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Card. Bagnasco spiega: Giustizia e Misericordia e il ruolo dei MEDIA

Ultimo Aggiornamento: 23/09/2013 18:17
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29/11/2008 21:34
 
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Il presidente della Conferenza episcopale italiana e il presidente della Corte costituzionale italiana a confronto
Due virtù che zoppicano
se non camminano a braccetto

Il 24 novembre, nella Sala del Quadrivium a Genova si è tenuto un incontro sul tema "Giustizia e misericordia", primo appuntamento cittadino di un ciclo di conferenze intitolato "Gratuità senza frontiere". Sono intervenuti il cardinale arcivescovo metropolita della diocesi e il nuovo presidente della Consulta italiana, al quale il porporato ha rivolto le sue congratulazioni per la recente nomina. Pubblichiamo stralci delle due relazioni.

del card. Angelo Bagnasco

La convinzione a cui è pervenuta la Chiesa, confrontando quanto ha visto accadere lungo i suoi duemila anni di storia con la rivelazione biblica, è che (...) non si ristabiliscono l'ordine e l'armonia infranti, se non coniugando fra loro giustizia e misericordia. Ripeto: coniugandole tra loro. Sarebbe infatti un vero delitto se, nelle circostanze attuali, a fronte delle divisioni che attraversano l'umanità e i singoli paesi, come a fronte delle rivalità che contrappongono le tribù, le famiglie e le persone, si concludesse che parlare di giustizia e misericordia è del tutto inutile. Io credo invece che nonostante le difficoltà che talune situazioni presentano, si possa e si debba parlarne. Soprattutto che si debba farlo quando si ha chiaro che giustizia e misericordia non sono parole tra loro alternative, e non indicano prospettive tra loro opposte. Come se appartenessero a due sfere non comunicanti, proprio come una certa sensibilità odierna vorrebbe oggi il rapporto tra laicità e fede. Diceva Giovanni Paolo ii, nella sua fondamentale enciclica Dives in misericordia, che "sarebbe difficile non avvedersi che molto spesso i programmi che prendono avvio dall'idea di giustizia e che debbono servire alla sua attuazione nella convivenza degli uomini, dei gruppi e delle società umane, in pratica subiscono deformazioni. Benché essi continuino a richiamarsi alla medesima idea di giustizia, tuttavia l'esperienza dimostra che sulla giustizia hanno preso il sopravvento altre forze negative, quali il rancore, l'odio e persino la crudeltà" (n. 12). In effetti, l'esperienza del passato come quella del nostro tempo dimostrano che la giustizia umana è sempre fragile e imperfetta, esposta com'è ai limiti e ai condizionamenti personali o di gruppo, e dunque va esercitata e in un certo senso supportata dalla misericordia, che è la forma interiore dell'amore. Anzi, precisa sempre Giovanni Paolo ii, diventa "più palese che l'amore si trasforma in misericordia quando occorre oltrepassare la precisa norma della giustizia: precisa e spesso troppo ristretta" (ibidem, n. 5).



Quella del rapporto tra giustizia e misericordia è una questione antica, che segna fin dalle origini lo svolgersi della civiltà occidentale. E che si è affacciata, puntualmente, tutte le volte che il pensiero ha tentato di mettere ordine tra polarità tendenzialmente avversarie, come tra libertà personale e ordine sociale, tra colpa e pena, tra recupero e riscatto. In questo sforzo speculativo così vivo nel mondo greco - da Socrate ad Aristotele e Platone - e in quello romano - da Cicerone a Seneca a Marco Aurelio - il cristianesimo si inserisce proponendo una sintesi audace, nuova pur accogliendo molti spunti della classicità, e che segnerà la storia successiva. Sintesi in cui l'ordo iustitiae e l'ordo amoris sono distinti e contemporaneamente si compenetrano profondamente tra loro.

Giustizia e misericordia, con l'annuncio cristiano, smettono definitivamente di essere alternative e diventano virtù che non solo si richiamano vicendevolmente, ma non possono più fare a meno l'una dell'altra. "La misericordia senza giustizia è madre della dissoluzione", dirà san Tommaso, aggiungendo che "la giustizia senza misericordia è crudeltà". Un rapporto simbiotico in cui però la dignità della persona è la bussola decisiva, deputata a conferire alla giustizia il suo vero dinamismo, il suo vero valore, spingendo la giustizia stessa verso mete sempre più alte che, trovando completamento nella misericordia, rendono il cammino dell'umanità sempre più confacente all'immagine di Dio impressa nel volto umano.
"Chi ama, rifiuta l'ingiustizia e la verità è la sua gioia" ammonisce san Paolo (1 Corinzi, 13, 6). La vera misericordia infatti domanda prima di tutto giustizia, base necessaria della vita sociale, dove deve regnare l'ordine del Bene. Chi vuole essere misericordioso deve anzitutto essere giusto e deve sentire riecheggiare dentro di sé quella "fame e sete di giustizia" di cui Gesù parla nel discorso della montagna. La misericordia deve produrre anzitutto la giustizia, se vuole compiere il suo vero corso. Per questo la misericordia non si oppone né creerà alibi alla giustizia, ma la contiene come sua espressione prima e come suo momento essenziale. Quindi, la ispira e la comanda, le dà anima e luce perché superi in meglio le proprie distinzioni rigide e formali.

