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Sollicitudini nostrae - Benedetto XIV 1745 sulle immagini della SSma Trinità

Ultimo Aggiornamento: 07/08/2021 10:57
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07/08/2021 10:55
 
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1° ottobre 1745
Benedetto XIV
Lettera «Sollicitudini nostrae»

Al venerabile fratello Giuseppe, Vescovo di Augusta,
il venerabile fratello Benedetto XIV Papa
Salute e apostolica benedizione

Era stato riferito qualche tempo fa alla nostra sollecitudine che nella città imperiale di Kaufbeuren, in cui convivono ortodossi e seguaci della confessione luterana, viveva una certa religiosa di nome Crescenzia, in odore di santità al punto da richiamare continuamente a sé ogni tipo di persone, alcune delle quali illustri per virtù e nascita. Di conseguenza, sapendo per esperienza ripetuta che spesso si adducono a giustificazione i vani fantasmi di una santità simulata e che perfino i direttori di anime li sostengono e li divulgano per fini loro propri, e a volte non del tutto retti, con una lettera diretta a te, fratello, in data 17 maggio dello scorso anno 1744, abbiamo affidato al tuo discernimento l'incarico di indagare sulla vita e i costumi della suddetta suor Crescenzia e di renderci meglio edotti sulla sua condotta, sia nel bene che nel male.

1. Nonostante che suor Crescenzia fosse morta prima dell'arrivo della nostra lettera e che si possa dire che con questo cessasse il mandato a te affidato, tuttavia hai ritenuto che fosse di tua competenza pastorale delegare per questo caso uomini seri e prudenti al fine di portare a compimento I'inchiesta sui costumi della defunta che ci auguravamo di compiere mentre essa era in vita.

2. Ed è così che gli Atti di questa inchiesta, e tutti i documenti pertinenti, ci furono inviati con una lettera scritta da te il 24 maggio scorso, lettera che abbiamo letto subito, e su cui abbiamo meditato. Quanto agli Atti e agli allegati, li abbiamo consegnati a degli esperti perché ne facessero un riassunto; per quanto lo permettevano gli altri impegni e le altre preoccupazioni che ci assillano, non abbiamo trascurato di confrontare questo riassunto con gli Atti e i documenti autentici.

3. In tutto l'incartamento, a dire il vero, non abbiamo trovato nulla che permetta di accusare la defunta suor Crescenzia di simulazione di santità. Ci è sembrato al contrario di capire, dalle parole stesse dei testimoni (supponendo che si possa accordare loro piena fiducia, e che non esista alcun valido motivo di sospettare che fossero stati in precedenza indotti a favorire la suddetta suora), che la sua vita sia stata rigorosamente conforme alla norma della rettitudine ed esente da peccati gravi. Tuttavia confessiamo francamente di non aver rilevato alcuna virtù eroica, alcun segno o miracolo compiuto da Dio onnipotente per sua intercessione.

4. Abbiamo capito dalla tua lettera, fratello carissimo, che non ti è sconosciuta l'opera da noi scritta su La Canonizzazione dei santi. Dopo aver ricoperto per più di vent' anni la carica di promotore della fede, abbiamo ritenuto opportuno dedicare ogni nostra cura all'elaborazione di quest'opera; non per ottenere l'elogio della nostra dottrina o la fama del nostro nome, ma per offrire un metodo sicuro e certo da seguire nella conduzione delle cause di beatificazione e canonizzazione, metodo che appariva in qualche misura contorto e poco chiaro a causa della diversità dei pareri espressi da autori non abbastanza competenti nei problemi della Congregazione dei Sacri Riti; e perché fosse a tutti evidente con quanta prudenza e accuratezza la sede apostolica si è comportata nell'esame delle cause di questo tipo.

5. Seguendo dunque le regole esposte in quest'opera – regole che non furono decretate né inventate da noi, ma raccolte in base alla prassi della predetta Congregazione e pubblicate ad uso altrui –, potrai esserti reso conto che le cause di questo tipo vengono introdotte con il processo da istruire sotto l'autorità propria e ordinaria dei vescovi o di altri presuli ordinari. Tuttavia costoro non devono affrettarsi a chiedere l'istruzione di questi processi; devono invece lasciar passare un congruo lasso di tempo dopo la morte del servo o della serva di Dio su cui avranno giudicato opportuno condurre un'inchiesta relativa alle virtù o ai miracoli loro attribuiti; e non devono intraprendere nulla se non si è in presenza di una vera e legittima fama di virtù eroica o di un miracolo compiuto da Dio per l'intercessione o l'invocazione di questo servo di Dio. Nulla di più frequente, infatti, dopo la morte di un uomo o di una donna di fede, del sorgere, nel popolo, di una vasta reputazione di santità o di miracoli, soprattutto se taluni incentivano deliberatamente la diceria. Ma, quando non è fondata nella verità, questa reputazione finisce sempre o per languire col passar del tempo fino a spegnersi, oppure, anche quando gli artifici degli uomini continuano ad alimentarla, per essere finalmente confusa e demolita dai disegni manifesti della Sapienza divina. D'altronde, nell'istruzione di questi processi, si guardi soprattutto agli atti in articulo mortis: se non emerge nulla di rilevante, nulla che faccia spiccare la santità, tutte le altre ricerche risultano superflue. Inoltre, nel caso esistesse qualche documento scritto dal defunto o da qualcun altro dietro suo ordine e con il suo consenso, per non spendere inutilmente tempo e danaro nella istruttoria dei processi summenzionati, si cominci col passare al vaglio questi scritti, e si ricerchi attentamente se essi contengano qualcosa contro la verità della fede o l'integrità dei costumi, o se presentino qualche peregrina innovazione dottrinale estranea al senso comune e alla tradizione della Chiesa.

6. In verità, non pensiamo, caro fratello, che nel raccogliere la documentazione del processo che ci hai inoltrato tu avessi l'intenzione di metterti a promuovere quando che fosse la causa di beatificazione di suor Crescenzia. Abbiamo capito bene che lo scopo principale dell'inchiesta effettuata era quello di renderci edotti sui costumi della defunta religiosa e di informarci se meritava la qualifica di santità presunta. Ma dal momento che potrebbe facilmente accadere che i pii sentimenti di fervente affezione che ancora animano molte persone nei suoi confronti ti spingano a chiedere con insistenza l'apertura del processo, non abbiamo ritenuto inopportuno ricordarti tutto quanto precede e indicarti brevemente un criterio di azione più sicuro. Pensiamo infatti che sia assolutamente necessario sospendere le ricerche per un certo tempo e stare a vedere nel frattempo come si evolva il caso, se emerga qualche traccia di artificio e di macchinazione umana, e infine se ci siano tutte le condizioni richieste per l'apertura del processo utile ad istruire la sentenza di beatificazione.

7. Riteniamo inoltre che questa procedura meglio si adatti al caso in questione: prima di tutto perché da questa serie di testimonianze di recente raccolta da numerosi uomini e donne – come dicevamo prima – non traluce nessuna prova di virtù eroica né di miracoli, e nemmeno appare alcun fulgido segnale di santità nell'ora della morte di suor Crescenzia; in secondo luogo perché costei ha lasciato numerosi scritti che è necessario esaminare prima di tutto il resto. E anche quando vi fosse l'opportunità di procedere alla raccolta di documenti richiesti dal processo ordinario per l'apertura della causa di beatificazione, sembrerebbe comunque necessario farvi giungere da qui l'istruzione precisa da seguire affinché venga redatta correttamente, secondo i metodi stabiliti nella nostra opera prima citata, La Canonizzazione dei santi. Infatti nel suddetto processo che ci è stato presentato, e che è stato discusso per nostro ordine da persone assai competenti, è stato notato che i testimoni citati sono stati esaminati in gruppo e senza aver prima prestato giuramente, come sarebbe stato doveroso, e che, dal momento che non sono stati interrogati come si doveva, si sono limitati a deposizioni generiche, senza raccontare nulla di preciso in merito alle azioni peculiari della defunta suora.

8. Queste osservazioni dovrebbero bastare per quanto riguarda il resoconto, venerabile fratello, che ci hai fatto sull'inchiesta a te affidata; e la nostra lettera si fermerebbe qui se nella tua non avessi attirato la nostra attenzione su alcuni altri punti, il principale dei quali riguarda ciò che mi scrivi della stampa e dell' ampia diffusione di certe immagini che raffigurano lo Spirito Santo in forma di bel giovane, con la scritta: Veni Sancte Spiritus. E a proposito di queste immagini, dato che si sono subito moltiplicate e diffuse un po' dappertutto, ci sono due problemi soprattutto da chiarire: il primo, se è stata suor Crescenzia a crearle, diffonderle e approvarle; il secondo se (a prescindere dall'individuazione del loro autore) l'uso, la produzione e la venerazione di questo tipo di icone possono essere ammessi all'interno o all'esterno delle chiese.

9. Non ci occuperemo del primo problema, che lasciamo interamente a coloro che dovranno un giorno, forse, condurre l'inchiesta sulle virtù di suor Crescenzia, sia che si tratti dell' esame previo all' introduzione della sua causa di beatificazione, sia che, una volta avviata la causa, si tratti di valutare e approvare queste virtù.

10. Sul secondo problema, invece, la prima cosa da dire è che noi lodiamo e approviamo lo zelo apostolico con cui tu, fratello, hai ordinato di togliere e far scomparire le immagini di questo tipo diffuse qua e là, e apertamente esposte nel cenobio, nella chiesa, nel coro. E ti esortiamo – o meglio, in virtù dell'autorità di cui siamo rivestiti – ti ordiniamo di perseverare con fermezza e costanza nella decisione presa e di non permettere a nessun costo che icone di questo tipo possano ulteriormente proliferare; e se avrai saputo che in qualche parte ne rimangono, ti ordiniamo di farle sparire tutte e singolarmente, usando insieme le risorse dell' autorità e quelle della prudenza con cui, a tuo giudizio, si possa raggiungere, senza turbamenti né tumulti, lo scopo desiderato.

11. Non sfugge sicuramente a nessuno che sarebbe un errore empio, sacrilego e indegno della natura divina immaginarsi di poter rappresentare con dei colori il Dio Ottimo e Massimo, così com'è in sé. Non sarebbe possibile infatti dipingere e far vedere la sua immagine se non come quella di una sostanza materiale dotata di una figura corporea e di membra; e se qualcuno dovesse attribuire queste qualità alla natura divina, cadrebbe certamente nell'errore degli antropomorfiti.

12. Tuttavia Dio viene rappresentato nel modo e nella forma attraverso cui, come leggiamo nelle Sante Scritture, si è degnato apparire ai mortali. Sebbene ciò sia stato criticato ingiustamente da scrittori eterodossi, tra i quali abbiamo notato il vescovo Simone che sostiene nelle sue Institutiones Theologicae, l. 4, sez. 2, cap. 10, che non è lecito dipingere Dio, nemmeno nella forma in cui egli si diede da vedere agli uomini; e anche tra i nostri, Durando ritenne che il ricorso a simili immagini non fosse affatto conveniente; e Giovanni Hessels, altro scrittore cattolico, sembra condividere questa opinione nel cap. 65 del I.1 del suo Catechismo, dove dice che queste pitture sarebbero inoffensive se dovessero essere viste solo dai dotti, ma che, dovendo essere esposte agli occhi degli ignoranti e dei sapienti insieme, può capitare benissimo che esse forniscano agli incolti l'occasione di farsi un'idea sbagliata di Dio.

13. Tuttavia, in generale, i teologi cattolici insegnano diversamente a questo proposito. Nei suoi Theologica dogmata, l. 15, De Incarnatione, cap. 14, al t. VI delle sue Opere, Petau dimostra che è lecito dipingere Dio sotto la forma in cui abbiamo saputo che egli stesso si è lasciato vedere: «Con l'assenso comune dei cattolici si è consolidata l’opinione secondo cui Dio può essere certamente raffigurato nella misura in cui si è offerto visibilmente uomini sotto una qualche specie esteriore». Un dotto autore, Molanus, conferma questo modo di vedere nel cap. 3 del l. 2 della sua Historia Sacrarum Imaginum. Altri due teologi di chiara fama hanno perfettamente illustrato questo problema, cioè Suarez, nel Commento della III P. di san Tommaso, T.I, q. 25, a. 3, disp. 54, sez. 2, p. 793, e Valencia nel t. IV delle sue Opere, p. 384. A costoro bisogna aggiungere due cardinali di Santa Romana Chiesa, Bellarmino e Gotti, che abbiamo del resto citato nella nostra opera La Canonizzazione dei santi, l. 4, parte II, cap. 20, nr. 2.

