Il problema dei 3 corpi: Attraverso continenti e decadi, cinque amici geniali fanno scoperte sconvolgenti mentre le leggi della scienza si sgretolano ed emerge una minaccia esistenziale. Vieni a parlarne su TopManga.

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Cari Vescovi, vi supplichiamo, non tacete più, gridate dai tetti la Verità (6)

Ultimo Aggiornamento: 20/12/2017 09:55
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 Cari amici, e ci auguriamo anche molti sacerdoti e vescovi, dopo il successo di BEN CINQUE precedenti thread su questi appelli (con oltre 190-MILA visite in totale):

vedi: -  Cari Vescovi, vi supplichiamo, non tacete più, gridate dai tetti la Verità
Cari Vescovi, vi supplichiamo, non tacete più, gridate dai tetti la Verità(2)  e 

Cari Vescovi, vi supplichiamo, non tacete più, gridate dai tetti la Verità(3)
- Cari Vescovi, vi supplichiamo, non tacete più, gridate dai tetti la Verità (4)

- Cari Vescovi, vi supplichiamo, non tacete più, gridate dai tetti la Verità (5)

arriviamo alla SESTA pagina dedicata a queste suppliche ai nostri Patori, affinchè VIGILINO  attentamente e con pazienza sul gregge loro affidato, sulla diocesi che sono chiamati a servire...vedi Ezechiele 3,16-21

«Figlio dell'uomo, ti ho posto per sentinella alla casa d'Israele. Quando sentirai dalla mia bocca una parola, tu dovrai avvertirli da parte mia. Se io dico al malvagio: Tu morirai! e tu non lo avverti e non parli perché il malvagio desista dalla sua condotta perversa e viva, egli, il malvagio, morirà per la sua iniquità, ma della sua morte io domanderò conto a te. Ma se tu ammonisci il malvagio ed egli non si allontana dalla sua malvagità e dalla sua perversa condotta, egli morirà per il suo peccato, ma tu ti sarai salvato.
Così, se il giusto si allontana dalla sua giustizia e commette l'iniquità, io porrò un ostacolo davanti a lui ed egli morirà; poiché tu non l'avrai avvertito, morirà per il suo peccato e le opere giuste da lui compiute non saranno più ricordate; ma della morte di lui domanderò conto a te. Se tu invece avrai avvertito il giusto di non peccare ed egli non peccherà, egli vivrà, perché è stato avvertito e tu ti sarai salvato».

.. dal canto nostro assicuriamo preghiera e filiazione affettuosa, sempre... nei Cuori di Gesù e Maria.... specialmente in questo Anno del Centenario di Fatima (1917-2017)




 

 




  EDITORIALE
Il Papa con i vescovi polacchi
 

La Conferenza episcopale polacca ha dichiarato che l’insegnamento della Chiesa per ciò che riguarda le persone che vivono in situazioni di coppie non sacramentali “non è cambiato” dopo la pubblicazione dell’esortazione apostolica Amoris Laetitia. E' la prima conferenza episcopale a dichiarare unitariamente che continuerà a seguire l’insegnamento tradizionale della Chiesa.

di Marco Tosatti

Il 7 giugno la Conferenza episcopale polacca ha chiuso i lavori della sua assemblea generale a Zakopane, sui monti Tatra. E secondo quanto ha dichiarato a Katholish.de il portavoce dei vescovi polacchi, Pawel Rytel-Andrianik, i presuli hanno constatato che l’insegnamento della Chiesa per ciò che riguarda le persone che vivono in situazioni di coppie non sacramentali “non è cambiato” dopo la pubblicazione dell’esortazione apostolica Amoris Laetitia.

Una dichiarazione pubblica spiega che i cattolici che si trovano in quel tipo di situazioni dovrebbero essere guidati “Verso una vera conversione e a una riconciliazione con il loro coniuge e i figli di quell’unione”. I vescovi si riferivano esplicitamente all’esortazione post-sinodale di Giovanni Paolo II “Familiaris Consortio”, che permette di avvicinarsi ai sacramenti solo se i divorziati-risposati civilmente vivono una relazione come fratello e sorella.

I vescovi polacchi hanno inoltre annunciato che discuteranno in autunno, durante la prossima assemblea generale, le linee guida realtive alla cura pastorale delle persone che vivono in situazioni di coppia “non sacramentali”, e la loro integrazione nella vita della Chiesa. Le nuove linee guida spiegheranno in concreto come dovrà essere svolto l’accompagnamento dei divorziati-risposati.

Questa presa di posizione ufficiale, dopo quelle di segno contrario delle conferenze episcopali della Germania e del Belgio, rende sempre più evidente lo stato di confusione provocato dall’ambiguità delle norme – e soprattutto delle note a piè di pagina – dell’esortazione post-sinodale “Amoris Laetitia”. Dalla sua pubblicazione si assiste a interpretazioni opposte di cardinali, vescovi,e  conferenze episcopali, mentre la richiesta di chiarimenti rivolta al Pontefice non solo dai cardinali con i “Dubia”, ma da laici, vescovi e studiosi con lettere aperte e petizioni rimane ancora inevasa.

Era prevedibile per altro che la Conferenza episcopale polacca si esprimesse in questa direzione. Già nel novembre scorso mons. Jan Watroba, Presidente del Consiglio per la Famiglia dei vescovi polacchi, aveva dichiarato: “E’ un vero peccato che non esista un’interpretazione unica e un messaggio chiaro del documento, e che si debbano aggiungere interpretazioni a un documento apostolico. Personalmente preferivo documenti come quelli che Giovanni Paolo II scriveva, dove commenti aggiuntivi o interpretazioni relative all’insegnamento di Pietro non erano necessari”. In precedenza il vescovo ausiliario di Lublino Józef Wróbel aveva espresso il suo appoggio ai Dubia. I cardinali “Hanno fatto bene e hanno esercitato correttamente quello che prevede la legge canonica. Credo che sia non solo un diritto, ma anche un dovere. Sarebbe stato giusto rispondere alle loro osservazioni”.

E aveva aggiunto:

“Non potevi dare la comunione prima, e non è possibile ora. La dottrina della Chiesa non è soggetta a cambiamenti, altrimenti non si tratta più della Chiesa di Cristo fondata sul Vangelo e sulla Tradizione. Nessuno ha il diritto di modificare la dottrina, perché nessuno è padrone della Chiesa”.

Anche il presidente della conferenza episcopale polacca, mons. Gadecki, nel luglio del 2016 secondo il Tablet aveva negato la possibilità di dare l’Eucarestia ai divorziati risposati. La conferenza episcopale polacca è la prima conferenza episcopale a dichiarare unitariamente che continuerà a seguire l’insegnamento tradizionale della Chiesa sul matrimonio e i sacramenti. In precedenza si erano avute conferenze episcopali regionali, a prendere posizione in merito, e un appello dei vescovi del Kazakhstan al Papa affinché confermasse la prassi immodificabile della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio. Altri vescovi in tutto il mondo hanno preso posizione in difesa della dottrina del matrimonio della Chiesa così come è stata enunciata e praticata fino ad “Amoris Laetitia”.

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SARAH
Il card Roberto Sarah
 

Il Prefetto Sarah apre il convegno internazionale sulla liturgia e si toglie più di un sassolino: «L'arroganza e la violenza del linguaggio verso Benedetto XVI sono diabolici e coprono la Chiesa con un manto di tristezza e di vergogna. Queste persone demoliscono la Chiesa e la Sua profonda natura».
Nel discorso chiede ancora la riforma della riforma e invita alla comunione in ginocchio e sulla bocca. Sull'esempio di Giovanni Paolo II e Madre Teresa. 

di Lorenzo Bertocchi

Con il discorso inaugurale tenuto ieri alle 17,30 dal cardinale Robert Sarah hanno preso avvio i lavori del convegno internazionale Sacra Liturgia, quattro giorni che vedono impegnati relatori da tutto il mondo. Quest'anno l'incontro si svolge a Milano e il discorso tenuto ieri nell'Aula magna dell'Università Cattolica dall'attuale prefetto della Congregazione per il Culto Divino era particolarmente atteso.

L'indirizzo di saluto di monsignor Dominique Rey, vescovo di Toulon, ha ricordato la postfazione che il papa emerito Benedetto XVI ha scritto all’edizione tedesca del libro di Sarah, La Forza del Silenzio. Come sappiamo questo breve testo di Joseph Ratzinger ha fatto perdere la bussola a qualche personaggio interessato al tema, che si è spinto in apprezzamenti pesanti nei confronti della persona di Benedetto XVI e del prefetto (vedi QUI).

«Prego devotamente», ha detto Sarah nell'avvio del suo discorso, «per coloro che hanno il tempo e la pazienza di leggere attentamente questo volume [La forza del silenzio, nda]: che Dio li aiuti a dimenticare la volgarità e la bassezza usate da alcune persone quando si riferiscono alla "Prefazione" e al suo autore, Papa Benedetto XVI. L'arroganza, la violenza del linguaggio, la mancanza di rispetto e il disprezzo inumano per Benedetto XVI sono diabolici e coprono la Chiesa con un manto di tristezza e di vergogna. Queste persone demoliscono la Chiesa e la Sua profonda natura. Il Cristiano non combatte contro nessuno. Il Cristiano non ha nemici da sconfiggere».

Poi l'intervento del cardinale si è sviluppato cercando di focalizzare il tema più volte espresso da Joseph Ratzinger sul fatto che la Chiesa si regge e cade sulla liturgia. Per comprendere questo ha richiamato l'attenzione su tre domande: Chi è Gesù Cristo?; Come conoscere Gesù Cristo?; Che cos'è un Cristiano?

NON SEPARARE IL CRISTO DELLA STORIA DAL CRISTO DELLA FEDE

Nella liturgia «non stiamo celebrando il "Gesù della storia", e nemmeno "il Cristo della fede". Riconosciamo umilmente il Cristo risorto come Dio, nostro Signore. Non viene demitizzato e allontanato da tutto ciò che riguarda la nostra fede: nonostante il valore accademico di questa separazione, non può essere considerata un’impresa legittima nel culto della Chiesa. Quando celebriamo la Sacra Liturgia, partecipiamo nell’adorazione del Cristo diventato uomo per la nostra salvezza, pienamente umano e pienamente divino». Perciò, ha sottolineato Sarah, «la liturgia non può diventare semplice celebrazione della fratellanza, ma deve diventare culto di Dio».

CRISTO SI INCONTRA NELLA CHIESA

Come Persona vivente il Cristo si incontra nella Chiesa. «Il nostro rapporto con Cristo parte dall’unica vera Chiesa che egli ha fondato per questo scopo. Come disse Papa Benedetto XVI: “Cristo lo scopriamo, lo conosciamo come Persona vivente, nella Chiesa. Essa è il ‘suo Corpo”». Oggi, ha aggiunto, «questa realtà è negata, perchè si accoglie Gesù, ma non la Chiesa. L'incontro personale è un seme che non riesce a maturare e a produrre frutto da solo perchè ha bisogno di nutrirsi della vita della Chiesa». Quindi il cardinale ha fatto riferimento all'appello che Giovanni Paolo II fece a Sidney nel 1996, rivolgendosi ai battezzati: “Tornate a casa”. E' vero, infatti, che tanti battezzati si assentano dalla liturgia e questo viene considerato da Sarah come «un continuo e grave scandalo presente nella Chiesa che mette in pericolo la loro vita eterna. Se diciamo alla gente di tornare occorre essere sicuri che la Sacra liturgia sia fatta come vuole la Chiesa».

In riferimento alla cosiddetta “riforma della riforma”, il cardinale ha detto che «occorre considerare questa questione con urgenza. In alcuni ambienti c'è separazione tra “vecchio” e “nuovo” [rito, nda], questa opposizione non può continuare. La liturgia non può essere modificata ad ogni sviluppo ecclesiologico. La Chiesa prima e dopo il concilio non ha due identità separate».

ESSERE RIVOLTI A CRISTO

Il cardinale ha quindi richiamato alcune parole di Sant'Ambrogio rivolte al battezzato: “Ricorda le domande che ti sono state poste, ripensa alle risposte: tu ti volti verso oriente, perchè chi rinuncia a Satana guarda Cristo faccia a faccia” (De Mysterii). «Attraverso l’uso di una postura fisica comune di profondo significato accanto ai suoi fratelli, il neofita prende il suo posto come Cristiano nel culto della ecclesia. Ho parlato diverse volte sull’importanza di recuperare questo orientamento, di essere rivolti a Est durante la celebrazione della liturgia di oggi, e continuo a sostenere ciò che ho detto. Vorrei semplicemente notare che in queste parole di Sant’Ambrogio possiamo apprezzare il vero potere, la bellezza, e anche il significato quando guardiamo a est. Così siamo uniti nella Chiesa che si rivolge al Signore per adorarlo, per guardare Cristo “faccia a faccia”».

In definitiva, «un Cristiano è una persona che prende il suo giusto posto nell'assemblea liturgica della ecclesia, che prende da questa fonte la grazia e l'istruzione necessaria per la vita Cristiana. Queste persone iniziano a penetrare e quindi vivere sempre di più i profondi misteri trasmessi dalla Sacra Liturgia. Per ciò, partecipare nella Sacra Liturgia rimane essenziale per il Cristiano».

LA COMUNIONE IN BOCCA E IN GINOCCHIO

«Oggi vorrei espressamente proporre di riflettere e promuovere la bellezza, appropriatezza e il valore pastorale di una pratica sviluppata durante la lunga vita e tradizione della Chiesa, cioè l’atto di ricevere la Santa Comunione sulla lingua mentre inginocchiati. Se San Paolo ci insegna che, “nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra” (Fili 2:10), quanto più dobbiamo piegare le nostre ginocchia quando riceviamo il Signore nel sublime e intimo atto della Santa Comunione!».

Per riflettere su questo delicatissimo tema il cardinale ha proposto ai presenti l'esempio di due santi: Giovanni Paolo II e Madre Teresa di Calcutta. «L’Intera vita di Karol Wojtyla è stata segnata da un profondo rispetto per la Santa Eucarestia. (…) Oggi vi chiedo semplicemente di ripensare agli ultimi anni del suo ministero, un uomo segnato nel corpo dalla malattia, ma Giovanni Paolo II non si è mai seduto al cospetto dell’Eucarestia. Si è sempre imposto di inginocchiarsi. Aveva bisogno dell’aiuto di altri per piegare le ginocchia e poi alzarsi. Fino ai suoi ultimi giorni ha voluto darci una grande testimonianza di riverenza al Santissimo Sacramento».

Madre Teresa «sicuramente toccava quotidianamente il “corpo” di Cristo presente nei corpi rovinati dei più poveri. Tuttavia, con stupore e rispettosa venerazione, decise di non toccare il Corpo di Cristo transustanziato. Invece, lo adorava. Lo contemplava silenziosamente. Si inginocchiava e si prostrava di fronte a Gesù nell’Eucaristia. E la riceveva come un piccolo bambino umilmente nutrito dal suo Dio. Vedere Cristiani che ricevevano la Santa Comunione nelle loro mani la riempivano di tristezza e dolore. Ella stessa disse: “Quando entro nel mondo, la cosa che mi rattristisce di più è vedere la gente ricevere la Comunione nelle loro mani.”».

Sarah si è detto consapevole del fatto che «l'attuale legislazione contiene l'indulto di ricevere l'eucaristia in piedi e in mano, ma quella di riceverla in ginocchio e sulla lingua è la norma dei cattolici di rito latino».

 





EDITORIALE
Monsignor Vincenzo Paglia
 

La nuova composizione della Pontificia Accademia per la Vita indica chiaramente che si vuole andare verso lo sdoganamento della contraccezione e la cancellazione di ogni eredità di san Giovanni Paolo II. Ma si tratta di obiettivi che avrebbero conseguenze gravissime  su ogni insegnamento della Chiesa.

di Riccardo Cascioli

La gravità delle nomine alla Pontificia Accademia per la Vita è tale che merita sicuramente una puntualizzazione oltre all’analisi già pubblicata ieri. Sono almeno due i punti di svolta che meritano una riflessione.

Anzitutto appare sempre più chiaro l’intento di rimettere in discussione l’enciclica di Paolo VI Humanae Vitae (1968) e, di conseguenza, l'istruzione Donum Vitae (1987) Di quest’ultima si è già detto tempo fa dando notizia dell’annullamento di una conferenza internazionale a 30 anni dalla sua promulgazione che la Pontificia Accademia per la Vita aveva già programmato (con tanto di relatori e temi assegnati), ovviamente prima dell’arrivo di monsignor Vincenzo Paglia alla guida dell’Accademia. Paglia ha quindi provveduto a cassarla.

Sulla Humanae Vitae girano già da tempo voci di una possibile commissione “segreta” incaricata di rivedere l’enciclica che, quando fu pubblicata nel 1968, provocò una vera rivolta di tanti teologi e perfino conferenze episcopali che chiedevano l’accettazione della contraccezione. Ieri queste voci hanno trovato consistenza: il professor Roberto De Mattei ha rivelato i nomi di questa commissione, tra cui spiccano don Pierangelo Sequeri, da poco nominato preside dell’Istituto Giovanni Paolo II per gli studi su Matrimonio e Famiglia, e monsignor Gilfredo Marengo, docente dello stesso istituto, che sarà anche il coordinatore della commissione. Le nuove nomine alla Pontificia Accademia per la Vita di teologi, filosofi e bioeticisti vanno esattamente in questa direzione di “reinterpretazione” della Humanae Vitae. Un nome su tutti è quello di don Maurizio Chiodi, teologo moralista della Facoltà teologica dell’Italia settentrionale che nelle sue lezioni non lesina critiche all’enciclica di Paolo VI, e che monsignor Paglia aveva già introdotto nel Pontificio Consiglio per la Famiglia nel tentativo di far cambiare indirizzo ai membri del dicastero.

Lo schema attraverso cui dovrà avvenire il cambiamento è quello già sperimentato con successo con la Amoris Laetitia: si dirà che sulla contraccezione non cambia la dottrina ma che si farà discernimento caso per caso. Del resto, lo stesso Marengo – ricorda De Mattei citando un articolo apparso su Vatican Insider - ha recentemente invitato a superare il dualismo “pillola sì, pillola no”, così come si deve fare per “comunione ai divorziati risposati sì, comunione ai divorziati risposati no”. Per essere precisi e a futura memoria è proprio questo modo di aggirare la legge di Dio a proprio uso e consumo che si definisce “farisaico”.

Ma qui il problema va ben oltre l’ipocrisia. Si intende scardinare il principio chiave che è alla base della Humanae Vitae, coerente con ciò che la Chiesa ha sempre insegnato: l’inscindibilità della finalità unitiva e procreativa dell’atto coniugale. Ammettere la contraccezione significa introdurre una separazione che già è all’origine del disastro demografico e sociale dei nostri paesi occidentali. 

Non solo, proprio seguendo il filo del pensiero dei moralisti Paglia-style si vuole ridurre l’insegnamento della Chiesa – in questo caso su matrimonio e atto coniugale - a ideale astratto e raggiungibile solo da pochi, così da essere necessario abbassare l’asticella in modo da tenere conto della realtà. È una visione che svuota di significato i sacramenti e condanna l’uomo al suo limite, e ovviamente è una visione che si estende necessariamente a ogni aspetto della vita della Chiesa (nessuna sorpresa dunque se già vediamo all’orizzonte un nuovo dibattito sul celibato sacerdotale).

Una reinterpretazione della Humanae Vitae in senso liberal, dunque, avrebbe conseguenze gravissime per la Chiesa.

La seconda questione si lega in qualche modo alla prima. È infatti evidente che monsignor Paglia – su indicazione dall’alto - persegue l’obiettivo di cancellare ogni traccia dell’insegnamento di san Giovanni Paolo II. La Pontificia Accademia per la Vita è stata fortemente voluta da papa Wojtyla - contro molte resistenze – proprio per promuovere la cultura della vita, a difesa del diritto alla vita e della dignità della persona. Per questo per tutti i membri dell’Accademia era previsto un giuramento in cui si impegnavano a difendere la vita. 

Con monsignor Paglia, invece, abbiamo visto prima cancellare il giuramento dagli Statuti dell’Accademia, e ora nominare filosofi e scienziati in contrasto con la visione a favore della vita. Particolare scandalo ha suscitato la nomina a membro ordinario dell’Accademia del filosofo britannico Nigel Biggar, pubblicamente a favore dell’aborto entro le 18 settimane. Cosa c’entra Biggar con lo scopo per cui è nata la Pontificia Accademia per la Vita? Nulla, rappresenta il contrario, ma proprio per questo è stato nominato. E molto discutibile è anche la nomina del professor Angelo Vescovi che con Monsignor Paglia vanta un lungo sodalizio. A Terni infatti, città dove Paglia è stato vescovo dal 2000 al 2013, è stato creato un Centro per la ricerca sulle cellule staminali diretto appunto da Vescovi e finanziato anche da Paglia. Per quanto ufficialmente si affermi che la ricerca riguarda soltanto cellule staminali adulte, fonti locali sostengono invece che la ricerca scientifica riguardi anche staminali embrionali. 

Comunque sia è chiaro che la preoccupazione di monsignor Paglia – come del resto si capisce dal suo commento alla nomina dei nuovi membri dell’Accademia – non è quello di difendere la vita dal concepimento fino alla morte naturale quanto quella di arrivare a indicare strade che siano condivise anche da chi non crede nella sacralità della vita. I risultati si vedranno presto.

   si legga anche qui: Elton Paglia, presidente della pontificia accademia per la morte






[Modificato da Caterina63 15/06/2017 08:52]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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15/06/2017 08:22
 
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Omoeresia nella Chiesa
 

Sono anni ormai che vescovi e addirittura intere conferenze episcopali sponsorizzano idee sulla sessualità contrarie all'insegnamento cattolico e all'uomo, diffondendo l'ideologia gender nelle scuole. McCusker, attivista pro life americano, spiega le radici del tradimento, il problema dei pontificati e perché il cuore della Chiesa è malato, legando quanto sta avvenendo alle apparizioni della Madonna a Fatima "che lì ci spiegò cosa sarebbe accaduto e come bisognava lottare".

 di Benedetta Frigerio

 


Il mese scorso, a ridosso della Marcia per la Vita che si è svolta a Roma, Matthew McCusker, membro e supervisore della Society for the Protection of Unborn Children, è intervenuto in un convegno dell'attivismo pro life internazionale per denunciare la diffusione dell’eresia omosessualista nella Chiesa che, non di rado, contraddice non solo il suo magistero ma avalla il pensiero dominante che mira a distruggere la creazione divina. Matthew McCusker fa parte della nuova generazioni di giovani pro life americani che rifiutano il compromesso perché consapevoli di combattere una battaglia escatologica, non innanzitutto politica. Ed ha avuto il merito di mostrare le scorrettezze avvenute durante il sinodo della famiglia, tanto che il cardinal Burke ha elogiato il suo lavoro perché dimostra che “non serve essere dei cospirazionisti per costatare le manipolazioni”.

McCusker , lei ha parlato di infiltrazioni del pensiero omoeretico nella Chiesa, può spiegarci meglio?
Sì, mi riferivo in particolare all’uso dei programmi di educazione sessuale che includono contenuti contrastanti l’insegnamento della Chiesa cattolica. Il più recente e scioccante esempio di questo fatto è un documento prodotto dal Chatholic Education Service (Ces), l’ente ufficiale della conferenza episcopale dell’Inghilterra e del Galles. Il programma, intitolato “Fatti ad immagine di Dio: una sfida al bullismo omofobico e bifobico nelle scuole cattoliche”, consiste in 40 pagine di pianificazione delle lezioni sviluppate per contrastare i presunti problemi di bullismo omofobico nelle scuole cattoliche. Il documento aderisce con entusiasmo all’ideologia Lgbt invece che all’insegnamento della Chiesa. Per esempio, la guida afferma che ai bambini deve essere insegnato l’uso di “una corretta terminologia Lgbt”, dove le definizioni sono quelle del movimento Lgbt. Per fare solo due esempi, ai bambini della scuola cattolica deve essere insegnato che il termine “transgender” viene usato “frequentemente come un termine generico per riferirsi a tutte le persone che non si identificano con il loro sesso di nascita o con il sistema sessuale binario. Alcune persone transgender sentono di esistere non all’interno di due categorie sessuali standard, ma piuttosto in qualcosa che sta in mezzo, o al di fuori dei due sessi femminile e maschile. Insegnano loro che la parola “alleato” si riferisce a “tutte le persone non Lgbt che supportano e si battono per i diritti delle persone Lgbt. Anche le persone Lgbt possono essere “alleate”, come una “lesbica” che è alleata a una persona transessuale”. Oltre alle linee guida esiste anche un curriculum specifico della Ces.

Di che si tratta?
Questo curriculum suggerisce di insegnare ai bambini dai 3 ai 7 anni che “ci sono diverse strutture familiari e che queste dovrebbero essere rispettate”. Queste frasi come “diverse strutture familiari” o “varie forme di famiglia” sono, certamente, molto usate per promuovere l’omosessualità e l’adozione Lgbt, ma sono menzognere. Lo stesso linguaggio si è infiltrato anche nell’Amoris Laetitia quando il papa, nel contesto delle “unioni dello stesso sesso”, dice che “dobbiamo riconoscere la grande varietà di situazioni familiari che possono offrire una certa regola di vita”. Una grande ambiguità.

Lei ha denunciato la Conferenza episcopale inglese, ma non solo. Non si tratta di un caso circoscritto?
Sfortunatamente questo approccio non è raro. Un altro esempio recente viene da Nashville in Tennessee, dove una scuola cattolica ha attuato un programma in cui si coinvolgevano i bambini mostrando loro immagini sessuali esplicite e insegnando loro che esistono dieci tipi diversi di contraccezione senza alcun riferimento al fatto che usarla è un peccato. Quando un gruppo di genitori si è lamentato con il vescovo lui ha appoggiato la scuola e infine un bambino è stato espulso dopo che i suoi genitori si sono rifiutati di permettere che partecipasse a quelle lezioni. I vescovi spesso mancano nel supporto ai genitori che vogliono esercitare il loro diritto ad agire come i primi educatori dei loro figli.

Com’è possibile che anche alcuni vescovi e cardinali, un tempo non sospetti, ora si pongono contro il magistero della Chiesa, sorvolando se non addirittura sostenendo l’ideologia gender anticristica ed anti umana? 
Alcuni prelati, come, arcivescovo di Westminster, dissentono dall’insegnamento della Chiesa sulla sessualità umana da molti anni. Nichols (presidente della conferenza episcopale inglese che ha sposato tali programmi) ha un passato inquietante sull’intera gamma di questioni su cui si concentrano gli attivisti pro life e pro family, come l’educazione sessuale, la contraccezione, le unioni dello stesso sesso e la comunione agli adulteri. Nichols ha anche un atteggiamento molto debole nei confronti di coloro che uccidono bambini tramite l’aborto e ha affermato che “il valore che diamo alla vita umana nel suo primo inizio” è “chiaramente…non la stessa che diamo ad un altro adulto seduto al nostro fianco”. Si pose contro l’etica sessuale autentica durante il suo episcopato anche nel 1996, quando era un vescovo ausiliare: difese la concessione dell’imprimatur ad un libro per cui in certe circostanze i cattolici potevano usare la contraccezione. Nonostante questo fu promosso sia sotto il pontificato di Giovanni Paolo II sia sotto quello di papa Benedetto XVI e ora papa Francesco gli ha dato nuove responsabilità. Ciò rivela una crisi molto seria che tocca il cuore della Chiesa. Anche perché Nichols è solo uno dei tanti prelati a cui è stata affidata la responsabilità di insegnare la fede cattolica, mentre sostenevano pubblicamente posizione contrarie alla fede.

Secondo lei quando questa eresia si è infiltrate nella Chiesa e perché? Crede che la Chiesa sia già malata da tempo?
La risposta che diedero i vescovi di tutto il mondo all’Humanae Vitae mostra che il problema era già serio. Il rifiuto dell’insegnamento della Chiesa sulla contraccezione è la radice di molti altri problemi. Al principio di questo rifiuto c’è l’accettazione della verità sul fatto che l’atto sessuale è primariamente ordinato alla procreazione, che il fine unitivo è secondario ad esso e che il luogo dell’unione sessuale è il matrimonio, che ha lo scopo di generare figli ed educarli. Il secondo fine del matrimonio è il muto bene degli sposi. Il rifiuto del primato della procreazione apre la strada non solo all’uso della contraccezione ma anche all’accettazione degli atti omosessuali, che ovviamente non possono essere procreativi. Già durante il Concilio Vaticano II, figure chiave come il cardinal Suenens argomentavano contro l’insegnamento tradizionale della Chiesa sul fine del matrimonio. Tutto ciò, dunque, si riflette nella Gaudium et Spes che non riafferma la gerarchia di questi due fini e che, invece, fornisce una spiegazione dettagliata del fine unitivo (paragrafo 49) prima di spiegare quello procreativo (paragrafo 50). Chiaramente però le radici di questa crisi sono ancora più profonde. Una di queste è il relativismo derivante da filosofie evolutive che negano l'esistenza di una legge morale naturale immutabile e vincolante.

Perché non sono arrivate e non arrivano correzioni e provvedimenti dal Vaticano?
Non solo non si corregge ma spesso il supporto di questa eresia è appoggiata dall’altro. Basti pensare che il Pontificio consiglio per la famiglia, dopo la pubblicazione dell’Amoris Laetitia, ha divulgato un suo programma sull’educazione sessuale intitolato The Meeting Point. Questo programma, che è stato stilato per le scuole e non per i genitori, non è in linea con gli insegnamenti morali della Chiesa e adotta un approccio secolarizzato e secolarizzante, esponendo i bambini ad immagini oscene e pornografiche. Inoltre, papa Francesco ha promosso gli obiettivi dello Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite che chiama i membri dello stato ad “assicurare l’accesso universale ai servizi per la salute sessuale e riproduttiva, inclusi quelli per la pianificazione, l’informazione e l’educazione familiare”. Il che significa, sostanzialmente, assicurare l’accesso universale all’aborto, alla contraccezione e all’educazione sessuale. Nonostante questo, il primo settembre 2016, papa Francesco ha affermato nel suo messaggio per il giorno di preghiera per la cura dell’ambiente che lui era “grato che nel settembre del 2015 le nazioni del mondo hanno adottato gli obiettivi dello Sviluppo Sostenibile”.

Come combattere un’ideologia di questo tipo ormai dilagante anche nella Chiesa?
La prima risposta deve essere di carattere spirituale. A Fatima la Madonna mise in guardia sul fatto che gli “errori della Russia” si sarebbero diffusi nel mondo causando la perdita di molte anime. I veggenti di Fatima riferirono che la Madonna aveva parlato dei “peccati della carne” come di quelli che portano il maggior numero di anime all’inferno e aveva parlato delle “mode” che avrebbero offeso gravemente Dio. La Madonna ci diede anche la soluzione: la preghiera ed il pentimento. Chiese specificatamente il Rosario quotidiano, la preghiera per la conversione dei peccatori e la riparazione per le offese al suo Cuore Immacolato, particolarmente attraverso la Comunione e la Confessione nei primi sabati del mese. Chiese anche al papa di consacrare la Russia al suo Cuore Immacolato. Dobbiamo ancora pregare e operare molto affinché questo avvenga. E poi bisogna diffondere la verità sui programmi di educazione nelle scuole, mostrando ai genitori cosa viene insegnato ai loro figli. Infatti, gli autori di questi programmi mascherano i contenuti reali di ciò che diffondono attraverso un linguaggio apparentemente neutrale, come “educazione sessuale comprensiva”, o anche positivo, come “età appropriata”. Poi leggendoli integralmente si capisce cosa si intende usando queste parole. Un esempio è L’Oms che nel suoi “Standard per l’educazione sessuale in Europa” considera appropriato insegnare a bambini dagli 0 ai 4 anni “la masturbazione infantile precoce”, mentre a quelli dai 4 ai 6 anni “le relazioni fra persone dello stesso sesso”. E ai 15enni “il diritto all’aborto”. Per questo motivo è molto preoccupante che nel capitolo 7 di Amoris Laetitia vi sia una sezione intitolata "Sì all'educazione sessuale", che non tiene conto dei gravi problemi di quasi tutti i programmi di educazione sessuale disponibili. Ma sopratutto che non riafferma l'autentico insegnamento della Chiesa per cui l'educazione alla sessualità dovrebbe venire dai genitori e non dalla scuola. 


  si legga anche: -PELLEGRINAGGI E MESSE PRIDE: E' L'OMOERESIA MADE IN USA di Andrea Zambrano









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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Parole di saluto di Benedetto XVI per la Messa da requiem per il Cardinale Joachim Meisner nella cattedrale di Colonia


 


Riprendo nella nostra tempestiva traduzione dall'originale tedesco su kath.net il testo integrale del saluto di Benedetto XVI letto da mons. Georg Gänswein. Importante sia per l'immagine drammatica della barca di Pietro vicina a capovolgersi, che per le sentite parole sull'adorazione eucaristica così trascurata dall'ala liberal della Chiesa compreso il suo successore. 


Testo integrale delle parole di saluto di Benedetto XVI in occasione della Messa da requiem per il Cardinale Joachim Meisner nella cattedrale di Colonia, letto dall'Arcivescovo Georg Gänswein

In questo momento in cui la Chiesa di Colonia e i suoi fedeli danno l'addio al Cardinale Joachim Meisner, il mio cuore e i miei pensieri sono con voi tutti e sono felice di  inviarvi, su richiesta del cardinale Woelki, alcune parole commemorative.
Quando, mercoledì scorso, ho appreso da una telefonata della morte del card. Meisner, in un primo momento non potevo crederci. Il giorno prima avevamo parlato al telefono. La sua voce era piena di gratitudine perché era ormai arrivato in vacanza, dopo che la domenica precedente aveva partecipato, a Vilnius, alla beatificazione del vescovo Teofilius Matulionis.  Lo ha sempre caratterizzato l'amore per le Chiese dei paesi vicini dell'est europeo, che hanno subìto la persecuzione comunista e la gratitudine per la fortezza con cui hanno sopportato, all'epoca, tali prove. E quindi non è affatto una coincidenza il fatto che l'ultima visita della sua vita sia stata dedicata a un testimone della fede in quelle terre..
Ciò che mi ha colpito particolarmente nei recenti colloqui con il defunto cardinale sono state la serenità, la gioia interiore e la fiducia che aveva raggiunto. Sappiamo che per lui, appassionato curatore di anime, risultava difficile lasciare il suo ufficio e proprio in un momento in cui la Chiesa ha bisogno di pastori che sappiano resistere alla dittatura dello spirito del tempo e vivere e pensare con decisione in conformità con la fede.
Ma mi ha commosso  ancora di più il fatto che in quest'ultimo periodo della sua vita abbia imparato a prendere le cose più serenamente  e che vivesse sempre più nella profonda consapevolezza che il Signore non abbandona mai la sua Chiesa, anche se a volte la barca si è riempita [d'acqua] fino quasi a capovolgersi.

Due cose lo hanno reso sempre più felice e sicuro nell'ultimo periodo della sua vita:
  1. da una parte mi ha sempre raccontato come si sentisse felice di aver ricevuto il sacramento del sacerdozio e per il fatto che molti giovani specialmente molti giovani uomini, ricevano la grazia della vocazione, il dono che solamente Dio può dare loro di trovare veramente la Vita;
  2. dall'altra lo ha sempre rasserenato e reso felice il diffondersi dell'adorazione eucaristica. Per lui un punto centrale della GMG a Colonia è stato il fatto che vi fosse l'adorazione eucaristica, un momento in cui solo il Signore parla ai cuori. Alcuni esperti della pastorale e della liturgia ritenevano che un tale momento di contemplazione del Signore non fosse accessibile ad un numero così grande di persone. Alcuni ritenevano persino che l'adorazione eucaristica sia qualcosa di superfluo dato che il Signore vuole essere ricevuto nel Pane eucaristico e non essere contemplato.
Ma il fatto che questo Pane non possa essere mangiato come qualsiasi altro nutrimento e che "ricevere" il sacramento eucaristico coinvolge tutte le dimensioni della nostra esistenza fa sì che ricevere il Signore è adorazione: ciò è divenuto molto chiaro. Pertanto il momento dell'adorazione eucaristica durante la GMG di Colonia è diventato un'esperienza intima che è rimasta indimenticabile non solo per il cardinale. Questo momento gli è rimasto interiormente sempre presente perdurando come una grossa luce per lui.
Quando, l'ultima mattina, il card. Meisner non è apparso alla messa, è stato trovato morto nella sua stanza. Il breviario gli era scivolato dalle mani: è morto pregando, con lo sguardo rivolto al Signore, in dialogo con Lui. Il modo in cui è morto che gli è stato concesso ci mostra ancora una volta come egli  ha vissuto alla presenza del Signore e in colloquio con Lui.
 
Così dobbiamo affidare con fiducia la sua anima alla bontà di Dio. Signore ti ringraziamo per la testimonianza del tuo servo Joachim. Concedigli ora di intercedere per la Chiesa di Colonia e per tutto il mondo. Requiescat in pace.
Benedetto XVI, Papa emerito.

[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]
 


PARLA IL PAPA EMERITO
Meisner e Ratzinger
 

Il Papa emerito ricorda l'amico scomparso, il cardinal Meisner. «Pastore appassionato, ha resistito alla dittatura dello spirito del tempo». Poche parole, ma sufficienti per scatenare la dietrologia che non siano state scritte da lui. Per gli esperti Melloni & co è inaccettabile che Benedetto XVI abbia legato affetto ad uno degli estensori dei dubia accennando alla crisi attuale. E' accaduto anche con Sarah. Di fronte a due uomini inquadrati come “divisori”, le parole di Ratzinger suonano un'altra musica.

di Lorenzo Bertocchi

«Quando ho appreso mercoledì scorso da una telefonata della morte del card. Meisner in un primo momento non ci credevo. Il giorno prima avevamo parlato al telefono. La sua voce era piena di gratitudine perché era ormai arrivato in vacanza..».

Si telefonavano come due vecchi amici Benedetto XVI e il cardinale emerito di Colonia, che la settimana scorsa, improvvisamente, è salito al Cielo nel sonno mentre trascorreva le sue vacanze in località Bad Fussing. E' morto serenamente, con il breviario in mano.

IL MESSAGGIO DI BENEDETTO XVI

Sabato scorso al funerale del cardinale Meisner (1934-2017), celebrato nella cattedrale di Colonia, è stato monsignor Georg Gaenswein, prefetto dalla Casa Pontificia e segretario particolare del Papa emerito, a leggere un lungo messaggio che Benedetto XVI ha scritto per ricordare l'amico cardinale.

«Sappiamo che era un pastore appassionato», ha scritto Ratzinger, «e l’ufficio di pastore è difficile, proprio in un momento in cui la Chiesa ha bisogno di pastori convincenti che sappiano resistere alla dittatura dello spirito del tempo e sappiano decisamente vivere con fede e ragione. Mi ha commosso anche il fatto che ha vissuto in questo ultimo periodo della sua vita sempre di più con la certezza profonda che il Signore non abbandona la sua Chiesa, anche se a volte la barca si è riempita fino quasi a capovolgersi».

L'esegesi di queste parole non è molto difficile.....

TELEFONATE FRA AMICI

E' bello che due vecchi amici come Benedetto XVI e Meisner continuino a telefonarsi. Uno spaccato di vita reale, semplice. Guarda caso, lo stesso giorno in cui riceveva la telefonata di Ratzinger, Meisner ne riceveva una anche da un altro prelato tedesco, l'ex prefetto della congregazione per la Dottrina della fede, il cardinale Gherard L. Muller. Di questa telefonata sappiamo qualcosa in più, per esplicite dichiarazioni di Muller al Passauer Neue Presse. I due hanno parlato della mancata riconferma del prefetto alla scadenza precisa dei cinque anni, il giorno 2 luglio. Meisner ne era rimasto «profondamente colpito e rattristato», chissà se lo avrà detto anche al suo caro amico.

L'ex arcivescovo emerito di Colonia è stato un grande elettore del cardinale Ratzinger al conclave del 2005, fu proprio Meisner, secondo diverse ricostruzioni, a convincere l'amico ad accettare l'elezione a Papa. Fu sempre Meisner a favorire il convogliare di voti intorno all'allora prefetto della congregazione per la Dottrina della fede, insieme ad altri cardinali come Biffi, López Trujíllo, Ruini, Herranz, Rouco Varela e Medina. Il contendente di Ratzinger in quel conclave sarebbe stato proprio il cardinale Jorge Mario Bergoglio, come lo stesso Benedetto XVI ha in qualche modo indicato nel suo ultimo libro intervista scritto con il giornalista tedesco Peter Sewald, Ultime conversazioni.

Come molti sanno Meisner è anche uno dei quattro cardinali, gli altri sono Walter Brandmuller, Raymond Burke e Carlo Caffarra, che hanno presentato i cinque dubia a Papa Francesco circa l'interpretazione di alcuni passaggi dell'esortazione Amoris laetitia. Come ha detto a Repubblica il segretario di Ratzinger, monsignor Georg Gaenswein, il papa emerito segue il dibattito e, quindi, conosce le vicende. Tra l'altro basta leggere il magistero di Benedetto XVI e del cardinale Ratzinger in qualità di prefetto dell'ex Sant'Ufficio per rendersi conto di  quale possa essere il suo orientamento in merito, indipendentemente dal fatto che ne abbia parlato con l'amico.

PENITENZA E EUCARISTIA

Altri due passaggi importanti nel messaggio che Ganswein ha letto nella cattedrale di Colonia, riguardano i sacramenti della Penitenza e dell'Eucaristia. «Due cose negli ultimi tempi» erano particolarmente gradite all'amico Meisner: «La profonda gioia di vivere il sacramento della penitenza», specialmente da parte dei giovani, e quindi «l'adorazione eucaristica». Per questo Benedetto XVI ha ricordato l'esperienza vissuta proprio alla GMG di Colonia nel 2005. «Alcuni esperti di pastorale e di liturgia», ha scritto in modo significativo Ratzinger, «credevano che il silenzio non potesse essere raggiunto agli occhi del Signore con un gran numero di persone. Alcuni di loro erano anche del parere che l'adorazione eucaristica fosse qualcosa di datato, perché il Signore dovrebbe essere ricevuto nel Pane eucaristico e non in altri modi. Ma non si può mangiare questo pane come qualsiasi altro cibo, il Signore nel sacramento eucaristico chiama tutte le dimensioni della nostra esistenza. Il fatto che la ricezione debba essere adorata è diventato molto chiaro. Ad esempio, l'adorazione eucaristica nella Giornata Mondiale della Gioventù di Colonia è diventata un evento interiore che non è stato memorabile solo per il cardinale.»

QUANDO PARLA RATZINGER

Confessione, silenzio, adorazione, il sacramento eucaristico che chiama tutte le dimensioni dell'esistenza, sono temi cari a Benedetto XVI e che certamente incrociano il dibattito sui dubia, oltreché questioni liturgiche importanti. A questo proposito in questi giorni esce nelle librerie italiane il libro intervista del cardinale Robert Sarah, prefetto della congregazione per il Culto divino, La forza del silenzio (Cantagalli). Un libro che porta la prefazione di Benedetto XVI. Una prefazione per cui molti hanno perso la testa, arrivando ad irridere non solo Sarah, ma anche il papa emerito, in pratica chiedendo che i due tolgano il disturbo e si zittiscano.

L'elogio di Ratzinger al cardinale Sarah, e il messaggio inviato per salutare il suo caro amico Meisner, sono indicative. Di fronte a due uomini che molti esperti inquadrano come “divisori” della comunione ecclesiale e “freddi dottrinari”, le parole di Ratzinger suonano un'altra musica. E non hanno bisogno di molte ermeneutiche per essere comprese.





IL SAGGIO
Christine Vollmer
 

Preti omosessuali, contraccezione nelle famiglie: tutto questo è stato tollerato a partire dagli anni '70 da ecclesiastici formati nel lassismo e permissivismo tipico degli anni '60. Così quando sono arrivati Giovanni Paolo II e Benedetto XVI si sono formate le opposizioni che poi hanno portato alla cosiddetta mafia di San Gallo. Un saggio di Christine Vollmer.

di Marco Tosatti

Ho letto con grande interesse un appassionato intervento di Christine Vollmer su The Catholic Thing, in tema di morale, omosessualità abusi, e, soprattutto, l’insegnamento della Chiesa. Una disamina lucida ed efficace, in un momento in cui i vescovi (vedi il caso di don Pusceddu a Cagliari) puniscono i sacerdoti se citano le parole di San Paolo sulla sodomia; se altri vescovi chiudono un occhio anzi due su responsabili ecclesiali che si uniscono a persone dello stesso sesso; e se noti gesuiti mediatici, nominati Consultori per il dicastero delle Comunicazioni in Vaticano, augurano ai loro amici LGBT di divertirsi per benino al prossimo Gay Pride locale.

Christine Vollmer ricorda che il problema degli abusi nella Chiesa, “mascherato” sotto il termine di pedofilia, in realtà è efebofilia, o pederastia. Cioè si tratta di sacerdoti omosessuali che predano adolescenti. Una realtà peraltro che è stata evidenziata dal fatto che negli USA l’80 per cento dei sacerdoti condannati erano omosessuali. E confermata dal fatto che, come ha dichiarato qualche tempo fa il prof. Rev. Davide Cito, docente a Santa Croce ed esperto della Congregazione della Fede, su 400 casi che giungono a Roma ogni anno il 90 per cento riguarda abusi omosessuali su adolescenti, dai 15 ai 17 anni. Per tacere ovviamente di casi di cronaca come quello del segretario di un cardinale che organizzava orge omosessuali con droga nel Palazzo del Santo Uffizio.

Christine Vollmer è una personalità molto nota nella Chiesa. È presidente di PROVIVE in Venezuela, coordinatrice del Curriculem Alive to the World, ed è stata membro del Pontificio Consiglio della Famiglia e dell’Accademia per la Vita fino al 2016, quando la nuova gestione ha rinnovato come sappiamo i suoi quadri.... Ha servito anche nella delegazione della Santa Sede all’Onu. Il suo intervento si intitola “Quando le onde sommergono la barca di Pietro”; e naturalmente viene spontaneo collegarlo alle parole di Benedetto XVI per le esequi del cardinale Joachim Meisner.

Quelli che amano la Chiesa e hanno seguito il pontificato di Paolo VI, San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI con devozione ed entusiasmo sono in uno stato di allarme. Improvvisamente, avvolta in un mucchio di paroline dolci, la chiarezza dell’insegnamento cattolico sembra fatta a pezzi. Che cosa sta succedendo? E perché dobbiamo tener duro, senza paura?

La lucidità e la verità che hanno bendetto la seconda metà del XX secolo attraverso gli insegnamenti di questi grandi pontefici, toccando milioni di cattolici e non cattolici egualmente, hanno risvegliato un amore e un rispetto per la Chiesa Cattolica Romana che è stato ampiamente in sonno dopo la Secondo Guerra Mondiale ed è stato posto in dubbio severamente negli anni ’60 e ’70.

Una grande rivolta ha sommerso la cultura occidentale. La dottrina è stata buttata via; la famiglia è stata rivoluzionata; la tradizione è stata rovesciata; non rappresentava più secoli di saggezza accumulata lentamente, ma fu resa ridicola; la moralità divenne “intolleranza”, “fanatismo”, auto-limitazione senza senso.

Come risultato, gli anni ’80 hanno testimoniato l’inizio di cambiamenti societari e legali che confondevano e riempivano di stress i fedeli di tutte le fedi. Nella Chiesa cattolica la gerarchia – educata in tempi precedenti – mantennero un’apparenza di ortodossia, ma il dissenso era tollerato, e (per quelli di noi che erano giovani all’epoca) era chiaro che c’erano due tipi di preti.

Preti  e vescovi fedeli accettarono la profetica enciclica di Paolo VI nel 1968, Humanae Vitae, anche se non la comprendevano pienamente all’epoca. Per contrasto, quelli formati nel relativismo e permissivismo degli anni ’60 la trattavano con indifferenza piena di disprezzo. Papa Polo VI giustamente osservò che “il fumo di Satana si è infiltrato nella Chiesa”. Fu un tempo molto duro per le giovani coppie e per i genitori che vedevano i loro figli adottare sempre di più una moralità sessuale contraccettiva.

Insegnamento morbido nei seminari ha portato molti futuri preti a credere che “l’autorità” non ha il diritto di imporre standard o moralità; e ha anche prodotto i preti omosessuali che hanno commesso atti orrendi di pederastia. Gli sforzi fatti per nascondere questa realtà vergognosa come una “malattia” (pedofilia) sono stati smentiti dal fatto che una vasta maggioranza di casi coinvolgeva ragazzi adolescenti. Alcuni vescovi, codardamente o peggio, proteggevano quei preti, come sappiamo.

Perché questo era tollerato? Era tollerato perché la generazione del ’60 e ’70, allora in posizione di comando, era contraria all’imposizione di regole morali o disciplina. Era permissiva per convinzione.

L’arrivo sorprendente e affascinante sulla scena di Karol Wojtyla, San Giovanni Paolo II, con la sua avvincente presentazione di verità onorate dal tempo del Vangelo e il suo vero aggiornamento fu destabilizzante per gli anni ’60. Ma riempì di passione e stimolò la generazione seguente, e i preti fedeli e i religiosi e i laici ovunque.

Venne con l’esperienza della guerra, del Nazismo, del Comunismo e di malvagità di ogni tipo e conosceva la logica del Vangelo e della Buona Novella sulla persona umana e la salvezza.

Inoltre la sua conoscenza si è affilata fra i giovani e le coppie, fra quelli che soffrivano, eroi e gente ordinaria. Ha elettrizzato il mondo con spiegazioni piene di ispirazione su come dovremmo vivere. Non offriva soluzioni facili, ma felici. Ci ha dato spiegazioni comprensibili di chi siamo e come possiamo vivere il messaggio del Vangelo nel nostro tempo.

Quando BXVI è succeduto a Giovanni Paolo II, ha rivolto la sua attenzione al vizio che si era infiltrato nei più alti gradi della Chiesa. Ha punito ed esiliato padre Marcial Macel e iniziato un’inchiesta sulle vosi ampiamente diffuse di omosessualità e di scorrettezze finanziarie nella Curia. Non sappiamo i contenuti del rapporto; ma sappiamo che ha provocato grande allarme in alcune alte cerchie a Roma.

I tre decenni di brillante evangelizzazione dei papi Giovanni Paolo II e Benedetto nel mondo hanno avuto un enorme successo fra i laici e una intera nuova generazione di preti desiderosi e abili a insegnare la vera fede cattolica e la morale.

Ma molti fra quelli della generazione precedente non erano contenti di vedere convinzione e fermezza nella fede sbocciare di nuovo. Un numero di vescovi e cardinali nel mondo sviluppato si sentivano a disagio mentre la loro via permissiva e lassiste si urtava con questo nuovo vigore. Alcuni di questi che erano ora vecchi prelati potenti, lo sappiamo ora, decisero di “salvare” la Chiesa da quelli che evidentemente consideravano insegnamenti “rigidi” e di vecchio stampo.

Ci dicono che fondarono il Sankt Gallen Club, o “mafia” per preparare i piani per deviare a forza la Barca di Pietro verso una rotta diversa. Approfittando della tolleranza dei papi precedenti che non li umiliarono mai per il loro lassismo dottrinale, questa club di Sankt Gallen riuscì a promuovere un candidato per il papato. Jorge Bergoglio fu eletto.

La generazione degli anni ’70 è ora al potere nella Chiesa. Negli affari e in politica quella generazione è generalmente in pensione. Molti sono stati stroncati da tragedia di droga e sesso e hanno distrutto i loro figli. Ma nella Chiesa molti sono ancora là – e ora hanno il potere.

L’affresco omoerotico oltraggioso commissionato dall’arcivescovo Vincenzo Paglia per la sua cattedrale a Terni non gli ha impedito di essere nominato, e cambiare radicalmente, le sezioni del Vaticano che riguardano la Vita e la Famiglia.

L’arcivescovo Paglia ha anche ordinato un programma di “educazione sessuale” in cinque lingue, che contraddice principi importanti dell’insegnamento della Chiesa sull’educazione sessuale.

E così vediamo una grande divisione oggi nella Chiesa. I cattolici della strada praticanti sono più motivati che mai a vivere e insegnare la vera dottrina sociale e morale della Chiesa. Ma vedono che prelati formati nel permissivismo e nel relativismo sono promossi. Persino scandali che riguardano droga e sesso nel Vaticano non sembrano rallentare il rifiuto e la modifica della categorie tradizionali della morale e del genere, confermate con tanta bellezza dai nostri grandi papi recenti.

Stiamo dirigendoci verso acque molto tempestose e non dobbiamo perdere coraggio. Nostro Signore è vivo e dobbiamo essere fedeli a Lui e al Suo insegnamento in questi tempi di prova. Giovani preti e laici, e i molti movimenti fedeli devono restare saldi nella Verità, uniti in preghiera e azione finché la tempesta non sia passata. Gesù, ho fede in Te!

 




[Modificato da Caterina63 22/07/2017 09:26]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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28/07/2017 19:23
 
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Interpretazione del Concilio Vaticano II
e
della sua relazione con la crisi attuale della Chiesa
di Mons. Athanasius Schneider

Articolo pubblicato sul sito spagnolo Adelante la Fe

Pubblichiamo il seguente articolo sia per l'interesse che riveste la posizione critica di Mons. Schneider nei confronti della crisi che attanaglia la Chiesa cattolica, sia per le posizioni qui espresse dal vescovo ausiliare di Maria Santissima in Astana (Kazakhstan). La lettura di questo articolo permette di comprendere la forma mentale di tanti vescovi cattolici conservatori, com'è Mons. Schneider, i quali tengono la loro posizione sulla base del riconoscimento positivo del Vaticano II. Essi disconoscono la perniciosità di questo Concilio, che è stato il punto di arrivo di un processo teso a distruggere la Chiesa cattolica per sostituirla con una neochiesa più o meno protestante e in palese rottura con duemila anni di storia e di insegnamento della Chiesa cattolica.
Il fatto che Mons. Schneider, come ha fatto altre volte, auspichi il rientro della Fraternità San Pio X nella ufficialità della Chiesa attuale, non deve ingannare circa le reali intenzioni dei vescovi conservatori. Come dice qui Mons. Svhneider, il rientro della Fraternità agevolerebbe l'instaurazione di un clima atto a svuluppare un dibattito costruttivo circa il valore e la portata dei documenti dei Vaticano II.
Sono passati 50 anni, eppure ancora si parla di dibattito teologico, senza rendersi conto che l'unica soluzione alla crisi che attanaglia la Chiesa sta nella cassazione di questo nefasto Concilio, esattamente come la crisi ariana del IV secolo, qui richiamata da Mons. Schneider, venne risolta con la cassazione dell'Arienesimo.
Non ci sono soluzioni intermedie e ancor meno soluzioni “canoniche”: il rientro della Fraternità San Pio X nell'ufficialità della Chiesa attuale non sarebbe un bene per la Chiesa, ma solo un triste destino per la Fraternità.

______________________



La crisi senza precedenti che attraversa attualmente la Chiesa si può paragonare a quella generale del IV secolo, quando l’arianesimo aveva contaminato la stragrande maggioranza dell’episcopato ed assunto una posizione dominante nella vita della Chiesa. Per un verso, dobbiamo cercare di guardare all’attuale situazione con realismo,  e per l’atro con spirito soprannaturale, con profondo amore per la nostra Santa Madre Chiesa, la quale sta soffrendo la Passione di Cristo a causa della tremenda e generale confusione dottrinale, liturgica e pastorale.


Abbiamo bisogno di rinnovare la nostra fede per credere che la Chiesa è nelle mani sicure di Cristo, e che Egli interverrà sempre per rinnovarla nei momenti in cui sembra che la barca della Chiesa sia in procinto di capovolgersi, come è evidente ai giorni nostri.

Per quanto riguarda il nostro atteggiamento nei confronti del Concilio Vaticano II, dobbiamo evitare due estremi: il rifiutarlo completamente - come fanno i sedevacantisti e un settore della Fraternità San Pio X (FSSPX) -, o l’attribuire un carattere infallibile a tutto quello che ha detto il Concilio.

Il Concilio Vaticano II è stato una legittima assemblea presieduta dai Pontefici, e nei suoi confronti dobbiamo mantenere un atteggiamento rispettoso. Ma questo non significa che ci sia proibito esprimere dubbi ragionevolmente fondati o proporre con rispetto i miglioramenti relativi a determinate questioni, facendolo sulla base di tutta la Tradizione della Chiesa e del suo Magistero perenne.

Le tradizionali e costanti affermazioni del Magistero, espresse nel corso dei secoli, hanno la precedenza e costituiscono il criterio per verificare l’esattezza delle affermazioni magisteriali successive. Ogni nuova dichiarazione del Magistero deve essere di per sé la più precisa e più chiara, nient’affatto ambigua né che appaia in contraddizione con i precedenti costanti pronunciamenti del Magistero.

Le affermazioni del Concilio Vaticano II che sono ambigue devono essere lette e interpretate secondo la totalità della Tradizione e del costante Magistero della Chiesa.

In caso di dubbio, le affermazioni del Magistero costante (e cioè dei Concilii e dei documenti pontifici il cui contenuto si è dimostrato essere una tradizione sicura e costante per secoli nello stesso senso) si impongono su quelle che sono oggettivamente ambigue o sulle affermazioni nuove del Concilio il Vaticano II che, in tutta oggettività, difficilmente concordano con le affermazioni del precedente costante Magistero (e cioè: il dovere dello Stato di venerare pubblicamente Cristo, Re di tutta la società umana; il vero significato della collegialità episcopale in relazione al primato petrino e al governo universale della Chiesa; il carattere nocivo delle religioni non cattoliche e il pericolo che rappresentano per la salvezza eterna delle anime).

Si deve guardare il Concilio Vaticano II e accettarlo per come esso è e per come è stato in realtà: un concilio prima di tutto pastorale. Vale a dire, che l’intenzione di questo Concilio non è stata di proporre nuove dottrine né di farlo in forma definitiva. La maggior parte delle sue dichiarazioni hanno confermato la dottrina tradizionale e perenne della Chiesa.

Alcune delle nuove dichiarazioni del Concilio (la collegialità, la libertà religiosa, il dialogo ecumenico, l’attitudine nei confronti del mondo) mancano di carattere definitivo, e apparentemente o in realtà non si conciliano con le dichiarazioni tradizionali e costanti del Magistero, ed è necessario implementarle con spiegazioni più esatte e complementi dottrinali più precisi. Un’applicazione cieca del principio dell’“ermeneutica della continuità”, non aiuta, perché tramite essa si creano interpretazioni forzate che non convincono né aiutano ad ottenere una conoscenza più chiara delle verità immutabili della fede cattolica e della loro applicazione.

Nel corso della storia ci sono stati casi di dichiarazioni non definitive dei concilii ecumenici, che però più tardi, grazie ad un sereno dibattito teologico, sono state messe a punto o tacitamente corrette (per esempio, le dichiarazioni del Concilio di Firenze in relazione al sacramento dell’Ordine, secondo le quali la materia era costituita dalla consegna degli strumenti, mentre invece la tradizione più certa e costante affermava che era sufficiente l’imposizione delle mani da parte del vescovo; cosa che venne confermata da Pio XII nel 1947). Se dopo il Concilio di Firenze i teologi avessero applicato alla cieca il principio dell’“ermeneutica della continuità” a questa dichiarazione dello stesso Concilio di Firenze (oggettivamente sbagliata), sostenendo la tesi che la consegna degli strumenti come materia del sacramento dell’Ordine si conciliava col Magistero costante, probabilmente non si sarebbe giunti ad un consenso generale dei teologi, riguardo alla verità che afferma che solo l’imposizione delle mani del vescovo è la vera materia del sacramento dell’Ordine.

E’ necessario indurre nella Chiesa un clima sereno di dibattito dottrinale in relazione alle dette dichiarazioni del Concilio Vaticano II che sono ambigue o che hanno dato luogo ad interpretazioni errate. Non c’è nulla di scandaloso in tale dibattito dottrinale; al contrario, esso contribuirà a mantenere e spiegare in modo più sicuro e integrale il deposito della fede immutabile della Chiesa.