Questa prospettiva trova la sua espressione più alta negli insegnamenti e nella vita stessa di Cristo. Il Signore, in numerosi passi del Vangelo, pur manifestando quello che oggi chiameremmo "rispetto delle istituzioni" e delle leggi dell'epoca, allo stesso tempo indica la via per una giustizia superiore, che oltrepassa quella angusta e psicologica, trasfigurandola. E lo fa fino all'ultimo respiro. Torturato, oltraggiato e messo in croce proprio dai rappresentanti della legge, viene implorato solo dal "ladrone", da un criminale. Ma sarà proprio il "ladrone" - forse un assassino - per quel suo gesto di umiltà e di pentimento, a meritare per primo il Paradiso. Realizzazione effettiva di quello che Gesù stesso aveva predetto a una casta che si riteneva per antonomasia onesta e osservante della legge - e formalmente lo era: "I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel Regno di Dio" (Matteo, 21, 31).

Il mirabile equilibrio tra legge e amore, tra giustizia e misericordia, non è mai stato, dicevamo, un dato acquisito pacificamente. Piuttosto, è stato un depositum che la Chiesa ha cercato di conservare e riproporre continuamente alla luce delle acquisizioni del tempo, e di una sempre maggiore consapevolezza di sé che l'uomo va guadagnando attraverso le generazioni.
Pensiamo, per fare un nome, a sant'Agostino e a quella che è stata la monumentale elaborazione del De civitate Dei, dove il vescovo di Ippona mostra - in particolare nel capitolo XIX, sulla "vera giustizia" - con impareggiabile efficacia la profondità del rapporto fra giustizia e misericordia, che nella visione cristiana allude al mistero del rapporto fra Città dell'uomo e Città di Dio.

Ma per venire più direttamente a noi e ai nostri anni, è interessante notare come gli ultimi Pontefici abbiano voluto darci indicazioni preziose proprio su questo tema, incastonandole nel loro insegnamento più rimarchevole. Pensiamo a che cosa ha rappresentato, nel pontificato di Paolo VI, la prospettiva della "Civiltà dell'Amore", quale ideale di vita proprio di chi intende compenetrare verità e carità, giustizia e misericordia. O pensiamo ancora per un istante a quello che è stato il nuovo significato che Giovanni Paolo ii ha inteso dare proprio alla parola misericordia, il cui significato vero e profondo "non consiste soltanto nello sguardo, fosse pure più penetrante e compassionevole, rivolto verso il male morale, fisico o materiale. La misericordia si manifesta nel suo aspetto vero e proprio quando rivaluta e promuove e trae il bene da tutte le forme di male esistenti nel mondo e nell'uomo. Così intesa, essa costituisce il contenuto fondamentale del messaggio messianico di Cristo e la forza costitutiva della sua missione" (Dives in misericordia, n. 6). Non credo sia sbagliato dire che il Papa venuto dall'Est, conoscitore dei regimi gelidi e anti-umani che allora esistevano in quella parte del continente, abbia riabilitato la parola misericordia, sottraendola dal vocabolario pietistico, per consegnarla alla modernità come prospettiva convincente e plausibile.

Sulla stessa linea si pone anche Benedetto XVI, che ha intitolato significativamente un capitolo della sua prima enciclica, la Deus caritas est, proprio "Giustizia e carità". "Il giusto ordine della società e dello Stato - egli avverte - è compito centrale della politica. Uno Stato che non fosse retto secondo giustizia si ridurrebbe a una grande banda di ladri, come disse una volta Agostino", ricorda sempre il Papa (al n. 28). Per il quale, tuttavia, mai va dimenticato che "l'amore - caritas - sarà sempre necessario, anche nella società più giusta. Non c'è nessun ordinamento statale giusto che possa rendere superfluo il servizio dell'amore". Benedetto XVI fa presente come nel mondo, per quanto la politica faccia progredire a livelli sublimi la giustizia, ci sarà sempre sofferenza, ci sarà sempre solitudine, ci sarà sempre inadeguatezza rispetto alle attese del cuore umano. In altre parole, ci sarà sempre bisogno della carità che si traduce in condivisione e misericordia. "Lo Stato che vuole provvedere a tutto, che assorbe tutto in sé, diventa in definitiva un'istanza burocratica che non può assicurare l'essenziale di cui l'uomo sofferente, ogni uomo, ha bisogno: l'amorevole dedizione personale" (ibidem, n. 28).