14. Le immagini che rappresentano Dio in questo modo non sono affatto condannate dal sacro Concilio di Trento nella sua XXV sessione dedicata al Decreto sull'invocazione, la venerazione e le reliquie dei santi, e sulle immagini sacre; il Concilio tuttavia dà mandato ai vescovi di insegnare ai fedeli che attraverso pitture di questo genere il gregge di Cristo viene istruito e incoraggiato a «ricordare e meditare assiduamente gli articoli di fede». Quando dunque un semplice privato, a partire dal suo personale giudizio, ha osato riprovare l'uso di queste immagini, è stato condannato da una sentenza ecclesiastica, come segnala la XV delle proposizioni condannate il 7 dicembre 1690 dal nostro predecessore di felice memoria, papa Alessandro VIII, proposizione che enuncia: «È empio porre in un tempio cristiano un'immagine di Dio Padre assiso».

15. Infatti, poiché leggiamo nelle Sacre Lettere che Dio stesso si è dato a vedere sotto questa o quella forma, perché sarebbe proibito dipingerlo sotto queste stesse forme? «Se quindi sono permessi gli scritti a quelli che sanno leggere, anche se le Sacre Lettere sono tenute in somma venerazione, perché non si dovrebbero autorizzare anche le immagini?»: queste parole sono di Alfonso de Castro, al I. 8 del suo Adversus haereses. Il cardinale Richelieu sfruttò pienamente questo argomento nel suo Traité qui contient la méthode la plus facile pour convertir ceux qui se sont séparés de l'Eglise, l. 3, p. 439.

16. Una volta posti questi principi per nulla dubbi, sarà facile capire in che modo l'immagine dello Spirito Santo debba essere rappresentata dai pittori, e quali immagini dello Spirito debbano essere approvate e quali condannate. Nei santi Vangeli scritti dai beati Matteo, Marco e Luca, là dove viene raccontato il battesimo che Nostro Signore volle ricevere da Giovanni, si legge che il cielo si aprì e che lo Spirito Santo discese su di lui in sembianza corporea, come una colomba. La ragione di questo fatto viene mirabilmente spiegata da Dionigi di Alessandria nella sua lettera contro Paolo di Samosata, lettera che si trova nella Collezione dei Concili di Labbe, t. I, p. 867: «Perché dunque lo Spirito Santo discese in sembianza di colomba? Certamente per insegnarci che colui che l'inviò ricevette lui stesso colui che egli inviava. Come infatti Noè lasciò andare dall' arca una colomba, e poi lui stesso là ricevette, così in base a questa similitudine dobbiamo capire che lo Spirito Santo è coeterno a Cristo, e quanto egli aveva, Cristo ce l'ha donato, condividendolo ed effondendolo su ogni carne dei credenti perché egli è Dio e Signore, colui che divide con noi il suo Sangue e il suo Spirito».

17. Non è il caso qui di entrare nella controversia in corso tra i critici eruditi circa la natura di questa colomba. Ne abbiamo già discusso una volta nel nostro trattato De Festis Domini Nostri Iesu Christi, al paragrafo 54 dell'edizione di Padova. Questo trattato era già stato pubblicato quando siamo venuti a conoscenza di una nuova dissertazione su questo argomento nella serie dei Discursus Historico-Critici ad illustrationem veteris et novi Testamenti pubblicati a L'Aia (Typis Hagae Comitum), nell'anno 1737, p. 148.

18. Per quanto riguarda il problema presente, dal momento che lo Spirito Santo apparve un tempo visibilmente in sembianza di colomba, è certo sotto questa forma che la sua immagine deve essere dipinta. Su questo punto la disciplina della Chiesa antica conferisce la sua garanzia alla consuetudine dei nostri tempi. Ne dà testimonianza san Paolino, vescovo di Nola. Costui, all'inizio del V sec. d.C. in una lettera a Severo, descrivendo le pitture che esistevano già a quel tempo nella Basilica di S. Pietro, compose questi versi:

La Trinità splende di tutto il suo mistero:
Ecco il Cristo, in piedi, in forma di Agnello;
la voce del Padre tuona dal cielo,
e lo Spirito Santo scende attraverso la colomba.

19. Parimenti, nell'anno di Cristo 518, il clero e i monaci di Antiochia, in una supplica rivolta al patriarca Giovanni e al concilio convocato contro Severo così si esprimono: «Le colombe d'oro e d'argento raffiguranti lo Spirito Santo, e sospese al di sopra dei fonti battesimali e degli altari divini, sono state da lui confiscate tutte senza eccezione, sostenendo che non è lecito indicare lo Spirito Santo in forma di colomba» (Concili di Labbe, t.V, p. 159). Fu anche condannato, nel secondo concilio di Nicea, tenuto nell'anno del Signore 787, il catecumeno Xenaias che aveva osato sostenere che è illegittimo rappresentare lo Spirito Santo sotto la forma di una colomba: «Egli diceva, tra le altre cose, che è segno di anima puerile raffigurare nell'idolo della colomba lo Spirito Santo tre volte adorabile» come si può vedere nella Collezione dei Concili stampata a Parigi nel 1644 con il privilegio del Re, t. XVIII, p. 458, e nel cardinale Baronio, all'anno di Cristo 485.

20. Anche nell'opera italiana del senatore di Filippo Buonarroti, intitolata Osservazioni sopra alcuni frammenti di vasi antichi di vetro... , e che tratta dei vasi riportati alla luce dai cimiteri della Città, a p. 125 sono riprodotte numerose immagini dello Spirito Santo, che questi nobili frammenti dell'antichità sacra raffigurano in forma di colomba. Dunque, nella misura in cui dissidenti a noi più vicini, Calvino, Lutero, Zwingli, si accingono a ripetere l'errore di Severo appena riferito, a nessuno sfugge in che modo la Chiesa potrà giudicare i loro deliri. Possiamo vederne un'ampia confutazione in Gretser, al capitolo 9 del suo trattato De Imaginibus, riprodotto nel tomo dell'ultima edizione delle sue Opere.

21. Si legge inoltre nelle sacre pagine del Nuovo Testamento che dopo l'Ascensione di Cristo in cielo, mentre gli Apostoli e i discepoli erano riuniti insieme con Maria, la madre di Gesù, nel giorno solenne della Pentecoste, «apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro; ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo». Di questo mistero abbiamo ampiamente trattato nella nostra opera già citata, il De Festis Domini Iesu Christi, ai paragrafi 480 e seguenti dell' edizione di Padova. Al paragrafo 492 abbiamo insegnato che per rappresentare l'evento che la Chiesa celebra nella festa di Pentecoste «è permesso ai pittori raffigurare gli Apostoli con tutti coloro che erano riuniti nel cenacolo, come pure delle fiammelle di fuoco in forma di lingue che discendono dal cielo e piovono sopra le teste di tutti loro»; infatti è riportato al cap. 2 della storia sacra degli Atti degli Apostoli che lo Spirito Santo Paraclito manifestò agli uomini la sua venuta in questa circostanza con questo segno visibile. Di conseguenza, se qualcuno volesse dipingere questo stesso Spirito Santo al di fuori di questa circostanza, non potrebbe rappresentarlo altrimenti che sotto la forma di una colomba, come ha giustamente ricordato il dotto Ayala in un trattato che ha per titolo Pictor Cbristianus. Nel l. 2, cap. 3, nr. 7, egli infatti scrive: «Se si deve dipingere lo Spirito Santo, non lo si deve rappresentare altrimenti che sotto le sembianze con cui apparve certamente al Giordano, sembianze che il testo divino ci descrive con queste parole «E lo Spirito Santo scese come una colomba e venne su di lui». E nel Catechismo pubblicato secondo la volontà del sacro Concilio di Trento, a proposito del precetto del decalogo: «Non avrai altri dèi all'infuori di me», dove si tratta della rappresentazione delle Persone divine si leggono queste parole: «Le figure della colomba e delle lingue di fuoco, nel Vangelo e negli Atti degli Apostoli, simboleggiano le proprietà dello Spirito Santo, e non c'è bisogno di ulteriori spiegazioni perché è cosa nota a tutti».

22. Ma, si dirà, che se l'uso di rappresentare lo Spirito Santo sotto forma di colomba, lungi dall'essere blasfemo, è ammesso senza reticenze, questo potrebbe essere un argomento a favore della possibilità di rappresentarlo anche sotto l'aspetto di un bel giovane o di un uomo. Invece noi affermiamo che si può rispondere a buon diritto come segue. Dal momento che non è legittimo mostrare agli sguardi degli uomini l'immagine di una Persona divina se non in quella forma in cui questa Persona – secondo quanto riferiscono le Sacre Scritture – si degnò un tempo di mostrarsi loro, non ne deriva soltanto che è lecito dipingere lo Spirito Santo sotto la figura mistica delle lingue di fuoco che scendono sugli Apostoli il giorno di Pentecoste o sotto l'aspetto della colomba nelle altre circostanze, poiché l'uno e l'altro modo di dipingerlo sono fondati sul racconto del testo divino e sulla sua autorità, ma ne deriva anche correttamente che non è assolutamente lecito raffigurare lo Spirito Santo in forma di adolescente o di uomo, perché non si può trovare in alcuna parte delle Divine Scritture che egli sia apparso agli uomini sotto simili forme.

23. A questo argomento bisogna aggiungere l'autorità del sacrosanto Concilio di Trento che nel passo sopra citato proibisce di esporre agli occhi dei fedeli «qualsiasi immagine portatrice di un falso dogma o tale da offrire ai semplici l'occasione di un pericoloso errore»; e che in generale proibisce severamente di porre o far porre un'immagine insolita sia nelle chiese che in altri luoghi di qualunque tipo. Per tornare all'immagine di cui parliamo, oltre ad essere insolita, essa potrebbe anche far rinascere nell'animo di coloro che la guardano un errore empio e condannato dai Padri, cioè l'errore di coloro che affermarono che la Persona divina dello Spirito Santo ha assunto la natura dell'umana condizione. San Cirillo di Gerusalemme parla di costoro nella XVI delle sue Catechesi 1, e sant'Isidoro di Pelusio nel I. 1, ep. 243 2, e ancora l'Autore delle note sul primo concilio di Costantinopoli 3.

24. Abbiamo capito bene dalla tua lettera, fratello, che la forza di quest'argomentazione non è ignota a coloro che hanno intavolato un dibattito con te su questo problema. Essi ritennero tuttavia di potervi ovviare adducendo esempi di immagini che rappresentano la Santissima Trinità in sembianza di tre uomini attempati e ciascuno di aspetto identico. E questo ci offre l'occasione per una seconda disquisizione che consiste nell'esaminare se sia lecito dipingere la Santissima Trinità e, in caso affermativo, nel vedere quali immagini della Trinità siano condannate, quali non siano del tutto disapprovate e quali infine approvate e permesse; e quindi nell'esaminare se si può trarre da questo tipo di pitture qualche argomento suscettibile di dimostrare che l'immagine dello Spirito Santo in questione sia esente da vizio.