Non si deve assegnare un’eccessiva importanza ad un concilio determinato, attribuendogli un carattere assoluto o paragonandolo alla Parola di Dio trasmessa oralmente (la sacra Tradizione) o per iscritto (le Sacre Scritture). Lo stesso Vaticano II ha affermato correttamente (cfr Dei Verbum, 10), che il Magistero (il Papa, i concilii e il magistero ordinario e universale) non è al di sopra della Parola di Dio, ma al di sotto, soggetto ad essa, ed è solo il servo di essa (della Parola di Dio trasmessa oralmente = Sacra Tradizione, e della Parola di Dio scritta = Sacre Scritture).

Da un punto di vista oggettivo, le affermazioni magisteriali (del Papa e dei concilii) con carattere definitivo hanno più valore e più peso di quelle di natura pastorale, le quali sono di per sé mutabili e temporali in funzione delle circostanze storiche e di situazioni pastorali relative ad un momento determinato, come succede con la maggioranza delle dichiarazioni del Concilio Vaticano II.

Il contributo originale e prezioso del Vaticano II consiste nella chiamata alla santità di tutti i membri della Chiesa (cap. 5 di Lumen Gentium), nella dottrina sul ruolo centrale della Madonna nella vita della Chiesa (cap. 8 di Lumen Gentium), nell’importanza dei fedeli laici per mantenere, difendere e promuovere la fede cattolica, nel dovere di questi ultimi di evangelizzare e santificare le realtà temporali in conformità col sentire perenne della Chiesa (cap. 4 di Lumen Gentium), e nella preminenza dell’adorazione di Dio nella vita della Chiesa e nella celebrazione liturgica (Sacrosanctum Concilium, nn- 2, 5-10).
Il resto potrebbe essere considerato in qualche modo secondario, provvisorio, e probabilmente in futuro come dimenticabile, come è successo con alcune affermazioni non definitive, pastorali o disciplinari di diversi concilii ecumenici del passato.

Le quattro questioni citate: La Madonna, la santificazione della vita personale, la difesa della fede con la santificazione del mondo secondo lo spirito perenne della Chiesa e il carattere prioritario dell’adorazione di Dio, sono quelle che con maggiore urgenza debbono essere vissute ed applicate ai giorni nostri. In questo, il Concilio Vaticano II ha un ruolo profetico che, disgraziatamente, non è stato realizzato in modo soddisfacente.

Invece di vivere questi quattro aspetti, un ampio settore della nomenclatura teologica e amministrativa della Chiesa, ha occupato mezzo secolo promuovendo questioni dottrinali, pastorali e liturgiche ambigue, distorcendo così l’intenzione originale del Concilio o abusando in dichiarazioni dottrinali ambigue o poco chiare, al fine di creare una Chiesa diversa, di tipo relativista o protestante. Oggi assistiamo alla culminazione di questo processo.

La crisi attuale della Chiesa consiste in parte nel fatto che alcune dichiarazioni del Concilio Vaticano II che sono oggettivamente ambigue, o le poche dichiarazioni che difficilmente si conciliano con la tradizione magisteriale costante della Chiesa, hanno finito con l’essere considerate infallibili . E così si è finto col bloccare un sano dibattito con le conseguenti necessarie correzioni, implicite o tacite. Allo stesso tempo, si è incoraggiata la nascita di dichiarazioni teologiche in conflitto con la Tradizione perenne (ad esempio, circa la nuova teoria cosiddetta del doppio soggetto supremo ordinario di governo della Chiesa, vale a dire: solo il Papa e tutto il collegio episcopale insieme con il Papa; la dottrina della neutralità dello Stato nei confronti del culto pubblico che si deve rendere il vero Dio, che è Gesù Cristo, Re anche di tutta la società umana e politica; e la relativizzazione della verità che la Chiesa cattolica è l’unica via di  salvezza voluta e ordinata da Dio).

Dobbiamo liberarci dalle catene che impongono un carattere assoluto e infallibile al Concilio Vaticano II e chiedere un clima di dibattito sereno e rispettoso motivato da un sincero amore per la Chiesa e la fede immutabile della Chiesa.

Possiamo vedere un segno positivo di questo nel fatto che il 2 agosto 2012 Benedetto XVI ha scritto una prefazione al volume sul Concilio Vaticano II nella edizione delle sue opere complete, nel quale esprime le sue riserve riguardo ai contenuti concreti di Gaudium et Spese di Nostra Aetate. Dal tenore di queste parole di Benedetto XVI si deduce che i difetti specifici di alcune parti dei detti documenti non possono essere migliorati con l’“ermeneutica della continuità”.

Una FSSPX canonicamente e pienamente integrata nella vita della Chiesa potrebbe fornire un apporto molto valido a questo dibattito, come desiderava anche Mons. Marcel Lefebvre. La piena presenza canonica della FSSPX nella vita della Chiesa attuale contribuirebbe anche a suscitare un clima generale di dibattito costruttivo, affinché quello che tutti i cattolici hanno sempre creduto dappertutto in duemila anni, venga creduto in modo chiaro e certo anche nei nostri tempi, realizzando così la vera intenzione pastorale dei Padri del Concilio Vaticano II.

L’autentica finalità pastorale punta alla salvezza eterna delle anime, che può essere raggiunta solo annunciando tutta la volontà di Dio (Atti, 20, 27). Un’ambiguità nella dottrina della fede e nella sua applicazione concreta (nella liturgia e nella pastorale) costituirebbe un pericolo per la salvezza eterna delle anime e di conseguenza sarebbe anti-pastorale, dato che la proclamazione della chiarezza e dell’integrità della fede  cattolica e della sua fedele applicazione è esplicita volontà di Dio. Solo la perfetta obbedienza a questa volontà di Dio, che ci ha rivelato la vera fede per mezzo di Cristo, Verbo incarnato, e degli Apostoli, fede interpretata e costantemente praticata nello stesso senso dal Magistero della Chiesa, porta la salvezza alle anime.





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Antonio Livi: “Il Papa non bacchetta Sosa perchè la pensa come lui”

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Come noto, il Generale dei Gesuiti, Padre Sosa, ultimamente, si è fatto fotografare, con altro sacerdote, in preghiera, in un tempio dedicato a Buddha. La Fede Quotidiana ha chiesto un commento al noto  teologo, filosofo e  fondatore dell’ Associazione Fides et  Ratio, Monsignor Antonio Livi .

Monsignor Livi, ha visto quella foto?

 

” Certo. E lo ritengo un fatto grave, che va contro la Chiesa cattolica, commesso dal Generale dei Gesuiti Padre Sosa, del resto, non è nuovo ad uscite simili. Infatti Sosa nel recente passato, ha detto cose errate e persino eretiche. Evidentemente si deve sentire appoggiato”.

Che cosa intende dire?

” Le cose che Sosa afferma ed ora fa, sono scandalose, ma non del tutto sorprendenti visti i tempi che vive attualmente la Chiesa. Si tratta di falsi e cattivi maestri che probabilmente non amano la dottrina cattolica”.

Ma il Papa non lo ha censurato o bacchettato…

” Credo che non lo faccia perchè, tutto sommato, Sosa afferma chiaramente e in modo esplicito, quello che Bergoglio probabilmente pensa in modo implicito”.

In che cosa consiste la gravità del gesto di Padre  Sosa di pregare in un tempio dedicato a Buddha?

“Causa sincretismo o peggio ancora indifferentismo religioso, fa credere in maniera ingannevole, che una religione vale l’altra. La Chiesa ha preso posizione contro questa visione e basta leggere il documento Dominus Jesus”.

Ma Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e lo stesso Francesco hanno visitato templi dedicati ad altri culti..

” Questo è vero, però al contrario di Sosa, lo hanno fatto con estrema cautela e prudenza. Certo, anche io nutro riserve sulla opportunità di questi gesti, però bisogna riconoscere che non hanno mai pregato in quel modo tanto vistoso e plateale, facendosi fotografare con altro sacerdote davanti ad una statua di Buddha. Ricordo che il buddhismo è ateo, e un ateo non prega Dio perché non riconosce che c’è Dio creatore e autore dell’ordine morale.  La finta preghiera buddista, fatta da un religioso cattolico che si fa ritrarre in posa buddista, la valuto una cosa prima di tutto insensata, e poi anche una bestemmia, un gesto eretico. Così facendo padre Sosa ha preso in giro i cattolici che davvero pregano Dio in chiesa e a casa propria”.

Lei ha parla  di disorientamento pastorale, perchè?

” Lo ho spiegato in un libro scritto assieme a Danilo Quinto (Disorientamente pastorale. La fallacia umanistica al posto della verità rivelata?, Leonardo da Vinci, Roma 2106) . Da tempo mi preoccupo di questo disorientamento, perché la gente viene indotta credere che il dogma cattolico non vale più, e quindi nemmeno la morale ha più valore. Invece ciò che il cattolico deve credere non è cambiato: la dottrina del Catechismo della Chiesa Cattolica, voluto da papa Giovanni Paolo II e sostenuto da papa Benedetto XVI, è sempre valida e attuale. Bisogna che tutti i cattolici sappiano che la Chiesa non deve fare altro che annunciare la verità rivelata da Cristo e non fare da cassa di risonanza di ideologie secolaristiche. Purtroppo alcuni uomini di Chiesa hanno rinunciato al loro compito. Il Papa è imprudente, ma non ha mai detto cose formalmente eretiche, perché è dotato del carisma dell’infallibilità. Tuttavia, dà troppa retta ai  teologi  eretici che hanno dato vita a una scuola teologica dominante,  che fa capo al gesuita Karl Rahner”.

Bruno Volpe












[Modificato da Caterina63 01/08/2017 08:05]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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1883 Patriarca di Venezia profetizza l’apostasia e la fine della Famiglia




La Lettera che segue è stata da noi scansionata da un opuscolo originale del 1883 (vedi foto nostra), a firma dell’allora Patriarca di Venezia il cardinale Domenico Agostini (1825-1891).

La proposta di caldeggiare paternamente le Famiglie Cristiane per una Consacrazione alla Sacra Famiglia, viene espressa dal Movimento Cattolico nel gennaio 1881 e sollecitata dallo stesso cardinale a seguito della grave situazione morale del tempo, tutta già dedita ad un’attacco frontale contro la Famiglia. Tale premura si rinforzò grazie anche all’enciclica di Leone XIII in difesa della Famiglia, Arcanum Divinae, dopo le dure denunce contro coloro che minavano le sue fondamenta.

Prima della pubblicazione della Lettera pastorale del Patriarca, attraverso il Movimento Cattolico, viene diffusa una “Importante Proposta” indirizzata a tutta la comunità cristiana che riproponiamo qui integralmente, col medesimo linguaggio e testo originale:

I – Che in ogni parochia d’Italia venga istituita la pia Associazione delle famiglie cattoliche consacrata alla Sacra Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe, e sia diffuso Il Divoto di S. Giuseppe — periodico mensuale che stampasi in Modena per annue L. 3. — Il direttore dell’ Associazione è il M. R. Paroco Pietro Bonilli — Trevi-Umbria.

Una grande Imagine, che s’intitola — Patto di unione eterna tra la famiglia cattolica e la Sacra Famiglia, — è il simbolo della Pia Opera nelle domestiche abitazioni. — La preghiera della sera, fatta in comune davanti quest’Imagine è terminata coll’ invocazione stabilita: “Gesù, Maria e Giuseppe illuminateci, soccorreteci, salvateci”, — ne è la pratica essenziale.

II – Che tutte le Associazioni cattoliche d’Italia eleggano a loro principale Patrono lo Sposo purissimo di Maria Vergine Immacolata, S. Giuseppe, e si associno al sopra indicato periodico.

III – Che tutte le scuole private cattoliche esistenti e quelle che verranno istituite, sieno poste sotto la protezione di S. Giuseppe, e che in ogni scuola oltre al Crocefisso, vi sia il quadro della Sacra Famiglia.

Visto, FRANCESCO Can.o MION V. G. (pubblicato il 15 gennaio 1881)

__________________________

Ora, cari Amici vi proponiamo il testo inedito, integrale, in formato pdf che potrete scaricare qui: 1883 Patriarca Venezia e Famiglia  – a seguire vi lasciamo  meditare sull’ultima parte del testo, quello che riteniamo essere stata una vera profezia purtroppo avverata e che stiamo vivendo in questo nostro tempo travagliato. Il Patriarca Agostini inizia la Lettera con una catechesi magisteriale, imponente, sulla formazione della Famiglia come Dio l’ha creata e voluta, come questa sacra istituzione abbia dato vita alla società ed alle comunità, come la Famiglia sia stata il vero progresso dell’umano consorzio, infine il decadimento e questa profezia all’attacco cruento contro la Famiglia, la sua devastazione e distruzione a causa delle false dottrine e di un diabolico progetto, a causa della nostra triste apostasia dalla vera dottrina.

A tale proposito ricordiamo tutti di tenere a mente quanto ebbe a dire santa Giacinta Marto, di Fatima, poco prima di morire e riportato da Suor Lucia: “Verranno certe mode che offenderanno molto Gesù. Le persone che servono Dio non devono seguire la moda. La Chiesa non ha mode. Gesù è sempre lo stesso. I peccati del mondo sono molto grandi. I peccati che portano più anime all’inferno sono i peccati della carne.”

e ancora:

“Se gli uomini sapessero ciò che è l’Eternità, farebbero di tutto per cambiar vita. Gli uomini si perdono, perché non pensano alla morte di Gesù e non fanno penitenza. Molti matrimoni non sono buoni, non piacciono a Gesù, non sono di Dio…” (rivelazione fine ottobre 1918, di cosa vide nel futuro del mondo poco prima di morire)

Ma ricordiamo anche cosa disse Suor Lucia al cardinale Caffarra: «Lo scontro finale tra Dio e Satana è su famiglia e vita» in un’intervista concessa a La Voce di Padre Pio (marzo 2008). Il cardinale ebbe da Giovanni Paolo II l’incarico di ideare e fondare il Pontificio Istituto per Studi su Matrimonio e Famiglia, di cui oggi è professore emerito. «All’inizio di questo lavoro – spiega Caffarra – ho scritto a suor Lucia di Fatima, attraverso il vescovo perché direttamente non si poteva fare. Inspiegabilmente, benché non mi attendessi una risposta, perché chiedevo solo preghiere, mi arrivò dopo pochi giorni una lunghissima lettera autografa – ora negli archivi dell’Istituto». In quella lettera di Suor Lucia è scritto che lo scontro finale tra il Signore e il regno di Satana sarà sulla famiglia e sul matrimonio. «Non abbia paura, aggiungeva, perché chiunque lavora per la santità del matrimonio e della famiglia sarà sempre combattuto e avversato in tutti modi, perché questo è il punto decisivo».

La suora di Fatima sosteneva che la Madonna ha già «schiacciato» la testa a Satana. «Si avvertiva – prosegue il cardinale Caffarra – anche parlando con Giovanni Paolo II, che questo era il nodo, perché si toccava la colonna portante della creazione, la verità del rapporto fra l’uomo e la donna e fra le generazioni. Se si tocca la colonna portante crolla tutto l’edificio, e questo adesso noi lo vediamo, perché siamo a questo punto, e sappiamo».

L’unico rimedio a questi mali è ritornare al vero Vangelo sulla Famiglia, alla sana dottrina cattolica, alla morale dettata da Gesù Cristo e trasmessa a noi dalla Sacra Famiglia, si leggaanche qui.

Ecco, infatti, le parole profetiche e drammatiche del cardinale Agostini del 1883, Patriarca di Venezia:

(..) Se non che chi poteva mai aspettarsi che progredendo coi secoli la civiltà, questa base degli Stati, questo principio vitale della società, che è la famiglia, corresse nuovi e gravi pericoli?

Eppure fu pur troppo così! La colluvie degli errori serpeggianti di mezzo alla società, e la corruzione del cuore fremente per isfrenate passioni, sedotto e tentato con ogni mezzo più turpe, scalzarono le basi di questa istituzione primitiva e santissima, e, illanguidita la fede, guasta la educazione, attuato più tardi fino all’ultime sue conseguenze il principio di ribellione proclamato dalla sedicente Riforma, la famiglia ricadde in molta parte nella degradazione del paganesimo.

Non è mia intenzione seguire passo a passo il processo onde si giunse a quei lacrimevoli effetti che ci stanno sensibilmente sotto gli occhi: i danni sociali che lamentiamo col peggio che si aspetta dalle nuove generazioni, che crescono senza idea di Dio e del dovere, senza fede e senza pietà; la scostumatezza stomachevole impunemente ostentata per le vie, sui teatri, negli osceni romanzi; le leggi obbrobriose sul matrimonio e sul divorzio, vigenti pur troppo in vari Stati di Europa e ostinatamente proposte anche là dove finora la indissolubilità della famiglia fu sotto la salvaguardia delle leggi civili; le statistiche dei divorzi fatti in alcuni Stati di Europa, che spaventano gli stessi eterodossi; sono per la massima parte conseguenze della degradazione universale della famiglia, da cui dobbiamo aspettarci pur troppo che peggiori ognor più e che ruini fino a pieno sfasciamento la società civile, termine quanto sciagurato altrettanto inevitabile, allorquando sieno corrotti e disgregati gli elementi, cioè le famiglie, donde nasce e vigoreggia la grande famiglia della società universale.

Se tutta questa dolorosa sequela di mali non è avvenuta ancora fino alle ultime conseguenze fra noi, lo dobbiamo alla fede profondamente radicata nei cuori, alle tradizioni cattoliche secolari, della maggior parte delle famiglie, alla ferma adesione a quei principi cattolici, che sottrassero la nostra patria alla invasione pestilenziale dell’ eresia protestante; ma sentiamo pur troppo di dover deplorare ancor noi tante sciagure morali, e l’indifferentismo dominante, e la smania continua di piacere e di novità, e la licenza sfrenata onde si vuole far licito ogni libitosono funesti preludj che annunciano come presto o tardi saremo ancor noi condotti ad un paganesimo nuovo.

Solo rimedio a tutto questo noi lo vediamo nei santi principi, onde la famiglia fu rialzata e ristorata da Gesù Cristo; nel Sacramento che dà la grazia necessaria agli sposi per mantenersi reciprocamente quell’ affetto che diventa un dovere e che addolcisce e rende grato l’adempimento di un ministero sacro davanti ai figli, la sofferenza di fatiche, la rassegnazione néi sacrifizi inevitabili, forse più che in altre, nella vita matrimoniale, e che fa raggiungere efficacemente il proprio scopo di educare onesti cittadini, utili allo Stato ed a sé stessi, figli ossequenti alla Chiesa ed a Dio. L’attuazione poi esemplare di questo rimedio la troviamo nel tipo della famiglia, secondo il vero concetto cristiano, che è la Famiglia dell’ Uomo-Dio sulla terra. Se la virtù e la imitazione di quel Tipo valsero a ristorare la famiglia quando essa era affatto degradata alla venuta di Gesù Cristo, forse non giungeranno a ristorarla ora che la vediamo novamente ridotta sulla via di un obbrobrioso abbandono, minacciata della distruzione tanto più deplorevole quanto maggiori sono i lumi specialmente della fede che a quella si oppongono ?

È perciò che Noi rivolgiamo la nostra paterna parola, o dilettissimi, in questo giorno sacro al Patrocinio di Colui, che fu Capo della Sacra Famiglia, quasi Padre di Gesù Cristo e Principe nella Sua casa, affinchè persuasi della necessità di provvedere a tanti bisogni e a tanti pericoli della società, mettendo il rimedio alla radice di essi, assecondiate le sapienti ed amorose sollecitudini del Pastore Supremo, il quale nella sua Enciclica «Arcanum» sul Matrimonio (di Leone XIII 10.2.1880) additò una delle piaghe più cancrenose del nostro tempo. E sarà per certo, che intesa bene ed attuata la sua dottrina, si adempirà da coloro che Iddio chiama allo stato coniugale un dovere davanti a Lui di figli fedeli ed obbedienti, davanti alla patria di cittadini utili e solleciti del suo bene, davanti alle generazioni crescenti di padri provvidi e saggi, che assicurano l’ultima salvaguardia della moralità, della religione, della civiltà vera, cioè il santuario domestico.

(..) Noi desideriamo che … si consacrino le famiglie cristiane, procurando di adempiere fedelmente quelle lievi obbligazioni, che sono proposte, specialmente la preghiera della sera fatta in comune sull’ esempio e sotto la direzione del padre, ed a premio delle quali possono ripromettersi le famiglie larghi favori dal Cielo. Giudichino a loro posta come cose inutili ed inefficaci queste pratiche coloro che non hanno il senso cristiano; ma i sinceri credenti devono riconoscere che oltre a quello che possiamo riprometterci per la potenza e per l’amore dei santissimi Personaggi invocati a protettori, il solo ricordo di quei Tipi di ogni virtù, di quegli Esemplari di ogni relazione domestica, che sono i membri della Sacra Famiglia, l’effetto salutare della preghiera comune fra quelli che si amano, perchè legati non solo coi dolci vincoli di natura, ma sì ancora con quelli della grazia, saranno sul cuore e sui costumi della madre, del padre e dei figli un mezzo potentissimo di miglioramento morale e di educazione.

(..) Dilettissimi, dobbiamo adoperarci quanto è possibile per iscongiurare dalla società nuove sciagure; quindi è necessario richiamare la originaria dignità e ricondurre l’ordine nella famiglia. Ah! se i genitori consci del ministero altissimo da Dio e dalla Chiesa a loro affidato educhino i figli alla pietà ed a quel santo timore che forma i giusti; se, amandosi a vicenda d’un amore fedele e casto, come esige il sacro vincolo coniugale che rappresenta l’unione di Cristo con la Chiesa, si facciano esempio ai figli di cristiane e civili virtù; se i figli trovino nell’ obbedienza a coloro dai quali ebbero la vita, un sostegno alla loro debolezza, una guida alla loro inesperienza, noi vedremo ben presto rifiorire la società cristiana di ottimi cittadini cari a Dio, utili a sè stessi, benemeriti della Chiesa e della Patria; ossequenti per convinzione alle Leggi ed ai Principi, perchè prima obbedienti a Dio, ed a quelli che tengono sulla terra, sopra qualsiasi altra autorità, il luogo di Dio.

Questo ottenuto, la società sarà salva, e noi, non solo avremo bene meritato di essa e della religione e della patria, ma riceveremo da Dio, corrispondente alla nobiltà ed alla energia dell’ opera nostra, il guiderdone. Degnisi il pietosissimo Iddio fecondare colla sua grazia la debole nostra, ma sincera e paterna parola; e voi intanto, quanti siete, dilettissimi Figli, abbiatevi a pegno del nostro affetto la Pastorale Benedizione, che vi impartiamo nel nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo.

Venezia dalla Residenza patriarcale

il dì 15 Aprile 1883, festa del Patrocinio di s. Giuseppe.

DOMENICO CARD. AGOSTINI PATRIARCA

– ALESSANDRO TORRI – Vice-cancelliere Patriarcale

– scarica qui il pdf originale del testo integrale: 1883 Patriarca Venezia e Famiglia 

P.S. Ricordiamo che tutto il materiale che pubblichiamo può essere riportato altrove, tuttavia chiediamo fraternamente che lo si faccia citando questa fonte… grazie.

   

EDITORIALE
 

Nuovo affondo di Avvenire sulla vicenda di Staranzano. Si inserisce in quel piano omoeretico per sdoganare l’omosessualità che la testata sta portando avanti da tempo. Da qui la trovata: aprire un “tavolo di confronto sul tema dell’educazione alla sessualità e all’affettività” per insegnare che un ragazzino puoi essere “disinteressatamente” omosessuale.

di Tommaso Scandroglio

Se vi macchiate un vestito, cosa fate? Cercate di lavar via la macchia oppure la lasciate tentando addirittura di metterla ben in evidenza? Avvenire ha scelto la seconda soluzione. Il caso del capo Scout Agesci di Staranzano convolato nel giugno scorso ad unione civile con un locale consigliere comunale non è per il quotidiano della Cei un brutto affare di famiglia che dovrebbe spingere molti in casa cattolica a chiedersi “Ma dove siamo andati a finire?”, ma è un’occasione straordinaria – così si legge in un articolo di Luciano Moia del 20 agosto – per “riflettere in modo responsabile sull’efficacia di una proposta educativa a proposito di affettività e sessualità che dev’essere probabilmente riformulata e riattualizzata”.

Il lettore ben disposto interpreterà così l’invito di Avvenire: educhiamo i ragazzi affinchè comprendano che l’uomo è attratto verso la donna e viceversa e che per Dio non c’è altro orientamento sessuale se non questo. Il suddetto lettore peccherebbe di ingenuità e di conservatorismo. Infatti per Moia esiste un’alternativa al piano di Dio: una via mediana da tracciarsi tra gli attivisti gay e il Magistero che considera l’omosessualità come una condizione intrinsecamente disordinata. Una via di mezzo tra i sollazzi della carne e le asperità della legge divina, un accomodamento morale ad uso e consumo per gli spiriti indeboliti e sfiancati dal troppo sesso, una versione semplificata della morale per i violatori recidivanti del sesto comandamento.

La penna del giornalista è intinta nell’inchiostro della cautela e quindi la sua proposta si declina furbamente nel periodare interrogativo: “Esiste una via mediana capace di valorizzare per esempio la categorie dell’ ‘amicizia disinteressata’ – di cui parla anche il Catechismo (n.2359) – nella consapevolezza che la sessualità può essere vissuta in modi differenti pur rimanendo espressione d’amore?”. La risposta è facile: no, non esiste una via mediana, perché sull’omosessualità non ci può essere compromesso e la sessualità non può essere vissuta “in modalità omosex” perché non sarebbe amore. Così come non esiste una via mediana all’adulterio – che i coniugi tradiscano solo di tanto in tanto – al  furto – rubiamo solo ai ricchi e in certi giorni – alla menzogna – chiudiamo un occhio sulle menzogne fatte a fin di bene.

L’amicizia disinteressata indicata dal Catechismo non è quella tra due omosessuali che rimangono solo amici ma non dividono il letto. Perché il peccato morale dell’omosessualità non riguarda solo i rapporti carnali, ma anche gli affetti. Se l’omosessualità è una condizione disordinata tutto ciò che promana da essa – pensieri, atti, emozioni, desideri, etc. – è altrettanto disordinato. Negli effetti si riverberano alcuni aspetti della causa. L’amicizia disinteressata suggerita dal Catechismo è invece quella di un credente che accompagna la persona omosessuale alla conversione, cioè ad abbandonare le condotte omosessuali e a superare, nei tempi e modi opportuni, la propria omosessualità. L’aggettivo “disinteressata” esprime un significato diametralmente opposto a quello attribuito da Avvenire: un’amicizia che non deve essere di natura omosessuale.

Moia cerca giustamente “ipotesi di vita buona” e le può trovare proprio nel n. 2359 da lui citato, perché lì si trova la ricetta per vincere l’omosessualità: “Le persone omosessuali sono chiamate alla castità. Attraverso le virtù della padronanza di sé, educatrici della libertà interiore, mediante il sostegno, talvolta, di un'amicizia disinteressata, con la preghiera e la grazia sacramentale, possono e devono, gradatamente e risolutamente, avvicinarsi alla perfezione cristiana”. Castità, padronanza di sé, sostegno degli altri, preghiera e grazia sacramentale. L’omosessualità è vecchia come il mondo  - mica vero, come dice l’arcivescovo di Gorizia Mons. Redaelli, che “si è di fronte a questioni nuove” – e non volete che la Chiesa non abbia già trovato la medicina giusta per questo tipo di malattia dell’anima?

In realtà e più banalmente l’articolo di Avvenire si inserisce in quel piano omoeretico per sdoganare l’omosessualità che la testata sta portando avanti da tempo.  Da qui la trovata: aprire un “tavolo di confronto sul tema dell’educazione alla sessualità e all’affettività” per insegnare che tu ragazzino puoi essere “disinteressatamente” omosessuale.  Il caso del capo scout quindi non viene visto come una iattura, bensì come una benedizione: è il rompighiaccio per allentare la morsa a danno dei rapporti omoerotici. Staranzano sta all’omosessualità, come Seveso stava all’aborto. Un’occasione d’oro per rendere presentabile l’impresentabile.

Per riuscire in questo intento occorre però sbarazzarsi di alcune cosucce che nel cattolicesimo fanno problema. Ad esempio i divieti. Bisogna procedere in modo più sfumato e sostituire i divieti con i discernimenti, termine che sta a significare “questo è vietato dalla Chiesa ma noi troveremo il modo per farlo lo stesso”.  Ed infatti Moia scrivere che è necessario “verificare la possibilità di un approccio che non si riduca più alla normatività sterile del ‘si può’, ‘non si può’”. Sterile dunque quel San Paolo che ricordava che la legge di Dio la quale vieta alcuni atti è fatta anche per i sodomiti (1 Tim. 1,9) e che vedeva il Paradiso vuoto di persone che volutamente hanno abbracciato l’omosessualità (1 Cor. 6,9-10). Per tacere di Sant’Agostino, San Gregorio Magno, San Pier Damiani, San Tommaso D’Aquino, Santa Caterina e San Bernardino da Siena che, forse peccando di mancanza di discernimento, non imboccavano vie mediane quando parlavano di omosessualità. Male poi ha fatto Dio a distruggere Sodoma e Gomorra, avrebbe invece dovuto discernere caso per caso, abitante per abitante.

Vero è, come scrive Moia, che le sensibilità odierne sono mutate rispetto ad un tempo, cioè – esplicitiamo noi – sono ancora più ottuse nel cogliere il vero e il bene. Giusto quindi tentare di sintonizzarsi sulla frequenza d’onda del nostro interlocutore – solo un troglodita attaccherebbe il discorso con una persona omosessuale minacciandola delle pene dell’inferno (anche se, mutatis mutandis, gli oncologi non si stancano di ripetere che le sigarette uccidono) - ma non per confermarlo nell’errore, ma per trarlo dall’errore.

Tornando infine al caso di Staranzano e alla decisione se mettere alla porta il capo scout omosessuale, la questione non è, come scrive il giornalista, “tanto delicata e complessa”, ma molto semplice. Voi mettereste a capo dell’Avis il Conte Dracula?


[Modificato da Caterina63 24/08/2017 08:46]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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26/08/2017 12:11
 
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Quando nella Chiesa l’eresia dilaga ogni cattolico ha il dovere della resistenza



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Quando nella Chiesa l’eresia dilaga ogni cattolico ha il dovere della resistenza


LIVI

In questa lettera, inviata a Riccardo Cascioli direttore de La Nuova Bussola Quotidiana e Il Timone, il teologo Mons. Antonio Livi espone magistralmente la crisi che la Chiesa Cattolica sta vivendo. Ed indica validi passi da compiere: veri e propri “doveri” di ogni battezzato.



di Mons. Antonio Livi


Caro direttore,


negli ultimi tempi tu hai avuto spesso occasione di polemizzare garbatamente con Avvenire, rilevando come sia diventato l’organo di quella che io definisco «l’eresia al potere». Io non posso che condividere la tua coraggiosa e disinteressata battaglia giornalistica, anche perché, come ben sai e a suo tempo hai riferito sul tuo giornale (clicca qui), già nel 2012 Avvenire, a firma del suo direttore Marco Tarquinio, mi “scomunicò” letteralmente per aver io osato criticare i discorsi eterodossi di Enzo Bianchi, regolarmente ospitati dal quotidiano ufficialmente cattolico tanto quanto dal quotidiano di orientamento massonico La Stampa.
A quel tempo Avvenire si presentava come «quotidiano di ispirazione cattolica, per amare chi non crede», il che poteva anche essere vero, ma bisognava aggiungere «per odiare chi invece crede».

MONS ANTONIO LIVI
In realtà, per compiacere l’eresia rahneriana che già nel 2012 era al potere nell’episcopato mondiale e tra i cardinali di Curia (e ancora papa Francesco non era succeduto a papa Benedetto e monsignor Galantino non era ancora il segretario generale della Cei), il quotidiano ufficialmente cattolico sosteneva soltanto gli autori che sapessero argomentare più o meno brillantemente contro il dogma e la morale della Chiesa Cattolica e a favore della Riforma luterana, ignorando o condannando tutti coloro che tentassero di argomentare contro l’eresia e a favore dell’ortodossia, e non in nome della Chiesa pre-conciliare ma in nome della Tradizione aggiornata al Vaticano II, quale è esposta nel Catechismo della Chiesa Cattolica.
Ma il caso di Avvenire, per quanto scandaloso, non è che la conseguenza di quella che il cardinale Ratzinger, al momento di diventare papa Benedetto, deprecò come «dittatura del relativismo». Si tratta di una dittatura ideologica che si serve della «svolta antropologica» di Karl Rahner per svuotare di senso la fede che la Chiesa ha professato per venti secoli e ha formalizzato nei dogmi (vedi il mio trattato su Vera e falsa teologia. Come distinguere l’autentica “scienza della fede” da un’equivoca filosofia religiosa, terza edizione con aggiornamenti, Leonardo da Vinci, Roma 2017).

MATER ECCLESIAE

Viene svuotata di senso innanzitutto la nozione di Rivelazione dei misteri soprannaturali; poi viene sostanzialmente negato il dogma iniziale, quello della divinità di Cristo, rivelatore del volto del Padre e dell’azione dello Spirito Santo; di conseguenza, si rinnega l’intenzione salvifica di Cristo, il quale ha istituito la sua Chiesa perché «annunci il Vangelo a ogni creatura e faccia suoi discepoli tutti gli uomini».

La falsa teologia ha finito per presentare la Chiesa cattolica come una delle tante comunità religiose i cui meriti, agli occhi degli uomini del nostro tempo, sarebbero solo quelli “politici”, ossia la promozione dei diritti dell’uomo e della pace tra i popoli. Questa ideologia sta facendo scomparire dalla coscienza dei cattolici la verità (tradizionale, ma anche recentemente ribadita dal documento vaticano Dominus Iesus) circa l’unicità della Chiesa nel portare al mondo la salvezza che solo Cristo può donare.

Oramai, ben pochi cattolici sanno che cosa dicono quando nella liturgia domenicale viene proclamata dicendo: «Credo […] la Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica». La fede nella missione divina della Chiesa fondata da Cristo viene meno quando si riesce a convincere i cristiani che nulla di quanto finora era ritenuto dogma e legge morale ha più valore, e che la Chiesa Cattolica deve “riformarsi” radicalmente, fino a scomparire per fondersi in una comunità etica universale, come vagheggia Hans Küng, che di Rahner è il più noto allievo. La “soluzione finale” alla quale puntano gli strateghi del relativismo dogmatico è il pensiero unico dell’umanesimo ateo (vedi il materiale documentario raccolto da Danilo Quinto in Disorientamento pastorale, con una mia Introduzione teologica, Leonardo da Vinci, Roma 2016).

Ma allora, che fare? Quello che si deve fare mi sembra evidente: alla prepotenza di chi, avendo un potere ecclesiastico di indottrinamento, ne abusa per snaturare i fini apostolici per i quali Cristo ha istituito la Chiesa, deve contrapporsi una sorta di resistenza attiva da parte di chi il potere non lo ha ma ha la coscienza del proprio dovere davanti a Dio.

PADRE LIVIO E BENEDETTO XVI

In una intervista del 2013 Padre Livio affermò : “per la Chiesa è il tempo della grande apostasia”

Ognuno, secondo la propria condizione nella Chiesa, deve fare la sua parte, spinto dal dovere assoluto di professare personalmente la verità rivelata (virtù della fede) e di farla arrivare integra agli altri, sia nel dialogo diretto con quante più persone possibile, sia con l’uso dei mass media, ri-orientando così un’opinione pubblica cattolica ormai disorientata (virtù della carità).

Tutto ciò va fatto, in ogni caso, nel rispetto delle singole persone che esercitano nella Chiesa una legittima autorità di magistero e di governo (questo richiede la virtù dell’obbedienza) e rispettando anche i limiti delle proprie conoscenze della storia della Chiesa delle diverse situazioni pastorali in tutto il mondo (questo richiede la virtù dell’umiltà) e soprattutto valutando il giusto rapporto tra i fini che ci si propone di raggiungere e i mezzi che tal fine si adoperano (questo richiede la virtù della prudenza).

Quando dico che ognuno, tenendo conto della propria condizione nella Chiesa, deve fare la sua parte, penso innanzitutto a quanto dovevano fare e in alcuni casi hanno fatto i vescovi cattolici, a cominciare da quelli appartenenti al collegio cardinalizio. Sono stati di grande esempio il cardinale Carlo Caffarra e gli altri tre cardinali (uno dei quali è poi morto) che presero l’iniziativa di esporre al Papa i cinque “dubia”riguardo alla dottrina contenuta nell’esortazione apostolica Amoris laetitia di papa Francesco  (clicca qui). L’iniziativa sembra essere stata del tutto inutile, ma a prescindere dal suo esito pratico (che forse si rivelerà effettivo nel lungo periodo), essa ha fornito ai cattolici la conferma che taluni orientamenti dottrinali di quel documento pontificio sono passibili di interpretazione eterodossa e quindi vanno prima o poi rettificati dalla medesima autorità magisteriale che li ha prodotti.


Molti altri vescovi hanno preso iniziative analoghe, anche se meno pubbliche o meno notorie. Penso ad esempio agli interventi pubblici di monsignor Athanasius Schneider, vescovo di Astana in Kazakistan, come anche alle numerose lettere di allarme di fronte alla deriva relativistica della pastorale che monsignor Mario Oliveri, vescovo di Albenga-Imperia, indirizzò alla Santa Sede dal 1993 al 2009. Si tratta di considerazioni teologiche che furono pubblicamente apprezzate dai Papi cui erano indirizzate (san Giovanni Paolo II e Benedetto XVI), anche se a quegli apprezzamenti e condivisioni di criterio circa i pericoli per la fede derivanti dalla «dittatura del relativismo» non seguì alcun atto di governo che rimediasse a quella evidente deriva dottrinale.

Anche in questo caso, considero esemplare – a prescindere dall’efficacia pratica del momento – il comportamento coraggioso e sincero di quel vescovo, tanto che ho deciso di raccogliere e pubblicare quelle lettere in un volume di prossima uscita nelle librerie (Mario Oliveri, Un vescovo scrive alla Santa Sede sui pericoli del relativismo dogmatico, Leonardo da Vinci, Roma 2017).

Riguardo a tutte queste iniziative da parte dei vescovi – che io considero ispirate a sincero amore per la Chiesa e quindi a responsabilità pastorale, unitamente alla dovuta prudenza e al rispetto dell’autorità – ci sono state anche delle severe critiche da parte di chi, come il professor Roberto de Mattei, le ritiene troppo timide. L’autorevole storico, in un articolo pubblicato in Radici cristiane, sostiene che i quattro cardinali hanno parlato solo di “ambiguità” nei documenti del Magistero attuale, mentre avrebbero dovuto denunciare la presenza in essi di vere e proprie eresie. Io non condivido questa opinione, perché non mi sembra teologicamente corretto parlare, in riferimento ai discorsi e agli scritti di papa Francesco, di “eresie” in senso formale (in un capitolo del libro che ho prima citato, Teologia e Magistero, oggi, ho illustrato i motivi per cui è impossibile basarsi sull’ipotesi di un Papa eretico), così come non è prudente spingere i vescovi, e in particolare i cardinali, ad assumere iniziative che rappresenterebbero uno scisma ancora più drammatico di quello provocato dalle critiche di monsignor Lefevbre agli insegnamenti del Vaticano II e alla riforma liturgica che ne conseguì.

LA NUOVA BUSSOLA - LOGO

Quanto all’uso dei mass media, in Italia è davvero esemplare il lavoro che tu, caro direttore, stai svolgendo da tanti anni con La Nuova Bussola Quotidiana e con Il Timone, due testate (una quotidiana e l’altra mensile) che contribuiscono efficacemente a ri-orientare l’opinione pubblica cattolica con la tempestività degli interventi e con la competenza dei suoi numerosi e valenti collaboratori, tra i quali non posso non nominare l’ex arcivescovo di Ferrara, monsignor Luigi Negri, e recentemente anche un laico come Stefano Fontana, particolarmente competente in materia di Dottrina sociale della Chiesa.

Quanto all’elaborazione di studi di critica teologica, per molti anni ha lavorato in tal senso monsignor Brunero Gherardini, già decano della facoltà di Teologia della Pontifica Università Lateranense, autorevole studioso della teologia luterana, il quale ha contribuito a precisare il significato dogmatico della nozione cattolica di Tradizione (alla quale sono estranee le ideologie dei cosiddetti “tradizionalisti” cattolici) con degli studi di grande valore storico-dogmatico, in uno dei quali ha anche pubblicato una “lettera aperta” al papa Benedetto XVI illustrandogli la necessità di intervenite autorevolmente, con un documento pontificio, per spiegare i criteri teologici per i quali egli ha sostenuto che gli insegnamenti del Concilio Vaticano II non sono mai in discontinuità con la Tradizione (è la teoria dell’«ermeneutica della riforma nella continuità dell’unico soggetto-Chiesa»).

Monsignor Gherardini ha poi diretto fino al 2014 la rivista vaticana di critica teologica Divinitas, capace di una critica equilibrata e sempre scientificamente rigorosa delle tendenze ereticali che si andavano diffondendo all’interno delle istituzioni accademiche della Chiesa. Io stesso ho dato vita all’Unione apostolica “Fides et ratio” per la difesa scientifica della verità cattolica. Essa si esprime, in rapporto agli eventi dell’attualità, attraverso il sito http://www.fidesetratio.it ma ha anche patrocinato una collana di studi teologici intitolata “Divinitas Verbi”, il cui primo volume, Teologia e Magistero, oggi (a cura di Antonio Livi, Leonardo da Vinci, Roma 2017) accoglie studi di Serafino Lanzetta, Ignacio Andereggen ed Enrico Maria Radaelli.

Ma torno a quanto avevo posto in cima all’elenco dei doveri di resistenza di ogni cattolico: il dovere assoluto di professare personalmente la verità rivelata e di farla arrivare integra agli altri, nel dialogo di amicizia con quante più persone possibile.

Mons. Antonio Livi

ARTICOLO PUBBLICATO SU “LA NUOVA BUSSOLA QUOTIDIANA” L’8 AGOSTO 2017






 

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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20/09/2017 08:28
 
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    • MOTU PROPRIO



Famiglia, attacco all'eredità di Giovanni Paolo II




Un nuovo Motu Proprio - Summa Familiae Cura - dà l'assalto all'Istituto per il Matrimonio e la famiglia creato da san Giovanni Paolo II, che cambia denominazione e status. Un forte segnale di discontinuità che sottolinea la totale diversità di giudizio, rispetto a Giovanni Paolo II, sulla realtà attuale della famiglia e della società e sul compito della Chiesa.

di Riccardo Cascioli

«Con il presente Motu proprio istituisco il Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II per le Scienze del Matrimonio e della Famiglia, che, legato alla Pontificia Università Lateranense, succede, sostituendolo, al Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia (…) il quale pertanto, viene a cessare». L’articolo 1 del Motu Proprio Summa Familiae Cura, pubblicato ieri, sancisce così un altro atto di rottura con il Magistero di san Giovanni Paolo II che l’Istituto aveva creato nel 1982 con la Costituzione apostolica Magnum Matrimonii Sacramentum. Significativamente il documento porta la data dell’8 settembre, due giorni dopo la morte del cardinale Carlo Caffarra che, su incarico di Giovanni Paolo II, l’Istituto per gli Studi su matrimonio e Famiglia aveva fondato.

Sebbene nel Motu Proprio papa Francesco si ricolleghi alla «lungimirante intuizione di san Giovanni Paolo II», è evidente il segnale di forte discontinuità con il passato, anche se poi – va precisato – quello sancito ieri è ancora un passaggio, visto che la vera battaglia si giocherà ora sugli statuti dell’Istituto Teologico, che decideranno eventuali cambiamenti nella struttura dei corsi, nelle materie insegnate e nei docenti. Fino ad allora la vita dell’istituto dovrebbe continuare con gli stessi docenti e gli stessi corsi svolti finora, secondo quanto afferma il Motu Proprio e secondo quanto assicurato da monsignor Vincenzo Paglia, Gran Cancelliere dell’Istituto, nell’assemblea in cui ha presentato in anteprima il documento al corpo docente. Nessuno però si fa troppe illusioni, la determinazione a cambiare indirizzo politico costituirà una forma di pressione sugli attuali docenti, in massima parte “figli” di Giovanni Paolo II e del cardinale Caffarra, a cui si cercherà di affiancare qualche altro nuovo docente almeno fino alla battaglia decisiva.

Quanto ai contenuti è evidente che l'esortazione apostolica post-sinodale Amoris Laetitia è diventata il paradigma di ogni intervento, con la sua accentuazione pastorale e il costante riferimento ai segni dei tempi con non meglio precisate «richieste e appelli dello Spirito» che «risuonano anche negli stessi avvenimenti della storia». E mentre la Amoris Laetitia è fondamento del nuovo corso, sparisce dall’atto costitutivo del nuovo istituto qualsiasi riferimento all’enciclica di Paolo VI Humanae Vitae, che era stata invece indicata come risposta adeguata ai tempi attuali da san Giovanni Paolo II.

Del resto la retorica sui tempi che sono cambiati e le sfide nuove che necessitano di «un approccio analitico e diversificato» per cui non è più possibile proporre «pratiche della pastorale e della missione che riflettono forme e modelli del passato», non reggono alla prova della realtà.  Rileggendo la Magnum Matrimonii Sacramentum che aveva creato l’Istituto per Matrimonio e Famiglia – e più in generale ripercorrendo il magistero di Giovanni Paolo II - è evidente che le situazioni di disagio e il disfacimento della famiglia erano ben presenti e dibattute anche 30 anni fa.

Ciò che davvero fa la differenza è il giudizio sul mondo e sul compito della Chiesa. San Giovanni Paolo II aveva una chiara coscienza di un attacco in corso alla famiglia che assume i contorni dello scontro apocalittico. «La grandezza e la sapienza di Dio – diceva nel 1997 – si manifestano nelle Sue opere. Tuttavia, oggi sembra che i nemici di Dio, più che attaccare frontalmente l’Autore del creato, preferiscano colpirLo nelle sue opere. L’uomo è il culmine, il vertice delle Sue opere visibili. (…) Tra le verità oscurate nel cuore dell’uomo (…) sono particolarmente colpite tutte quelle che riguardano la famiglia. Attorno alla famiglia e alla vita si svolge oggi la lotta fondamentale della dignità dell’uomo». In tutto il magistero di Giovanni Paolo II è evidente il riconoscere la centralità della famiglia per il bene dell’uomo, famiglia sottoposta a violenti attacchi dalle «forze delle tenebre» che ne offuscano la verità causando quella devastazione sociale che ben conosciamo.

Di questa centralità della battaglia intorno alla famiglia e all’uomo si perde invece qualsiasi riferimento nella pastorale oggi proposta. Rimane la consapevolezza che «il bene della famiglia è decisivo per il futuro del mondo e della Chiesa», ma è una affermazione estranea a qualsiasi clima di conflittualità. Non c’è più un “mondo” ostile che vuole la distruzione della famiglia, ma tanti feriti, anche se non si sa bene da chi e perché.

Ben diversa si presenta dunque anche la missione della Chiesa. Per Giovanni Paolo II la creazione dell’Istituto per studi su Matrimonio e famiglia faceva parte di quel dovere fondamentale della Chiesa «di dichiarare a tutti il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia, di cui è tenuta ad assicurare il pieno vigore e la promozione umana e cristiana». Davanti all’attacco del mondo Giovanni Paolo II voleva formare un piccolo corpo speciale che approfondisse in modo scientifico «la verità su matrimonio e famiglia» così che «laici, religiosi e sacerdoti possano ricevere in materia una formazione scientifica sia filosofica-teologica, sia nelle scienze umane, in maniera che il loro ministero pastorale ed ecclesiale venga svolto in modo più adatto ed efficace per il bene del Popolo di Dio».

Oggi tutto diventa più sfumato, si parla di complessità e di «luci e ombre», l’affermazione della verità su matrimonio e famiglia viene considerata “divisiva”, creatrice di muri, per cui si preferisce allargare il discorso. Lo ha detto monsignor Paglia a Vatican Insider: «il Papa allarga la prospettiva» perché «ha ben compreso il compito storico della famiglia, sia nella Chiesa che nella società. E la famiglia non è un ideale astratto, ma una realtà maggioritaria della società, che deve riscoprire la sua vocazione nella storia». Dietro alla cortina fumogena di frasi a effetto, è chiara la questione: la verità su matrimonio e famiglia è un ideale astratto, bisogna mettersi in cammino con tanti altri alla riscoperta di ciò che può andare bene a tutti. È questo pensiero che spiega, ad esempio, come mai le nuove nomine nella Pontificia Accademia per la Vita includano personaggi favorevoli all’aborto o che fanno ricerca sugli embrioni, e spiega anche quale indirizzo si voglia dare al nuovo Istituto teologico per le Scienze su Matrimonio e Famiglia.

Sì, Giovanni Paolo II è stato fatto santo, ma si cerca di distruggere tutte le sue opere.


 

- IL DOCUMENTO IN SINTESIa cura di Lorenzo Bertocchi

Con la lettera apostolica in forma di Motu proprio Summa familiae cura, papa Francesco rifonda l’Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia. L’istituto voluto dal santo papa polacco fu definito nel 1982 e affidato, come primo preside, alle cure del cardinale Carlo Caffarra, oggi apparentemente cambia solo il nome, in realtà muta anche l’orizzonte di riferimento.

LA LINEA DI AMORIS LAETITIA

Le parole del Motu proprio chiariscono subito che come Giovanni Paolo II diede seguito al Sinodo sulla famiglia del 1980 con la costituzione dell’Istituto, così ora, dopo il doppio sinodo sulla famiglia del 2014 e 2015, papa Francesco ritiene di rifondarlo e rinominarlo. Non sarà più  Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia, ma è Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II per le Scienze del Matrimonio e della Famiglia, legato alla Pontificia Università Lateranense.

Il doppio sinodo sfociato nell’esortazione Amoris laetitia, si legge nel testo, «ha portato la Chiesa a una rinnovata consapevolezza del vangelo della famiglia e delle nuove sfide pastorali a cui la comunità cristiana è chiamata a rispondere». Secondo i cardini della «conversione pastorale» e della «trasformazione missionaria della Chiesa», indicati in Evangelii gaudium, il documento programmatico del papato di Bergoglio, «anche a livello di formazione accademica, nella riflessione sul matrimonio e sulla famiglia  non vengano mai meno la prospettiva pastorale e l’attenzione alle ferite dell’umanità».

E’ l’approccio presente in Amoris laetitia, quello di una maggiore attenzione alle sfide per una “Chiesa in uscita”, piuttosto che alla dottrina. Questo, in estrema sintesi, è il nuovo orizzonte che il Papa ha voluto indicare all’Istituto rifondato. «Il cambiamento antropologico-culturale, che influenza oggi tutti gli aspetti della vita e richiede un approccio analitico e diversificato, non ci consente di limitarci a pratiche della pastorale e della missione che riflettono forme e modelli del passato».

AMPLIAMENTI

«Sono venuto alla deliberazione di istituire un Istituto Teologico per le Scienze del Matrimonio e della Famiglia, ampliandone il campo di interesse», scrive papa Francesco, «sia in ordine alle nuove dimensioni del compito pastorale e della missione ecclesiale, sia in riferimento agli sviluppi delle scienze umane e della cultura antropologica in un campo così fondamentale per la cultura della vita».

Sarà molto importante capire come i nuovi statuti che dovranno essere approvati specificheranno meglio quali siano queste «nuove dimensioni del compito pastorale» e a quali «sviluppi delle scienze umane e della cultura antropologica» si farà riferimento. Per ora queste parole sono sufficientemente vaghe per potervi intendere molte realtà e significati, tutti da scoprire nei futuri programmi e insegnamenti.

Secondo quanto dichiarato da monsignor Vincenzo Paglia, il Gran Cancelliere dell’Istituto, quello di papa Francesco è un rilancio  che amplia la prospettiva, passando da una focalizzata solo sulla teologia morale e sacramentale, ad un'altra che includa anche quella «biblica, dogmatica e storica, che tiene conto delle sfide contemporanee».

Se leggiamo oggi le parole che papa Francesco scrisse nell’estate 2016 nel chirografo riservato a monsignor Paglia per la doppia nomina a Gran Cancelliere dell'Istituto Giovanni Paolo II e a presidente della Pontificia Accademia per la Vita, possiamo capire come il progetto di rifondazione dell’Istituto abbia una genesi tracciata da tempo. «Dal Concilio Ecumenico Vaticano II ad oggi», scriveva Francesco a Paglia, «il Magistero della Chiesa su tali temi si è sviluppato in maniera ampia ed approfondita. E il recente Sinodo sulla Famiglia, con l’Esortazione Apostolica Amoris laetitia, ne ha ulteriormente allargato e approfondito i contenuti. È mia intenzione che gli Istituti posti sotto la tua guida si impegnino in maniera rinnovata nell’approfondimento e nella diffusione del Magistero, confrontandosi con le sfide della cultura contemporanea».

ALCUNE CARATTERISTICHE

All’art. 3 si sottolinea «lo speciale rapporto del nuovo Istituto Teologico con il ministero e il magistero della Santa Sede» che sarà « avvalorato dalla privilegiata relazione che esso stabilirà, nelle forme che saranno reciprocamente concordate, con la Congregazione per l’Educazione Cattolica, con il Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita e con la Pontificia Accademia per la Vita».

Il “nuovo” istituto teologico «ha la facoltà di conferire iure proprio ai suoi studenti i seguenti gradi accademici: il Dottorato in Scienze su Matrimonio e Famiglia; la Licenza in Scienze su Matrimonio e Famiglia; il Diploma in Scienze su Matrimonio e Famiglia».


A colpi di motu propri papa Francesco legittima la “sua Chiesa”


Arriva Summa Familiae cura per distruggere definitivamente la Familiaris consortio. Del resto, Giovanni Giolitti († 1928) cinicamente ma realisticamente sentenziava: «Per i nemici le leggi si applicano, per gli amici si interpretano».

Estate infuocata, come abbiamo raccontato qui, analizzando le notizie di cronaca papale. E se durante la siccità l’unico fluido è stato un magistero estivo caldo e soffocante, ora con l’arrivo delle bombe d’acqua, nubifragi e l’allerta arancioni, ci ritroviamo con uno tsunami di Motu Propri atti a mettere la parola fine alla vera dottrina della Chiesa Cattolica.

Non ci soffermeremo sulla questione liturgica recentemente discussa da un altro MP di Bergoglio e abilmente trattato dal domenicano padre Riccardo Barile, vedi qui e pure qui, piuttosto vogliamo soffermarci sul MP uscito proprio stamani e che riguarda la Famiglia – clicca qui – Summa Familiae cura, un vero suffragio (si fa per dire, sic!) alla memoria di San Giovanni Paolo II e del cardinale Caffarra…. ed è forse meglio dire che è questo una lapide tombale alla Familiaris Consortio.

L’ultimo incontro fra il card. Caffarra e papa Bergoglio. Un abbraccio di circostanza davanti alle telecamere.

Perché parliamo di lapide tombale? Perché mentre la Familiaris Consortio è una esortazione apostolica, documento magisteriale papale a seguito di un sinodo e dunque di carattere pastorale, il Motu Proprio ha valore esecutivo e legale, è, in un certo senso, più canonico, più importante ai fini della sua applicazione e perché obbliga i cattolici alla sua applicazione.

E’ interessante che tranne per un passaggio, il resto del MP cita se stesso… cioè, Papa Francesco, pur ribadendo di restare nel solco della Familiaris Consortio, in realtà cita se stesso per affondarla, ecco un passaggio inquietante ed aberrante: “Il cambiamento antropologico-culturale, che influenza oggi tutti gli aspetti della vita e richiede un approccio analitico e diversificato, non ci consente di limitarci a pratiche della pastorale e della missione che riflettono forme e modelli del passato. Dobbiamo essere interpreti consapevoli e appassionati della sapienza della fede in un contesto nel quale gli individui sono meno sostenuti che in passato dalle strutture sociali, nella loro vita affettiva e familiare. Nel limpido proposito di rimanere fedeli all’insegnamento di Cristo, dobbiamo dunque guardare, con intelletto d’amore e con saggio realismo, alla realtà della famiglia, oggi, in tutta la sua complessità, nelle sue luci e nelle sue ombre…”.

Abbiamo inteso bene? Forme e modelli del passato? Perché quanti ce n’erano?? aiutateci a capire!! L’unica forma e modello del passato – e biblico – è uno solo: uomo+donna=famiglia, figli…. (e per i battezzati, naturalmente, un solo Sacramento del Matrimonio). Esiste forse una “pratica della pastorale e della missione” del passato che riflettono altri modelli? Dunque, afferma el Papa Francisco, che dobbiamo – dovremmo… – farci interpreti e consapevoli DI NUOVE FORME E MODELLI… e come al solito, senza specificare mai di cosa si tratta.

Ci domandiamo, leggendo il Documento: se dobbiamo rimanere fedeli all’insegnamento di Cristo, dove sta scritto, nei Vangeli, che esistono altri modelli ed altre forme di FAMIGLIA? La Divina Famiglia non è forse il modello e la forma che Dio stesso scelse per darcene testimonianza? Luci ed ombre ci sono sempre state nella vita degli uomini single, come nella famiglia, negli sposati, nelle storie dei fidanzati, nelle storie dei consacrati, ma forma e modello è sempre stato uno solo.

Non si può rimanere “nel limpido proposito” di piacere a Dio se, sotto, sotto, si impone ai fedeli, si impone alle future generazioni, si impone alle nuove catechesi e ai preti che esistono altre forme ed altri modelli di famiglia, perché questo è FALSO! E ben profetizzava il Patriarca di Venezia nel 1883, mentre difendeva già allora l’Istituto della Famiglia espresso dall’allora Pontefice Leone XIII, e affermava: “Solo rimedio a tutto questo noi lo vediamo nei santi principi, onde la famiglia fu rialzata e ristorata da Gesù Cristo; nel Sacramento che dà la grazia necessaria agli sposi per mantenersi reciprocamente quell’ affetto che diventa un dovere…” clicca qui per il testo.

E se qualcosa vi fosse ancora sfuggito, ecco la marchetta che definiamo essere la lapide tombale sia sulla Familiaris Consortio sia sul cardinale Caffarra dal momento che, tutto il suo accurato magistero in materia, è ora legalmente sepolto, ecco le parole del MP: “Con il presente Motu proprio istituisco il Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II per le Scienze del Matrimonio e della Famiglia, che, legato alla Pontificia Università Lateranense, succede, sostituendolo, al Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia, stabilito dalla Costituzione apostolica Magnum Matrimonii sacramentum, il quale pertanto, viene a cessare. Sarà, comunque, doveroso che l’originaria ispirazione che diede vita al cessato Istituto per Studi su Matrimonio e Famiglia continui a fecondare il più vasto campo di impegno del nuovo Istituto Teologico, contribuendo efficacemente a renderlo pienamente corrispondente alle odierne esigenze della missione pastorale della Chiesa…”.

Capito bene?  Il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia, voluto da San Giovanni Paolo II che mise a capo il cardinale Caffarra, il quale si oppose alle derive dottrinali dei due recenti sinodi sulla Famiglia, è oggi sostituito da Papa Francesco con nuove norme e nuove dottrine. E si legge anche la presa per i fondelli, laddove si dice che “l’ispirazione che diede vita all’Istituto” deve continuare a fecondare… ma fecondare che cosa? Il cambiamento antropologico-culturale della Famiglia… è ovvio! Ed è altrettanto ovvio che non era questo lo spirito con il quale venne fondato l’originario Istituto, non è questa la dottrina della Chiesa sulla Famiglia.

Oggi è Memoria delle Apparizioni de La Salette, a Maria Santissima, Regina della Famiglia, quella voluta e fondata da Dio, quella che è sempre è stata e sempre sarà fino alla fine del mondo, illumini il Clero e i Vescovi, e aiuti noi piccolo gregge nella resistenza e nella buona battaglia contro l’eresia.

IPXE DIXIT

«Roma perderà la fede e diventerà la sede dell’Anticristo» (Nostra Signora di La Salette, 19 settembre 1846).

