuova riflessione su tema di tanta ampiezza e di tanto peso: bisogna, innanzi tutto, riordinare le nostre nozioni sopra il Concilio ecumenico; poi dovremo approfondire il senso non solo storico ed esteriore dell’avvenimento, ma altresì interiore, spirituale, umano e religioso di esso, subito sperimentando la misteriosa e quasi inebriante ricchezza d’un fatto che non ha protagonisti soltanto uomini di questo mondo, ma altresì, ed a maggior titolo, lo Spirito vivificante, che anima la Chiesa di Cristo e che in quel fatto, in quell’ora parlerà. Dovremo perciò riandare ai nostri stessi pensieri circa il Concilio, che tanti, un po’ in tutti, nei più religiosi e fervorosi specialmente, ne ha svegliati, buoni e fantastici, per dar ordine a tali pensieri e provarne, per quanto è possibile, la validità. Il Concilio pone una quantità di temi interessantissimi, che riguardano sia la vita interna della Chiesa, sia il suo influsso su la vita spirituale e morale del mondo; noi dobbiamo alquanto allinearli nel nostro spirito per saperne meglio cogliere il significato e l’importanza. Ora subito vedremo. E dovremo infine meglio persuaderci dell’universalità di questo avvenimento; il Concilio riguarda anche noi non solo perché in qualche modo tocca interessi e destini nostri, ma anche perché noi tutti, se veramente siamo membra fedeli del Corpo mistico di Cristo, dobbiamo in certa forma e misura parteciparvi: è la Chiesa tutta che si esprime nel Concilio, e noi siamo la Chiesa. Bisogna pertanto che noi tutti, come singoli e come comunità, ci prepariamo al Concilio, e vi partecipiamo, come possibile; e poi ci disponiamo a corrispondervi; ché senza questa comunione di animi e di propositi la celebrazione del Concilio non raggiungerebbe interamente i suoi scopi.

3. Questa visione della straordinaria importanza del prossimo Concilio ecumenico si fa più larga e più lucida nel momento presente al nostro spirito in questa Roma, dove noi abbiamo trascorso la maggior parte della nostra vita, sempre sforzandoci di penetrare il mistero della Chiesa, mentre con umile, ma assidua fatica prestavamo l’opera nostra agli uffici della Sede apostolica e cercavamo di scoprire e qualche po’ di svegliare, i segni della perenne vitalità del cristianesimo sotto la guida del Successore di Pietro.

E nuovamente la commozione dei molti pensieri, che sempre Roma risveglia, ci sorprende e non la sappiamo contenere, così dal sentirci obbligati a farvene qualche confidenza quasi prefazione degli insegnamenti che presentiamo alla vostra attenzione alla vigilia del Concilio, sembrandoci che essi abbiano dalla cattedra romana, la loro più autentica e più larga promulgazione.

4. Pare infatti a noi che bisogna associare con intelligenza il concetto di Roma a quello del Concilio.2 Non già che un Concilio ecumenico abbia Roma: per unica sede; la maggior parte anzi dei Concilii non fu celebrata a Roma. Ma è evidente che a Roma un Concilio ecumenico ha la sua sede migliore, e che il luogo dà al fatto il suo migliore risalto; come il fatto fa risplendere il luogo della sua propria luce congeniale. Roma è la città dell’unità, è la città dell’autorità, è la città della cattolicità, è la città dell’universalità, è la città della verità, è la città della carità. E che cosa è un Concilio ecumenico se non la celebrazione di questi ideali umani che solo la religione di Cristo realizza, eternizza, santifica? Roma è la città della Chiesa; un Concilio è un momento di pienezza della Chiesa. Roma è la città di Cristo; un Concilio è un’ora di presenza mistica ed operante di Cristo nella Sua Chiesa e nel mondo.

5. Sembra così a noi che il Concilio darà a Roma un’ora sublime, forse di mai raggiunto eguale splendore, e le infonderà vigore incomparabile a vaticinare parole di Dio agli uomini, parole degli uomini a Dio. Un carisma di profezia animerà l’Urbe. La città umana si tramuterà in città di Dio. Roma diventerà Gerusalemme.

6. Due pensieri sono principalmente affluiti al nostro spirito in questo turbinare di sentimenti e di idee, che Roma cattolica suole agitare in chi la contempla; due pensieri che, come del resto quegli altri, hanno innumerevoli testimoni, tanto è facile in quest’atmosfera benedetta farne l’esperienza. Uno è quello di Roma patria communis; nessuno a Roma è forestiero, se al suo genio aderisce. Tutti quanti confluiranno a Roma per questo solenne raduno vi saranno non stranieri, non ospiti, non viaggiatori, ma cittadini. Chi fa pellegrinaggio a Roma sa e sente questa misteriosa elezione a cittadino della vera umanità. Tanto più chi vi sarà accolto per esercitarvi una funzione – il magistero ecclesiastico – di natura sua universale: sarà a casa sua. Ora che vi sia nel mondo e nella storia un luogo dove tutti possono sentirsi a casa propria, è meraviglioso. Anche i profani, anche i non credenti, provano a Roma questo misterioso sentimento (Si legga, ad esempio: «Meraviglioso m’era una specie di sentimento d’essere a casa; esso mi ha accompagnato fino alla fine della mia permanenza, e non credo che si spieghi completamente col fatto che tanti monumenti ci sono familiari fin dalla gioventù per via delle illustrazioni. Crederei piuttosto che Roma è innata in ogni essere umano, è come un ideale paese di nascita al quale aderiamo con qualcosa ch’è in noi, dal quale tutti abbiamo preso qualcosa. Si può dire che per quanto uno sia grande o meschino, Roma gli dice che cosa veramente è in lui, con una verità inesorabile…». S. Negro, Seconda Roma, IX-X).3 E che il Concilio assuma questo senso di comunità, di fratellanza, di famiglia per il solo fatto che è convocato a Roma ci sembra preludio che meglio ce ne fa comprendere il significato ed apprezzare il valore.




[Modificato da Caterina63 20/07/2013 18:09]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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7. L’altro è quello della speranza, che a Roma anche se ivi non sempre avvertita sembra correre in cerca del suo domicilio. Una speranza, che sa di messianico, di escatologico. Non è esatto definire Roma soltanto una città dell’antichità, sopravvissuta come capitale moderna (Cfr. Gregorovius, Storia della Città di Roma nel Medio Evo, 1, 5-6). Roma contiene un destino che si proietta nel futuro. La sua storia non è finita, e non basta quella presente a realizzare la potenzialità della sua missione nel tempo. Vi è un’attesa, a Roma, vi è una logica che deve svolgersi ed arrivare a qualche nuovo fine. Tali sono le premesse, a Roma, che si devono ritenere promesse.

A Roma niente è finito, tutto è incominciato. A Roma la istanza dei bisogni umani trova la suprema sede di appello. A Roma la fiducia e l’arte della perfettibilità umana sono nel loro castello, nella loro officina.

Il pessimismo non ha stanza sul suo suolo. Qui è la redenzione, sempre possibile; qui è la pace, sempre raggiungibile; qui il progresso umano sempre perseguibile. Qui l’umanesimo vero sembra trovare il suo perenne svolgimento. La parola biblica è di casa: «Facciamo l’uomo» (Gen. 1, 26) a somiglianza di Dio, cioè secondo il prototipo più alto, e nello sforzo non mai soddisfatto dei suoi risultati, è programma.

Perché qui , Cristo è in divenire: «…finché si formi Cristo in voi» (Gal. 4, 19) e la fatica, e la missione di Roma cattolica; predicare e comunicare Cristo, con impassibile incuria delle difficoltà e delle persecuzioni e con inconcussa fiducia nel suo glorioso ritorno finale. E che il Concilio, cioè tutta la Chiesa predicante e evangelizzante, si raccolga a Roma dà l’impressione che la sua speranza spieghi, come una bandiera al vento della storia, e che si diffonda nel mondo inquieto e incerto come un segno orientatore e confortatore.

8. Grande argomento e vario e lungo discorso sarebbe dunque il Concilio ecumenico. Ai fini di questa nostra semplice Lettera pastorale basti ricordare la complessità profonda ed augusta del tema, affinché non sia alcuno di noi troppo facile a darne frettolosa e superficiale sentenza; e basti ancora accennare ad alcuni aspetti di esso, in modo che qualche preciso concetto aiuti la nostra pietà a partecipare spiritualmente al grande avvenimento, a scoprire ed a meditare ciò che del Concilio crediamo importante per la nostra edificazione di fedeli della Chiesa e per la nostra cultura di figli del secolo presente.

9. L’aspetto più evidente che il Concilio offre di sè è la sua stessa convocazione. Essa avviene, per sola e libera volontà del Sommo Pontefice, quando nessuno lo supponeva. E bastò l’annuncio (il 25-I-1959) per dare a tutta la Chiesa e al mondo intero la sensazione che un evento straordinario stava per compiersi, come se fosse precisamente aspettato. E l’evento assumeva subito l’aspetto e la forza d’una chiamata veramente universale. E fu come un suscitare un’onda di risveglio e di vitalità in tutta la Chiesa. Il Papa avrebbe preso contatto con tutto l’Episcopato, al di là del circolo canonico della Curia romana, per arrivare direttamente al grande orizzonte della Gerarchia universale. Si potrebbe dire che se la concatenazione esteriore dei fatti, che chiamiamo storia, non attendeva un simile avvenimento, lo attendeva e quasi lo maturava, senza forse darsene piena coscienza, lo stato d’animo della cattolicità. Essa aveva bisogno di questa vocazione. La cattolicità, soggetta in questa generazione alle esperienze più ricche, più strane, più drammatiche, provata dalle sofferenze e dalle conseguenze delle guerre, tormentata in molti paesi da crude oppressioni e persecuzioni, corrosa dalle crisi di pensiero e di costume dell’evoluzione moderna, aggredita dalle forme più radicali del laicismo e dell’ateismo e ciò non ostante viva, palpitante di nuove energie in ogni settore del suo essere, nel pensiero, nella fede, nella santità, nella celebrazione del mistero liturgico, nella cura pastorale, nelle missioni, nello sviluppo organizzativo,. nelle opere di carità, nella promozione del laicato per l’incremento della comunità ecclesiastica, nell’irradiazione dei principi cristiani su i vari campi della società temporale., la cattolicità, dicevamo, piena di sofferenze e di energie, ascoltava Roma parlare con gaudio e venerazione, riceveva norme e istruzioni e obbediva volentieri, ma aveva spesso l’impressione che le mancasse la facilità d’un dialogo e l’invito a collaborare, e che l’unità della Chiesa dovesse essere vissuta piuttosto in passiva accettazione, che in celebrata fraternità, promossa dal cardine della stessa unità. Sentiva in tanti settori del suo essere mondiale un’esperienza esuberante un desiderio di aprirsi, di chiedere e di riferire con più vivo linguaggio; e non solo con Roma, ma anche con se stessa.

Quando perciò il Papa annunciò il Concilio ecumenico parve ch’Egli avesse indovinato una segreta attesa non solo del Collegio episcopale, ma della intera cattolicità. Una fiamma d’entusiasmo percorse tutta la Chiesa. Egli ebbe l’intuizione, l’ispirazione forse, che convocando il Concilio suscitava in essa una vitalità senza pari. Non mai la Chiesa cattolica fu sorpresa. da una tale chiamata, in eguale stato di buona volontà, in simile bisogno di comunicare col Vicario di Cristo e con i fratelli tutti sparsi per il mondo. Questo primo aspetto del Concilio costituisce da sè un fatto storico di prima importanza storica e di sommo valore spirituale per tutta la cattolicità. È la chiamata al grande dialogo dell’unità interiore della Chiesa.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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10. Come avviene questo dialogo? Un fatto di tanta misura e tanta complessità non può mancare di una rigorosa procedura. È il secondo aspetto del Concilio, che parimenti si offre allo sguardo di tutti, quello cioè giuridico e canonico. Non ci soffermeremo gran che su questo lato esteriore e, per così dire, concreto e materiale del Concilio. Ma desumeremo qualche nozione dalla legge vigente della Chiesa.. Nel linguaggio ora consueto Concilio è, per sè, un’assemblea di Vescovi. Quando, i Vescovi di tutto il mondo sono convocati dal Papa, il Concilio si dice ecumenico, cioè universale. Si potrebbe dire anche propriamente cattolico. Non è un’assemblea qualsiasi, come fosse un convegno di amicizia, o di studio, o di preghiera; è un’assemblea di governo ecclesiastico, cioè deliberante in materia di dottrina o di disciplina; il magistero e la giurisdizione della Chiesa hanno nel Concilio la loro espressione più evidente e più solenne nella loro pienezza. Le questioni religiose sono perciò l’argomento proprio d’un Concilio, cioè quelle che riguardano la fede, i costumi, la disciplina della Chiesa; il suo scopo è il bene spirituale e morale del popolo cristiano, e indirettamente anche del mondo.

11. Potremmo enunciare una. definizione descrittiva e puramente giuridica del Concilio ecumenico in questi termini: è una riunione solenne di Vescovi di tutto il mondo, convocati dal Romano Pontefice, per deliberare in comune, sotto l’autorità e la presidenza di lui, su questioni religiose che interessano l’intera cristianità (Dict. Th. Cath., Conciles, col. 641).