25. È d'altra parte opinione comune dei teologi che sia permesso dipingere la Santissima Trinità; opinione sostenuta con molti argomenti da Waldensis, Molanus, Catarino, Konrad Braun, Nicholas Sanders, Francisco Torres, Suárez, Vàzquez. Fa loro eco Théophile Raynaud nel suo libro intitolato Heteroclita Spiritualia Coelestium et Infernorum, p. 23 del t. XV delle sue Opere, scrivendo così: «Secondo l'uso della Chiesa, e secondo il consenso dei più autorevoli teologi, è lecito dipingere la Santissima Trinità», in un passo in cui peraltro contesta Durando, tra gli autori cattolici di parere contrario. Un certo de Thou, al I. 18, riproduce un decreto di cui afferma essere stato d'Espence l'autore: «Perché venga tolta l'effigie della Santa Trinità, in quanto è proibita dalle testimonianze della Sacra Scrittura, dei concili e degli antichi Padri»; e biasima il decano del Collegio teologico di Parigi, Nicolas Maillard, per aver ostacolato questo decreto. Ma Gretser confuta tutto quello che dice questo de Thou al riguardo nel Thuanus Pseudo-Theologus, a p. 57 del t. XVII dell'ultima edizione delle sue Opere pubblicata a Ratisbona. Cristiano Lupus, uomo di non comune erudizione, nelle sue Notae ad Canones septimae Synodi, d'accordo con la pia consuetudine di dipingere la Santissima Trinità, cerca di stabilire in che epoca essa fu introdotta; ma riconosce con franchezza di non essere riuscito a scoprirlo; cosa che anche noi abbiamo confessato con la stessa sincerità nel I. 4 de La Canonizzazione dei santi, parte II, cap. 20, nr. 3.

26. Tuttavia non è assolutamente permesso lasciare che i pittori rappresentino la Santissima Trinità sotto una qualsivoglia forma, a seconda del loro capriccio e della loro audacia; i nostri teologi concordano tutti su questo punto. Anzi ne sono una prova le invettive che hanno lanciato contro l'indisciplina degli artisti, un Vazquez, t. I, p. 676, o un cardinal Bellarmino, nel t. II delle sue Controversiae, cap. 8 (De Imaginibus Sanctorum), dove afferma: «Bisogna sottolineare che non si devono moltiplicare immagini di questo tipo né tollerare l'audacia dei pittori che creano di testa loro delle immagini della Trinità, come quando rappresentano per esempio un uomo con tre volti o a due teste con in mezzo la colomba: questi infatti sono evidentemente dei mostri e offendono di più con la loro deformità di quanto non aiutino con la loro somiglianza». Sylvius insegna la stessa cosa nel suo Commento della III P. di san Tommaso, q. 25, a. 3, q. 2, p. 111 del t. IV dell'edizione di Anversa del 1714.

27. Tra le immagini condannate della Santissima Trinità bisogna annoverare senza la minima esitazione quella contro cui se la prende per molti motivi Gerson nel t. III dell'edizione delle sue Opere di Anversa, del 1706, che egli dice di aver visto in una casa di regolari: la Vergine Deipara vi era rappresentata con nel seno la Trinità stessa, come se la Trinità intera avesse assunto umana carne dalla Vergine. Nella sua Historia Sacrarum Imaginum, al l. 2, cap. 4, Molanus aggiunge che non era riuscito a capire chiaramente ciò che aveva letto in Gerson fino al giorno in cui vide immagini simili della Santa Trinità poste in vari luoghi del Belgio; immagini che a sua volta dichiara di condannare e di riprovare.

28. Quanto alla figura costituita da un corpo umano a tre teste, Valencia ha tentato di difenderla, dichiarandola adatta a rappresentare la Santissima Trinità, nel t. II delle sue Opere, p. 389. Ma immagini siffatte furono oggetto di una condanna solenne da parte del nostro predecessore di felice memoria, papa Urbano VIII, come raccontano Magri nel suo Vocabularium Ecclesiasticum alla parola «Icona» e Monsignor Sarnelli nelle sue Lettere Ecclesiastiche, al t. IV, ep. 13. Essi attestano che il suddetto Urbano diede l'ordine di bruciare certe pitture che mostravano la Santissima Trinità sotto l'aspetto di un uomo con un triplice volto: l'ordine fu eseguito «l'11 agosto 1628». Ma molto prima di Urbano e di Bellarmino, sant'Antonino scriveva nella sua Summa Theologica, parte III, tit. 8, cap. 4, al par. 11: «Sono da condannare – si riferisce ai pittori – anche quando dipingono cose contro la fede, come per esempio l'immagine della Trinità con una Persona a tre teste, cosa che è un mostro in natura».

29. Dobbiamo vedere ora che cosa bisogna pensare dell'immagine che mostra la Santissima Trinità come Tre Persone in tutto identiche per statura, età e ogni altro lineamento. Thomas Waldensis, nel t. III delle sue Opere, tit. 19, De Sacramentalibus, cap. 151, non esita ad approvare una simile pittura. E non dissente nemmeno Molanus, nella sua Historia Sacrarum Imaginum, l. 2, cap. 3. Ma Ayala, nella sua opera già citata, Pictor Christianus, l. 2, cap. 3, nr. 8, sembra inclinare per una diversa valutazione: «Abbiamo osservato da qualche parte un altro modo di dipingere la Santissima Trinità: sul quadro erano rappresentati tre uomini con i volti assolutamente identici, esattamente della stessa statura e uguali anche nei colori, nelle vesti e nei lineamenti. Questo non è poi tanto assurdo, senza tuttavia essere del tutto irreprensibile; sebbene infatti in questo modo si mantenga nella rappresentazione l'uguaglianza e la coeternità delle Persone divine, non si esprime però il carattere, e la nozione, se così possiamo dire, della Persona divina; senza contare inoltre che in queste cose, che sono per loro dignità gravissime, va evitata e rifuggita qualsiasi novità».

30. Vagliando con un po' più di accuratezza i rispettivi fondamenti di queste diverse opinioni, notiamo che il parere di Waldensis si fonda sull'apparizione fatta ad Abramo e riportata nella Genesi, cap. 18, con queste parole: «Il Signore apparve a lui alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all'ingresso della tenda nell'ora più calda del giorno»; e immediatamente dopo: «Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide, corse loro incontro dall'ingresso della tenda e si prostrò fino a terra». Possiamo poi notare che Abramo si rivolge a uno solo: «Ed egli disse: mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passar oltre senza fermarti dal tuo servo»; e a sua volta, è uno solo che risponde ad Abramo: «Ma il Signore disse ad Abramo... ». Per questo motivo sant'Agostino, nel l. 2 del De Trinitate, cap. 20, p. 784 del t.. VIII dell'edizione dei Maurini, vede in questa apparizione l'immagine della Santissima Trinità e scrive: «Dal momento che sono tre uomini, e che nessuno di loro fu detto superiore agli altri per aspetto, età o potere, perché non dovremmo riconoscere, visibilmente espressa per mezzo di una creatura visibile, l'uguaglianza della Trinità, e nelle tre Persone la stessa ed unica sostanza?». L'opinione di sant'Agostino è stata accolta da Ruperto, l. 5, cap. 37 dei Commentaria in Genesim, da Suárez, De Angelis, l. 6, cap. 20, nrr. 10 e ss., da Cornelio a Lapide e Duhamel nei loro commenti al medesimo cap. 18 della Genesi, e da altri ancora.

31. Ci sono alcuni tuttavia che non accolgono questa interpretazione del santo Dottore. Lasciamo perdere l'opinione degli ebrei: essi credono che i tre visti da Abramo altri non fossero che gli angeli Michele, Gabriele e Raffaele; il primo, portatore dei decreti di Dio, sarebbe venuto per indagare sui crimini di Sodoma e per stabilire il giusto supplizio alla città incriminata; gli altri due, su ordine del primo, avrebbero distrutto la città e quindi liberato Lot, com'è raccontato nel capitolo seguente, cioè il 19 dello stesso libro della Genesi. Tostado e Tirinus, riportando questa opinione degli ebrei manifestano che sono propensi a credervi, come ci si può rendere conto dai loro commenti del capitolo precedente della Genesi, il 18. Non sono certo pochi i santi Padri che ritennero che due dei tre apparsi ad Abramo fossero angeli, mentre il terzo era il Figlio di Dio, cioè la Seconda Persona della Santa Trinità. Questa interpretazione, sostenuta da un numero importante di commentatori, secondo Augustin Calmet è stata adottata dalla Chiesa stessa; egli trae questa conclusione da quelle parole che, pur non essendo contenute nel sacro testo, si leggono tuttavia nel Breviario: Tres vidit, et unum adoravit. Si veda ciò che ne dice Calmet nel suo Commento alla Genesi, cap. 18 e, su questo stesso passo biblico, al XVII dei Discursus HistoricoCritici Theologico-Morales in Vetus et Novum Testamentum, pubblicati ad Anversa nel 1736, al tomo II.

32. Dunque, le immagini della Santissima Trinità che sono comunemente approvate e che si possono permettere con sicurezza sono le seguenti. O quelle che mostrano la Persona di Dio Padre sotto forma di un vecchio, desunta da Daniele, cap. 7, v. 9: «L'Antico dei Giorni si sedette» con nel suo seno il Figlio Unigenito, Cristo Dio e Uomo, e tra loro due lo Spirito Santo Paraclito sotto l’aspetto di una colomba. Oppure quelle che rappresentano due Persone separate da un piccolo spazio: una di queste in forma di uomo più vecchio, evidentemente il Padre, l'altra il Cristo, e in mezzo a loro lo Spirito Santo in forma di colomba come prima: «Le immagini della Trinità approvate dalla Chiesa sono dunque quelle che presentano Dio Padre sotto la forma di uomo attempato, nel seno del quale si trova Cristo e tra di loro lo Spirito Santo in forma di colomba; oppure quelle che rappresentano da una parte Dio Padre come un vecchio, dall'altra Cristo, ma tutti e due vicini, e tra di loro lo Spirito Santo in forma di colomba». Così si esprime il cardinale Capisucchi che, per anni, ha ricoperto in modo degno di elogi la carica di Maestro del Sacro Palazzo (Controversiae Theologicae, alla Controversia XXVI, De Cultu Sacrarum Imaginum, § 11, in fine). Si possono trovare conclusioni simili nella nostra opera già citata, La Canonizzazione dei santi, l. 4, parte II, cap. 20, nr. 3. E sebbene parlando del primo modo di rappresentare la Santissima Trinità, e specialmente dell'immagine che raffigura Cristo come morto nel seno del Padre, Molanus sembri dubitare che si possa approvare, sostenendo che non si legge da nessuna parte che Cristo sia mai apparso morto a qualcuno, è facile vedere quanto poco consistente sia una simile obiezione. Anche se è vero che non leggiamo da nessuna parte che si sia verificata un'apparizione del nostro Salvatore morto, resta tuttavia il fatto che egli è morto e spirò pubblicamente, sotto gli occhi di un innumerabile popolo. Perché dunque sarebbe proibito dipingerlo anche nel seno del Padre nell' aspetto con cui egli fu visto un tempo da tante migliaia di uomini a Gerusalemme? E perché non si potrebbe esporre questa immagine alla pubblica adorazione dei fedeli? Di conseguenza è facile risolvere il dubbio di Molanus, come nota Ayala (Pictor Christianus, l. 2, cap. 3, nr. 12).

33. Premesso tutto questo, poiché il miglior fondamento dell'immagine dello Spirito Santo in figura umana di giovane risiede nell'uso dei quadri (di cui si diceva) che mostrano la Santissima Trinità in tre Persone identiche per statura, fisionomia e lineamenti; e dato che la legittimità di questo uso si fonda sull'apparizione dei tre uomini fatta ad Abramo secondo il cap. 18 della Genesi, giova fare ora questo ragionamento. O l'uso di dipingere la Santissima Trinità mediante tre Persone del tutto simili è canonica e pacificamente accolta dalla Chiesa, e quindi anche l'interpretazione che vede nell'apparizione dei tre uomini ad Abramo un annuncio del mistero della Trinità è abbastanza sicura e fondata su solide ragioni; oppure, come pensano alcuni, l'uso di questi quadri non è canonico né approvato dalla Chiesa, e i fondamenti di una simile interpretazione sono fragili, come ritengono taluni autori citati sopra. Se l'uso dell'immagine ricordata non è canonico, e se l'interpretazione dell' apparizione nel senso del mistero della Trinità non è sicura né suffragata da solide prove, allora non è assolutamente permesso sostenere come cosa sicura, a partire da fondamenti così fragili e dubbi, che è lecito mostrare l'immagine dello Spirito Santo sotto la forma di un uomo o di un giovane.