«Verranno mode che offenderanno molto Gesù. Le persone che servono Dio non devono seguire la moda. La Chiesa non ha mode. Gesù è sempre lo stesso… I peccati che portano più anime all’inferno sono i peccati della carne» (Santa Giacinta Marto di Fatima, “Le memorie di Suor Lucia Dos Santo”).

«Lo scontro finale tra il Signore e il regno di Satana sarà sulla famiglia e sul matrimonio»(Suor Lucia Dos Santos in una lettera al card. Carlo Caffarra).

«La Chiesa di Roma corre il rischio di spaccarsi in due… False teorie sull’Eucaristia, sui sacramenti, sulla dottrina, sul sacerdozio, sul matrimonio e sulla procreazione dei figli. Essi vengono traviati e tentati dallo spirito della falsità, da satana e dal modernismo. La dottrina divina e le leggi valgono per tutte le epoche e sono come nuove per ogni tempo. (…) La Chiesa di Roma deve rimanere la Chiesa di Roma» (Nostra Signora di Amsterdam, 31 maggio 1965).

«Quello che ho sognato non si avveri mai, è troppo doloroso e spero che il Signore non permetta che il Papa neghi ogni verità di fede e si metta al posto di Dio. Quanto dolore ho provato nella notte, mi si paralizzavano le gambe e non potevo più muovermi, per quel dolore provato nel vedere la Chiesa ridotta a un ammasso di rovine» (Bruno Cornacchiola, 21 settembre 1988.  “Il veggente. Il segreto delle Tre Fontane”, di Saverio Gaeta, Salani editore).

«Le tenebre di Satana stanno oscurando ormai tutto il mondo e stanno oscurando anche la Chiesa di Dio. Preparatevi a vivere quanto io avevo svelato alle mie piccole figlie di Fatima»(Nostra Signora di Civitavecchia, 19 settembre 1995).




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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21/09/2017 16:29
 
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Intervista a S. E. Mons. Schneider su: Prof. Seifert, il Cardinale Caffarra e il dovere di resistere




Maike Hickson, 17 settembre 2017, Nota dell’editore: quanto segue è un’intervista al vescovo Athanasius Schneider, condotta dal Dr. Maike Hickson di OnePeterFive.     


Il vescovo Schneider è vescovo ausiliare dell’Arcidiocesi di Astana, Kazakistan.


Maike Hickson (MH)Lei ha firmato, insieme al professore Josef Seifert (tra molti altri), l’Appello Filiale che conferma l’insegnamento tradizionale della Chiesa sul matrimonio. Il professor Seifert è stato ora rimosso dal suo arcivescovo spagnolo dalla sua cattedra Dietrich von Hildebrand presso l’Accademia Internazionale di Filosofia di Granada, Spagna – con l’esplicito riferimento avverso alla sua critica su alcune affermazioni contenute in Amoris Laetitia. Possiamo chiederle la sua risposta a una misura così punitiva, giustificata dall’argomentazione che il professor Seifert stava sconvolgendo l’unità della Chiesa cattolica e confondendo i fedeli?


Mons. Athanasius Schneider (BAS): il professor Josef Seifert ha compiuto un atto urgente e meritorio nel formulare domande critiche su alcune affermazioni palesemente ambigue contenute nel documento papale Amoris Laetitia, considerando che queste affermazioni stanno causando un’anarchia morale e disciplinare nella vita della Chiesa, un’anarchia che è sotto gli occhi di tutti e che, nessuno che ancora usi la propria ragione e abbia vera fede e onestà, può negare.


La misura punitiva contro il professor Seifert da parte di una autorità ecclesiastica non è solo ingiusta, ma rappresenta in definitiva una fuga dalla verità, un rifiuto di dibattito oggettivo e di dialogo, mentre, contemporaneamente la cultura del dialogo viene proclamata come un’importante priorità nella vita della Chiesa dei nostri giorni.


Tale comportamento clericale contro un vero intellettuale cattolico, così come è il professor Seifert, mi ricorda le parole con le quali San Basilio il Grande descrive una situazione analoga nel IV secolo, quando i chierici ariani invasero e occuparono la maggioranza delle sedi episcopali: “Solo un reato è ora punito vigorosamente: un accurato rispetto delle tradizioni dei nostri Padri. Per questo motivo, i pii sono portati via dai loro paesi e trasportati in deserti. Le persone religiose sono costrette al silenzio, mentre ogni lingua blasfema viene sciolta” (Ep. 243).


MH: Quando parliamo dell’unità della Chiesa: qual è la base dell’unità? Quando si parla di questioni di fede e dottrina, in presenza di insegnamenti diversi e inadeguati, dobbiamo sacrificare tutto il dibattito motivato e prudente per non causare una possibile frattura all’interno della Chiesa?


BAS: La base dell’unità autentica della Chiesa è la verità. La Chiesa è per sua stessa natura “il pilastro e il fondamento della verità” (1 Tim 3: 15). Questo principio è valido fin dal tempo degli Apostoli ed è un criterio oggettivo per questa unità: cioè la “verità del Vangelo” (cfr Gal 2: 5.14). Papa Giovanni Paolo II ha dichiarato: “Oltre l’unità nell’amore, l’unità nella verità è sempre urgente per noi” (Terza Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano, Puebla, 28 gennaio 1979).


Sant’ Ireneo insegnò: “La Chiesa crede alle verità di fede come se avesse un’unica anima e un medesimo cuore, e le proclama, le insegna e le porge, con perfetta armonia, come se possedesse una sola bocca” (Adv. haer., I, 10, 2). All’inizio della Chiesa, Dio ci ha indicato il dovere di difendere la verità, quando essa è in pericolo di essere deformata da parte di qualsiasi membro della Chiesa, anche se questa deformazione avvenisse a nome del supremo pastore della Chiesa, come fu nel caso di san Pietro ad Antiochia (cfr Gal 2:14).


Questo principio di correzione fraterna all’interno della Chiesa è stato valido in ogni momento, anche verso il papa, e quindi dovrebbe essere valido anche nel nostro tempo. Purtroppo, chiunque nei nostri giorni osi parlare di verità – anche quando lo fa con rispetto nei confronti dei Pastori della Chiesa – è classificato come un nemico


dell’unità, come accadde a San Paolo; quando egli dichiarò: “Sono dunque diventato vostro nemico dicendovi la verità?” (Gal. 4,16).


MH: Molti prelati ora, e nel passato recente, sono rimasti in silenzio per paura di causare uno scisma nella Chiesa quando chiedono pubblicamente o sollevano obiezioni verso Papa Francesco per quanto riguarda il suo insegnamento sul matrimonio. Cosa diresti loro rispetto a questa scelta di silenzio?


BAS: Prima di tutto, dobbiamo tener presente che il papa è il primo servitore della Chiesa (servus servorum). Egli è il primo che deve ubbidire in modo esemplare a tutte le verità del magistero immutato e costante, perché lui è solo un amministratore, e non un proprietario, delle verità cattoliche, che ha ricevuto da tutti i suoi predecessori.


Il Papa non deve mai comportarsi verso le verità e la disciplina trasmesse costantemente, facendo riferimento a loro come se fosse un monarca assoluto, dicendo “Io sono la Chiesa” (analogamente al re francese Louis XIV: “L’état c’est moi”). Papa Benedetto XVI ha definito la questione in modo appropriato: “Il Papa non è un monarca assoluto i cui pensieri e desideri sono legge. Al contrario: il ministero del Papa è una garanzia di obbedienza a Cristo e alla sua Parola. Non deve proclamare le proprie idee, ma costantemente legare se stesso e la Chiesa all’obbedienza alla Parola di Dio, di fronte a ogni tentativo di adattarla o di abbatterla e ad ogni forma di opportunismo” (Omelia del 7 maggio 2005 ).


I vescovi non sono dipendenti del Papa, ma divinamente costituiti colleghi del Papa, anche se giurisdizionalmente subordinati a lui, ma sempre colleghi e fratelli. Quando il Papa stesso tollera un’ampia diffusione di evidenti errori di fede e di gravi abusi dei sacramenti (come l’ammissione ai sacramenti di adulteri non pentiti), i vescovi non dovrebbero comportarsi come impiegati servili che si chiudono nel silenzio. Un tale atteggiamento dimostrerebbe indifferenza verso la grave responsabilità del ministero petrino e contraddirebbe la stessa natura collegiale dell’episcopato e l’autentico amore per il Successore di Pietro.


Bisogna ricordare le parole di San Hilario di Poitiers, che così parlò durante la generale confusione dottrinale del IV secolo: “Oggi, sotto il pretesto di una pietà falsa, sotto l’apparenza ingannevole di una predicazione del Vangelo, alcune persone stanno cercando di negare il Signore Gesù. Io dico la verità, perché tutti possano conoscere la causa della confusione che patiamo. Non posso stare in silenzio” (Contra Auxentium, 1, 4).


MH: Torniamo alla bonaria critica del professor Seifert ad Amoris Laetitia. Nel suo nuovo articolo dell’ agosto 2017, egli solleva la questione se rivendicare che, a volte, le coppie divorziate e “risposate” debbano mantenere relazioni sessuali per il bene dei figli del nuovo legame, in realtà non conduca alla conclusione che non esistono più assoluti morali; vale a dire che molti in peccato mortale possano, in certe situazioni, risultare non più peccaminosi agli occhi di Dio. Il professor Seifert vede questa logica come una potenziale “bomba atomica morale” che porterà al relativismo morale. Saresti d’accordo con lui qui?


BAS: Sono completamente d’accordo con il professor Seifert su questo punto, e raccomando caldamente anche agli altri di leggere il suo articolo magistrale intitolato La logica pura minaccia di distruggere l’intera dottrina morale della Chiesa cattolica?. Nel 1973, nel suo libro Atanasio e la Chiesa dei nostri giorni, il vescovo Rudolf Graber di Regensburg scrisse: “Ciò che è accaduto oltre 1600 anni fa, si ripete oggi, ma con due o tre differenze: l’Alexandria è oggi la Chiesa universale, la cui stabilità viene scossa e, ciò che fu intrapreso in quel tempo attraverso mezzi che impiegavano la forza fisica e la crudeltà, viene ora trasferito su un piano diverso. L’esilio è sostituito da una condanna al silenzio di essere ignorato, uccidendo attraverso un assassinio del personaggio”. Questa descrizione si applica anche al caso attuale del professor Seifert.


MH: Essendo cresciuto in un paese totalitario, quali sono le sue considerazioni sulla libertà accademica in Spagna quando un professore di fama internazionale può essere rimosso dalle sue posizioni accademiche


semplicemente per aver sollevato domande, cortesi domande, riguardanti un documento papale e per avere indicato possibili pericoli in alcune delle sue affermazioni?


BAS: Da decenni sono entrati all’interno della Chiesa il “politicamente corretto” e le “buone maniere” finalizzati a proclamare e promuovere praticamente la libertà nel discorso teologico, nel dibattito e nella ricerca, in modo che la libertà di pensiero e di parola divenisse uno slogan. Allo stesso tempo, si può ora osservare il paradosso per cui questa stessa libertà è negata a coloro che, nella Chiesa dei nostri giorni, alzano le loro voci con rispetto e cortesia in difesa della verità.


Questa bizzarra situazione mi ricorda una canzone famosa che ho dovuto cantare nella scuola comunista durante la mia infanzia e le cui parole erano le seguenti: “L’Unione Sovietica è la mia amata patria, e non conosco un altro paese al mondo dove l’uomo possa respirare così liberamente”.


MH: Può dirci alcune parole che il cardinale Carlo Caffarra ha scambiato con lei personalmente riguardo alla nostra attuale crisi della Chiesa, parole che potrebbero costituire, in parte, una sorta di sua eredità?


BAS: ho parlato solo due volte con il cardinale Caffarra. Quei brevi incontri e conversazioni con il Cardinale Caffarra hanno lasciato in me alcune impressioni profonde. Ho visto in lui un vero uomo di Dio, uomo di fede, con visione del soprannaturale. Ho notato in lui un profondo amore per la verità.


Quando ho parlato con lui sulla necessità che i vescovi sollevino le loro voci di fronte al diffuso attacco contro l’indissolubilità del matrimonio e della santità dei legami sacramentali del matrimonio, ha affermato: “Quando noi vescovi faremo questo, non dobbiamo temere nessuno e niente, perché non abbiamo nulla da perdere”. Una volta ho detto a una donna statunitense molto intelligente e profondamente cattolica e credente la frase usata dal cardinale Caffarra, cioè che noi vescovi non abbiamo nulla da perdere quando diciamo la verità. A questa mia frase lei replicò con queste parole indimenticabili: “Perderete tutto quando non farete ciò”.


MH: Considera giusto che altri cardinali – come il cardinale Christoph Schönborn o il cardinale Óscar Rodrígez Maradiaga – abbiano rimproverato i quattro cardinali per aver pubblicato i dubia?


BAS: La formulazione e la pubblicazione dei dubia da parte dei quattro Cardinali era un merito encomiabile e, in un certo senso, anche un atto storico, che onora veramente il Sacro Collegio dei Cardinali. Nella situazione attuale, l’indissolubilità e la santità del matrimonio sacramentale sono minate e, in pratica, negate a causa dell’accesso normativo degli adulteri non pentiti ai sacramenti, banalizzando e profanando così anche i sacramenti del Matrimonio, della Penitenza e dell’Eucaristia.


In gioco è, in ultima analisi, la validità dei Comandamenti Divini e dell’intera legge morale, come ha giustamente affermato il professor Seifert nel suo articolo sopra citato e per cui è stato gravemente punito. Possiamo confrontare questa situazione con quella di una nave in un mare tempestoso, in cui il capitano ignora i pericoli evidenti, mentre la maggior parte dei suoi ufficiali si chiude nel silenzio dicendo: “Tutto va benissimo sulla nave che affonda”.


Quando, in quella situazione, un piccolo numero di ufficiali della nave poi sollevano le loro voci per la sicurezza di tutti i passeggeri, loro stessi sono grottescamente e ingiustamente criticati dai loro colleghi come “ammutinati” o come “guastafeste”. Anche se il capitano ritenesse le voci dei pochi ufficiali al momento disturbanti, riconoscerà con gratitudine il loro aiuto più tardi, quando dovrà affrontare il pericolo guardandolo in faccia e quando apparirà lui stesso davanti al Giudice Divino. E così saranno anche grati sia i passeggeri che la Storia, quando il pericolo sarà passato.


L’atto coraggioso e i nomi di quei pochi ufficiali saranno ricordati come veramente generosi ed eroici; ma sicuramente non quegli ufficiali che, per ignoranza, per opportunismo o per servilismo, si chiusero nel silenzio o persino assurdamente criticarono coloro che avevano sostenuto un’azione salvifica per quella nave che affondava. Ciò corrisponde in qualche modo alla situazione attuale sui dubia dei Quattro Cardinali. Bisogna ricordarsi quello che San Basilio osservò durante la crisi ariana: “Gli uomini in autorità hanno paura di parlare, poiché quelli che hanno raggiunto il potere grazie ad interessamento umano, sono gli schiavi di coloro ai quali devono le loro


promozioni di carriera. E ora la vera rivendicazione dell’ortodossia è considerata in alcuni ambiti come un’opportunità per un attacco reciproco; e gli uomini nascondono la loro cattiva volontà privata fingendo che la loro ostilità sia tutta per amore della verità.


Tutto ciò mentre i non credenti ridono; uomini di debole fede sono scossi; la fede è incerta; le anime sono immerse nell’ignoranza, perché gli adulteratori della parola imitano la verità. I migliori dei laici evitano le chiese considerandole come scuole di empietà e, nei deserti sollevano le mani al loro Signore in cielo con sospiri e lacrime. La fede dei Padri che abbiamo ricevuto; quella fede che conosciamo è marchiata con i timbri degli Apostoli; a quella fede noi aderiamo, e a tutto quello che in passato fu promulgato canonicamente e legittimamente” (Ep 92, 2).


MH: Ora che rimangono solo due cardinali dubia – dopo la morte di entrambi i cardinali Carlo Caffarra e del cardinale Joachim Meisner – quali sono le sue speranze nei confronti di altri cardinali che potrebbero ora subentrare e riempire il vuoto?


BAS: spero e desidero che più cardinali, come gli ufficiali di quella nave in un mare in tempesta, adesso  uniscano le loro voci alle voci dei Quattro Cardinali, indipendentemente dalla lode o dalla colpa.


MH: In generale, cosa dovrebbero fare adesso i cattolici – laici o chierici – se vengono pressati nell’accettare alcuni aspetti controversi di Amoris Laetitia, ad esempio per quanto riguarda i divorziati “risposati” e il loro possibile accesso ai sacramenti? E quei sacerdoti che rifiutano di dare la Santa Comunione a queste coppie “risposate”? Che cosa succederà ai professori laici cattolici che sono stati minacciati di rimozione dalle loro posizioni didattiche a causa della loro critica effettiva o percepita ad Amoris Laetitia? Che cosa possiamo fare tutti noi quando siamo in conflitto, nelle nostre coscienze, se tradire l’insegnamento del Nostro Signore o andare verso una disubbidienza decisa nei confronti dei nostri superiori?


BAS: quando sacerdoti e laici rimangono fedeli all’insegnamento e alla pratica costante di tutta la Chiesa, sono in comunione con tutti i Papi, i Vescovi ortodossi e i Santi di duemila anni, essendo in speciale comunione con San Giovanni Battista, San Tommaso Moro, San John Fisher e con gli innumerevoli coniugi abbandonati che rimasero fedeli ai loro voti matrimoniali, accettando una vita di continenza per non offendere Dio.


La voce costante nello stesso senso e significato (eodem sensu eademque sententia) e la pratica corrispondente di duemila anni sono più potenti e più sicuri della voce discordante della pratica di ammettere gli adulteri impenitenti alla Santa Comunione, anche se questa pratica è promossa da un singolo papa o vescovi diocesani. In questo caso dobbiamo seguire l’insegnamento e la pratica costante della Chiesa, perché opera qui la vera tradizione, la “democrazia dei defunti”, cioè la voce di maggioranza di quelli che ci hanno preceduto. Sant’Agostino rispose all’ errata pratica non tradizionale donatista del ri-battesimo e del riordinamento, affermando che la costante e immutabile pratica della Chiesa sin dai tempi degli Apostoli corrisponde al giudizio certo di tutto il mondo: “Il mondo intero giudica in modo sicuro”, cioè “Securus judicat orbis terrarum” (Contra Parmenianum III, 24).


Significa che tutta la tradizione cattolica si schiera sicuramente e con certezza contro una pratica fabbricata e dalla breve vita che, in un punto importante, contraddice l’intero Magistero di tutti i tempi. Quei sacerdoti, che ora fossero costretti dai loro superiori a dare la Santa Comunione agli adulteri pubblici e non pentiti, o ad altri peccatori notori e pubblici, dovrebbero rispondere con santa convinzione: “Il nostro comportamento è il comportamento di tutto il mondo cattolico da duemila anni”: “Tutto il mondo giudica in modo sicuro”,”Securus judicat orbis terrarum“! Benedetto John Henry Newman ha detto in Apologia pro sua vita: “Il giudizio deliberato, su cui tutta la Chiesa si appoggia e accondiscende durante un lungo periodo di tempo, è una prescrizione infallibile e una sentenza definitiva contro una novità temporale”.


In questo nostro contesto storico, sacerdoti e fedeli dovrebbero dire ai loro Superiori ecclesiastici e i Vescovi dovrebbero dire con amore e rispetto al Papa, che San Paolo disse una volta: “Perché non possiamo fare nulla contro la verità, ma solo per la verità. Perché noi siamo contenti quando siamo deboli e voi siete forti. Ciò per cui preghiamo è la vostra rinascita e reintegrazione” (2 Cor 13: 8).


(Traduzione a cura della redazione di Corrispondenza Romana)







Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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24/09/2017 12:47
 
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ATTENZIONE – IL SITO COOPERATORE-VERITATIS ADERISCE ALLA DOLOROSA INIZIATIVA DELLA “CORREZIONE FILIALE”

Una lettera di 25 pagine firmata da 40 sacerdoti e studiosi laici cattolici è stata spedita a Papa Francesco l’11 agosto. Per il fatto che non è stata ricevuta nessuna risposta dal S. Padre, la si rende pubblica quest’oggi, 24 settembre, Festa della Madonna della Mercede e di Nostra Signora di Walsingham. La lettera, che è aperta a nuovi firmatari, ora porta i nomi di 62 sacerdoti e studiosi cattolici provenienti da 20 nazioni, i quali rappresentano anche altri che però non hanno la necessaria libertà di parlare. La lettera ha un titolo latino: Correctio filialis de haeresibus propagatis (letteralmente, Correzione filiale in ragione della propagazione di eresie). In essa si dichiara che il papa, mediante la sua Esortazione Apostolica Amoris laetitia e mediante altri parole, atti e omissioni ad essa collegate, ha sostenuto 7 posizioni eretiche, riguardanti il matrimonio, la vita morale e la recezione dei sacramenti, e ha causato la diffusione di queste opinioni eretiche nella Chiesa Cattolica. Queste 7 eresie sono formulate dai firmatari in latino, lingua officiale della Chiesa.

Questa lettera di correzione ha 3 parti principali. Nella prima parte, i firmatari, in qualità di cattolici credenti e praticanti, spiegano perché hanno il diritto e il dovere di rivolgere una tale correzione al supremo pontefice. La legge stessa della Chiesa richiede che persone competenti non rimangano silenti quando i pastori della Chiesa disorientano il gregge. Ciò non comporta nessun conflitto con il dogma cattolico dell’infallibilità papale, dal momento che la Chiesa insegna che il papa deve attenersi a dei criteri ben precisi prima che le sue affermazioni siano considerate infallibili. Papa Francesco non si è attenuto a questi criteri. Egli non ha dichiarato che queste posizioni eretiche siano da essere considerate insegnamento definitivo della Chiesa o che i cattolici debbano crederle con un assenso di fede.  La Chiesa insegna che nessun papa può asserire che Dio gli abbia rivelato qualche nuova verità che sarebbe obbligatoria da credere per i cattolici.

La seconda parte della lettera è quella essenziale in quanto contiene la “Correzione” propriamente detta. In essa si redige una lista di passaggi di Amoris laetitia in cui si insinuano o si incoraggiano posizioni eretiche; quindi si fa una lista di parole, atti e omissioni di Papa Francesco i quali rendono chiaro, oltre ogni ragionevole dubbio, che questi desidera un’interpretazione dei suddetti passaggi da parte dei cattolici in un modo che, di fatti, è eretico. In particolare, direttamente o indirettamente, il papa ha permesso che si credesse che l’obbedienza alla Legge di Dio possa essere impossibile o indesiderabile e che la Chiesa talvolta dovrebbe accettare l’adulterio in quanto compatibile con l’essere cattolici praticanti.

La parte finale, con il titolo “Delucidazione”, espone due cause di questa crisi singolare. Una causa è il “Modernismo”. Teologicamente parlando, il Modernismo sostiene che Dio non ha consegnato verità definite alla Chiesa che essa deve continuare ad insegnare esattamente nello stesso senso fino alla fine del tempo. I modernisti ritengono che Dio comunichi al genere umano solo esperienze, sulle quali gli essere umani possono riflettere e così dichiarare cose varie circa Dio, la vita e la religione, ma tali dichiarazioni sono solo provvisorie, mai dogmi fissi. Il Modernismo fu condannato dal Papa S. Pio X all’inizio del XX secolo, ma riemerse durante la metà di questo secolo. La grande e continua confusione causata dal Modernismo nella Chiesa Cattolica obbliga i firmatari a descrivere il vero significato di “fede”, “eresia”, “rivelazione” e “magistero”.

La seconda causa della crisi è l’apparente influenza delle idee di Martin Lutero su Papa Francesco. La lettera mostra come Lutero, il fondatore del Protestantesimo, abbia idee su matrimonio, divorzio, perdono e legge divina che corrispondono a quelle che il papa ha promosso mediante parole, atti e omissioni. Si mette in evidenza anche la lode esplicita e senza precedenti attribuita da Papa Francesco all’eresiarca tedesco.

I firmatari non si azzardano a giudicare il grado di consapevolezza con il quale Papa Francesco ha propagato le 7 eresie elencate. Ma rispettosamente insistono che egli condanni queste eresie, da lui sostenute direttamente o indirettamente.

I firmatari professano la loro lealtà alla Santa Chiesa Romana, assicurano al Papa loro preghiera e chiedono la sua benedizione apostolica.

VISUALIZZA QUI IL DOCUMENTO

Non più 4 ma ben 62 firme per 7 Dubia al Santo Padre Francesco.

 

“Beatissimo Padre,

con profondo dolore, ma mossi dalla fedeltà a Nostro Signore Gesù Cristo, dall’amore alla Chiesa e al papato, e dalla devozione filiale verso di Lei, siamo costretti a rivolgerLe una correzione a causa della propagazione di alcune eresie sviluppatesi per mezzo dell’esortazione apostolica Amoris laetitia e mediante altre parole, atti e omissioni di Vostra Santità. Ci è consentito fare questa correzione in virtù della legge naturale, della legge di Cristo e della legge della Chiesa, tre cose che Vostra Santità è chiamato dalla divina Provvidenza a proteggere…”

Con queste parole inizia una dolorosa lettera, firmata da ben 62 Cattolici di cui 40 sono sacerdoti, clicca qui per il testo integrale,  indirizzata a Papa Francesco per tornare a chiedere chiarimenti sulla posizione dottrinale di un grave documento papale, che non ha precedenti nella storia della Santa Chiesa.

Tutti noi sappiamo, o dovremo sapere, che di fatto non è il Pontefice che si scrive da solo encicliche o esortazioni, questi Documenti vengono redatti da più mani poi il Pontefice decide per l’approvazione apportando la sua firma e ordinando la pubblicazione. Un lavoro di squadra apprezzabilissimo perché prevede così anche un lavoro collegiale, il Papa ascolta anche gli altri, invoca esperti del settore, ma la decisione finale è tutta sua.

Nel caso di Amoris Laetitia apparve subito che qualcosa non andava. I due precedenti Sinodi sulla Famiglia avevano già messo in guardia i veri “Custodi della Fede” per una gestione più equa e dottrinale del documento papale con la famosa Lettera  sui Dubia, ma sappiamo come è andata a finire, per ora, il Papa ha snobbato i 4 cardinali firmatari dei quali due sono deceduti recentemente. Per tutta risposta Papa Francesco ha firmato il Motu Proprio, clicca qui, che di fatto distrugge l’Istituto per la Famiglia, fondato da Giovanni Paolo II per difendere la Famiglia proprio da quelle eresie che il testo papale Amoris Laetita, invece, propaga in tutta superbia e attraverso l’imposizione della prassi ossia: non si vuole toccare la dottrina – si dice – ma di fatto la si cambia nella pastorale integrando in essa l’eresia.

Non sappiamo, e non possiamo prevedere, come reagirà Papa Francesco su questa ulteriore e accorata iniziativa, ma sappiamo come reagiranno i soliti bergogliosi, la squadra modernista sulla quale Bergoglio ha voluto fondare la redazione dei suoi testi, nomi noti all’interno della Chiesa a causa delle loro più disperate affermazioni eretiche. Persone queste che, protette dallo stesso Bergoglio, si accaniranno contro i firmatari accusandoli di scisma e di anti-papismo.

Sappiamo di non contare nulla nella Chiesa, sappiamo di essere nulla, sappiamo di non essere indispensabili e che la Santa Chiesa è ben protetta dallo Sposo e dal Cuore Immacolato di Maria, da San Michele Arcangelo, tuttavia sappiamo bene che nostro dovere è difendere la vera Fede anche a costo della propria vita, e di metterla in pratica nella nostra quotidianità. Per questo noi ci aggreghiamo ai cardinali firmatari dei Dubia, ci uniamo filialmente ai nuovi 62 firmatari, ci uniamo pregando per il Papa e soffrendo per la Chiesa assediata da questi parassiti dell’eresia Modernista denunciata per tempo da San Pio X ed oggi assoldati nella squadra bergogliosa attraverso Motu Propri e documenti papali atti a distruggere e a devastare la sana dottrina della Chiesa.

Nel nostro piccolo chiediamo a tutto il Clero, ma anche ai laici, di leggere con attenzione il n. 1650 del Catechismo della Chiesa Cattolica per comprendere la gravità delle scelte fatte da Bergoglio e che vanno nella direzione opposta:

1650 “Oggi, in molti paesi, sono numerosi i cattolici che ricorrono al divorzio secondo le leggi civili e che contraggono civilmente una nuova unione. La Chiesa sostiene, per fedeltà alla parola di Gesù Cristo (« Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio contro di lei; se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio »: Mc 10,11-12), che non può riconoscere come valida una nuova unione, se era valido il primo matrimonio. Se i divorziati si sono risposati civilmente, essi si trovano in una situazione che oggettivamente contrasta con la Legge di Dio. Perciò essi non possono accedere alla Comunione eucaristica, per tutto il tempo che perdura tale situazione. Per lo stesso motivo non possono esercitare certe responsabilità ecclesiali. La riconciliazione mediante il sacramento della Penitenza non può essere accordata se non a coloro che si sono pentiti di aver violato il segno dell’Alleanza e della fedeltà a Cristo, e si sono impegnati a vivere in una completa continenza.”

La motivazione è palese, non è un Papa che ha deciso questo, ma la Legge divina, la fedeltà alla Parola di Gesù Cristo, mentre un papa oggi, Papa Francesco, sta imponendo a tutta la Chiesa la via opposta alla parola di Dio. Non è un caso se questo articolo del Catechismo è completamente assente in Amoris Laetitia. Fino al 2013 la Chiesa si esprimeva a seconda della parola di Gesù Cristo e per fedeltà a questa parola, da allora assistiamo ad un capovolgimento dell’interpretazione magisteriale su questa parola, assistiamo ad un pontificato che ha deciso di avanzare con nuove dottrine contro la Legge divina.

Con questo non ci si accusi di anti-papismo, la provocazione non regge ed è ridicola! Proprio perché amiamo il Papa (in quanto Vicario di Cristo e associato al ruolo petrino, e non certo riguardo alla figura personale di Bergoglio) chiediamo di applicare il n. 1650 del Catechismo della Chiesa Cattolica – senza se e senza ma –  al quale anche un Pontefice deve obbedire. Papa Francesco in una solita intervista del 25 novembre 2016 aveva affermato: «È bene essere criticato, a me piace questo, sempre. La vita è fatta anche di incomprensioni e di tensioni. E quando sono critiche che fanno crescere, le accetto, rispondo….», ebbene, auspichiamo di cuore che il Papa stesso accetti e risponda. Purtroppo tra il dire e il fare c’è di mezzo un abisso, e Papa Francesco non solo non risponde e non accetta la critica onesta e costruttiva, ma sta remando contro la Parola di Dio in materia dottrinale.

Ricordiamo che la dottrina non è stata inventata da un Pontefice del passato o dai capricci di qualcuno, ma dalla Parola di Dio che la Chiesa ha fissato attraverso Norme e dottrine che non possono essere modificate da nessuno, neppure da un Papa, anzi, il Papa deve essere il primo ad obbedire, un Papa può confermare gli altri nella Fede quando lui stesso si è convertito alla Parola di Dio magistralmente indottrinata dalla Chiesa.

Concludiamo con le parole profetiche di San Pio X che descrivono bene la situazione e ci confermano nella Veritas, parole oscurate dal sito Vaticano, che non troverete lì dentro«…che cos’è diventato il cattolicesimo… un tale fiume limpido e impetuoso è stato captato, nel suo corso, dai moderni nemici della Chiesa e d’ora innanzi forma solo un misero affluente del grande movimento di apostasia , organizzato, in tutti i paesi, per l’instaurazione di una Chiesa universale, che non avrà né dogmi, né regole per lo spirito, né freno per le passioni, e che, con il pretesto della libertà e della dignità umana, ristabilirebbe nel mondo, qualora potesse trionfare, il regno legale dell’astuzia e della forza… Abbiamo la convinzione che la questione sociale e la scienza sociale non sono nate ieri; che in ogni tempo la Chiesa e lo Stato, felicemente concertati, hanno suscitato a questo scopo organizzazioni feconde; che la Chiesa, che non ha mai tradito la felicità del popolo con alleanze compromissorie, non deve distaccarsi dal passato (..) infatti i veri amici del popolo non sono né rivoluzionari, né novatori, ma tradizionalisti…» (San Pio X – Lettera Notre charge apostolique – 25 agosto 1910).

Testo dalla Correctio Filialis in pdf (cliccare qui).



BXVI: possibile e necessaria la critica a pronunciamenti papali senza copertura nella Scrittura e nel Credo

BXVI: POSSIBILE E NECESSARIA LA CRITICA A PRONUNCIAMENTI PAPALI SENZA COPERTURA NELLA SCRITTURA E NEL CREDO
di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI
 
da Fede, ragione, verità e amore (Lindau 2009, p. 400)
 
«Si dovrebbe evitare soprattutto l’impressione che il papa (o l’ufficio in genere) possa solo raccogliere ed esprimere di volta in volta la media statistica della fede viva, per cui non sia possibile una decisione contraria a questi valori statistici medi (i quali sono poi anche problematici nella loro constatabilità).
 
La fede si norma sui dati oggettivi della Scrittura e del dogma, che in tempi oscuri possono anche spaventosamente scomparire dalla coscienza della (statisticamente) maggior parte della cristianità, senza perdere peraltro in nulla il loro carattere impegnante e vincolante.
 
In questo caso la parola del papa può e deve senz’altro porsi contro la statistica e contro la potenza di un’opinione, che pretende fortemente di essere la sola valida; e ciò dovrà avvenire con tanta più decisione quanto più chiara sarà (come nel caso ipotizzato) la testimonianza della tradizione.
 
Al contrario, sarà possibile e necessaria una critica a pronunciamenti papali, nella misura in cui manca a essi la copertura nella Scrittura e nel Credo, nella fede della Chiesa universale.
 
Dove non esiste né l'unanimità della Chiesa universale né una chiara testimonianza delle fonti, là non è possibile una decisione impegnante e vincolante; se essa avvenisse formalmente, le mancherebbero le condizioni indispensabili e si dovrebbe perciò sollevare il problema circa la sua legittimità».

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Il cardinal Burke a tutto campo su Papa, Dubia, Müller, santi e “media peccatori”

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Sua Eminenza il cardinale Raymond Leo Burke ha rilasciato al giornalista Jordan Grantham di Catholic Outlook, un giornale australiano, una lunga intervista (VEDI QUI) affrontando vari argomenti. Di seguito un florilegio delle sue risposte.

Quello che i media sbagliano circa il Santo Padre è il considerarlo «l’agente di una qualche rivoluzione nella Chiesa», mentre è «il successore di San Pietro e non ha niente a che fare con le rivoluzioni. Infatti, ha a che fare con il mantenere la Chiesa in unione con la sua lunga e costante tradizione».

Alcuni media «vedono anche Papa Francesco come in qualche modo completamente distinto dalla tradizione secolare della Chiesa e dal suo insegnamento e dalla sua pratica», ma «questo non è possibile, perché il Romano Pontefice è questo principio di unità, unità che non è solo presente, ma unità con coloro che sono passati nei secoli. Infatti, i due sono uno. Quando siamo uniti con i santi e soprattutto con i grandi maestri della fede nei secoli, allora troviamo anche l’unità l’un con l’altro».

In merito a presunti conflitti tra il cardinale americano e il Papa, Burke risponde: «è tutta una montatura. Essi descrivono Papa Francesco come una persona meravigliosa e aperta e non c’è niente di sbagliato, ma mi rappresentano come il contrario. In realtà il Papa non è favorevole al loro ordine del giorno. Usano questa tecnica per far apparire come loro il Papa ma questo è fondamentalmente disonesto. Stanno facendo una caricatura di qualcuno che chiede chiarezza su determinate questioni, dicono “beh, è ​​il nemico del Papa” e stanno cercando di costruire opposizione al Papa, cosa che naturalmente non è così».

Alcuni, dice Burke, dicono che «io non sia pastorale, che sia solo interessato alla dottrina e alla legge. Credo che chiunque abbia avuto esperienza con me come prete o vescovo direbbe che sono molto pastorale e in effetti non vedo nessuna contraddizione tra l’essere pastorale e l’essere fedele nell’annunciare l’insegnamento della Chiesa e seguirne la sua legge».

Mi accusano «in qualche modo di essere una persona che non è in contatto con i tempi e che vive nel Medioevo e così via. Sono molto consapevole della cultura quotidiana in cui viviamo e cerco di affrontarla, ma in un modo pieno di compassione nel senso di che l’insegnamento della Chiesa va calato nella situazione culturale per cercare di condurre la cultura a una vera trasformazione, che è certamente necessaria, ad esempio in termini di rispetto della vita umana e rispetto dell’integrità della famiglia e rispetto della libertà religiosa. Questi sono solo tre esempi molto importanti di aspetti fondamentali della cultura contemporanea su cui la Chiesa offre la sua direzione».

«Ho sempre cercato di dare speranza e di condurre i fedeli a riflettere sulla verità e dire che Nostro Signore rimane sempre con noi nella Chiesa. È il nostro capo, sacerdote e guida, e quindi dobbiamo avere fiducia e condurre una vita cristiana. Se facciamo la volontà del Signore troveremo ciò che è realmente la nostra felicità e così faremo anche ciò che è meglio per il prossimo e per il nostro mondo. Questo è il tipo di messaggio che ho cercato di trasmettere».

«La mia speranza per la Chiesa e per il mondo è che ognuno conosca Gesù Cristo, lo ami e lo serva perché questo è il bene più grande del nostro mondo e di noi come individui».

«Non importa quale confusione o addirittura quali divisioni ci siano nella Chiesa, non dovremmo mai rinunciare alla speranza. Dobbiamo aggrapparci ancor più fedelmente a ciò che la Chiesa ha sempre insegnato e praticato. E in questo modo veramente salveremo le nostre anime, con l’aiuto della grazia di Dio. Se noi cattolici viviamo la nostra fede, il nostro rapporto con Nostro Signore Gesù Cristo con fedeltà, con chiarezza e con coraggio, saremo un lievito in tutto il mondo per la trasformazione della nostra cultura».

Nella Congregazione per i Santi studiamo «intensivamente le vite degli uomini e delle donne, laici fedeli, sacerdoti, vescovi, persone consacrate, che sono vissute nel corso dei secoli, soprattutto quelli di epoca più recente. Attraverso questo studio, vedo come il rapporto personale con Nostro Signore, attraverso i sacramenti, l’insegnamento della fede e la disciplina della vita, ha portato le persone a diventare eroi della fede e anche dell’umanità».

Mi ha colpito molto «il miracolo attribuito al Venerabile Fulton J. Sheen per la sua beatificazione. Il miracolo coinvolse un bambino che alla nascita era stato strangolato dal cordone ombelicale e non respirò per 61 minuti. Poi, attraverso l’intercessione del Ven. Fulton J. Sheen, il bambino, all’improvviso, cominciò a respirare e, miracolo nel miracolo, non c’era alcun danno al cervello, anche se il bambino non aveva respiro per circa 60 minuti. Attraverso l’invocazione dell’intercessione dei santi, Dio ha concesso grandi favori spirituali. Non molto tempo fa ho studiato la causa della canonizzazione di San José Sánchez del Río, giovane adolescente, che durante la guerra dei Cristeros in Messico, quando la Chiesa era stata così crudelmente perseguitata all’inizio del XX secolo, si rifiutò di negare la sua fede cattolica. Morì dicendo “Viva Cristo Rey!, Viva la Vergine di Guadalupe!”. Questa è una storia edificante anche per il nostro tempo».

Il cardinale Burke sente che «c’è molta confusione, a volte la gente non la trova la Chiesa come punto di riferimento sicuro. Alcuni sentono anche un certo sconvolgimento e cercano una presentazione molto più forte della dottrina della Chiesa. Certamente, come buoni cattolici amano il Papa, con completa obbedienza all’ufficio di Pietro. Al tempo stesso non accettano interpretazioni discutibili di  Amoris Laetitia, interpretazioni che in realtà contraddicono ciò che la Chiesa ha sempre insegnato e praticato. Non c’è chiarezza su queste questioni. Queste persone sono in uno stato molto difficile. È dimostrabile, è un dato di fatto che abbiamo conferenze di Vescovi che contraddicono l’un l’altro Amoris Laetitia, Vescovi che si contraddicono l’uno con l’altro; abbiamo fedeli che si contendono su questo o quell’altro aspetto; tanti sacerdoti soffrono in particolare perché i fedeli si rivolgono a loro aspettandosi alcune cose che ritengono adesso possibili, perché hanno ricevuto erronee interpretazioni di  Amoris Laetitia.  Di conseguenza, non comprendono più l’insegnamento della Chiesa. Nella Chiesa abbiamo solo una guida, il Magistero, l’insegnamento della Chiesa, ma ora sembriamo divisi in “campi politici”».

«I cosiddetti popoli liberali, che invocano la rivoluzione nella Chiesa, vogliono il dialogo finché tu concordi con loro. Nel momento in cui sollevi una domanda, diventano molto licenziosi, fanno attacchi personali, ciò che chiamiamo argomenti ad hominem, e così via. Questo non è veramente utile. Stiamo parlando di verità, stiamo parlando di fatti e non c’è posto per questi tipi di attacchi. È un modo molto mondano di avvicinarsi alle cose, non ha posto nella Chiesa. Anche la gente fa commenti disperati su altre persone, quando non sono d’accordo con loro. Io chiedo ‘Che cosa ho detto che non è vero?’. Penso che ci sia un solo modo per svolgere una conversazione su queste questioni e cioè offrire la dottrina della Chiesa. Questo è ciò che ci unifica».

«Io prego per i Cardinali o per le figure che mi attaccano».

«Celebro entrambe le forme della Messa e spesso in privato celebro la Forma Straordinaria».

«Sono rimasto completamente sconvolto dalla situazione dell’Ordine di Malta e rimango preoccupato di una vera riforma dell’Ordine, una riforma che rispetta la sua storia secolare e rispetta l’ispirazione che lo Spirito Santo ha dato al Beato Gerardo quando ha fondato l’Ordine per la Difesa della Fede e per la cura dei poveri. Questo scandalo che implica la distribuzione dei contraccettivi deve essere affrontato in modo efficace affinché l’Ordine non diventi semplicemente un’agenzia governativa ma rimanga un’agenzia di Cristo stesso. Quando le persone ricevono la carità dall’Ordine riconoscono innanzitutto che questo è proveniente da Nostro Signore stesso».

«Non ho nessuna informazione riguardante la decisione del Santo Padre di non rinnovare il cardinale Gerhard Ludwig Müller a prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Certamente, il cardinale Müller è un professore di teologia rispettato, che ha pubblicato molti libri e articoli in varie lingue. A causa della sua eccezionale preparazione e della lunga esperienza di professore di teologia, era particolarmente adatto a dirigere la Congregazione».

La morte del Cardinale Joachim Meisner il 5 luglio e la morte del cardinale Carlo Caffarra («Amava Cristo e il suo corpo mistico, la Chiesa, con tutto il suo cuore. Per questo motivo ha sofferto profondamente dal fatto che la situazione attuale di confusione e di errore nella Chiesa ha portato al grave danno delle anime») il 6 settembre di quest’anno «significa che io e il cardinale Walter Brandmüller faremo il possibile per arrivare alla risoluzione dei dubia. Mentre siamo tristi di aver perso la collaborazione terrena di questi due grandi pastori e prelati, siamo certi che continueranno ad assisterci con le loro preghiere ispirate alla loro carità pastorale duratura. L’urgenza di una risposta ai dubia deriva dal danno fatto agli animi dalla confusione e dall’errore finché le questioni fondamentali sollevate non vengono risolte in accordo con l’insegnamento e la pratica costante della Chiesa. L’urgenza pesa molto sul mio cuore».



[Modificato da Caterina63 26/09/2017 22:03]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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    Nessun monumento a nessuno quando si citano sante persone che ci aiutano a comprendere dove alberga il vero nessun "mi piace".... ma tutto deve svolgersi PER LA GLORIA DI DIO CHE E' VIA VERITA' E VITA.... se non leggiamo certi interventi in questo modo, evitiamo allora anche di parlarne per evitare di entrare a far parte di certe TIFOSERIE che non fanno bene neppure alla causa di Dio, ma soltanto soddisfazione al nostro ego smisurato e alle nostre opinioni personali..... In questo articolo mons. Livi spiega la situazione e spiega il VERO CONTENUTO della Lettera al Papa.... io lo condivido perché amo la Verità!  http://www.lanuovabq.it/it/correzione-al-papa-la-verita-che-i-lettori-meritano 


Focus


Caro direttore,

immagino che i lettori (ma anche alcuni tuoi collaboratori), vedendo la mia firma in calce alla Correctio filialis” , si siano domandati se questa mia iniziativa sia in linea con quanto vado scrivendo da anni nei miei libri, negli articoli di riviste scientifiche e anche in tanti articoli che tu mi hai chiesto e hai pubblicato nella NBQ. So peraltro che molte interpretazioni giornalistiche dell’evento lo caricano di connotazioni negative: si parla di un «affronto al Papa», di un «gesto di ribellione» eccetera. Soprattutto, da parte di chi non ha alcun reale interesse per ciò che concerne la fede cattolica, si trascura il contenuto propriamente dottrinale del documento, limitandosi a inquadrarlo nella lotta intra-ecclesiale tra conservatori e progressisti. Io avrei partecipato dunque a un atto eversivo, gravemente lesivo dell’unità della Chiesa sotto la guida del supremo Pastore. Le cose non stanno affatto così, e i lettori della NBQ meritano un’informazione più veritiera, sia riguardo al documento in sé che riguardo al fatto che io lo abbia firmato. Cerco di chiarire tutto per ordine.

1) Io personalmente ho firmato quel documento per un motivo esclusivamente teologico-pastorale, ossia per quell’impegno apostolico che san Giovanni Paolo II chiedeva a tutti i cattolici nel motu proprio Ad tuendam fidem  (18 maggio 1998). Altri lo avranno fatto per altri motivi e in rappresentanza di ambienti e schieramenti ecclesiali che si autodefiniscono “tradizionalisti”. Io invece parlo e scrivo a nome della Chiesa, se si tratta di comunicare la fede nella catechesi e nell’insegnamento della teologia; se poi si tratta di esporre, non il dogma ma delle ipotesi di interpretazione del dogma (ossia, delle opinioni), parlo a nome mio personale, senza mescolare la certezza assoluta della fede con le certezze relative delle ideologie.

Per questo, io non sono mai stato e continuo a non essere un conservatore e nemmeno un tradizionalista. Rispetto chi ama etichettarsi ed essere etichettato così ma a me basta e avanza la qualifica di cattolico. Sono semplicemente un cattolico che studia da tutta una vita la verità della fede cristiana, la trasmette attraverso il suo ministero sacerdotale, ne mostra il mirabile progresso storico (giustamente denominato «evoluzione omogenea del dogma»), allo stesso tempo che ne combatte le adulterazioni secolaristiche e anche i riduzionismi ideologico-politici , non importa se di stampo conservatore o di stampo progressista (lo sanno bene i molti lettori del mio trattato su Vera e falsa teologia. Come distinguere l’autentica “scienza della fede” da un’equivoca filosofia religiosa, ormai giunto alla terza edizione).

2) Quel documento io l’ho attentamente letto in bozza prima di apporre la mia firma, e l'ho anche corretto in alcune espressioni che ritenevo improprie. Alla fine mi è sembrato opportuno, nel momento presente, rivolgere questo accorato appello al Papa affinché metta un freno, per quanto è in suo potere, alla deriva antidogmatica di certa teologia tendenzialmente eterodossa (da Karl Rahner e Teilhard de Chardin a Hans Küng e Walter Kasper), che è diventata egemone nei centri di formazione ecclesiastica, nell’episcopato cattolico, e persino nei dicasteri pontifici, arrivando a inquinare il linguaggio e i riferimenti teologici di taluni documenti del magistero pontificio, come è avvenuto con l’esortazione apostolica Amoris laetitia.

3) E’ lecito un appello del genere, sia pure nei termini rispettosi con cui è stato redatto e consegnato al Papa? Certamente è moralmente lecito e canonicamente legittimo. Esso, infatti, contrariamente a come è stato presentato da commentatori poco attenti o inclini al sensazionalismo, non intende accusare il Papa di eresia ma lo richiama rispettosamente a non favorire ulteriormente la deriva chiaramente ereticale che inquina la vita della Chiesa. Il che significa, in pratica, chiedergli rispettosamente la rettifica di alcuni suoi indirizzi pastorali che sono risultati ambigui o fuorvianti, soprattutto perché contrari a una tradizione dogmatica e morale ormai consolidata, fatta propria dal magistero solenne e ordinario dei suoi immediati predecessori.

Insomma, la “Correctio filialis” non afferma che il Papa sia incorso in eresia con atti interpretabili come vero e proprio magistero pontificio (quello che viene denominato «magistero ordinario e universale»); non afferma cioè che nelle sue encicliche e nell’esortazione apostolica post-sinodale sia rilevabile qualche eresia propriamente detta, ossia un insegnamento dogmatico materialmente incompatibile con la fede già definita dalla Chiesa. Se la “Correctio filialis” contenesse siffatta accusa, io non l’avrei certamente sottoscritta. Io l’ipotesi di un Papa eretico l’ho energicamente respinta in un libro pubblicato di recente (Teologia e Magistero, oggi, Leonardo da Vinci, Roma 2017), adducendo argomenti che ritengo teologicamente inoppugnabili, anche in polemica con alcuni studiosi che pure sono firmatari della “Correctio filialis” (ad esempio, Roberto de Mattei).  

La “Correctio filialis” afferma invece che la prassi pastorale del Papa sta contribuendo alla diffusione delle eresie, sia per gli argomenti che adopera nei suoi discorsi e documenti (argomenti chiaramente desunti da consiglieri ben noti per la loro cattiva dottrina), sia per le sue decisioni di governo (nomine di alcuni e dimissioni o allontanamento di altri) che finiscono per conferire potere e prestigio nella Chiesa ai teologi che tali eresie da tempo insegnano, mentre allontana da sé e dai dicasteri della Santa Sede i teologi di retto criterio.

4) Chi dà a me e tutti gli altri firmatari il diritto di rivolgere questo appello al Papa? Non sarà eretico proprio il fatto di contraddire l’insegnamento di un Papa o negare la sua autorità dottrinale? No, non è un atto eretico, perché c’è eresia solo dove si contraddice formalmente un dogma, e con quelle osservazioni critiche della “Correctio filialis” non si contraddice alcun dogma formulato da papa Francesco né alcuna dottrina morale da lui proposta come verità che obblighi tutti i cattolici a ritenerla irreformabile. La “Correctio filialis” denuncia proprio il contrario, cioè il fatto che alcune indicazioni pastorali di papa Francesco rimettono in discussione la dottrina che i suoi predecessori avevano proposto come verità ormai definita.

5) Ora, richiamare l’attenzione del Papa sull’effetto nocivo che questa prassi – anche se probabilmente dettata da buone intenzioni pastorali – sta producendo nell’opinione pubblica cattolica non è offensivo nei riguardi del Papa e non nasce da presunzione o spirito di polemica o di divisione. Si tenga presente che la prassi dell’autorità ecclesiastica è fatta di decisioni prudenziali, che possono essere giudicate (da Dio) più o meno sagge e opportune, ma si possono sempre rettificare alla vista dei loro effetti. Ho detto che solo Dio è giudice di queste azioni dei suoi ministri. Ma anche ai fedeli può essere concesso di avere un’opinione (non la certezza assoluta, che in questa materia gli uomini non possono avere) sull’opportunità o l’utilità di tali scelte prudenziali dell’autorità ecclesiastica.

Io sono arrivato alla certezza (solo relativa, s’intende) che questa prassi di un magistero non dogmatico, “liquido”, riformista, anzi addirittura rivoluzionario non sia utile al vero bene delle anime, ossia al progresso della vita cristiana di tutti fedeli della Chiesa cattolica. La mia è un’opinione che mi sono formato innanzitutto sulla scorta della mia personale esperienza di amministrazione dei sacramenti, e poi raccogliendo anche le esperienze di quei miei confratelli sacerdoti che sono in crisi di coscienza su come intendere e come applicare le nuove direttive pastorali dellaAmoris laetitia.

6) L’iniziativa della “Correctio” è contraria al sensus ecclesiae? La correzione fraterna tra i discepoli di Cristo è comandata da Cristo stesso nel Vangelo. Io, come ogni cristiano, intendo il sensus ecclesiae come responsabilità nei confronti del Vangelo, che deve essere vissuto personalmente e professato comunitariamente. Inoltre, come sacerdote, sono e mi sento partecipe della missione apostolica del collegio episcopale (la «sollicitudo omnium ecclesiarum»), che vivo mantenendomi sempre in comunione di fede e di disciplina ecclesiastica con il mio ordinario diocesano, che è il Papa stesso, Vescovo di Roma (io appartengo infatti al clero romano). L’applicazione pratica di questa partecipazione, affettiva ed effettiva, alla missione apostolica del collegio episcopale è la preoccupazione per come gli insegnamenti e le direttive pastorali della Chiesa sono recepiti e vissuti, contribuendo positivamente all’edificazione del Popolo di Dio nella fede e nella carità.

Tale preoccupazione è oggi acuita dal gravissimo disorientamento pastorale provocato dall’interpretazione ideologica dei documenti del Vaticano II e anche del magistero post-conciliare secondo quella «ermeneutica della rottura» che fu denunciata a suo tempo da papa Benedetto e che consiste nella diffusa percezione che non c’è più una «dottrina della fede» ma solo programmi di riforma della Chiesa cattolica per omologarla alle altre religioni sulla base di una «etica  mondiale» patrocinata anche dalle ideologie politiche dominanti nel mondo (vedi la mia Introduzione teologica al libro di Danilo Quinto, Disorientamento pastorale, Leonardo da Vinci, Roma 2016). In tali circostanze ecclesiali, ho scritto recentemente sulla NBQ, ciascuno dei fedeli cattolici deve fare ciò che è alla sua portata, e quindi io faccio ciò che posso, per quello che mi sembra utile.

   


Il Papa: commenti a Amoris laetitia rispettabili ma sbagliati

September 28, 2017

Città del Vaticano, 28 set. (askanews) -

"Approfitto di questa domanda per dire una cosa che credo vada detta per giustizia, e anche per carità...". Papa Francesco ha affrontato le critiche alla sua esortazione apostolica sulla famiglia, Amoris laetitia, nel corso di un colloquio riservato avvenuto nel corso del suo recente viaggio in Colombia e pubblicato oggi dalla Civiltà cattolica. Francesco, come in ogni viaggio internazionale, ha incontrato i gesuiti locali ("Mi piace incontrare la 'setta'", ha scherzato all'inizio provocando una risata generale dei suoi "confratelli"). 

E, a conclusione di una risposta ad una domanda di un gesuita su che cosa egli si aspetta dalla riflessione filosofica e teologica in un Paese come il nostro e nella Chiesa in generale, Papa Bergoglio - si legge nel testo del colloquio pubblicato integralmente sull'ultimo numero del quindicinale dei gesuiti - ha parlato della Amoris laetitita, un documento che ha tra l'altro sollevato i dubbi (dubia, in latino) di quattro cardinali, divenuti due nel frattempo per la morte degli altri due, in particolare sul tema della comunione ai divorziati risposati. 

"Sento molti commenti - rispettabili, perché detti da figli di Dio, ma sbagliati - sull'Esortazione apostolica post-sinodale. Per capire l'Amoris laetitia bisogna leggerla da cima a fondo. A cominciare dal primo capitolo, per continuare col secondo e così via e riflettere. E leggere che cosa si è detto nel Sinodo. Una seconda cosa: alcuni sostengono che sotto l'Amoris laetitia non c'è una morale cattolica o, quantomeno, non è una morale sicura. Su questo voglio ribadire con chiarezza che la morale dell' Amoris laetitia è tomista, quella del grande Tommaso. Potete parlarne con un grande teologo, tra i migliori di oggi e tra i più maturi, il cardinal Schönborn. Questo voglio dirlo perché aiutiate le persone che credono che la morale sia pura casistica. Aiutatele a rendersi conto che il grande Tommaso possiede una grandissima ricchezza, capace ancora oggi di ispirarci. Ma in ginocchio, sempre in ginocchio...".


 OK! volendo dare ragione al Papa in questa "confidenza alla setta gesuitica", egli ribadisce senza alcun dubbio - così e interpellando san Tommaso d'Aquino - la morale e la dottrina cattolica.... orbene, perché allora non corregge egli stesso coloro che interpretano AL, dicendo che è sbagliato quanto dicono i 4 cardinali nei Dubia ma... non dice mai che sbagliano coloro che lo interpretano a rovescio, contro san Tommaso e contro il n. 1650 del Catechismo? Se AL va interpretata come san Tommaso d'Aquino insegna, non si vorrà mica dire che il santo Dottore della Chiesa sarebbe stato d'accordo nel dare la Comunione ai divorziati risposati.... eh! è il Catechismo che risponde con queste parole chiarissime:

1650 Oggi, in molti paesi, sono numerosi i cattolici che ricorrono al divorzio secondo le leggi civili e che contraggono civilmente una nuova unione. La Chiesa sostiene, per fedeltà alla parola di Gesù Cristo (« Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio contro di lei; se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio »: Mc 10,11-12), che non può riconoscere come valida una nuova unione, se era valido il primo matrimonio. Se i divorziati si sono risposati civilmente, essi si trovano in una situazione che oggettivamente contrasta con la Legge di Dio. Perciò essi non possono accedere alla Comunione eucaristica, per tutto il tempo che perdura tale situazione. Per lo stesso motivo non possono esercitare certe responsabilità ecclesiali. La riconciliazione mediante il sacramento della Penitenza non può essere accordata se non a coloro che si sono pentiti di aver violato il segno dell'Alleanza e della fedeltà a Cristo, e si sono impegnati a vivere in una completa continenza.



Se anche Parolin e Muller chiedono chiarimenti

Il cardinale Parolin con il Papa

di Riccardo Cascioli

«È importante dialogare anche all’interno della Chiesa». Se anche il segretario di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin, manda un segnale chiarissimo al Papa vuol dire che la tensione è proprio arrivata alle stelle. Ieri Parolin era a un convegno sull’Iraq organizzato dall’Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS), ma a margine del convegno ha rilasciato alcune brevi dichiarazioni su immigrazione e Amoris Laetitiache, aldilà dei toni molto concilianti, lo mettono in rotta di collisione con papa Francesco e soprattutto con il “cerchio magico” che spinge a rapidi cambiamenti dottrinali.


Sui migranti, pur negando che ci siano posizioni diverse, ha sottolineato che «Si può accogliere a braccia aperte con prudenza», con un chiaro riferimento alla campagna della Caritas Internationalis lanciata il giorno prima proprio da papa Francesco a favore dell’accoglienza degli immigrati e che ha come slogan “A braccia aperte”. Parolin ha anche aggiunto che pur essendo a favore di accoglienza e integrazione, «poi toccherà alla politica italiana decidere», prendendo quindi le distanze dalla forte campagna a favore dello ius soli in Italia che si sta facendo in Vaticano e alla CEI.

Ma il capitolo potenzialmente più esplosivo è quello che riguarda l’esortazione apostolica Amoris Laetitia. Dopo giorni di sbeffeggiamenti e insulti piovuti dai “guardiani della rivoluzione” contro i firmatari della “Correzione filiale” a papa Francesco, il Segretario di Stato vaticano ha invece chiamato al dialogo. Chiesto proprio di dare un parere sulla lettera firmata in prima istanza da 62 teologi, preti, studiosi che chiede al Papa di intervenire per porre un freno al propagarsi delle eresie derivate dalla Amoris Laetitia, il cardinale Parolin ha preso sostanzialmente le distanze dal Papa invitando appunto al dialogo: «Le persone che non sono d’accordo esprimono il loro dissenso ma su queste cose si deve ragionare, cercare di capirsi», ha aggiunto. Parole che vanno confrontate con l’atteggiamento di totale chiusura di papa Francesco, il quale ha snobbato qualsiasi richiesta di chiarimenti: non ha mai voluto rispondere ai Dubia, né ha mai accettato di ricevere i cardinali firmatari malgrado richieste precise in tal senso. E ovviamente non ha neanche risposto ai firmatari della Correzione filiale né ai tanti che in questi mesi hanno preso posizione su alcune derive facilitate dall’ambiguità di alcune parti della Amoris laetitia, in particolare quel capitolo VIII in cui si parla anche dei divorziati risposati. Anzi, chiunque abbia espresso perplessità o critiche ai passaggi che riguardano i divorziati risposati si è visto spesso punito, come è toccato recentemente al professore Josef Seifert, cacciato dall’Accademia Internazionale di Filosofia di Granada per aver firmato una lettera critica della Amoris Laetitia.