Il Concilio è dunque la forma suprema del magistero e del governo nella Chiesa.

12. Importantissimo è capire la posizione del Papa rispetto al Concilio ecumenico. Bisogna ricordare che il Papa possiede da solo la suprema e piena potestà di giurisdizione su tutta la Chiesa; una potestà «episcopale», cioè pastorale, immediatamente da Cristo e non dalla Chiesa, ordinaria e propria; e quando parla solennemente (ex cathedra) gode d’una speciale assistenza divina, la quale gli è stata promessa nella persona dell’apostolo Pietro (cfr Mt. 16, 18-19), e rende infallibili, e perciò irriformabili, per virtù propria e non per consenso d’altri Vescovi o della Chiesa, le sue defInizioni (Cfr. Denz. 1839. – cfr. S. Gregorio M. che scrivendo ai Vescovi che si erano riuniti in Concilio a Costantinopoli nel 599 afferma: Sine qpostolicae sedis auctoritate atque consensu, nullas quaeque acta fuerint vires habeant. P.L. 77, col. 1005). Così ha definito il Concilio Vaticano primo, interpretando il pensiero di Cristo e la fede secolare della Chiesa («Il Papato non deriva dalla Chiesa la sua origine ed il suo potere. Quando Gesù Cristo Dio vero, volle creare il papato ed il papa, non fece ricorso al ministero della Chiesa, né degli apostoli ma lo fece direttamente dicendo a Pietro: pasci il mio gregge» S. Th. II-II, 1, 10,3. – cfr. Journet, L’Eglise du Verbe Incarné, I, pag. 516 ; «Concludiamo: 1° – che il Papa è il Vicario di Cristo, non della Chiesa; 2° – ch’egli deriva la sua autorità direttamente da Dio, non avendo altra competenza l’elezione della Chiesa che quella di designare la persona; 3° – che di tutti i regimi esistenti, il papato è il solo che sia di diritto divino»). La potestà del Papa è «vicaria» rispetto a Cristo, ma è a lui propria e somma e universale rispetto alla Chiesa.

13. Perciò il Papa può agire, con pienezza d’autorità e con efficacia, senza il Concilio. Egli non agisce mai, anche nell’esercizio di tale autorità, senza sapersi in comunione con l’Episcopato e con la Chiesa. Ma a Lui è dato di confermare, da solo, la fede di tutti. Il Concilio invece non può essere valido, senza il Papa. Bisogna che sia il Papa a convocare e a presiedere il Concilio, o almeno a ratificare le sue deliberazioni. Il Concilio non aggiunge sostanziale validità all’autorità del Papa, mentre l’unità col Papa è indispensabile perché il Concilio abbia la sua specifica efficacia. Il Concilio non distingue la sua giurisdizione da quella del Papa, ma si identifica con quella del Papa,. costituendo con Lui la suprema potestà in tutta la Chiesa (Can. 228, § 1 – Cfr. Veillet, Les États généraux de l’Église, Fleurus, Paris, 1961). Il Concilio non è perciò indispensabile al governo della Chiesa; ma quando il Concilio si riunisce intorno al Papa il governo della Chiesa assume la sua forma più solenne, più manifesta nella sua pienezza, e quindi la più efficace. Cristo ha preposto alla sua Chiesa il primato di Pietro, necessario e sufficiente a governarla; ma ha istituito altresì il collegio apostolico con potestà e con mandato di magistero e di cura pastorale, in comunione con Pietro. Quando questa comunione di governo si manifesta nella sua pienezza abbiamo il Concilio. La potestà primaziale di Pietro, trasmessa al Vescovo di Roma, si fonde con la potestà collegiale degli Apostoli(di cui Pietro stesso era il primo, non il solo) trasmessa all’Episcopato. Il Concilio non è quindi soltanto una solennità particolare nel governo ecclesiastico; è il momento che mostra a pieno il mistero della Chiesa docente, il mistero delle sue note distintive: l’apostolicità, l’unità, la cattolicità e la santità.

14. Perciò è totalmente infondata l’ipotesi circa l’inutilità dei Concilii dopo la definizione della pienezza della potestà pontificia, pronunciata dal Concilio Vaticano primo. A noi sembra il contrario, e la convocazione del prossimo Concilio già lo dimostra. Se vi poteva essere esitazione alla convocazione conciliare, ciò era supponibile quando vi era qualche dubbio sull’autorità del Concilio di fronte al Papa (come avvenne nei Concilii di Costanza e di Basilea), ma definita ormai questa verità costituzionale nella Chiesa, circa la supremazia pontificia rispetto al Concilio, è caduta la principale difficoltà alla celebrazione dei Concilii ecumenici, che, non più sospettabili di eventuali contrasti interiori, possono diventare sorgenti magnifiche di energie spirituali per tutta la Chiesa.


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15. Il mistero della Chiesa, dicevamo, risplende nel Concilio come non mai. Lo aveva già insegnato Papa Pio IX: «È nel Concilio Ecumenico che i santi dogmi della religione sono definiti con maggiore profondità, espressi con maggiore ampiezza, che la disciplina ecclesiastica è restaurata e più solidamente stabilita,… che si stringe il vincolo dei membri della Chiesa col capo, che si accresce il vigore di tutto il corpo mistico di Cristo…» (Const. Dei Filius, coll.. lac. VII, 248).

16. L’autorità somma del Papa non annulla perciò, come alcuni cattolici hanno sospettato (Dejaifve S.J., Pape et Evéques au premier Concile du Vatican, Desclée de B., 1961), e molti fratelli separati tuttora asseriscono. (Circa le questioni relative ai rapporti fra Episcopato e Papato si veda l’articolo di Mons. Carlo Colombo: Episcopato e Primato Pontificio nella vita della Chiesa,in «Scuola Cattolica» nov-dic. 1960, p. 401-434. La dottrina circa la derivazione della giurisdizione episcopale dal potere pontificio è stata chiarita dall’Enciclica Mystici Corporis AAS, 1942, 212. – Scrive il Colombo, ib. p. 421: «i Vescovi partecipano ai poteri apostolici nella Chiesa in quanto entrano legittimamente a far parte del Collegio episcopale e si mantengono in comunione con esso; ricevono i loro “poteri” da Gesù Cristo tramite il Collegio episcopale. E poiché il Collegio episcopale non è acefalo, ma ha un Capo, che anche da solo possiede la pienezza dei “poteri apostolici” necessari per la vita di tutta la Chiesa, per questo ogni potere dei singoli Vescovi è già contenuto in questo potere come nella sua fonte o nella sua radice. In questo. modo mi sembra si possa e si deva spiegare l’origine del potere di giurisdizione dei Vescovi dal Romano Pontefice, insegnata dall’Enciclica Mystici corporis: non come una trasmissione sempre attuale di giurisdizione, che storicamente non è esistita per lunghi secoli; ma come una derivazione radicale del potere particolare dal potere pieno, che secondo la dottrina cattolica esiste tutto già nel solo Romano Pontefice anche senza collaborazione del Concilio. La trasmissione attuale della giurisdizione è un fatto storico ora comune…»), l’autorità dei Vescovi. Dal sacramento dell’ordine i Vescovi ricevono la pienezza del sacerdozio, ma dal Sommo Pontefice è loro conferita la giurisdizione sulle loro rispettive diocesi. L’autorità pontificia non diminuisce, sostiene invece quella episcopale, e trova nella sua. dignità e nella sua stabilità il proprio onore. Lo affermava Papa Gregorio Magno, quando. scriveva al Vescovo di Alessandria: «Il mio onore è l’onore della Chiesa universale. Il mio onore è la forza e la prosperità dei miei fratelli. Allora io sono veramente onorato, quando l’onore che tocca a ciascuno di essi non gli è rifiutato!».4

17. Altre questioni vorrebbero qui risposta, alle quali l’avvenimento stesso con la sua risonanza risponderà; come, ad esempio, su la frequenza dei Concilii se sia fissa o da fissarsi, o arbitraria, o da chi e da che cosa dipenda, su l’esistenza di altri Concilii meno solenni e particolari, (su l’appello, ormai illegittimo senza dubbio, dal Papa al Concilio), su le votazioni nei Concilii, eccetera.

18. Una è da ricordare, quella cioè dei membri che oggi, secondo il Diritto canonico vigente, sono da convocare. Sappiamo a questo proposito, dalla Bolla citata, che saranno chiamati al prossimo Concilio: i Cardinali, i Patriarchi, i Primati, gli Arcivescovi ed i Vescovi sia residenziali, che titolari, gli Abati ed i Prelati aventi giurisdizione, l’Abate Primate e gli Abati delle Congregazioni monastiche, e i Superiori Generali degli Ordini religiosi clericali.

19. Il Concilio perciò non è come un parlamento di eletti dal popolo, ma un organo composto di ecclesiastici investiti di autorità propria; non è un’assemblea di esperti, di professori, di teologi e di canonisti, ma di pastori e di dottori della Chiesa di Cristo; a tale ufficio assunti non per qualche titolo personale, per successione nobiliare o dinastica, o per privilegio storico o locale, ma perché legittimamente chiamati a succedere, se Vescovi, agli Apostoli, e investiti di potestà e di dignità, che suppongono una chiamata dall’alto, e che possono cadere sulle spalle di qualsiasi individuo, senza distinzione di classe, di nazione, di razza, ritenuto idoneo all’altissima e grave funzione. L’autorità nella Chiesa viene dall’alto, cioè deriva soltanto da Cristo, non dalla comunità, ma non teme scendere al basso con liberissima scelta dei suoi eletti. Così è la Chiesa.

Anche questo aspetto della composizione del Concilio meriterà la nostra riflessione, per ammirare l’opera di Dio in uno spettacolare fenomeno umano.


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20. Se pertanto nelle assise del Concilio siedono soltanto coloro che sono incaricati nella Chiesa di Dio di compiere «il servizio dell’autorità», si comprende come non vi figurino gli altri componenti della comunità dei credenti: sacerdoti, religiosi e laici. Ma tutta la comunità è tuttavia presente nel Concilio, perché ivi è espressa la sua fede, ivi sono trattati i suoi interessi, ivi sono riuniti i Pastori che la guidano, la interpretano, e la rappresentano. Se il Concilio fosse concepito come una riunione di ecclesiastici separati dal resto della Chiesa, non sarebbe compresa la sua natura di sintesi della Chiesa: il sacerdozio è per i fedeli; dove più è marcata la composizione sacerdotale d’un’assemblea, lì è più accentuata la presenza morale del popolo cristiano; così nel Concilio tutta la Chiesa sarà presente, perché non si concepisce né il Papa, né l’Episcopato senza di essa.

21. Nelle riunioni del Concilio oggi non figureranno le Autorità civili. Vi figuravano un tempo, con varie funzioni, non però intrinseche all’esercizio del magistero ecclesiastico. Ma la distinzione sempre più netta fra società civile e società ecclesiastica, propria del diritto pubblico dei nostri tempi, rende né possibile, né augurabile l’intervento di Autorità civili al Concilio. La Chiesa vi appare sola, inerme, ma libera nella sua più completa e originale espressione (Cfr. Hefele, I, 41, n. 3, 47-48; 52; 57, etc.).

22. Questi accenni ci porterebbero a dare uno sguardo su la storia dei Concilii. Ma questo ci distrarrebbe ora dal nostro scopo, che non vuol essere tanto informativo, quanto indicativo dell’importanza religiosa del Concilio al quale ci prepariamo. Dalla linea storica dei Concilii ecumenici non deriviamo perciò che un’osservazione; quella sul carattere collegiale dell’Episcopato, in quanto successore del collegio apostolico. E come il collegio apostolico ebbe Pietro per capo, così il collegio dei Vescovi ha il Papa per capo. Siamo alla radice del diritto costituzionale della Chiesa. La riunione pertanto del Collegio dei Vescovi mediante il Papa, la quale costituisce il Concilio ecumenico, è di diritto divino (Wernz-Vidal – Jus canonicum, II, p. 444, n. 457. – Cristo non determinò né l’obbligo, né il tempo, né il modo dell’esercizio dell’istituto conciliare, ch’Egli subordinò alla potestà delle chiavi, cioè alla pienezza di giurisdizione data a Pietro su tutta la Chiesa).

Cristo è all’origine dei Concilii ecumenici.