34. Anche se l'uso di dipingere la Santissima Trinità in tre Persone uguali e simili fosse canonico, legittimo e approvato dalla Chiesa, anche se fosse assolutamente sicura l'opinione riportata secondo cui l'apparizione dei tre angeli ad Abramo abbia significato il mistero dell'adorabile Trinità, non si potrebbe inferire altra cosa che il carattere lecito e tollerabile del predetto modo di rappresentare la Trinità attraverso tre Uomini di uguale aspetto e simile volto; ma in nessun caso si potrebbe concludere a buon diritto da queste premesse che è lecito raffigurare lo Spirito Santo con volto umano, in figura di bel giovane, dipinto indipendentemente dalle altre due Persone. L'apparizione ad Abramo infatti non fu quella di un solo angelo, ma di tre; e in nessuna parte delle Sante Lettere viene raccontato che lo Spirito Santo si sarebbe mostrato agli uomini in forma di uomo o di giovane indipendentemente dagli altri due che rappresentano le altre due Persone della Trinità. Abbiamo già dimostrato che ogni singola Persona della Santissima Triade non può essere dipinta in altro modo che con l'aspetto in cui si è resa visibile agli uomini. Il Catechismo romano, nel passo già citato, insegna la stessa cosa con queste parole: «Nessuno pensi, di conseguenza, che è contrario alla religione o alla legge di Dio rappresentare una delle Persone della Trinità con quei segni che apparvero tanto nell' Antico che nel Nuovo Testamento».

35. In conclusione, l'immagine dello Spirito Santo di cui si tratta è insolita e inusitata nella Chiesa e, di conseguenza, assolutamente inaccettabile, conformemente allo spirito del sacro Concilio di Trento già citato e dei concili provinciali post-tridentini di cui Thiers ha raccolto i decreti nel suo trattato De Superstitione, t. I, l. 2, cap. 1, p. 214.

36. L'immagine della Santissima Trinità, del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, si dipinge rappresentando sia il Padre a fianco del Figlio, sia il Figlio nel seno del Padre e, insieme con loro, lo Spirito Santo sotto forma di colomba, come già abbiamo detto. Si può dipingere anche il Padre da solo, distinto dalle altre Persone, perché Adamo udì la voce del Signore Dio che passeggiava nel Paradiso (Gn 3); perché si mostrò a Giacobbe all'estremità della scala mistica (Gn 28,13); perché si fece vedere in modo mirabile a Mosè (Es 33,23); e a Isaia come un re che siede sul trono (Is 6,1); e a Daniele come un vecchio vestito di un abito bianco (Dn 7,9). Anche il Figlio eterno si può dipingere isolatamente dal Padre e dallo Spirito Santo, perché si è fatto uomo, ha vissuto tra gli uomini nei giorni della sua carne, e perché, anche dopo la sua risurrezione dai morti, si manifestò più di una volta agli Apostoli e ad altri. Viene rappresentato inchiodato alla croce che portò per noi: perfino l'empio Lutero pensava che non si possa far scomparire questa immagine del Crocifisso; ed Elisabetta, proclamata regina d'Inghilterra, figlia di Enrico VIII e di Anna Bolena, pur avendo dichiarato guerra alle immagini, volle tuttavia conservare il Crocifisso nella sua cappella reale, come si può constatare in Bossuet, già vescovo di Meaux, al t. II, p. 137 e 460 dell'edizione delle sue Opere pubblicata in francese a Venezia nel 1738. È consuetudine anche dipingere il Figlio in forma di agnello: la giustificazione di questa immagine è offerta dalla profezia di Isaia, dalla testimonianza del Battista, dalle parole degli Evangelisti, dall' Apocalisse dell' apostolo Giovanni e dalla Prima Lettera del beato Pietro. Per questo papa Adriano approva codesta immagine del nostro Salvatore nell'Epistola a Tarasio che fu letta nella II sessione del VII Concilio. Gli esempi più antichi di immagini di questo genere si trovano nei santi cimiteri e nelle basiliche della nostra Città di Roma. Infine lo Spirito Santo si dipinge sia discendente dal cielo sotto forma di lingue di fuoco il giorno della Pentecoste o, altre volte, sotto l’aspetto di colomba, allo stesso modo separatamente dalle altre Persone divine; perché è in queste forme che si verificarono le apparizioni ricordate dalla Scrittura. Da nessuna parte nelle Sacre Lettere si può trovare che la Terza Persona sia mai apparsa in somiglianza di uomo o di giovane senza la compagnia delle altre due Persone. La forza dell' argomento sopra esposto rimane quindi intatta: anche nel caso che i tre angeli apparsi ad Abramo fossero la rappresentazione della Trinità divina, non ne deriverebbe che lo Spirito Santo possa essere dipinto indipendentemente dalle altre due Persone sotto forma umana, sia di uomo sia di giovane.

37. Abbiamo voluto raccogliere tutti questi elementi dalle nostre ricerche private e sintetizzarli nella presente lettera a te, fratello, grazie alle poche ore ininterrotte che a stento ci restano per consultare la nostra biblioteca personale una volta regolati gli affari pubblici che sorgono da ogni parte, con lo scopo di confermare le misure da te prese per proibire queste immagini dello Spirito Santo e interrompere il loro uso e la loro circolazione. Non dubitiamo invero che, in virtù della reputazione altamente lodevole che ti sei meritato con l’eccellente gestione della tua carica apostolica, e in considerazione della gravità dei motivi su cui si fonda la condanna di simili immagini, l’obbedienza dovuta ai tuoi ordini ti sarà dimostrata da tutti. Ma se, per istigazione del nemico del genere umano, si dovesse verificare il contrario, sarà tuo dovere informarci di tutto; reputeremo allora di nostra competenza far intervenire l’autorità apostolica di cui siamo rivestiti per volontà divina, in modo che i refrattari siano puniti come meritano e vengano radicalmente eliminate consuetudini prave, contrarie alla disciplina della Chiesa e ai suoi usi stabiliti.

38. Non bisogna però passare sotto silenzio alcuni altri problemi che tu affronti nella tua lettera, cioè che sono diffusi e circolano numerosi ritratti della suddetta suor Crescenzia, corone di preghiere, grani di rosario, croci, scapolari, olio, polvere, acqua e anche mani dipinte o scolpite in legno, con il pollice inserito tra l'indice e il medio; molta gente semplice ritiene che queste croci e queste corone siano state benedette da Dio e provviste di indulgenze, che queste mani siano molto efficaci per scacciare i demoni – insieme con altre sciocchezze del genere messe in giro da coloro che si applicano a trarre profitti temporali dal commercio di queste superstizioni.

39. Dalla tua lettera capiamo perfettamente che tu hai abbastanza saggezza e prudenza per giudicare di queste cose come si deve; e sembra che non ci resti altro che esortarti, caro fratello, a persistere nella strada che hai intrapreso, non approvando gli stolti deliri di cui abbiamo parlato, ma togliendo loro ogni credito e ogni autorità.

40. Affinché però tu conosca, a proposito di casi simili il parere e il giudizio di questa sede apostolica – che sono in tutto in sintonia con il tuo giudizio e la tua decisione – vogliamo che tu sappia che è vissuta un tempo una pia serva di Dio chiamata Giovanna della Croce, celebre per grande fama di santità. La sua vita è stata scritta da Antonio Daza. Si raccontava nel popolo che grani di corone di preghiera sarebbero stati benedetti da Gesù Cristo per sua intercessione, e dotati di molte indulgenze. In verità le indulgenze di questo tipo sono state dichiarate apocrife da questa Santa Sede, come si può vedere nell'opera già citata di Thiers, De Superstitione, t. II, cap. 12, che riproduce anche il decreto emanato a questo proposito nel 1678 dalla Congregazione dei cardinali di Santa Romana Chiesa preposta alle sante indulgenze; vedi nello stesso t. II, cap. 12, p. 17 e ss., specialmente p. 25. Quando la causa di beatificazione di questa serva di Dio fu introdotta e in ragione dei suoi meriti preclari era così avanzata che gli uditori della Rota ne avevano già redatto il rapporto secondo la regola in vigore in quel tempo, e quando doveva essere ripresa dopo i decreti di papa Urbano VIII, questa causa fu rapidamente sepolta a motivo delle obiezioni sollevate a proposito dei famosi grani benedetti e delle pretese indulgenze ad essi associate, come mostra il decreto pontificio pubblicato nel 1664 e ritrascritto da noi ne La Canonizzazione dei santi, l. 2, cap. 36, al nr. 18 dell'edizione di Padova, a eccezione delle note che si trovano nei registri della Congregazione dei Sacri Riti, e che non abbiamo ritenuto opportuno introdurre in questo punto della nostra opera.

41. Potrai tuttavia vedere in questa opera, l. 2, cap. 8, nr. 3, il decreto del nostro predecessore papa Urbano V che proibiva che fossero distribuite medaglie coniate in onore di coloro che la Santa Sede non avesse ancora dichiarato degni di ricevere un culto di beato o di santo.

42. Per quanto riguarda specificamente l'espulsione dei demoni fuori dai corpi degli ossessi, tra i numerosi mezzi accettati dalla Chiesa a questo fine, il cui nutrito elenco è stato redatto con cura da Martin Delrio, Disquisitionum Magicarum, cap. 2, sez. 3, q. 3, non c'è posto per questo gesto scomposto e inverecondo espresso dalle mani menzionate sopra. In merito al problema se i demoni siano suscettibili di essere scacciati dai corpi posseduti per virtù di certe realtà naturali, anche noi ne abbiamo discusso nella nostra opera spesso citata, La Canonizzazione dei santi, l. 4, parte I, cap. 29, nr. 7, dove abbiamo adottato, come la maggior parte dei teologi, la risposta negativa. A quanti abbiamo citato in quell'occasione si può aggiungere Théophile Raynaud per il suo libro intitolato Theologia naturalis, al t. V delle sue Opere, p. 55, libro che abbiamo avuto l'occasione di vedere mentre stavamo dettando questa lettera.

43. Quando si tratta di esorcizzare degli energumeni è fondamentale discernere prima di tutto se colui di cui si afferma che è posseduto dal demonio lo sia davvero; quando si sarà stabilito che lo è davvero, l'ordinario scelga un sacerdote di provata pietà, di vita integra e colmo di saggezza; costui non si serva, per espellere il demonio, di quelle mani dipinte o scolpite né di inutili sciocchezze simili, ma segua scrupolosamente le regole prescritte nel Rituale romano. Dopo aver comunicato, in un libro da lui approvato, il metodo corretto e sicuro per esorcizzare, l'illustre vescovo di Milano san Carlo Borromeo proibì a chiunque, in occasione del quarto sinodo diocesano tenutosi nel 1574, al decreto 18, di usare in simile circostanza esorcismi, preghiere o riti diversi da quelli contenuti in questo libro: «Nulla venga da lui (cioè dall'esorcista) aggiunto, sottratto o mutato». Qualche tempo dopo, nell'anno del Signore 1614, il nostro predecessore di felice memoria, papa Paolo V, pubblicò il Rituale romano che contiene un capitolo speciale, De exorcizandis Obsessis. E il nostro predecessore di beata memoria, papa Clemente XI, in una lettera enciclica, in data 21 giugno 1710, richiese con grande rigore che nell'esorcismo nessuno si permetta di allontanarsi in alcuna parte dalla norma prescritta nel Rituale romano.

44. Per concludere, non potremo mai raccomandare e lodare abbastanza il tuo eccellente proposito, caro fratello. Secondo quanto ci scrivi, infatti, hai intenzione di impegnarti affinché, nel clero sottomesso al tuo governo, insieme con il culto della religione e della pietà, sia mantenuto e progressivamente sviluppato lo studio delle Sacre Scritture, aggiungendo alla teologia scolastica le discipline della storia ecclesiastica e della giurisprudenza canonica. Questo ti procurerà non solo una non esigua lode nel presente, ma una gloria perpetua al tuo nome nel ricordo della Chiesa; e, cosa ancora più importante, ti acquisterà un'ingente quantità di meriti presso il Principe dei Pastori. Senza trascurare il fatto che se riesci a mantenere il tuo clero così istruito ed erudito nella dottrina, non ti capiterà tanto facilmente di essere in balia di contrarietà di questo tipo che, come abbiamo capito dalla tua lettera, hanno tormentato il tuo spirito nella sua adesione alla verità e all'integrità della disciplina ecclesiastica. Frattanto, fratello, noi ti abbracciamo con sincero affetto di carità, e accordiamo a te e a tutto il gregge che ti è affidato la benedizione apostolica.