L’uscita di Parolin non passerà certo in silenzio, anche perché sembra collegarsi alla proposta fatta il giorno prima dal cardinale Gerhard Muller in una intervista rilasciata a Edward Pentin, della testata americana National Catholic Register.Affermando che la Chiesa non ha bisogno di «polemiche e polarizzazioni», ma casomai di «più dialogo e reciproca fiducia», l’ex prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede ha proposto di creare una commissione composta da alcuni cardinali, nominati dal papa, che discutano teologicamente sulle parti controverse dell’Amoris Laetitia con rappresentanti dei Dubia e della Correzione.

Cresce dunque la richiesta di chiarimenti di fronte a una situazione ecclesiale sempre più confusa. «Solo un cieco può negare che nella Chiesa esiste una grande confusione», aveva detto il cardinale Carlo Caffarra lo scorso gennaio. Confusione che però ci si ostina a negare dalle parti di Santa Marta. Ieri pomeriggio, con un tempismo a dir poco sospetto, padre Antonio Spadaro ha pubblicato sul sito della Civiltà Cattolica la trascrizione del dialogo che il Papa ha avuto con i gesuiti in Colombia, durante il suo recente viaggio.

Rispondendo a una domanda sulla teologia, papa Francesco ha voluto affrontare a modo suo le controversie su Amoris Laetitia. Ecco le parole usate, così come presentate dalla Civiltà Cattolica:

“Approfitto di questa domanda per dire una cosa che credo vada detta per giustizia, e anche per carità. Infatti, sento molti commenti – rispettabili, perché detti da figli di Dio, ma sbagliati – sull’Esortazione apostolica post-sinodale. Per capire l’Amoris laetitia bisogna leggerla da cima a fondo. A cominciare dal primo capitolo, per continuare col secondo e così via… e riflettere. E leggere che cosa si è detto nel Sinodo.
Una seconda cosa: alcuni sostengono che sotto l’Amoris laetitia non c’è una morale cattolica o, quantomeno, non è una morale sicura. Su questo voglio ribadire con chiarezza che la morale dell’ Amoris laetitia è tomista, quella del grande Tommaso. Potete parlarne con un grande teologo, tra i migliori di oggi e tra i più maturi, il cardinal Schönborn. Questo voglio dirlo perché aiutiate le persone che credono che la morale sia pura casistica. Aiutatele a rendersi conto che il grande Tommaso possiede una grandissima ricchezza, capace ancora oggi di ispirarci. Ma in ginocchio, sempre in ginocchio…”.

In sintesi il Papa – peraltro in una chiacchierata con i suoi confratelli - dice che i rilievi critici sono sbagliati, ma invece di spiegare il perché dice che la Amoris Laetitia va letta tutta. Poi, quanto alla morale, dice che tutto poggia sul “vero” San Tommaso, ma senza dare ragione di questa affermazione. Anzi, per le ragioni dice esplicitamente di rivolgersi al cardinale Schomborn, il quale – come abbiamo scritto nei giorni scorsi – negli ultimi tempi ha rinnegato tutto quanto aveva sostenuto nei tanti anni precedenti.

Insomma, quella che sicuramente qualcuno spaccerà per la risposta del Papa ai Dubia, in realtà non risponde a nulla. E soprattutto dà la sensazione di affermazioni lontane dalla realtà che oggi si vive nella Chiesa.

Si può però sperare che dopo Parolin e Muller altri cardinali e vescovi di peso escano allo scoperto per chiedere al Papa di riaffermare con chiarezza la verità sul matrimonio e sull’Eucarestia.


[Modificato da Caterina63 29/09/2017 08:44]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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30/09/2017 10:25
 
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  • CRISI DELLA CHIESA


La regola di Burke: Maria, catechismo e martirio






Come vivere da buon cattolico nell'attuale situazione della Chiesa. È questo il tema di un importante intervento del cardinale Raymond L. Burke: «Viviamo nei tempi più travagliati della storia della Chiesa, l'eresia dilaga e la sequela al Papa non è compresa. È vicina l'apocalisse? Può essere, ma quello che importa è altro: la conoscenza del catechismo, la devozione a Maria e ai santi, la preghiera per papa Francesco e l'accettazione della sofferenza».

- IL TESTO INTEGRALE DEL DISCORSO

Come può un semplice cattolico vivere la propria fede in una situazione di crescente confusione quale quella attuale? È la domanda cui ha risposto il cardinale Raymond Leo Burke in una lezione magistrale svolta a Louisville (Kentucky) lo scorso 21 luglio, ma che vale la pena riprendere per la sua estrema attualità (QUI IL TESTO INTEGRALE). Senza fare sconti sulla verità dei pericoli presenti, Burke ha spiegato come sfuggire lo spirito mondano dello scisma, fino a chiedere la prontezza di donare la vita per la Chiesa.

«È un momento - ha cominciato il cardinale - che può semplicemente essere descritto come una confusione, una divisione e un errore». Poi ha parlato di un giovane sacerdote che lo aveva avvicinato chiedendogli: «Cardinale, pensa che siamo giunti alla fine dei tempi?». «L’espressione sul suo volto - ha detto Burke - mi ha fatto comprendere la sincerità della sua domanda e la preoccupazione profonda che lo animava. Non ho quindi esitato a rispondere: “Potrebbe essere”». Perché «viviamo nei tempi più travagliati del mondo ma anche della Chiesa». Poi Burke ha citato l’ideologia gender dilagante e distruttiva dell’uomo, la negazione della libertà religiosa per vietare ogni discorso pubblico su Dio, la contraccezione, l’eutanasia, l’indottrinamento dei bambini. Nello stesso tempo la ricerca spregiudicata «del piacere e del potere mentre il ruolo della legge, dettato dalla giustizia, viene calpestato», per cui vige «una legittima paura di uno scontro globale», perché «la situazione attuale del mondo non può proseguire se non portando ad un annientamento totale».

Per questo, ha continuato Burke, «il mondo mai come oggi ha avuto così bisogno dell’insegnamento solido e della direzione che Nostro Signore... vuole dare al mondo attraverso la Chiesa». Ma non si può non constatare che, «in modo diabolico, la confusione e l’errore…sono entrati anche anche nella Chiesa», che «non sembra conoscere più la sua identità e missione» né «avere la chiarezza e il coraggio di annunciare il Vangelo della Vita e del Divino Amore».

Quindi il ricordo del cardinal Meisner morto per un attacco di cuore come poi sarebbe deceduto anche il cardinal Caffarra: «So quanto ha sofferto per la continua e crescente confusione circa l’insegnamento della Chiesa all’interno della Chiesa stessa. Chiaramente lui aveva espresso a papa Benedetto XVI le stesse preoccupazioni, preoccupazioni che parevano comuni ad entrambi, mentre allo stesso tempo riaffermava, come la nostra fede ci insegna, la sua fiducia in Nostro Signore che ha promesso di rimanere nel Suo Corpo Mistico, “tutti i giorni, fino alla fine del mondo…" Quando io stesso parlai l’ultima volta con il cardinal Meisner a Colonia, il 4 marzo di quest’anno, era sereno ma, nello stesso tempo, mi espresse la sua determinazione a continuare la battaglia per Cristo e per le verità che Lui ci insegna, senza interruzioni, attraverso la Tradizione Apostolica». 

Purtroppo, ha proseguito il cardinale, «per diverse ragioni molti sacerdoti stanno in silenzio di fronte alla situazione in cui si trova la Chiesa, oppure abbandonano la chiarezza dell’insegnamento della Chiesa, scegliendo la confusione e l’errore». Inoltre, «l’approvazione dei media secolarizzati è per me un segno che la Chiesa sta fallendo miseramente nella sua testimonianza chiara e coraggiosa per la salvezza del mondo». Senza dimenticare che i media dipingono «coloro che parlano di quello che la Chiesa ha sempre insegnato e praticato» come «i nemici del Papa». Quindi Burke ha spiegato che cosa significhi davvero seguire il Pontefice: «La pienezza del potere (plenitudo potestatis) essenziale all’esercizio dell’ufficio del successore di San Pietro è dipinta falsamente come un potere assoluto, tradendo così il Primato del successore di san Pietro», perché la pienezza del potere «serve precisamente per proteggerlo dal pensiero di tipo mondano e relativista che conduce alla confusione e alla divisione».

Purtroppo però, «riguardo alle dichiarazioni di papa Francesco, esiste una comprensione popolarmente sviluppata per cui ogni sua esternazione debba essere accettata come insegnamento papale o magisteriale…La questione è complicata, perché papa Francesco sceglie regolarmente di parlare in maniera colloquiale. Motivo per cui, quando qualcuno pone le sue osservazioni all’interno del contesto proprio dell’insegnamento e della pratica della Chiesa, può essere accusato di parlare contro il Santo Padre…Come risultato, si sarebbe tentati di rimanere in silenzio o di provare a spiegare dottrinalmente un linguaggio che confonde o persino contraddice la dottrina».

Di seguito, la spiegazione sul fatto che occorre «distinguere, come la Chiesa ha sempre fatto, le parole dell’uomo che è il Papa e le parole del Papa come vicario di Cristo in terra. Nel Medioevo, la Chiesa ha parlato dei due corpi del Papa: il corpo dell’uomo e il corpo del Vicario di Cristo…Attualmente, la Chiesa non era abituata ad un Pontefice Romano che parlasse pubblicamente in maniera colloquiale. Infatti, è sempre stata usata una grande prudenza, cosicché ogni parola pubblica del Papa fosse chiaramente in accordo con il Magistero». Papa Francesco, invece, «ha scelto di parlare spesso nel suo primo corpo, il corpo dell’uomo che è il Papa. Infatti, anche nei documenti che, in passato, rappresentavano un insegnamento più solenne, lui stesso ha detto chiaramente che non sta offrendo un insegnamento magisteriale ma il suo pensiero personale. Ma coloro che sono abituati ad una modalità differente di parlare del Papa, vogliono rendere ogni sua dichiarazione parte del Magistero». Anche se «ciò è semplicemente sbagliato e dannoso per la Chiesa».

Dire tutto questo non è «un atto di inimicizia nei confronti di papa Francesco». Al contrario, «senza questa distinzione perderemmo facilmente il rispetto per il papato o saremmo portati a pensare che, se non siamo d’accordo con le opinioni personali del Pontefice romano, allora dovremmo rompere la comunione con la Chiesa». Dunque, «mentre manteniamo fermamente la fede cattolica in ciò che concerne l’ufficio petrino, non possiamo cadere nell’idolatria del papato che renderebbe dottrina ogni parola pronunciata dal papa, anche se fosse interpretata in maniera contraria alla parola di Cristo stesso, ad esempio, riguardo all’indissolubilità del matrimonio (Mt 19, 9). Piuttosto, con il successore di Pietro, dovremmo sforzarci di comprendere sempre più a fondo la parola di Cristo, in modo da viverla sempre più perfettamente».

Poi Burke ha cominciato a parlare dell’antidoto alla confusione che è la devozione mariana, il Catechismo e il martirio. «Quale deve essere la nostra risposta al momento estremamente difficile in cui ci troviamo a vivere, momento che pare realisticamente apocalittico? Deve essere la risposta della fede, la fede in Nostro Signore Gesù Cristo che è vivo per noi nella Chiesa e che mai fallirà nell’insegnarci, santificarci e guidarci nella Chiesa, come anche Lui ha affermato, di rimanere con noi sempre fino al Suo ritorno». Ecco perché, «dobbiamo studiare più attentamente l’insegnamento della Fede contenuto nel Catechismo della Chiesa Cattolica ed essere preparati a difendere questi insegnamenti contro le falsità». Inoltre, «non dobbiamo mancare nel riconoscere anche i molti segni edificanti di fedeltà a Cristo nella Chiesa. Penso a molte belle case cattoliche…a molti bravi e saldi sacerdoti e vescovi che vivono la fede e ne danno esempio nella loro vita quotidiana».

Infine, «per rimanere completamente uniti a Cristo…dobbiamo ricorrere alla Beata Vergine Maria, la Madre di Cristo e la Madre della Chiesa…lei continua ad essere il canale di tutte le grazie che, senza misura e senza sosta sgorgano dal Cuore glorioso e trafitto del Suo Divin Figlio». Bisogna poi «invocare frequentemente durante il giorno l’intercessione di san Michele Arcangelo», perché «c’è un’azione decisamente diabolica nella così dilagante confusione, divisione, errore nella Chiesa». C’è poi «San Giuseppe, il patrono della Chiesa universale. Dovremmo pregarlo ogni giorno per la pace nella Chiesa…Non senza ragioni, uno dei titoli di san Giuseppe è “Terrore dei demoni"».

«La Beata Vergine Maria ci condurrà allo stesso modo a cercare l’intercessione di san Pietro per il suo successore, papa Francesco…Dovremmo anche invocare l’intercessione dei grandi papi santi che hanno guidato la Chiesa in tempi difficili». E, «in modo particolare, dovremmo pregare per i cardinali della Chiesa, che sono i principali consiglieri del Pontefice romano», perché «in tempi simili, il servizio dei cardinali richiede loro una particolare chiarezza e coraggio e la volontà di accettare qualsiasi sofferenza sia richiesta per essere fedeli a Cristo e alla sua Chiesa, “anche fino a versare il sangue”». 

Poi il cardinale ha chiarito che ciò non significa ignorare «la gravità della situazione», ma non «lasciar spazio alla disperazione mondana…La nostra sicurezza è in Cristo. Sì, dobbiamo fare tutto ciò che è in nostro potere per difendere la nostra fede cattolica in ogni circostanza…ma dobbiamo sapere che la vittoria appartiene ultimamente e unicamente a Cristo». Infine, «non ci può essere spazio…per lo scisma che è sempre e in ogni luogo sbagliato», ma «dovremmo essere pronti ad accettare qualsiasi sofferenza possa venire per la salvezza di Cristo e del Suo Corpo Mistico, la nostra Madre Chiesa…accettare di essere ridicolizzati, incompresi, perseguitati, esiliati e anche di morire, per rimanere uno con Cristo nella Chiesa sotto la protezione materna della beata Vergine Maria». Anche perché «lo scisma è frutto di un modo di pensare mondano, per cui si crede che la Chiesa sia nelle nostre mani».

Poi, data la particolare natura di questi pericoli, «dobbiamo salvaguardare specialmente la nostra fede nell’ufficio petrino e il nostro amore per il successore di san Pietro, papa Francesco…Rinnoviamo ogni giorno la nostra fede nella Chiesa e nell’ufficio, divinamente elargito, del Pontifice romano e preghiamo in maniera fervente per il Pontefice romano che possa servire Cristo in tutta obbedienza e generosità». Ecco perché, ha concluso Burke,«non dovremmo preoccuparci se questi sono momenti apocalittici o meno, ma di rimanere fedeli alla fede, generosi e coraggiosi nel servire Cristo e il Suo Corpo Mistico, la Chiesa. Infatti sappiamo che il capitolo finale della storia di questi tempi è già scritto. È la storia della vittoria di Cristo sul peccato e sul suo frutto più mortale, la dannazione eterna. Ci resta da scrivere, insieme a Cristo, i capitoli intermedi attraverso la nostra fedeltà, coraggio e generosità come Suoi veri collaboratori, come veri soldati di Cristo».




"La verità della fede in pericolo". E firma la correzione a Bergoglio

La Chiesa vive un periodo di forte dibattito interno. Il professor Strumia, firmatario della "correzione filiale" e teologo di fama internazionale, spiega il perché

La Chiesa vive un periodo di forte dibattito interno. Don Alberto Strumia è stato docente ordinario di fisica-matematica presso le università di Bologna e Bari ed è attualmente docente invitato alla facoltà teologica dell'Emilia Romagna.

 

 
 
Ma è anche uno dei sacerdoti che ha firmato la "correzione filiale" su Amoris Laetitia, l'esortazione apostolica del Papa che tanto sta facendo discutere il mondo cattolico e non. La firma di don Strumia ha suscitato scalpore, essendogli pacificamente riconosciuta una competenza di carattere internazionale tanto in materia teologica quanto in ambito scientifico.

Professor Strumia, perché ha firmato la "correzione filiale" su Amoris Laetitia?

Perché ho ritenuto doveroso farlo, pur non avendo mai immaginato prima di ora che si sarebbe dovuti arrivare ad una decisione così estrema e dolorosa. Osare di indirizzare una correzione dottrinale al Papa lo si può e lo si deve fare solo quando è in pericolo la verità della fede e quindi la salvezza degli appartenenti al popolo di Dio. Il realismo dinanzi agli accadimenti non mi fa illudere che la correzione verrà presa seriamente in considerazione, dal momento che neppure i dubia sollevati da quattro Cardinali hanno ricevuto finora risposta, ma se siamo in tanti a sollecitare il chiarimento c'è una maggiore possibilità anche a causa della visibilità pubblica favorita dalla mediaticità dei nostri giorni. Sono in molti, nella Chiesa, a sentirsi soffocati da un clima negativo nel quale l'abuso del potere viene non di rado a sostituire l'autorevolezza.

In chiave dottrinale, può un sacerdote contraddire il Papa?

La "dottrina della Chiesa" non è inventata dai teologi e neppure dai Papi, ma è fondata sulla Scrittura e radicata nella tradizione della Chiesa. Il Papa è al servizio, come custode e garante di questa continuità e non può spezzarla neppure velatamente, lasciando intendere, con formulazioni ambigue, che oggi si possa credere e fare il contrario di ciò che è stato insegnato finora, dal Magistero, su questioni essenziali come la dottrina dei sacramenti o la morale familiare, con la motivazione che i tempi sono cambiati e il mondo esige un adeguamento. Per questo è un dovere di carità, che ha come scopo la "salvezza delle anime", come si diceva un tempo, e la difesa della stessa dignità del soglio di Pietro e di colui che lo occupa, mettere con il massimo rispetto in risalto queste ambiguità.

Questo dibattito teologico è strumentalizzato? C'è uno scambio meramente dottrinale o sta emergendo nella dialettica una divisione già esistente nella Chiesa?

E' evidente che oggi emerge, nella Chiesa, a livello di vertice, ciò che da cinquant'anni si è innescato dalla base fino a più in alto. La liturgia è divenuta sempre meno sacra e sempre più incentrata sull'inventiva più o meno istrionica dei celebranti e sul protagonismo di animatori sempre più preoccupati di esibire se stessi che di esaltare la centralità del Sacrificio di Cristo, che forse non comprendono nemmeno più. Le omelie sono diventate melense e sentimentali, o comizi politici, e il canto sempre meno liturgico. Chi avrebbe dovuto correggere, si è messo talvolta ad imitare queste stesse tendenze.

Una delle critiche che i tradizionalisti muovono al Pontefice è relativa ad una presunta svolta modernista. E' così?

Intanto bisognerebbe smettere di vedere tutto ciò che sta accadendo nella Chiesa come una contrapposizione tra correnti: "i tradizionalisti" e i "progressisti". La Chiesa non è un partito e le questioni fondamentali della dottrina e della morale non sono riducibili ad "opinioni" di una parte o di un'altra. Qui si tratta di essere cattolici o non di esserlo, cattolici o protestanti, cattolici o gnostici, cattolici o sostenitori di "tutte le religioni sono equivalenti", tanto la "misericordia" (!), autorizza a fare quello che si vuole e non c'è bisogno di nessuna conversione, se non quella che aderisce al "pensiero unico" che crede nel "nuovo ordine mondiale". Come dicevo prima si tratta di una tendenza di matrice modernista e protestantizzante che è in atto da una cinquantina d'anni e che ora è venuta allo scoperto del tutto in questi ultimi anni. Era un fuoco sotto la cenere che ora è stato rinvigorito.

Ma esiste davvero una contrapposizione tra "conservatori" e "progressisti"? Insomma, la parola di Dio non è una sola? Da laici è difficile comprendere queste differenze di visione...

La divisione interna alla Chiesa è un dato di fatto che non si può e non si deve negare: se non ci fosse nessuna divisione, oggi anche sulle questioni fondamentali, sulla dottrina e sul modo di applicarla nella pratica pastorale, non saremmo qui a parlarne. Ma come ho detto è scorretto parlare di una contrapposizione tra "progressisti" e "conservatori". Se il problema fosse solo quello di due linee di tendenza "opinabili" saremmo di fronte ad un pluralismo di scuola che potrebbe essere anche utile alla ricerca teologica, e uno stimolo a gareggiare nell'intraprendere opere culturali e caritative. Ma oggi non è così: quando le divergenze vanno ad intaccare i fondamenti della dottrina, allora non siamo più di fronte a due correnti di pensiero, a due opinioni ammissibili, ma a due dottrine contrapposte, a due chiese separate, di fatto, anche se non giuridicamente. Come due "separati in casa".

Qual è il rapporto della linea dottrinale di questo Pontificato con Martin Lutero e la dottrina protestante?

Si direbbe che Lutero è guardato come un profeta e come un santo, che ha capito con largo anticipo ciò che la Chiesa cattolica non ha compreso finora, condannandosi ad un ritardo storico che sarebbe giunta l'ora di risanare. Eppure, la biografia di Lutero è tutt'altro che presentabile come un capitolo di "agiografia!” La Chiesa si è lentamente, ma inesorabilmente protestantizzata... E il "cavallo di Troia" per far avanzare questo processo è divenuto quello dell' "ambiguità", nelle parole e nei gesti, insieme ad una concezione di "misericordia senza pentimento nè conversione" che ricorda tanto il pecca fortiter et crede fortius ( pecca fortemente e credi ancor più fortemente) di luterana memoria. E di fronte a tutto questo come non si poteva non muovere una "correzione filiale" che mettesse allo scoperto la gravità della situazione?




[Modificato da Caterina63 30/09/2017 23:50]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Quando San Tommaso disse: “Amoris laetitia che…?”

di don Alfredo Morselli

Et non tradat eum in animam inmicorum eius… quando si prega per il Pontefice, la Chiesa chiede a Dio di non consegnarlo all'anima dei suoi nemici, ovvero di non farlo cadere nel loro stesso giro mentale, e che la mens del Papa non sia secondo i loro desideri.
La specie più insidiosa dei nemici è costituita poi dai falsi fratelli (cf. 2 Cor 11,26); e tra i falsi fratelli del Papa ci sono senz'altro quei ghost-writer che hanno contribuito alla redazione di Amoris laetitia "copia-incollando" maldestramente alcune citazioni di San Tommaso [1], e quei consiglieri che hanno indotto lo stesso Pontefice a pensare che Amoris laetitia sia un testo tomista.

Non si spiegano altrimenti le parole del Papa, pronunciate nel corso di un incontro privato con alcuni gesuiti colombiani il 10-9-2017, e riportate dal sito WEB della Civilità Cattolica:"…sento molti commenti – rispettabili, perché detti da figli di Dio, ma sbagliati – sull’Esortazione apostolica post-sinodale. Per capire l’Amoris laetitia bisogna leggerla da cima a fondo. A cominciare dal primo capitolo, per continuare col secondo e così via… e riflettere. E leggere che cosa si è detto nel Sinodo. Una seconda cosa: alcuni sostengono che sotto l’Amoris laetitia non c’è una morale cattolica o, quantomeno, non è una morale sicura. Su questo voglio ribadire con chiarezza che la morale dell’Amoris laetitia è tomista, quella del grande Tommaso. Potete parlarne con un grande teologo, tra i migliori di oggi e tra i più maturi, il cardinal Schönborn.

Questo voglio dirlo perché aiutiate le persone che credono che la morale sia pura casistica. Aiutatele a rendersi conto che il grande Tommaso possiede una grandissima ricchezza, capace ancora oggi di ispirarci. Ma in ginocchio, sempre in ginocchio…" [2]. In precedenza il Papa aveva detto – rispondendo a una domanda "che cosa si aspetta dalla riflessione filosofica e teologica in un Paese come il nostro e nella Chiesa in generale" –, che questa non deve essere…"…una riflessione di laboratorio. Infatti, abbiamo visto che danno ha finito col fare la grande e brillante scolastica di Tommaso quando è andata decadendo, decadendo, decadendo…: è diventata una scolastica da manuale, senza vita, mera idea, e si è tradotta in una proposta pastorale casuistica… non si può fare filosofia con la tavola logaritmica, che peraltro è ormai in disuso […] Un uomo che non prega, una donna che non prega, non può essere teologo o teologa. Sarà il volume del Denzinger fatto persona, saprà tutte le dottrine esistenti o possibili, ma non farà teologia.

"Indubbiamente la  scolastica ha visto momenti di fioritura e momenti di decadenza, ma non si possono attribuire alla scolastica decadente i dubbi su Amoris laetitia; forse è scolastica decadente anche Veritatis Splendor? San Giovanni Paolo II, che si inginocchiava davanti al SS. Sacramento, che stava in ginocchio mentre riceveva la Santa Comunione, che scriveva nella sua Cappella privata inginocchiato (più teologia in ginocchio di così…), insegnava:"Ci si può, in effetti, chiedere se la confusione fra la “gradualità della legge” e la “legge della gradualità” non abbia la sua spiegazione anche in una scarsa stima per la legge di Dio. Si ritiene che essa non sia adatta per ogni uomo, per ogni situazione, e si vuole perciò sostituirvi un ordine diverso da quello divino […] Lo Spirito, donato ai credenti, scrive nel nostro cuore la legge di Dio così che questa non è solo intimata dall’esterno, ma è anche e soprattutto donata all’interno.

Ritenere che esistano situazioni nelle quali non sia di fatto possibile agli sposi essere fedeli a tutte le esigenze della verità dell’amore coniugale equivale a dimenticare questo avvenimento di grazia che caratterizza la nuova alleanza: la grazia dello Spirito Santo rende possibile ciò che all’uomo, lasciato alle sole sue forze, non è possibile […]Ogni battezzato, quindi anche gli sposi, è chiamato alla santità, come ha insegnato il Vaticano II […] Tutti, coniugi compresi, siamo chiamati alla santità, ed è vocazione, questa, che può esigere anche l’eroismo. Non lo si deve dimenticare." [3].

Quindi il dilemma non è scolastica decadente vs Amoris laetitia, non è Denzinger vs teologia in ginocchio! Questi sono sofismi!La vera alternativa, il vero irriducibile aut aut, è tra la radicalizzazione del "caso per caso" la legge di Dio "adatta per ogni uomo, per ogni situazione"; tra "un ideale teologico del matrimonio troppo astratto, quasi artificiosamente costruito, lontano dalla situazione concreta e dalle effettive possibilità delle famiglie così come sono" (Amoris laetitia 36) e "Tutti, coniugi compresi, siamo chiamati alla santità, ed è vocazione, questa, che può esigere anche l’eroismo. Non lo si deve dimenticare (San Giovanni Paolo II)"

Ma adesso veniamo a San Tommaso: la difesa del tomismo di Amoris laetitia è affidata dal Papa al Card. Schönborn: indubbiamente i meriti teologici del porporato austriaco sono grandi, ma  diverse sua affermazioni negli ultimi tempi sono molto discutibili e non possono certo essere fatte passare come coerenti con la teologia tomista [4].In realtà, in Amoris laetitia, l'Aquinate è stato strapazzato, nel senso inteso da Sant'Alfonso Maria de' Liguori quando parlava di Officio e S. Massa strapazzati: una cosa sacra rovinata se trattata non in modo confacente.
E adesso vado non a provare le accuse contro il presunto tomismo di Amoris laetitia, ma vorrei compiere al Papa il servizio di mostrargli le ferite di un testo: vorrei che il Santo Padre amatissimo lo rivedesse e lo curasse - in quell'ospedale da campo che prima di tutto è il Suo cuore - alla luce dell'insegnamento, impartito in ginocchio in tutti i sensi, dei suoi predecessori.

Riporto qui quattro riferimenti dell'esortazione all'Aquinate, e poi vedremo se i testi citati suffragano o invece piuttosto contraddicono le tesi propugnate in Amoris laetitia [5].

I testi che prenderò in esame sono:
  1. Summa Theologiae I-II, q. 94, art. 4, citato al § 304.
  2. Sententia libri Ethicorum, VI, 6., citato nella nota 364, sempre nel § 304.
  3. Summa Theologiae I-II, q. 65, a. 3, ad 2, citato al § 301.
  4. De malo, q. 2, a. 2., citato al § 301.

1. Summa Theologiae I-II, q. 94, art. 4. 
In Amoris Laetitia § 304 viene affermato:"È meschino soffermarsi a considerare solo se l'agire di una persona risponda o meno a una legge o a una norma generale, perché questo non basta a discernere e ad assicurare una piena fedeltà a Dio nell'esistenza concreta di un essere umano".A sostegno di questa affermazione viene portato il suddetto testo di S. Tommaso:"Prego caldamente che ricordiamo sempre ciò che insegna san Tommaso d'Aquino e che impariamo ad assimilarlo nel discernimento pastorale: «Sebbene nelle cose generali vi sia una certa necessità, quanto più si scende alle cose particolari, tanto più si trova indeterminazione. […] In campo pratico non è uguale per tutti la verità o norma pratica rispetto al particolare, ma soltanto rispetto a ciò che è generale; e anche presso quelli che accettano nei casi particolari una stessa norma pratica, questa non è ugualmente conosciuta da tutti. […] 
E tanto più aumenta l'indeterminazione quanto più si scende nel particolare».
 [S. Th., I-II, q. 94, art. 4. ]

"Poste queste premesse il Papa conclude:"È vero che le norme generali presentano un bene che non si deve mai disattendere né trascurare, ma nella loro formulazione non possono abbracciare assolutamente tutte le situazioni particolari".Il succitato testo dell'Aquinate tuttavia non si presta a dimostrare che non esistano leggi valide in ogni circostanza, quali le leggi divine negative, obbliganti semper et pro semper, in tutte le situazioni particolari. Né tanto meno lo stesso testo può attribuire allo stesso S. Tommaso questa opinione.

A) Al contrario, abbiamo una serie di testi in cui appare chiaro che San Tommaso dichiara l'esistenza di azioni intrinsecamente cattive [6]:1)   "…come la forma naturale è nella materia per l'agente, così la forma della bontà è in ciò che si vuole per il fine; e come la materia non proporzionata alla forma, pur sopraggiungendo un debito agente, mai ne consegue la forma, come la pietra non può diventare carne per la digestione; così anche ciò che è voluto non proporzionato alla bontà, quantunque sia buono il fine, mai riceve la bontàe tali sono le azioni in sé cattive, come il rubare e così via; a meno che la deformità non possa essere tolta per l'autorità divina, come sopra è stato detto" (Super Sent., lib. 1 d. 48 q. 1 a. 2 ad 5) [7] 2)  

 "La buona intenzione non è sufficiente a determinare bontà di un atto: poiché un atto può essere in sé cattivo, e in nessun modo può diventare buono" (Super Sent., lib. 2 d. 40 q. 1 a. 2 co.) [8]. 3) "…ciò che è male in tutto il suo genere, è assolutamente cattivo, e non può diventare buono" (Super Sent., lib. 2 d. 36 q. 1 a. 5 ad 2) [9].B) Altri testi di S. Tommaso applicano questi princípi ai casi dell'adulterio e della fornicazione:4) "Vi sono alcune [azioni umane] che hanno una deformità annessa inseparabilmente, come la fornicazione, l'adulterio, e altre cose di questo genere, che non possono essere compiute moralmente bene in alcun modo" (Quodlibet IX, q. 7 a. 2 co.) [10]. 5) "…alcune passioni o azioni, [e si capisce] dal loro stesso nome, implicano malizia: come, tra le passioni, la malvagità, l'inverecondia, l'invidia e, tra le azioni, l'adulterio, il furto, l'omicidio. 

Tutte queste cose e altre simili sono cattive in sé e non solo nel loro eccesso o difetto; perciò riguardo a queste cose, non può accadere che qualcuno si comporti rettamente in qualunque modo compia queste azioni, ma sempre, facendole, pecca. Nello spiegare questo aggiunge che bene o non bene non toccano queste azioni per il fatto che una persona compia uno di questi atti, come nel caso dell'adulterio, come è opportuno o quando è opportuno [a seconda delle circostanze], cosicché diventi bene, e sia male quando non fatto sconvenientemente. In sé, infatti, uno qualunque di questi atti comporta ciò che ripugna a ciò che si deve" (Sententia Ethic., lib. 2 l. 7 n. 11) [11]. 6) "…l'atto di lussuria è in sé peccato mortale, perché ha una materia indebita, che ripugna alla carità" (De malo, q. 15 a. 2 ad 6) [12]. 7) "…essendo contro la legge naturale avere rapporti coniugali con una donna che non è la propria moglie, in nessun tempo poteva essere lecito, neppure per una dispensa"(Super Sent., lib. 4 d. 33 q. 1 a. 3 qc. 3 co., S. Th., Suppl. q. 65, a. 5 co.) [13].C) 

Altri testi dove i suddetti princípî vengono applicati a varie specie di atti intrinsecamente cattivi (uccisione dell'innocente, furto, spergiuro, menzogna):8) "in nessun modo è lecito uccidere l'innocente" (S. Th., IIª-IIae q. 64 a. 6 co.) [14].9) "…il suicidio è sempre peccato mortale, essendo incompatibile con la legge naturale e con la carità" (S. Th., IIª-IIae q. 64 a. 5 co.) [15]. 10) "…è evidente che qualsiasi furto è peccato" (S. Th., IIª-IIae q. 66 a. 5 co.) [16]. 11) "La falsa testimonianza implica una triplice deformità. Primo, per lo spergiuro: poiché non si ammettono testimoni senza giuramento. E da questo lato la falsa testimonianza è sempre peccato mortale." (S. Th., IIª-IIae q. 70 a. 4 co.) [17].  12)

"In nessun modo può essere buono e lecito ciò che è cattivo nel suo genere: poiché la bontà richiede il concorso ordinato di tutti gli elementi; infatti "il bene deriva dal concorso integrale delle cause, il male invece da ogni singolo difetto", come scrive Dionigi. Ora, la menzogna è cattiva nel suo genere. Essa infatti è un'azione che si esercita su una materia sconveniente: poiché le parole, essendo per natura espressioni del pensiero, è cosa innaturale e sconveniente che uno esprima con le parole quello che non pensa. Ecco perché il Filosofo insegna, che "la menzogna è per se stessa cattiva e riprovevole: la verità invece è cosa buona e lodevole". Dunque la bugia è sempre peccato, come anche S. Agostino afferma" (S. Th., IIª-IIae q. 110 a. 3 co.) [18].D) Altri testi dove si afferma che tutti facilmente e immediatamente possono valutare correttamente le azioni intrinsecamente cattive:13) "…i precetti del decalogo sono stati consegnati immediatamente da Dio al popolo; perciò sono consegnati in quella forma come sono manifesti alla ragione naturale di qualunque uomo, anche di bassa condizione. Chiunque poi immediatamente può cogliere, tramite la ragione naturale, che l'adulterio è peccato: e pertanto tra i precetti del decalogo l'adulterio è vietato." (De malo, q. 15 a. 2 ad 3) [19]. 14) "Nelle facoltà operative, ci sono certi principi conosciuti naturalmente quasi indimostrabili e prossimi ad esse, come bisogna evitare il malenon bisogna nuocere ingiustamentenon rubare e simili" (Sententia Ethic., lib. 5 l. 12 n. 3) [20]. 15)

"Ma come ogni giudizio della ragione speculativa deriva dalla conoscenza naturale dei primi princípi, così ogni giudizio della ragione pratica deriva, come abbiamo visto, da alcuni principi noti anch'essi per natura. Da questi però si procede in vari modi nel formulare i vari giudizi. Infatti nelle azioni umane ci sono delle cose talmente chiare, che si possono approvare o disapprovare, immediatamente, in base ai suddetti principi universali.[…] Infatti ci sono alcune cose che la ragione naturale di qualsiasi uomo giudica subito e direttamente come da farsi o da non farsi; tali, p. es., sono i precetti: "Onora il padre e la madre", "Non ammazzare", "Non rubare". E codesti precetti appartengono in senso assoluto alla legge naturale." (S. Th., Iª-IIae q. 100 a. 1 co.) [21].In base a quanto detto, non si può invocare San Tommaso per affermare universalmente che "le norme generali … nella loro formulazione non possono abbracciare assolutamente tutte le situazioni particolari" (AL 304); infatti, secondo l'Aquinate, esistono leggi divine negative, obbliganti semper et pro semper, in tutte le situazioni particolari. E perciò giustamente San Giovanni Paolo II insegnava che si spiega con una "scarsa stima per la legge di Dio" ritenere "che essa non sia adatta per ogni uomo, per ogni situazione, e si vuole perciò sostituirvi un ordine diverso da quello divino" [22].


2. Sententia libri Ethicorum, VI, 6.
A sostegno di quanto affermato nello stesso § 304 di Amoris Laetitia, viene riportato, alla nota (348), un altro testo dell'Aquinate:"Riferendosi alla conoscenza generale della norma e alla conoscenza particolare del discernimento pratico, san Tommaso arriva a dire che «se non vi è che una sola delle due conoscenze, è preferibile che questa sia la conoscenza della realtà particolare, che si avvicina maggiormente all'agire» (Sententia libri Ethicorum, VI, 6 [ed. Leonina, t. XLVII, 354])".Questo testo sembra essere citato fuori luogo, in quanto qui San Tommaso non si riferisce assolutamente alla "conoscenza generale della norma" morale, ma solo alla prudenza pratica.

Esaminiamo la frase in questione in un contesto più ampio:"Infine, dove leggiamo Né, infatti. la prudenza ecc. (1141 b 14) [Aristotele] illustra un concetto che aveva formulato, fornendo la ragione per cui la prudenza verte su quanto si può realizzare.
In effetti, la prudenza non si limita ad analizzare gli esseri universali nei quali non c'è posto per l'azione, ma occorre che conosca anche i casi particolari dato che essa è una virtù attiva, vale a dire è il principio per cui si agisce, e l'azione vene sui singoli enti.
È questo il motivo per cui alcuni individui i quali non sono fomiti della scienza degli universali sono più attivi riguardo a ceni casi particolari: p. es., se un medico sa che le carni leggere sono facilmente digeribili e sane, ma ignora in realtà quali siano in realtà le carni leggere, non potrà dare la salute: invece, un individuo che sappia che le carni dei volatili sono leggere e sane sarà maggiormente in grado di produrre la salute.

Quindi, acquisito che la prudenza è la ragione attiva, occorre che l'uomo prudente sia fornito della conoscenza di entrambi gli ordini di cose, vale a dire degli universali e dei particolari: oppure, se uno può conoscere soltanto uno dei due ordini di cose, deve possedere preferibilmente questa seconda disciplina, cioè la conoscenza dei particolari per il fatto che essi sono più vicini all'azione" [23].Qui S. Tommaso non parla di discernimento morale dell'azione, ma di prudenza pratica (altra cosa è la coscienza morale, altra cosa la prudenza): non bisogna avere la testa tra le nuvole, ma avere conoscenza tanto universale quanto particolare; L'Aquinate sta parlando di utilità pratica per la vita, come è facilmente constatabile dalle parole che precedono la frase esaminata:"Se un medico sa che le carni leggere sono facilmente digeribili e sane, ma ignora in realtà quali siano in realtà le carni leggere, non potrà dare la salute: invece, un individuo che sappia che le carni dei volatili sono leggere e sane sarà maggiormente in grado di produrre la salute".

In precedenza S. Tommaso aveva scritto:"[Aristotele] inizia facendo notare che siccome la prudenza ha per oggetto i beni umani, lagente dice che Anassagora (496 - 428 a. C.), un altro filosofo chiamato Talete (Vll - VI a. C.) e altri personaggi orientati allo stesso modo erano indubbiamente sapienti, ma non prudenti:il motivo è che il popolo vedeva che tali individui ignoravano quanto era utile a loro stessi, ediceva che essi conoscevano delle cose superflue, cioè inutili e meravigliose, cioè superiorial sapere comune della gente, e difficili, perché esigono uno studio diligente, e divine, data la nobiltà della loro natura.

Il Nostro porta l'esempio specifico di Talete e di Anassagora perché avevano subìto ungiudizio sfavorevole proprio su questo loro orientamento.

 Infatti, una volta che Talete erauscito di casa per osservare le stelle, cadde in una buca; a lui che gemeva, una vecchiettadisse: «O Talete, tu non sei in grado di vedere quel che sta davanti ai tuoi piedi, e credi disapere ciò che sta in cielo?»" [24].Tanto l'Aquinate quanto Aristotele si riferiscono a chi conosce bene i principi, ma vive eccessivamente distratto dalla realtà.Se applichiamo analogicamente al giudizio morale quanto il Filosofo dice qui circa la prudenza pratica, potremmo affermare che è meglio uno che agisce bene di uno che conosce benissimo la teologia morale e poi si comporta male: tanti poveri incolti, che non hanno la conoscenza scientifica della teologia morale, in Paradiso possono avere un grado di gloria superiore a tanti moralisti; ma S. Tommaso non dice che colui che non conosce formalmente i princípî universali della morale, nei casi particolari, può deviare da essi.


In conclusione, questo testo di San Tommaso dice tutt'altro rispetto alla tesi che con esso si vorrebbe avvalorare, cioè che non esisterebbero norme che "nella loro formulazione non possono abbracciare assolutamente tutte le situazioni particolari".


3. Summa Theologiae I-II, q. 65, a. 3, ad 2. 
Leggiamo, al § 301 di Amoris laetitia, un'altra tesi che viene suffragata da testi tomisti (Summa Theologiae I-II, q. 65, a. 3, ad 2; De malo, q. 2, a. 2):"Come si sono bene espressi i Padri sinodali, «possono esistere fattori che limitano la capacità di decisione». Già san Tommaso d'Aquino riconosceva che qualcuno può avere la grazia e la carità, ma senza poter esercitare bene qualcuna delle virtù, in modo che anche possedendo tutte le virtù morali infuse, non manifesta con chiarezza l'esistenza di qualcuna di esse, perché l'agire esterno di questa virtù trova difficoltà: «Si dice che alcuni santi non hanno certe virtù, date le difficoltà che provano negli atti di esse, […] sebbene essi abbiano l'abito di tutte le virtù».Riguardo all'affermazione: "qualcuno può avere la grazia e la carità, ma senza poter esercitare bene qualcuna delle virtù", distinguo:"Qualcuno può avere la grazia e la carità senza poter esercitare bene qualcuna delle virtù":concedo;
"Qualcuno può avere la grazia e la carità commettendo un'azione intrinsecamente cattiva":nego.A riprova di quanto detto, possiamo vedere quanto San Tommaso afferma, poco prima del primo passo della Summa citato al § 301, precisamente Iª-IIae q. 65 a. 2 co.:"…solo in quanto sono fatte per compiere il bene in ordine al fine ultimo soprannaturale, raggiungono perfettamente e realmente la natura di virtù; e quindi non possono acquistarsi con azioni umane, ma sono infuse da Dio. E codeste virtù morali non possono esistere senza la carità […] Ecco perché la Glossa di S. Agostino, commentando quel passo di S. Paolo, "Tutto quello che non è secondo la fede è peccato", scrive: "Dove manca la conoscenza della verità, la virtù è falsa anche se corredata di ottimi costumi"[25].Quindi la frase "Si dice che alcuni santi non hanno certe virtù, date le difficoltà che provano negli atti di esse, […] sebbene essi abbiano l'abito di tutte le virtù" non può essere riferita a chi, non avendo la carità, non possiede nessuna virtù infusa.


4. De malo, q. 2, a. 2.
Per quanto riguarda invece De malo, q. 2, a. 2, non è immediatamente evidente a quale parte dell'articolo il Papa si riferisca; possiamo pensare, visto che nel testo si parla di "fattori che limitano la capacità di decisione", alla seguente frase:"… Ma il peccato non ha ragione di colpa che per il fatto di essere volontario, perché non si imputa a nessuno un atto disordinato, se non perché è in suo potere"[26].I fattori che limitano la capacità di decisione sono quelli che rendono l'atto umano non perfettamente libero e volontario (non in suo potere, cioè non nel potere di chi agisce), comunemente ammessi dalla teologia morale classica (timore, passioni, malattia, violenza, ignoranza invincibile etc.): si tratta non di circostanze che mutano l'oggetto dell'atto, ma di incapacità temporanea o permanente del soggetto a compiere un atto pienamente umano (qui ex libera voluntate procedit).Tanto i testi tomistici, quanto il Magistero costante della Chiesa, escludono categoricamente che le circostanze esterne possano mutare la natura intrinsecamente cattiva di alcuni atti, quali il vivereuxorio more di due persone che non sono marito e moglie (ad es., come abbiamo riportato sopra: "quod est secundum se malum ex genere, nullo modo potest esse bonum et licitum").


Conclusione
Papa Francesco afferma, al § 304 di Amoris laetitia, che "È vero che le norme generali presentano un bene che non si deve mai disattendere né trascurare, ma nella loro formulazione non possono abbracciare assolutamente tutte le situazioni particolari".
Alla luce dei testi tomistici citati dallo stesso Pontefice, si deve distinguere: se è vero che dai princípî della morale non si possono dedurre a priori tutte le valutazioni morali delle minime situazioni particolari, è pur vero che gli stessi princípî consentono di valutare in ogni caso come intrinsecamente cattive determinate azioni, quali l'adulterio e la fornicazione: chi compie questi atti con piena avvertenza e deliberato consenso pecca mortalmente.

Inoltre questi princípî sono facilmente e immediatamente conoscibili da chiunque.

Se confrontiamo S. Tommaso con quanto afferma il Papa al § 301 "Un soggetto, pur conoscendo bene la norma, può avere grande difficoltà nel comprendere «valori insiti nella norma morale» o si può trovare in condizioni concrete che non gli permettano di agire diversamente e di prendere altre decisioni senza una nuova colpa", possiamo vedere che l'Aquinate afferma l'esatto contrario.

Un Papa veramente tomista è stato invece Pio XII, il quale, nel discorso Aux participants au congrès de la Fédération catholique mondiale de la jeunesse féminine, del 18 aprile 1952, è stato perfettamente in linea con quanto insegna il Doctor communis:"Ci si chiederà come la legge morale, che è universale, può bastare, e nello stesso tempo essere vincolante in un caso singolare, il quale nella sua situazione concreta è sempre unico e di “una volta”. Lo può e lo fa, perché giustamente a causa della sua universalità la legge morale comprende necessariamente ed “intenzionalmente” tutti i casi particolari, all'interno dei quali si verificano i suoi concetti. E in questi casi numerosissimi lo fa con una logica così concludente, che la stessa coscienza del semplice fedele vede immediatamente e con piena certezza la decisione da prendere. Ciò vale soprattutto per le obbligazioni negative della legge morale, quelle che esigono un non fare, un lasciar stare. Ma non soltanto per quelle" [27].

Inoltre, al § 305 di Amoris laetitia leggiamo:"A causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l'aiuto della Chiesa"Alla luce dei documenti del Magistero costante della chiesa e dei testi di S. Tommaso presi in esame, possiamo dire che, in caso di convivenza uxorio modo di due persone che non sono marito e moglie, queste possono essere non oggettivamente colpevoli o non colpevoli in modo pieno solo per una imperfezione morale dei loro atti (incapacità di compiere un atto umano), e non in base a circostanze esterne.

Sulla base di tutte le considerazioni svolte in questo articolo, si può dunque affermare, diversamente da quanto ha detto Papa Francesco, che Amoris laetitia è tutt'altro che tomista.


NOTE
[1] Cf. «"Amoris laetitia" ha un autore ombra. Si chiama Víctor Manuel Fernández. Impressionanti somiglianze tra i passaggi chiave dell'esortazione di papa Francesco e due testi di dieci anni fa del suo principale consigliere. Un doppio sinodo per una soluzione che era già scritta», http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351303.html.
[2] «La grazia non è una ideologia. Un incontro privato del Papa con alcuni gesuiti colombiani», www.laciviltacattolica.it/articolo/la-grazia-non-e-una-id...
[3] San Giovanni Paolo II, Discorso ai sacerdoti partecipanti a un seminario di studio su «La procreazione responsabile, Sabato, 17 settembre 1983, http://tinyurl.com/y9lqrp4v.
[4] Cf. «Il papa tace e Schönborn parla per lui. Con argomenti qui criticati ad uno ad uno», http://tinyurl.com/yc2lphs6.
[5] Riprendo qui, adattandola, l'analisi dei testi tomistici da me svolta in «Osservazioni su alcuni punti controversi dell'Esortazione apostolica Amoris laetitia - 2.2 - AL e San Tommaso», tinyurl.com/ybjst23j.
[6] Tutti i testi di S. Tommaso in latino, citati in questo studio, sono pesi dal sito www.corpusthomisticum.org/; le traduzioni, i grassetti e i corsivi sono redazionali.[7] "…sicut forma naturalis est in materia ab agente, ita forma bonitatis est in volito a fine; et sicut materia improportionata ad formam adveniente debito agente nunquam consequitur formam, sicut lapis non fit caro a virtute digestiva; ita etiam volitum improportionatum ad bonitatem, quantumcumque sit bonus finis, nunquam bonitatem recipit; et talia sunt quae per se sunt mala, ut furari et hujusmodi; nisi deformitas tollatur auctoritate divina, ut supra, distin. 47, quaest. unica, art. 3, dictum est".[8] "Non autem bonitas voluntatis intendentis sufficit ad bonitatem actus: quia actus potest esse de se malus, qui nullo modo bene fieri potest".[9] …quod autem est malum ex genere, simpliciter est malum, nec bonum fieri potest"[10] "…actionum humanarum multiplex est differentia. Quaedam enim sunt quae habent deformitatem inseparabiliter annexam, ut fornicatio, adulterium, et alia huiusmodi, quae nullo modo bene fieri possunt".[11] "…quaedam tam passiones quam actiones in ipso suo nomine implicant malitiam, sicut in passionibus gaudium de malo et inverecundia et invidia. In operationibus autem adulterium, furtum, homicidium. Omnia enim ista et similia, secundum se sunt mala; et non solum superabundantia ipsorum vel defectus; unde circa haec non contingit aliquem recte se habere qualitercumque haec operetur, sed semper haec faciens peccat. Et ad hoc exponendum subdit, quod bene vel non bene non contingit in talibus ex eo quod aliquis faciat aliquod horum, puta adulterium, sicut oportet vel quando oportet, ut sic fiat bene, male autem quando secundum quod non oportet. Sed simpliciter, qualitercumque aliquod horum fiat, est peccatum. In se enim quodlibet horum importat aliquid repugnans ad id quod oportet".[12] "…actus luxuriae est secundum se mortale peccatum, quia habet materiam indebitam caritati repugnantem…".[13] "Et ideo dicendum est, quod cum habere concubinam non matrimonio junctam sit contra legem naturae, ut dictum est, nullo tempore secundum se licitum fuit, nec etiam ex dispensatione".[14] "…nullo modo licet occidere innocentem".[15] "Et ideo occisio sui ipsius semper est peccatum mortale, utpote contra naturalem legem et contra caritatem existens".[16] "…manifestum est quod omne furtum est peccatum".[17] "Respondeo dicendum quod falsum testimonium habet triplicem deformitatem. Uno modo, ex periurio, quia testes non admittuntur nisi iurati. Et ex hoc semper est peccatum mortale".[18] "Respondeo dicendum quod illud quod est secundum se malum ex genere, nullo modo potest esse bonum et licitum, quia ad hoc quod aliquid sit bonum, requiritur quod omnia recte concurrant; bonum enim est ex integra causa, malum autem est ex singularibus defectibus, ut Dionysius dicit, IV cap. de Div. Nom. Mendacium autem est malum ex genere. Est enim actus cadens super indebitam materiam, cum enim voces sint signa naturaliter intellectuum, innaturale est et indebitum quod aliquis voce significet id quod non habet in mente. Unde philosophus dicit, in IV Ethic., quod mendacium est per se pravum et fugiendum, verum autem et bonum et laudabile. Unde omne mendacium est peccatum, sicut etiam Augustinus asserit, in libro contra mendacium".[19] "…praecepta Decalogi sunt immediate a Deo populo tradita; unde secundum hanc formam traduntur prout sunt manifesta naturali rationi cuiuslibet hominis etiam popularis. Quilibet autem statim ratione naturali advertere potest adulterium esse peccatum; et ideo inter praecepta Decalogi prohibetur adulterium".[20] "…in operativis sunt quaedam principia naturaliter cognita quasi indemonstrabilia principia et propinqua his, ut malum esse vitandum, nulli esse iniuste nocendum, non esse furandum et similia".[21] "Sicut autem omne iudicium rationis speculativae procedit a naturali cognitione primorum principiorum, ita etiam omne iudicium rationis practicae procedit ex quibusdam principiis naturaliter cognitis, ut supra dictum est. Ex quibus diversimode procedi potest ad iudicandum de diversis. Quaedam enim sunt in humanis actibus adeo explicita quod statim, cum modica consideratione, possunt approbari vel reprobari per illa communia et prima principia. […] Quaedam enim sunt quae statim per se ratio naturalis cuiuslibet hominis diiudicat esse facienda vel non facienda, sicut honora patrem tuum et matrem tuam, et, non occides, non furtum facies. Et huiusmodi sunt absolute de lege naturae".[22] S. Tommaso d'Aquino, Commento all'etica nicomachea di Aristotele, Introduzione, traduzione e glossario a c. di Lorenzo Perrotto, vol II, libri 6-10, Bologna: ESD 1998, p. 54; testo latino: "Deinde cum dicit neque enim prudentia etc., manifestat quiddam quod dixerat, assignans scilicet rationem quare prudentia sit circa operabilia. Prudentia enim non considerat solum universalia, in quibus non est actio; sed oportet quod cognoscat singularia, eo quod est activa, idest principium agendi. Actio autem est circa singularia. Et inde est, quod quidam non habentes scientiam universalium sunt magis activi circa aliqua particularia, quam illi qui habent universalem scientiam, eo quod sunt in aliis particularibus experti. Puta si aliquis medicus sciat quod carnes leves sunt bene digestibiles et sanae, ignoret autem quales carnes sint leves; non poterit facere sanitatem. Sed ille qui scit quod carnes volatilium sunt leves et sanae, magis poterit sanare. Quia igitur prudentia est ratio activa, oportet quod prudens habeat utramque notitiam, scilicet et universalium et particularium; vel, si alteram solum contingat ipsum habere, magis debet habere hanc, scilicet notitiam particularium, quae sunt propinquiora operationi" (Sententia Ethic., lib. 6 l. 6 n. 11).[23] Commento all'etica…, p. 53; testo latino: "Dicit ergo primo quod quia prudentia est circa bona humana sapientia autem circa ea quae sunt homine meliora, inde est, quod homines dicunt Anaxagoram, et quemdam alium philosophum qui vocabatur Thales, et alios similes esse quidem sapientes, non autem prudentes, eo quod homines vident eos ignorare ea quae sunt sibi ipsis utilia, et dicunt eos scire quaedam superflua, id est inutilia, et admirabilia, quasi excedentia communem hominum notitiam, et difficilia, quia indigent diligenti inquisitione, et divina propter nobilitatem naturae. Ponit autem specialiter exemplum de Thale et Anaxagora, qui specialiter super hoc reprehensi fuerunt. Cum enim Thales exiret domum, ut astra consideraret, incidit in foveam; eoque lugente, dixit ad eum quaedam vetula: tu quidem, o Thales, quae ante pedes nequis videre et quae in caelo sunt putas cognoscere?" (Sententia Ethic., lib. 6 l. 6 n. 8-9).[24] Discorso ai sacerdoti…, 17 settembre 1983. [25] "Secundum autem quod sunt operativae boni in ordine ad ultimum finem supernaturalem, sic perfecte et vere habent rationem virtutis; et non possunt humanis actibus acquiri, sed infunduntur a Deo. Et huiusmodi virtutes morales sine caritate esse non possunt […] Unde Rom. XIV super illud, omne quod non est ex fide, peccatum est, dicit Glossa Augustini, ubi deest agnitio veritatis, falsa est virtus etiam in bonis moribus".[26] "…rationem culpae non habet peccatum nisi ex eo quod est voluntarium; nulli enim imputatur ad culpam aliquis inordinatus actus nisi ex eo quod est in eius potestate" De malo, q. 2 a. 2 co.[27] "On demandera comment la loi morale, qui est universelle, peut suffire, et même être contraignante dans un cas singulier, lequel en sa situation concrète est toujours unique et d'«une fois». Elle le peut et elle le fait, parce que justement à cause de son universalité la loi morale comprend nécessairement et «intentionnellement» tous les cas particuliers, dans lesquels ses concepts se vérifient. Et dans des cas très nombreux elle le fait avec une logique si concluante, que même la conscience du simple fidèle voit immédiatement et avec pleine certitude la décision à prendre. Ceci vaut spécialement des obligations négatives de la loi morale, de celles qui exigent un ne-pas-faire, un laisser-de-côté. Mais nullement de celles-là seules. (…) Quelle que soit la situation individuelle, il n'y a d'autre issue que d'obéir"; http://tinyurl.com/jeja5su.



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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04/10/2017 22:20
 
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Correctio filialis un primo bilancio

(di Roberto de Mattei) Il 25 settembre, all’indomani della pubblicazione della Correctio filialis a papa Francesco, il portavoce della Sala Stampa Vaticana, Greg Burke, ha smentito con ironica sufficienza la notizia diffusa dall’Ansa, secondo la quale l’accesso al sito della Correctio sarebbe stato bloccato dalla Santa Sede: «Figurarsi se facciamo questo per una lettera con 60 nomi». Il direttore della Sala Stampa, che giudica le iniziative in base al numero dei “followers”, può essere interessato a sapere che www.correctiofilialis.org, a otto giorni dalla sua messa on-line, ha avuto oltre 180mila singoli visitatori e 330 mila pagine visitate. Le visite vengono da 200 diversi paesi dei cinque continenti. L’Italia e gli Stati Uniti guidano il numero degli accessi.

Inoltre, la lettera di correzione indirizzata a papa Francesco da 62 studiosi, è stata condivisa, al 3 ottobre, da 216 teologi, pastori, professori, studiosi di tutte le nazionalità, le cui firme sono visibili sul sito. Ad essi vanno aggiunti decine di migliaia di aderenti,che hanno apposto le loro firme sul sito ufficiale o su altri siti cattolici, che sostengono attivamente l’iniziativa quali onepeterfive.com, lifesitenews.com, katholisches.Info.

Guido Mocellin, su Avvenire del 27 settembre, ha dovuto ammettere che, nella «blogosfera ecclesiale», grazie a un «moderno sito web in sei lingue», «i post sulla «correzione filiale» rivolta a Papa Francesco «in ragione della propagazione di eresie» sono stati i più presenti negli scorsi giorni: hanno costituito il 30% di tutti quelli che ho potuto consultare tra sabato 24 e lunedì 26 settembre». Se si vuole rimanere sul piano delle cifre, il numero dei cardinali, vescovi e teologi che si sono levati contro la Correctio, in difesa della Amoris laetitia, è irrilevante. Perfino il cardinale più vicino a papa Francesco, il segretario di Stato Pietro Parolin, ha assunto un atteggiamento di quasi equidistanza, dichiarando che «le persone che non sono d’accordo esprimono il loro dissenso ma su queste cose si deve ragionare, cercare di capirsi».

Ciò che manca di peso, al di là del numero, è la sostanza delle argomentazioni con cui si è tentato di replicare alla Correctio. Lo sforzo maggiore, fino a raggiungere le acrobazie dei sofisti, lo si deve al deputato-filosofo Rocco Buttiglione su Vaticaninsider del 3 ottobre. Il passaggio centrale della Amoris laetitia cricato dai firmatari della Correctio, secondo Buttiglione, è «una cosa assolutamente tradizionale, che abbiamo studiato tutti da bambini nel catechismo della Chiesa cattolica, non solo in quello nuovo di san Giovanni Paolo II ma anche in quello vecchio di san Pio X».