23. Poi la lunga serie di queste grandi assemblee (Si conviene di contare fino a ventidue Concilii ecumenici, computando fra essi il Concilio di Gerusalemme, narrato negli Atti degli Apostoli – capo 15, 6-29 – ed il prossimo Vaticano secondo. La Chiesa orientale dissidente non riconosce che gli otto primi Concilii ecumenici, – sette per alcuni – tutti celebrati in Oriente e convocati dagli Imperatori, con l’approvazione dei Papi. Dopo il IV Concilio di Costantinopoli – 869-870 – si ha una pausa, fino al I Concilio Lateranense, convocato da Papa Callisto II nel 1123; e da allora i Concilii ecumenici furono tutti celebrati in Occidente. Vi è discussione sul carattere ecumenico del Concilio di Basilea – 1431 -, continuato poi in quello di Ferrara-Firenze – 1438-1442 -; ecco perché non tutti concordano sul numero totale dei Concilii ecumenici – cfr. Refete, Histoire des Conciles., I, 79 ss. -. «Il riconoscimento proprio di questi…Concilii come ecumenici non risale ad un atto legislativo dei Papi, che li abbracci tutti complessivamente, ma si è fatto strada nella scienza e nella prassi ecclesiastica» Jedin, Breve storia dei Concilii, p. 9, Roma, Herder, 1961 -. Innumerevoli poi, come si sa, sono i Concilii non ecumenici celebrati nella storia della Chiesa: generali, nazionali, provinciali, diocesani) ci offrirà l’itinerario secolare della storia ecclesiastica, mostrandoci i momenti più drammatici e decisivi del cristianesimo nel mondo: per definire il senso della parola rivelata di Dio, per rivendicare alla Chiesa la sua libertà, per ricomporre la sua unità, per far scaturire dal suo seno stesso la sua interiore e genuina vitalità (cfr. N. Mosconi, Vigilia Conciliare, Rovigo 1961; Autori diversi: Le Concile et les Conciles, Ed. du Cerf, 1960; tradotto in it.: Il Concilio e i Concilii, Ed. Paoline, 1961).

24. Ed eccoci pertanto obbligati a fissare più addentro lo sguardo in questo ricorrente fenomeno storico, che tanta parte ha nella vita della Chiesa, nella determinazione del suo pensiero e della sua spiritualità, nella robustezza della sua compagine, nella sopravvivenza della sua longevità. La Chiesa non è soltanto un’istituzione visibile e composta di uomini. La Chiesa non è soltanto un fenomeno storico singolare. La Chiesa non è soltanto un complesso di dottrine, di precetti e di riti. La Chiesa è un mistero (cfr. De Lubac, Méditation sur l’Eglise, Aubiet, Paris,1953. – Congar, Esquisses du Mystère de l’Eglise, Ed. du Cerf, Paris 1953; Clérissac, Le Mystère de l’Eglise, – Hasserveldt, Il mistero della Chiesa, Ed. Paoline, 1956. Guardini, Il senso della Chiesa, Morcelliana, Brescia, 1960). Cioè un disegno divino, una presenza divina, un’azione divina. Disegno, presenza, azione misteriosamente visibile e misteriosamente nascosta: vedrà, capirà, esulterà chi avrà la grazia della fede, e la lucidità di mente con la volontà amorosa di accettare la fede e di viverla. Ma ad entrare in questa visione interiore e misteriosa della Chiesa aiuterà la visione esteriore e storica della Chiesa medesima, ch’è segno a se stessa, con le sue inconfondibili note, della sua verità (20. Joumet,…p. 647 ss. – cfr. Newman, Apologia pro vita sua, passim.).

25. La Chiesa è un mistero che bisogna cercare nella mente di Dio. Bisognerà che ci abituiamo a fare questo sforzo, umile, attento, amoroso, di cercare l’origine della Chiesa nel pensiero divino, facendo tesoro delle parole della Sacra Scrittura. Muovendoci a questa ricerca c’incontreremo subito in questa sublime scoperta: ancor prima che noi cercassimo Dio, Dio cercava noi!5 Egli «per primo ci amò» (1 Jo. 4, lo e 19). E la Chiesa, cioè l’umanità riunita in Cristo, altro non è che il compimento del disegno d’amore di Dio verso di noi. È Dio che cerca il suo popolo e costruisce la sua Gerusalemme, nell’Antico Testamento (Cfr. Eccli. 24, 11 ss.); è Dio che forma il suo popolo secondo l’immagine del Figlio suo, mandato per amore a redimere il mondo, nel Nuovo Testamento (Cfr. Rom. 8, 29; Jo. 3, 16).

26. Anzi, la Chiesa è la continuazione di Cristo nel tempo e la dilatazione di Cristo sulla terra. È una sua viva presenza. Nell’autorità e nell’insegnamento della Chiesa: «chi ascolta voi, ascolta me» (Lc. l0, 16). Nella comunità legittimamente costituita della Chiesa: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, ivi Io sono in mezzo a loro» (Mt. 18, 20). Nella attività e nella successione apostolica, presente per sempre: «Ecco Io sono con voi – sempre Cristo che parla – ogni giorno fino alla consumazione del tempo» (Mt. 28, 20). E il mistero del sacrificio eucaristico perpetuerà questa ineffabile presenza di Gesù fra noi: «Tutte le volte che mangerete di questo pane e berrete di questo calice, voi celebrerete la morte del Signore, finché Egli venga» (1 Cor. 11, 26).

27. È la sua azione salvatrice. Cioè il tramite della sua azione salvatrice, il veicolo; strumento nell’esercizio della potestà di ordine, cioè nell’amministrare i Sacramenti, e collaboratrice subordinata nell’esercizio della potestà di giurisdizione, libera ed umana causa seconda (Journet, ib., I, 132). Lo Spirito Santo, è mandato da Gesù, come l’animatore della Chiesa, e crea in essa la grazia, con i suoi carismi ed i suoi doni (Cfr. Jo.: discorsi dell’ultima Cena; ad es. 14-16).


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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20/07/2013 18:22
 
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28. Tutto questo ci è ricordato e reso quasi evidente nella celebrazione del Concilio Ecumenico. L’assistenza di Cristo alla sua Chiesa si fa palese nel fatto stesso che un tale avvenimento si realizza, in piena coerenza con la parola originaria di Cristo. È il pensiero intorno al quale è tessuta la Bolla con cui Papa Giovanni XXIII indìce il Concilio: «Il restauratore dell’umana salvezza Cristo Gesù, il Quale, prima di salire al cielo, diede ordine agli Apostoli da Lui scelti di portare a tutte le genti la luce del Vangelo, promise loro parimente e ampiamente, per dare autorità e salvezza all’ufficio loro affidato, così: “Ecco ch’Io sono con voi ogni giorno fino alla fine del tempo”. E se questa confortante assistenza di Cristo non cessò mai nella Chiesa d’essere viva ed operante, allora però certo maggiormente si manifestò quando la società e la convivenza umana erano scosse da più fiere tempeste» (Bolla Humanae salutis, del 25 Dicembre 1961, in principio).

Come dicevamo, (n. 13) le note della Chiesa ecco rifulgono: essa qui, nel Concilio, come non mai, si mostra una, santa, cattolica ed apostolica. Come non mai la coscienza divino-umana della Chiesa si pronuncia: «Così è sembrato dover decretare allo Spirito Santo e a noi» (Act. 15, 28), sentenziarono gli Apostoli nel primo Concilio di Gerusalemme; così diranno i Padri del secondo Concilio Vaticano.

29. Forti pertanto di questa certezza che Dio ama la Chiesa, che Cristo assiste la Chiesa, che lo Spirito Santo guida la Chiesa, e prossimi a farne una certa esperienza, dobbiamo guardare al Concilio con grande riverenza e con grande speranza; e dobbiamo farci solleciti a ravvisare nelle intenzioni, che muovono il Papa a convocare il Concilio ecumenico, quasi dei segni del divino volere. Che cosa vuole il Signore da questo Concilio? Capire questo divino volere sarebbe grande cosa: il gioco misterioso e amoroso della Provvidenza, a dialogo con la storia, con la somma cioè delle libere volontà umane, per preparare alle anime ed al mondo nuovi destini, ci sarebbe in qualche misura svelato, e panorami immensi ci sarebbero aperti: di grazie pioventi dal cielo, di responsabilità chiamate a scelte supreme, di nuove energie sorgenti dal fondo dei cuori umani, di combinazioni meravigliose di tempi e di fatti, di fili correnti dalla trama serrata delle cose di ieri e di oggi verso il domani, verso l’avvenire ed oltre il tempo, all’avvento finale di Cristo… Stupenda, se pur sempre crepuscolare, visione, che l’occhio del cristiano non è del tutto miope a contemplare. Ma perché l’occhio si apra su tale luminosa penombra è necessario, dicevamo, fermare l’attenzione su le intenzioni del Papa, anche in questo caso mediatore riflesso e da noi visibile dell’unico mediatore invisibile Cristo Signore, tra le cose;: celesti e le terrestri.

Quali sono le intenzioni del Papa sul prossimo Concilio Ecumenico?

30. Prima di ripetere qui la risposta ben nota a tale domanda ci sembra opportuno osservare come l’annuncio del Concilio ecumenico abbia sollevato negli animi di tutti gli uomini aspettative, sogni, curiosità, utopie e velleità d’ogni genere, fantasie moltissime. Anche nei fedeli l’attesa del Concilio ha svegliato desideri e speranze in grande numero (Cfr. Ils attendent le Concile, Témoignage chrétien, Paris, 1961. – Qu’attendons – nous du Concile? Pensée catholique, Bruxelles, 1960. – Un concile pour notre temps, art. di R. Voillaume. Ce que le monde attend de l’Eglise et du Concile, pp. 29-57, Ed. du Cerf, Paris, 1961. P. Lombardi S.J., Il Concilio, per una riforma nella carità, Apes, Roma, 1961. Hans Küng, Concile et retour à l’unité, Unam Sanctam, Ed, du Cerf, Paris, 1961),

Questo stato di attesa è giustificato, e fa onore a coloro che lo alimentano. possiamo aspettare dal Concilio grandi cose: grazie, lumi, energie spirituali; ed anche rinnovamenti nella disciplina, nel culto, nell’amministrazione della Chiesa, nei suoi contatti col mondo moderno e nell’avvicinamento dei cristiani separati.

31. Ma bisogna evitare di nutrire desideri capricciosi, strettamente personali, arbitrari. Non bisogna pensare che il Concilio corrisponderà alle nostre vedute particolari; dobbiamo noi piuttosto entrare nelle vedute generali del Concilio. Credere che il Concilio metterà riparo alla fragilità umana e porterà subito la perfezione nella Chiesa e nel mondo è sogno ingenuo.

Credere che esso rimedierà a tanti inconvenienti pratici ed anche a molte imperfezioni teoriche della vita cattolica, quali ciascuno può incontrare nella sua esperienza di membro o di osservatore della società ecclesiastica è pretendere troppo. Così credere che il Concilio realizzerà tali belle idee, che possono venir in mente ai singoli cristiani, o a gruppi religiosi particolari è anche eccessiva pretesa.

32. Il Concilio – giova ricordare – è stato magnificamente preparato, anche nell’intento di raccogliere i suggerimenti di tutta quanta la Chiesa: tutti Vescovi, tutte le Congregazioni romane, tutti gli Ordini Religiosi, tutte le Università cattoliche e moltissimi esperti, uomini e donne, persone di studio e di pratica vissuta, ecclesiastici e laici, sono stati interrogati, con libera facoltà d’esprimere quanto pensavano e desideravano in bene della religione e della Chiesa; e molti grossi volumi6 sono stati stampati per ordinare e riunire questo immenso materiale ad uso ora dei Padri del Concilio ed in seguito poi per il progressivo perfezionamento e ammodernamento della vita ecclesiastica. Non mai un Concilio ebbe così larga ed accurata preparazione. Non è da dubitare che manchi al Concilio abbondanza di consigli, di esperienze e di aspirazioni. Tutta la Chiesa, si può dire, ha contribuito a fornire gli argomenti della sua fede, della sua pietà, del suo amore a Cristo per gli esami e per le deliberazioni della grande assemblea conciliare. Questo ci deve assai edificare e confortare: ecco com’è la nostra Chiesa! ecco come l’intera cattolicità, nelle sue voci qualificate, in date ore della sua storia ha libertà, invito anzi di esprimersi e di presentare in sede competente e responsabile desideri e giudizi di ogni genere. Una letteratura intera s’è venuta spontaneamente formando sul prossimo Concilio; un’altra se ne formerà certamente dopo la sua celebrazione. Donde si vede che il così detto dogmatismo della Chiesa cattolica non soffoca, sì bene suscita il pensiero di quanti nel suo seno sono maestri e discepoli. È il culto della verità proprio della Santa Chiesa di Dio che rende possibile un tale fenomeno e che si pronuncia come grande coro vivente, senza che la innumerevole pluralità delle voci degeneri in babelica confusione.

33. Maestro del grande coro vivente è fin d’ora il Papa, il Quale ha dato al Concilio ecumenico due temi fondamentali: la riforma interiore della Vita ecclesiastica e la ricerca di riconciliare i Cristiani separati nell’unità cattolica della Chiesa. Ecco come Egli ci parla: «Lo scopo principale del Concilio consisterà nel promuovere l’incremento della Fede cattolica, il rinnovamento morale del popolo cristiano, non che l’adattamento della disciplina ecclesiastica alle necessità ed ai metodi dei nostri tempi. Sarà questo uno spettacolo di verità, di unità e di carità meraviglioso; uno spettacolo, diciamo, alla cui visione coloro che sono separati dalla Sede Apostolica sentiranno, noi speriamo, un soave invito a ricercare e a raggiungere quella unità, che Gesù Cristo con ardenti invocazioni domandò al Padre celeste» (Enciclica ad Petri Cathedram AAS – 1959, p. 511).