1cfr. t. IV della Bibliotheca Maxima S.S. Patrum stampata a Lione nel 1677, a p. 523
2cfr. t. VII della Bibliotheca Maxima S.S. Patrum stampata a Lione nel 1677
3cfr. la Collezione dei Concili di Labbe, t. II, p. 976




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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07/08/2021 10:57
 
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L'ORIGINALE IN LATINO


Venerabili fratri Joseph Episcopo Augustano
Benedictus Papa XIV venerabilis frater
Salutem et apostolicam benedictionem

Sollicitudini nostrae dudum relatum fuerat, in Civitate Imperiali Kauffbura, quam incolunt simul Orthodoxi, ac Lutheranae professionis sectatores, vitam degere sanctimonialem quamdam, Crescentiam nomine, adeo sanctitatis opinione celebratam, ut assiduus ad eam concursus fieret hominum etiam virtute et genere illustrium. Quapropter multiplici experimento edocti, inanes aliquando affectatae sanctitatis larvas obtendi, atque etiam ab animarum directoribus, ob suos peculiares fines, eosque interdum minus rectos, depraedicari et divulgari; datis ad Fraternitatem tuam Literis die 17 Maii superioris Anni 1744, discretioni tuae commisimus, ut in praedictae Sororis Crescentiae vitam et mores inquireres, deque illius agendi rationibus, sive bonis, sive malis, certiores Nos redderes.

1. Quamvis autem ante Literarum nostrarum adventum, eadem Soror Crescentia extremum diem obiisset; ideoque expirasse dici posset nostra Tibi directa commissio; attamen Fraternitas tua Pastoralis vigilantiae partes esse iudicavit, graves quosdam atque prudentes Viros ad hoc subdelegare, ut in eiusdem Defunctae mores eam inquisitionem explerent, quam, ipsa vivente, fieri cupiebamus.

2. Huius itaque inquisitionis acta, aliaque ad rem pertinentia, una cum Epistola tua scripta die 24 Maii proxime elapsi, ad Nos allata fuerunt; et Nos quidem Epistolam ipsam statim legimus et perpendimus; ipsa vero acta, aliaque adnexa, Viris expertis tradidimus redigenda in summarium; quod deinde, simul ac per tot alias, quibus distinemur, occupationes et curas Nobis licuit, cum ipsis authenticis actis et documentis conferre non praetermisimus.

3. In his omnibus equidem nihil offendimus, ex quo defuncta Soror Crescentia de affectatae sanctitatis crimine argui possit. Verum ex ipsis Testium dictis (etiamsi integra fides iis adhiberetur, nec ulla iusta adesset suspicio, eos ad favendum praedictae Sorori praecedenter instructos fuisse), illius quidem vitam ad normam probitatis exactam, et gravibus exemptam criminibus agnoscere Nobis visi sumus; nullam tamen heroicam virtutem, nullum signum, sive miraculum ab omnipotenti Deo, ipsius intercessione, patratum deprehendisse, ingenue fatemur.

4. Non ignotum Tibi esse Opus De Canonizatione Sanctorum a Nobis conscriptum, ex Fraternitatis tuae Literis intelleximus. In quo Opere elaborando, postquam ultra viginti annos in munere Promotoris Fidei versati, fuimus, qualemcumque operam Nostram conferre opportunum duximus; non ut doctrinae laudem ac nominis celebritatem consequeremur; sed ut certam ac tutam methodum traderemus dirigendi seriem Causarum Beatificationis et Canonizationis, quae ob varias opiniones Scriptorum, qui in negotiis Congregationis Sacrorum Rituum non satis versati fuerant, aliquo modo involuta ac perturbata videbatur; utque omnium oculis pateret, quam caute ac diligenter Apostolica Sedes in huiusmodi Causarum examine se gereret.

5. Inhaerendo itaque Regulis in eo Opere expositis, quae non equidem a Nobis conditae, aut primum excogitatae, verum ex praefatae Congregationis disciplina collectae, et in aliorum usum productae fuerunt, satis agnovisse poterit Fraternitas Tua, huiusmodi Causis initium fieri a conficiendis Processibus propria et Ordinaria auctoritate Episcoporum, sive aliorum Ordinariorum Praesulum. His tamen minime properandum esse in demandanda confectione huiusmodi Processuum; sed expectandum esse congruum temporis intervallum ab obitu illius Dei Servi, sive Ancillae, de cuius virtutum, aut miraculorum fama inquirendum sibi esse duxerint; neque vero admovendam esse operi manum, nisi praecesserit vera et legitima fama virtutis heroicae, aut miraculi ad illius Servi Dei intercessionem, sive invocationem, a Deo patrati; nihil enim frequentius esse, quam post mortem alicuius fidelis Viri, aut Mulieris, magnam sanctitatis vel miraculorum opinionem in populo oriri, ac potissimum si ab aliquibus de industria rumor foveatur; quae tamen opinio, nisi veritate innixa sit, vel ipso temporis lapsu languescere, et interire, vel etiamsi hominum artificiis aliquandiu sustentari pergat, perspicuis tandem Divinae Sapientiae consiliis destrui, et confundi consuevit. In conficiendis autem huiusmodi Processibus, praecipue considerandum esse extremum mortis articulum, in quo nisi aliquid illustre et sanctitate conspicuum se obtulerit, reliquae omnes inqusitiones supervacaneae remanent. Denique ubi a Defuncto, vel, ipso iubente et probante, ab alio quolibet, aliquid scriptum fuerit, ne in praefatis concinnandis Processibus inutiliter tempus, aurumque insumatur, ante omnia ad trutinam revocanda esse huiusmodi scripta, ac diligenter investigandum, an aliquid contra Fidei veritatem, aut contra morum integritatem contineant, vel ullam peregrinae doctrinae novitatem a communi Ecclesiae sensu et consuetudine alienam exhibeant.

6. Porro Fraternitati tuae in procuranda Processus ad Nos transmissi compilatione, non id propositum fuisse putamus, ut Causam Beatificationis Sororis Crescentiae quandocumque promovendam inchoare volueris. Novimus, potissimum inquisitionis peractae scopum fuisse, ut de Monialis Defunctae moribus instructos Nos redderes, et an affectatae sanctitatis notam meruerit, Nos edoceres. Sed quoniam facile evenire posset, ut fervente adhuc plurium pio erga illam affectu, enixe a Te postularetur, ut conficiendis Processibus, initium fieret; idcirco non inopportunum duximus, praemissa omnia Tibi in memoriam revocare, tutioremque agendi rationem paucis innuere; quum necessarium omnino putemus, per aliquod temporis spatium inquisitiones differri, atque interim observari, quo res evadat; an ullum appareat artificio humanaeque machinationis vestigium; an denique requisitae conditiones adsint pro inchoandis Processibus ad Beatificationis iudicium instruendum profuturis.

7. Quod etiam in casu, de quo agitur, magis expedire censemus, tum quia in collectis nuper plurium virorum, atque mulierum testimoniis, ut supra diximus, nulla elucet heroicae virtutis aut miraculorum probatio, nec in obitu Sororis Crescentiae splendidum ullum sanctimoniae indicium apparet; tum quia complura huius scripta supersunt, quae ante omnia opus est ad examen vocari. Quod si etiam compilationi Processus Ordinarii, ad inchoandam Beatificationis Causam, locus esset, necessarium plane videretur exactam Instructionem pro recta illius confectione, iuxta ea, quae in praedicto Opere Nostro De Canonizatione conscripsimus, hinc ad vos mittere; quum in praedicto Processu Nobis oblato, nostroque iussu a peritissimis Viris discusso, animadversum fuerit, Testes in eo inductos turmatim examinatos fuisse; nec praevium, ut par erat, iusiurandum praestitisse; cumque non ita, ut oportebat, interrogati fuerint, generalia dumtaxat deposuisse, nihil de peculiaribus actionibus defunctae Sororis enarrantes.

8. Atque haec, Venerabilis Frater, satis esse possent, ad accuratam illam, quam de commissa Tibi inquisitione Nobis reddidisti rationem; nec ulterius progrederetur Epistola Nostra, nisi alia quaedam Literis tuis Nobis indicanda iudicasses; inter quae praecipuum locum obtinet, quod scribis, de publicatis, lateque diffusis quibusdam Imaginibus Spiritum Sanctum sub speciosi Iuvenis forma referentibus, subscriptis verbis: Veni Sancte Spiritus; de quibus Imaginibus, utpote statim undequaque sparsis, atque multiplicans, duo potissimum inquirenda sunt: primum, an Soror Crescentia eas invenerit, vulgaverit, approbaverit; alterum, an (praetermissa indagine de earum auctore) huiusmodi lconum usus, expressio, et veneratio, sive intra Ecclesias, sive extra illas admitti possit.

9. Nos autem de prima quaestione minime verba faciemus, eamque intactam relinquemus iis, quibus forsan de virtutibus Sororis Crescentiae quandocumque inquirendum esse contigerit; sive agendum fuerit de permittenda introductione causae super ipsius Beatificatione, sive, introducta iam Causa, de ipsis virtutibus aestimandis, et comprobandis.

10. De altera vero quaestione dicturi, primum omnium Apostolicum Fraternitatis tuae zelum, quo huiusmodi Imagines huc illuc sparsas, et per Coenobium, per Ecclesiam, per Chorum palam expositas, auferri, et removeri iussisti laudamus, atque probamus, Te hortantes, immo etiam auctoritate qua fungimur, Tibi mandantes, ut in suscepto proposito firmiter constanterque perseverans, nullo pacto permittas huiusmodi lcones ulterius multiplicari, quascumque vero ullibi existere compereris, eas omnes et singulas de medio tollas; adhibitis iis auctoritatis simul, prudentiaeque tuae remediis, quibus optatum finem sine turba, ac tumultu consequi posse iudicaveris.

11. Neminem profecto latet, impium atque sacrilegum errorem fore, divinaeque naturae iniuriosum, si quis se putaret Deum Optimum Maximum, sicuti in se est, coloribus exprimere posse. Quum enim illius Imago depingi, atque oculis subiici nequeat, nisi tanquam materialis alicuius substantiae, corporea figura et partibus praeditae; si quis has qualitates Divinae Naturae tribueret, is profecto in Anthropomorphitarum errorem incideret.

12. Repraesentatur tamen Deus eo modo, eaque forma, quibus in Scripturis Sanctis legimus ipsum mortalibus apparere dignatum esse. Licet enim id ab Heterodoxis Scriptoribus improbe reprehendatur, inter quos Simonem Episcopum vidimus suarum Institutionum Theologicarum lib. 4, sect. 2, cap. 10, asserentem non licere Deum pingere, ne sub ea quidem forma, qua se hominibus videndum exhibuit; ex nostris vero etiam Durandus opinatus fuerit huiusmodi Imaginum usum minime expedire; et Ioannes Hesselius, Catholicus itidem Scriptor, Catechismi sui lib. 1, cap. 65, huic opinioni favere videatur, dum ait innocuas quidem fore huiusmodi picturas, si a doctis tantummodo Viris conspici deberent; sed quum sapientium et insipientium oculis expositae esse debeant, facile evenire posse, ut indoctis per eas male de Deo credendi occasio praebeatur.

13. Nihilominus communiter Catholici Theologi aliter docent. Petavius Theologicorum Dogmatum lib. 15, De Incarnatione, cap. 14, ut videre est ipsius Operum Tomo VI, licitum esse demonstrat, Deum sub ea forma depingere, qua ipsum accepimus semetipsum conspiciendum praebuisse:«Communi Catholicorum assensu inveteravit opinio, nimirum ut eatenus figurari Deus possit, qua sub externa aliqua specie aspectabilem se praebuit hominibus». Molanus doctus auctor, Historiae sacrarum Imaginum, lib. 2, cap. 3, hanc ipsam sententiam confirmat. Eandemque quaestionem duo alii clari nominis Theologi egregie illustrarunt, nimirum Suarez In Tertiam Partem Divi Thomae, tom. I, quaest. 25, art. 3, disput. 54, sect. 2, pag. 793, et Valentia, tom. IV suorum Operum, pag. 384. Quibus addendi sunt duo S. R. E. Cardinales, Bellarminus, et Gotti, a Nobis alias citati in Opere Nostro De Canonizatione Sanctorum, lib. IV, part. 2, cap. 20, num. 2.