Non è questione dunque solo di interstizi da raggiungere e da coprire, ma di intelligenza e di finalizzazione dell'azione pubblica, nel suo porsi come atto di giustizia. La convinzione comune, secondo la quale strutture finalmente giuste renderebbero superfluo qualunque impeto di misericordia, nasconde, per il Papa, "una concezione materialistica dell'uomo: il pregiudizio secondo cui l'uomo vivrebbe "di solo pane" (Matteo, 4, 4) - convinzione che umilia l'uomo e disconosce proprio ciò che è più specificamente umano" (ivi).

Un richiamo, quest'ultimo, che suona particolarmente prezioso in un momento storico in cui si rischia di schiacciare l'esercizio della misericordia addosso alla Chiesa, illudendosi che lo Stato da solo, in base a una concezione prometeica della laicità, riesca a raggiungere la perfezione della giustizia. Sarebbe una fatale illusione. Giustizia e misericordia o camminano a braccetto, preparando l'una il passo all'altra, o entrambe zoppicano, annaspando nella nebbia.


(©L'Osservatore Romano - 30 novembre 2008)
[Modificato da Caterina63 05/10/2009 08:13]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Riceviamo e con grande piacere e gratitudine pubblichiamo:

I Media e il Papa: un anno difficile

Saluto e ringrazio Sua Eminenza il Cardinale Presidente e tutti i Confratelli nell’Episcopato per l’invito a illustrare questo significativo tema: “I Media e il Papa: un anno difficile”.

Si tratta di un tema complesso e assai rilevante, considerata l’importanza assunta nell’odierna società globalizzata dai mezzi di comunicazione e i rischi connessi a un loro uso distorto, soprattutto oggi che, “in modo sempre più marcato, la comunicazione sembra avere talora la pretesa non solo di rappresentare la realtà, ma di determinarla grazie al potere e alla forza di suggestione che possiede” (Benedetto XVI, Messaggio per la 42° Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, 24 gennaio 2008).
In base all’analisi dell’esperienza italiana, che offre un punto di osservazione per molti aspetti privilegiato, si può affermare che in un primo periodo la rappresentazione mediatica del pontificato di Benedetto XVI è stata nel complesso adeguata e sostanzialmente positiva.

Le perplessità di qualche commentatore, legate per lo più alla proiezione sul nuovo Pontefice degli stereotipi non sempre del tutto positivi riferiti al cardinale Ratzinger ovvero alla sua presunta scarsa capacità comunicativa, sono state ben presto superate o comunque ridimensionate da un giudizio più attento ai contenuti del magistero, e dal riconoscimento della particolare attrattiva esercitata dal Papa sulle folle nonostante il suo stile volutamente sobrio, incentrato sulla parola più che sui gesti.
Questa attrattiva è stata alimentata da alcuni grandi eventi che si sono imposti dal punto di vista mediatico, come ad esempio la visita alla sinagoga di Colonia, compiuta durante il primo viaggio in Germania, il 19 agosto 2005, oppure la visita al campo di concentramento di Auschwitz–Birkenau, compiuta in occasione del viaggio in Polonia, il 28 maggio 2006 o ancora la visita alla Moschea Blu di Istanbul, compiuta durante il viaggio in Turchia, il 30 novembre 2006, o infine la lectio magistralis all’Università di Regensburg del 12 settembre 2006.

Oltre a questi eventi di notevole impatto, l’attenzione dei media è stata catalizzata dagli interventi di Benedetto XVI sui cosiddetti “principi non negoziabili” o sulle radici cristiane dell’Europa, cha hanno suscitato un vivace dibattito nell’opinione pubblica dei principali paesi europei.
Una minore considerazione è stata invece riservata a taluni incontri densi di significato per la vita ordinaria della Chiesa, come le visite alle parrocchie di Roma, i colloqui con i gruppi e le catechesi del mercoledì, che in realtà rappresentano spesso l’occasione per un’attività di predicazione e testimonianza da parte del Papa che meriterebbe ben altro rilievo e approfondimento.
Si avverte qui il rischio, emerso già a partire dal secondo anno di pontificato e via via accentuatosi, di una rappresentazione mediatica riduttiva, che tende a sottodimensionare il Papa testimone e predicatore del Vangelo e a sovrarappresentare il Papa intellettuale e politico, a enfatizzare gli interventi ritenuti potenzialmente conflittuali, giudicati più utili a fare notizia, e a trascurare alcuni temi di fondo che rivelano le priorità del Pontificato.