34. Sorge pertanto nei nostri spiriti, il concetto, tanto facile e tanto difficile, della riforma della vita ecclesiastica. E il Papa, questa volta, che lo solleva davanti a tutta la Chiesa. Programma di santi e tromba di ribelli, ingenuità di utopisti e velleità di politici, esigenza profonda di contemplativi e di pastori, capriccio indocile di spiriti inquieti e caparbi, la riforma è stata nei secoli, a volta a volta, il fermento rinnovatore della tradizione cattolica, come è stata il fermento disgregatore della compagine ecclesiastica.

Chi conosce la storia della Chiesa sa infatti quale importanza e quale dinamismo un tale concetto abbia avuto attraverso i secoli nella vita del cristianesimo. Basti ricordare che la grande crisi religiosa e politica, che staccò i Protestanti dalla Chiesa cattolica, si chiamò Riforma, e che il grande sforzo per definire le questioni dottrinali e per riparare i mali morali, a cui quella crisi si riferiva, compiuto dal Concilio di Trento e dal movimento di restaurazione cattolica che lo seguì, fu chiamato impropriamente Controriforma, mentre si deve in esso vedere non soltanto una reazione difensiva e conservatrice, ma una vera e positiva; riforma cattolica, che dal secolo decimo sesto manda ancora fino noi copiosi benefici (Sulle manifestazioni storiche del concetto di riforma nella Chiesa il discorso sarebbe lungo quanto la sua storia; la riforma infatti è immanente alla sua vita. Per quanto riguarda la incubazione del concetto prima del Concilio di Trento cfr. H. Jedin, Storia del Concilio di Trento, Morcelliana, Brescia, 1949, p. 14 ss.).


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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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20/07/2013 18:38
 
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35. Dobbiamo precisare a noi stessi questo concetto di riforma, perché è molto importante per comprendere le finalità del Concilio ecumenico e per penetrarne lo spirito, ed anche perché tale concetto opera fortemente e variamente nella mentalità moderna.

Donde nasce, il concetto di riforma? nasce da due radici: l’osservazione d’un male, e una reazione variamente concepita.

Qui sorge una speciosa obbiezione: vi può essere male nella Chiesa? non è essa la Chiesa santa? non è essa la Chiesa infallibile? La risposta è facile per chi sa ravvisare nella Chiesa l’opera di Dio, il suo disegno, i suoi doni divini di grazia e di verità, i suoi scopi finali miranti a Dio e alla vita eterna: quest’opera è santa e santificante, è nel suo principio divino, lo Spirito Santo e in certi suoi atti qualificati e specialissimi (come sono le solenni .definizioni dogmatiche) infallibile. Ma l’opera di Dio si realizza in uomini di questo mondo, i quali possono essere fallibili e caduchi, anche se sostenuti dalla grazia e dall’impegno della sequela di Cristo. Bisogna cioè distinguere due aspetti nella Chiesa: quello di istituzione divina e quello di comunità composta di uomini; potremmo dire in un certo senso, quello ideale e quello reale; o anche quello della causa efficiente, formale e finale, ch’è opera di Dio e quindi perfetta, e quello della causa materiale (sempre però pervasa da quella formale), cioè della sua umana composizione, risultante di uomini imperfetti, peccatori forse, ma sempre santificati dal battesimo. Il primo aspetto è il modello stupendo e immacolato della Chiesa, quale Cristo concepì ed amò come mistica Sposa: «senza macchia – come scrive San Paolo – (Eph. 5, 27), … santa e immacolata». E non solo modello, ma realtà in via di attuazione, che nella sua espressione storica e concreta presenta il secondo aspetto, l’umanità congregata nella Chiesa militante e non perfetta, ma in via di perfezionarsi e di santificarsi secondo il modello, secondo l’idea concepita da Cristo in ordine alla Chiesa gloriosa; escatologica, come si dice, cioè arrivata oltre il tempo al suo ultimo fine (Cfr. Schnell, Der Katholizismus als Prinzip des Fortschrittes, 1897; Keppler, Wahre und falsche Reform, 1902; Vraie et fausse réforme dans l’Eglise, Ed. du Cerf, Paris, 1950, p. 92 ss.; De Lubac, Méditation sur l’Eglise, Aubier, Paris, 1953, p. 651 ss. e 76; Journet, L’Eglise du Verbe Incarné…, I, 314: «de ce point de vue on dira que l’Eglise visible peut bien contenir des pécheurs, mais non pas des péchés»; cfr. ib. p. 124 ss.; Philips, Pour un Christianisme adulte, Casterman, 1962, p. 167 ss.). La riforma perciò è uno sforzo perenne nella Chiesa, il quale tende ad avvicinare l’idea divina alla realtà umana, e questa a quella.

36. Così che questa nostra Chiesa terrena, alunna di Cristo, nella sua corporeità umana e nella sua fase di santificazione, è e dev’essere in uno stato di continua ed instancabile riforma. La realtà soprannaturale stessa della Chiesa reclama che la sua realtà naturale sia in perenne perfezionamento. Quando Gesù ci dice: «siate perfetti come perfetto è il Padre vostro, che è nei cieli» (Mt. 5, 48), e quando S. Paolo ci ammonisce: «siate imitatori di Dio, come figli amatissimi» (Eph. 5, 1), e ci spinge a sempre «rinnovarci nello spirito… e a rivestirci dell’uomo nuovo» (Cfr. Eph. 4, 23-24), noi siamo invitati ad un perfezionamento che non avrà mai tregua, né limite, e dovremo mettere la nostra vita in uno stato di continua tensione morale, la quale caratterizza appunto lo stile ascetico del cristiano quaggiù, e impronta tutta la disciplina giuridica, tutta la educazione morale, tutta la vigilanza ascetica e mistica della Chiesa. La riforma è nel programma ordinario della Chiesa. La riforma è Continua.

37. Ma quando si parla di riforma in ordine ad un Concilio ecumenico di solito si pensa, da un lato, a malanni gravi, inveterati e diffusi, e dall’altro a qualche provvedimento straordinario. Così è avvenuto in diversi Concili precedenti. La caratteristica però di questo Concilio, il quale pur tende espressamente a qualche notevole riforma, deriva dal fatto che il desiderio del bene piuttosto che la fuga dal male ne provoca la convocazione. Non vi sono infatti oggi nella Chiesa, per divina misericordia; errori, scandali, deviazioni, abusi tali che reclamino il provvedimento eccezionale della convocazione d’un Concilio. Oggi la
Chiesa, sempre per grazia di Dio e per merito di tanti cristiani buoni e santi, è più in stato di sofferenza e di debolezza, che in condizioni di scandalo e di decadenza.
Più ferite che peccati registra l’aspetto generale ed esteriore della Chiesa cattolica. Più bisogni, che infedeltà. Il che ci fa ancora più grati e lieti che il Papa, spontaneamente animato dall’amore a Cristo e dal desiderio di promuovere sempre più il processo di perfezionamento della Chiesa, abbia Lui stesso, senza alcuna spinta esteriore, proclamato l’indizione del Concilio. Sarà perciò un Concilio di riforme positive, piuttosto che punitive; più di esortazioni, che di anatemi.

38. I bisogni della Chiesa segnano dunque la linea dei desideri che i figli della Chiesa devono alimentare in ordine al prossimo Concilio. I bisogni diventano voti, speranze, preghiere. Questo solo mutamento psicologico nell’opinione collettiva dei cattolici è già un risultato positivo del Concilio ancor prima che sia celebrato. L’ottimismo del Papa così si diffonde in tutto il corpo della Chiesa, la cui sensibilità si accresce enormemente, senza morbosità angosciose ed esistenzialiste, senza critiche sterili e farisaiche, ma piuttosto tutta improntata dalla ricerca della verità e dalla fiducia nel bene. È un esame di coscienza universale questa vigilia conciliare, al quale tutti sentono d’essere invitati a concorrere. Chi non ha coscienza di qualche bisogno, di qualche miglioramento, di qualche perfezionamento nella vita religiosa cattolica? Questo spiega l’abbondanza di pronostici e di proposte, che da tutte le parti si addensano attorno al Concilio (Su questa fioritura di desideri in ordine al Concilio si possono citare, fra le tante pubblicazioni: – Umfrage zum Konzil, Herder, Freiburg i. B., 1961: sono 81 opinioni di Laici e di Teologi su i compiti del prossimo Concilio; – Fragen an das Konzil, Herder, Freiburg i. B, 1961 – Daniel-Rops, Vatican II le Concile de Jean XXIII Fayard, Paris; 1961 cfr. «Civiltà Cattolica», annate 1960, 1961, 1962 – Si veda anche di Autori diversi: Il mondo attende la Chiesa, Ed. Studium, Roma, 1957).

39. Sembra a noi educativo invitare i nostri fedeli a farsi un’idea sia pure sommaria, di queste prospettive che il Concilio apre davanti allo sguardo lungimirante dei buoni e dei fervorosi. Diremo soltanto qualche brevissimo cenno, sia per allargare l’orizzonte delle piccole aspirazioni individuali o collettive di coloro che aspettano dal Concilio la soddisfazione di certi ristretti interessi personali, di certi discutibili gusti particolari, o di certe immaginose utopie tanto facili a prender forma in cervelli buoni, ma non abbastanza esperti della realtà, sia per dare ai nostri voti e alle nostre preghiere qualche scopo di più probabile e desiderabile conseguimento. Diremo cioè dapprima che alcune di queste prospettive conciliari si riferiscono all’interno della Chiesa, altre all’esterno, cioè ai rapporti che la Chiesa deve aggiornare e ristabilire.

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40. Nell’interno della Chiesa che cosa è desiderabile? Com’è feconda di risposte questa sola domanda! È desiderabile soprattutto una cosa sola: la sua unione sempre più vicina con Cristo! Con Cristo del Vangelo: la sua conoscenza, la sua imitazione, la sua grazia. È questo lo sguardo alle origini. E questa la prova della fedeltà e della autenticità della Chiesa. Dobbiamo augurarci che tutta la vita della Chiesa si accresca, si perfezioni, si abbellisca del mistero ch’essa già possiede e già vive, quello della sua genuina derivazione da Gesù, quale i Vangeli ce lo presentano e quale la secolare meditazione dottrinale del magistero e della pietà della Chiesa ha dalle fonti scritturali e tradizionali autorevolmente delineato: la Chiesa compie nel Concilio un grande atto d’amore a Cristo. È la Sposa fedelissima che celebra la sua felicità.

41. E questo grande atto d’amore, che ricorda il Cristo storico ma che subito si rivolge al Cristo celeste, si orienta spontaneamente verso la Sua viva e divina realtà e guarda all’incontro futuro; diventa attesa, invoca il Cristo venturo e genera uno slancio spirituale mistico, un presentimento, una speranza ch’è già in parte godimento, ed insieme produce una tensione ascetica, una vigilanza, un’accelerazione morale, che dà veramente alla vita cristiana presente la figura d’un pellegrinaggio verso la meta finale, per cui tutta l’esperienza umana nel tempo si classifica e si valorizza in funzione della sua estrema relazione ultraterrena: che cosa serve essa per l’eternità? (Cfr. S. Bernardo: Ecclesia ante et retro oculata, commentato da Padre Congar nella Conferenza all’Unesco, 14 maggio 1961, in «Informations Catholiques»).

42. Da questa visione delle prospettive conciliari, tutte polarizzate in Cristo, è facile il transito alla visione del suo mistico Corpo. Il Concilio offre alla Chiesa lo specchio in cui conoscersi e contemplarsi. La parola più attesa del Concilio è, come tutti sanno, ancora su la Chiesa stessa.

Il suo diritto costituzionale non è ancora tutto chiarito e definito. Com’è noto il Concilio Vaticano primo definì questo diritto costituzionale relativamente al Sommo Pontefice, riconoscendo al successore di San Pietro nella sede episcopale di Roma non solo funzioni pastorali per la diocesi dell’Urbe, ma quelle primaziali di Maestro universale, e quando parla ex cathedra infallibile, non che di Pastore dotato di piena autorità su tutta la Chiesa (Cfr. Costituzione Pastor aeternus del Concilio Vaticano I, Denz. n. 1828); ma pur affermando il rapporto armonico fra il potere primaziale del Papa e quello dei Vescovi, non ebbe tempo, per causa degli avvenimenti politici romani del 1870, di procedere alla definizione del diritto costituzionale dei Vescovi. L’interruzione dei lavori di quel primo Concilio Vaticano e il bisogno di chiarire l’essenza dell’episcopato, le sue funzioni, i suoi poteri, ed i suoi obblighi lasciano supporre che il secondo Concilio Vaticano avrà fra i suoi argomenti anche quello sull’Episcopato, per illustrarne le origini evangeliche, i. doni sacramentali di grazia, i poteri di magistero, di ministero e di giurisdizione, sia nella persona del singolo Vescovo, sia nelle sue espressioni collegiali, e per confermarne la dipendenza dal Papa e nel tempo stesso la comunione, la fratellanza e la collaborazione col Sommo. Pontefice.6 Sia sotto l’aspetto dottrinale, che giuridico e pastorale, è questo argomento dell’Episcopato forse il più atteso, il più grave, e il più fecondo di benefici risultati (cfr. Colson, L’Evéque dans les communautés primitives. Ed. du Cerf, Paris, 1951; Dejaifve, Pape et Evéques au premier Concile du Vatican, Ed. du Cerf, 1961; Porrell, La Théologie de l’Episcopat au premier Concile du Vatican, Ed. du Cerf, Paris, 1961; Aubert, L’Ecclésiologie du Concile du Vatican nel volume Le Concile et les Conciles, Ed. du Cerf, 1960. C. Colombo, Episcopato e Primato pontificio nella vita della Chiesa, in «Scuola Cattolica», 1960.).