14. Imagines Deum ita repraesentantes minime reprobat sacra Tridentina Synodus, sess. 25, De Invocatione, veneratione, et Reliquiis Sanctorum, et sacris Imaginibus; sed Episcopis mandat, ut Populos edoceant, per huiusmodi Picturas erudiri et confirmari Gregem Christi «in articulis Fidei commemorandis et assidue recolendis». Si quis vero privatus huiusmodi Imaginum usum opinione sua reprobare ausus est, Ecclesiastico iudicio damnatus fuit, ut indicat Propositio XV inter damnatas a fel. rec. Praedecessore Nostro Alexandro Papa VIII die 7 Decembris 1690, quae sic habet: «Dei Patris sedentis simulacrum nefas est Christiano in Templo collocare».

15. Et profecto quum in Sacris Literis legatur, Deum ipsum sub hac, aut illa forma hominibus se videndum exhibuisse, cur sub eadem forma eundem pingere non licebit? Si ergo literae legentibus permittuntur; cum tamen sacrae Literae in maxima veneratione habeantur, cur non etiam Imagines permittentur? Verba sunt Alphonsi de Castro, lib. 8 Adversus Haereses; quo etiam argumento strenue usus est Cardinalis de Richelieu in suo Tractatu, De faciliori ratione reducendi eos, qui se ab Ecclesia segregarunt, lib. 3, pag. 439.

16. His positis principiis minime dubiis, facile patebit, qua ratione Imago Spiritus Sancti a Pictoribus efformari debeat, et quaenam ipsius Imagines approbari debeant, aut reprobari. In Sanctis Evangeliis a BB. Matthaeo, Marco, et Luca conscriptis, ubi Baptismus enarratur, quem Dominus Noster Iesus Christus a Ioanne accipere voluit, legitur, apertum fuisse Coelum, et Spiritum Sanctum corporali specie, sicut Columbam, super eum descendisse. Quod cur factum fuerit, mirifice explicat Dionysius Alexandrinus in Epistola adversus Paulum Samosatenum, quae extat in Collectione Conciliorum Labbei, tom. 1, pag. 867, ita: «Cur vero in specie Columbae Spiritus Sanctus descendit? scilicet ut nos doceret, qui misit illum, quique eum, quem misit, accepit. Sicut enim Noe dimisit ex Arca Columbam, et ipse illam recepit; ad eam similitudinem intelligendum Nobis est, ipsius Christi esse Spiritum Sanctum coaeternum, et quod erat ipsius, hoc dedisse Nobis; dividens, et effundens super omnem carnem credentium, quia Deus est et Dominus, qui divisit Nobis suum Sanguinem et Spiritum».

17. Non hic opus est in eam controversiam ingredi, quae inter eruditos Criticos agitur, super illius Columbae natura. De hac olim egimus in Nostro Tractatu De Festis Domini Nostri Iesu Christi, Editionis Patavinae, § LIV, qua editione absoluta, recentiorem quamdam super hoc argumento vidimus Dissertationem inter Discursus Historico-Criticos ad illustrationem veteris et novi Testamenti,Typis edito Hagae Comitum an. 1737, pag. 148.

18. Quod autem ad praesentem quaestionem attinet, quum Spiritus Sanctus in Columbae specie olim visibiliter apparuerit; profecto illius Imago sub eadem specie dipingi debet. Qua in re vetus Ecclesiae disciplina nostrorum temporum consuetudini adstipulatur. De ea siquidem testatur S. Paulinus Episcopus Nolanus, qui, saeculo Christi quinto ineunte, in epistola ad Severum, describens Picturas in Basilica S. Petri iam tunc existentes ita cecinit:

Pleno coruscat Trinitas Mysterio:
Stat Christus Agno, vox Patris Coelo tonat.
Et per Columbam Spiritus Sanctus fluit.

19. Pariter Christi anno DXVIII Antiocheni Clerici et Monachi, in precibus Ioanni Patriarchae, et Synodo adversus Severum congregatae exhibitis, haec habent, apud Labbeum, Conciliorum tomo 5, pag. 159: «Columbas aureas, et argenteas in figuram Spiritus Sancti super Divina Lavacro et Altaria appensas, una cum aliis, sibi appropriavit; dicens, non oportere in specie Columbae Spiritum Sanctum nominare». Damnatus etiam fuit in Concilio Nicaeno Secundo habito anno Domini DCCLXXXVII Xenaias Catechumenus, quum ausus esset asserere, non licere Spiritum Sanctum sub Columbae forma repraesentare: «Inter caetera autem dicebat, et hoc esse puerilis animi factum, fingere in Columbae Idolo ter adorabilem Spiritum Sanctum», ut videre est in Collectione Conciliorum, Regia nuncupata, Parisiis impressa anno 1644, tom. XVIII, pag. 458, et apud Cardinalem Baronium ad annum Christi 485.

20. In opere quoque Italica lingua scripto Philippi Bonarotae Senatoris Florentini, quod inscripsit, Observationes in antiqua vitrea vasa, ex Urbis Coemeteriis effossa, pag. 125, plures afferuntur Imagines Spiritus Sancti, sub Columbae specie in nobilibus illis sacrae antiquitatis fragmentis expressae. Cum vero recentiores sectarii, Calvinus, Lutherus, Zuinglius, mox relatum Severi errorem renovare contenderit, neminem latet, quid de illorum deliriis Ecclesia iudicaverit; quorum ampla refutatio videri potest apud Gretserum in Tractatu De Sacris Imaginibus, cap. 9, impresso in tomo 17 novissimae Editionis ipsius Operum.

21. Legitur insuper in sacris Novi Testamenti paginis, quod quum post Christi in Coelum Ascensionem congregati essent Apostoli et Discipuli, una cum Maria Matre Iesu, solemni die Pentecostes apparuerunt illis dispertitae linguae, tanquam ignis, seditque supra singulos eorum; et repleti sunt omnes Spiritu Sancto. De quo Mysterio fuse egimus in praedicto Opere Nostro De Festis Domini Nostri Iesu Christi, § 480 et sequentibus, Editionis Patavinae, ubi sub § 492 docuimus, licere Pictoribus ad repraesentandum id, quod in solemniis Pentecostes ab Ecclesia recolitur, Apostolos pingere, aliosque cum iis in Coenaculo congregatos, et flammulas ignis in linguarum figuram e Coelo demissas, eorum omnium capitibus impluentes; quoniam in sacra Apostolicorum Actuum Historia, cap. 2 refertur, Paraclitum Spiritum Sanctum hoc visibili signo adventum suum ea occasione hominibus manifestasse. Verum si quis extra hanc occasionem eundem Spiritum Sanctum pingere velit, non aliter ipsum, quam sub Columbae forma poterit repraesentare; ut etiam recte monuit eruditus auctor Ayala in Tractatu, cui Titulus est Pictor Christianus, ubi lib. 2, cap. 3, num. 7 scribit: «Cum vero Spiritus Sanctus depingendus venit, non alia specie pingendus est, nisi illa, qua in Iordane nimirum apparuit, quamque docet Divinus Textus his verbis: Et descendit Spiritus Sanctus corporali specie sicut Columba in ipsum». In Catechismo autem auctoritate sacri Concilii Tridentini edito, super eo Decalogi Praecepto: «Non habebis Deos alienos coram me», ubi agitur de pingendis Divinis Personis, haec habentur: «Columbae vero species, et linguae tanquam ignis, in Evangelio, et Actis Apostolorum, quas Spiritus Sancti proprietates significent, multo notius est, quam ut oporteat pluribus verbis explicari».

22. Quod si dicatur, minime reprobari, immo libenter admitti usum pingendi Spiritum Sanctum in Columbae specie; verum id agi, ut praeterea possit sub speciosi Iuvenis, aut Viri forma repraesentari; Nos contra iure responderi posse contendimus, quod cum aliter non liceat Divinae Personae Imaginem humanis oculis intuendam exhibere, quam sub ea forma, sub qua in Scripturis Sanctis narratur eandem Personam se olim hominibus aspectabilem praebuisse; sequitur inde, non modo licitum esse Spiritum Sanctum, vel die Pentecostes in mystica figura linguarum ignis super Apostolos descendentium, vel alias in Columbae specie, depingere; propterea quod uterque eiusdem pingendi modus in Divini Textus historia et auctoritate fundatur; sed hoc insuper recte colligitur, minime licere, eundem Spiritum Sanctum sub Adolescentis, aut Viri specie figurare, quum nullibi inveniatur in Divinis Scripturis ipsum sub huiusmodi forma hominibus apparuisse.

23. Huic autem rationi addenda est auctoritas sacrosanctae Tridentinae Synodi, quae loco superius citato, prohibet Fidelium oculis exhiberi alias falsi dogmatis Imagines, aut rudibus periculosi erroris occasionem praebentes; et generaliter, ullam insolitam poni, aut ponendam curari Imaginem, tam in Ecclesiis, quam in aliis quibuscumque locis, districte vetat. Imago autem, de qua agimus, praeterquamquod insolita est, impium etiam, atque damnatum a Patribus errorem in animos intuentium revocare posset; eorum videlicet, qui asseruerunt, Divinam Spiritus Sancti personam humanae conditionis naturam assumpsisse, de quibus loquitur Sanctus Cyrillus Hierosolymitanus Cathechesi XVI, Tomo 4 Bibliothecae Maximae SS. Patrum Lugduni impressae anno 1677, pag. 523, et S. Isidorus Pelusiota, Lib. 1, Epist. 243 eiusdem Bibliothecae Tomo 7, praeter Auctorem Notarum ad Concilium Constantinopolitanum I, in Collectione Conciliorum Labbei, tom. 2, pag. 976.

24. Equidem ex Epistola Fraternitatis Tuae satis intelleximus, huiusce argumenti vim ab iis quoque agnitam fuisse, qui de praesenti quaestione apud te verba fecerunt; qui tamen eam se declinare posse putarunt, adductis exemplis quarundam Imaginum Sanctissimae Trinitatis, quibus ea sub figura trium hominum aequalis, et undequaque similis aspectus repraesentatur. Id quod alterius disquisitionis occasionem Nobis aperit; ut scilicet examinemus, an liceat Sanctissimam Trinitatem coloribus pingere; et, quatenus id licitum sit, quaenam illius Imagines damnatae sint, quaenam haud omnino reprobatae, quaenam demum approbatae, et permissae: denique an ex huiusmodi Picturis ullum argumentum trahi possit, ut Imago Spiritus Sancti, de qua nunc agimus, vitio carere ostendatur.

25. Porro licere Sanctissimam Trinitatem coloribus pingere, communis est Theologorum opinio, quam copiose propugnant Valdensis, Molanus.Catha rinus, Conradus Brunus, Nicolaus Sanderus, Franciscus Turrianus, Suaresius, Vasquez; quos sequitur Theophilus Raynaudus in Libro cui titulus Heteroclita Spiritualia Coelestium et Infernorum, pag. 23 inter ipsius Opera Tomo 15, ita scribens: «Ex usu Ecclesiae, et ex consensu potiorum Theologorum, jus est pingere Sanctissimam Trinitatem», ubi etiam Durandum impugnat inter Scriptores Catholicos contra opinantem. Thuanus quidem Lib. 18 refert Decretum quoddam, cuius Auctorem Espencaeum fuisse asserit: «Ut Sanctae Trinitatis Effigies, tamquam Sac. Scripturae, Conciliis, et Veterum Patrum testimoniis prohibita, tollatur»; ac reprehendit Decanum Collegii Theologici Parisiensis, Nicolaum Malardum, eo quod huiusmodi Decreto obstitisset. Verum hac in re Thuani dicta refellit Gretserus in Thuano Pseudo-theologo, pag. 57, tom. 17 novissimae editionis Ratisponensis Operum eiusdem Gretseri. Christianus Lupus Vir non vulgaris eruditionis in Notis ad Canones septimae Synodi, cap. 5, admittens piam consuetudinem pingendi Sanctissimam Trinitatem, quaerit quo tempore eadem introducta fuerit, seque id reperire non potuisse ingenue fatetur; quod idem Nos quoque, pari sinceritate, professi sumus Lib. 4, De Canonizatione Sanctor., p. 2, cap. 20, n. 3.