È vero – ammette Buttiglione che esiste «una impossibilità assoluta di dare la comunione a chi sia in peccato mortale (e questa regola è di diritto Divino e quindi inderogabile) ma se, a causa della mancanza di piena avvertenza e deliberato consenso, non vi sia peccato mortale, la comunione si può dare, dal punto di vista della teologia morale, anche ad un divorziato risposato». Per Buttiglione, come per il teologo di fiducia di papa Bergoglio, mons. Victor Manuel Fernández, il problema di fondo sarebbe quello della “imputabilità” degli atti.

Una imputabilità che difetterebbe alla larga maggioranza dei conviventi more uxorio, perché le concrete situazioni in cui essi vivono attenuano la loro consapevolezza e, soprattutto, rendono loro praticamente impossibile osservare la legge del Signore. Con il che si contraddice tranquillamente il Concilio di Trento, che colpisce di anatema chi dice che «per l’uomo giustificato e costituito in grazia, i comandamenti di Dio sono impossibili da osservare» (Denz-H, n. 1568). «Dio infatti non comanda l’impossibile; ma quando comanda ci ammonisce di fare quello che puoi, di chiedere quello che non puoi, e ti aiuta perché Tu possa» (Denz-H, n. 1356).       

D’altronde, i vescovi che applicano l’insegnamento di papa Francesco, non si ispirano né al catechismo di Pio X, né a quello nuovo di Giovanni Paolo II. Nelle loro diocesi, i divorziati risposati, perfettamente consapevoli della loro situazione, esigono la comunione e ad essi, secondo l’Amoris laetitia, la comunione viene concessa come un legittimo diritto. Per giustificare questa pratica immorale, si arriva a falsificare il pensiero di san Tommaso d’Aquino. Ma un valente moralista italiano che ha sottoscritto la Correctio, don Alfredo Morselli, ha mostrato, su Messainlatinodel 3 ottobre, l’impossibilità di armonizzare l’Esortazione di papa Francesco con la dottrina di san Tommaso.

Don Morselli ricorda alcuni passi inequivoci del Dottore Angelico che affermano il contrario del § 301 della Amoris laetitia: «La buona intenzione non è sufficiente a determinare la bontà di un atto: poiché un atto può essere in sé cattivo, e in nessun modo può diventare buono» (Super Sent., lib. 2 d. 40 q. 1 a. 2 co.). «Vi sono alcune [azioni umane] che hanno una deformità annessa inseparabilmente, come la fornicazione, l’adulterio, e altre cose di questo genere, che non possono essere compiute moralmente bene in alcun modo» (Quodlibet IX, q. 7 a. 2 co.).

In coerenza con l’autentico tomismo, mons. Fernando Ocáriz oggi Prelato dell’Opus Dei, in occasione di un convegno promosso per celebrare i 20 anni dell’Humanae Vitae, ricordava che «l’esistenza di norme particolari di morale naturale, aventi un valore universale ed incondizionato appartiene alla dottrina cattolica, ed anzi è una verità di fede» (Humanae Vitae 20 anni dopo, Edizioni Ares, Milano 1989, p. 129).

Tra queste il divieto della contraccezione e la proibizione dell’adulterio. È cambiato o cambierà l’insegnamento delle Università di Santa Croce e di Navarra, promotrici di quel convegno, assieme all’Istituto Giovanni Paolo II? C’è da chiederselo, dopo l’intervista del 30 settembre a Infovaticana.com, in cui l’attuale vicario dell’Opus Dei Mariano Fazio, censura altri membri della prelatura che hanno firmato la Correctio, accusandoli di «scandalizzare tutta la Chiesa». L’intervista è curiosa: né i vescovi argentini né quelli maltesi, che autorizzano l’adulterio nelle loro diocesi sono colpevoli di scandalizzare la Chiesa, ma lo è chi protesta contro questi scandali.

Il Papa, secondo Fazio, si può criticare, ma in circoli privati, mai pubblicamente. Nella valanga di commenti contrari, che ha sommerso il blog di Infovaticana, ce n’è uno lapidario: «E san Paolo?» Non fu proprio san Paolo a correggere pubblicamente san Pietro (Gal. 2, 7-14)? La franchezza apostolica di san Paolo e l’umiltà del principe degli apostoli Pietro sono rimasti da allora come il modello della giusta relazione tra chi esercita l’autorità e chi ad essa filialmente, ma non acriticamente, obbedisce. La fede non può mai contraddire la ragione. Ma rifiutare di pensare fa comodo, soprattutto quando l’esercizio della ragione costringe ad assumersi responsabilità sgradite.

Non rifiuta di pensare uno dei più autorevoli firmatari della Correctio, il teologo e filosofo della scienza don Alberto Strumia, che in un’intervista del 30 settembre al quotidiano Il Giornale, ha spiegato:

«La “dottrina della Chiesa” non è inventata dai teologi e neppure dai Papi, ma è fondata sulla Scrittura e radicata nella tradizione della Chiesa. Il Papa è al servizio, come custode e garante di questa continuità e non può spezzarla neppure velatamente, lasciando intendere, con formulazioni ambigue, che oggi si possa credere e fare il contrario di ciò che è stato insegnato finora, dal Magistero, su questioni essenziali come la dottrina dei sacramenti o la morale familiare, con la motivazione che i tempi sono cambiati e il mondo esige un adeguamento. Per questo è un dovere di carità, che ha come scopo la “salvezza delle anime”, come si diceva un tempo, e la difesa della stessa dignità del soglio di Pietro e di colui che lo occupa, mettere con il massimo rispetto in risalto queste ambiguità». (…) «Osare di indirizzare una correzione dottrinale al Papa lo si può e lo si deve fare solo quando è in pericolo la verità della fede e quindi la salvezza degli appartenenti al popolo di Dio».

In un’epoca di ottenebramento delle coscienze, la Correctio filialis esprime il sensus fidei di decine di migliaia di cattolici che ricordano filialmente al loro Supremo Pastore che la salvezza delle anime è il loro massimo bene e che per nessuna ragione al mondo si può commettere il male o transigere con esso.

(Roberto de Mattei)




UN LETTORE CI CHIEDE AIUTO: «LA MIA RAGAZZA NON RIESCE AD APRIRSI ALLE NOVITÀ DI QUESTO SINODO»

Un lettore ci chiede aiuto: «La mia ragazza non riesce ad aprirsi alle novità di questo Sinodo»

Cari amici del Timone, 

se capisco bene, secondo quanto emerso dalla prima parte di questo Sinodo una “situazione irregolare” (come può essere quella di due conviventi o di una coppia gay) deve essere considerata a partire dal bene che c’è in essa e non liquidata a partire dalla violazione della legge divina o morale che essa comporta.

Va inoltre applicato il principio della gradualità: per far sì che tale situazione irregolare evolva verso il bene pieno, bisogna farla avvicinare un passo alla volta a tale bene, valorizzando sempre il positivo compiuto o contenuto in essa, non mettendola di fronte a una scelta del tipo “o tutto o niente”.

La Chiesa, insomma, mi sembra che voglia dire questo alla “situazione irregolare” e ai suoi protagonisti: “Coraggio, Dio è misericordia. Dio non vi condanna ma vi ama come siete. E vi aspetta, attende paziente che vi avviciniate a lui secondo le vostre forze, secondo i vostri ritmi, senza impuntarvi su precetti, norme o requisiti da rispettare, che sono importanti ma sono sempre superati dall’amore infinito di Dio”.

Queste indicazioni parziali del Sinodo mi hanno colpito, nel mio vissuto. Sono infatti fidanzato da quattro anni con una ragazza splendida che chiamerò Virginia. Ma da due anni sul posto di lavoro ho anche allacciato una relazione con una collega che chiamerò Samantha, di cui mi sono infatuato. Ho cercato di interrompere questa storia a più riprese, ma non ci sono mai riuscito fino in fondo. Io so che la mia strada è con Virginia, di questo ho una consapevolezza intima, ma non posso negare di provare qualcosa di speciale anche per Samantha. Non è qualcosa su cui possa costruire un futuro: è qualcosa che chiamerei passione, qualcosa di istintivo, difficile da reprimere e che lega.

Sono stati due anni, come potrete capire, molto difficili per me ma le indicazioni dei padri sinodali mi hanno illuminato e dato fiducia per uscire dal cono d’ombra di una doppia vita.

L’altra sera ho deciso quindi di parlare francamente con Virginia. Le ho confessato la mia “situazione irregolare”. Le ho anche detto che, così come il Signore è buono e non giudica, ma guarda al bene (addirittura ai semi di santità) nei conviventi o nelle coppie di omosessuali e aspetta paziente che essi (con l’aiuto altrettanto misericordioso della Chiesa) facciano il loro cammino verso di lui, per gradi, senza dover affrontare scelte del tipo “o tutto o niente”, così anch’io confidavo nel suo amore.

Io mi sento orientato sinceramente verso il bene che è Virginia e che sarà un giorno, spero, il nostro matrimonio. E mi avvicinerò ad esso, ma passo dopo passo. Perché a troncare la mia storia con Samantha, di netto, dall’oggi al domani, non riesco e non posso. La farei soffrire troppo.

Il mio stupore, però, cari amici del Timone, è che Virginia non sembra aver capito per nulla l’ermeneutica del Concilio che i padri sinodali hanno proposto per l’amore umano. Con un gesto dal netto sapore pre-conciliare ha preso il posacenere che stava usando per fumare in salotto e me lo ha scagliato addosso, procurandomi un serio ematoma all’avambraccio sinistro. E lo ha fatto aggiungendo parole dal sapore pre-Concilio Vaticano I, che non oso riportare. Non paga di questo, la mattina dopo ha aspettato che Samantha uscisse di casa per venire al lavoro e, dopo averle rigato la macchina nuova con una chiave, scrivendole sul cofano una frase dal sapore pre-tridentino, meglio tomistico, turpiter facit meretrix in hoc quod est meretrix, l’ha riempita di botte.

Ho provato allora a scriverle, a citarle testualmente il passo bellissimo della relatio post disceptationem del Sinodo che recita così: “Alcuni si domandano se sia possibile che la pienezza sacramentale del matrimonio non escluda la possibilità di riconoscere elementi positivi anche nelle forme imperfette che si trovano al di fuori di tale realtà nuziale, ad essa comunque ordinate”.  E le ho chiesto se non dovessimo essere considerati così anche io e Samantha, che oltretutto siamo ora una coppia ferita (Samantha con cinque punti in fronte) quindi ancora più meritevole di misericordia e di accoglienza secondo i padri sinodali.

Ma Virginia non ha capito. Sembra inchiodata nel suo passato addirittura veterotestamentario. Mi sono trovato la portiera della macchina rigata con queste parole: “Io ti amo, ma ricordati che come il Signore anch’io sono ‘un Dio geloso’ (Esodo 20,5)”.

Lettera firmata e inventata 



AL, i vescovi polacchi stoppano le fughe in avanti

I vescovi polacchi

La Conferenza Episcopale polacca si è riunita nei giorni scorsi a Lublino per discutere e redigere un documento relativo alle linee guida con cui leggere l’esortazione apostolica Amoris Laetitia, e che La Nuova BQ presenta in anteprima. I vescovi rifiutano la possibilità di accesso alla comunione alle coppie che vivono "more uxorio" e leggono il documento in continuità con Familiaris Consortio.

La Conferenza Episcopale polacca si è riunita nei giorni scorsi a Lublino per discutere e redigere un documento relativo alle linee guida con cui leggere l’esortazione apostolica Amoris Laetitia. Alla riunione era presente anche il nunzio Salvatore Pennacchio, da poco più di un anno rappresentante del Pontefice presso la Chiesa polacca. Si ignora quando il documento stilato dai vescovi polacchi sarà pubblicato; ma siamo in grado di anticipare alcuni punti, sia pure sommariamente, che però sono centrali, e indicativi della lettura che l’episcopato ha dato dell’esortazione. Una lettura che è in linea piena con la “Familiaris Consortio” di Giovanni Paolo II. E’ evidente che nel momento in cui le linee guida approvate a Lublino saranno rese pubbliche, si evidenzierà ancora di più la confusione creata da Amoris Laetitia, e soprattutto dalle sue interpretazioni “aperturiste”. E diventerà sempre più chiaro quanto sia imbarazzante e foriero di nuova confusione il silenzio ostinato del Pontefice a fronte delle richieste di chiarificazione.

Secondo indiscrezioni di ottima fonte, possiamo dire che i vescovi polacchi rifiutano la possibilità di accesso alla comunione alle coppie che vivono "more uxorio", cioè senza essere unite dal Sacramento del matrimonio. E’ evidente che lo stesso accade per le coppie che convivono. Naturalmente questa decisione riguarda anche le coppie dei divorziati risposati, in cui per la Chiesa sia ancora valida la prima unione. Essi non possono accedere alla Comunione sacramentale, e neanche alla comunione spirituale finché si trovino in una situazione esistenziale che contrasta apertamente con l’eucarestia; che rappresenta legame sponsale del Signore con la sua Chiesa fedele, un legame indissolubile e fecondo.

I vescovi sottolineano con forza però che la Chiesa non intende rifiutare né tantomeno discriminare persone. Ad esse vanno offerti e presentati tutti i possibili mezzi di salvezza (Parola, ritiri, formazione, adorazione, partecipazione alle messe. La loro situazione pubblica però impedisce che possano ricevere l’Eucarestia. E viene mantenuto per loro il divieto di diventare padrini e madrine al battesimo; così come non possono nei casi in cui questo è concesso ai laici, neanche distribuire la comunione. E non possono nemmeno insegnare la dottrina, cioè il catechismo.

Ai sacerdoti viene chiesto di esercitare una pastorale di accompagnamento di queste coppie e famiglie, aiutandoli a risolvere gli impedimenti oggettivi della loro situazione tramite la preghiera, penitenza e speranza.

Il documento legge Amoris Laetitia nel contesto dell'insegnamento secolare della Chiesa, e del Magistero più recente. In questo senso è stata data molta attenzione e importanza alle impostazioni stabilite da "Familiaris consortio" di San Giovanni Paolo II; al decreto della Congregazione per la Dottrina della Fede del 1994 e a quanto insegnato ed esposto dal Catechismo della Chiesa Cattolica.

Una nota finale: l’Università Cattolica di Lublino, “Giovanni Paolo II” dopo la plenaria dei vescovi ha annunciato il conferimento di una laurea honoris causa al cardinal Gerhard Mueller per la sua opera di “timone di retta dottrina”.


[Modificato da Caterina63 17/10/2017 08:21]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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21/10/2017 13:04
 
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I Cattolici sono Cooperatoris Veritatis non discepoli di Lutero

Vogliamo ritornare sull’argomento già affrontato da altre tastiere più forti della nostra come quella della Bussola Quotidiana, vedi qui, altri hanno ricordato il florilegio pervertito di Lutero contro il Papato e la Chiesa tutta, vedi qui; il domenicano Padre Coggi ha scritto un libro interessante per capire come Lutero ha sbagliato, vedi qui; e ancora parlammo qui del chiarimento che Lutero non fu riformatore ma rivoluzionario…. ed infine anche il domenicano Padre Riccardo Barile, vedi qui,disse chiaramente: “Ferma restando la necessità del dialogo ecumenico, è però importante rendersi conto che non è vero che tra cattolici e luterani ci unisce la fede e ci dividono solo delle interpretazioni teologiche. È vero invece che sui sacramenti, l’Eucarestia, l’approccio alle Scritture, il ministero sacerdotale, la Messa come sacrificio, la Madonna è proprio la fede che ci divide…”

Dunque: è proprio la fede che ci divide, ma per il segretario della CEI sembra piuttosto che lo Spirito Santo abbia invece “illuminato” Lutero. Se bestemmia non è ci è andato molto vicino, è stato sacrilego e profanatore, di certo è un grave scandalo l’affermazione di Galantino a riguardo, laddove ha detto che “la riforma di Lutero fu un evento dello Spirito Santo!”

E allora delle due una, non si scappa: o lo Spirito Santo si diverte a confondere la Chiesa, i Papi, i Dottori della Chiesa, i Santi, il gregge…. oppure Galantino non ha capito nulla ed usa la sua posizione per imporre un pensiero che non è cattolico. Disse Paolo VI (ora beatificato) allo scrittore ed amico Guitton:

«C’è un grande turbamento in questo momento nel mondo della Chiesa, e ciò che è in questione è la fede. Capita ora che mi ripeta la frase oscura di Gesù nel Vangelo di san Luca: “Quando il Figlio dell’Uomo ritornerà, troverà ancora la fede sulla Terra?”. Capita che escano dei libri in cui la fede è in ritirata su punti importanti, che gli episcopati tacciano, che non si trovino strani questi libri. Questo, secondo me, è strano. Rileggo talvolta  il Vangelo della fine dei tempi e constato che in questo momento emergono alcuni segni di questa fine. Siamo prossimi alla fine? Questo non lo sapremo mai. Occorre tenersi sempre pronti, ma tutto può durare ancora molto a lungo. Ciò che mi colpisce, quando considero il mondo cattolico, è che all’interno del cattolicesimo sembra talvolta predominare un pensiero di tipo non cattolico, e può avvenire che questo pensiero non cattolico all’interno del cattolicesimo diventi domani il più forte. Ma esso non rappresenterà mai il pensiero della Chiesa. Bisogna che sussista un piccolo gregge, per quanto piccolo esso sia».

Per comprendere perché noi cattolici non possiamo assolutamente accettare la rivoluzione di Lutero, è presto spiegato nella famosa Mortalium Animos di Pio XIscritta proprio per difendere la vera Fede di Gesù Cristo e in Gesù Cristo, dalle contaminazioni protestantiLutero non ha nulla da insegnare ai Cattolici, checché ne dicano – erroneamente – tanti pastori oggi! L’unica cosa di utile che possiamo riscontrare – e ricavare – da questo “ecumenismo” (se fatto come Dio comanda) è il fatto che abbiamo l’opportunità di riconoscere autentica la Fede della Chiesa nei Sacramenti, nell’antropologia e nell’umanesimo autentico, possiamo capire che la Chiesa aveva ragione ad opporsi alle prepotenze dottrinali di Lutero.

Se mons. Galantino avesse ragione allora farebbe bene a spretarsi, tanto per essere coerente con il rivoluzionario Lutero! Se Galantino avesse ragione allora nessuno di noi dovrebbe obbedire al Pontefice o al Catechismo della Chiesa, nessuno dovrebbe più andarsi a confessare, nessuno avrebbe più DEI DOVERI, perché varrebbe l’idea di Lutero sulla salvezza che non prevede la Grazia santificante, non prevede il libero arbitrio degli uomini e dunque, diceva: “pecca fortiter”…. “pecca fortemente ma ogni giorno che passa abbi sempre piu’ fede in Dio !” che per Lutero, incapace di vivere la continenza del celibato, significava che la salvezza non dipende dai tuoi sforzi, perché “l’uomo è incapace di non peccare“, perciò è sufficiente il Sola Fide.

A ben vedere, effettivamente, ci sembra sia proprio questa la strada intrapresa dalla Chiesa di oggi. Le discussioni sull’Amoris laetitia, sul peccato, sul sesto comandamento, sembrano indirizzare – questa nuova pastorale – verso una RASSEGNAZIONE senza precedenti nei confronti della debolezza degli uomini. Lutero si rassegnò al suo peccare, ma anziché vivere di penitenza e di remissione verso Dio, si preoccupò di trovare nelle Scritture un qualche appiglio per poter giustificare le sue debolezze. Così nasce uno dei documenti dottrinali più inquietanti, quello sulla GIUSTIFICAZIONE nel quale Lutero nega all’uomo una liberà volontà, gli nega il libero arbitrio ed avanza sul sentiero perverso della predestinazione che poi Calvino porterà a compimento.

E’ lana caprina quella di quanti cercano di affermare che non fu Lutero, ma Calvino il grande briccone rivoluzionario!!! Senza dubbio Calvino, porterà alle estreme conseguenze la rivoluzione di Lutero, tanto è vero che il calvinismo e il luteranesimo prenderanno due strade non opposte ma parallele, come a dire che il discepolo Calvino, aveva superato il maestro. Oggi poi è così comodo gettare tutte le colpe addosso Calvino, dal momento che il calvinismo è pressoché scomparso… mentre il luteranesimo, per quanto in forte crisi, è comunque sia sempre alle fondamenta di tutto il movimento Protestante che oggi si chiama “evangelico”… il lupo cambia il pelo e pure il nome, ma non il vizio!

Le affermazioni profane e sacrileghe di Galantino ci riportano così a quel “pecca fortiter”…. non a caso infatti, questa chiesa di oggi filtra, senza affermazioni dottrinali ma solo pastorali (sic!) una certa compiacenza con l’uomo peccatore, ossia con il suo peccare senza spingerlo alla conversione: “pecca uomo, pecca fin che puoi – sembrano dire questi pastori – tanto Dio è misericordioso! Lo Spirito Santo ha illuminato Lutero…” e così vorrebbero salvare capre e cavoli, avere la botte piena e la moglie ubriaca.

E se nel 1977 Paolo VI affermava che sui “libri in cui la fede è in ritirata su punti importanti, gli episcopati tacciano…”, oggi sono andati ben oltre non solo tacendo nel difendere la Verità, ma come Galantino afferma, li appoggiano, li fanno propri, li scrivono loro stessi riempiendoli di ogni possibile eresia, si veda quied anche qui per capire come, tutto ciò, era stato profetizzato dal Patriarca di Venezia nel 1883.

Ratzinger lo aveva capito bene, lo denunciò e non cambiò mai parere: «Chi oggi parla di “protestantizzazione” della Chiesa cattolica, intende in genere con questa espressione un mutamento nella concezione di fondo della Chiesa, un’altra visione del rapporto fra Chiesa e vangelo. Il pericolo di una tale trasformazione sussiste realmente; non è solo uno spauracchio agitato in qualche ambiente integrista…» (Rapporto sulla Fede del 1984, cap.11 Fratelli ma separati).

Caro mons. Galantino, tra noi Cattolici e Luterani è proprio la FEDE che ci divide!

Ci vengono a mente le parole meste del Signore Gesù: «Quando il Figlio dell’uomo ritornerà, troverà ancora la fede sulla terra?» (Lc.18,8) “Gratia facit fidem“, dice san Tommaso d’Aquini: la grazia crea la fedeNON UN FEDE QUALSIASI, attenzione, e non soltanto quando la fede inizia, ma la grazia crea la fede istante per istante, momento per momento DISCIPLINANDOLA AL VOLERE DEL CRISTO, partendo però dalla CONVERSIONE e non da un ribaltamento dell’identità del Cristo come fece Lutero e come fa oggi Galantino affermando che lo Spirito Santo avrebbe sostenuto così Lutero nelle sue farneticazioni contro la Grazia ed altro. A questa fede fa eco la bellissima Lettera di Giacomo, una di quelle che Lutero voleva eliminare perché non rispondeva alle sue esigenze di peccatore:

Sottomettetevi dunque a Dio; resistete al diavolo, ed egli fuggirà lontano da voi. Avvicinatevi a Dio ed egli si avvicinerà a voi. Peccatori, purificate le vostre mani; uomini dall’animo indeciso, santificate i vostri cuori. Riconoscete la vostra miseria, fate lutto e piangete; le vostre risa si cambino in lutto e la vostra allegria in tristezza. Umiliatevi davanti al Signore ed egli vi esalterà…” (Gc.4,1-10), un programma del tutto ostico a Lutero ieri, e a Galantino oggi…

Lutero non sopportava la sottomissione, non sopportava la penitenza, il piangere per i propri peccati, l’umiliarsi davanti a Dio, non digeriva il concetto della CONVERSIONE, di conseguenza arriverà a stravolgere non solo il Peccato originale ma anche l’essenza stessa del peccato e del peccare, proprio ciò che sta accadendo oggi nella nuova pastorale cattolica.

Come possiamo reagire?

Intanto se dovessimo dare corrispondenza al sacrilegio di Galantino, per seguire Lutero, allora per coerenza non dovremmo obbedire ad alcun vescovo, ne a lui e neppure al Papa! Ma noi non siamo protestanti, non siamo luterani e per quanto queste affermazioni di un vescovo ci feriscono, ci fanno male, ci fanno soffrire, noi resteremo Cattolici PER GRAZIA DIVINA! Perciò non obbediremo a Galantino, ma continueremo nell’abbraccio filiale ed obbediente al Sommo Pontefice, obbedienza a quel DEPOSITUM FIDEI che egli stesso è chiamato a conservare intatto e a trasmettere.  Non possiamo sceglierci noi fede o dottrine, il Papa, un’altra Chiesa, non esiste…. ma abbiamo LA CHIESA una, santa e cattolica che – guidata dal vero ed unico Spirito Santo – ha parlato per mezzo di Lei e tutto è stato sigillato in quello che chiamiamo IL CATECHISMO, la dottrina, il Deposito della Fede per mezzo della viva Tradizione, non abbiamo altro e non ci serve altro se non di studiarlo esserne coerenti e metterlo in pratica. Ci serve di esercitare le virtù della pazienza, dell’umiltà, della tenacia, con mitezza e spirito di carità, ma anche fermezza, scaltrezza, audacia, PERSEVERANZA.

Ricorda che:

Disse Paolo VI all’Udienza generale del 19 gennaio 1972: “Noi possiamo allora comprendere perché la Chiesa cattolica, ieri ed oggi, dia tanta importanza alla rigorosa conservazione della Rivelazione autentica, e la consideri come tesoro inviolabile, e abbia una coscienza così severa del suo fondamentale dovere di difendere e di trasmettere in termini inequivocabili la dottrina della fede; l’ortodossia è la sua prima preoccupazione (..) e la consegna dell’Apostolo Paolo: Depositum custodi (1Tim. 6,20; 2Tim. 1,14) costituisce per essa un tale impegno, che sarebbe tradimento violare. La Chiesa maestra non inventa la sua dottrina; ella è teste, è custode, è interprete, è tramite; e, per quanto riguarda le verità proprie del messaggio cristiano, essa si può dire conservatrice, intransigente; ed a chi la sollecita di rendere più facile, più relativa ai gusti della mutevole mentalità dei tempi la sua fede, risponde con gli Apostoli: Non possumus, non possiamo (Act. 4, 20).” (vedi qui).

Laudetur Jesus Christus



 

EDITORIALE

A leggere che secondo il vescovo Galantino la Riforma fu “un evento dello Spirito Santo” viene subito da pensare che lo Spirito Santo allora si contraddice. Siccome questo non è possibile, non rimane che ritenere l’affermazione molto temeraria. Affermazioni simili sono oggi molto frequenti ed è importante chiederci da dove provengano.

L’essenza della posizione di Martin Lutero è la riduzione della fede ad atto di fede. Nella fede non ci sono contenuti, verità cui aderire, ma ciò che conta è l’affidarsi, senza ragioni, a Cristo, fidandosi che lui coprirà con un mantello tutte le nostre colpe. Per la religione cattolica non è così. La fede ha due versanti, quello dell’atto soggettivo del credere e quello oggettivo delle verità cui ai aderisce con la fede per l’autorità di Dio che ce le ha rivelate. E’ la fides qua e la fides quae. Quella cattolica non è una fede cieca, è l’adesione al dogma. La fede di Lutero invece è solo atto senza dogmi.

Perché ricordo questo aspetto? Perché il fatto che Lutero sia stato spinto dall’amore di Dio, o dalla “passione per Dio” - come si intitolava il convegno alla Lateranense ove mons. Galantino ha fatto il suo intervento – dice poco di significativo dal punto di vista cattolico. Passione per quale Dio? La passione è solo il polo soggettivo della fede come atto, manca il polo oggettivo delle verità credute, ossia dei dogmi. Accettare come valida questa impostazione fondata sulla sola “passione per Dio” significa già accettare l’impostazione luterana. E che dialogo ci può essere se si accetta fin da subito la posizione dell’altro con cui si vorrebbe dialogare?

Celebrando questo 500mo anniversario della Riforma luterana, la Chiesa cattolica ha fatto spesso questo errore di impostazione iniziale: spostare l’attenzione dalla dottrina alle “intenzioni” di Lutero, ossia dai contenuti della fede all’atto di fede. Tutti vedono che in questo modo si sposa già fin dall’inizio la posizione luterana e la si fa propria. Nella fede luterana è centrale la coscienza, dato che non interessa tanto Cristo in sé, quanto Cristo per me, il Cristo della fede e non il cristo della Storia. Il Padre Coggi dei domenicani di Bologna ce lo ha spiegato molto bene. La fede per Lutero non è conoscenza ma esperienza soggettiva, fatta in coscienza al cui interno si consuma il rapporto io-Tu tra il credente e Dio. Se, quindi, la Chiesa cattolica si concentra sulla coscienza del monaco Lutero piuttosto che sulla dottrina luterana rinuncia alle proprie esigenze già in partenza, accettando la validità di una fede senza dogmi. Le intenzioni di Lutero non contano se non per una ricostruzione storica o psicologica. Contano le cose da lui scritte e formalizzate nella dottrina della Riforma. Contano le cose da lui scritte contrarie alla verità della fede cattolica.

L’idea oggi prevalente è che le intenzioni di Lutero erano buone ed ispirate dallo Spirito Santo, mentre poi la cose presero una strada diversa, complici anche le chiusure della Chiesa cattolica. Bisognerebbe quindi recuperare le buone intenzioni degli inizi e usufruirne anche per una riforma del cattolicesimo stesso. Si è anche detto in questi giorni che Lutero avrebbe addirittura anticipato il Vaticano II, richiamando l’attenzione sul Vangelo. E rieccoci all’atto senza i contenuti. Aver proposto la salvezza per Sola Scriptura è stato un grave errore e non un merito, in quanto l’attenzione al Vangelo, dal punto di vista cattolico, senza la dovuta attenzione alla Tradizione e al Magistero non è cosa da apprezzare. Se il Vaticano II fosse stato influenzato da un’eresia, come si dice in questo caso, ne deriverebbe un inquinamento dello stesso Concilio dalle proporzioni devastanti.

Sia sostenendo che la Riforma è stata un dono dello Spirito Santo, sia dicendo che la valorizzazione luterana del Vangelo ha anticipato il Vaticano II, si insiste solo ed eventualmente sulle “intenzioni” e non sui contenuti. Ma insistendo solo sulle intenzioni di coscienza sparisce completamente il concetto di eresia. Uno non è eretico per le sue intenzioni ma per quanto ha detto di contrario al dogma. E da questo punto di vista Lutero è stato un eretico, quali che fossero le sue intenzioni. Faccio notare che se sparisce il concetto di eresia sparisce anche quello di dogma.

L’altro aspetto della strategia della Chiesa cattolica in questo 500mo anniversario della Riforma protestante è quello di fare un pezzo di strada insieme, cioè di fare delle cose insieme puntando sulla prassi più che sulla dottrina. Anche questo obiettivo lo si persegue meglio non tenendo conto della dottrina luterana ma delle cosiddette buone intenzioni del monaco Lutero. Depurando la fede dai suoi contenuti e soffermandosi sul suo essere un atto personale  si pensa di camminare meglio insieme. Ma per andare dove? Verso quale Cristo? Verso quale salvezza? L’atto di fede preso in se stesso è cieco, sono i contenuti a dargli la luce. Anticipare la prassi rispetto alla dottrina è un’altra concessione fatta in partenza alla posizione luterana.

C’è infine l’aspetto forse più inquietante della questione. Incentrarsi sulla fede come atto, ossia sulla coscienza e sulla prassi piuttosto che sui contenuti e sulla dottrina, potrebbe voler dire maturare insieme una nuova autocoscienza credente (come direbbe Hegel), ossia vedere insieme i contenuti in un modo nuovo. L’eresia sarebbe allora uno stimolo indispensabile all’evoluzione dialettica del dogma. Ma questa sarebbe una concessione all’evoluzione del dogma all’interno dell’autocoscienza dei credenti completamente fuori della visione cattolica, anche se certamente compatibile con la confessione protestante.

   

 



[Modificato da Caterina63 25/10/2017 21:40]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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25/10/2017 21:43
 
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Dalla prua del Titanic che cola a picco, giunge l’ultima sviolinata di Nunzio Galantino: «La riforma di Lutero è stata un dono dello Spirito Santo»


di isoladipatmos



Lutero ispirato dallo Spirito Santo? Padre Ariel a Padre Giovanni: «Se io fossi un membro della Conferenza Episcopale Italiana, non esiterei a strappargli il fiasco di mano, ed a mandarlo in un centro di recupero per alcolisti anonimi, fin quando durante una delle sedute collettive non dirà: "Ciao a tutti, mi chiamo Nunzio, ed è una settimana che non bevo più"».

Autori
Giovanni Cavalcoli, O.P - Ariel S. Levi di Gualdo

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Nessuna scrittura profetica va soggetta a privata spiegazione, poiché non da volontà umana, ma mossi dallo Spirito Santo parlarono quegli uomini da parte di Dio [I Pt, 1,20-21]

Chi ascolta voi, ascolta me [Lc 10,16]

 

Numerosi Lettori ci hanno subissati di lettere per chiederci lumi sulle affermazioni fatte da S.E. Mons. Nunzio Galantino, Segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana, ad un simposio tenutosi alla Pontificia Università Lateranense il 18-19 ottobre [vedere locandina QUI]. Possiamo anzitutto dire che da oggi, la Lateranese, può essere ragionevolmente rinominata Luteranense, dopo che il numero due della Conferenza Episcopale Italiana ha dichiarato che la “riforma” di Lutero è stata un «dono dello Spirito Santo» ...

... è accaduto che un vescovo italiano, in stretti rapporti col Padre Ariel S. Levi di Gualdo, in un momento di sconforto gli ha rivolto, dinanzi a questa esternazione, la seguente domanda in privato: «Ma insomma, di fronte a cose di questo genere, che cosa possiamo fare?». L'interpellato ha risposto: «E lo domanda Vostra Eccellenza a me? Io non sono membro della Conferenza Episcopale Italiana, mentre Vostra Eccellenza, sì. Pertanto, ciò che posso dirle è che se io fossi un membro della Conferenza Episcopale Italiana, non esiterei a strappargli in fiasco di mano, ed a mandarlo in un centro di recupero per alcolisti anonimi, fin quando durante una delle sedute collettive non dirà: "Ciao a tutti, mi chiamo Nunzio, ed è una settimana che non bevo più"».

la collisione del Titanic con l'iceberg ...

Dalle battute, siamo poi passati a cose serie, andando a consultare le guide cliniche che specificano le specialità della specialità, verificando che all'interno della psichiatria esistono più branche: psichiatria infantile, psichiatria dell'adolescenza, psichiatria dell'adulto, psichiatria psico-geriatrica, psichiatria consultivo-relazionale, psichiatria delle dipendenze. Non abbiamo trovano, perché al momento non esiste, la psichiatria episcopale, ma certi casi potrebbero rientrare nella psichiatria delle dipendenze, perché certi soggetti dipendono ormai dalle stoltezze che dicono, professano e diffondono. 

Avere affermato nell'università del Romano Pontefice, tale è la Lateranense, che la «riforma» di Lutero è stata un «dono dello Spirito Santo», da parte di S.E. Mons. Nunzio Galantino, più che una imprudenza, è stata una empietà. E detto questo chiariamo bene: i decreti contro Lutero del Concilio di Trento sono stati elaborati con l’assistenza dello Spirito Santo. Pertanto: o lo Spirito Santo si è smentito per bocca di Nunzio Galantino ― cosa impensabile ― oppure lo Spirito Santo è stato assente dal Concilio di Trento, per cui, le censure dei questo grande Concilio contro Lutero, si possono considerare ingiuste. Cosa parimenti impensabile. C’è anche un’altra possibilità sulla quale non vogliamo troppo addentrarci: qual è il livello di conoscenza della pneumatologia di Nunzio Galantino?

 

A noi non resta che riconoscere, come richiede la fede cattolica, che il Concilio di Trento è stato assistito dallo Spirito Santo e che le sue censure sono valide. Se quindi qualcuno si è sbagliato ed ha esternato in modo improvvido giudicando la «riforma di Lutero» come un «dono dello Spirito Santo», questi è Nunzio Galantino, che non gode della medesima assistenza di cui hanno goduto i Padri riuniti in assise nel Concilio di Trento.

Ciò non significa che il pensiero di Lutero non contenga anche degli aspetti validi, l’ecumenismo di questi ultimi cinquant’anni ha messo in luce come non mai le verità di fede che uniscono noi cattolici ai fratelli luterani sulla base di comuni radici cristiane.

Riguardo il vero ecumenismo, il decreto conciliare sull'ecumenismo Unitatis Redintegratio ricorda che i fratelli che nel passato si sono separati dalla Chiesa cattolica, pur conservando alcune verità di fede, si trovano con la Chiesa in una «comunione imperfetta» [n. 3], afflitta da «lacune» ed «ostacoli» [n. 3], che impediscono a questi fratelli di realizzare una piena comunione con la Chiesa Cattolica Romana.

affondamento del piroscafo ...

Il Concilio Vaticano II prescrive a noi cattolici di adoperarci con ogni mezzo lecito, invocando lo Spirito Santo, per persuadere questi fratelli a rimuovere gli «ostacoli» e a colmare le «lacune», che impediscono la piena comunione con la Chiesa, affinché, «superati gli ostacoli che impediscono la perfetta comunione ecclesiastica» [n. 4], «siano pienamente incorporati tutti quelli che già in qualche modo appartengono al popolo di Dio» [n. 3].

Il vero ecumenismo consiste non solo nel ritrovarci con gioia assieme in quelle medesime verità che sono rimaste intatte, nonostante la separazione, superando e dimenticando le reciproche mancanze di carità e di giustizia che ci sono state nel passato, perdonandoci a vicenda, ma anche ― e questo è lo scopo ultimo ― nell'adoperarci indefessamente nel senso suddetto, con ogni carità, umiltà, competenza, prudenza, mitezza, coraggio, franchezza, delicatezza, pazienza e speranza, nell'attesa dell’ora di Dio, invocato in una continua e costante preghiera ed implorato con l’offerta di sacrifici e nell'esecuzione di opere buone fatte assieme.

I fratelli separati devono essere amati, ma anche corretti, se davvero amati. Esiste infatti un ecumenismo sbagliato e ambiguo che non porta a niente, troppo riguardoso ed opportunista, non frutto di vera carità, per il quale c’è il rischio che invece di essere i luterani a rivedere le loro posizioni, siano i cattolici a lasciarsi influenzare dagli errori di Lutero, per cui gira la falsa opinione che la Chiesa abbia sbagliato nel suo giudizio su Lutero o lo abbia frainteso e che quindi non valgano più le passate condanne.

Abbiamo per ciò ritenuto bene fare qui un elenco di carattere divulgativo degli errori di Lutero, ormai noti da cinque secoli, esposti per tesi, che rispecchiano il suo pensiero senza la pretesa di riportare sempre gli ipsissima verba. Tali errori vanno riconosciuti e giudicati alla luce del Magistero della Chiesa, soprattutto la BollaExsurge Domine del Sommo Pontefice Leone X e decreti del Concilio di Trento.

Errori di ascendenza luterana sono condannati anche da altri importanti documenti della Chiesa, come quelli del Concilio Vaticano I, il Catechismo e l’enciclica Pascendi Dominici Gregis di San Pio X, ma anche dallo stesso Concilio Vaticano II, soprattutto i documenti Sacrosanctum ConciliumLumen GentiumDei VerbumPresbyterorum Ordinis,Perfectae Caritatis e Christus Dominus ; e chi oggi, dalle cattedre accademiche ecclesiastiche e dai pulpiti delle chiese, vi dice che il Concilio Vaticano II ha aperto a Lutero ed al Protestantesimo facendo proprie le loro istanze, vi mente in modo pericoloso e pernicioso.

Grandi anche gli interventi di Pio XII sulla Liturgia o sulla Chiesa o sugli errori moderni impressi nella Enciclica Humani Generis, del Beato Paolo VI sull'Eucaristia, o sul linguaggio teologico, di San Giovanni Paolo II, sul sacerdozio, sulla vita religiosa, sulla morale o sul rapporto fede-ragione, tutti atti di magistero che correggono gli errori luterani. Molti anche gli interventi della Congregazione per la Dottrina della Fede di questi ultimi cinquant'anni hanno riferimenti a Lutero, anche se non viene nominato, od a conseguenze dannose del suo pensiero, dallaRedemptionis Sacramentum alla Dominus Jesus. Ma il punto di riferimento più importante ed attuale è il Catechismo della Chiesa Cattolica.

Come e perché è nata la "riforma" luterana? Che  cosa si propose di fare Lutero? La “riforma” è nata dall'esperienza tormentosa di Lutero della propria peccaminosità, della propria difficoltà ad obbedire alla legge divina, dal timore che Dio lo riprovasse e dal desiderio spasmodico e sempre insoddisfatto di averlo amico [1].

Un sentirsi sempre in colpa ed accusato senza riuscire a chiarire e venirne fuori, nonostante ogni sforzo, quindi un Dio sempre corrucciato, ma senza sapere perchè. La sensazione di essere un ipocrita ma senza esserne certo [2]. Un sentirsi allo stesso tempo colpevole e innocente. Nella famosa “esperienza della torre” [Turmerlebnis] del 1515 egli però si convinse improvvisamente di aver scoperto la misericordia di Dio e si sentì sollevato e liberato dal suo terribile tormento [«mi si aprirono le porte del paradiso»]. Ma Papa Leone X gli ricordò nella Bolla Exsurge Domine del 1520 che per ottenere la misericordia di Dio occorre essere pentiti e fare penitenza. Ma questo Lutero non lo accettò, perché gli sembrava una cosa impossibile, e si fissò nell’idea che il Papa falsasse il Vangelo e stesse guidando la Chiesa fuori e contro la linea del Vangelo.  Egli allora perse la fiducia nel Papa come interprete del Vangelo e come guida della Chiesa, per cui il modo per ottenere la riforma della Chiesa, della quale sentiva il bisogno, doveva basarsi su di un’interpretazione personale della Scrittura [«libero esame»], su di un contatto diretto con la Scrittura. Lutero si dette allora a questo lavoro, in base al quale egli tolse dalla dottrina cattolica molte verità, che egli giudicava falsità aggiunte dal Papa al Vangelo, tra le quali l’ufficio del Papa come interprete del Vangelo.

S.E. Mons. Nunzio Galantino, comandante in seconda della Conferenza Episcopale Italia

È chiaro a questo punto che Lutero, inorgoglito e ostinato nell'errore, senza negare che agli inizi egli abbia proposto qualche spunto buono di riforma che gli ha procurato il titolo di ”riformatore”, cadde nell'eresia e si separò adirato dalla Chiesa, fondando una comunità ribelle ed ereticale e trascinando con sé molti  seguaci, fino ai nostri giorni. Pertanto egli è chiamato giustamente anche ”eresiarca”, fondatore di un insieme disordinato e incoerente di comunità senza coesione interna, seppur non senza alcuni punti in comune, che caratterizzano il luteranesimo come tale, dalle più fondamentaliste alle più liberali, in continuo contrasto fra di loro, come notò già a suo tempo il Bossuet, e tutto ciò per il fatto che in esse manca il principio di unità nella verità, che è il Papa. Come Lutero si ribellò al Papa, così facilmente il luterano si ribella a Lutero.

La “riforma” di Lutero finì dunque non in una vera riforma,in una purificazione, un progresso o un miglioramento della Chiesa, ma in una deformazione della Chiesa. Infatti, la vera riforma, è il riportare una cosa alla sua forma originaria o è lo svilupparla nella sua forma, distinguendo l’autentico dallo spurio. è chiaro allora che in queste operazioni, affinché la riforma riesca, bisogna tener d’occhio la forma della cosa, perché è tenendo presente questa forma che la riforma può riuscire. Ma se invece si cambia o si corrompe la forma, non nasce una riforma, ma una deformazione. Questo purtroppo è stato il risultato finale dell’opera di Lutero. E qui dobbiamo proprio dire che ― con buona pace di Nunzio Galantino ― che lo Spirito Santo c’entra per nulla.

ciò che rimarrò della barca della Chiesa dopo le traversate guidate dai vari Nunzio Galantino ...

L’esigenza originaria di Lutero non fu quindi la riforma morale, quanto piuttosto di ritrovare la verità del Vangelo, che secondo lui il Papa aveva perduto. La riforma è una conseguenza di ciò, ma il punto di partenza di Lutero fu l’improvvisa e beatificante certezza ― così almeno a lui sembrò ― di essere stato illuminato dalla verità: l’ «esperienza della torre» o, come la intese lui, della misericordia di Dio. Questa certezza divenne per lui un punto irrinunciabile e ragione di vita, certezza di salvarsi, e obbligo di annunciarla come il vero Vangelo, anche a costo di andare contro il Papa. Da ciò individuiamo la scaturigine morale originaria degli errori di Lutero che gli fu contestata dal Concilio di Tento: la presunzione di salvarsi senza merito come rimedio alla disperazione di salvarsi con le opere. Lutero non sopportava che Dio lo punisse per aver disobbedito alla sua legge. Lo vedeva come un Dio crudele. Egli, agli inizi, fraintendeva la giustizia divina e credette che Dio gli chiedesse di più di quanto poteva fare.

D’altra parte, aveva una concezione esagerata e troppo pessimista della corruzione della natura umana e della concupiscenza conseguenti al peccato originale, scambiando quest’ultima col peccato, come gli rimproverò il Concilio di Trento [Denz. 1515], per cui, siccome essa è permanente anche nel giusto, credeva che anche il peccato fosse permanente [peccatum permanens] anche nel giusto, sicché si bloccò su queste ben note idee [3]:

  1. il giusto pecca in ogni opera buona [Denz. 1525];
  2. A seguito del peccato originale la concupiscenza è invincibile, per cui è impossibile anche per chi è in grazia osservare i comandamenti [Denz. 1521, 1568];
  3. Se Dio punisse per aver disobbedito alla sua legge, sarebbe ingiusto e crudele, perché obbedirle è impossibile [Denz. 1568];
  4. Dunque Dio, se vuole essere misericordioso, deve accettare il peccato e perdonarlo senza condizioni [Denz. 1570], ossia senza opere di penitenza [Denz. 1579, 1692, 1693,1713, 1715] e senza meriti, perché non ci si salva con le opere, ma con la fede di salvarsi [Denz. 1559, 1580];
  5. Il vero Dio non è il Dio della ragione, inaccessibile, lontano, astratto, ma il Dio concreto, vicino, accessibile, sensibile, incarnato in Gesù Cristo. Il primo è terrificante e dispotico; il secondo è benevolo e misericordioso [Denz.3016, 3019];
  6. La vera teologia non è la teologia speculativa, ma la Teologia della Croce [Denz. 3016];
  7. Cristo ha preso il nostro peccato per darci la sua giustizia [Denz. 1529];
  8. La fede è certezza, speranza e confidenza di salvarsi indipendentemente dalle opere [Denz. 1533, 1534, 1535, 1562, 1570];
  9. È impossibile la fede senza la carità [Denz.1578];
  10. Il timore dell’inferno è mancanza di fiducia nella misericordia di Dio [Denz. 1526, 1534, 1541, 1558];
  11. Chi crede di essersi sinceramente pentito è un ipocrita [Denz. 1705];
  12. Chi pretende di aver fatto una buona confessione e di essersi purificato dai peccati, non dà spazio alla divina misericordia [Denz.1459];
  13. Dio non castiga i peccati di chi ha fede di salvarsi, ma li perdona anche se pecca. Castiga solo chi non ha fede di salvarsi, perché vuol dire che costui non confida nella sua misericordia [Denz. 1560];
  14. Per essere perdonato da Dio basta credere di essere perdonato [Denz. 1563, 1564, 1570];
  15. Non dobbiamo preoccuparci se pecchiamo; il peccare è inevitabile: basta aver fede di essere perdonati e siamo perdonati [Denz. 1563, 1564, 1570];
  16. L’annuncio evangelico non è che possiamo essere perdonati, ma che siamo già perdonati. Basta aver fede in questo. Questa è la fede [Denz. 1563, 1564, 1570];
  17. Oggetto della fede non sono idee astratte, ma la mia e la tua salvezza [Denz. 3016];
  18. La salvezza non è effetto delle opere, ma è puro dono della grazia [Denz. 1531, 1545];
  19. Non ci si salva col merito, ma per sola grazia. Se esistesse il merito, la grazia non sarebbe gratuita [Denz. 1546, 1548, 1582];
  1. Il desiderio del cristiano non è vedere Dio, ma salvarsi [Denz. 1000];
  2. I doveri verso il prossimo si riassumono nella misericordia, non nel

      guidarlo alla visione beatifica [Denz. 1000];

  1. Il paradiso non è premio delle opere, ma dono della grazia [Denz. 1576; 1581];
  2. La pretesa di farsi dei meriti per il paradiso è presunzione [Denz. 1538, 1545];
  3. Dio giustifica il peccatore senza togliere il peccato [Denz. 1547];
  4. Nella giustificazione non diventiamo giusti, ma restiamo nel peccato. Tuttavia il Padre ci attribuisce la giustizia di Cristo, che non diventa nostra, ma resta di Cristo [Denz. 1529];
  5. Il giusto è simultaneamente in grazia e in peccato [Denz. 1529, 1544];
  6. La grazia non toglie il peccato, ma lo copre e non lo imputa [Denz. 1547];
  7. Noi siamo salvati per fede indipendentemente dall’obbedienza ai comandamenti [Denz. 1531, 1545];
  8. Per il giusto i comandamenti non sono obbligatori, ma facoltativi [Denz. 1560];
  9. Il libero arbitrio è guasto, per cui non coopera all’opera della grazia [Denz. 1521, 1525, 1554, 1582];
  10. La libertà cristiana non è l’esercizio del libero arbitrio, ma la giustificazione ad opera della grazia [Denz. 1555];
  1. La ragione è cieca e ribelle alla verità di fede [Denz. 2811, 3016, 3019];
  2. La verità di fede è scandalo per la ragione [Denz. 3017, 3019];
  3. Nella fede Dio, in Cristo crocifisso, appare in modo contrario [sub contraria specie] a come appare alla ragione [Denz. 3017, 3019];
  4. È impossibile dimostrare razionalmente che Dio esiste [Denz. 2765, 2751, 2780, 2812, 3026];
  5. Credere in Dio non è richiesto dalla ragione, ma dalla stessa fede [Denz. 1637, 1638, 2755, 2768, 2780, 2813, 3026];
  6. Non si può dimostrare con la ragione l’esistenza della legge naturale [Denz. 3015];
  7. La filosofia è inganno e non serve ad interpretare la Scrittura [Denz. 3016];
  8. La teologia speculativa è vana presunzione [Denz. 3016];
  9. La Scrittura non contiene teorie metafisiche, ma narrazioni di fatti storici [Denz. 3016];
  10. La fede si fonda sulla sola Scrittura senza bisogno dell’aggiunta di alcuna ”Tradizione”, che non sia tratta dalla stessa Scrittura [n. 80, 81, 82];
  11. Il Papa non può definire gli articoli della fede [n. 88, 882, 2034, 2035, 2036];
  12. Il Papa non è il Vicario di Cristo [n. 882, 2034, 2035, 2036];
  13. La coscienza di ogni cristiano, illuminata dallo Spirito Santo, è sufficientemente abilitata all’interpretazione della Scrittura [n.84, 85, 86, 87];
  14. Il cristiano, nel suo rapporto con Dio, non ha bisogno della mediazione del Papa [n. 882];
  15. Quella che il Papa considera “Sacra Tradizione” come fonte della Rivelazione, è in realtà un insieme di aggiunte umane al Vangelo, avvenute nel corso del passato, arbitrarie e posticce, che offuscano e falsificano il Vangelo nella sua autenticità e purezza [nn. 75-83] ;
  16. La riforma della Chiesa esige la liberazione da queste scorie consacrate dal Papa, affinchè il Vangelo risplenda nella sua purezza [idem come sopra];
  17. Ogni cristiano ha la facoltà di respingere i decreti dei Concili, se essi non si accordano con la sua coscienza [n. 85,86,87];
  18. Cristo non ha istituto i Sette Sacramenti [Denz. 1601];
  19. La Chiesa non è governata dal Papa, ma da Cristo nei suoi pastori (n.882, 981, 982);
  20. La Chiesa del Papa è contraria al Vangelo [n.882];
  21. La vera Chiesa è il popolo di Dio sotto la guida della Paola di Dio e dello Spirito Santo [nn. 771-801];
  22. Non esiste una “successione apostolica”. Spetta alla comunità eleggere il suo pastore [Denz. 1767-1770, nn. 857-887];
  23. Il Papa può essere eretico [n. 88; 3074];
  24. Il sacerdozio non è un sacramento riservato ad alcuni. L’unico sacerdozio è il sacerdozio dei battezzati [Denz. 1764, 1766];
  25. Per predicare il Vangelo non c’è bisogno di alcuna ordinazione sacerdotale, ma basta studiare la Scrittura [idem come sopra];
  26. La Messa non è sacrificio, ma idolatria [Denz. 1740, 1751];
  27. Nella Cena del Signore avviene la consustanziazione o impanazione [Cristo nel pane], non la transustanziazione [Cristo sotto le specie del pane], [Denz.1642, 1652];
  28. L’adorazione eucaristica è idolatria [Denz. 1643, 1654, 1656];
  29. Il matrimonio è cosa profana e può essere sciolto [Denz. 1801];
  30. La verginità non è superiore al matrimonio ed è contro natura [Denz. 1810];
  31. I voti religiosi sono contro la libertà cristiana [Denz. 1810];
  32. Le indulgenze sono una frode e un abuso introdotto dal Papa [nn.1471-1473];
  33. Il culto dei Santi e della Madonna deroga all’unica mediazione di Cristo [Denz. 1821, 1822];
  34. I santi non sono esempi dai imitare o intercessori, perché sono peccatori come noi [idem come sopra; nn. 946-959]
  35. Il purgatorio non esiste, perché non risulta dalla Scrittura [Denz. 1580, 1820].

Ecc .. ecc ...

A fronte di tutto questo, S.E. Mons. Nunzio Galantino, Segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana, ha affermato che «la riforma di Lutero è stata un dono dello Spirito Santo». Riteniamo superfluo qualsiasi ulteriore commento, ed a tal proposito rimandiamo ad un nostro vecchio articolo di due anni fa [cf. QUI]

da L'Isola di Patmos, 24 ottobre 2017

NOTE

[1] La Sorge, direbbe Heidegger. La traduzione corrente con“cura” è troppo mite. In realtà, come fa notare lo stesso Heidegger, la Sorge è una preoccupazione ansiosa ed angosciosa.

[2] I drammi di Franz Kafka riflettono in qualche modo questi stati d’animo luterani degli anni in monastero.

[3] I numeri tra parentesi corrispondono  a quelli del Denzinger (Denz.), relativi al Concilio  di Trento ed al Catechismo della Chiesa Cattolica (per es. n.882), dove il Lettore troverà la corrispondente correzione  fatta dl Magistero della Chiesa.

Nell'archivio de L'Isola di Patmos, sul problema Lutero sono disponibili i seguenti articoli:

http://isoladipatmos.com/il-rifiuto-luterano-della-vita-religiosa-nato-dal-dramma-interiore-di-lutero/

http://isoladipatmos.com/dal-conflitto-alla-confusione-una-breve-analisi-critica-del-documento-congiunto-cattolico-luterano/

http://isoladipatmos.com/il-concetto-luterano-della-giustificazione-in-preparazione-alle-celebrazioni-luterane-del-2017-per-le-quali-nulla-i-cattolici-avrebbero-da-festeggiare/

http://isoladipatmos.com/un-caso-serio-da-lutero-a-rahner-attraverso-hegel-giochi-di-prestigio-e-salti-mortali/

http://isoladipatmos.com/il-santo-padre-francesco-in-visita-dai-luterani-e-la-commemorazione-della-cena-del-signore/


 

La lotta contro le eresie di san Domenico di Guzmán

(di Cristina Siccardi) Ottocento anni fa avvenne un fatto fondamentale per la vita della Chiesa, che andò a sommarsi all’operato dei Frati minori di san Francesco di Assisi: era il 1217 quando san Domenico di Guzmán (Caleruega 1170/1175-Bologna 6 agosto 1221) inviò nelle città europee, dove si trovavano le principali sedi universitarie (Bologna, Parigi, Madrid…), i membri dell’Ordine dei Predicatori da lui fondato al fine di renderli dotti per risanare il tessuto cattolico.

I due ordini mendicanti, mendichi per volontà di san Francesco e di san Domenico della sola Provvidenza, risollevarono le sorti di una Chiesa piena di boria, moralmente corrotta, avente parroci spesso ignoranti e fedeli imbevuti di errori diffusi da movimenti pauperisti.

La vita di san Domenico di Guzmán è meno nota rispetto a quella del suo contemporaneo san Francesco di Assisi (1181/1182-1226), in quanto il fondatore dei Predicatori si identifica per lo più con la sua opera, a differenza di san Francesco, il cui percorso terreno fu caratterizzato dalla sua stessa originale personalità. Proprio per tale ragione la figura di san Domenico ha subito meno stravolgimenti e profanazioni rispetto a quella del poverello di Assisi, in quanto l’icona del santo spagnolo è stata associata più che altro alla sua fondazione.

Ma c’è anche un altro dato che non può essere sottovalutato: Francesco era l’uomo di Dio che apriva il suo santo animo alla singola creatura, dunque la devozione che scaturì fu di carattere personale, un po’ come accadrà per san Pio da Pietrelcina: ognuno, anche il laico, sente un richiamo magnetico per san Francesco (da qui la più agevole strumentalizzazione da parte delle diverse ideologie: gnostica, comunista, relativista…); mentre la devozione per san Domenico non assume questo carattere di empatia personale, bensì si confonde nella sfera del suo Istituto, creato ad hoc contro le eresie, utilizzando un metodo preciso: formare predicatori di elevata qualità per essere in grado di confutare gli errori.

L’azione catechetica e di evangelizzazione che adottò san Domenico era per l’appunto focalizzata sulla predicazione con lo scopo precipuo di debellare le eresie, in particolare puntò la sua attenzione sui càtari, che si consideravano puri, detti anche albigesi, dal nome della cittadina francese di Albi, altresì dalla locuzione latina in albis (in [vesti] bianche), come ha ricordato il professor Dario Pasero, filologo, linguista e glottologo che negli scorsi giorni ha tenuto una splendida lezione, all’interno di un incontro organizzato dall’Associazione John Henry Newman di Rivarolo Canavese, sulla figura di san Domenico tratteggiata da Dante nel XII canto del Paradiso, dove la terzina 72 così lo dipinge: «Domenico fu detto; e io ne parlo/sì come de l’agricola che Cristo/elesse a l’orto suo per aiutarlo».

I càtari si diffusero nella Linguadoca, nella Provenza, nella Lombardia, in Bosnia, in Bulgaria, nell’Impero bizantino. La tolleranza praticata dai signori di Provenza, come il conte di Tolosa, da alcuni ecclesiastici, come i vescovi di Tolosa e Carcassonne, e dall’Arcivescovo di Narbonne, nei confronti dei predicatori eretici, permise che quest’ultimi non solo circolassero indisturbati nei villaggi e ricevessero lasciti cospicui, ma venissero posti a capo di istituti religiosi.

I sacerdoti locali si disinteressavano degli eretici proprio perché, essendo intellettualmente impreparati, non avevano mezzi per controbatterli. Fu così che i Domenicani, formati nei migliori atenei, acquisirono gli strumenti adeguati per compiere la loro missione in funzione della ragione e della Fede contro menzogne ed inganni.

Domenico apparteneva alla nobile famiglia dei Guzmán della Castiglia e sostenuto da uno zio sacerdote aveva studiato in una celebre scuola di Palencia. Si distinse subito per l’interesse alla Sacra Scrittura e per l’amore verso i poveri, tanto da vendere i suoi libri manoscritti di grande valore (all’epoca non esisteva ancora la stampa) per soccorrere, con il ricavato, le vittime di una carestia.