43. E il discorso su la natura e la funzione dell’Episcopato in armonia col Papato romano potrà portare ad una nuova e spontanea affermazione dell’unità, non soltanto giuridica, ma vivente della Chiesa intorno alla Cattedra di S. Pietro, e dare inizio, senza intenzioni rivendicative, ad una maggiore e più organica internazionalizzazione del governo centrale della Chiesa.

44. Sembra così presumibile che l’eventuale trattazione conciliare del tema dell’Episcopato abbia a portare con sè anche analoga trattazione sul Sacerdozio, sullo stato religioso7 come forse anche quella sulla verginità e sullo stato coniugale e sulla famiglia cristiana.

45. Ed è anche da credere che il Laicato cattolico avrà nel Concilio esplicito ed onorifico riconoscimento.8 La persona del laico nella Chiesa sarà certamente esaltata al livello, a cui la solleva il battesimo, assumendolo alla vita soprannaturale, e la cresima, chiamandolo alla pubblica professione della sua fede e alla perfezione cristiana. I termini del «sacerdozio regale» (1 Pt 2,9) del semplice laico saranno luminosamente chiariti. E due forme di vita cattolica potranno trovare menzione, noi speriamo, per la vocazione adulta del Laicato: la sua spiritualità, intensa, virile, appropriata, e sviluppata in una sempre più intima e corroborante partecipazione ai misteri liturgici della comunità o cristiana; e la sua vocazione, ufficiale ormai, alla collaborazione con l’apostolato gerarchico, perché anche il laico sappia infondere nuova vitalità morale e religiosa nel corpo dei fedeli, e perché egli sappia dare una sua propria testimonianza a Cristo e alla Chiesa nel mondo moderno (G. Philips, Pour un christianisme adulte, Casterman, 1962.).

Se così sarà, la vita umana, elevata da Cristo allo stato soprannaturale, avrà dal Concilio una ampia e completa considerazione, e ci apparirà nella sua più alta dignità e nella sua rigenerata bellezza.

46. Da queste considerazioni la nostra attesa si fa curiosa verso altre prospettive; innanzi tutto su quelle circa la fede. Ci darà il Concilio, oltre quelli più sopra auspicati, qualche nuovo insegnamento sulle verità rivelate, qualche nuovo dogma? Non lo possiamo sapere; e questo già indica che la definizione di qualche nuovo dogma, come facente parte della rivelazione, sembra improbabile. Sembra invece desiderato dalla coscienza diffusa nella Chiesa qualche sapiente ammonimento, qualche amorevole suggerimento sul come oggi dobbiamo e possiamo conservare, approfondire, professare la fede, quella fede ch’è il principio della nostra salvezza e ch’è il patrimonio spirituale nostro più minacciato dalla mentalità creata dagli errori moderni di pensiero e di costume.

47. Poi quelle su la legge della Chiesa, cioè sul diritto canonico, su le disposizioni pratiche con cui l’autorità ecclesiastica governa il corpo visibile della Chiesa, la comunità, composta di Clero, di Religiosi e di Laici. Su questo capitolo possiamo attendere molte novità. Le ha preannunciate il Papa stesso, quando manifestava il proposito, congiunto con quello della celebrazione del Concilio, di sottoporre tutto il Codice di Diritto Canonico, promulgato da Papa Benedetto XV nel 1917, a generale revisione. La scienza giuridica avrà qui una sua straordinaria esplicazione, che si collocherà dopo il Concilio, quando questo avrà fissato i criteri di questa revisione. È da prevedere che moltissime riforme di questo genere saranno poco avvertite dalla moltitudine dei fedeli, anche perché, come dicevamo, la Chiesa non potrà cambiare le sue strutture fondamentali, non la sua fisionomia tradizionale; non potrà rompere la coerenza con la sua legislazione interpretativa dello spirito evangelico (come, ad esempio, circa il celibato ecclesiastico).9.] Ma è da credere che non poche novità potranno essere introdotte dal Concilio, e notate con favore; anche dai fedeli; nel campo liturgico, nel campo pastorale e missionario, dove agevolazioni saranno certamente offerte al ministero apostolico.

48. Si è parlato d’un «aggiornamento», che il Concilio dovrebbe portare nei concetti e nelle norme che regolano la vita della Chiesa. Che cosa significa aggiornamento? che la Chiesa ha finora sbagliato tattica? che la Chiesa è vecchia, è arretrata? che la Chiesa è condizionata dagli avvenimenti esteriori? che tutto quanto la riguarda si può mettere in discussione? e che la Chiesa ritrova ragion d’essere e prosperità solo se si mette al passo con l’evoluzione naturale della storia profana?

Come si vede, qui si profilano questioni gravi, come quella dell’adattamento della Chiesa ai tempi ed agli ambienti, in cui si trova a vivere, adattamento che sotto molti aspetti la Chiesa non solo subisce, ma vuole e promuove. Fa parte della sua cattolicità nel tempo e nei paesi della terra questa capacità di accettare l’uomo com’è, purché conforme alla legge naturale e positiva di Dio, e di infondergli il suo spirito di verità e di grazia. Ma tale adattamento non è assoluto e non intacca i valori originali ed eterni, che la Chiesa reca con sè e offre all’umanità. Il relativismo, con cui si configura la sua espressione pastorale nella storia, non è sintomo di debolezza o di vecchiaia. È piuttosto un effetto d’un vigore interiore, sempre rinascente, sempre rifiorente. Sarebbe questo il momento di studiare la questione della perenne giovinezza della Chiesa. Ma a noi basterà per ora di attendere che il prossimo Concilio ce ne offra magnifica prova;

49. Questo aspetto innovatore del prossimo Concilio è perciò quanto mai propizio per ridestare in tutta la santa Chiesa un senso di buona volontà. Questo Concilio non mette timore, anche se giustamente avrà per l’errore e per il male i suoi anatemi. Esso suscita piuttosto speranza ed amore. Ciò spiega la popolarità con cui il grande avvenimento è atteso. Ciascuno di noi vi deve guardare con desiderio e con fiducia. Tutti ci sentiamo interessati alla sua riuscita.

Ma dovremo guardarci da due illusioni, che potrebbero domani divenire delusioni, e dovremo vedere il prossimo Concilio nel grande quadro dell’economia storica e tradizionale della Chiesa, e non tanto nello schermo della nostra personale fantasia o dei nostri personali desideri. La prima illusione sarebbe quella di pensare che il Concilio decreterà riforme radicali e sbalorditive negli ordinamenti presenti della Chiesa, tanto da cambiarie i suoi lineamenti secolari e da fame un’istituzione del tutto nuova e, come dicono alcuni, moderna, modellata cioè sugli scherni giuridici della vita associata contemporanea. Non sarà così. La presente struttura giuridica della Chiesa ha certamente bisogno di alcuni ritocchi, ma non può essere sostanzialmente cambiata; essa non è frutto d’una infedeltà al genuino pensiero di Cristo e non risulta in condizione di decadenza e di disgregazione; essa è piuttosto il risultato d’un’esperienza storica, promossa da un rigoroso proposito di fedeltà e di coerenza al volere ed allo spirito del divino fondatore della Chiesa unitamente ad un istintivo e spesso amoroso studio di accostamento alle forme efficaci e onorate della società umana, ad una tendenza cioè umanistica della religione che celebra il Verbo di Dio fatto uomo. E tale struttura è stata collaudata nelle sue linee essenziali da una magnifica testimonianza di sapienza e di santità, anche là dove la forma umana ha preso proporzioni forse eccessive o intempestive. La Chiesa cattolica non cambierà col Concilio i suoi connotati tradizionali, ne restaurerà piuttosto, noi lo auguriamo, le sue logiche e originarie esigenze e le condurrà ad una loro bella linearità, veramente cristiana.

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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50. L’altra illusione sarebbe quella di credere che il Concilio metterà rimedio a moltissimi difetti, imperfezioni, abusi che oggi noi stessi riscontriamo nella vita cattolica. Certamente il Concilio cercherà di riparare quante più imperfezioni sono in ogni settore della vita cattolica. Non per nulla sono state interrogate tutte le persone aventi capacità di dare saggi suggerimenti, e sono state create sotto commissioni e commissioni per ridurli a formulazioni praticamente eseguibili. Ma il Concilio non è un toccasana magico e immediato. Il Concilio, si, darà programmi revisionisti della disciplina e del culto nella Chiesa, darà disposizioni e precetti in tanti settori bisognosi di correzione, di aggiornamento e di sviluppo. Tuttavia la sua immediata grandezza non è questa, e nemmeno la sua vera efficacia. Il Concilio non sarà misurato puramente dai suoi buoni risultati giuridici e rituali. Esso dovrà essere un momento di ineffabile presenza dell’azione amorosa e misericordiosa di Dio nella sua Chiesa. Perché il Concilio chiamerà innanzi tutto una più viva animazione dello Spirito Santo in tutta la Chiesa; darà alla fede espressione unanime, solenne, vittoriosa; porrà grandi idee e grandi principi del vivere cristiano, ricavandoli da uno studio nuovo e appassionato del Vangelo, e della. sapienza che dal Vangelo trasse lume e svolgimento; questo farà. Vale a due che immetterà nella Chiesa nuova coscienza, nuova energia, nuovo impegno, nuova carità. Darà alla Chiesa intima consapevolezza di ciò che essa è e di ciò che essa deve fare; e da questa profonda e interiore impressione essa caverà nuova capacità di espressione: nella predicazione, nell’apostolato, nella testimonianza, nella sofferenza, nella bontà, nell’arte, nella santità. Ma tutto questo non è effetto immediato, né tutto visibile. E per di più questo effetto non dipenderà soltanto dal Concilio; dipenderà da tutto il corpo mistico che è la Chiesa; dipenderà anche da noi, da ciascuno di noi. Dovrà perciò essere impegno, fin da ora, di ciascuno di noi di accettare con pronta e filiale obbedienza le prescrizioni del Concilio.

51. Questa altissima e in parte misteriosa finalità del prossimo Concilio ci è prospettata dalle parole ispirate dello stesso Papa Giovanni XXIII, che ci insegna: «L’opera del nuovo Concilio ecumenico è veramente tutta intesa a ridare splendore sul volto della Chiesa di Gesù alle linee più semplici e più pure della sua natività, ed a presentarla così come il divino Fondatore la fece: sine macula et sine ruga. Il suo viaggio lungo i secoli è ancora ben lontano dal toccare il punto della sua, trasformazione nell’eternità trionfante. Perciò il soffermarsi alquanto intorno a lei in uno studio amoroso a ricercarne le tracce della giovinezza più fervorosa, e a ricomporle così da rivelarne la forza conquistatrice sugli spiriti moderni, tentati e compromessi dalle false teorie del principe di questo mondo, avversario palese o nascosto del Figlio di Dio, Redentore e Salvatore, questo è l’intento nobilissimo del Concilio ecumenico…» (13 nov. 1960).10

52. Questa considerazione può essere completata dall’altra importantissima prospettiva conciliare, quella cioè che guarda i riflessi del Concilio al di fuori della Chiesa cattolica, sul mondo contemporaneo. Per sè, il mondo non ha alcun rapporto pratico con questo grande avvenimento ecclesiastico. L’autorità civile oggi, a differenza di ciò ch’è avvenuto in passato (Hefele…, I introduz. passim. Sui Concilia mixta cfr. D. Th. Cath.: Conciles), fino al Concilio dì Trento compreso, è anch’essa del tutto estranea. Il processo di progressiva distinzione e separazione della Chiesa dallo Stato, esclude ogni presenza della i società civile in seno al Concilio; il laicismo moderno trova in ciò una sua espressione. Ma esclude altresì ogni ingerenza dei poteri terreni e degli interessi temporali nello svolgimento di questo grandissimo fatto, umano e religioso insieme. La Chiesa è sola a celebrarlo; la Chiesa potrà essere, Dio non voglia, anche ostacolata o disturbata nello svolgimento di tale momento, come avvenne al Concilio Vaticano primo; ma, grazie a Dio, come dicevamo (n. 21), la Chiesa è indipendente.

53. Tuttavia il Concilio non può essere senza qualche preciso riferimento anche alla società profana, per forza di cose. Esso è tale episodio storico, è tale fenomeno umano e visibile, è tale affermazione di principi e di leggi, è tale sorgente di fattori influenti sul pensiero e sul costume, è tale concentrazione di esponenti internazionali, che anche il mondo circostante dovrà in qualche modo accorgersi del singolare avvenimento e potrà anche riceverne qualche. diretto beneficio.

54. Perché il Concilio vuol avere un riferimento, non soltanto di per sè risultante, col mondo moderno, ma altresì intenzionale. Il Papa lo ha detto ripetutamente con accenti stupendi, che sembrano far ecco ai lontani vaticini della Bibbia. Si ascolti, ad esempio: «…veramente abbondanti frutti la Chiesa di Cristo si ripromette da questo avvenimento, che vuol essere un servizio reso alla verità, un atto di carità, un esempio di pace proclamata a tutti i popoli da questa altissima Cattedra…» (Dall’allocuzione per il Concistoro del 16 gennaio 1961).