26. Illud tamen a Theologis Nostris communiter traditur, minime permittendum esse Pictoribus, ut Sanctissimam Trinitatem qualibet forma pro ipsorum libito repraesentare audeant: quin adversus eorum licentiam invehuntur Vasquez, Tom. I, pag. 676, et Cardinalis Bellarminus Controversiaram tom. 2, cap. 8, De Imaginibus Sanctorum; qui sic ait: «Notandum non debere eiusmodi Imagines multiplicari, nec tolerandum esse, quod Pictores audeant ex capite suo confingere Imagines Trinitatis; ut cum pingunt unum hominem cum tribus faciebus, vel unum hominem cum duobus capitibus, et in medio eorum Columbam: ista enim monstra quaedam videntur, et magis offendunt deformitate sua, quam iuvent similitudine»; eademque docet Sylvius, Tom. 4 in Tertiam Partem Divi Thomae quaest. 25, art. 3, quaest. 2, pag. 111, editionis Antuerpiae anni 1714.

27. Inter reprobatas Imagines Sanctissimae Trinitatis ea procul dubio recensenda est, quam pluribus insectatur Ioannes Gerson, Tomo 3 ipsius Operum, Antuerpiae editorum, anno 1706, quamque narrat se vidisse in quadem Domo Regularium; ubi nimirum repraesentabatur Deipara Virgo Trinitatem ipsam in utero gerens, quasi vero tota Trinitas humanam carnem ex Virgine assumpsisset. Addit vero Molanus Historiae Sacrarum Imaginum lib. 2, cap. 4, se nunquam satis intellexisse id, quod apud Gersonem legerat, donec huiuscemodi Sanctae Trinitatis Imagines in Belgio pluribus locis expositas conspexerit; quas quidem se quoque damnare, et reprobare profitetur.

28. Humani corporis figuram tribus capitibus instructam, tamquam Imaginem Sanctissimae Trinitatis repraesentandae aptam, tueri quodammodo conatur Valentia Tomo II ipsius Operum, pag. 389. Verum super huiusmodi Imaginibus solemne Iudicium fel. record. Urbani Papae VIII Praedecessoris Nostri prodiisse referunt, Macri in Vocabulario Ecclesiastico, verbo, «Icona», et Episcopus Sarnellus Epistolarum Ecclesiasticarum Tomo IV, Epist. 13, qui testantur praedictum Urbanum comburi iussisse Picturas quasdam, Sanctissimam Trinitatem exhibentes sub specie hominis triplici facie instructi; idque factum fuisse die 11 Augusti anno 1628. Sed et longe ante ipsius Urbani, et Bellarmini supra laudati tempora, S. Antoninus in Summa Theologica, part. 3, tit. 8, cap. 4, § 11, ita scriptum reliquit: «Reprehensibiles etiam sunt, Pictores videlicet, cum pingunt ea, quae sunt contra fidem, cum faciunt Trinitatis Imaginem unam Personam cum tribus Capitibus, quod monstrum est in rerum natura».

29. Sequitur, ut videamus, quid sentiendum sit de Imagine Sanctissimam Trinitatem exhibente in Tribus Personis, statura, aetate, omnibusque aliis lineamentis omnino aequalibus. Thomas Valdensis suorum Operum Tomo III, Tit. 19, De Sacramentalibus, cap. 151, huiusmodi Picturam approbare non dubitat. Nec dissentit Molanus Historiae Sacrarum Imaginum, lib. 2, cap. 3. Verum Ayala in aliam abire videtur sententiam, in praecitato Opere Pictor Christianus, lib. 2, cap. 3, num. 8 de ea Imagine sic loquens: «Aliam alicubi conspeximus pingendae Sanctissimae Trinitatis rationem, hanc scilicet: Depingebantur in tabula tres Viri perquam similibus faciebus, aequali prorsus statura, et aequalibus atque omnino similibus coloribus, vestibus, ac lineamentis. Non quidem hoc tam absurde; sed tamen non omnino recte: etsi enim hac ratione servetur repraesentatio aequalitatis et coaeternitatis Divinarum Personarum, deficit tamen Character, et notio, ut ita loquamur, Divinae Personae; praeterquam quod in his rebus, quae sunt dignitate sua gravissimae, vitanda et fugienda est omnis et quaecumque novitas».

30. Ut autem variarum huiusmodi opinionum fundamenta paullo accuratius exploremus, innititur sententia Valdensis apparitioni Abrahamo factae, quae Genes. cap. 18 refertur his verbis: «Apparuit ei Dominus in Convalle Mambre sedenti in ostio Tabernaculi sui, in ipso fervore die»i; statimque subiicitur: «Cumque elevasset oculos, apparuerunt ei Tres Viri stantes prope eum, quos cum vidisset, cucurrit in occursum eorum de ostio Tabernaculi, et adoravit in terram». Post quae animadvertere licet, quod Abraham unum tantummodo alloquitur. Et dixit: «Domine, si inveni gratiam in oculis tuis, ne transeas servum tuum»; atque vicissim unus dumtaxat Abrahamo respondet: «Dixit autem Dominus ad Abraham», etc. In hac itaque apparitione S. Augustinus lib. 11, De Trinitate, cap. 20, tomo 8, pag. 784 Editionis Monachorum Congregationis Sancti Mauri, agnoscit Sanctissimae Trinitatis Imaginem, ita scribens: «Cum vero tres Viri sunt, nec quisquam in eis vel forma, vel aetate, vel potestate maior caeteris dictus est, cur non hic accipiamus visibiliter insinuatam per creaturam visibilem Trinitatis aequalitatem, atque in Tribus Personis unam eandemque substantiam». Augustini opinionem amplexi sunt Rupertus lib. V, Commentariorum in Genesim, cap. 37, Suarez, De Angelis, lib. 6, cap. 20, num. 10, et sequentibus, Cornelius a Lapide, et Du Hamel in idem Caput XVIII Geneseos, aliique.

31. Sunt tamen, a quibus eadem S. Doctoris interpretatio non recipitur. Praetermissa siquidem Hebraeorum opinione, qui putant, tres illos Abrahamo visos, non alios fuisse, quam Angelos Michaelem, Gabrielem, et Raphaelem, quorum primus, Dei partes gerens, venerit, ut inquireret in scelera Sodomae, et iustum in meritam Civitatem supplicium statueret; at reliqui duo, iussu prioris, Civitatem ipsam everterint, Lot vero liberaverint, uti narratur sequenti Capite eiusdem Libri Geneseos XIX; quam Hebraeorum opinionem referentes Tostatus, atque Tirinus, in eandem propendere se ostendunt; ut videre est in ipsorum Commentariis in praemissum Genesis Caput XVIII. Sane non pauci ex Sanctis Patribus existimarunt, duos ex tribus, qui tunc Abrahamo apparuerunt, Angelos extitisse, tertium vero fuisse Filium Dei, Secundam nimirum Sanctae Trinitatis Personam: atque hanc sententiam frequenti expositorum calculo comprobatam, ab ipsa Ecclesia adoptatam fuisse putat Augustinus Calmet; idque deducit ex iis verbis, quae licet non habeantur in Sacro Textu, in Divinis tamen Officiis leguntur, videlicet: «Tres vidit, et unum adoravit». Videatur ipse Calmet in praecitatum Genesis caput XVIII, necnon Discursus XVII, in idem Caput XVIII Genesis, inter Discursus Historico-Criticos Theologico-Morales in Vetus, et Novum Testamentum, Antuerpiae editos anno 1736, tomo II.

32. Imagines itaque Sanctissimae Trinitatis communiter approbatae, et tuto permittendae, illae sunt, quae vel Personam Dei Patris exhibent in forma Viri senis, desumpta ex Dan., cap. 7, vers. 9: «Antiquus dierum sedit»; in eius autem sinu Unigenitum ipsius Filium, Christum videlicet Deum et Hominem, et inter utrosque Paraclitum Spiritum Sanctum in specie Columbae, vel duas Personas modico intervallo seiunctas repraesentant, unam Senioris Viri, nimirum Patris, alteram Christi, medium autem inter ipsos Spiritum Sanctum, in Columba, ut praefertur, expressum: «Imagines ergo Trinitatis, quae ab Ecclesia probantur, sunt illae, quae Deum Patrem continent in forma Hominis Senis, in cuius sinu sit Christus, et inter utrumque Spiritus Sanctus in forma Columbae; vel Imagines, in quibus seorsim Deus Pater in forma Hominis Senis, et seorsim Christus, sed propinqui ambo, et inter utrumque Spiritus Sanctus in forma Columbae efformentur». Verba sunt Cardinalis Capisucchi, qui plures annos munere Magistri Sacri Palatii Apostolici laudabiliter functus fuit; in Controversiis Theologicis, Controv. XXVI, De Cultu Sacrarum Imaginum, § 11, circa finem. Similia peti possunt ex praedicto Opere Nostro, De Canonizatione Sanctorum, lib. 4, part. 2, cap. 20, num. 3. Et quamvis Molanus loquens de hac ratione repraesentandi Sanctissimam Trinitatem, ac praesertim ubi Christus in sinu Patris, veluti mortuus, depingitur, dubitare videatur, an approbari possit, propterea quod Christum mortuum nemini apparuisse legitur ; attamen facile dignoscitur quam levis momenti sit huiusmodi difficultas. Licet enim Salvatoris nostri mortui nullam apparitionem factam fuisse legamus; mortuus est tamen, et palam in conspectu innumerabilis Populi expiravit. Cur igitur ea forma, qua olim Hierosolymis a tot millibus hominum visus est, depingi nequit etiam in sinu Patris? aut cur sub eadem specie exponi nequit publicae adorationi Fidelium? Quocirca facile Molani dubium resolvitur, ut observat etiam laudatus Ayala, supradicto Libro, cui Titulus Pictor Christianus, lib. 2, cap. 3, num. 12.

33. His itaque praemissis, quoniam potissimum fundamentum pro sustinenda Imagine Spiritus Sancti sub humana Iuvenis specie, in usu praedictarurn Tabularum statuitur, quae Sanctissimam Trinitatem exhibent in tribus Personis, statura, vultu, lineamentis aequalibus; harum vero Tabularum legitimus usus desumitur ex trium Virorum apparitione Abrahamo facta, de qua Genesis cap. 18, iuvat nunc ita ratiocinari. Aut usus pingendi Sanctissimam Trinitatem in tribus Personis undequaque similibus, canonicus est, et in Ecclesia pacifice receptus; sicuti etiam sententia de indicato Trinitatis mysterio in tribus Viris, qui Abrahamo apparuerunt, satis tuta est, et solidis rationibus innixa; aut usus huiusmodi Tabularum, ut nonnulli putant, canonicus non est, nec ab Ecclesia probatus; et relatae pariter opinionis fundamenta nutant, ut aliqui superius citati arbitrantur. Si nec canonicus est usus memoratae Imaginis, nec opinio de figurato in praedicta apparitione Trinitatis mysterio tuta est, nec solidis rationum momentis suffulta: nequaquam permitti potest, ut super debilibus hisce infirmisque fundamentis, tamquam certum stabiliatur, quod licitum sit sub Viri aut Iuvenis specie Spiritus Sancti Imaginem exhibere.