Queste ben note priorità possono essere brevemente richiamate.

La prima é rappresentata da Dio stesso, dal rapporto con Lui e dalla fede in Lui tramite il Signore Gesù Cristo che lo ha rivelato a noi. In questa prospettiva si può parlare anche di una priorità “cristologica”, manifestata in particolare nel libro Gesù di Nazaret, che spinge Benedetto XVI a riaffermare con forza che Gesù Cristo è la via a Dio Padre, il nostro unico salvatore, la vera sostanza della fede cristiana.

La Chiesa deve rendere Dio presente in questo mondo e aprire agli uomini l’accesso a Dio. Questa missione si realizza anzitutto attraverso la preghiera, personale e liturgica, e richiede di avere a cuore l’unità dei credenti: sono queste, la preghiera e l’unità dei credenti, ulteriori priorità dell’attuale pontificato che coinvolgono tutti, ciascuno per la propria responsabilità.

Un’ultima priorità che pare qui opportuno richiamare riguarda la chiarificazione di un autentico concetto di libertà, necessaria per la vita della persona e per il bene della società. A questo proposito Benedetto XVI, rifiutando ogni etica e concezione riferibili a quella che ha definito come “dittatura del relativismo”, sottolinea che la libertà della persona è per sua natura relazionale e non può escludere la responsabilità verso l’altro. La libertà è tale, si può osservare, solo in relazione con il valore indisponibile di ogni vita, della pace, della giustizia, della solidarietà e di tutti i beni umani fondamentali al cui apprezzamento e rispetto essa peraltro ha bisogno di essere educata.

Se si ignora o trascura questo quadro di priorità nel quale si collocano i diversi interventi del Pontefice è difficile evitare rappresentazioni parziali e fuorvianti, critiche ideologiche e preconcette, letture volte a far dire al Papa ciò che egli con tutta evidenza non dice, fino ad alimentare persino forme di ostracismo estranee alla dialettica democratica.

Rientrano in questa tipo di deriva mediatica alcuni recenti polemiche, come ad esempio quelle conseguenti al celebre discorso di Ratisbona, al Motu proprio che consente l’uso della liturgia preconciliare, o alla remissione della scomunica ai quattro vescovi lefebvriani, o ai chiarimenti circa la natura del dialogo interreligioso, o alle considerazioni sui limiti dell’uso dei preservativi svolte nel corso del viaggio in Africa.

In tutti questi casi, una rappresentazione corretta avrebbe consentito di superare i fraintendimenti e di chiarire l’effettiva portata di interventi che, lungi dal giustificare talune aspre critiche ch si sono registrate, in realtà sviluppano coerentemente alcune linee guida del pontificato e le priorità sopra richiamate.
É stata invece preferita una lettura parziale e non di rado francamente scorretta, che induce a domandarsi se in alcune componenti della cultura e dei mezzi di informazione non si stia facendo strada un anticlericalismo interessato a nascondere il vero volto della Chiesa e a distorcere il significato del suo messaggio, così che questo risuoni come incoerente o anacronistico e la Chiesa appaia animata solo dalla volontà «di alzare muri e scavare fossati», soprattutto in materia di etica. Sarebbe questa la Chiesa dei «no», nemica dell’uomo e indifferente ai suoi bisogni, oscurantista e contraria alla razionalità scientifica.

In realtà, segnalare i rischi che la mancanza del rispetto incondizionato per l’essere umano può comportare per la dignità dell’uomo non è certamente segno né di ostilità verso la scienza né di ottusa resistenza verso il moderno; è compito della Chiesa segnalarli, la loro segnalazione è piuttosto un sintomo di sollecitudine e di amicizia: l’amico non può non segnalare un pericolo.

Il più della Chiesa è condensabile nel grande «sì» con cui risponde all’amore del Signore indicando Lui a tutti. Per questo parla principalmente di Dio e della vita eterna, destinata cioè a non finire. Parla di speranza e di felicità. Alcuni «no», che ad un certo punto la Chiesa reputa di dover dire, sono il risvolto esatto di un’etica del «sì», e ancora più a fondo di un’etica dell’amore, in nome della quale non si può, per ottenere un facile quanto effimero consenso, scambiare, a danno di chicchessia, il male per il bene.
Si vorrebbe forse da parte di taluni ambienti una Chiesa o supinamente allineata sull’opinione che si autoproclama prevalente e progressista, o semplicemente muta. Le linee di demarcazione chiare, che impongono scelte a volte laceranti per le coscienze e quasi sempre non facili, non sono certamente in sintonia con un mondo dove la relatività (o il relativismo) dell’etica e della morale sottrae la scelta alla coscienza per consegnarla in un limbo dove tutto è al di là del bene e del male.