E nella Bolla di indizione del Concilio: «pur non avendo finalità direttamente terrestri, (la Chiesa) non può tuttavia disinteressarsi nel Suo cammino dei problemi e dei travagli di quaggiù. Essa sa quanto giovino al bene dell’anima quei mezzi che sono atti a rendere più umana la vita ai singoli uomini che devono essere salvati; essa sa che vivificando l’ordine temporale con la luce di Cristo rivela pure gli uomini a se stessi, li conduce a scoprire in se stessi il proprio essere, la propria dignità, il proprio fine. Di qui la presenza viva della Chiesa oggi estesa agli organismi internazionali, di diritto o di fatto; di qui l’elaborazione della sua dottrina sociale riguardante la famiglia, la scuola, il lavoro, la società civile, e tutti i problemi connessi, la quale ha elevato ad un prestigio altissimo il Suo magistero, come la voce più autorevole, interprete ed assertrice dell’ordine morale, e vindice dei diritti e dei doveri di tutti gli esseri umani e di tutte le comunità politiche. In tal modo l’influsso delle deliberazioni conciliari, come Noi vivamente speriamo, dovrà riuscire a tal punto, da investire di luce cristiana e penetrare di fervorosa energia spirituale non solo l’intimo delle anime, ma ancora l’insieme delle umane attività» (Bolla Humanae salutis, Natale 1961. Cfr. «Vita e Pensiero», C. Colombo, La indizione del Concilio ecumenico Vaticano II, Gennaio 1962, p. 2-6).

55. La Chiesa perciò intende, col prossimo Concilio, venire a contatto col mondo. Si pensi bene. Questo è un grande atto di carità. La Chiesa non penserà soltanto a se stessa; la Chiesa penserà a tutta l’umanità. Vi penserà ricordando d’essere la continuatrice di quel Cristo Verbo Incarnato che è venuto nel mondo per salvarlo, qualunque fosse lo stato in cui quello si trovasse (Cfr. Congar…,: la Chiesa «non esiste per essere bellissima, e guardarsi allo specchio dicendo: come sono bella, io sposa del Signore, io regina; la Chiesa esiste propter nos et propter nostram salutem»). Per questo cercherà di farsi sorella e madre degli uomini; cercherà d’essere povera, semplice, umile, ed amabile, nel suo linguaggio e nel suo costume. Per questo cercherà di farsi comprendere, e di dare agli uomini d’oggi facoltà di ascoltarla e di parlarle con facile ed usato linguaggio. Per questo ripeterà al mondo le sue sapienti parole di dignità umana, di lealtà, di libertà, di amore, di serietà morale, di coraggio e di sacrificio. Per questo, come si diceva, vedrà di «aggiornarsi» spogliandosi, se occorre, di qualche vecchio mantello regale rimasto sulle sue spalle sovrane, per rivestirsi di più semplici forme reclamate dal gusto moderno. Per questo chiamerà i Laici, i suoi buoni e fedeli Laici cattolici, a farle da tramite fra la sua sfera soprannaturale e tutta religiosamente canonizzata e la sfera sociologica e temporale, in cui essi vivono, quasi delegando alla loro docile ed abile collaborazione l’opera ardua e bellissima della consecratio mundi (Cfr. Pio XII, Discorsi… III, 460; XIII, 295; XV, 590, etc.), di penetrare cioè di principi cristiani e di forti virtù naturali e soprannaturali l’immensa sfera del mondo profano.

56. Riuscirà questo potente e meraviglioso tentativo? Capirà il mondo che v’è un’istituzione sulla terra, la quale ad altro non tende che a farlo buono, sano, pacifico e felice? Capirà il mondo che il suo agnosticismo, il suo materialismo, il suo ateismo devono finalmente essere superati da una coraggiosa e sapiente riscoperta di Dio e di Cristo? Resterà muto il mondo al grande invito, che la Chiesa gli rivolgerà di pregare con lei? risponderà almeno, con la commozione d’un’esperienza spirituale nuova e rivelatrice, il suo timido: Amen?o il suo vittorioso canto al Dio dell’Universo, al Cristo della vera civiltà risuonerà ancora sulla terra?

57. È lecito sperarlo. Dobbiamo almeno fortemente desiderarlo. Dobbiamo pregare per questo. Dobbiamo operare per questo. Primo: rendendo profonda e sincera la nostra professione cristiana. Secondo: cercando in ogni: modo di darle vigore e splendore diffusivo. Siamo così veramente nella traiettoria della più alta finalità del Concilio. Ascoltiamo il Papa: «Nell’epoca moderna di un mondo dalla fisionomia profondamente mutata, e sorreggentesi a fatica fra i fascini ed i pericoli della ricerca quasi esclusiva dei beni materiali, nell’oblio o nell’illanguidimento dei principi di ordine spirituale e soprannaturale, che caratterizzavano il penetrare e l’espandersi lungo i secoli della civiltà cristiana, nell’epoca moderna, più che di un punto o dell’altro di dottrina o di disciplina che convenga richiamare alle sorgenti pure della rivelazione e della tradizione, trattasi di rimettere in valore ed in splendore la sostanza del pensiero e del vivere umano e cristiano, di cui la Chiesa è depositaria nei secoli. Per altro la deplorazione dei traviamenti dello spirito umano, tentato e sospinto verso il solo godimento dei beni della terra, che la modernità della ricerca scientifica mette ora con facilità alla portata dei figli del nostro tempo, è certo grave ed anche doverosa. Dio ci guardi però dall’esagerarne le proporzioni, sino al punto dal farci credere che i cieli di Dio sono ormai definitivamente chiusi sopra le nostre teste… e che non ci resti ormai altro da fare che cospargere di lacrime il nostro faticoso cammino. Dobbiamo invece farci coraggio!» (Discorso alle Commissioni preparatorie del Concilio, 14 novembre 1960). Così il Papa, col suo tonificante ottimismo ci esorta e ci conforta a sperare, e sembra ci voglia preparare ad un Concilio ove, deplorato il male e l’errore, più il bene avrà di sostegno, che gli uomini erranti di anatemi. Anche i lontani saranno considerati ed amati.

Fraternamente CaterinaLD

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58. Siamo così portati a dare un pensiero a quella vastissima e multiforme categoria di fratelli che sono i cristiani, ancora insigniti di tanto nome, ma separati dall’unità della Chiesa cattolica. È argomento delicatissimo e complicatissimo; ma, come tutti sappiamo, il Papa ha voluto arditamente e amorosamente metterlo nella visuale del prossimo Concilio, fin dal primissimo annuncio che Egli ne fece col discorso al Sacro Collegio nell’aula maggiore del monastero di San Paolo il 25 gennaio 1959, quando apertamente disse che il Concilio ecumenico doveva essere oltre che «ad edificazione di tutto il popolo cristiano», anche «a rinnovato invito ai fedeli delle Comunità separate» a seguirlo «anch’esse amabilmente in questa ricerca di unità e di grazia, a cui tante anime anelano da tutti i punti della terra».11

59. Non ci possiamo ora soffermare su questo problema, che nell’ottava per l’unità della Chiesa ha presso di noi, ogni anno, ampie, meditate e cordiali trattazioni. Ora basta tener presente che tale problema difficilissimo, eppure tanto importante e tanto urgente, entra, come principale, nelle finalità del Concilio. Esso non potrà, molto probabilmente risolverlo. Forse non abbiamo ancora meritato tanto miracolo. Ma il Concilio ecumenico potrà preparare questa auspicatissima soluzione. Sotto questo aspetto sarà un Concilio preparatorio, un Concilio del desiderio. E Dio voglia che noi cattolici tutti riusciamo a metterci debitamente in questa reale ed operante condizione di spirito! Dobbiamo desiderare che il Signore esaudisca questo lacrimante voto per la ricomposizione dell’unità fra i cristiani intorno a Pietro e agli Apostoli in comunione con lui! Dobbiamo desiderare d’essere tali da far modificare il giudizio dei dissidenti sul Papa e sulla Chiesa cattolica! Dobbiamo desiderare di saper accogliere con onore e con vera fraternità i cristiani separati, che si affacciassero sulle soglie della loro e nostra casa, la Chiesa cattolica! Dobbiamo desiderare di comprenderli meglio e di apprezzare ciò che ancora nel loro patrimonio religioso v’è di vero e di buono!

Noi infatti dobbiamo auspicare e pregare che il Concilio spiani gli ostacoli, che ingombrano la unica via per il felicissimo incontro, quella della fede, cioè della verità e della realtà dell’unica religione di Cristo. Che il Concilio sciolga i vincoli di tanti tristi ricordi del passato, i quali tuttora inceppano, con discussioni di esegesi storica e di prestigio onorifico la dinamica che la soluzione del grande problema deve assumere ad un dato momento. Che il Concilio accenda infine i nostri cuori di maggiore carità, alla quale spetterà alla fine far muovere i passi per gli incontri risolutivi.

60. Perciò il prossimo Concilio, se non avrà la somma ventura d’andare oltre il desiderio ed oltre la preparazione per la futura riconciliazione ecumenica nell’unità della Chiesa, avrà di conseguenza la sorte di preludere ad un altro futuro Concilio, quello che possa celebrare la festa di tutti i cristiani, finalmente affratellati in un solo ovile e con un solo Pastore! (Gv 10, 16; Cfr. Prof. Nicola Jaeger, Il Romano Pontefice, il Concilio ecumenico ed i lontani, Varese, 1959. Küng, Concile et retour à l’unité, Ed. du Cerf, Paris, 1961. , Les voies de l’unité chrétienne, Ed. du Cerf, Paris, 1954. Schlier, Volk, De Vries, Unité de l’Eglise et tache oecuménique, Ed. de l’Orante, Paris, 1961. Decarreaux, Catholiques et Orthodoxes devant le problème de l’unité, in «Revue des deux Mondes», 15 Juin 1959, Card. Léger, Chrétiens désunis, lettre Pastorale, Montréal, 1962).

61. Tutto questo panorama ci obbligherebbe ad una successiva, considerazione, che ciascuno di noi, come gli è possibile, procurerà sviluppare da sè, sul senso reale e profondo di questo Concilio ecumenico. Vi è chi l’ha detto il momento principale dell’azione amorosa divina nel governo della Chiesa; la più saliente affermazione religiosa in un mondo che va perdendo il senso religioso; la grande ora in cui la Chiesa ritrova se stessa; lo sforzo più grande del cattolicesimo per comprendere, attrarre, vivificare il mondo moderno; la coordinazione totale e moderna delle forze apostoliche e missionarie; la proclamazione dei principi sui quali il mondo moderno, come su la pietra d’angolo (cfr Sal 117, 22; Mt. 21, 42; At 4, 1; Ef 2, 20; 1 Pt 7, 2), può trovare stabilità, pace e progresso; la professione più impegnativa della Chiesa della sua fedeltà a Cristo e alla sua missione di salvezza. La varietà stessa di questi tentativi di giudizio sintetico sul Concilio indica la grandezza dell’avvenimento, dalla quale scaturisce un nostro primo dovere: pensare al Concilio. (Cfr. la lettera collettiva dell’Episcopato Olandese: Le sens du Concile, Ed. du Cerf, Paris. L. Jaeger – Arciv. di Paderbom -, Das oekumenische Konzil, die Kirche und Christenheit, 1960. Cardo Frings, Il Concilio ecumenico Vaticano II di fronte al pensiero moderno, discorso del 20 nov. 1961. Autori diversi; I Concili nella Vita della Chiesa, Vita e Pensiero, Milano, 1961. Autori diversi, Il Concilio ecumenico, Vita e Pensiero, Milano, 1960. Così le Lettere pastorali dell’Arcivescovo di Avignone, dell’Arcivescovo di Cambrai, ecc.).

62. Poi altri doveri nascono per noi da così grande avvenimento, che qui con elementare parola semplicemente indichiamo:

1 – procuriamo d’essere informati sul prossimo Concilio ecumenico. È questo il primo scopo di questa nostra Lettera pastorale. È avvenimento grande. È avvenimento che tutti ci riguarda. Libri, articoli, conferenze trattano ora a profusione l’argomento. Procuriamo tutti d’esserne bene informati. Parroci, Insegnanti, Sacerdoti, Dirigenti di associazioni cattoliche e pubblicisti sono tutti esortati a dare al Concilio la migliore pubblicità.

2 – Vediamo di comprendere come tutti, sia collettivamente che individualmente, possiamo e dobbiamo contribuire alla buona riuscita del Concilio. Esso riassume l’espressione di tutto il popolo cristiano; perciò ciascuno deve in questo periodo ravvivare il suo atto di fede e dare alla propria vita cristiana la forma migliore. Il rinnovamento che attendiamo dal Concilio comincia oggi, comincia così, e comincia da noi. Così infatti il Papa ci esorta: «Non dubitiamo di dire che le Nostre diligenze e i Nostri studi perché il Concilio riesca un grande avvenimento potrebbero restare vani, qualora fosse meno concorde e deciso lo sforzo collettivo di santificazione. Le preghiere, le virtù dei singoli, lo spirito interiore diventano strumento di immenso bene…» (Dall’allocuzione del Papa in occasione della liturgia di rito bizantino-slavo in San Pietro, 13 novembre 1960).