34. Quod si usus pingendi Sanctissimam Trinitatem in tribus personis aequalibus et similibus, canonicus esset, legitimus, et ab Ecclesia probatus; atque etiam tutissima foret praefata opinio, quod apparitio trium Angelorum Abrahamo facta mysterium adorandae Trinitatis significaverit ; nihil aliud ex his inferri posset, nisi praedictum Trinitatis repraesentandae modum, hoc est pingendi tres Viros aequali specie, et simili vultu, licitum esse et tolerandum; nunquam vero ex iisdem rite colligeretur, licere Spiritum Sanctum, seorsim a duabus aliis Personis, humana facie, et sub speciosi Iuvenis forma depictum exhibere. Nec enim apparitio Abrahamo facta unius Angeli fuit, sed trium; nec ullibi in Sacris Literis narratur, Spiritum Sanctum in forma Viri, aut Iuvenis, seorsim a duobus aliis, qui reliquas duas Trinitatis Personas repraesentarent, hominibus apparuisse. Singulas vero Sanctissimae Triadis Personas non alio modo pingi posse, quam qua earum quaelibet hominum se aspectibus exhibuerit, iam supra a Nobis probatum est. Idemque in Catechismo Romano, loco superius citato, his verbis traditur: «Nemo tamen propterea contra Religionem, Deique legem quicquam committi putet, cum Sanctissimae Trinitatis aliqua Persona quibusdam signis exprimitur, quae tam in Veteri, quam in Novo Testamento apparuerunt».

35. Denique Imago Spiritus Sancti, de qua est quaestio, insolita est, et inusitata in Ecclesia; et consequenter nullo modo recipienda, iuxta mentem Sacrae Tridentinae Synodi supra relatae, et Conciliorum Provincialium post Tridentinum coactorum, quorum Decreta collegit Thiers in suo Tractatu De Superstitione, tom, 1, lib. 2, cap. 1, pag. 214.

36. Pingitur Imago Sanctissimae Trinitatis, Patris, Filii, et Spiritus Sancti, repraesentando vel Patrem iuxta Filium, vel Filium in sinu Patris; simulque cum iis, Spiritum Sanctum in Columbae forma, ut antea diximus. Pingitur et Pater solus, seorsim ab aliis Personis, quoniam vocem Domini Dei deambulantis in Paradiso audivit Adam, Genesis, cap. III; innixus mysticae scalae, visus est Iacob, Genesis, XXVIII, 13; Moysi quoque miro modo conspiciendum se praebuit, Exod., XXXIII, 23; tum etiam Isaiae, tamquam Rex in Solio sedens, Isaiae, VI, 1; et Danieli, veluti senex albo vestimento amictus, Dan., VII, 9. Pingitur etiam aeternus Filius seorsim a Patre et Spiritu Sancto, quoniam is homo factus, in diebus carnis suae cum hominibus conversatus est, atque etiam postquam a mortuis resurrexit, non semel Apostolis aliisque manifestus apparuit. Repraesentatur idem Cruci, quam pro Nobis pertulit, affixus: quam quidem Crucifixi Effigiem nec impius Lutherus e medio tolli posse putavit; et Elisabetha Angliae Regina nuncupata, Henrici VIII et Annae Bolenae Filia, licet Sacr. Imaginibus bellum indixerit, eam tamen in Regio suo Oratorio retinere voluit, ut videre est apud Bossuetum Meldensium quondam Episcopum, tom. 2 ipsius Operum, Gallico Auctoris Idiomate Venetiis editorum anno 1738, pag. 137, et pag. 460. Pingi quoque consuevit in forma Agni; atque huic Imagini fundamentum praebet Prophetia Isaiae, testimonium Baptistae, Evangelistarum dicta, Apocalypsis Ioannis Apostoli, et Epistola prima Beati Petri; quapropter eandem Salvatoris Nostri Imaginem approbat Hadrianus Pontifex in Epistola ad Tharasium conscripta, quae Iecta est in Synodo septima, Actione II, et vetustissima occurrunt huiusmodi picturarum exempla in Sacris Coemeteriis, et in Basilicis huius Nostrae Romanae Urbis expressa. Pingitur denique Spiritus Sanctus, vel tamquam de Caelo descendens die Pentecostes in figura linguarum ignis, vel alias in Columbae specie, seorsim pariter ab aliis Divinis Personis; quia sub his figuris factae sunt eiusdem apparitiones, quarum Scriptura meminit. Nusquam vero invenire est in Sacris Literis, Tertiam Personam absque aliarum consortio, in similitudinem Viri, aut Iuvenis apparuisse. Quapropter argumenti superius expositi vis immota manet; nimirum quod etiamsi per tres Angelos Abrahamo visos Divina Trinitas repraesentata fuerit, non ideo tamen Spiritus Sanctus seorsim a duabus aliis Personis, humana specie, seu Viri, seu Iuvenis depingi potest.

37. Atque haec privatis Nostris studiis colligere, et paucis illis subcisivis horis, quae Nobis ab ingruentibus undique negotiis publicis vix supersunt, ut peculiarem Bibliothecam nostram ingredi possimus, praesentibus ad Fraternitatem tuam Literis complecti voluimus; ut initam abs te rationem prohibendi praedictas Imagines Spiritus Sancti, earumque usum et cursum intercipiendi, comprobaremus. Neque porro dubitamus, quin, pro magna laudis existimatione, quam Tibi peperit egregia tua Apostolici muneris administratio, et pro ea rationum gravitate, cui innititur huiusmodi Imaginum prohibitio, debita mandatis tuis obedientia ab omnibus exhibeatur. Verum ubi, instigante humani generis hoste, contrarium eveniret, tuum erit de omnibus Nos certiores facere; Nos etenim ministerii Nostri partes esse reputabimus, Apostolicam, qua Deo volente fungimur, auctoritatem interponere, ut et refractarii meritis poenis afficiantur, et pravae consuetudines adversus Ecclesiae instituta ac disciplinam invectae, penitus eliminentur.

38. Praetermittenda autem non sunt alia quaedam, quae in eadem Epistola tua legimus: spargi nimirum, ac dispensari complures praefatae Sororis Crescentiae effigies; necnon coronas precatorias, earumque grana, Cruces, Scapularia, Oleum, Pulverem, Aquam, Manus denique, vel pictas, vel ex ligno effictas, cum pollice inter indicem et medium inserto; existimantibus plerisque de vulgo, praedictas Cruces, et Coronas a Deo benedictas, et Indulgentiis ditatas fuisse; earum vero Manuum simulacra ad fugandos Daemones plurimum valere; cum aliis huiusmodi nugis, quae ab iis disseminantur, qui venditandis huius generis superstitionibus temporalia sibi lucra comparare student.

39. Et quidem ex eadem Epistola tua optime agnoscimus, Tibi satis consilii, et prudentiae in temetipso esse, ad rectum de huiusmodi rebus iudicium ferendum; nec aliud Nobis reliquum esse videtur, quam ut Fraternitatem tuam hortemur, ut quam ingressus es viam, insistere pergas, inepta nimirum, quae diximus, deliria non approbando, sed fidem auctoritatemque omnem iis derogando.

40. Ut tamen circa similia Apostolicae huius Sedis sensum atque iudicium agnoscas, consilio iudicioque tuo per omnia consentaneum; notum Tibi esse volumus, fuisse olim piam Dei Ancillam, nomine Ioannam a Cruce, magna Sanctitatis fama illustrem, cuius vita conscripta est ab Antonio Daca. Ferebatur in vulgus, quaedam Coronarum precatoriarum grana, ipsius intercessione a Iesu Christo benedicta fuisse, pluribusque aucta Indulgentiis. Verum huiusmodi Indulgentiae ab hac Sancta Sede apocriphae declaratae fuerunt, quemadmodum videre est apud praecitatum Thiers, De Superstitione, tom. 2, cap. 12, qui etiam refert Decretum de iis prolatum anno 1678 a Congregatione S. R. E. Cardinalium Sacris Indulgentiis praeposita, eodem tom. 2, cap. 12, pag. 17 et sequentibus, et signanter pag. 25. Cumque introducta esset Causa de illius Ancillae Dei Beatificatione, et ob eiusdem praeclara merita, eo usque feliciter processisset, ut iam ab Auditoribus Rotae confecta esset ipsius Relatio, iuxta morem ea aetate vigentem; quum deinde eadem Causa post Decreta Urbani Papae VIII reassumenda esset, cito consepulta remansit, propter excitatas obiectiones ex praefatis granis benedictis, et praeteris Indulgentiis eisdem adnexis desumptas, ut ostendit Pontificium Decretum anno 1664 editum, et a Nobis relatum in Opere De Canonizatione Sanctorum, lib. 2, cap. 36, num. 18 Editionis Patavinae; praeter ea, quae in Regestis Congregationis Sacrorum Rituum adnotata reperiuntur, quaeque eo loci in medium afferre opportunum non duximus.

41. In eodem tamen Opere, lib. 2, cap. 8, num. 3 videre poteris Decretum Praedecessoris Nostri Urbani Papae V, prohibens distribui numismata in eorum honorem conflata, quibus aut Beati, aut Sancti cultus ab Apostolica Sede tributus antea non fuerit.

42. Demum quod attinet ad expulsionem Daemonum a corporibus obsessis, inter plura remedia in eum finem ab Ecclesia recepta, quorum copiosam seriem exhibet diligens Scriptor Martinus del Rio Disquisitionum Magicarum, cap. 2, sect. 3, quaest. 3, locum profecto non habet incompositus ille, et parum verecundus gestus, in praefatis manuum figuris expressus. Porro an Daemones naturalium rerum virtute a corporibus obsessis expelli queant, Nos etiam disputavimus in saepe citato Opere De Canonizatione Sanctorum, lib. 4, part. 1, cap. 29, num. 7, partemque negantem amplexi sumus, cum maiori Theologorum numero; quorum auctoritates ibi retulimus; quibusque addi potest Theophilus Rainaudus in Libro inscripto Theologia naturalis, Tomo V, ipsius Operum, pag. 55, quem Librum videre Nobis contigit, dum hanc ipsam Epistolam dictaremus.

43. In exorcizandis energumenis, illud potissimum interest, ut ante omnia dignoscatur, an revera obsessus sit a Daemone is, qui talis esse affirmatur; ubi vero ita esse constiterit, eligatur ab Ordinario Sacerdos perspectae pietatis, vitae integritatis, atque prudentiae; hic autem ad expellendum Daemonem, non quidem picta, vel lignea Manu, aliisve ineptis huiusmodi nugis utatur; sed praescriptas in Rituali Romano regulas adamussim servet. Magnus ille Mediolanensis Antistes S. Carolus Borromaeus, quum rectam ac tutam exorcizandi rationem in Libro a se probato tradidisset, in quarta Dioecesana Synodo a se habita anno 1574, Decreto 18, prohibuit, ne quis, occasione oblata, aliis quibuscumque exorcismis, precationibus, aut ritibus uteretur, quam quae haberentur in praedicto Libro : «Cui nihil ab eo, nimirum ab exorcizante, addi, detrahi, ac ne mutari quidem fas sit». Postmodum vero a recol. mem. Paulo Papa V Praedecessore Nostro, anno Domini 1614 publicatum fuit Rituale Romanum, in quo adest peculiaris Titulus De exorcizandis Obsessis. Ac fel. record. Praedecessor pariter Noster Clemens Papa XI in quadam Epistola Encyclica data die 21 iunii 1710, districte mandavit, ut nemo exorcizans a norma in praedicto Rituali Romano praescripta ulla ex parte discedere praesumat.

44. Praeclarum tandem Fraternitatis tuae propositum, Nos satis pro merito commendare et collaudare non valemus; quod scilicet scribis, operam Te daturum, ut in Clero regimini tuo commisso, una cum Religionis ac Pietatis cultu, Sacrarum Literarum studia conserventur, atque in dies incrementum accipiant, additis ad Theologiam Scholasticam, Ecclesiasticae Historiae, et Canonicae Iurisprudentiae disciplinis. Sane hoc Tibi non exiguam in praesentia laudem, perennem vero in Ecclesiae monumentis nomini tuo gloriam comparabit; quodque pluris est, ingens apud Pastorum Principem meritorum pondus tibi acquiret. Nec illud praetereundum est, quod si Clerum ita instructum, sanaque doctrina eruditum habueris, non ita facile te huiusmodi molestiis vexari continget, quales nuper ex tuis Literis intelleximus, animum tuum veritati et Ecclesiasticae Disciplinae integritati inhaerentem fatigasse. Interea Fraternitatem tuam sincero caritatis affectu complectimur, ac Tibi, totique Gregi tibi concredito, Apostolicam Benedictionem impertimur.

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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