Nel 1196 fu eletto canonico del capitolo cattedrale di Osma. Il Vescovo del luogo, Diego de Acevedo, lo chiamò al suo fianco e nel 1203, divenuto sottopriore dello stesso capitolo, lo accompagnò in una missione diplomatica, per conto del Re di Castiglia, da espletare nella Germania del Nord. Giunti a destinazione constatarono le devastazioni morali prodotte in Turingia da una popolazione pagana dell’Europa centrale, i Cumani. Da questo istante fino al termine della sua vita Domenico sarà animato dal desiderio di convertire.

Sulla strada per la Germania, il Vescovo e il suo collaboratore avevano soggiornato nella contea di Tolosa, prendendo così coscienza del successo che qui aveva riscosso il catarismo. Tale termine deriva dal latino medievale catharus (a sua volta dal greco καϑαρός «puro»), con il quale si autodefinirono per primi i seguaci del Vescovo Novaziano elettosi antipapa dal 251 al 258; per questa ragione il termine katharoi fu citato per la prima volta in un documento ufficiale della Chiesa nei canoni del Concilio di Nicea del 325. Con la definizione di càtari sono indicati gli eretici dualisti medievali (albigesi, manichei, publicani o pauliciani, ariani, bulgari, bogomili… e in Italia patarini), che ebbero terreno fertile dal IV fino al XIV secolo.

Fu proprio per contenere l’estendersi dei càtari che, dopo infruttuosi tentativi da parte di alcuni legati papali, Padre Domenico concepì un nuovo metodo di predicazione: per combatterli bisognava usare i loro stessi mezzi, vale a dire operare in povertà, umiltà e carità. Credendo nella deviazione dalla vera fede della Chiesa di Roma, i càtari crearono una propria istituzione ecclesiastica, parallela a quella ufficiale presente sul territorio.

Per loro Cristo aveva avuto solo in apparenza un corpo mortale (docetismo) e la dottrina si fondava essenzialmente sul rapporto oppositivo fra materia e spirito di derivazione gnostica e manichea. Le opposizioni erano irriducibili (Spirito-Materia, Luce-Tenebre, Bene-Male), all’interno delle quali tutto il creato era una sorta di grande tranello di Satana (Anti-Dio), il quale irretiva lo spirito umano contro le sue rette inclinazioni.

Lo stesso Dio dell’Antico Testamento corrispondeva ad un dio malefico. Basandosi su questi principi divennero vegani ante litteram, rifiutando il consumo di carne, latte, uova e dei loro derivati (ad eccezione del pesce, di cui in epoca medievale non era ancora conosciuta la riproduzione sessuale). Consideravano peccaminoso persino il matrimonio, poiché serviva ad accrescere il numero degli schiavi di Satana. La convinzione che tutto il mondo materiale fosse opera del male comportava il rifiuto dei sacramenti. La perfezione per il càtaro si raggiungeva quando non si possedevano beni materiali e, attraverso un percorso “ascetico”, ci si lasciava morire di fame e di sete (pratica dell’endura).

Nel terzo Concilio Lateranense, convocato da papa Alessandro III a Roma nel marzo 1179, il catarismo venne condannato. Dopo l’elezione al soglio pontificio di Innocenzo III, nel 1198, la Chiesa reagì con decisione all’eresia con l’indizione nel 1208 della Crociata albigese (1209-1229), mentre papa Gregorio IX istituirà il Tribunale dell’Inquisizione, che impiegherà settant’anni per estirpare la malapianta dal Sud della Francia.

In questa drammatica situazione per la Chiesa, La Divina Provvidenza chiama Domenico di Guzmán, con la povertà, lo studio approfondito, la predicazione, e san Francesco di Assisi, con la povertà, l’immolazione, l’esempio di vita per ristabilire la verità e l’ordine.

Il primo successore nella guida dei Domenicani, il beato Giordano di Sassonia (1190-1237), autore del Libellus de principiis Ordinis Praedicatorum, un testo che propone la prima biografia di san Domenico (canonizzato nel 1234) e la storia degli anni iniziali dell’Ordine, scrive: «Durante il giorno, nessuno più di lui si mostrava socievole… Viceversa di notte, nessuno era più di lui assiduo nel vegliare in preghiera. Il giorno lo dedicava al prossimo, ma la notte la dava a Dio» (in P. Lippini OP, San Domenico visto dai suoi contemporaneiI più antichi documenti relativi al Santo e alle origini dell’Ordine Domenicano, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1982, p. 133). I testimoni affermano che «egli parlava sempre con Dio o di Dio». Non ha lasciato scritti sulla preghiera, ma la tradizione domenicana continua a tramandare un’opera dal titolo Le nove maniere di pregare di San Domenico, che venne redatta fra il 1260 e il 1288 da un frate domenicano.

Ogni preghiera viene sempre svolta da Padre Domenico di fronte a Gesù Crocifisso. I primi sette modi seguono una linea ascendente, come i passi di un cammino, verso la comunione con la Trinità: Domenico prega in piedi inchinato per esprimere l’umiltà; steso a terra per chiedere perdono dei peccati; in ginocchio facendo penitenza per partecipare alle sofferenze di Cristo; con le braccia aperte fissando il Crocifisso per contemplare il Sommo Amore; con lo sguardo verso il cielo sentendosi attirato verso il Regno di Dio.

L’ottava pratica consiste nella meditazione personale, quella che conduce alla dimensione intima, fervorosa, rasserenante. Al termine della Liturgia delle Ore e dopo la celebrazione della Santa Messa, egli prolunga il colloquio con Dio, senza porsi limiti di tempo: tranquillamente seduto, si raccoglie in sé e in ascolto, leggendo un libro o fissando il Crocifisso. I testimoni raccontano che, a volte, entrava in estasi con il volto trasfigurato, e dopo riprendeva le sue attività come niente fosse, corroborato dalla forza acquisita dalla preghiera.

Infine c’è l’orazione che svolge durante i viaggi da un convento all’altro: recita le Lodi, l’Ora Media, il Vespro con i confratelli e, percorrendo valli e colline, contempla la bellezza della creazione, mentre dal cuore gli sgorga sovente un canto di lode e di ringraziamento a Dio per tutti i doni, soprattutto per il più grande: la Redenzione operata da Cristo.

Nel 1212, durante la sua permanenza a Tolosa, narra il beato Alano della Rupe, ebbe una visione della Vergine Maria, che gli consegnò il Rosario, come richiesta a una sua preghiera per combattere l’eresia albigese. Secondo il racconto del beato, nel 1213-1214 san Domenico, mentre predicava in Spagna con il confratello Fra’ Bernardo, venne rapito dai pirati.

La notte dell’Annunciazione di Maria (25 marzo) una tempesta stava facendo naufragare la nave su cui si trovavano, quando la Madonna disse a Domenico che l’unica salvezza dalla morte per l’equipaggio era dire sì alla sua Confraternita del Rosario: furono dunque i pirati con i Domenicani a bordo ad esserne i primi membri. Da allora il Rosario divenne la preghiera più diffusa per combattere le eresie e, con il passare dei decenni, una delle più tradizionali preghiere cattoliche.

In occasione di un viaggio a Roma, nell’ottobre 1215, per accompagnare il Vescovo Folchetto, che doveva partecipare al Concilio Laterano IV, Domenico avanzò la proposta a Innocenzo III di un nuovo ordine monastico e mendicante dedicato alla predicazione. Il Papa l’approvò verbalmente, così come aveva fatto con san Francesco nel 1209.

Ma seguendo i canoni conciliari, da lui stesso promulgati (Conc. Laterano IV can. 13), propose di non fare una nuova regola, bensì prenderne una già approvata poiché i tempi erano troppo travagliati per la Chiesa. Seguendo il consiglio, san Domenico con i suoi sedici seguaci, scelse la Regola di Sant’Agostino, corredata da Costituzioni idonee alla loro missione. «San Domenico fu un uomo di preghiera. Innamorato di Dio, non ebbe altra aspirazione che la salvezza delle anime, in particolare di quelle cadute nelle reti delle eresie del suo tempo; imitatore di Cristo […] sotto la guida dello Spirito Santo, progredì sulla via della perfezione cristiana. In ogni momento, la preghiera fu la forza che rinnovò e rese più feconde le sue opere apostoliche», così affermò Benedetto XVI nell’Udienza generale di cinque anni fa, tenuta a Castel Gandolfo (8 agosto 2012).

Chi, oggi, si preoccupa con umiltà, serenità, santità delle anime «cadute nelle reti delle eresie» del nostro tempo? Anche noi, vittime di una funesta carestia di vita interiore e oranti con il Santo Rosario – insistentemente raccomandato cento anni fa da Nostra Signora di Fatima – siamo mendichi, sull’esempio di san Domenico e di san Francesco, della Divina Provvidenza. (Cristina Siccardi)


[Modificato da Caterina63 26/10/2017 10:17]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Convegno Humanae Vitae



  • L'INTERVISTA


L'insegnamento definitivo e profetico di Humanae vitae




Un convegno internazionale sui 50 anni di Humanae vitae, encliclica quanto mai attuale ma oggi ancora messa in discussione: "Ribadisce la verità naturale e divina sulla regolazione delle nascite, che negata con la contraccezione renderebbe la fede e Cristo astratti". L'intervista a Padre Lanzetta.

Ieri, presso la Pontificia Università S. Tommaso d’Aquino di Roma, Voice of the family ha organizzato un convegno per ribadire l’attualità di un’enciclica profetica di cui l’anno prossimo ricorrerà il cinquantesimo anniversario. Eppure molti, anche all’interno della Chiesa, mirano a mettere in discussione “Humanae Vitae di Paolo VI, anche se oggi più che mai questa enciclica dimostra la sua verità”. Ne è convinto, padre Serafino Lanzetta, uno dei relatori del convegno che ci ha spiegato perché.

In occasione dei 50 anni di Humanae Vitae si stanno moltiplicando discussioni e convegni a riguardo, ci spieghi perché è importante riparlare oggi di questo documento.
È molto importante celebrare il 50° di Humanae Vitae perché si tratta di un insegnamento magisteriale autentico e definitivo riguardante la regolazione della nascite. La forma è quella di un'enciclica papale, quindi di un intervento ordinario del magistero, ma il modo di proporlo e la materia trattata, in continuità con l’interrotta Tradizione della Chiesa, così da leggere Gaudium et spes alla luce di Casti Connubidi Pio XI e del Catechismo Romano nato dopo il Concilio di Trento, depongono a favore di un insegnamento definitivo. 

Qual è il portato dottrinale e immutabile di Humanae Vitae?
Si condensa sostanzialemente nel fatto che ogni atto matrimoniale deve necessariamente conservare la sua intrinseca relazione alla procreazione della vita umana, evitando perciò ogni azione che ostacoli il raggiungimento del suo fine intrinseco: il concepimento. Paolo VI a modo di sintesi coniugò inscindibilmente due aspetti dell’amore umano e sacramentale del matrimonio: quello unitivo e quelle procreativo. Tale inscindibile connubio deve realizzarsi in ogni singolo atto coniugale come sua intrinseca verità. La contraccezione pertanto viene ad essere inquadrata come strumentalizzazione del matrimonio, sia nel suo fine unitivo che procreativo: è una manipolazione dell’amore che rendendo uno si apre alla pluralità, al bene della vita. La contraccezione è perciò contraria non solo alla procreazione ma anche all’amore. Questo in modo profetico ci dice l’enciclica di Paolo VI.

Eppure l’anniversario di Humanae Vitae viene usato anche da coloro che mirano a cambiare l'insegnamento della Chiesa sulla morale. Basti pensare a come è stato presentato il corso sull'enciclica dell’università Gregoriana da Avvenire, per cui questo documento non avrebbe il sigillo dell’infallibilità e per cui “la grande domanda sullo sfondo è quella di capire come mettere in sintonia il quadro normativo di Humanae Vitae con la tensione al rinnovamento alla luce del primato della coscienza che si respira in Amoris Laetitia".
Purtroppo a volte si ha un’idea di infallibilità magisteriale quasi meccanica, se non addirittura da raggiungersi con il consenso delle maggioranze. O si pensa che il Papa sia sempre infallibile in ciò che dice, perché ogni sua parola verrebbe dallo Spirito Santo, oppure che al contrario sia sempre non infallibile (quando non direbbe quello che tutti vogliono sentire), ignorando invece che c’è un’infallibilità ordinaria del magistero, la quale consiste nella reiterazione dello stesso insegnamento in modo diacronico: attraverso i secoli e quale patrimonio di una dottrina ritenuta sempre, dovunque e da tutti. Humanae Vitae ribadisce definitivamente (il Vaticano II si era chiuso lasciando aperta la questione sulla regolamentazione della nascite, quindi richiedeva una parola chiara e definitiva in merito), che l’atto coniugale deve essere sempre indirizzato alla procreazione. Ciò lo dice Paolo VI, ma facendo eco alla dottrina contenuta nella Rivelazione, insegnata dai suoi Predecessori e vissuta dalle famiglie cristiane. 

Se non è possibile cambiare l’insegnamento sulla morale sessuale di Humanae Vitae senza sovvertire la dottrina cristiana, con che argomenti si usa un'esortazione apostolica come Al per mettere in discussione un’enciclica?
Il tentativo teologico-morale di superare l’enciclica di Paolo VI consisterebbe non nel negare direttamente e apertamente l’insegnamento morale che contine, il che si configurerebbe come un'eresia conclamata, ma di superare piuttosto l’impostazione neoscolastica e giusnaturalistica che soggiace all’enciclica con un approccio più personalista. Amoris Laetitia contribuirebbe a spostare l’accento morale dalla legge alla persona e infine alla dignità della persona perfino nell’uso dei metodi naturali. Questo basterebbe per un cambio di paradigma nel valutare la dottrina morale che condanna la contraccezione: favorire la persona includendo in una moralità dell’amore idealmente fecondo i singoli atti sterilizzanti e contraccettivi. La parte nel tutto di un amore non troppo stretto e normativo come quello della legge naturale ed evangelica. Questo certamente, sebbene con belle parole, costituirebbe un sovvertimento della dottrina morale rivelata da Dio.

Come mai c'è tanta confusione in merito alla morale sessuale e perché questo è, di fatto, il punto più colpito da coloro che mirano a sovvertire le fondamenta del magistero cristiano?
La morale cristiana è l’applicazione concreta dei principi dottrinali rivelati e il compimento pratico del cammino verso la salvezza e la santificazione. Diluendo la morale diventa più facile accedere al dogma perché se ne dia un’interpretazione più consona ai tempi, in continua evoluzione rispetto alla storia degli uomini. Se però la dottrina morale viene indebolita da un approccio personale contro uno metafisico ed essenziale, il fondamento stesso della morale, che è Dio rivelante, diventa più morbido: potremmo così accostarci ad un Dio più Padre che giudice, più amico che maestro, ecc. E indebolita la morale, le verità di fede sono lasciate all’interprete di turno. Se infatti si dice che la contraccezione rimane in sé un male (ideale), ma nel concreto gli atti matrimoniali non si configurerebbero mai come contraccettivi perché animati dall’amore che supera le barriere delle scelte umane concrete, allora si mette in discussione l’identità naturale e sacramentale del matrimonio. Il matrimonio sarebbe un contratto ideale e non più la comunione indissolubile di tutta la vita, di tutte le scelte, di tutti gli atti. Negando la morale si nega prima la ragione e poi la fede.

Come risponde all’obiezione che si fa al cristianesimo di aver avvelenato la cosa più bella della vita, l’eros, con i suoi cartelli morali?

Dicono che la morale cristiana rappresenterebbe il tentativo di ingabbiare con regole normative un principio che invece si configura come vitale nell’uomo: il fluire della vita attraverso la passione e il desiderio. La disciplina cristiana avrebbe distrutto l’amore umano. Per recuperare i cocci di questo amore dovremmo quindi abolire la morale sessuale. Di fatti se si pensa che la morale coniugale di Humanae Vitae sia troppo stretta e difficile per le famiglie cristiane si sostiene proprio questa tesi. Peccato che liberandosi del cristianesimo la morale è riuscita a liberarsi perfino di se stessa: siamo infatti arrivati ad una vera dittatura del sesso e alla sua mercificazione. 

Perché fede e morale sono inscindibili? Cosa rispondere ad un mondo, anche cristiano, che ci convince che le norme e le regole di Dio sono secondarie alla fede?
Fede e morale sono inscindibili. La fede illumina il comportamento dell’uomo, mentre il comportamento morale rimanda alla fede creduta. Per avere un’idea molto precisa di questa inscindibilità dobbiamo pensare a Gesù che è via, verità e vita. Egli è la verità che attraverso la via ci conduce alla vita eterna. La verità è la fede, la via è la morale e la vita è il possesso eterno di Dio nell’amore. La morale dunque è la via illuminata dalla verità che ci conduce alla Vita. Eliminare la morale dalla fede significherebbe dire che Cristo è una verità astratta, una sorta di teorema matematico che non ha nulla a che fare con la nostra vita. Al contrario eliminare la fede dalla morale significherebbe ridurre la vita cristiana a un fare senza più l’essere, senza la Luce che viene dall’alto e perciò a una vita vuota. 

Come contrastare la secolarizzazione, interna anche alla Chiesa, mostrando la bellezza della legge naturale e divina?
Dicevo all’inizio che Humanae Vitae è stata profetica nel mostrare che la contraccezione è contraria alla verità dell’atto coniugale e alla verità dell’amore. Di fatti la deriva ipersessualista dei nostri giorni è nata dal manifesto di una libertà sessuale senza regole. Sconnettendo la procreazione dall’unione e favorendo solo quest’ultima in ragione dell’imperativo dell’amore siamo finiti, da un lato a dover proteggere soprattutto i più piccoli dalla manipolazione ipersessualista che regna e dall’altro a dover fare i conti con la fluidità del sesso, una sorta di reazione di massa al tentativo "pornomane" che regna un po’ dovunque e come volontà di uscire dalla gabbia dell’omologazione, facendosi invece una sessualità secondo i propri gusti. Il rifiuto dell’inscindibilità dell’amore e della procreazione sta producendo dei mostri di cui tutti ora paghiamo le conseguenze. Dovremmo perciò metterci dalla parte dell’enciclica di Paolo VI per essere profeti autentici e per salvare il mondo dalla deriva e l’uomo dalla perdizione eterna. Dobbiamo rispettare la legge di Dio e così costruire veramente una società umana. La Chiesa è chiamata ad essere profeta, ad insegnare la verità dell’amore di Cristo e non ad allinearsi alla mentalità del mondo. 



-IL CONVEGNO di Aurelio Porfiri

Un incontro internazionale sui 50 anni dell’enciclica Humanae Vitae si è svolto ieri presso l'Aula Magna della Pontificia Università San Tommaso d’Aquino (Angelicum) di Roma. Questa conferenza è stata organizzata da Voice of the Family, un coordinamento di 25 associazioni a livello internazionale che si prefiggono la difesa dell’insegnamento morale cattolico. L’aula magna, gremita di gente di ogni nazionalità, e molti giovani, ha visto alternarsi esperti da tutto il mondo nelle due sezioni, del mattino e del pomeriggio. In effetti è stato bello vedere come ci fossero molti giovani "normali", non persone "rigide" ma ragazzi e ragazze di oggi che hanno ascoltato pazientemente le relazioni svolte in tre lingue su temi non sempre di facile comprensione ma nondimeno così importanti per la nostra vita di tutti i giorni.

La conferenza si è aperta al canto del Veni Creator Spiritus, eseguito all'unisono da tutti i presenti e dalla preghiera iniziale guidata da Mons. Luigi Negri. I lavori sono stati aperti dalla prolusione del Cardinale Walter Brandmüller, che ha descritto il contesto dell’enciclica Humanae Vitae, soffermandosi in modo specifico sul tema della contraccezione (uno dei temi centrali dell'Humanae Vitae e che sarà poi naturalmente al centro di tutte le altre relazioni) con attenzione posta anche alle posizioni di altre confessioni cristiane in merito alla contraccezione stessa. La prolusione del Cardinale è stata accolta molto favorevolmente da tutti i presenti, come del resto tutte le altre relazioni in programma. 

John Smeaton (Direttore della Britannica Society for the Protection of Unborn Children), che ha presieduto la sessione mattutina di questo convegno, ha poi dato la parola al professor Roberto De Mattei, presidente della Fondazione Lepanto, il quale ha parlato del contesto storico della Humanae Vitae, sottolineando tra l’altro il ruolo avuto da teologi cattolici come Bernard Häring, Josef Fuchs e Louis Janssen e da istituzioni come l’Università di Lovanio nei cambiamenti nel campo della teologia morale rispetto agli insegnamenti cattolici tradizionali. 

Ha parlato poi il filosofo Professor Josef Seifert che ha presentato, con una relazione densamente analitica, un approccio filosofico all’enciclica del Beato Paolo VI, mettendo in luce i parametri di pensiero vitali che sono a fondamento del matrimonio cattolico. Il Professor Seifert nella sua relazione si è spesso richiamato anche all'insegnamento di San Giovanni Paolo II, con riferimento speciale all'enciclica Veritatis Splendor

È seguito poi l’intervento del teologo padre Serafino Lanzetta che ha parlato de “L’importanza teologica di Humanae Vitae per contrastare la secolarizzazione e la confusione nell’etica sessuale”, una lettura del documento alla luce della Rivelazione e della sana Tradizione Cattolica, con continui confronti, anche critici dove necessario, con altri documenti come Gaudium et SpesCasti Connubi e Amoris Laetitia. Specie a questo documento, come era facile aspettarsi, viene dedicata un’ampia sezione nella conclusione della relazione, sottolineandole alcuni punti controversi.  Certamente l'Amoris Laetitia non è stata assente anche dalle altre relazioni, ma ci sembra che il padre Lanzetta ha voluto precisare con più forza alcuni problemi che provengono da questo documento o dalle sue interpretazioni. Alla fine della sezione mattutina gli oratori hanno risposto ad alcune domande poste dagli astanti, domande che hanno rivelato un pubblico estremamente attento e informato. 

A margine della conferenza, il professor Seifert ha presentato l’Accademia Giovanni Paolo II per la vita umana e la famiglia, fondata recentemente. Questa Accademia intende riunire studiosi che affrontino le sfide urgenti che riguardano la vita, riaffermando la forza della morale cattolica tradizionale. L'Accademia si rivolge anche a studiosi non cristiani, perché per affermare alcune verità si fa appello alla semplice ragione, senza immediata necessità della fede.

Nella sessione pomeridiana, presieduta da Don Shenan BoquetPresidente di Human Life International,  sono state affrontate le questioni etiche da un punto di vista in qualche modo più pratico, mentre nella mattina ci si era soffermati più su contenuti dottrinali. 

Ha iniziato Jean-Marie Le Méné, presidente della Fondazione Lejeune in Francia, che ha esposto la visione sulla trasmissione della vita umana del servo di Dio Professor Jérôme Lejeune (1926-1994), genetista, pediatra e attivista, che fu primo presidente della Pontificia Accademia per la Vita. 

Successivamente un medico di base, Dr. Thomas Ward, fondatore e presidente della britannica National Association of Catholic Families che ha parlato della Humanae Vitae in relazione alle difficoltà della famiglia e agli attacchi verso cui questa istituzione è sottoposta. Ha colpito nell'appassionata relazione del Dottor Ward, la sua affermazione per cui gli ostacoli maggiori per implementare un insegnamento morale conforme alla tradizione Cattolica gli sono venuti spesso dal clero. Ma ha anche ricordato come il più grande incoraggiamento a proseguire nei suoi sforzi gli è venuto da Papa Giovanni Paolo II. 

Un altro medico ha fatto seguito, Dr. Philippe Schepens, segretario generale della World Federation of Doctors who Respect Human Life (Belgio) che ha dato la sua testimonianza soffermandosi sulle urgenti questioni di etica sessuale del nostro tempo dal suo specifico punto di vista, informato dal suo percorso professionale.

John-Henry Westen, Co-fondatore e Direttore di Lifesitenews, ha poi presentato una relazione dai toni molto forti già dal titolo: "La sovversione del Magistero: "autorizzare" il male intrinseco all'interno della Chiesa". Il relatore ha notato come alcune posizioni recenti della gerarchia non hanno aiutato a fare chiarezza ma hanno, in un certo senso, aumentato la confusione.

Monsignor Luigi Negri, Arcivescovo emerito di Ferrara-Comacchio, presente a tutto il convegno, ha concluso i lavori con un suo intervento, al quale ha fatto seguito il canto del Salve Regina, con cui i presenti si sono raccomandati alla protezione materna della Vergine Maria, alla sua intercessione per affrontare le sfide che un mondo secolarizzato ed una crisi della fede senza precedenti pongono in essere.





Saluti di John Smeaton presidente di Voice of the Family e intervento di apertura del cardinale Walter Brandmüller al convegno "Humanae Vitae 50 anni dopo: il suo significato ieri e oggi" #humanaevitae #amorislaetitia - Roma 28 ottobre 2017


qui il video




  • STATI UNITI

"Santità, quanta confusione". E il teologo viene "purgato"

Il teologo di fama internazionale Thomas Weinandy ha scritto una lettera al Papa sulla confusione nella Chiesa. Subito dopo essere stata resa pubblica sono arrivate le sue dimissioni, forse "gentilmente" richieste. Lo scontro in atto nella Chiesa Usa.

Ha scritto una lettera al Papa dicendo, apertis verbis, che il suo pontificato sembra contrassegnato da «una confusione cronica» e, lo stesso giorno in cui la missiva è stata resa pubblica, ha dato le sue dimissioni. Con ogni probabilità “gentilmente” richieste.

E’ la sorte toccata a padre Thomas G. Weinandy, 71 anni, teologo cappuccino di fama internazionale residente a Washington, che lo scorso 1 novembre ha reso pubblica sul portale web Crux sul blog del vaticanista Sandro Magister una lettera che era stata recapitata a Francesco nel luglio scorso. La conferenza episcopale statunitense, lo stesso giorno, ha pubblicato un comunicato a firma di James Rogers in cui si dice che «dopo aver parlato con il segretario generale della conferenza episcopale, padre Thomas Weinandy, OFM, Cap., si è dimesso immediatamente dalla sua posizione come consulente alla commissione Usccb sulla dottrina. Il lavoro della commissione è fatto a sostegno, in collegialità affettiva, con il Santo Padre e la Chiesa negli Stati Uniti. Le nostre preghiere vanno per il padre Weinandy mentre il suo servizio al comitato si chiude».

La lettera di Weinandy, membro della Commissione Teologica Internazionale e direttore esecutivo del segretariato per la dottrina della conferenza episcopale degli Stati Uniti dal 2005 al 2013, è stata redatta in modo sofferto. Addirittura, come racconta lo stesso padre, dopo aver chiesto un segno dal cielo. Comunque le critiche portate sono diverse, «in primo luogo», scrive, «c'è il controverso capitolo 8 di "Amoris laetitia". Non c’è bisogno qui di dire le mie personali preoccupazioni riguardo al suo contenuto. Altri, non solo teologi ma anche cardinali e vescovi, lo hanno già fatto». Perché «lo Spirito Santo è dato alla Chiesa, e in particolare a lei, per sconfiggere l'errore, non per favorirlo».

Poi stigmatizza quello che gli pare un atteggiamento di ostilità alla dottrina, perché «coloro che svalutano le dottrine della Chiesa si separano da Gesù, autore della verità». In terzo luogo, scrive il teologo «i fedeli cattolici possono essere solo sconcertati dalle sue nomine di certi vescovi, uomini che non solo appaiono aperti verso quanti hanno una visione contrapposta alla fede cristiana, ma addirittura li sostengono e difendono». In questo punto, secondo alcuni commentatori statunitensi, potrebbe ravvisarsi la causa prossima delle dimissioni di padre Weinandy. Perché il pensiero porta ad alcune nomine di Francesco all’interno della conferenza episcopale americana, ad esempio quelle dei cardinali Blase Cupich, Joseph Tobin e Kevin Farrel, oltre all’anziano cardinale Donald Wuerl, che possono essere stati punti nel vivo da questo passaggio e fatto sentire il loro peso al presidente dei vescovi Usa, il cardinale Daniel Di Nardo.

Ma si tratta solo di supposizione, certo è che la conferenza dei vescovi a stelle e strisce sta mutando pelle, seppure le resistenze siano fortissime. Il Papa, fin dal suo viaggio in Usa del 2015, ha proposto un cambio di passo ai vescovi americani, riorientandoli verso la sua sensibilità contraria alle “guerre culturali”. In fondo le dimissioni del teologo cappuccino sono un segno di una spaccatura che attraversa anche l’episcopato americano. Il cardinale Di Nardo ha poi rilasciato una dichiarazione in cui sottolinea come si debba svolgere «il dibattito nella chiesa», senza polarizzazioni di tipo politico che vengono enfatizzate dalla «stampa popolare».

Resta però il fatto che nel settore che la stampa tende a considerare come “conservatore” si riscontrano quasi tutte le prese di distanza poste in essere dall’attuale pontificato. E’ facile pensare alla non risposta data ai dubia dei quattro cardinali a proposito di alcuni passi di Amoris laetitia; il fatto di non aver mai ricevuto in udienza le quattro porpore seppure richiesto; la vicenda dell’Ordine di Malta e del cardinale Raymond Burke; la non conferma del cardinale Gerhard Muller a prefetto della Dottrina della fede; le riprese alle dichiarazioni del cardinale Robert Sarah, prefetto al Culto divino; il mutamento di pelle dell’Accademia per la Vita; la ri-fondazione dell’Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia.

Peraltro, padre Weinandy nella lettera ha espresso con chiarezza la sua principale preoccupazione. «Lei», ha scritto rivolgendosi a Francesco, «ha parlato spesso della necessità della trasparenza all'interno della Chiesa. Lei ha incoraggiato spesso, soprattutto durante i due sinodi passati, tutte le persone, specialmente i vescovi, a parlare francamente e a non aver paura di ciò che il papa potrebbe pensare. Ma lei ha notato che la maggioranza dei vescovi di ​​tutto il mondo stanno fin troppo in silenzio? Perché è così? I vescovi imparano alla svelta, e ciò che molti di loro hanno imparato dal suo pontificato non è che lei è aperto alla critica, ma che lei non la sopporta. Molti vescovi stanno in silenzio perché desiderano essere leali con lei, e quindi non esprimono – almeno in pubblico; in privato è un’altra cosa – le preoccupazioni che il suo pontificato alimenta. Molti temono che se parlassero con franchezza sarebbero emarginati o peggio».

Forse ha ragione il cardinale Di Nardo quando parla di come impostare il «dibattito» all’interno della Chiesa, cioè tenendo presente la regola di S. Ignazio per cui si deve sempre cercare di dare una buona interpretazione verso il prossimo più che condannarlo. E, scrive il capo dei vescovi Usa, ciò vale a maggior ragione per l’insegnamento del Santo Padre. Sarebbe però utile capire come mai, di fronte ad uscite che possono gettare confusione nel popolo di Dio, ad esempio alcune del vescovo di Anversa Johan Bonny, oppure del vescovo di San Diego Robert Walter McElroy, o del Generale dei gesuiti padre Arturo Sosa, non vi sia quello stesso zelo per evitare che i piccoli si confondano e la Chiesa venga attentata nella sua unità.







[Modificato da Caterina63 03/11/2017 18:00]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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05/11/2017 09:52
 
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Basta balle. Ai cattolici non frega niente dei luterani. Ed è reciproco.

di Francesco Filipazzi

La domanda è semplice, la risposta ancora di più. La pongo a chi, come me, frequenta parrocchie e chiese e parroci, avete per caso rilevato grande entusiasmo e fermento per il riavvicinamento, ipotetico o meno, dei cattolici con i luterani?

La risposta è, udite udite, assolutamente no. Il popolo cattolico non è minimamente interessato a questa idiozia. Ogni tanto qualche vescovo cerca di inscenare una cerimonia ecumenica, qualche parroco forse, ma sono azioni isolate, che coinvolgono un pubblico estremamente risicato, di gente precettata per l'occasione o marginalmente incuriosita da qualche aspetto culturale. Nulla d'altro. Il cattolico medio sa cosa sono i sacramenti e sa che questi non sono contemplati nel luteranesimo. Purtroppo "il popolo" è considerato alla stregua di una massa di mentecatti da parte di vescovi e cardinali, che si credono sempre i più furbi e intelligenti della situazione.

Le gerarchie sono scollate dalla base

Purtroppo i primi a non capire che non c'è alcuno spazio per un riavvicinamento, sono gli alti prelati, modernisti. Abituati a stare chiusi nelle loro curie, gli italiani agiscono principalmente per assunti ideologici che non hanno alcuna attinenza con la realtà. Forse qualcuno è in buona fede, ma lo scollamento con "la base" è evidente. C'è poi chi agisce per soldi, come i tedeschi, che vivono solo ed esclusivamente per grattare preferenze nel sistema di contribuzione tedesco, che prevede un contributo ben più corposo rispetto all'8 per 1000 italiano. La strategia sembra però fallimentare, perché la conferenza episcopale tedesca ha perso centinaia di migliaia di preferenze fra i cattolici e quindi ha perso molti soldi. Ciò spiega il tentativo, sempre dei crucchi e poi trasmesso al resto, di sposare i gay e di risposare i divorziati. Un tentativo di racimolare grana. Che fallirà.
Ci sono poi le pagliacciate come quella di Bruxelles, capitale di un Belgio un tempo fiore all'occhiello della cattolicità e oggi deserto spirituale ed esistenziale, dove i cattolici buoni vengono cacciati in malo modo e quelli meno buoni sono pochi e non hanno alcuna influenza sulla società.

La freddezza dei luterani

A dimostrazione dello scarso contatto con la realtà dei vertici cattolici, c'è la freddezza dei luterani verso le invasioni di campo di Bergoglio e verso l'afflato amoroso di alcuni cattolici. A parte sorrisi e strette di mano di circostanza, i protestanti non hanno nessuna voglia di farsi cattolici. E lo dicono pure. Certo anche nel loro caso alcuni fra le loro pseudo gerarchie spacciano una vicinanza inesistente, ma fior di pastori delle varie confessioni hanno dichiarato apertamente che non c'è alcuna possibilità di unità. Anche l'ormai risibile popolo protestante non fa i salti di gioia e di noi papisti se ne frega altamente. 
Soprattutto i luterani svedesi, aperti ad ogni porcata possibile in fatto di etica e bioetica, sono i primi a non trovare alcun punto di contatto con Roma. Non basta un'Amoris Laetitia qualsiasi per apparire più aperti agli occhi di chi è totalmente sbragato.
A spiegare che ci sono tre piccoli dettagli che non possono essere conciliabili ci ha pensato Margot Kassman, una voce piuttosto importante del mondo luterano, da qualcuno definita "papessa". Costei dice che i cattolici hanno una concezione del sacerdozio, del papato e dell'eucarestia che non può essere accettabile per i protestanti. Valle a spiegare che Bergoglio e soci stanno cercando di demolire proprio questi tre elementi, ma probabilmente la tizia lo sa, ma sa anche (forse più di certi cattolici) che i cambiamenti dogmatici non si fanno schioccando le dita, anzi non si fanno proprio.
Inoltre, e qui si svela un po' l'arroganza dell'ecumenismo d'accatto, la luterana dice apertamente che, nonostante ci siano fughe di fedeli da entrambi i lati, lei è comunque punto di riferimento di milioni di persone (che vede solo lei, ma vabbé) e che fare un frullato di tutte le confessioni cristiane non ha senso.
«Neanche i partiti si uniscono per mancanza di tesserati. In Germania ci sono comunque 45 milioni di persone che appartengono a una Chiesa, oltre la metà della popolazione. Mantenere un profilo autonomo ha quindi ancora senso». Qualcuno lo spieghi a Ravasi e soci.

L'unica unità è la loro conversione

Che dire, è chiaro che o si è protestanti o si è cattolici, tertium non daturLo aveva capito bene Benedetto XVI che con il motu proprio Anglicanorum Coetibus aveva dato facoltà ai pastori anglicani di ritornare a Roma, solo però dopo aver accettato a pacchetto completo l'insegnamento cattolico e, soprattutto, previa ordinazione sacerdotale cattolica
Inoltre per i pastori sposati è stata fatta una deroga, così come per i vescovi a cui è stato riconosciuto il rango di monsignori, ma è una deroga di fatto temporanea, utilizzabile solo da pastori che rientrano, non per chi vuole diventare prete cattolico ex novo. Sembra che questo metodo, che parte dal presupposto che sono loro che devono tornare a casa, perché noi ci siamo già, abbia dato buoni frutti. 
L'unica unità possibile fra i seguaci della cosiddetta Riforma e i cattolici può avere luogo solo se i primi abbandonano in toto Lutero e tutto ciò che ne discende. Oppure, ed è ciò che qualcuno fra i cattolici auspica, servirebbe un'apostasia di massa della Chiesa di Roma.
Sia chiaro, qui non stiamo dicendo che non si debba fare un tentativo per l'unità dei cristiani, ma questa unità è possibile solo nella vera fede e sotto Roma. Fingere che si possano trovare vie di mezzo insapori incolori e inodori è solo un vaneggiamento satanico, una presa in giro.
 
 

Luterani e cattolici uniti? Meglio di no. Parola di vescova

«Una riunificazione con i cattolici non è immaginabile né auspicabile». Parola di Margot  Kässmann, pastora protestante, ex presidentessa del Consiglio delle Chiese luterane, nominata  «ambasciatrice» e volto dei luterani nel mondo in occasione dei cinquecento anni della riforma. Concetti espressi in un’intervista all’Ansa. Interessante perché, mentre da parte cattolica c’è grande enfasi sul «cammino per la costruzione dell’unità visibile» (per usare un’espressione che va per la maggiore), Frau Kässmann dice con molta chiarezza che è meglio restare separati.

Dopo aver spiegato che «Lutero fu l’uomo che pose le questioni giuste nel momento giusto, in una Chiesa che aveva bisogno di riforme», colei che la stampa ha ribattezzato la «papessa dei protestanti tedeschi» spiega che ci sono almeno tre questioni sostanziali che inevitabilmente dividono: il sacerdozio, il valore dell’eucaristia e la funzione del papa. Questioni che non si possono aggirare. D’altra parte, aggiunge, «trovo che una Chiesa unica sia noiosa. Nella diversità c’è creatività, pluralismo».

Il fatto che sia i cattolici sia i luterani, precisa la pastora Kässmann, abbiano il problema della fuga dei fedeli non è sufficiente per auspicare una riunificazione: «Neanche i partiti si uniscono per mancanza di tesserati. In Germania ci sono comunque 45 milioni di persone che appartengono a una Chiesa, oltre la metà della popolazione. Mantenere un profilo autonomo ha quindi ancora senso».

Domanda dell’intervistatrice Rosanna Pugliese: ma la novità rappresentata da papa Francesco, così attento all’ecumenismo da recarsi personalmente a Lund per pregare con i luterani, non riduce le distanze?

Risposta: «No. Il linguaggio e i gesti del papa costituiscono certamente un ritorno alle radici del messaggio cristiano, e su questioni sociali ed etiche, come la critica al capitalismo e l’accoglienza di migranti e profughi, Francesco si è mostrato molto deciso, ma ciò non significa che appoggerebbe un cambiamento a livello dogmatico».

Margot Kässmann non precisa ulteriormente che cosa pensi quando dice «a livello dogmatico». In precedenza ha però citato i tre punti che ritiene nodali (sacerdozio, eucaristia, funzione del papa) lasciando dunque intendere che lì la divisione non è aggirabile.

Ma non basta. Poco oltre, rispondendo a una domanda sul perché la Chiesa evangelica sia «decisamente più veloce nel modernizzarsi» rispetto alla Chiesa cattolica, la signora spiega con decisione: «La Chiesa cattolica intende ancora se stessa come una mediatrice della salvezza, per arrivare a Dio. Nella Chiesa evangelica non è così: noi non amministriamo la salvezza. La Chiesa è solo un’organizzazione per i cristiani. E questo rende i cambiamenti più veloci». Infine aggiunge: «Una Chiesa resta comunque vitale se annuncia in modo vivo e lieto il Vangelo, non se insegue qualche forma di modernità».

Evviva la sincerità, verrebbe da dire. Mentre da parte cattolica molti discorsi «ecumenicamente corretti» si segnalano per la loro ambiguità e fumosità, ecco una presa di posizione chiara. Punto primo: la riunificazione non è possibile per questioni dogmatiche ben precise. Punto secondo: la riunificazione non è auspicabile perché rappresenterebbe inevitabilmente un appiattimento. Punto terzo: la differenza tra Chiesa luterana e Chiesa cattolica è tale, ed è così intrinsecamente legata alle rispettive nature, da metterle su due piani completamente diversi. Da un lato c’è un’organizzazioni di cristiani che non ha nulla da dire circa la salvezza, perché ritiene che la questione sia di esclusiva pertinenza dell’individuo e del suo rapporto con Dio. Dall’altro c’è invece una Chiesa che si pone come necessaria mediatrice tra la creature e il Creatore.

Nel corso dell’intervista la pastora esprime poi altri concetti. In questo nostro tempo, dice, «è la Chiesa che deve andare verso la gente, non più solo il contrario». In Germania, dove ci sono regioni in cui i fedeli si sono ridotti a circa il dieci per cento della popolazione, la sfida «è immane», sicché «occorre uscire dalle chiese, incontrare la gente per le strade e nelle piazze, e noi lo stiamo facendo, per esempio invitando le persone a chiacchierare, a prendere insieme un caffè».

Ma Lutero è ancora attuale in Germania? Sì, risponde. Nonostante la secolarizzazione, la cultura tedesca resta segnata dal luteranesimo. Infatti «del messaggio di Lutero sono cruciali ancora oggi alcuni aspetti: la traduzione della Bibbia, con la quale ha chiamato in vita la lingua tedesca; poi l’istruzione estesa a tutti (cosa che all’epoca fu davvero rivoluzionaria) e infine la dimensione etica nell’economia, perché Lutero voleva che si agisse in modo responsabile, con il lavoro, e questo segna ancora oggi il paese».

Da notare che l’attualità di Lutero, nel giudizio di Margot Kässmann, si pone tutta a livello culturale più che spirituale.

Qualche nota biografica aiuta a capire chi è Margot Kässmann e quale la sua tempra. Definita dalla stampa tedesca un incrocio tra Madre Teresa e Demi Moore (per via di una vaga somiglianza con l’attrice americana), è stata sposata per ventisei anni con un pastore protestante, Eckhard Kässmann, ma ha poi divorziato. Madre di quattro figlie, nel 2006 è stata colpita da un cancro al seno, ma lo ha affrontato e vinto. Classe 1958, teologa, autrice di numerosi libri, per dieci anni vescova luterana di Hannover, nel 1999 è stata eletta da venticinque milioni di fedeli delle Chiese riformate alla carica di presidentessa del Consiglio dei vescovi della Evangelische Kirche in Germania, ma nel febbraio del 2010 ha dato le dimissioni da tutti gli incarichi ecclesiastici dopo essere stata trovata ubriaca alla guida dell’auto di servizio, ad Hannover.

Disse in quell’occasione: «Ho commesso un grave errore, del quale sono profondissimamente pentita. Ma anche se me ne pento non posso e non voglio negare che sia l’incarico sia la mia autorità come vescova regionale e come presidente del consiglio risultano danneggiati. Il mio cuore mi dice inequivocabilmente: non posso rimanere nell’incarico con la necessaria autorità».

La vicenda ha fatto inevitabilmente scalpore, come era già successo in occasione del divorzio tra Margot e il marito Eckhard. In quel caso, mentre in Germania si sviluppava un dibattito sull’opportunità o meno delle dimissioni da parte della vescova Kässmann, lei si rivolse alle autorità della sua Chiesa rivendicando il diritto di continuare a svolgere le proprie funzioni pastorali. «Il fallimento del mio matrimonio – scrisse – non condiziona la mia vocazione al servizio della Chiesa. Intendo continuare a svolgere il compito affidatomi. Posso continuare a rappresentare un modello mantenendo un atteggiamento aperto, di trasparenza e autenticità». E in effetti le dimissioni non arrivarono, né le furono chieste.

Sono invece arrivate dopo l’episodio della guida in stato di ubriachezza, ma successivamente Margot Kässmann è stata comunque nominata «ambasciatrice» della Chiesa luterana nel mondo in occasione dei cinquecento anni dalla riforma. Ed è in questa veste che negli ultimi anni ha partecipato a numerosi incontri e ha dato diverse interviste.

Aldo Maria Valli

 



EDITORIALE

Si può essere d’accordo o meno con i contenuti della lettera del teologo consulente della Conferenza episcopale americana, il frate cappuccino Thomas G. Weinandy, che per le sue parole è stato privato di un ruolo di spicco, ma non si può negare che queste descrivano una realtà evidente, dando voce alle domande di tanti a cui il papa non ha dato risposta.

E non si può nemmeno negare che coloro che cercano di obbedire alla tradizione e alla dottrina millenaria della Chiesa, avendo chiesto al papa il motivo del suo parlare ambiguo (chi può negare che sia usato come non mai dai media anticlericali in loro favore e da tutti quei vescovi e prelati, valorizzati da Francesco, che sostengono apertamente la necessità di cambiare la dottrina o la liturgia in senso protestante?), spesso domandando udienza, non sono mai stati considerati né ricevuti dal pontefice. 

Ripetiamo, si può essere d’accordo o meno su quanto ha deciso di fare il cappuccino, ma non si può negare che questi siano i fatti e che questi suscitino quantomeno delle domande. Certo li si può provare a giustificare in tanti modi rendendoli così metodo, ma le conseguenze di tali atteggiamenti sono anche queste palesi: chiunque sollevi una domanda su affermazioni mai sentite prima da un pontefice, sull’anarchia nelle conferenze episcopali, sullo scandalo che si vive di fronte al ribaltamento della morale cattolica dilagante, viene letteralmente identificato come un nemico del papa e della Chiesa. 

Peccato che nei retroscena che precedono la pubblicazione della lettera di Weinandy emerge tutto il contrario, secondo un tratto comune a molti di quanti hanno agito dapprima chiedendo chiarimenti ed esprimendo preoccupazioni al pontefice e poi, dopo una mancata risposta e un mancato colloquio, pubblicandoli.

Il primo tratto è l’amore profondo per la Chiesa, fino al rischio di perdere il proprio ruolo o di essere messi ai margini. Come è accaduto al cardinal Burke o al cardinal Sarah che, esprimendo in ogni loro scritto o conferenza la propria fedeltà alla Chiesa e al Papa fino alla morte e il dolore per la confusione presente, hanno avanzato le loro domande o riaffermato la dottrina pagando con l’emarginazione. 

Così, al pari di Burke e Sarah, anche Weinandy ha scritto al pontefice "con amore per la Chiesa e sincero rispetto per il Suo ufficio. Lei é il Vicario di Cristo sulla terra, il pastore del suo gregge, il successore di San Pietro e così la roccia su cui Cristo costruirà la sua Chiesa”. E come sappiamo che i cardinali che hanno avanzato i “dubia” su Amoris Laetitia, e pure Sarah, hanno agito dopo aver speso ore e ore davanti al tabernacolo, così ha fatto Weinandy che lo ha raccontato confessando di aver pregato a lungo Dio e di avergli poi detto così: “Se vuoi che scriva qualcosa, devi darmi un segno chiaro. Questo è il segno che domando. Domani mattina andrò a Santa Maria Maggiore a pregare e poi andrò a San Giovanni in Laterano. Dopo di che ritornerò a San Pietro…Durante questo intervallo, devo incontrare qualcuno che conosco, ma non vedo da molto tempo…non può essere americano, canadese o inglese…dovrà dirmi nel corso della nostra conversazione: "Continui con il suo buon lavoro di scrittura". Il racconto prosegue con l’incontro di un vescovo (non americano, canadese né inglese) conosciuto 20 anni prima che aveva letto un suo libro e che gli diceva: “Continui con il suo buon lavoro di scrittura".

Un altro tratto, oltre a quello dell’amore per la Chiesa e della preghiera, è l'integrità di questi uomini, la cui reputazione e condotta santa e umile di vita sono noti. Infine, quanti hanno parlato sapendo di poter pagare con la perdita del proprio ruolo hanno dimostrato che la fedeltà alla parola del Signore (quindi alla sua persona) supera ogni altro bene.

Ma, come ha notato in una sua inchiesta Dan Hitchens, sono pochi ad essere pronti a soffrire così per la Chiesa. Infatti, fra teologi o guide perplesse, intervistati in quattro continenti, tanti non hanno voluto comparire pubblicamente per paura di perdere il posto di lavoro, ammettendo apertamente di non essere pronti al “martirio bianco”. Tanti altri invece preferiscono negare il problema apertamente, non reggendo il dolore della lacerazione o pensando di contribuire così a calmare gli animi. Peccato che intanto la menzogna, che nasce dall’ambiguità, continui a crescere sulla pelle dei fedeli e del mondo. Insieme alla chiusura e all’intransigenza di quanti parlando di ponti, chiudono le porte in faccia a chi domanda umilmente ragioni. 

Al contrario Weinandy ha agito con fede: non tanto calcolando le conseguenze di un gesto, ma la sua conformità al suo compito di teologo e alla volontà divina. Così come hanno fatto Sarah e i cardinali citati, fra cui sopratutto Meisner e Caffarra, la cui morte ed offerta di vita, parsa a molti come una sconfitta, per il cristiano è il coronamento supremo della vittoria. 

Perché non c’è sacrificio come quello non solo del proprio ruolo, reputazione, onore o del dolore nel vedersi rappresentati come i nemici di ciò che più si ama al mondo, ma della propria stessa vita che possa essere usato da Dio per la salvezza degli uomini e quindi della fede. Perciò, domandare umilmente ragioni di affermazioni e azioni contrarie ad essa o ambigue, coscienti del proprio compito di guide per amore della Chiesa e in conformità al mandato di Dio, è l’unica via per salvarla, costasse anche una perdita, un fallimento o l'esistenza stessa. Ché chi ha fede sa che ciò che per tutti è perdita, la morte del chicco di grano, per la Vigna del Signore è il seme più fecondo di vita.













[Modificato da Caterina63 07/11/2017 09:04]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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  • IL PRINCIPE DI QUESTO MONDO

Attacco al vescovo di Madison: il disegno del diavolo sulla Chiesa

 

Dopo il clamoroso caso del vescovo di San Francisco, Salvatore Cordileone, accusato nel 2015 dai media americani e da 80 intellettuali cattolici "adulti" (coloro che dividono fede e vita, pretendendo la Comunione come un diritto senza voler seguire Dio e la sua legge) che ne chiedevano la rimozione a papa Francesco, di essere un “omofobo” per aver chiesto alle scuole cattoliche della diocesi di insegnare la sessualità secondo il Catechismo della Chiesa cattolica, ora è il turno del vescovo di Madison (Wisconsin), Robert Morlino.

Se, infatti, Cordileone aveva ricevuto critiche non solo dal sindaco della città, dalla nota abortista Nancy Pelosi e dal vicegovernatore della California (dimostrando che lo Stato vuole farsi totalitario entrando in Chiesa) ma dagli stessi cattolici che avevano organizzato una manifestazione di protesta e firmato in ventimila una petizione, anche Morlino ha subìto lo stesso trattamento: è stata chiesta anche la sua rimozione a papa Francesco tramite una petizione che per ora ha raggiunto settemila firme, mentre la politica e il mondo mediatico si stanno scagliando contro di lui. Una seconda petizione è stata invece lanciata dalla DignityUsa che raccoglie quanti si definiscono con un ossimoro “cattolici Lgbt”. 

Morlino, come Cordileone, è stato dunque attaccato dall’esterno e dall'interno della Chiesa per aver chiarito con linee guida destinate ai suoi parroci ciò che prevede il Catechismo e il diritto canonico, spiegando che non si possono celebrare i funerali di peccatori pubblici che non hanno dato segni di pentimento provocando scandalo nei fedeli e condonfendoli su come è lecito o meno vivere. È bastato questo per accusarlo di odio nei confronti delle persone con tendenze omosessuali, che invece Morlino ha detto di voler aiutare e accompagnare, ricordando alla diocesi che la Chiesa apre le porte a chiunque “così com’è”, ma poi "Dio non desidera lasciarti allo stesso punto…ti vuole salvare", chiedendo “chi vuole venire dietro a me rinneghi se stesso e prenda la sua croce". Se infatti un peccatore decide per Cristo "dando anche un minimo segno di pentimento i funerali si celebrano”. Insomma tutte cose che la Chiesa dice da 2000 anni ma che il vescovo aveva solo chiarito su richiesta dei suoi sacerdoti immersi nella confusione.

È chiaro dunque che il mondo, di cui il principe è il diavolo, oggi non vuole più eliminare la Chiesa, ossia il corpo di Cristo figlio di Dio, dalla faccia della terra, ma si prefigge di piegarla al suo potere e alla sua "anticreazione". Infatti, entrato in essa seducendo fedeli e prelati, satana mira a sovvertire le norme del Creatore, disegnate per aiutare l’uomo a trovare la vita, così da raggiungere un risultato ancora più grande dell’eliminazione di Dio: sottometterLo a lui, una creatura che mai ha sopportato di esserlo, rendendo Dio un suddito e il Suo corpo, che è la Chiesa, un regno infernale dove si vive in ribellione alle norme della creazione. 

Ma come dimostrano i semplici che continuano a seguire Dio e i pastori come Morlino e Cordileone, disposti alla persecuzione pur di difendere la legge divina e la verità sull'uomo, le tenebre non prevarranno. Perché "mi sveglio ogni mattina convinto che la volontà di Dio sarà fatta per il mondo e per la mia vita in quel giorno", ha dichiarato Morlino ridendo pacifico di fonte all'affermazione di quanti lo accusano di non essere accogliete chiedendo la sua rimozione a papa Francesco, nella consapevolezza che il posto preparato a chi sceglie Cristo come suo Signore non è di questo mondo.










Bergoglio la pensava proprio come Caffarra e Burke

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Ad un anno dai Dubia, riportiamo un passo del cardinal Bergoglio, interrogato nel 2009 sul “rifiuto della Chiesa di impartire la comunione ai divorziati che si sono risposati” (Jorge Bergoglio, Papa Francesco. Il nuovo papa si racconta, p. 87).

La risposta di Bergoglio può oggi apparire sorprendente, perchè va nella direzione esattamente opposta a quella propugnata nelle tanto famose quanto volutamente ambigue note di Amoris laetitia.

 

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Bergoglio infatti si dichiarava in linea con il magistero di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, e chiudeva ricordando che, previa opportuna spiegazione teologica, “la gente capisce“.

Oggi chi pone la stessa domanda che allora formularono i due giornalisti intervistatori, anche se è un cardinale, non ottiene risposta, ma sordo ostracismo.

Bergoglio infatti ama parlare di parresia e di sinodalità, ma è sempre rigido e autoritario come ai tempi di Buenos Aires e non ammette che qualcuno lo contraddica o chieda chiarimenti.

Lo ha ricordato qualche volta lui stesso, alludendo alla sua direzza di carattere, ma anche Benedetto XVI in Ultime conversazioni.

Alla domanda del giornalista, Come faceva a conoscerlo (Bergoglio, ndr)? Benedetto risponde:

“Grazie alle visite ad limina e alla corrispondenza. L’ho conosciuto come un uomo molto deciso, uno che in Argentina diceva con molta risolutezza: questo si fa e questo non si fa. La sua cordialità, la sua attenzione nei confronti degli altri sono aspetti di lui che non mi erano noti”.

Cordialità e attenzione verso gli altri, per la verità, che molti cardinali, da Caffarra a Meisner, da Burke a Muller, da Brandmuller a Sarah e Zen… non hanno mai potuto sperimentare.

Come del resto i Francescani dell’Immacolata e le altre famiglie religiose perseguitate, magna cum misericordia, spesso senza neppure una spiegazione o un incontro di chiarimento.



Un Vescovo scrive alla Santa Sede

vescovo_sedeHistoria magistra vitae: guai a chi ne dubita!

L’Ottocento teologico si è concluso tristemente-felicemente con la condanna dell’americanismo da parte di papa Leone XIII che nel 1899 firmò l’importante Lettera Testem benevolentiae. L’americanismo era una tendenza diffusa nel clero statunitense la quale magnificava il liberalismo e la separazione Stato-Chiesa, e dava maggior importanza alle opere concrete piuttosto che alla vita spirituale, alle virtù naturali rispetto a quelle sovrannaturali, all’attività pratica tendenzialmente orizzontale, scartando dall’orizzonte del sacerdote moderno l’ascesi, la penitenza, la mortificazione. Interessante sarebbe ristudiare oggi, con distacco ed imparzialità, la figura e il ricchissimo magistero di Gioacchino Pecci (1810-1903), un pontefice assai meno noto e celebrato del suo predecessore Pio IX (1792-1878) e del suo successore s. Pio X (1835-1914).

 

Il Novecento teologico si è aperto dal canto suo con l’enciclica Pascendi (1907) con cui Pio X illustrava, analizzava e censurava gli errori del modernismo, in qualche modo affini a quelli dell’americanismo, ma ben più estesi e radicali. Secondo Papa Sarto infatti il modernismo non è una semplice eresia, come ce ne furono sempre, dalla fondazione della Chiesa da parte del Maestro sino ad oggi, ma è la “sintesi di tutte le eresie”, la quale finisce immancabilmente nell’ateismo: né più né meno.

10 anni fa, per il centenario dell’enciclica, la casa editrice Cantagalli di Siena offrì ai cattolici italiani una nuova edizione ed una migliore traduzione della Pascendi, con un inquadramento storico-teologico di Roberto de Mattei. Addirittura, secondo lo storico romano “Nessun documento del Magistero pontificio del Novecento ha la portata teologica e la forza profetica della Pascendi” (Pio X, Pascendi dominici gregis, Cantagalli, 2007, p. 9). Ed in effetti, col senno di poi, questo giustizio sembra sempre più vero, ogni giorno che passa.

D’altra parte, anche dopo il Concilio Vaticano II (1962-1965), i sommi pontefici Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, hanno segnalato errori ed ambiguità nel pensiero cattolico e in seno alla Chiesa. E ciò fu a loro onore: l’istituzione ecclesiastica, soprattutto nell’evo moderno, non si è limitata a condannare le ambiguità teologiche o filosofiche ad extra (come il razionalismo, l’agnosticismo, il socialismo o l’ontologismo). Ma anche e soprattutto gli errori interni alla comunità ecclesiale, come il fideismo, il quietismo, il cattolicesimo liberale, il sincretismo e il millenarismo, tutti errori sostenuti da illustri teologi, prelati e persino successori degli apostoli…

La differenza con l’epoca pre-conciliare a ben vedere appare questa. Quando Leone XIII condannò l’americanismo, la Chiesa condannava l’americanismo. Quando Pio X censurò il modernismo, era la Chiesa come tale che lo rigettava.

Ma quando Paolo VI condannò la contraccezione con l’Humanae vitae (1968) o Giovanni Paolo II l’aborto e l’eutanasia con l’Evangelium vitae (1995), parve piuttosto una condanna dei soli pontefici e non dell’insieme della cattolicità e dell’episcopato.

Proprio nel rango dei Vescovi infatti, in questi ultimi 40 anni, si sono registrate deviazioni, eresie e aberrazioni tali da creare una confusione e una frammentazione, forse mai vissuta dal cattolicesimo.

Alcuni vescovi però, con lo slancio degli Apostoli e lo zelo dei martiri, hanno continuato a servire la verità tutta intera e non le mode, e in tal modo hanno seminato sul terreno buono e non nel deserto.

Il combattivo sebbene quasi ottuagenario mons. Antonio Livi ha appena pubblicato una raccolta di lettere di mons. Mario Oliveri, vescovo di Albenga-Imperia dal 1990 al 2015, in cui il presule chiedeva alle autorità ecclesiastiche il pane della verità e la repressione del veleno dell’eresia (cf. Mario Oliveri, Un Vescovo scrive alla Santa Sede sui pericoli del relativismo dogmatico, casa editrice Leonardo da Vinci, Roma 2017, pp. 130, euro 20).

Si tratta di 23 distinte lettere che mons. Oliveri indirizzò a vari organismi della Santa Sede, anzitutto alla Congregazione per la dottrina della fede, in un lasso di tempo che coincide con il periodo del suo episcopato ligure. La prima è del 1993, l’ultima del 2011.