Intellettuali, fanciulli, sofferenti, sacerdoti (Si vedano i brani di discorsi pontifici riportati da Mons. S. Garofalo, La grande ora della Chiesa e del mondo, Ed. Paoline, Roma), sono invitati dal Papa, secondo le forme proprie a ciascuna categoria, a recare al Concilio il loro contributo di preparazione. Ogni categoria, ogni anima può sentire l’invito come a sè rivolto: è tutta la comunità cristiana che deve spiritualmente e moralmente collaborare al buon esito dell’avvenimento.

3 – La preghiera per il Concilio sarà la forma più facile per offrire al concilio il nostro tributo spirituale. Come abbiamo prescritto, sarà aggiunta nelle messe non festive la orazione dello Spirito Santo per il Concilio. Così raccomandiamo che nelle cerimonie pubbliche e nelle orazioni private si faccia sovente menzione di questa grande causa. La preghiera, dettata dal Santo Padre a questo scopo; può bene suggerire a noi parole e sentimenti. felici.12.]

63. Concludiamo ricordando che i nostri Santi Patroni, Ambrogio e Carlo, sono entrambi collegati a solenni momenti conciliari della Chiesa. Sant’Ambrogio, come difensore della fede di Nicea e come presidente del Concilio di Aquileia13 (per tacere d’altri analoghi riferimenti), ci mostra quanta fiducia egli avesse in questa solenne espressione della vita della Chiesa; e San Carlo, che da Roma validamente contribuì alla fecondità e alla conclusione del Concilio Tridentino, e a Milano, con Sinodi diocesani e Concili provinciali, e con un’indefessa e insuperata opera pastorale tutto fece per dare applicazione al Tridentino stesso portandone le leggi nel costume del nostro popolo, c’insegnano quale conto dobbiamo fare, specialmente noi, loro tardi ma non immemori figli, del Concilio a cui ci stiamo preparando. Possa la loro protezione, con la sempre invocata intercessione della Madonna, farci degni di «sentire con la Chiesa e col Papa» il prossimo storico avvenimento, e capaci di ricavarne per noi e per il mondo larga messe di frutti spirituali.

Confermi questi voti la nostra Benedizione pastorale.

Courtesy the website of the Diocese of Milan, 2003 ITL spa.

NOTE
------------------------

1.Il primo luogo si riferisce al testo redazionale Sua Santità annuncia tre grandi avvenimenti, mentre il secondo al messaggio di Montini Eco Ambrosiana all’annuncio Pontificio del prossimo Concilio Ecumenico. ↩
2.Il 10-X-1962, alla vigilia della solenne apertura del concilio ecumenico G.B. Montini avrebbe tenuto in Campidoglio, a Roma, una conferenza sul tema Roma e il concilio. ↩
3.Si ritiene preferibile non completare in questa Lettera pastorale i numerosissimi riferimenti bibliografici presenti, sia per non appesantire ulteriormente il testo, sia perché molte citazioni da parte dell’Autore sono pressoché complete. ↩
4.GREGORIO MAGNO, Epistula ad Eulogium Alexandrinum 2, 31. ↩
5.arr. in psalm. CIX, 2. ↩
6.Il 28-X-1965 venne approvato il decreto conciliare Christus Dominus sull’ufficio pastorale dei vescovi; sul tema della collegialità episcopale, molto a cuore a Paolo VI, cfr. Paolo VI e la collegialità episcopale. Colloquio internazionale di studio, Istituto Paolo VI-Studium, Brescia-Roma, Pubblicazioni dell’Istituto Paolo VII, 15. ↩
7.l 28-X-1965 venne approvato il decreto conciliare Perfectae caritatis sul rinnovamento della vita religiosa. ↩
8.Al tema del laicato il concilio avrebbe dedicato la IV parte della costituzione Lumen gentium e il decreto Apostolicam actuositatem. ↩
9.Sul celibato ecclesiastico il concilio si limitò a riprendere la dottrina della Chiesa, richiamandola soprattutto nel decreto Presbyterorum Ordinis. Paolo VI infatti, con un messaggio letto l’11-X-1965 durante la 146a congregazione generale, aveva dichiarato non conveniente una discussione in aula sull’argomento, avocando a sé la questione (cfr. C. SOETENS, Interventions du Pape Paul VI au Concile Vatican II – Périodes II, IIL IV: 1962-1963, in Paolo VI e i problemi ecclessiologici al Concilio. Colloquio internazionale di studio, Brescia 19-20-21 settembre 1986, Istituto Paolo VI- Studium, Brescia-Roma 1989, pp. 565-566, Pubblicazioni dell’Istituto Paolo VI, 7. Paolo VI avrebbe pubblicato l’enciclica Sacerdotalis coelibatus nel 1967 [cfr. AAS, LIX (1967), 657-697 ↩
10.Si tratta di un brano dell’allocuzione tenuta da Giovanni XXIII il13-XI-1960 in occasione della solenne Divina Liturgia in rito bizantino-slavo celebrata in S. Pietro (cfr. Discorsi Messaggi Colloqui del Santo Padre Giovanni XXIII.., III, pp. 3-10). ↩
11.Cfr. Discorsi Messaggi Colloqui del Santo Padre Giovanni XXIII.., I, pp. 129-133. ↩
12.ratio ad Spiritum Sanctum pro Oecumenici Concilii felici exitu indulgentiis ditatur [cfr. AAS, LI (1959), 832 ↩
13.Celebrato nel 381, aveva definitivamente chiuso la questione ariana. ↩

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[SM=g1740733] NON dobbiamo dimenticare neppure ciò che dopo scriveva il cardinale Ratzinger sulla Chiesa....

Il rapporto tra lo Spirito Santo e la Chiesa
tratto da Joseph Ratzinger, Immagini di speranza. Percorsi attraverso i tempi e i luoghi del Giubileo, San Paolo, Cinisello Balsamo 1999, Capitolo VIII. PENTECOSTE – Lo Spirito Santo e la Chiesa, pp. 57-66


VIII. PENTECOSTE
Lo Spirito Santo e la Chiesa

Capita spesso di sentir lamentare che nella Chiesa si parla troppo poco dello Spirito Santo. Talvolta questa lamentela arriva sino all’idea che dovrebbe esistere una certa simmetria tra il discorso su Cristo e quello sullo Spirito Santo; a tutto quello che si dice di Cristo dovrebbe corrispondere un discorso analogo sullo Spirito Santo. Chi pretende questo, dimentica però che Cristo e lo Spirito sono parte del Dio Trinità. Dimentica che la Trinità non può essere pensata come una serie di presenze parallele e simmetriche. Se fosse così, allora noi crederemmo in tre divinità e con ciò sarebbe radicalmente misconosciuto quel che intende la confessione cristiana dell’unico Dio in tre persone.

Qui, come spesso accade, la liturgia della Chiesa Orientale può fornirci un aiuto prezioso. Essa celebra alla domenica di Pentecoste la festa della Santissima Trinità, il lunedì successivo l’effusione dello Spirito Santo e la domenica seguente la festa di Ognissanti.
Questa sequenza liturgica possiede una solida coerenza interna e manifesta qualcosa della logica interna della fede. Lo Spirito Santo non è una entità isolata e isolabile. La sua natura è di rinviarci all’unità del Dio trinitario. Se nella storia della salvezza, che noi ripercorriamo da Natale a Pasqua, il Padre e il Figlio appaiono l’uno di fronte all’altro, nella missione e nell’obbedienza, lo Spirito Santo non si pone come una terza persona accanto o in mezzo a loro: egli ci porta all’unità di Dio.

Guardare a Lui significa superare la sempli[57]ce contrapposizione e riconoscere il cerchio dell’eterno amore, che è l’unità suprema. Chi vuole parlare dello Spirito Santo, deve parlare della Trinità di Dio. Se la dottrina dello Spirito Santo, da un certo punto di vista, può valere come correzione rispetto a un cristocentrismo unilaterale, allora tale correzione consiste nel fatto che lo Spirito ci insegna a vedere Cristo totalmente inscritto nel mistero del Dio trinitario: come la nostra via verso il Padre, in un ininterrotto dialogo d’amore con lui.

Lo Spirito Santo rinvia alla Trinità, e proprio in questo modo rinvia anche a noi. Il Dio trinitario è infatti l’archetipo dell’umanità nuova, riunificata; l’archetipo della Chiesa, di cui la preghiera di Gesù può essere vista come l’atto di fondazione: «Che siano una sola cosa, come noi siamo uno» (Gv 17,11.21s).
La Trinità è la misura e il fondamento della Chiesa: essa deve portare a compimento la parola del giorno della creazione «Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza» (Gn 1,26). In essa l’umanità, che nella sua frammentazione è divenuta proprio l’immagine antitetica di Dio, può tornare a essere l’unico Adamo, la cui immagine – come dicono i Padri – venne lacerata dal peccato e ora giace in pezzi. Nella Chiesa deve tornare alla luce la misura divina dell’uomo, quell’unità che noi siamo. È così che la Trinità, Dio stesso, è l’archetipo della Chiesa; la Chiesa non è un’altra idea che si aggiunge all’uomo, ma il venire dell’uomo sulla strada verso se stesso. Ma se lo Spirito Santo esprime l’unità di Dio, allora è lui l’elemento vitale della Chiesa, in cui ciò che sta di fronte si riconcilia con la reciprocità e i frammenti dispersi di Adamo vengono ricomposti in unità.

Per questo la rappresentazione liturgica dello Spirito Santo comincia con la celebrazione della Trinità. Tale celebrazione ci dice che cosa è lo Spirito: nulla in se stesso, che si possa porre accanto a qualcosa d’altro, ma il mistero per cui Dio è pienamente uno nell’amore, una sola realtà, e, in quanto amore, è allo stesso tempo reciprocità, scambio e comunione.
Ed è a partire dalla Trinità che lo Spirito ci dice che cosa è l’idea di Dio con noi: unità secondo l’immagine di Dio. Ma [58] egli ci dice anche che noi uomini possiamo realizzare l’unità tra di noi solo se ci ritroviamo in un’unità più profonda, ovvero in un Terzo: solo se siamo una cosa sola con Dio, possiamo essere vicendevolmente uniti. La via verso l’altro passa attraverso Dio; se non c’è questo tramite della nostra unità, noi restiamo eternamente separati l’uno dall’altro da abissi che neppure la buona volontà può superare.

Chiunque abbia una percezione lucida della propria umanità, si accorge che qui non parliamo di semplici teorie teologiche.
Raramente l’inaccessibilità ultima dell’altro, l’impossibilità di donarsi reciprocamente e di comprendersi in modo durevole, è stata sperimentata tanto drammaticamente come nel nostro secolo. «Vivere significa essere soli, nessuno conosce l’altro, ciascuno è solo», così ha espresso questa percezione Hermann Hesse. Quando parlo con l’altro è come se tra di noi si frapponesse una parete di vetro opaco: ci vediamo, eppure non ci vediamo; siamo vicini, eppure non possiamo avvicinarci. È questa l’immagine con cui Albert Camus descrive questa stessa esperienza.

Pentecoste, la presenza del mistero trinitario nel nostro mondo umano, è la risposta a questa esperienza. Lo Spirito Santo ha a che fare con la domanda fondamentale dell’uomo: come possiamo giungere gli uni agli altri? Come è possibile che io rimanga me stesso, rispetti l’alterità dell’altro e tuttavia esca dalla gabbia della solitudine e incontri l’altro dal di dentro?
Le religioni asiatiche hanno risposto con l’idea del nirvana: finché esiste l’io, non è possibile, affermano esse. L’io è la prigione. Devo dissolvere l’io, lasciare dietro di me la personalità come prigione e luogo della non liberazione, lasciarmi cadere nel nulla come nel vero tutto. La liberazione è un cessare di divenire e deve essere messa in atto: il ritorno nel nulla, la cancellazione dell’io come la sola vera e definitiva liberazione. Chi esperimenta giorno per giorno il peso dell’io e il peso del tu può comprendere il fascino di un tale programma.

Ma il nulla è davvero meglio dell’essere, la dissoluzione della persona meglio del suo compimento? [59]
Un semplice attivismo non è una risposta a tale fuga mistica; al contrario: provoca questa fuga. Difatti tutte le nuove iniziative che intraprende diventano delle nuove prigioni se l’io e il tu non si riconciliano.
D’altra parte l’io e il tu non possono riconciliarsi se la persona non è riconciliata con il proprio io. Ma come può accettarsi questo io, permanentemente assetato e desideroso, che grida invocando amore, invocando il tu, ma che allo stesso tempo si sente ferito, minacciato e limitato da questo tu?
Rispetto alla grande pretesa delle religioni asiatiche anche le moderne tecniche della dinamica di gruppo, della riconciliazione dell’uomo con se stesso e con il tu, malgrado le loro sofisticate procedure, non sono altro che povere soluzioni di ripiego. L’io e il tu vengono messi insieme sulla base di un preteso denominatore comune ridotto ai minimi termini, vengono abituati a delle regole per far sì che si incontrino e si prendano sul serio il meno possibile ed evitare quindi che si rovinino a vicenda. La loro passione divina viene ridotta a un paio di pulsioni; la persona è trattata come un’apparecchiatura di cui si devono conoscere le istruzioni per l’uso. Si cerca di risolvere la questione dell’essere uomini, negando la persona umana nella sua specificità e trattandola come un sistema smontabile di procedure che si può imparare a dominare.