Tuttavia, la Chiesa non può venire meno alla propria missione. Esprimere liberamente la propria fede, partecipare in nome del Vangelo al dibattito pubblico, portare serenamente il proprio contributo nella formazione degli orientamenti politico-legislativi accettando sempre le decisioni prese dalla maggioranza non può essere scambiato per una minaccia alla laicità dello Stato.

La Chiesa non vuole imporre a nessuno la propria morale “religiosa”: essa enuncia da sempre e non può non enunciare – insieme a principi tipicamente religiosi – i valori fondamentali che definiscono la persona e ne garantiscono la dignità, senza alimentare polemiche ma privilegiando sempre il metodo del confronto sereno e costruttivo e la ricerca del bene comune.

Un ruolo essenziale per la conoscenza e la diffusione di tali valori, richiamati con esemplare chiarezza dal magistero di Benedetto XVI, spetta oggi ai mezzi di comunicazione. Si può auspicare che nell’esercizio di un compito così delicato prevalgano sempre le ragioni e i criteri di una responsabilità deontologica che, se non esclude la possibilità di critiche fondate e costruttive, tuttavia trova la propria ultima verifica nella capacità di contribuire alla conoscenza e alla ricerca della verità.

Angelo Card. Bagnasco
Arcivescovo di Genova
Presidente della Conferenza Episcopale Italiana

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Qualche riflessione dal blog di Raffaella.

Concordo al cento per cento con il card. Bagnasco.
I media presentano in modo riduttivo il messaggio del Santo Padre: ignorano eventi importantissimi, trascurano gran parte del suo Magistero perche' evidentemente ancora ancorati al culto del gesto ad effetto.
Con Benedetto XVI c'e' da lavorare, da riflettere, da ponderare...
Vengono al contrario sottolineati gli elementi tesi a fare polemica.
Bene quindi il cardinale Bagnasco anche se avrei voluto leggere una certa autocritica da parte dei vescovi.
Spesso i media hanno buon gioco perche' la Chiesa non appare unita. Lo abbiamo visto con il Summorum Pontificum, con la revoca della scomunica ai lefebvriani, con il video della BBC, con la mancata visita alla Sapienza.
Piu' unita' e meno personalismi. In questo modo i media sarebbero costretti a far parlare i fatti e non i prelati di opposizione al Papa.
R.
Pubblicato da Raffaella



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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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 Aperti dal cardinale presidente Bagnasco
i lavori del Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana

Il virus dell'individualismo

Roma, 23. C'è un "virus" che si annida quasi indisturbato nel terreno accidentato della nostra epoca. E avvelena la vita, dei singoli come di interi popoli. È la "radice avvelenata" dell'"individualismo", che "corrompe con la promessa di una felicità maggiore" e finisce per avere "esiti disumani".

Come dimostrano anche recenti tragici fatti di cronaca, a partire dalla recrudescenza della violenza sulle donne, e, sullo scenario internazionale, i venti di guerra che soffiano in Siria e in tutto il Medio Oriente, e il dramma dell'immigrazione.

È quanto, in sintesi, mette in evidenza la prolusione con cui il cardinale arcivescovo di Genova, Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana (Cei), apre a Roma nel pomeriggio di oggi, lunedì 23, i lavori del Consiglio permanente dell'episcopato. Un intervento che prende spunto da "alcune suggestioni" fornite dal magistero di Papa Francesco, in particolare dall'esperienza ancora viva della Giornata mondiale della gioventù celebrata nel luglio scorso a Rio de Janeiro, e che poi approda a esaminare gli interrogativi che insistentemente pone la "frontiera della storia".
A cominciare dalla situazione italiana, dove quello dell'occupazione deve essere il "primo, urgentissimo obiettivo" che devono tenere a cuore i responsabili della cosa pubblica, e dove, anche per questo, "l'ora esige una sempre più intensa e stabile concentrazione di energie", così che "ogni atto irresponsabile" è destinato a passare al "giudizio della storia".



(L'Osservatore Romano 23-24 settembre 2013)

[SM=g1740733] ricordiamo il Messaggio del Papa alla CEI di questi giorni, cliccando qui


[Modificato da Caterina63 23/09/2013 18:17]
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