Il filosofo Livi ha presentato, scelto e curato scientificamente queste epistole, ben inquadrandole nel clima di apostasia religiosa, di trasgressione morale e di relativismo dottrinale della fine del secolo scorso, continuato e aggravatosi in questi primi lustri del III millennio della Redenzione. La spaventosa crisi morale contemporanea e il secolarismo interno alla Chiesa, non hanno infatti atteso le dimissioni di Benedetto XVI (2013) per manifestarsi, ma le hanno precedute di oltre mezzo secolo.

Secondo Livi, i richiami dottrinali di Oliveri, che toccano temi vari come il rapporto con gli Ebrei e l’ecumenismo, la liturgia e la dogmatica, mostrano la sua impavida resistenza alla “ideologia dell’umanesimo ateo che già da decenni […] andava corrompendo la fede e i costumi del popolo cristiano, avvalendosi non solo del preponderante influsso della cultura secolarizzata ma anche del cedimento dottrinale di gran parte della teologia cattolica” (p. 10).

Così, le lettere rispettose e ferme che per anni il Vescovo ligure inviò a Giovanni Paolo II in persona, al cardinal Ratzinger, al cardinal Arinze, e quindi a Benedetto XVI, “nascono dalla preoccupazione che vada perduto non qualche elemento secondario o contingente della sacra Tradizione, bensì proprio l’essenziale di essa” (p. 11).

Gli errori che Oliveri vedeva serpeggiare nella sua diocesi negli anni’ 90 del secolo scorso oggi sembrano la dottrina ufficiosa-ufficiale di interi episcopati i quali, scientemente, tacciono su ciò che divide (l’unicità della Rivelazione cristiana, l’esistenza del peccato dell’inferno e del purgatorio, la realtà nociva del demonio, la gravità insopprimibile dell’aborto, del divorzio, dell’eutanasia, della fornicazione, della bestemmia, etc.) e parlano a sproposito su ciò che unisce nel mare del nulla (pace, amore, progresso, inclusione, migranti, democrazia, femminismo, etc.).

Il coraggio e lo zelo dei profeti di ieri sia sprone a tutti noi che vogliamo essere veri profeti del domani.










[Modificato da Caterina63 14/11/2017 12:41]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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14/11/2017 14:01
 
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Buongiorno Padre Leonardo.

Buongiorno..

Grazie per aver accettato questa intervista.

Con piacere..

Dunque lei è sacerdote della Parrocchia Sant’Agata a Villabate.. giusto?

Giusto..

Da quanto tempo?

Da quattro anni, quasi cinque..

La sua Parrocchia è vicina a quella di San Giovanni Bosco dove Don Alessandro Minutella è stato cacciato dal Vescovo Lorefice.. giusto?

Giusto giusto.. Nella diocesi di Palermo.. sono a pochi chilometri di distanza questa Parrocchia e quella di San Giovanni Bosco..

A proposito.. non è che avrà avuto anche lei problemi con il Vescovo..?

Mah.. eeeh.. io cerco di fare il mio dovere di sacerdote. Di farlo bene, con impegno, con dedizione, con amore di Dio, con servizio verso il mio prossimo che devo amare come me stesso. Io non mi pongo il problema di andare d’accordo.. io penso di fare il mio dovere sempre.. perché un giorno, nel giorno della mia morte io non renderò conto a nessun altro se non a Dio solo..

Lei conoscerà sicuramente Padre Alessandro Minutella..

Che cosa ne pensa di tutta questa vicenda che sta facendo parlare tutta Italia del resto?

Quello che penso di Padre Alessandro Minutella è che Padre Alessandro è un Santo sacerdote, che sta soffrendo molto ed è proprio in questa sua sofferenza che noi ci siamo avvicinati a livello spirituale, anche a livello di amicizia perché noi apparteniamo a generazioni diverse: io sono molto più anziano di lui, però ecco.. questa vicenda ci ha molto avvicinato..

Ha fortificato il vostro rapporto..

Sì, ha fortificato il nostro rapporto..

Questa vicenda molto dolorosa ci ha fortificati, ha creato questo legame..

Quindi in base a quanto mi ha appena detto chiaramente non pensa che Padre Alessandro sia matto come vogliono far credere ‘Le Iene’..

Assolutamente no.. assolutamente no..

E quindi sarebbe più dell’idea che ci sia un piano massonico per distruggerlo proprio perché vuole difendere la sana dottrina cattolica?

Lei che cosa ne pensa?

Mah io penso quello che pensava il grande filosofo Aristotele, il quale diceva: “Omne quod movetur ab alio movetur”: tutto ciò che viene mosso, viene mosso da qualcos’altro.

E allora la mia domanda è: chi ha mandato ‘le Iene’?!

Chi lo ha fatto, abbia il coraggio di dirlo, se ne è capace..

Secondo lei padre Alessandro verrà scomunicato?

Mah è proprio di questi giorni che gli è stato chiesto di fare un atto di sottomissione al Sommo Pontefice.. che lui ha fatto comunque.. perché anche nella Professione di Fede che noi facciamo quando riceviamo il mandato di Parroco, noi facciamo atto di sottomissione.

C’è questa formula che io porto sempre in tasca per una mia devozione e che dice proprio così.. dopo aver professato il Credo, il simbolo niceno-costantinopolitano.. diciamo:

Credo pure con ferma fede tutto ciò che è contenuto nella parola di Dio scritta o trasmessa e che la Chiesa, sia con Giudizio solenne sia con Magistero ordinario universale propone a credere come divinamente rivelato. Fermamente accolgo e ritengo anche tutte e singole le verità circa la Dottrina che riguarda la fede o i costumi proposte dalla Chiesa in modo definitivo. Aderisco inoltre con religioso ossequio della volontà e dell’intelletto agli insegnamenti che il Romano Pontefice o il Collegio Episcopale propongono quando esercitano il loro Magistero autentico sebbene non intendano proclamarli con atto definitivo”.

Però, se posso permettermi, vorrei sottolineare il fatto che, in primis, mio modesto e umile parere, uno dovrebbe giurare fedeltà a Dio Padre, alla Madonna, ai Santi.. no? E poi in secondo luogo al Vicario di Cristo che segue la sana Dottrina Cattolica..

Perché se si giura fedeltà all’uomo.. l’uomo di per sé può sbagliare.. no? Qualunque uomo può sbagliare..

E se si insiste nel voler sempre basare tutto sull’uomo io penso poi ci sia il rischio di commettere un errore ponendo l’uomo stesso al di sopra di Dio..

Non si rischia di dare questa impressione? Di voler porre l’uomo sopra Dio..?

Guarda fu il Concilio Ecumenico Vaticano I a definire il dogma cioè una verità da credere assolutamente, dell’infallibilità del Sommo Pontefice. E il Concilio Vaticano I ha detto questo:

Romanum Pontificem cum ex cattedra loquitur, id est, cum omnium christianorum pastoris et doctoris munere fungens, pro suprema sua apostolica auctoritate doctrinam de fide bel moribus ab universa ecclesia tenendam definit, per assistentiam divinam..” eccetera eccetera..

Cioè il Concilio Vaticano I ha detto che il Romano Pontefice quando parla ‘ex cattedra’ e attinge alla sua suprema autorità apostolica.. quando indica che una dottrina deve essere tenuta e creduta da tutti i cristiani del mondo.. ecco, allora in quel caso ha l’assistenza dello Spirito Santo.

Questo è il dogma della Chiesa.

E quindi è chiaro che l’infallibilità del Sommo Pontefice è legata in alcuni momenti.

Quando per esempio Pio IX definì il Dogma dell’Immacolata Concezione, bhè quello è un dogma.. lì c’è lo Spirito Santo.. il Papa non può sbagliare..

O quando Pio XII definì il Dogma dell’Assunzione di Maria in cielo in anima e corpo.. ecco lì non si può sbagliare..

Secondo me anche l’Enciclica ‘Humanae Vitae’ di Paolo VI ha il carisma dell’infallibilità. L’Humanae Vitae riguarda la contraccezione, i metodi contraccettivi. Paolo VI indicò che solo il metodo naturale è consentito dalla morale cristiana. Ecco io penso che anche l’Humanae Vitae abbia il carisma dell’infallibilità perché Paolo VI la diede a tutti i cristiani del mondo come dottrina da definirsi e da tenere.

Ritornando al tema delle scomuniche.. visto che abbiamo parlato del rischio della scomunica per Padre Alessandro volevo chiedere..

Ma tutti i preti pedofili di cui Bergoglio ha ampiamente parlato nel corso degli anni sono mai stati scomunicati?

Eppure ora un sacerdote che coraggiosamente contesta certe aperture, a dire il vero dannose per la Chiesa e vuole difendere la sana Dottrina cattolica, rischia non una ma ben due scomuniche.

Davvero curioso.. non crede?

Mah questi sono i misteri della chiesa, i misteri della vita cristiana..

Io proprio oggi citavo nell’omelia Sant’Atanasio. Nel IV secolo tutta la Chiesa nel mondo, la Chiesa cattolica istupidì, istupidirono tutti e tutti diventarono ariani. Ario negava la divinità di Cristo. L’unico che difese la verità cattolica fu Atanasio, il quale fu scomunicato ed ebbe quattro scomuniche.

Quindi don Alessandro sembra che ne abbia avute due..

No, non ancora a quanto pare..

Non ancora.. Speriamo di no..

Ci appelliamo alla misericordia di chi sta in alto.. visto che si parla sempre di misericordia..

Ci appelliamo però a chi sta sopra Bergoglio (riferimento a Dio)..

Perché questa chiesa della misericordia sembra un po’ dittatoriale.. non le sembra..?

Sì sì sì sì..

Quindi è sulla buona strada Padre Alessandro..

E’ sulla buona strada della santità..

Anche Padre Pio..

Padre Pio ebbe una ‘scomunica’ un po’ particolare.. nel senso che gli proibirono di incontrare persone, di confessare, di scrivere lettere..

Padre Pio, da quello che ricordo, non ebbe una vera sospensione ‘a divinis’ perché continuò a celebrare messa, però dentro la sua stanza.. cioè non poteva più avere contatto con nessuno..

Diciamo che Padre Pio ebbe una quasi scomunica. Eppure anche lui è Santo.

Sembra che sia questo il destino dei Santi: passare attraverso una grande tribolazione.

Secondo lei padre Alessandro ha un dono?

Mi spiego meglio.. nel corso della storia Dio ha sempre dato agli uomini, specie nei momenti più difficili, guide affinché le anime potessero essere attirate alla verità.

Dio ha donato profeti. Persone che parlavano per conto di Dio anche per mettere in guardia il popolo.

Secondo lei Padre Alessandro può essere una di queste?

E non le sembra che oggi venga un po’ tutto ridicolizzato e non si creda più al fatto che Dio possa dare dei segni?

Sì, oggi c’è un ateismo diffuso anche dentro la chiesa.

Oggi, Dio se vuole parlare.. o la Madonna se vuole parlare ai suoi figli.. deve chiedere il permesso a chi di dovere..

Oggi purtroppo non c’è questa apertura al mistero soprannaturale, eppure il cielo è vivo.

Se io sono vivo, io parlo, comunico in qualche modo..

Oggi non si crede più.. molti cristiani, sono cristiani di nome ma non credono più nella realtà viva del cielo, nella realtà viva di Dio che è in mezzo al suo popolo: “Ecco io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo”.

D’altra parte oggi si contestano le manifestazioni mistiche.. chiamiamole così.. ma l’ultimo libro del Nuovo Testamento è un libro di mistica. L’apostolo San Giovanni dice: “Io Giovanni vidi”. Ed è l’ultimo libro del Nuovo Testamento. Cioè finisce il tempo della scrittura e inizia il tempo della Chiesa e inizia con un’esperienza mistica che è quella di San Giovanni apostolo esiliato nell’isola di Patmos.

E invece per ciò che riguarda Padre Alessandro..?

Secondo lei è un dono? Secondo lei può essere una di queste guide?

Sicuramente sì. Io ho grande stima di Padre Alessandro. E come ho detto chiaramente, perché io parlo con chiarezza, senza ambiguità.. Padre Alessandro per me è un Santo sacerdote. E proprio perché è un Santo sacerdote sta passando attraverso il fuoco.

Ora parliamo un po’ più in dettaglio di questa nuova chiesa di Bergoglio. 

Che cosa ne pensa di questa reintegrazione di Lutero?

Quando persino Padre Pio condannò a suo tempo Lutero e Calvino e quando anche la Beata Serafina Micheli ha visto lo stesso Lutero all’Inferno.

Come si spiega questa decisione?

Eh.. qui è inspiegabile.. è chiaro che non sono d’accordo con questo indirizzo.

Guardi.. io penso ci sia un impazzimento generale..

Io molte volte mi sono chiesto: ma come è possibile? C’è un impazzimento generale.

Cosa ne pensa delle messe ecumeniche e del fatto che stanno lavorando per cambiare le parole che normalmente si pronunciano affinché il pane e il vino diventino vero Corpo e vero Sangue di Gesù Cristo? Non è grave secondo lei?

Più che grave direi che è blasfemo.

Io ho già avvisato i miei parrocchiani, quando vanno in altre messe, in altre chiese ad aprire gli occhi e soprattutto ad aprire le orecchie perché se vedono una virgola cambiata nelle parole della Consacrazione..

Ecco appunto.. vorrei che lei cogliesse l’occasione per lanciare un messaggio a tutti i fedeli d’Italia in merito a questo fatto delle messe ecumeniche e relativamente al fatto che magari si tratta di una modifica di poche parole.. ma quelle poche parole annullano il significato stesso della messa.. annullano la messa stessa..

Se il prete ha la superbia di cambiare le parole della Consacrazione..

è un atto blasfemo, una profanazione cambiare le parole della Consacrazione e in quel caso, come io già ho detto ai miei fedeli, non c’è la Transustanziazione: non c’è il cambiamento della sostanza. Cioè il pane non è più il Corpo di Cristo. Il vino non è più il sangue di Cristo.

E allora invito tutti i fedeli d’Italia ad aprire le orecchie.

Le parole della Consacrazione sono: “Prendete e mangiatene tutti, questo è il mio Corpo offerto in sacrificio per voi. Prendete e bevetene tutti, questo è il calice del mio Sangue per la nuova ed eterna Alleanza, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati. Fate questo in memoria di me.

Io la Consacrazione la faccio sempre in latino ma queste parole della traduzione italiana provengono da quello che la Chiesa ha sempre fatto in duemila anni.

Che cosa ne pensa di quei sacerdoti che poco tempo fa hanno dato una comunione simbolica ai musulmani?

Perché quelli non sono stati scomunicati?

Impazziti. Non ho altro da dire.

Che cosa ne pensa di quei sacerdoti che benedicono coppie gay e lesbiche?

Nessuno di quei sacerdoti è stato scomunicato..

È vero, siamo tutti figli di Dio ma proprio perché siamo tutti figli di Dio chi è in errore, magari non sapendolo, è giusto che sia corretto.. proprio perché la Chiesa dovrebbe avere a cuore la cura ma soprattutto la salvezza delle anime..

A lei la parola..

Un buon medico cerca la salute del malato e dà al malato.. questo lo diceva San Tommaso D’Aquino.. il medico bravo dà al malato le medicine anche dolorose..

Quindi lei non è dell’idea: “Chi sono io per giudicare..?”

No no, la fede giudica, altroché.

Proprio perché ha a cuore la salvezza delle anime, quando io mi trovo davanti un uomo, un essere umano, quella è un’anima da salvare e devo dargli la medicina giusta perché questo possa realizzarsi.

In questo senso la fede giudica. Non dobbiamo giudicare nel senso di condannare la persona perché quella è un’anima da salvare.

Quindi è giusto non condannare la persona ma correggerla sul comportamento..

Correggere certo..

La persona qualche volta deve essere anche ammonita severamente, scossa.. ma questo è un atto di amore, non è un giudizio.

Secondo lei facendo riferimento a tutto quello che sta accadendo all’interno della chiesa di Bergoglio.. non crede ci siano numerosi riferimenti con ciò che aveva profetizzato tempo fa la Beata Anna Katharina Emmerick quando parlò della costruzione di una chiesa di stampo umano che non faceva di certo parte dei piani di Dio?

Lei che cosa ne pensa?

Penso che la Beata Anna Katharina Emmerick ha profetizzato la cosa giusta: la chiesa sta diventando una chiesa stravagante..

Quindi lei pensa che la Beata Anna Katharina Emmerick abbia profetizzato la chiesa che sta nascendo in questo periodo?

Sì sì sì sì..

Perché secondo lei Dio permetterebbe questo? Per far scegliere all’uomo definitivamente da che parte vuole stare? Se con la vera Dottrina cattolica, con Gesù Cristo, la Madonna, i Santi oppure con questa chiesa di stampo umano, covo di serpenti, scorpioni e massoni..

Lei cosa ne pensa?

Io mi rifaccio alle parole del Santo ‘il vecchio’ Simeone che quando tenne il Bambino Gesù tra le braccia disse la famosa preghiera del ‘nunc dimittis’..

Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori.

Questa crisi tremenda che la Chiesa sta attraversando è permessa da Dio perché siano svelati i pensieri del cuore.. di ogni cristiano e anche di ogni sacerdote..

Perché è nel momento della lotta che si vede il valore di un soldato.

In tempo di pace non si vede niente. Ma è laddove ferve il combattimento che si vede quanto un soldato è valoroso.

Secondo lei stiamo vivendo nel periodo dell’Apocalisse  ad esempio al cap. 12 dove si dice: “Guai a voi terra e mare” e cap. 13 quando si parla della “bestia venuta dal mare” ?

Non le chiedo chi secondo lei può essere la bestia venuta dal mare per evitarle pesanti ritorsioni ma mi dica solo se lei ritiene sia già presente..

Il drago le ha già dato il suo potere?

E magari fa credere al mondo intero che invece il suo potere l’ha ricevuto dallo Spirito Santo..

Alla fine lei mi insegnerà che il demonio è molto astuto e sa come camuffarsi, nascondersi e nel frattempo portare milioni di anime nell’oblio.

Ma guarda io devo confessarti che non sono stato mai un grande appassionato dell’Apocalisse però sicuramente ti posso dire che in questo momento c’è un combattimento spirituale tra il bene e il male. La lotta tra la Donna e il drago è in atto. E noi siamo dentro questo combattimento.

E’ un tempo in cui si sta manifestando la bestia. Questo sì.

E’ la lotta tra il drago e la Donna. Tra il serpente e la Donna.

Porrò inimicizia tra te e la Donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe”.

Questa guerra che c’è in atto, questa guerra spirituale è voluta da Dio, perché Dio ha posto un’inimicizia insanabile tra i figli della luce e i figli delle tenebre.

E quindi Dio dà la possibilità alla bestia di manifestarsi.. come quando Dio permette al demonio di fare quello che fa.. si tratta sempre di permissione divina..

Certo..

Quindi Dio dà all’umanità la bestia proprio per..

Per manifestare i pensieri del cuore..

La bestia è nell’umanità.

C’è una presenza demoniaca nell’umanità di oggi. E questa presenza demoniaca è evidente in quello che dicevo poco fa: nell’impazzimento generale. La gente oggi è impazzita.. a livello sociale.. a livello ecclesiale..

Non è solo confusione.. perché ci può essere confusione tra persone che ragionano. La gente oggi e lo ribadisco a chiare lettere.. è impazzita!

A proposito.. visto che abbiamo parlato di anime nell’oblio.. lei crede nell’esistenza di Inferno, Purgatorio e Paradiso?

Ci mancherebbe..

Può sembrare una domanda scontata ma lei sa bene che all’interno della Chiesa non tutti credono nell’esistenza, più che del Paradiso.. dell’Inferno e del Purgatorio..

Perché in questa nuova chiesa di Bergoglio si tende quasi sempre e soltanto a far vedere la faccia di un Dio misericordioso quando in realtà è anche un Dio giusto? Sembra quasi ci sia una diabolica volontà di annullare il peccato.. lei non crede?

Certo certo..

Ma per me che sono un tomista queste domande mi fanno sorridere..

E’ chiaro che io credo nel Paradiso, nel Purgatorio e nell’Inferno e che molti purtroppo non ci credono soprattutto all’interno della Chiesa.. molti preti.. molti vescovi non credono più.. o comunque non parlano più dell’Inferno..

Il mondo ultraterreno viene concepito in una maniera quasi buddista: un nirvana.. una beatitudine che non si sa bene che cosa sia..

Mentre il mondo ultraterreno è un mondo esatto, preciso.

E perché secondo lei questa volontà quasi di nascondere il peccato, il Purgatorio, l’Inferno..? Perché?

Cioè secondo lei c’è questa volontà di nascondere?

Sì, c’è questa volontà di nascondere o comunque non ci credono perché fa comodo non credere nell’esistenza dell’Inferno..

Perché se io credo nell’esistenza dell’Inferno.. credo nell’esistenza del peccato e del Giudizio di Dio e quindi non devo peccare.. ci mancherebbe..

Perché il pensiero dell’Inferno mi ritrae dal commettere i peccati e questo non è comodo in fondo..

In fondo per noi è molto più comodo credere nell’esistenza di un Dio che perdona tutto, qualunque cosa facciamo.. Lui è la misericordia..

E Dio effettivamente perdona tutti e tutto ma…..?

A patto che l’uomo si converta e che cambi la sua vita..

Ma questo è il Catechismo che si studia da bambini..

E’ il Catechismo che si studia da bambini..

Ma forse qualcuno nei piani alti della chiesa se l’è dimenticato..

Eppure vedi.. una cosa così ovvia.. così elementare direi.. la stanno stravolgendo..

E allora io ritorno a dire che stanno impazzendo. C’è un impazzimento generale. Lo ribadisco in maniera forte.

E ma dovuto a che cosa questo impazzimento?

Dovuto a una permissione di Dio che ha dato campo libero al demonio perché siano svelati i pensieri del cuore di ogni uomo.

Ho capito però.. non tutti impazziscono..

Perché alcuni impazziscono e altri no.. anche all’interno della chiesa..?

Perché si svelino i pensieri del cuore. Perché ci sono quelli che vogliono rimanere..

Ci sono quelli che vogliono rimanere ancorati alla Dottrina cattolica della Chiesa..

Esatto.. esatto

Ma ci sono quelli che la vogliono distruggere…

Sì la vogliono distruggere per la loro comodità..

Perché, diciamo la verità.. il punto è quello.. fa comodo credere in un Dio che perdona tutto.. in un Dio che ama il mondo.. eccetera eccetera..

Però così ci si pone sopra Dio.. perché se si vogliono stravolgere anche le Sacre Scritture ci si pone sopra Dio..

Sì.. tieni conto che ci sono preti che benedicono le coppie lesbiche.. benedicono le unioni civili.. i gay..

Ognuno fa quello che vuole.. questo è il succo del discorso..

Poi però quando ci sono sacerdoti come Padre Alessandro che invece.. a differenza di quelli che fanno come vogliono.. cercano di difendere la sana Dottrina cattolica allora poi sono flagellati..

E questo vale per Padre Alessandro e anche per lei Padre Leonardo..

Sì sì sì..

Lei non crede che a causa dello stravolgimento della dottrina cattolica da parte di Bergoglio ci possa essere il rischio di un vero e proprio scisma?

Ma lo scisma di fatto c’è già… Però non è dichiarato..

Questo scisma è tra la chiesa stravagante che aveva profetizzato la Beata Anna Katharina Emmerick e la Chiesa che vuole mantenersi fedele.

Di fatto, come diceva il Cardinale Caffarra: “Soltanto un cieco non si accorgerebbe della confusione che c’è nella chiesa di oggi..

Fu una delle ultime frasi famose dell’Arcivescovo emerito di Bologna, il cardinale Caffarra..

Nella chiesa c’è una guerra in atto.. c’è uno scisma.. che scende dall’alto e poi penetra nella Diocesi.. penetra tra le parrocchie e dentro le parrocchie.

Questo scisma c’è anche nella mia parrocchia dove c’è una parte che mi odia e che segue queste nuove idee e invece c’è una parte che è fedele a Dio, che ama Dio..

Perché poi alla fine la differenza tra l’uno e l’altro è se uno ama veramente Dio oppure no..

Perché il vero Cristianesimo è : “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la mente e con tutte le forze..” E“Amerai il prossimo tuo come te stesso..

Quando c’è questo amore c’è il Cristianesimo.

Ci sono purtroppo quelli che frequentano la Chiesa.. fanno parte dei gruppi, dei cori, dell’Azione Cattolica e proprio per questo pensano di essere cristiani e in realtà non lo sono..

A proposito.. vuole lanciare un ultimo messaggio a tutti quei fedeli che inevitabilmente soffrono ma che comunque vogliono rimanere ancorati alla sana Dottrina cattolica..

Vuole lanciare un messaggio a loro?

Sì, il mio messaggio è fatto da tre parole:

Resistere, resistere, resistere!

Il Cuore Immacolato di Maria trionferà.

Grazie Padre e che Dio la benedica!

Grazie, anche a te.




Alcuni stralci dal libro "il segreto delle tre fontane"

 
Le apparizioni delle tre fontane:
Alcuni stralci dal libro "il segreto delle tre fontane "
(Saverio Gaeta, Il veggente. Il segreto delle Tre Fontane, Salani 2016, p.233) 

A pagina 153 del suo libro Saverio Gaeta riporta una annotazione personale di Cornacchiola su un malinteso ecumenismo, che definisce “ecclesiasticamente scorretto”:
“Non posso farmi l’idea che tutte le religioni portano alla redenzione. Tutte le religioni, dicono oggi, danno la salvezza. Ma allora perché Gesù è venuto, se già esistevano tante religioni? Gesù dice: ‘Chi crede in Me sarà salvo’; non chi crede alla sua religione. Se anche i protestanti si salvano, perché la Vergine mi è venuta a chiamare e mi ha detto di rientrare nell’Ovile santo, quando poteva lasciarmi benissimo dov’ero, fra gli avventisti?”.
Il 9 gennaio 1986 Cornacchiola ha un’altra locuzione:
“Oggi gli uomini hanno messo tutte le religioni sullo stesso piano per cui tutte portano a Dio e tutti si salvano. […]. Allora si salvano anche coloro che non accettano Gesù?. […]. Contro la Chiesa satana non può far nulla perché è divina; ma contro le anime che vivono in essa può molto; anzi presenterà il male sotto la veste morale, religiosa, politica e sociale. […]. Chiamo tutti alla conversione, ma per giustizia devo lasciare la mano di mio Figlio: proprio perché si compia la giustizia ” (op. cit., p. 165-166).
Impressionante è la visione avuta il 7 aprile 1966:
“si vede la basilica di San Pietro che ha la faccia tutta rovinata, la guardiamo e piangiamo” (op. cit., p. 169). Il 1° agosto 1966: “Mi son trovato davanti alla chiesa detta della Scala Santa, nella piazza adiacente ove c’è l’obelisco. Vi era allestita come una sala con vescovi e cardinali. D’improvviso crolla sopra molti vescovi, cardinali e altri tutta la facciata della chiesa” (ivi).
Nel messaggio del 1° gennaio 1988 un particolare ammonimento è riservato ai sacerdoti:
“Voi state calpestando le mie pecore e le portate verso la perdizione. Perché non fate più conoscere la mia dottrina? Perché le mie pecorelle le portate dove sono erbe secche e cespugli mortali? […]. Io sono stato ucciso proprio perché la mia dottrina non era la loro (dei farisei) dottrina. Voi avete chiuso la vostra bocca e le orecchie del mio gregge. Avete chiusa la porta della mia Chiesa per non entrarvi voi e non farvi entrare il mio popolo” (op. cit., p. 171).
Nel 1982 la Madonna dà un ulteriore monito ai sacerdoti (che costerà a Cornacchiola tantissime grane):
“essi miseramente girano sicuri senza segni sacerdotali esterni: non solo vivono nel dubbio della fede, ma attirano altri a lasciare la fede […] si sono ubriacati del mondo e del falso modernismo” (op. cit., pp. 172-173).
Una delle visioni più toccanti è quella del 28 aprile 1986. Cornacchiola si trova in piazza San Pietro e la Madonna gli dice:
“anche se chi dà un ordine ti sembra che sbagli, tu sei tenuto ad obbedire, a meno che quest’ordine tocchi la fede, la morale e la carità. Allora no!” (op. cit., p. 174).
Il 12 novembre 1986 la Madonna gli mostra una scena terrificante:
“vedo molti sacerdoti con la loro talare e religiosi e religiose con il loro saio: tutti in fila e degli aguzzini che li spingono e trascinano uno alla volta su un palco di legno. Li facevano inginocchiare e chiedevano loro: ‘Getta l’abito’. Alla risposta ‘No!’ gli prendevano la testa e gliela mettevano su un ceppo e lì venivano decapitati dal boia che aveva una scure” (op. cit., p. 174-175).
Una delle visioni più attuali mi sembra quella del 18 luglio 1996:
“Specialmente tanti miei figli sacerdoti, e anche più in alto, facilmente cadono nella braccia di satana come foglie secche che cadono da un albero al soffio del vento” (op. cit., pp. 181-182).
Il 4 giugno 1964 la Madonna aveva dettato a Cornacchiola una richiesta per
“salvare l’umanità dal diluvio di fuoco” (op. cit., p. 183).
Il 1° gennaio 1988 il veggente riceve una rivelazione che dischiude le porte del futuro:
“Avete degli esempi, Sodoma e Gomorra: non si pentirono, non fecero penitenza e conoscete quello che la giustizia ha fatto di loro. […]. Se non vi convertirete ferro e fuoco scenderà sopra di voi. […]. Quello che voi chiamate pace non è altro che inganno perché manca la conversione e tutto si sta preparando per una satanica guerra” (op. cit., p. 187).
Un’altra apparizione attualissima è quella del 14 agosto 1999:
«La Vergine mi fa vedere religiosi e religiose, sacerdoti, vescovi, cardinali e mi dice: “Sono sordi e stolti! Vedono i segni che sono un richiamo, ma non riflettono sopra questa realtà. […]. Negano Dio uno e trino e si fanno orgogliosamente essi stessi dio”» (op. cit., p. 195).
Il 13 marzo del 2000 la Madonna gli dice:
“la salvezza non è riunire tutte le religioni per farne un ammasso di eresie e di errori, ma convertitevi per l’unità di amore e di fede” (op. cit., p. 204).

[Modificato da Caterina63 14/11/2017 18:32]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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14/11/2017 20:33
 
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Raymond Leo card. Burke:
Amoris Laetitia, fare chiarezza per salvare la fede

 
A un anno dalla pubblicazione dei Dubia sull'esortazione apostolica "Amoris Laetitia", viene diffusa la seguente intervista al cardinale Raymond Leo Burke, che fa il punto su quanto accaduto da allora. Così come i "Dubia" questa intervista esce contemporaneamente su La Nuova Bussola QuotidianaSettimo Cielo e il National Catholic Register. E noi contestualmente la riprendiamo. 
La ritengo importante sia perché avalla pubblicamente la Correctio filialis che perché attendibilmente prelude, nel caso di mancata risposta a questo che viene chiamato 'ultimo appello', alla correctio canonica.




Eminenza, è passato un anno da quando lei, il cardinale Walter Brandmüller e i due cardinali recentemente scomparsi, Carlo Caffarra e Joachim Meisner, avete pubblicato i "dubia". A che punto siamo?
 
A un anno dalla pubblicazione dei "dubia" su "Amoris laetitia", che non hanno ottenuto alcuna risposta dal Santo Padre, constatiamo che la confusione sull’interpretazione dell’esortazione apostolica è sempre maggiore. Per questo motivo si fa ancora più urgente la nostra preoccupazione per la situazione della Chiesa e per la sua missione nel mondo. Io, naturalmente, continuo ad essere in regolare contatto con il cardinale Walter Brandmüller per quanto riguarda questi gravissimi problemi. E tutti e due rimaniamo in profonda unione con i due cardinali defunti Joachim Meisner e Carlo Caffarra, che ci hanno lasciati nel corso degli ultimi mesi. Così, ancora una volta faccio presente la gravità della situazione, che continua a peggiorare.
 
Si è molto parlato dei pericoli della natura ambigua del capitolo 8 di "Amoris laetitia", sottolineando che è aperto a molte interpretazioni. Perché fare chiarezza è così importante?

La chiarezza nell’insegnamento non implica alcuna rigidità che impedisca al popolo di camminare sulla via del Vangelo, ma, al contrario, la chiarezza dona la luce necessaria ad accompagnare le famiglie sulla via della sequela di Cristo. È l’oscurità che ci impedisce di vedere il cammino e ostacola l’azione evangelizzatrice della Chiesa, come dice Gesù: “Arriva la notte, in cui nessuno può lavorare” (Gv 9, 4).

Può spiegare di più la situazione attuale alla luce dei "dubia"?

La presente situazione, lungi dal diminuire l'importanza dei "dubia", li rende ancora più pressanti. Non si tratta affatto, come qualcuno ha detto, di una “ignorantia affectata”, che solleva dubbi solo perché non vuole accettare un determinato insegnamento. Piuttosto, la preoccupazione è stata ed è di determinare con precisione ciò che il papa ha voluto insegnare come successore di Pietro. Le domande nascono, quindi, proprio dal riconoscimento dell’ufficio petrino che papa Francesco ha ricevuto dal Signore al fine di confermare i suoi fratelli nella fede. Il magistero è un dono di Dio alla Chiesa per fare chiarezza sui punti che riguardano il deposito della fede. Affermazioni alle quali mancasse questa chiarezza non potrebbero essere, per loro stessa natura, espressioni qualificate del magistero.

Perché è così pericoloso, secondo lei, che ci siano interpretazioni diverse di "Amoris laetitia", in particolare sull'approccio pastorale di chi vive in unioni irregolari e specificamente sui divorziati risposati civilmente che non vivono in continenza e ricevono la santa comunione?

È palese che alcune indicazioni di "Amoris laetitia" riguardanti aspetti essenziali della fede e della pratica della vita cristiana hanno ricevuto varie interpretazioni, che sono divergenti e a volte incompatibili tra loro. Questo fatto incontestabile conferma che quelle indicazioni sono ambivalenti e permettono un varietà di letture, molte delle quali sono in contrasto con la dottrina cattolica. Perciò le questioni sollevate da noi cardinali riguardano che cosa abbia insegnato esattamente il Santo Padre e come il suo insegnamento si armonizzi con il deposito della fede, dato che il magistero “non è superiore alla parola di Dio ma la serve, insegnando soltanto ciò che è stato trasmesso, in quanto, per divino mandato e con l’assistenza dello Spirito Santo, piamente ascolta, santamente custodisce e fedelmente espone quella parola, e da questo unico deposito della fede attinge tutto ciò che propone a credere come rivelato da Dio” (Concilio Vaticano II, Costituzione dogmatica "Dei Verbum", n. 10).

Non ha chiarito il papa su quale posizione egli si pone, tramite la sua lettera ai vescovi argentini, nella quale egli ha affermato che "non vi è altra interpretazione" se non le linee guida che questi vescovi hanno indicato, linee guida che hanno lasciata aperta per delle coppie non sposate ma in intimità sessuale la possibilità di ricevere la santa eucaristia?

Al contrario di quanto alcuni hanno detto, non possiamo considerare una risposta adeguata alle domande da noi poste la lettera del papa ai vescovi della regione di Buenos Aires [qui], scritta poco prima che egli ricevesse i "dubia" e contenente commenti alle linee guida pastorali dei vescovi. Da una parte, queste linee guida possono essere interpretate in modi differenti; dall’altra, non è chiaro che questa lettera sia un testo magisteriale, nel quale il papa abbia voluto parlare alla Chiesa universale come successore di Pietro. Già il fatto che si sia conosciuta quella lettera perché fatta filtrare alla stampa – e solo dopo sia stata resa nota dalla Santa Sede – solleva un ragionevole dubbio sull'intenzione del Santo Padre di rivolgerla alla Chiesa universale. Inoltre, risulterebbe un po' strano – e contrario al desiderio esplicitamente formulato da papa Francesco di lasciare la concreta applicazione di "Amoris laetitia" ai vescovi di ogni paese (cfr. AL 3) – che ora egli imponga alla Chiesa universale quelle che sono soltanto le concrete direttive di una particolare regione. E non dovrebbero allora essere considerate tutte invalide le differenti disposizioni promulgate da vari vescovi nelle rispettive diocesi, da Philadelphia a Malta? Un insegnamento che non è sufficientemente determinato, tanto nella sua autorità quanto nel suo contenuto effettivo, non può mettere in dubbio la chiarezza del costante insegnamento della Chiesa, che, in ogni caso, rimane sempre normativo.

La preoccupa anche il permesso dato da alcune conferenze episcopali a dei divorziati risposati che vivono “more uxorio" (cioè avendo relazioni sessuali) di ricevere la santa comunione senza un fermo proposito di cambiar vita, contraddicendo così l'insegnamento pontificio precedente, in particolare l’esortazione apostolica di san Giovanni Paolo II "Familiaris consortio"?

Sì, i "dubia" e le domande restano aperti. Quelli che sostengono che la disciplina insegnata da "Familiaris consortio" 84 è cambiata si contraddicono l'un l'altro quando arrivano a spiegarne le ragioni e le conseguenze. Alcuni arrivano fino al punto di sostenere che i divorziati in nuova unione che continuano a vivere "more uxorio", non si troverebbero in uno stato oggettivo di peccato mortale (citando in appoggio AL 303); mentre altri negano questa interpretazione (citando in appoggio AL 305), ma lasciano completamente al giudizio della coscienza di determinare i criteri di accesso ai sacramenti. Sembra che l'obiettivo di tanti interpreti sia di arrivare, in un modo o nell'altro, a un cambiamento di disciplina, mentre le ragioni che essi adducono a questo fine non hanno importanza. Né essi mostrano alcuna preoccupazione su quanto mettono in pericolo materie essenziali del deposito della fede.

Qual è l'effetto tangibile che questa miscela di interpretazioni ha avuto?

Questa confusione ermeneutica ha già prodotto un triste risultato. Infatti, l'ambiguità riguardo a un punto concreto della cura pastorale della famiglia ha portato alcuni a proporre un cambiamento di paradigma dell'intera pratica morale della Chiesa, le cui fondamenta sono state autoritativamente insegnate da san Giovanni Paolo II nella sua enciclica "Veritatis splendor ".
In effetti è stato messo in moto un processo che è eversivo di parti essenziali della tradizione. Per quanto riguarda la morale cristiana, alcuni sostengono che le norme morali assolute devono essere relativizzate e che una coscienza soggettiva e autoreferenziale debba avere un primato – in definitiva equivoco – in materie che toccano la morale. Quello che è in gioco, dunque, non è in alcun modo secondario rispetto al "kerygma”, cioè al messaggio fondamentale del Vangelo. Stiamo parlando della possibilità o no che l’incontro con Cristo, per grazia di Dio, dia forma al cammino della vita cristiana, in modo che possa essere in armonia con il disegno sapiente del Creatore. Per comprendere la portata di tali cambiamenti, basta pensare a cosa succederebbe se questo ragionamento fosse applicato ad altri casi, come quello di un medico che effettua aborti, di un politico che fa parte di un reticolo di corruzione, di una persona sofferente che decide di fare una richiesta di suicidio assistito...

Alcuni hanno detto che l'effetto più rovinoso di tutto ciò è che configura un attacco ai sacramenti, oltre che all'insegnamento morale della Chiesa. È così?

Al di là del dibattito morale, il senso della pratica sacramentale va degradandosi sempre di più nella Chiesa, specialmente quando si tratta dei sacramenti della penitenza e dell'eucaristia. Il criterio decisivo per l'ammissione ai sacramenti è sempre stato la coerenza del modo di vivere di una persona con gli insegnamenti di Gesù. Se invece il criterio decisivo diventasse l'assenza della colpevolezza soggettiva della persona – come hanno suggerito alcuni interpreti di "Amoris laetitia" – ciò non cambierebbe la natura stessa dei sacramenti? Infatti, i sacramenti non sono incontri privati ​​con Dio, né sono mezzi di integrazione sociale in una comunità. Piuttosto, sono segni visibili ed efficaci della nostra incorporazione in Cristo e nella sua Chiesa, in cui e per mezzo di cui la Chiesa pubblicamente professa e mette in pratica la sua fede. Quindi trasformare la diminuita colpevolezza soggettiva o la mancanza di colpevolezza di una persona nel criterio decisivo per l'ammissione ai sacramenti metterebbe a rischio la stessa "regula fidei", la regola della fede, che i sacramenti proclamano e attuano non solo con parole ma anche con gesti visibili. Come potrebbe la Chiesa continuare ad essere sacramento universale di salvezza se il significato dei sacramenti fosse svuotato del suo contenuto?

Nonostante il fatto che lei e tanti altri, tra cui oltre 250 accademici e preti che hanno pubblicato una "correzione filiale" [qui], abbiate già espresso seri dubbi circa gli effetti di questi passaggi di "Amoris laetitia", e poiché finora non avete ricevuto nessuna risposta da parte del Santo Padre, lei intende qui rivolgergli un ultimo appello?

Sì, per queste gravi ragioni, un anno dopo aver resi pubblici i "dubia", mi rivolgo di nuovo al Santo Padre e a tutta la Chiesa, sottolineando quanto sia urgente che, nell'esercitare il ministero che ha ricevuto dal Signore, il papa confermi i suoi fratelli nella fede con una chiara manifestazione dell'insegnamento riguardante sia la morale cristiana che il significato della pratica sacramentale della Chiesa.
 




Un vescovo modernista si confessa

 
[Il seguente dialogo è inventato, i due protagonisti sono personaggi di fantasia, pertanto eventuali riferimenti a persone realmente esistite sono puramente casuali]
 
 
Un vescovo era in fin di vita, ma prima di morire fece chiamare al suo capezzale un sacerdote legato alla Tradizione Cattolica, che in passato aveva ferocemente perseguitato...
 
- Eccellenza, mi ha fatto chiamare?
 
- Sì, avvicinati, devo parlarti.
 
- L'ascolto volentieri.
 
- Voglio chiederti perdono per tutto il male che ti ho fatto e per le enormi sofferenze che hai patito a causa mia. Adesso che mi trovo vicino alla morte, le vicende terrene mi appaiono in maniera diversa...
 
- Eccellenza, io l'ho già perdonata. Anzi, devo dirle che le tante sofferenze che ho patito mi hanno stretto di più al Signore. Ah, quante notti ho trascorso in lacrime dinanzi al tabernacolo! Ad Deum stillat oculus meus. Del resto, se Gesù Cristo ha permesso che io soffrissi, lo ha fatto in vista di un bene maggiore. Se non mi avesse inviato tante croci nella vita, chissà, forse mi sarei allontanato da Lui. È proprio vero che Dio castiga quelli che ama! Ma come mai ha cambiato idea su di me?
 
- Adesso te lo spiego. Da bambino ero molto devoto, avevo un parroco zelante che era un ottimo direttore spirituale tipo Padre Réginald Garrigou-Lagrange e Padre Adolphe Tanquerey, il quale mi diede una buona preparazione dottrinale e spirituale, ma dopo la sua morte arrivò un nuovo parroco che aveva una visione immanentista della vita, non parlava mai della questione della salvezza eterna dell'anima ma solo di “questione operaia” e di altri problemi sociali. Simpatizzava per il comunismo. Io allora ero ancora un ragazzo e mi lasciai un po' sviare da quel prete.

Tuttavia avevo ancora una valida formazione spirituale. Mi sentii attratto al sacerdozio ed entrai in seminario, ma poco tempo dopo scoppiò la “rivoluzione culturale” nel clero della nostra diocesi: tutto ciò che nella Religione aveva un sapore “tradizionale” doveva essere abbattuto. Per me fu un trauma, avrei voluto resistere, ma non volevo essere etichettato “tradizionalista” dai superiori del seminario, e quindi mi adeguai all'andazzo generale. Venni ordinato sacerdote, ma ormai avevo perso il fervore per la vita devota, non mi attraeva più, ero diventato modernista anche io, e conducevo una vita “poco edificante”. Inizialmente sentivo un po' di rimorso nella coscienza, ma cercavo di soffocarlo gettandomi nel sociale, cioè occupandomi dei problemi materiali dei poveri e degli oppressi dalla società capitalista. Intanto mi ero fatto amico il Nunzio Apostolico del mio Paese, il quale era ultramodernista, e mi inserì nella lista dei nominativi da segnalare a Roma per un'eventuale nomina episcopale.

Nella nota informativa che spedì in Vaticano parlò in maniera molto positiva di me, quasi fossi un santo, e poco tempo dopo il Papa mi elevò a vescovo della diocesi di […]. Ero felice di aver fatto carriera, e cominciai a plasmare la diocesi in senso modernista, visto che il mio predecessore era stato uno della “vecchia guardia”, uno di quelli che vestiva sempre in talare, amava il canto gregoriano e la "Somma Teologica", e parlava solo di cose devote. Per prima cosa misi le mani sul seminario, cacciando i professori tomisti e sostituendoli con teologi modernisti. Ma nel giro di pochi anni i seminaristi calarono del 90%. Poi passai a sistemare i conti in sospeso con i parroci filo-tradizionali, perseguitandoli in ogni modo e ostacolando il loro apostolato. Ero accecato dall'odio nei loro confronti. Il fatto è che col loro comportamento pio e zelante mi ricordavano il mio tradimento nei confronti della Tradizione Cattolica, erano una sorta di “grillo parlante” per la mia coscienza.
Non mi confessavo più, celebravo sacrilegamente la Messa in stato di peccato mortale, non credevo più alla Risurrezione di Cristo e a tante altre verità di fede cattolica. Il mio scopo era di costruire un paradiso su questa terra, proprio come pretendono di fare i comunisti. E intanto odiavo e perseguitavo brutalmente tutti i pochi preti come te che non volevano piegarsi di fronte alla nuova religione sincretista che tanto piace ai modernisti. 
 
- Ma come mai adesso ha cambiato idea?
 
- In effetti mi ero ostinato nel male e in questo stato disgraziato mi accingevo a presentarmi dinanzi al tribunale di Gesù Cristo, ove tra poche ore dovrò rendere conto di tutta la mia vita. Ma questa mattina è venuta a trovarmi un'anziana suora infermiera per dirmi alcune parole buone, io però non avevo voglia di ascoltarla e le ho detto di andarsene perché ero stanco. La suora, prima di uscire dalla stanza, mi ha dato un santino del Sacro Cuore di Gesù, quasi identico a quello che quando ero bambino mi regalò il mio zelante parroco e direttore spirituale.
E così mi sono ricordato che da fanciullo feci con grande fervore la pia pratica dei “Primi nove venerdì del mese” in onore del Sacro Cuore di Gesù e quella dei “Primi cinque sabati” per riparare i peccati commessi contro il Cuore Immacolato di Maria... [piange].
 
- Eccellenza, capisco la sua commozione. Ancora una volta, Gesù buono, nell'eccesso della sua infinita misericordia ha mantenuto la promessa... ma non capisco per quale motivo ha chiamato proprio me al suo capezzale, visto che qui in arcivescovado ci sono tanti altri preti.
 
- Volevo chiederti perdono per tutto il male che ti ho fatto, ma soprattutto vorrei che tu mi confessassi. Degli altri preti non mi fido, li conosco bene, li ho formati io: sono modernisti, mi ingannerebbero, mi direbbero che le cose che ho fatto non sono peccati da confessare. Di te invece mi fido, sei come il parroco che avevo da bambino, so che non mi ingannerai. Voglio fare una confessione generale. Subito.
 
- Va bene Eccellenza, cominciamo... In nómine Patris + et Filii et Spíritus Sancti.



[Modificato da Caterina63 15/11/2017 09:37]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Cari Vescovi: attenzione allo spettro dell’accanimento terapeutico!

Ci risiamo! Lo spettro dell’accanimento terapeutico torna prepotentemente ad ingannare i Pastori della santa Chiesa, specialmente torna a far confondere le buone intenzioni del santo Padre Francesco. Non siamo “tuttologi” ma non ci vuole neppure una laurea in medicina o alla Pico de Paperis per capire che, periodicamente, la giustificazione del concetto di “accanimento”, viene usato per aprire porte pericolose e, soprattutto, senza mai arrivare a specificare cosa loro stessi vogliono intendere con tale termine.

Ne ha parlato la Nuova Bussola, vedi qui, un articolo che condividiamo integralmente perché ha colto magnificamente i punti centrali – purtroppo anche i più critici – delle parole del Discorso ufficiale del santo Padre, leggi qui, attraverso i quali seppur viene spiegato – a grandi linee – in cosa consisterebbe “l’accanimento terapeutico”, dall’altra parte si offrono però degli spunti – involontari – verso l’eutanasia giustificata, specialmente se i Media interpretano in questo modo le sue parole e il Papa non smentisce e non chiarisce…

Il Denzinger afferma che: “Un decreto dottrinale che può sembrare ad alcuni dubbio, deve essere sempre compreso nel senso secondo cui l’asserto è vero..“, offrendo a noi tutti una specie di cartina tornasole per poter interpretare correttamente le parole, ufficiali, del Pontefice. Tuttavia è anche salutare e un bene rimarcare alcuni punti come ha offerto la Nuova Bussola, attraverso i quali capire ciò che è vero da ciò che è falso.

La storia di Victoria, tanto per fare un esempio concreto, vedi qui: Dallo “stato vegetativo” al ballo dopo un lento miracolo … ce la dice lunga di cosa sarebbe stato di lei se, confondendo gli aiuti ricevuti si fosse solo pensato ad un accanimento terapeutico… vedi anche qui, Victoria sarebbe morta sentendo tutto, ascoltando tutto, come dimostrano tanti altri episodi di persone che, uscendo dal coma, hanno poi detto che sentivano tutto e vedevano… Persone che escono dal coma dopo 4 anni, anche 10 anni, non sono affatto una rarità, una vittoria contro i sostenitori di un accanimento terapeutico che li avrebbe portati a morte certa.

Così giustamente sottolinea l’editoriale di La Bussola: “Il Papa da una parte afferma che vivere più a lungo è un bene, ma vivere più a lungo in condizioni di salute critica non lo è. Occorre a questo proposito ricordare che curare un paziente permettendogli di vivere più a lungo, sebbene con una qualità di vita non elevata perché affetto da gravi disabilità, patologie croniche severe, etc., non configura accanimento terapeutico. L’accanimento terapeutico infatti, come ricorda correttamente il Pontefice, è una sproporzione tra trattamenti e risultati sperati. Se grazie alla tecnologia oggi disponibile posso mantenere in vita per lungo tempo una persona affetta da sindrome della veglia aresponsiva (il cd paziente in stato vegetativo) ciò non configura accanimento terapeutico, ma in realtà è un obbligo morale in capo al medico e al paziente. La proporzione, in questi casi, deve guardare all’effetto positivo “vita”, non al “benessere”…

E allora, si chiede il Papa: Chi deve decidere se c’è o meno accanimento terapeutico? Francesco risponde usando, parzialmente, il Catechismo lasciando così quel dubbio e quella criticità nell’interpretazione delle sue parole.

«Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità» (CCC n. 2278), cita Papa Francesco, ma il Catechismo dice molto di più… quel di più che egli o lascia intendere dandolo per scontato – e qui vale l’insegnamento del Denzinger sopra riportato – oppure lo si ritiene scartato o inutile da coloro che, delle parole del Pontefice, devono trarre l’insegnamento e i punti fermi.

Detto in soldoni – spiega la Bussola -: se una paziente dichiarasse che non vuole più nutrirsi con le peg perché a suo insindacabile giudizio la nutrizione assistita configura accanimento terapeutico, questa volontà sarebbe irragionevole e quindi non da rispettare. L’ultima parola spetta alla valutazione del bene oggettivo della persona, bene oggettivo spesso non riconosciuto dalla persona stessa. Di contro, rispettare sempre e comunque il giudizio del paziente su cosa è o non è accanimento terapeutico aprirebbe la porta all’eutanasia. Quella stessa porta che il Santo Padre, nel messaggio inviato ai partecipanti del convegno che si sta svolgendo in Vaticano, vorrebbe che rimanesse sempre chiusa…

Quindi attenzione ai titoli dei Media e alle dispute sui Social…. Papa Francesco NON VUOLE APRIRE QUELLA PORTA. “Il messaggio del Papa – conclude La Bussola – è incentrato per buona parte sull’accanimento terapeutico perché «oggi è più insidiosa la tentazione di insistere con trattamenti che producono potenti effetti sul corpo». Parrebbe quindi che il vero pericolo oggi nelle corsie di ospedale sia l’accanimento terapeutico e non l’eutanasia. Ma così non è…”

_0019 NO eutanasia 2L’allarme che anche noi abbiamo colto dalle conclusioni – omesse – del Papa è proprio in questa diffusa errata concezione che si persista, cioè, su un “accanimento terapeutico”, mentre al Papa sfugge (sfugge?) la conoscenza, o la competenza, oppure è malamente informato, che esistono le “cliniche per la dolce morte” e che le leggi delle Nazioni e degli Stati hanno optato da anni per “uccidere” le persone non solo in stato terminale, non solo a prescindere da ciò che essi chiedono o non chiedono, non solo contro il parere stesso dei genitori, non solo anziani diventati inutili per la società… Ciò che il Papa omette di discutere o di correggere, o persino di condannare come dovrebbe fare con “sì, sì – no, no” (Mt.5,37) è proprio quell’ UCCIDERE che è diventato invece legge degli uomini, questa chiarezza manca al suo Discorso.

Del resto Papa Francesco, a riguardo della PENA DI MORTE è stato così categorico e così chiaro nel dire che essa è INACCETTABILE, senza sé e senza ma. Tuttavia si dimostra eccessivamente prudente laddove dovrebbe dire con assoluta determinatezza quel che dice lo stesso Catechismo a riguardo dell’eutanasia: “Qualunque ne siano i motivi e i mezzi, l’eutanasia diretta consiste nel mettere fine alla vita di persone handicappate, ammalate o prossime alla morte. Essa è moralmente inaccettabile…”(CCC.n.2277)

E’ per questa ragione dottrinale che riteniamo, l’uso della questione e del termine “accanimento terapeutico” la chiave che apre all’eutanasia legalizzata… una chiave che se Papa Francesco da una parte chiede, effettivamente, di non usare e di non aprire quella “porta”, dall’altra parte però… lascia alla libera comprensione o interpretazione… Per questo è fondamentale ricordare a tutti noi, come insegna il Donzinger, che laddove l’incomprensione dilaga, il pensiero di un Pontefice deve essere interpretato “…nel senso secondo cui l’asserto è vero..“, e il Catechismo è chiaro!

Laudetur Jesus Christus


 


Editto di Modena. Ucci, ucci, sento odor di Tirannucci

La pagina con la lettera contro la Bussola

Il vescovo si sente attaccato da un giornale che lo critica per i suoi metodi stalinisti? Allora offende privatamente il giornalista “reo” delle accuse e costringe un’associazione di laici ritenuta “amica” della testata incriminata a dissociarsi pubblicamente. Sembrerebbe una storia d’altri tempi, invece succede oggi: protagonisti l’arcivescovo di Modena, monsignor Erio Castellucci, la nostra testata, La Nuova Bussola Quotidiana, e un Centro culturale modenese, Il Faro.

Come si ricorderà, avevamo scritto un commento a proposito di un inquietante editoriale dell’arcivescovo sul settimanale diocesano (Il Nostro Tempo, ora venduto come dorso domenicale del quotidiano Avvenire): «Discernere per essere veramente Ecclesia», era il titolo, e dava disposizione di vietare le strutture ecclesiali non solo a «veggenti e carismatici» ma anche a «giornalisti e intellettuali che manifestano un dissenso ‘sottile o aperto’ verso la Chiesa ufficiale e soprattutto verso papa Francesco». Un vero e proprio linguaggio da soviet, che avevamo stigmatizzato con un articolo di Andrea Zambrano, soprattutto perché esemplare del periodo che stiamo vivendo nella Chiesa: purghe a Roma e liste di proscrizione in periferia. Non contro eretici manifesti, ma contro chi osa soltanto fare domande o esprimere perplessità su alcune scelte pastorali o esprimere disagio per certe ambiguità dottrinali: tutte cose peraltro che non mettono in discussione la comunione con Pietro, e sono tutelate dal diritto canonico.

Del resto monsignor Castellucci ha avuto il coraggio – o l’ingenuità o l’impudenza - di mettere per iscritto ciò che altri fanno senza dirlo. Per questo riteniamo preoccupante l’«editto di Modena», che oltretutto non è rimasto lettera morta. Subito dopo la pubblicazione infatti, su richiesta del vescovo è stato annullato a Modena il previsto incontro pubblico con monsignor Antonio Livi, la cui preparazione teologica e fedeltà a Pietro è indiscutibile, ma che avendo posto delle motivate critiche all'esortazione apostolica Amoris Laetitia ora è bandito da tutte le parrocchie di Modena (e non solo). 

Non pago, monsignor Castellucci ha voluto confermare ulteriormente le critiche avanzate dalla Nuova BQ. Così, non avendo digerito il nostro articolo ha dapprima pensato bene di offendere e minacciare il collega Zambrano via sms (avviso per la Curia di Modena: li abbiamo conservati tutti); poi se l’è presa con un centro culturale modenese, Il Faro. Motivo? È considerato "fiancheggiatore" della Nuova BQ. In realtà non c’è nessun tipo di collegamento né formale né informale tra Nuova BQ e Il Faro, ma il centro culturale modenese ha messo per iscritto nel suo statuto la sua vicinanza ideale al mensile Il Timone, e siccome il sottoscritto è al momento direttore responsabile anche del Timone e Zambrano ne è redattore, ecco che il vescovo ha tratto le sue conclusioni. Per chiarezza bisogna sapere però che il collegamento tra Il Faro e Il Timone si è limitato finora all’organizzazione di un solo evento culturale all’anno, e non c’è quindi nessun tipo di coinvolgimento diretto o indiretto nelle scelte redazionali. Men che meno con la Bussola.

Fatto sta che monsignor Castellucci ha preteso dal Faro, sotto ricatto, una pubblica dissociazione dalla Bussola, pena il ritiro dell’assistente spirituale e, quindi, del riconoscimento ecclesiale. Sia stato per convinzione, per debolezza o per viltà, il consiglio direttivo del Faro ha obbedito e ha spedito al sottoscritto una lettera surreale in cui si condanna l’articolo di Zambrano e «si schiera in favore del pastore della diocesi». Infine la lettera ieri è stata pubblicata dal settimanale diocesano, con il titolo: «Il Faro, un contributo alla comunione», un titolo dall’umorismo involontario visto che ci si preoccupa anche di spiegare il ricatto che sta dietro alla stesura della lettera. Nella “nuova Chiesa” evidentemente si scambia facilmente la comunione – che è l’unità dei fedeli in Cristo – con l’obbedienza supina al tiranno di turno.

Sicuramente si possono avere giudizi diversi, perfino opposti, sull’articolo incriminato, per quanto il giudizio che vi era contenuto sia stato più che confermato a posteriori. Ma qui non è in discussione il gradimento o meno di un articolo da parte di un vescovo, del direttivo di un centro culturale o di chiunque altro. Oltretutto noi non abbiamo nessuna sfida in corso con l’arcivescovo di Modena tale che sia richiesto schierarsi da una parte o dall’altra: siamo giornalisti che, nel rispetto dei fatti e delle persone, siamo liberi di esprimere giudizi e critiche sui fatti che riteniamo rilevanti. E chiunque può esprimere giudizi e critiche sui nostri articoli.

Se un vescovo ritiene di essere stato frainteso o di essere vittima di un ingiusto attacco, come ogni altro cittadino italiano può chiedere di pubblicare una replica al giornale in questione; oppure, visto che è anche editore, può usare le colonne del suo settimanale.

È invece gravissimo che un vescovo possa costringere un’associazione di fedeli a fare pubblica denuncia di giornalisti “amici”, in perfetto stile mafioso. Ad essere messo in discussione non è il nostro lavoro, ma è la stessa immagine della Chiesa, con alcuni pastori che hanno perso il senso del limite e pensano di potere impunemente dettare legge a chiunque. Si riempiono la bocca di Concilio Vaticano II e trattano i laici come i loro servi. Si vantano di dialogare con i lontani e disprezzano i fedeli. Mettono sul pulpito eretici e scomunicati e scacciano dalle parrocchie quanti vogliono testimoniare la fede. Fanno la voce grossa con i cattolici e scodinzolano ai potenti del mondo.