Ora forse vi chiederete: che cosa ha a che fare tutto questo con lo Spirito Santo e con la Chiesa?
La risposta è: l’alternativa cristiana al nirvana è la Trinità, quell’unità ultima in cui l’io e il tu non vengono affatto meno stando l’uno di fronte all’altro, ma si compenetrano intimamente nello Spirito Santo. In Dio vi è una pluralità di persone e proprio in questo modo Egli è la piena realizzazione dell’unità ultima. Dio non ha creato la persona perché essa venga annullata, ma perché essa si apra in tutta la sua altezza e nella sua più estrema profondità, là, dove lo Spirito Santo la abbraccia ed è l’unità delle diverse persone. Può darsi che ciò suoni molto teologico, ma noi dobbiamo cercare, passo dopo passo, di avvicinarci al programma di vita che qui si cela.

È su questa strada che arriviamo se riflettiamo ancora una [60] volta sulla sequenza delle feste liturgiche nella Chiesa orientale.
Dopo la festa della Trinità nella domenica di Pentecoste, il lunedì viene celebrata l’effusione dello Spirito Santo, la fondazione della Chiesa; la domenica successiva – come abbiamo già ricordato – è la volta della festa di Ognissanti.
La comunione di tutti i santi è l’umanità riplasmata nell’unità secondo il modello trinitario; è la città futura, che fin d’ora si sta formando e che noi cerchiamo di costruire con la nostra vita. Essa è l’immagine ideale della Chiesa, al termine – per così dire – della settimana al cui inizio si trova la Chiesa terrena, nata nel Cenacolo di Gerusalemme.
La Chiesa che vive nel tempo è in tensione tra questa Chiesa dell’inizio e la Chiesa della fine, che già ora sta crescendo. Nella tradizione artistica dell’Oriente la Chiesa degli inizi, la Chiesa del giorno di Pentecoste, è l’icona dello Spirito Santo. Lo Spirito Santo si rende visibile e rappresentabile nella Chiesa. Se Cristo è l’icona del Padre, l’immagine di Dio e, insieme, l’immagine dell’uomo, allora la Chiesa è l’immagine dello Spirito Santo.

A partire da qui possiamo comprendere che cos’è davvero la Chiesa, nel profondo della sua essenza: il superamento del confine tra io e tu, l’unione degli uomini tra loro, mediante il superamento di sé, in ciò che rappresenta il loro fondamento, nell’amore eterno. La Chiesa è il luogo in cui avviene l’inserimento dell’umanità nello stile di vita del Dio trinitario.
Per questo essa non è cosa che riguardi un gruppo, un circolo di amici; per questo non può essere Chiesa nazionale o identificarsi con una razza o una classe: se è così, essa deve essere cattolica, «radunare in unità i figli dispersi di Dio», come si legge nel vangelo secondo Giovanni (11,52).

L’idea del «cessare di divenire», che descrive il processo spirituale delle religioni asiatiche, può certo risultare poco adatta a rappresentare la via cristiana. È vero però che essere cristiani implica un dischiudersi e un lasciarsi dischiudere, come capita al chicco di grano, che muore ma, aprendosi, porta frutto. Diventare cristiani è essere riuniti: i pezzi dell’immagine frantumata di Adamo devono essere ricomposti. [61]

Essere cristiani non è un’autoconferma, ma un inizio e una partenza verso la grande unità che abbraccia l’umanità di tutti i luoghi e di tutti i tempi. La fiamma dell’infinito desiderio non viene spenta, ma orientata, così da unirsi al fuoco dello Spirito Santo.
La Chiesa non comincia quindi come un club, comincia cattolica: nel suo primo giorno essa parla in tutte le lingue, nelle lingue di tutto il mondo. Fu Chiesa universale prima di generare delle Chiese locali. La Chiesa universale non è una federazione di Chiese locali, ma la loro madre. La Chiesa totale ha generato le Chiese particolari e queste restano Chiesa nella misura in cui si staccano dal loro particolarismo ed entrano a far parte del tutto: solo in questo modo, a partire dal tutto, esse sono icona dello Spirito Santo, che è la dinamica dell’unità.

Se parliamo della Chiesa come icona dello Spirito Santo e di quest’ultimo come Spirito dell’unità, allora non possiamo non tenere in considerazione un tratto particolare del racconto della Pentecoste: le lingue di fuoco si dividevano e si posavano su ciascuno di loro (At 2,3). Lo Spirito Santo è dato a ciascuno personalmente e a ciascuno in modo proprio. Cristo ha assunto la natura umana, quel che ci unisce tutti, ed è a partire da essa che egli ci unisce.
Lo Spirito Santo, invece, è dato a ciascuno come persona: mediante lui Cristo diventa risposta fondamentale per ciascuno di noi, uno per uno. L’unione degli uomini, come deve essere realizzata dalla Chiesa, non avviene mediante la dissoluzione della persona, ma mediante il suo compimento, che significa la sua infinita apertura.

Per questo della costituzione della Chiesa fa parte, da un lato, il principio della cattolicità: nessuno agisce semplicemente di propria volontà e genialità, ciascuno deve agire, parlare, pensare secondo la comunione del nuovo «noi» della Chiesa, che sta in una relazione di scambio profondo con il «noi» del Dio trinitario.
Ma proprio per questo, d’altro canto, è vero che nessuno agisce semplicemente come il rappresentante di un gruppo e di un sistema collettivo, ma ciascuno sta nella responsabilità personale della coscienza dischiusa e purificata nella fe[62]de.
Nella Chiesa le tendenze all’arbitrio e all’egoismo non dovrebbero essere eliminate mediante il ricorso a criteri di forza numerica o di maggioranza, ma con la coscienza plasmata dalla fede, che non inventa, ma attinge la sua creatività da ciò che si è ricevuto in comune nella fede.

Nei suoi discorsi di commiato il Signore presenta la natura dello Spirito Santo con queste parole: «Egli vi guiderà alla verità tutta intera, poiché egli non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future» (Gv 16,13). Qui lo Spirito diventa icona della Chiesa; descrivendo lo Spirito Santo, il Signore spiega che cos’è la Chiesa e come essa deve vivere per essere se stessa.
Parlare e agire da cristiani significa non essere mai solamente il proprio io. Diventare cristiani significa accogliere in se stessi la Chiesa tutta intera o, ancor di più, lasciarsi interiormente accogliere in essa. Quando io parlo, penso, agisco, come cristiano lo faccio sempre nel tutto e a partire dal tutto: in questo modo lo Spirito si fa parola e così gli uomini giungono a incontrarsi a vicenda. Essi giungono a incontrarsi esteriormente, solo se prima si sono incontrati interiormente: se io sono cresciuto interiormente, se mi sono aperto, se ho accolto l’altro in me nella condivisione della fede e dell’amore, così che non sono più solo, ma tutto il mio essere è segnato dal senso di questa «condivisione» dell’altro.

Questo parlare a partire dall’ascolto, dall’accoglienza, e non a titolo personale, a prima vista può sembrare un ostacolo alla genialità del singolo. In effetti, si tratterebbe di un ostacolo se la genialità fosse solo una sopravvalutazione dell’individuo che cerca in qualche modo di eguagliarsi alla divinità. Il riconoscimento della verità e l’accettazione di un cammino di crescita non sono certo un ostacolo per questo modo di pensare: lo Spirito Santo, proprio per il fatto che agisce così, introduce alla verità tutta intera, a quel che Gesù non ha ancora detto, e proprio così annuncia le cose future: noi non perveniamo a una nuova conoscenza chiudendoci nel nostro io; la verità si dischiude solo nella condivisione di pensiero con ciò che è stato conosciuto prima di noi. [63]

La grandezza di una persona dipende dalla sua disponibilità e capacità di condividere; solo nel farsi piccola, nel partecipare al tutto, la persona diventa grande.

Paolo ha espresso questo fatto con un formula meravigliosa, quando descrive la sua conversione e il suo battesimo dicendo: «Io vivo, ma non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me» (Gal 2,20).
L’essere cristiani significa essenzialmente conversione, e conversione in senso cristiano non è il cambiamento di alcune idee, ma un morire a se stessi: i confini dell’io vengono spezzati, l’io perde se stesso per ritrovarsi in un soggetto più grande che abbraccia il cielo e la terra, il passato, il presente e il futuro e che, per questo, tocca la verità stessa.
Questo «io eppure non più io» è l’alternativa cristiana al nirvana. Potremmo anche dire: lo Spirito Santo è questa alternativa. È la forza dell’apertura e della fusione in quel nuovo soggetto che noi chiamiamo Corpo di Cristo o Chiesa.
Inoltre qui si vede che questo convenire insieme non è un processo facile. Senza il coraggio della conversione, del lasciarsi dischiudere come il seme di grano, non può avvenire. Lo Spirito Santo è fuoco; chi non vuole essere arso, è meglio che non gli si avvicini. Ma deve anche sapere che in tal modo precipita nella solitudine mortale dell’io chiuso in se stesso e che ogni forma di comunione che viene tentata scansando questo fuoco alla fine non è che passatempo e vuota apparenza. «Chi è vicino a me, è vicino al fuoco», suona un detto apocrifo di Gesù tramandatoci da Origene; esso ci richiama in maniera inimitabile lo strettissimo rapporto che intercorre tra Cristo, Spirito Santo e Chiesa.

Permettetemi di concludere con una parola di san Giovanni Crisostomo che va in questa stessa direzione. Si ricollega a un passaggio degli Atti degli Apostoli in cui si racconta della guarigione di un paralitico operata a Listra da Paolo e Barnaba. La folla eccitata aveva scambiato quei due strani individui, dotati di tale potere, per un’apparizione degli dei Zeus e Ermes, aveva chiamato i sacerdoti e avrebbe voluto offrire in sacrificio dei tori. Ma i due, indignati, si erano rivolti alla folla a, gridando: noi siamo esseri umani, mortali come [64] voi, venuti a portarvi il vangelo (cfr. At 14,8-18).
In proposito Crisostomo osserva: giusto, erano uomini come gli altri, eppure erano diversi da loro, poiché alla natura umana era stata aggiunta una lingua di fuoco. Così nasce la Chiesa. Essa è data a ciascuno in maniera del tutto personale, così che ciascuno è cristiano proprio in quanto è questa determinata persona, in un modo unico e irripetibile. Ha il «suo Spirito», la sua lingua di fuoco, tanto che nel saluto liturgico noi ci rivolgiamo a questo spirito dell’altro e diciamo: «e con il tuo spirito». Lo Spirito Santo è divenuto il suo Spirito, la sua lingua di fuoco. Ma poiché egli è l’Uno, attraverso di lui possiamo rivolgerci l’uno all’altro, formare insieme l’unica Chiesa.

All’essere uomo è stata aggiunta una lingua di fuoco: oggi dobbiamo correggere questa espressione. Il fuoco non è qualcosa che si possa semplicemente aggiungere all’altro e che poi sussiste accanto a lui. Il fuoco brucia e trasforma. La fede è una lingua di fuoco che ci brucia e ci fonde, così che sia sempre più vero: «io eppure non più io».
Certo, chi incontra il cristiano medio di oggi deve chiedersi: dove è finita la lingua di fuoco? Purtroppo quel che esce dalla bocca dei cristiani è spesso tutt’altro che fuoco. Ha piuttosto un sapore di acqua stagnante, appena tiepida, né calda né fredda. Non vogliamo bruciare noi stessi e neppure gli altri, ma in questo modo ci teniamo distanti dallo Spirito Santo, e la fede cristiana si riduce a una visione del mondo costruita a nostra misura, col proposito di non ledere possibilmente in nulla le nostre comodità, risparmiando il vigore della protesta per le questioni che a stento possono disturbarci nelle nostre abitudini di vita.

Dove scansiamo il fuoco ardente dello Spirito Santo, l’essere cristiani diventa comodo solo a prima vista. La comodità del singolo è disagio del tutto. Dove non ci esponiamo più al fuoco di Dio, gli attriti si fanno insopportabili, e la Chiesa, per usare l’espressione di Basilio, finisce per essere dilaniata dalle grida e discussioni di parte. Solo se non temiamo la lingua di fuoco e la tempesta che essa porta con sé, la Chiesa diventa icona dello Spirito Santo. E solo allora [65] essa apre il mondo alla luce di Dio.
La Chiesa ha avuto inizio quando i discepoli unanimi si sono raccolti nel Cenacolo e hanno pregato. Ed è in questo modo che essa ha inizio sempre di nuovo. Nella preghiera allo Spirito Santo dobbiamo riconvocarla di nuovo, giorno per giorno. [66]

Pubblicato da Scritti di Joseph Ratzinger
scrittidijosephratzinger.blogspot.it/2013/05/il-rapporto-tra-lo-spirito-santo-e...

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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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