Come Lutero: pensano di essere grandi riformatori, produrranno solo macerie.



Definitività delle sentenze


La Chiesa Romana celebra oggi la memoria liturgica di San Gelasio I, Papa (secolo V). Originario dell’Africa, fu eletto al supremo pontificato nel 492. È ricordato principalmente per la ferma opposizione allo scisma acaciano e per la strenua difesa del primato della sede romana contro le pretese, civili ed ecclesiastiche, di Costantinopoli. Morí il 21 novembre del 496 e fu seppellito nella basilica vaticana. La sua celebrazione liturgica viene anticipata a oggi per la coincidenza con la memoria della Presentazione della Beata Vergine Maria.

Riportiamo, per la sua attualità, un brano tratto da una lunga lettera da lui scritta ai Vescovi della Dardania (regione corrispondente all’attuale Macedonia e Serbia meridionale), con la quale dimostra che Acacio, Patriarca di Costantinopoli dal 471 al 489, era stato giustamente condannato con sentenza definitiva della Sede Apostolica.

"Occorre che voi, cominciando fin dagli Apostoli, ricordiate che i nostri padri nel Cattolicesimo, gli illuminati e dotti pontefici, man mano che sorgevano eresie raccoglievano sinodi; in quella sede stabilivano la vera dottrina e precisavano l’ambito della comunione cattolica e apostolica in conformità con la Scrittura e con la predicazione degli antenati. Ma volevano che la cosa finisse lì, che la si ritenesse definitiva per sempre. Né ammettevano che quanto si era deciso venisse ancora posto in discussione al sorgere di una novità qualsiasi; saggiamente prevedevano che, qualora lo si fosse permesso, nessun decreto della Chiesa contro qualsivoglia errore sarebbe restato saldo, e che, rispuntando piú volte gli stessi errori, si sarebbe stati sempre da capo.

Infatti, se vediamo che, nonostante questo carattere definitivo delle decisioni sinodali, le deviazioni già colpite riprendono lena, si levano di nuovo contro la verità e turbano le anime semplici, cosa accadrebbe se i perfidi potessero di tanto in tanto far indire un concilio? Per quanto chiara fosse la verità, mai verrebbe meno la triste fecondità dell’errore, che, pur scadendo sempre piú di prestigio, per puntiglio mai cederebbe.

I nostri ispirati predecessori, ben vedendo tutto ciò, e proprio per non offrire ai maligni opportunità di indebolire o annullare salutari provvedimenti, vigilarono che non si permettesse di togliere alcunché a quanto contro qualsiasi eresia fosse stato deciso da un sinodo riguardo alla vera dottrina e all’ambito della comunione cattolica e apostolica; ma ritennero che, una volta condannati e l’autore di qualsiasi vaneggiamento e il suo errore, fosse sufficiente quella prima sentenza perché chi si fosse fatto maestro di errore risultasse ben identificato quanto a dottrina e a comunione."

(Lettera ai Vescovi della Dardania: Patrologia Latina, 59, 61-62 [e 77-78]; Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum, 35, 370-371. Traduzione italiana: Liturgia delle ore, Proprio della Diocesi di Roma, Città del Vaticano, 1976, pp. 52-53)





[Modificato da Caterina63 20/11/2017 23:07]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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25/11/2017 13:41
 
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  La vacca sacra: sono gli effetti tossici della Laudato Sì?

È vergognosa e scandalosa la facilità con cui si bestemmia il Signore e si profana una chiesa (anche se sconsacrata) al giorno d’oggi, col placet del clero progressista.

Certamente che il titolo è provocatorio poiché la Laudato sì non induce a tanto, sia ben chiaro. Volevamo dare questo titolo: “Padre perdonali, non sanno quello che fanno” anche perché, è onesto dirlo subito, non è che si può dare la colpa di tutto al papa, ma questo pontificato ambientalista e buonista sta spingendo davvero oltre i limiti consentiti agli uomini, specialmente ai pastori. Questo magistero è intoccabile – basta leggere che fine fanno coloro che si azzardano a qualche critica, o vedere come il papa sta trattando – con il silenzio e un tacito compiacimento – quei vescovi scelti da lui stesso alla Galantino, da quelli che dimostrano più ortodossia come il cardinale Sarah. Ma Gesù Cristo può essere messo alla berlina con il consenso del vescovo e il silenzio di un papa. No! è inaccettabile!

Ne hanno parlato in tanti, tranne Colui che avrebbe dovuto “urlare dai tetti”: “che cosa vi siete bevuti, il cervello?” e, naturalmente, avrebbe dovuto richiamare pubblicamente questo vescovo perché, quando lo scandalo è pubblico, deve essere pubblica l’ammenda, pubblico il ripudio a ciò che ha dato origine allo scandalo. Ma papa Francesco tace, eppure sappiamo bene quanto parla, quando vuole, per esempio quando ha dato un consiglio che una volta faceva parte dell’educazione civica o stradale: «lo scarso senso di responsabilità da parte di molti conducenti, che sembrano spesso non avvedersi delle conseguenze anche gravi della loro disattenzione (per esempio l’uso improprio dei cellulari) o della loro sregolatezza», vedi qui.

E’ evidente però che schernire Gesù Cristo, per papa Francesco, non è offensivo. Tanto che vuoi che sia, chiodo più, chiodo meno, oramai è risorto (forse, chiosa il preposto gesuita Sosa). E così tace papa Francesco. Ma che strana coincidenza, siamo alla vigilia della Solennità di Cristo Re e cosa ti combina il demonio? Un bel rimpiazzo appoggiato e sostenuto da un vescovo, con un papa che tace il misfatto, meglio di così, a Satana, non poteva andare. Papa Francesco che grida allo scandalo per i cristiani “chiacchieroni”, ma che tace sui cristiani scandalizzati dai Pastori apostati ed eretici, vedi qui.

Cosa vuoi che importa? Tanto poi ci sarà il solito Angelus domenicale, con la solita predica sull’accoglienza, anàtemi se non porti a casa un emigrato (tranne che a casa santa Marta, ovviamente) con i soliti moniti contro quei cattolici rigoristi che si scandalizzano se in pubblico si offende Dio, quello vero naturalmente, perché se si trattasse di qualche altra divinità, interverrebbe subito tutto il Vaticano; si osannerà a Cristo Re senza alcun dubbio perché è purtroppo evidente e chiaro come il sole che, LA PAROLA si è fatta carta… e la si straccia nei fatti, continuando ad usare parole senza più dottrina, senza più inviti alla conversione a Cristo Re, senza più riparare i veri scandali che ci stanno sommergendo e soffocando.

Ecco messa in pratica la Laudato sì, lo dice l’artista mica noi eh! e il vescovo ha approvato. Sissignori, il vescovo ha approvato il sacrilegio. “La vacca sacra”…. Come ha raccontato il giornale Le Soir,  secondo l’artista «i cattolici non devono sentirsi offesi. Come Gesù morì sulla croce anche questa mucca è morta sulla croce per i peccati rappresentati dai nostri rifiuti e dall’inquinamento ambientale», vedi qui.

Un vescovo che ignora la gravità di quanto ha permesso, non è degno di essere vescovo, ma neppure prete, ed il Pontefice ha tutto il dovere e l’obbligo di intervenire per riparare il grave sacrilegio.

Laddove non ci è lecito offendere la dignità umana, così non ci è lecito offendere Dio perché l’amore per il prossimo passa attraverso l’Amor di Dio in Cristo Gesù Crocefisso, la cui Croce adoriamo. Questo artista avrebbe dovuto essere corretto dal vescovo perché insieme hanno offeso sia l’uomo che Dio, perché Dio si è fatto uomo e non un animale, non una vacca, e la vacca non è Dio. I Cattolici devono sentirsi offesi due volte, sia nella propria dignità di uomini creati a “immagine e somiglianza di Dio”, sia per la fede in Cristo Gesù, nostro Signore e nostro Dio.

E questo è detto con tutto il vero e più sacro rispetto verso gli animali e l’ambiente perché, chi è davvero cattolico e vive coerentemente il Vangelo, è persona che rispetta la natura, vuol bene agli animali e alle piante e non ha bisogno di una enciclica ambientalista, o di sentirsi dire che usare il cellulare in macchina è pericoloso, ma dal papa ha bisogno di sentirsi dire che chi offende Dio cade in peccato mortale, e chi cade nel peccato deve convertirsi e riparare lo scandalo con la conversione anche pubblica, laddove lo scandalo è stato pubblico.

Invitiamo i Sacerdoti a fare almeno una Messa in riparazione a questo atto sacrilego, ed invitiamo i laici a sostenere queste Messe di riparazione e unirci tutti a dire Rosari di riparazione, sentirci coinvolti e scandalizzati per Amore a Cristo e perché, come ammonisce Gesù stesso: «Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi» (Mc 8,38).




Il teologo card. Muller: «Si rischia una separazione che potrebbe sfociare in uno scisma. Io resto con Bergoglio, ma chi reclama va ascoltato»

Gerhard Müller (LaPresse)


«C’è un fronte dei gruppi tradizionalisti, così come dei progressisti, che vorrebbe vedermi a capo di un movimento contro il Papa. Ma io non lo farò mai. Ho servito con amore la Chiesa per 40 anni da prete, 16 anni da cattedratico della teologia dogmatica e 10 anni da vescovo diocesano. Credo nell’unità della Chiesa e non concedo a nessuno di strumentalizzare le mie esperienze negative degli ultimi mesi. Le autorità della Chiesa, però, devono ascoltare chi ha delle domande serie o dei reclami giusti; non ignorarlo o, peggio, umiliarlo. Altrimenti, senza volerlo, può aumentare il rischio di una lenta separazione che potrebbe sfociare in uno scisma di una parte del mondo cattolico, disorientato e deluso. La storia dello scisma protestante di Martin Lutero di cinquecento anni fa dovrebbe insegnarci soprattutto quali sbagli evitare».
Il cardinale Gerhard Müller parla con voce piana e un marcato accento tedesco. Siamo nell’appartamento di Piazza della Città Leonina che in passato aveva occupato Joseph Ratzinger prima di diventare Benedetto XVI, in un palazzo abitato da alti prelati.

Müller, forse il più rispettato teologo cattolico, è l’ex prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, sostituito a sorpresa nel luglio scorso da Jorge Mario Bergoglio. «Il Papa mi confidò: “Alcuni mi hanno detto anonimamente che lei è mio nemico” senza spiegare in qual punto», racconta affranto. «Dopo quarant’anni al servizio della Chiesa, mi sono sentito dire questo: un’assurdità preparata da chiacchieroni che invece di instillare inquietudine nel Papa farebbero meglio a visitare uno strizzacervelli. Un vescovo cattolico e cardinale di Santa Romana Chiesa è per natura con il Santo Padre. Ma credo che, come diceva il teologo del Cinquecento, Melchior Cano, i veri amici non sono coloro che adulano il Papa ma quelli che lo aiutano con la verità e la competenza teologica ed umana. In tutte le organizzazioni del mondo i delatori di questa specie servono solo se stessi».

Parole dure, risentite, di chi sente di avere subito un torto immeritato. Il cardinale esclude, come sostengono alcune voci allarmistiche, che qualcuno stia ordendo complotti contro Francesco, in polemica con alcune prese di posizione ritenute troppo progressiste: lo considera «un’assoluta esagerazione». Ma ammette che la Chiesa è percorsa da tensioni profonde. «Le tensioni nascono dalla contrapposizione tra un fronte tradizionalista estremista su alcuni siti web, e un fronte progressista ugualmente esagerato, che oggi cerca di accreditarsi come superpapista», secondo Müller. Si tratta di minoranze, ma agguerrite.

Per questo il cardinale trasmette un messaggio di unità ma anche di preoccupazione. «Attenzione: se passa la percezione di un’ingiustizia da parte della Curia romana, quasi per forza di inerzia si potrebbe mettere in moto una dinamica scismatica, difficile poi da recuperare. Credo che i cardinali che hanno espresso dei dubbi sull’Amoris Laetitia, o i 62 firmatari di una lettera di critiche anche eccessive al Papa vadano ascoltati, non liquidati come “farisei” o persone brontolone. L’unico modo per uscire da questa situazione è un dialogo chiaro e schietto. Invece ho l’impressione che nel “cerchio magico” del Papa ci sia chi si preoccupa soprattutto di fare la spia su presunti avversari, così impedendo una discussione aperta ed equilibrata. Classificare tutti i cattolici secondo le categorie di “amico” o “nemico” del Papa, è il danno più grave che causano alla Chiesa. Uno rimane perplesso se un giornalista ben noto, da ateo si vanta di essere amico del Papa; e in parallelo un vescovo cattolico e cardinale come me viene diffamato come oppositore del Santo Padre. Non credo che queste persone possano impartirmi lezioni di teologia sul primato del Romano Pontefice».

Müller non vede una Chiesa più divisa di quanto fosse negli anni di Benedetto XVI. «Però la vedo più debole. Fatichiamo ad analizzare i problemi. I sacerdoti scarseggiano e diamo risposte più organizzative, politiche e diplomatiche che teologiche e spirituali. La Chiesa non è un partito politico con le sue lotte per il potere. Dobbiamo discutere sulle domande esistenziali, sulla vita e la morte, sulla famiglia e le vocazioni religiose, e non permanentemente sulla politica ecclesiastica. Papa Francesco è molto popolare, e questo è un bene. Ma la gente non partecipa più ai Sacramenti. E la sua popolarità tra i non cattolici che lo citano con entusiasmo, non cambia purtroppo le loro false convinzioni. Emma Bonino, per esempio, loda il Papa ma resta ferma sulle sue posizioni in tema di aborto che il Papa condanna. Dobbiamo stare attenti a non confondere la grande popolarità di Francesco, che pure è un enorme patrimonio per il mondo cattolico, con una vera ripresa della fede: anche se tutti sosteniamo il Papa nella sua missione».

Nell’ottica del cardinale Müller, dopo quasi cinque anni di pontificato una fase si è chiusa: quella della Chiesa intesa come «ospedale da campo», definizione felice che Francesco affidò alla Civiltà Cattolica nel 2013, poco dopo l’elezione. «Fu una grande intuizione del Papa. Ma forse ora bisogna andare oltre l’ospedale da campo, e archiviare la guerra contro il bene naturale e soprannaturale degli uomini di oggi che lo ha reso necessario», sostiene. «Oggi avremmo bisogno più di una Silicon Valley della Chiesa. Dovremmo essere gli Steve Jobs della fede, e trasmettere una visione forte in termini di valori morali e culturali e di verità spirituali e teologiche». Non basta, aggiunge, «la teologia popolare di alcuni monsignori né la teologia troppo giornalistica di altri. Abbiamo bisogno anche della teologia a livello accademico».

Dalle sue parole si intuisce che le critiche sono rivolte soprattutto ad alcuni collaboratori di Francesco. «Va bene la divulgazione. Francesco tende giustamente a sottolineare la superbia degli intellettuali. A volte, tuttavia, i superbi non sono solo loro. Il vizio della superbia è una impronta del carattere e non dell’intelletto. Io penso alla umiltà di San Tommaso, il più grande intellettuale cattolico. La fede e la ragione sono amiche».Nell’ottica del cardinale, il modello di papato che tende a emergere a intermittenza, «più come sovrano dello Stato del Vaticano che come supremo insegnante della fede», può suscitare qualche riserva.

«Ho la sensazione che Francesco voglia ascoltare e integrare tutti. Ma gli argomenti delle decisioni devono essere discussi prima. Giovanni Paolo II era più filosofo che teologo, ma si faceva assistere e consigliare dal cardinale Ratzinger nella preparazione dei documenti del magistero. Il rapporto fra il Papa e la Congregazione per la dottrina della fede era e sarà sempre la chiave per un proficuo pontificato. E ricordo anche a me stesso che i vescovi sono in comunione con il Papa: fratelli e non delegati del Papa, come ci ricordava il Concilio Vaticano II».

Müller non ha ancora smaltito «la ferita», la chiama così, dei suoi tre collaboratori licenziati poco prima della sua sostituzione. «Sono stati dei preti buoni e competenti che lavoravano per la Chiesa con dedizione esemplare», è il suo giudizio. «Le persone non possono essere mandate via ad libitum, senza prove né processo, solo perché qualcuno ha denunciato anonimamente vaghe critiche al Papa mosse da parte di uno di loro…».

 




 

[Modificato da Caterina63 27/11/2017 08:36]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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I cardinali Burke, Brandmüller e Müller e il “Papa dittatore”



(di Roberto de Mattei) Nelle ultime settimane, sono apparse tre interviste di altrettanti eminenti cardinali. La prima è stata rilasciata il 28 ottobre 2017 dal cardinale Walter Brandmüller a Christian Geyer e Hannes Hintermeier del Frankfurter Allgmeine Zeitung; la seconda è stata accordata il 14 novembre dal cardinale Raymond Leo Burke ad Edward Pentin del National Catholic Register; la terza, del cardinale Gerhard Müller, è apparsa il 26 novembre sulle colonne del Corriere della Sera, a cura di Massimo Franco.


Il cardinale Brandmüller ha manifestato la sua inquietitudine davanti alla possibilità che si apra una divisione nella Chiesa. «Il solo fatto che una petizione con 870.000 firme rivolte al Papa per chiedergli una chiarificazione resti senza risposta – come non ottengono risposta 50 studiosi di rango internazionale – suscita delle questioni. È veramente difficile da capire». «Rivolgere al Papa dei dubia, dei dubbi, delle questioni, è sempre stato un modo per dissipare le ambiguità assolutamente normale. Per dirlo semplicemente, la questione è la seguente: qualcosa che ieri era un peccato può essere oggi buono? Ci si chiede inoltre se ci sono realmente degli atti – è la dottrina costante della Chiesa – che sono sempre e in tutte le circostanze moralmente riprovevoli? Come, per esempio, il fatto di uccidere l’innocente o l’adulterio? È questo il punto. Se si dovesse rispondere effettivamente con un “sì” alla prima questione e con un “no” alla seconda, ciò sarebbe di fatto un’eresia, e quindi uno scisma. Una scissione nella Chiesa».


Il cardinale Burke, che ha dichiarato di rimanere sempre in comunicazione con il cardinale Brandmüller, ha formulato un nuovo monito «sulla gravità di una situazione che non cessa di peggiorare» e ha riaffermato la necessità di far luce su tutti i passaggi eterodossi di Amoris laetitia. Ci troviamo infatti di fronte a un processo che costituisce «una sovversione delle parti essenziali della Tradizione». «Al di là del dibattito sulla morale, viene eroso sempre di più nella Chiesa il senso della pratica sacramentale, soprattutto per quanto riguarda la penitenza e l’Eucarestia».


Il cardinale si rivolge nuovamente a papa Francesco e a tutta la Chiesa, sottolineando «quanto è urgente che il Papa, esercitando il ministero che ha ricevuto dal Signore, possa confermare i suoi fratelli nella fede, esprimendo chiaramente l’insegnamento sulla morale cristiana e sul significato della pratica sacramentale della Chiesa».


Il cardinale Müller, da parte sua, afferma che esiste il pericolo di uno scisma all’interno della Chiesa e che la responsabilità della divisione non è dei cardinali dei dubia sull’Amoris laetitia, né deifirmatari della Correctio filialis a papa Francesco, ma del “cerchio magico” del Papa, che impedisce una discussione aperta ed equilibrata sui problemi dottrinali sollevati da queste critiche.


«Attenzione: se passa la percezione di un’ingiustizia da parte della Curia romana, quasi per forza di inerzia si potrebbe mettere in moto una dinamica scismatica, difficile poi da recuperare. Credo che i cardinali che hanno espresso dei dubbi sull’Amoris laetitia, o i 62 firmatari di una lettera di critiche anche eccessive al Papa vadano ascoltati, non liquidati come “farisei” o persone brontolone. L’unico modo per uscire da questa situazione è un dialogo chiaro e schietto. Invece ho l’impressione che nel “cerchio magico” del Papa ci sia chi si preoccupa soprattutto di fare la spia su presunti avversari, così impedendo una discussione aperta ed equilibrata. Classificare tutti i cattolici secondo le categorie di “amico” o “nemico” del Papa, è il danno più grave che causano alla Chiesa. Uno rimane perplesso se un giornalista ben noto, da ateo si vanta di essere amico del Papa; e in parallelo un vescovo cattolico e cardinale come me viene diffamato come oppositore del Santo Padre. Non credo che queste persone possano impartirmi lezioni di teologia sul primato del Romano Pontefice».


Il cardinale Müller, secondo il suo intervistatore, non ha ancora smaltito «la ferita», dei tre collaboratori licenziati poco prima del suo mancato rinnovo alla testa della Congregazione, lo scorso mese di giugno. «Sono stati dei preti buoni e competenti che lavoravano per la Chiesa con dedizione esemplare», è il suo giudizio. «Le persone non possono essere mandate via ad libitum, senza prove né processo, solo perché qualcuno ha denunciato anonimamente vaghe critiche al Papa mosse da parte di uno di loro…».


Qual’è il regime sotto il quale le persone sono trattate in questo modo? Lo aveva scritto Damian Thompson su The Spectator dello scorso 17 luglio, (https://blogs.spectator.co.uk/2017/07/ pope-francis-is-behaving-like-a-latin-american-dictator-but-the-liberal-media-arent-interested/).


Il licenziamento dei collaboratori del cardinale Müller «fa venire in mente alcuni dei suoi predecessori più autoritari o, addirittura, qualche dittatore latino-americano che abbracciava le folle e dava sfoggio del suo stile di vita umile mentre i suoi luogotenenti vivevano nel timore delle sue sfuriate». Questo aspetto del pontificato di papa Francesco è ora oggetto di un libro, appena pubblicato dal significativo titolo Il papa dittatore (https://www.amazon.it/Papa-Dittatore-Marcantonio-Colonna-ebook/dp/B077M5ZH4M). L’autore è uno storico di formazione oxfordiana, che si cela sotto il nome di “Marcantonio Colonna”. Lo stile è sobrio e documentato, ma le accuse rivolte verso papa Bergoglio sono forti e numerose.


Molti degli elementi su cui si basa per formulare le sue accuse erano noti, ma ciò che è nuova è la accurata ricostruzione di una serie di “quadri storici”: i retroscena dell’elezione di papa Bergoglio, pilotata dalla “mafia di San Gallo”; le vicende argentine di Bergoglio prima della sue elezione; gli ostacoli incontrati dal cardinale Pell per aver tentato una riforma finanziaria della Curia; la revisione della Pontificia Accademia per la Vita; la persecuzione dei Francescani dell’Immacolata e la decapitazione del Sovrano Militare Ordine di Malta.


I mass media, pronti a fustigare con sdegno ogni episodio di malgoverno e di corruzione, tacciono di fonte a questi scandali. Il principale merito di questo studio storico è di averli portati alla luce. «La paura è la nota dominante della Curia sotto la legge di Francesco, insieme al sospetto reciproco. Non si tratta solo di informatori che ricercano vantaggi riportando una conversazione privata – come hanno scoperto i tre subordinati del cardinale Müller. In un’organizzazione in cui le persone moralmente corrotte sono state lasciate a posto e addirittura promosse da papa Francesco, un subdolo ricatto è all’ordine del giorno. Un sacerdote della Curia ha così ironizzato: “Si dice che non conta quello che conosci, ma chi conosci. In Vaticano è così: conta quello che conosci di chi conosci”».


Il libro di Marcantonio Colonna conferma insomma quanto l’intervista del cardinale Müller adombra: l’esistenza di un clima di spionaggio e di delazione che l’ex Prefetto della Dottrina della Fede attribuisce a un “cerchio magico”che condiziona le scelte del Papa, mentre lo storico oxfordiano lo riferisce al modus gubernandi di papa Francesco, che egli paragona ai metodi autocratici del dittatore argentino Juan Peron, di cui il giovane Bergoglio è stato seguace.


Si potrebbe rispondere nihil sub sole novum (Ecclesiaste 1, 10). La Chiesa ha visto ben altre deficienze di governo. Ma se questo pontificato sta realmente portando a una divisione tra i fedeli, come i tre cardinali sottolineano, le ragioni non possono essere limitate alla maniera di governo di un Papa, ma devono essere ricercate in qualcosa di assolutamente inedito nella storia della Chiesa: la separazione del Romano Pontefice dalla dottrina del Vangelo, che egli ha, per divino mandato, il dovere di trasmettere e custodire. E’ questo il cuore del problema religioso del nostro tempo. (Roberto de Mattei)



[Modificato da Caterina63 30/11/2017 12:45]
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05/12/2017 08:38
 
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Dopo il Papa in Asia: ha ancora senso la missione?



  • EDITORIALI di Cascioli da La Nuova Bussola

  • 04-12-2017





Papa Francesco

Diversi sono gli spunti e le domande che provoca il viaggio del Papa in Myanmar e Bangladesh, e ci sarà forse tempo nei prossimi giorni per ritornarci. C’è però una questione che mi pare prioritaria, che i gesti e le parole di papa Francesco (anche in conferenza stampa) hanno posto in primo piano. Vale a dire, il senso della missione. O meglio, e mi si scusi la brutalità: a essere coerenti con le affermazioni del Papa, ha ancora senso la missione? E la missione, così come vissuta dalla Chiesa in duemila anni, è da rottamare?


La domanda sorge pressante anche in considerazione del fatto che Myanmar e Bangladesh sono due paesi di missione, dove la fede cattolica è arrivata 500 anni fa grazie ai missionari europei e il lavoro di evangelizzazione ha avuto un nuovo impulso all’inizio del ‘900. Sebbene le comunità cattoliche rappresentino una piccola minoranza (1% in Myanmar, ancora meno in Bangladesh), hanno una storia importante di fedeltà a Cristo, vissuta fino nel martirio, grazie anche ai tanti missionari che hanno lavorato in questi paesi. Tra questi va almeno ricordato il padre Clemente Vismara, 65 anni trascorsi nelle foreste birmane e beatificato nel 2011.


Non solo negli interventi del Papa a questa storia missionaria e di martirio non si è fatto cenno, ma nei suoi discorsi sono emersi soprattutto due aspetti: il primo è un’aperta diffidenza verso le conversioni al cattolicesimo, e a tutto ciò che sa di missione “tradizionale”. C’è una costante insistenza nel sottolineare che l’evangelizzazione non è proselitismo, lo ha fatto ancora nella conferenza stampa sull’aereo di ritorno: sebbene nel linguaggio comune per proselitismo si intenda una missione “aggressiva”, tipica di alcune sette protestanti, non pare proprio a questo che il Papa si riferisca visto che non si vede proprio come i cattolici rischino un atteggiamento del genere.

Piuttosto il Papa sembra proprio prendere le distanze dalla missione intesa anzitutto come annuncio di Cristo, di cui troviamo mille esempi negli Atti degli Apostoli e che può essere sintetizzato dal discorso di San Paolo all’Areopago di Atene: «Quello che voi adorate senza conoscere, io ve l’annunzio». Chiara in questo senso è una risposta sull’aereo: «… noi non siamo molto entusiasti di fare subito le conversioni. Se vengono, aspettano: si parla…, la tradizione vostra…, si fa in modo che una conversione sia la risposta a qualcosa che lo Spirito Santo ha mosso nel mio cuore davanti alla testimonianza del cristiano». E ancora: «Questa è la forza e la mitezza dello Spirito Santo nelle conversioni. Non è un convincere mentalmente con apologetiche, ragioni… no. E’ lo Spirito che fa la conversione. Noi siamo testimoni dello Spirito, testimoni del Vangelo». Non c’è dubbio che il Papa dia la precedenza alla convivenza tra le religioni, al reciproco rispetto: «Cosa è prioritario, la pace o la conversione? Ma, quando si vive con testimonianza e rispetto, si fa la pace. La pace incomincia a rompersi in questo campo quando incomincia il proselitismo, e ci sono tanti tipi di proselitismo, ma questo non è evangelico». Insomma, potremmo sbagliare ma sembra proprio che l’ideale implicito è che ogni religione coltivi il suo orto e guai ad alterare gli equilibri.

Si obietterà: ma il Papa invita continuamente – anche nelle frasi che ho citato – a testimoniare il Vangelo, ad essere “Chiesa in uscita”. Ed è infatti qui il secondo aspetto da mettere in evidenza, ovvero che cosa egli intenda per “testimoniare il Vangelo”: «È testimoniare le Beatitudini, testimoniare Matteo 25 («…Avevo fame e mi avete dato da mangiare,… ndr), testimoniare il Buon Samaritano, testimoniare il perdono settanta volte sette», ha detto sull’aereo. E nel valorizzare e incoraggiare i cattolici del Myanmar, su questo si è soffermato: «In mezzo a tante povertà e difficoltà, molti di voi offrono concreta assistenza e solidarietà ai poveri e ai sofferenti. Attraverso le cure quotidiane dei suoi vescovi, preti, religiosi e catechisti, e particolarmente attraverso il lodevole lavoro del Catholic Karuna Myanmar e della generosa assistenza fornita dalle Pontificie Opere Missionarie, la Chiesa in questo Paese sta aiutando un gran numero di uomini, donne e bambini, senza distinzioni di religione o di provenienza etnica». 

In questo modo sembra che l’evangelizzazione sia ridotta alle opere buone per i poveri. E l’ideale diventi essere buoni e bravi. Non c’è dubbio che le buone azioni siano importanti, ma non si può non fare un paragone: Gesù agiva certamente, ma anche insegnava e dà mandato agli apostoli di annunciare il Vangelo e «ammaestrare le genti». Gli Atti degli Apostoli ci raccontano della gioia per la conversione dei pagani e l’accoglienza della Parola di Dio. La storia della Chiesa poi è costellata di missionari martiri che avevano a cuore l’annuncio della Parola di Dio prima che la costruzione di ospedali, scuole e centri di accoglienza. E Madre Teresa di Calcutta, che pure in opere per i poveri non era seconda a nessuno, diceva: «La più grande disgrazia del popolo indiano è di non conoscere Gesù Cristo». E quanto all’apologetica, tanto disprezzata, non era forse San Pietro a invitare a «rendere ragione della speranza» che è in noi?

C’è da dire che un certo approccio non è una novità, perché una parte del mondo missionario da decenni spinge soprattutto sul piano socio-economico della missione. Ma se questa diventa l’indicazione che si irradia da Roma, torniamo alla domanda iniziale: ha ancora senso la missione?

Sarebbe auspicabile che anche dai missionari arrivassero contributi per aprire un dibattito.







Bergoglio rompe con il Credo: “Ognuno ha la sua risposta”

…e così «La presenza di Dio oggi si chiama anche Rohingya. Ognuno ha la sua risposta», parola del Vicario di Cristo che così annulla l’unica risposta che davvero conta: NOSTRO SIGNORE GESU’ CRISTO.

Che papa Francesco ci stia assordando da cinque anni con la sua rivoluzione gesuitica modernista “rap”, è sotto gli occhi di tutti, ma che noi dobbiamo “abituarci” e in silenzio subire, non solo le ambiguità ma ora anche le contraddizioni, è inaccettabile.

Se a Myanmar ha taciuto sulla difesa del gruppo dei musulmani per evitare rappresaglie contro le comunità cristiane, così hanno descritto i fatti i Media al seguito papale, in Bangladesh papa Francesco si è potuto finalmente realizzare in ciò che più gli piace: accontentare tutti. Finendo anche per contraddirsi perché, il Vicario di Cristo che afferma che ogni religione ha la sua risposta, annulla automaticamente l’unica risposta che davvero conta e che è quell’unica Verità che si chiama ed è Gesù Cristo. Parole a braccio, la cui trascrizione ufficiale e integrale le trovate qui.

Viene spontaneo chiedersi: perché convertirsi a Cristo se “ognuno ha la sua risposta”? E perché la “nostra” risposta dovrebbe essere più vera di quella delle altre religioni? E perché si dovrebbe dare ascolto ad un uomo “vestito di bianco”, accolto come una star, ascoltato da TUTTI, ma per le cui parole nessuno si converte a Cristo, se ciò che dice vale come una risposta fra le tante altre che il mondo religioso, il supermarket delle fedi può offrire?  A COSA CI SERVE IL CREDO attraverso il quale è Gesù Cristo la sola risposta che cerchiamo? A Natale chi attendiamo:  Rohingya??  In definitiva: se Gesù Cristo è LA RISPOSTA agli interrogativi umani, cosa vuol dire che “ognuno ha la sua risposta”?

Ma vedete amici, ritorniamo sempre a quella INFORMAZIONE necessaria che ognuno di noi deve avere per capire la situazione: Bergoglio è figlio dello “spirito del concilio“, quello condannato già da Paolo VI, da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI… Bergoglio è figlio spirituale del preposto gesuita Pedro Arrupe alla guida del gesuitismo modernista degli anni ’70, inizi anni ’80, che si scontrò – per la dottrina – contro Paolo VI, Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II. E’ tutto provato, nero su bianco, con testi anche ufficiali che troverete qui.

Quando il giovane Jorge Mario Bergoglio venne ostracizzato dalla stessa Compagnia di Gesù, per la sua opposizione contro la Teologia della Liberazione (TdL vedi qui), si pensava bene di assoldarlo per combattere la “buona battaglia” che lo stesso Giovanni Paolo II aveva ingaggiato, condannando la TdL attraverso un documento fatto preparare dall’allora cardinale Ratzinger, qui il testo integrale.

Tuttavia, ciò che molti non compresero allora, e neppure oggi, è che Bergoglio ingannò tutti con la sua trasposizione dalla TdL alla Teologia del popolo, del pueblo (TdP). Non ingannò ovviamente Pedro Arrupe ieri, e neppure al successore Sosa oggi, da lui prescelto alla guida della nuova Compagnia, perché entrambi consapevoli della nuova linea intrapresa dai rivoltosi: IL MODERNISMO.

Affermare che “Ognuno ha la sua risposta” è il cavallo di battaglia del gesuitismo modernista di de Chardin, K. Rahner, Pedro Arrupe ieri e di Sosa e Bergoglio oggi, con i cortigiani di corte di cui papa Francesco si è circondato proprio per portare avanti quella battaglia che aveva come slogan: “se non si può convertire la gente a Cristo, allora bisogna cattolicizzare ciò che non è cattolico“.

La prova di ciò che vi portiamo è data anche dalle stesse parole di papa Francesco nei suoi viaggi ed incontri: egli cerca di accontentare tutti. Tutti hanno “una risposta da dare”, tranne – a quanto pare – la dottrina della Chiesa e i cattolici che si azzardassero a proclamarla. In questi incontri Bergoglio dice cose suggestive ai cattolici, li conferma nella fede, senza dubbio, ma con delle aggiunte atte a spingere le nuove comunità di cristiani, ad accogliere i non cattolici non per convertirli, ma per creare INSIEME la nuova società sincretista, vedi qui, regolata non da dottrine, ma da una sorta di supermarket delle fedi dentro i quali ognuno “troverà la sua risposta”, a seconda di ciò che potrà esprime il proprio pensiero, o la propria idea di fede, vedi qui.

Non inventiamo nulla: nell’incontro con i giovani in Bangladesh, vedi qui fonte ufficiale, le immagini parlano chiaro perché non c’è alcun Crocefisso e nessuna icona della Vergine Santa durante l’incontro, ma piuttosto un enorme poster con il volto di Bergoglio primeggiante la sua parola. Non a caso, in tutti i suoi Discorsi, in questo viaggio, papa Francesco ha solo citato se stesso.

Avevamo già portato le prove, vedi qui, di come papa Francesco abbia eliminato, dagli incontri Gesù Cristo Eucaristia, ora siamo anche alla eliminazione DEI SEGNI CATTOLICI durante l’incontro con i giovani…. Potrete accusarci di tutto, ma provate almeno a smentirci portando argomenti, e noi faremo subito ammenda, se scoprissimo di aver tralasciato qualcosa di importante per la Fede Cattolica.

Prendiamo atto, per onestà propria di chi si ritiene cattolico, che dobbiamo tenere conto dell’attuale situazione drammatica in cui vive il mondo, destinato ad un grave fallimento. Insomma, non è che si può dare la colpa di tutto a papa Francesco!Bergoglio ha davanti a sé il collasso del mondo, gli scandali nella Chiesa, il dominio della cultura radical-laicista. Spesso ci viene da pensare come egli, da gesuita modernista, pensi che sia più efficace non prendere di petto il mondo ma assecondarlo il più possibile, proprio perché la vittoria del Cristo in fondo non gli è del tutto oscura, ci crede davvero! Ma sappiamo che non gli è mai interessata la coerenza con la dottrina e la Tradizione, e sappiamo che il suo interesse ruota più attorno alla (ri)conquista dei fedeli attraverso il consenso delle folle e l’assenso dei media e dei poteri culturali, vedi qui.

Le conseguenze altrettanto drammatiche di questo modo di ragionare, però, degli ultimi cinque anni, le conosciamo. Il problema è trovare un delicato equilibrio: andare in queste periferie senza però perdere quelli che vivono già, con enormi difficoltà, al centro, vedi qui! E conciliare due compiti della Chiesa: aprirsi ai mutamenti del mondo e insieme restare un punto fermo rispetto ai suoi sbandamenti, vedi qui. Papa Francesco, a dirla in bene, ha un catechismo del fai da te, elementare, con una visione assai spicciola di Dio; a dirla in male è un gesuita modernista e le sue aberrazioni anche in campo dottrinale, non sono campate in aria, ma sono un progetto chiaro di questa corrente, vedi qui.

Ogni generazione, da duemila anni, si trova e si troverà, ci ritroviamo, davanti all’immagine del Sinedrio: Allora il governatore domandò: «Chi dei due volete che vi rilasci?». Quelli risposero: «Barabba!». Disse loro Pilato: «Che farò dunque di Gesù chiamato il Cristo?». Tutti gli risposero: «Sia crocifisso!».  Ed egli aggiunse: «Ma che male ha fatto?». Essi allora urlarono: «Sia crocifisso!» (Mt.27,21-23).

Oggi nessuno vuole, intenzionalmente CROCIFIGGERE Gesù il Signore, ma il ritenerlo UGUALE alle altre religioni, nascondere il Crocefisso negli incontri cattolici, oscurare la Presenza reale nell’Eucaristia, equivale a crocefiggerlo di nuovo… affermare che «La presenza di Dio oggi si chiama anche Rohingya. Ognuno ha la sua risposta», significa tornare a crocifiggerlo perché, di proposito, si omette che LA PRESENZA DI DIO SI CHIAMA GESU’ CRISTO.

Siamo entrati in Avvento, volgiamo lo sguardo al Dio che viene, senza temere di dire al mondo il Suo Nome GESU’ CRISTO, portando le nostre afflizioni e la sofferenza della santa Chiesa, Sposa del Cristo, nel Cuore Immacolato di Maria e nel Cuore di San Giuseppe, portiamo la preghiera per il sommo Pontefice, per i Vescovi, affinché comprendano la gravità della situazione e la finiscano di tacere.







[Modificato da Caterina63 05/12/2017 08:43]
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06/12/2017 23:41
 
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  Una nuova narrazione?

di Padre Giovanni Scalese



Il Professor Massimo Introvigne ha rilasciato nei giorni scorsi una lunga intervista alla rivista Formiche. È uno di quei casi strani in cui vorresti tanto che ciò che stai leggendo fosse vero, ma ti accorgi, con dispiacere, che non lo è.
L’intervista si muove in quella che è la narrativa ufficiale dell’attuale pontificato: «In parole e gesti, Papa Francesco è prima di tutto un comunicatore. Lavora di bulino sui testi della Tradizione che ha ricevuto e che è chiamato a trasmettere. Non ne cambia una virgola, ma l’incipit del suo linguaggio è differente». Le novità non vanno dunque cercate sul piano dei contenuti («I principi rimangono fermi»), ma solo su quello dello stile («comunicativo-pastorale»), del linguaggio, del tono («È cambiato il tono, e il tono per Papa Francesco è fondamentale»), dell’atteggiamento («Quello che c’è di diverso è l’atteggiamento pastorale»).

E già qui ci sarebbe qualcosa da ridire: si dà per scontato che Papa Francesco sia un grande comunicatore («sommo locutore»!), che riesce ad avere, al contrario dei suoi oppositori (che costituiscono solo «un’élite intellettuale») un contatto diretto con le masse («cerca di saltare le mediazioni, vuole rivolgersi ai fedeli direttamente»). Ma ne siamo cosí sicuri? Se tale rapporto immediato con la gente esistesse davvero, la piazza e la basilica di San Pietro dovrebbero essere sempre gremite (come lo erano al tempo dell’intellettuale Papa Benedetto), mentre appaiono sempre piú vuote.

Non è poi vero che vengono saltate le mediazioni; le mediazioni continuano a esserci (e non potrebbe essere altrimenti), sono solo diverse rispetto al passato: invece di servirsi dell’Osservatore Romano, Papa Bergoglio preferisce ricorrere a Repubblica. La scelta viene cosí motivata: «È piú importante avere una buona stampa su Repubblica o sulla Cnn che sui media cattolici». Questione di gusti. Ma non illudiamoci, per favore, che attraverso Repubblica il messaggio evangelico giungerà alle masse nella sua purezza.
«Cosí facendo si rischia il fraintendimento, la riduzione? … Francesco sa di potere essere equivocato, con Scalfari e nelle interviste in aereo. È un rischio che corre quando insiste sulla necessità di avviare processi piú che occupare spazi».

È vero che talvolta, forse sempre, per raggiungere un obiettivo, è necessario rischiare: chi non è disposto a correre mai alcun pericolo è inevitabilmente condannato all’immobilismo. Il problema è che qui non si capisce se il gioco valga la candela. Sembra quasi che tutti leggano Repubblica, e quindi, per raggiungerli, sia necessario servirsi di quello strumento di comunicazione. Solo che la premessa è sbagliata, perché, anche se è vero che i lettori di Repubblica sono piú numerosi di quelli dell’Osservatore Romano, non è vero che tutti leggono il quotidiano di Eugenio Scalfari. Inoltre, Repubblica, come qualsiasi altro quotidiano del resto, non è un giornale neutro, ma di parte. Sceglierlo come interlocutore privilegiato, pertanto, non significa semplicemente rivolgersi a un uditorio piú vasto; significa piuttosto fare una scelta di parte ed escludere a priori una larga fetta di potenziali destinatari che non si riconoscono in quella linea ideologica. Per carità, tutto assolutamente legittimo; ma da che mondo è mondo io ho sempre saputo (forse mi sono sbagliato; dovrò aggiornarmi) che un pastore non dovrebbe essere un uomo di parte, ma il padre di tutti…

Credo poi che ormai questa storia dell’equivoco e del fraintendimento possa essere pure archiviata. Papa Francesco, quando vuole, sa essere estremamente chiaro. Per esempio, riguardo ad Amoris laetitia, che di per sé è un documento (volutamente) ambiguo, Papa Francesco ha fatto chiaramente capire come essa vada interpretata: se qualcuno avesse ancora dei dubbi (o dei… dubia), vada a leggersi gli Acta Apostolicae Sedis dell’ottobre 2016.

C’è bisogno, a quanto pare, di una “narrazione differente”: emblematico l’aneddoto delle trecentomila prostitute minorenni filippine, con le quali «discettare di Concilio Vaticano II o di indissolubilità del matrimonio non serve». Non credo che ci sia mai stato nessuno che abbia avuto la pretesa di discutere di Concilio Vaticano II con le prostitute filippine (magari, se si dovesse presentare l’occasione, visto che si definiscono cattoliche, fare loro un po’ di catechismo non sarebbe una cattiva idea). Ma è proprio qui che ci troviamo davanti al grande equivoco dell’attuale congiuntura ecclesiale: preoccuparsi della dottrina è la vecchia “narrazione” che “non arriva”, e quindi va abbandonata per essere sostituita da una “narrazione nuova”, che sarebbe poi l’attenzione alle persone.

Come se nella Chiesa che si preoccupava della dottrina non ci fosse attenzione alle persone e ai loro problemi. E come se nel nuovo corso, oltre all’attenzione alle persone (non poi cosí accentuata come ci si aspetterebbe), non ci fosse una nuova ortodossia, che ha rimpiazzato la vecchia. Eh sí, perché anche nella nuova Chiesa di retorica se ne fa tanta, a proposito dei temi che vanno per la maggiore (clima, ambiente, migranti, ecc.). Introvigne spiega il fenomeno cosí: «Attraverso quelle [questioni Papa Francesco] pensa di poter dialogare con un numero piú alto di persone, di avvicinarne di piú». Già, perché la gente non dorme la notte pensando al buco dell’ozono e al riscaldamento globale…

Lo stesso dicasi dell’ecumenismo. Non so se le prostitute filippine si appassionino al dialogo fra cattolici, protestanti e ortodossi; eppure quest’anno il centenario di Lutero sembra essere stato al centro dell’attenzione del Papa e di molti Vescovi. Non si tratta, in questo caso, di un «dibattito per circoli ristretti»? Ma il bello è che, dopo averci fatto una testa cosí per cinquant’anni sul Concilio, ora, tutto d’un tratto, ci vengono a dire che il dibattito sul Vaticano II è solo un passatempo per pochi sfaccendati che non sanno come occupare il tempo. Ma che dico, il Concilio? No, anche su Amoris laetitia sembrerebbe ormai chiuso il dibattito: fino a qualche tempo fa sembrava che la comunione ai divorziati risposati fosse la questione numero uno della Chiesa; ora, proibito parlarne; ciò che conta è «rivolgersi alle periferie».

Ma ciò che piú meraviglia è la granitica convinzione che, in questa nuova “narrazione”, i principi, quelli no, non cambieranno: «La Chiesa — per stare ai grandi argomenti morali come aborto, eutanasia e matrimonio — non cambierà posizione: “È impossibile”. Bergoglio, anche se poco raccontato, su quei temi è netto e in stretta continuità coi predecessori». Sarà. Anche se, poco dopo, il Professore si vede costretto ad ammettere che «la dottrina non cambia, ma si sviluppa». È il riconoscimento che, una volta che si incomincia a cambiare stile, linguaggio, tono e atteggiamento, è inevitabile che anche i contenuti, in un modo o nell’altro, ne risentano.

Con queste osservazioni non voglio dire che tutta l’intervista sia da buttare: ci sono passaggi pienamente condivisibili. Quelli dove il Professore fa il suo mestiere, il sociologo. Ha perfettamente ragione quando afferma che la frequenza alla Messa non dipende da questo o quel Papa: «Sono processi in atto da tempo, che continuano, con una costante, lieve diminuzione della partecipazione attiva». Anche se Introvigne non dovrebbe dimenticare che lui stesso fu tra i primi a parlare, nel 2013, di “effetto Francesco”. Cosí pure ha ragione quando sottolinea che il futuro della Chiesa non si gioca in Europa, ma in America Latina, Africa e Asia. Solo che non si vede tutta questa sintonia di Papa Bergoglio con le giovani Chiese. Anche in questo caso, il Professore è costretto ad ammettere che «l’episcopato africano è stato tra quelli piú conservatori al Sinodo sulla famiglia». Si direbbe che Papa Francesco abbia fatto sua piú la sensibilità delle Chiese dell’Europa del Nord che non quella delle Chiese del Sud del mondo.

Va dato atto a Introvigne di essere fondamentalmente onesto: riconosce con grande sincerità che ad allontanarlo dai vecchi amici hanno contribuito anche le sue vicende personali. Diciamo che gli è andata bene: tali vicende hanno coinciso con un cambio di rotta nella Chiesa cattolica. Per cui, a differenza dei suoi amici che un tempo difendevano il papato e oggi lo contestano, lui potrà dire di essere rimasto sempre fedele al Papa. Anche in questo caso però è costretto ad ammettere che, a sostenere sempre, senza se e senza ma, qualsiasi decisione pontificia, qualche volta si rischia di prendere una cantonata, di cui poi ci si deve pentire. I Papi non sono infallibili in ogni loro affermazione e atteggiamento. Un pizzico di sano spirito critico anche nei confronti dei Romani Pontefici non guasterebbe: Amicus Plato, sed magis amica veritas. 

Un’ultima annotazione. In questa accettazione globale e acritica dell’attuale pontificato, c’è un’eccezione, una sola: l’articolo della Civiltà cattolica di quest’estate (di cui anche noi ci siamo occupati qui) su fondamentalismo evangelicale e integralismo cattolico. Beh, l’irritazione di Introvigne per quell’articolo è abbastanza significativa: evidentemente, si è sentito colto sul vivo. I suoi trascorsi ideologici (Plinio Corrêa de Oliveira, TFP, Alleanza Cattolica) e le sue mai celate simpatie per il modello americano (tra l’altro, vive per lo piú a New York) fanno di lui un “teocon” che da quell’articolo non poteva non sentirsi in qualche modo toccato. A me interessa qui solo rilevare la debolezza di una posizione ideologica (quella catto-conservatrice, intendo), che si sta dimostrando incapace, in nome di una malintesa sottomissione al papato, di dare una lettura obiettiva dell’attuale situazione ecclesiale. 





INCONTRO CON L'EPISCOPATO BRASILIANO

DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Arcivescovado di Rio de Janeiro
Sabato, 27 luglio 2013




"Il compito della Chiesa nella società

Nell’ambito della società c’è una sola cosa che la Chiesa chiede con particolare chiarezza: la libertà di annunciare il Vangelo in modo integrale, anche quando si pone in contrasto con il mondo, anche quando va controcorrente, difendendo il tesoro di cui è solo custode, e i valori dei quali non dispone, ma che ha ricevuto e ai quali deve essere fedele.

Cari Fratelli, se non formeremo ministri capaci di riscaldare il cuore alla gente, di camminare nella notte con loro, di dialogare con le loro illusioni e delusioni, di ricomporre le loro disintegrazioni, che cosa potremo sperare per il cammino presente e futuro? Non è vero che Dio sia oscurato in loro. Impariamo a guardare più in profondità: manca chi riscaldi loro il cuore, come con i discepoli di Emmaus (cfr Lc 24,32).

Per questo è importante promuovere e curare una formazione qualificata che crei persone capaci di scendere nella notte senza essere invase dal buio e perdersi; di ascoltare l’illusione di tanti, senza lasciarsi sedurre; di accogliere le delusioni, senza disperarsi e precipitare nell’amarezza; di toccare la disintegrazione altrui, senza lasciarsi sciogliere e scomporsi nella propria identità.

Serve una solidità umana, culturale, affettiva, spirituale, dottrinale."









[Modificato da Caterina63 08/12/2017 23:51]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Samir: moschea sul terreno della Chiesa? Una follia

LIBERTÀ RELIGIOSA 18-12-2017  di Andrea Zambrano

Izzedin Elzir (Ucoii e imam di Firenze) e l'arcivescovo Betori in chiesa

Un cavallo di Troia fatto entrare con l'arma della buona fede e dell'ignoranza sull'Islam da parte dei vescovi. L'islamologo di fama internazionale Samir Khalil Samir boccia senza appello la decisione della diocesi di Firenze di vendere all'Ucoii il terreno su cui costruire la moschea: "Non si riflette sui finanziamenti che arrivano dall'Arabia e sul fatto che per l'islam non si torna indietro. Così ripeteranno lo stesso schema con altre diocesi in Italia".

L'appello ai vescovi: "Ascoltate i cristiani convertiti per conoscere il loro martirio quotidiano e per sapere che cosa è l'islamismo". "La visione di Giovanni Paolo II? Quella di Firenze è una delle tappe della conquista, che si attua lentamente, senza che ce ne accorgiamo".

Un cavallo di Troia. E’ la costruzione della moschea di Sesto fiorentino su terreni ceduti dalla diocesi di Firenze all’Ucoii. Ne è convinto padre Samir Kahlil Samir, gesuita e islamologo di fama internazionale che non ha mai taciuto sul rischio di islamizzazione dell’Occidente. Secondo Samir, in questa intervista alla Nuova BQ, la decisione del vescovo di Firenze, mons. Giuseppe Betori, è provocata da un irenismo in buona fede, ma miope. La prima conseguenza infatti sarà che le associazioni islamiche andranno alla ricerca di altri terreni in altre diocesi per quella che diventerà un’operazione di conquista su larga scala. Una conquista islamica di cui non ci si vuole accorgere e che lui si incarica di denunciare nella scomoda parte di Cassandra.

Padre Samir, è così? Un cavallo di Troia?
Ma certamente. Un intento apparentemente buono, ma un esito pericoloso.

E’ già successo?
Ho visto vescovi concedere chiese non più utilizzate al culto diventare moschee. Ma con questa sistematicità, programmata e concordata no. Effettivamente è la prima volta.

Perché è pericoloso secondo lei?
Anzitutto perché è vero che dobbiamo andare d’accordo, ma non sappiamo e non sapremo mai chi finanzia queste costruzioni. E’ risaputo che centinaia di moschee tra le più grandi d’Europa sono finanziate dall’Arabia Saudita o da qualche altro stato. Non è che una comunità animata da fede sincera improvvisamente trova a suon di offerte i 240mila euro necessari per l’acquisto del terreno. Anche perché poi bisognerà trovarne molti di più per la costruzione del tempio. Ora, sappiamo tutti che l’Arabia Saudita difende la visione più fanatica e retrograda del mondo musulmano, che incita altri ad atti terroristici oppure atti contro i non-musulmani considerati come kuffār, empi, e dunque degni di essere eliminati, secondo il Corano.

E’ stato giustificato dal vescovo come un esempio di libertà religiosa…
I musulmani sono assorbiti tutto il giorno dall’appello alla preghiera. Ho letto che di fronte verrà eretta una chiesa. Ma come sarà possibile andare d’accordo con il muezzin che dal minareto proclamerà ogni giorno frasi che spesso sono anticristiane?

Si dirà: ma noi abbiamo le campane…
Sì ma le campane fanno parte dell’esistenza stessa italiana e poi sono soltanto un richiamo, non contengono il messaggio. L’imam dal minareto invece emette un messaggio, un messaggio in arabo spesso anticristiano che risuonerà nella zona: sarà l’unica voce del credente in Dio, come se gli altri non ci fossero.

Crede che sia un elemento del processo di islamizzazione dell’Occidente?
Assolutamente sì. Vede, l’islam è così, ha deciso di diffondersi lentamente, ma su una cosa è risoluto: non può mai fare passi indietro. Non è mai successo. L’Europa in questo momento sta pensando: sì dobbiamo aiutare, aiutare ad integrarsi nella cultura nella loro tradizione, ma non a diventare cristiani, cosa che non succede mai.

Quali saranno le conseguenze immediate di una cessione di un terreno in mano islamica.
Anzitutto che per loro questo resterà definitivamente territorio dell’islam e apparirà ai loro occhi simbolicamente coma la vittoria dell’islam sul cristianesimo perché la concezione materiale e concreta è quella. E’ un atto di una valenza simbolica e una portata enormi.

Sì, ma i musulmani non sono animati tutti da desiderio di conquista.
Questo è vero, la maggior parte degli islamici è pacifica e tranquilla, vuole vivere correttamente, ma tra di loro ci sono organizzazioni che seguono l’islam fanatico e hanno scopi politico-religiosi che, come è noto, sono due facce inscindibili, non conoscendo l’islam il concetto di laicità. Utilizzeranno il caso di Sesto Fiorentino per dire: ecco adesso facciamo un passo in più.

Cioè?
Farlo con altre diocesi e altre parrocchie. Il copione è questo, si rivolgeranno al prossimo vescovo e diranno: voi avete una chiesa che non usate più, che nessuno frequenta più oppure un terreno che dovete mettere a reddito e il gioco è fatto. Tutto questo rischia di allargarsi in tutto il Paese, sempre lentamente, senza accorgersene. Questa è una logica di conquista politica immersa nell’elemento religioso.

Come dovrebbero essere allora i rapporti?
Creare legami fraterni tra musulmani e cristiani, ma senza coinvolgere chiese e moschee, senza invitare loro a messa o viceversa. Una partita a calcetto può essere molto più proficua per stabilire rapporti di buon vicinato. Ma è chiaro che il problema è un altro.

Quale?
Il fatto che questo venga spacciato per libertà religiosa. La libertà religiosa in Italia e in Europa c’è già, è garantita, nessuno impedisce all’Ucoii di comprare un terreno. Ma non è libertà religiosa che un vescovo non sappia che cosa sia l’islam.

Ma le intenzioni…
I buoni sentimenti non hanno esperienza del mondo islamico. Questa è una lacuna terribile del clero occidentale, che non si informa seriamente. Questa cosa andava decisa e discussa insieme a tutti gli altri vescovi.

Ma così forse qualcuno si sarebbe messo di mezzo.
Appunto. Una situazione nuova per la comunità cristiana, cioè fare business con un terreno ceduto ai musulmani, doveva essere analizzata da un organismo più allargato, non da un solo vescovo che potrà aver deciso pensando soltanto a casa sua, invece…E’ ovvio che il vescovo l’ha fatto come un gesto fraterno, ma una decisione così importante avrebbe dovuto, secondo me, essere presa insieme a tutto il vescovado italiano e con l’aiuto di alcuni ex-musulmani, cioè di persone che conoscono bene la mentalità musulmana, molto diversa sul piano religioso della mentalità italiana.

Perché dice che "fa business"?
Perché vendere un terreno senza sapere chi finanzierà la moschea vuol dire fare business. Negli anni scorsi i committenti erano noti, spesso c’erano Paesi come la Tunisia e il Marocco che finanziavano i luoghi di culto per i loro concittadini in Europa. Oggi è tutto coperto, grazie alla finanza. L’Arabia ha costruito centinaia di moschee in Indonesia che è il Paese a più alta concentrazione islamica con 220 milioni di musulmani. Era un Paese tranquillo e politicamente moderato, ma dopo la grande stagione delle moschee arabe è diventato un Paese in cui l’anticristianesimo è sempre più una minaccia, fino al martirio.

Che cosa pensa della decisione del comune di Cordoba in Spagna di utilizzare la cattedrale anche per il culto islamico?
Ero il mese scorso là, ho seguito la vicenda. Tutto è nato parecchi anni fa da uno spagnolo convertito all’islam. Faccio notare che prima, nel Medioevo c’era una chiesa cristiana, poi è arrivato l’islam, che l’ha distrutta e vi ha costruito il suo tempio. Successivamente con la Reconquista sono tornati i cristiani, ma non hanno distrutto niente; abbiamo celebrato la messa con tre vescovi dal 24 al 26 novembre scorso dentro la moschea rimasta tale quale. Riassumendo: i musulmani arrivano, distruggono e ricostruiscono, mentre i cristiani tornano ma non distruggono, bensì costruiscono dentro: questo è il vero dialogo.

E’ una concreta minaccia quella del doppio culto? 
Al momento sembra che si sia fermato, ma gli islamici sono spalleggiati da un governo di sinistra e anticattolico che amministra la città.

Anche questa è la mentalità di conquista che aveva visto San Giovanni Paolo II con la visione dell’invasione islamica?
Certo, questo esiste, non posso dire che ogni musulmano abbia questa mentalità, ma l’islam non manca occasione per dire che deve conquistare il mondo cominciando dall’Europa: non è il pensiero di tutti i musulmani, ma è il pensiero della tendenza attuale più attiva. Non fanno altro che guerre, anche interne, il loro ragionamento è: più ci sono immigrati profughi, più conquistiamo pezzo per pezzo, ci vorrà un secolo, ma ce la faremo. E’ un’invasione programmata, non illudiamoci.

Crede che i vescovi debbano fare di più per opporsi?
Questa fretta nell’accoglienza è bella, ma dove può portare? Quanti dei vescovi sono consapevoli che, come negli affari, se tratto con una persona non onesta sono rovinato? Quello che manca è una conoscenza profonda del progetto islamico. Bisogna formarsi per poter parlare con competenza e analizzare tutti gli aspetti prima di prendere decisioni come quella di Firenze. Non si può continuare a dire di essere informati perché si ascoltano le menzogne degli Imam che continuano a dire che islam vuol dire pace. No, salam vuol dire pace, islam vuol dire sottomissione. La sottomissione ad Allah che dà pace. 

Lei ha dei consigli?
Dobbiamo appoggiarci ai musulmani diventati cristiani, perché loro parlano per esperienza. Se si sono convertiti non è perché li abbiamo pagati, ma perché hanno capito che il vero messaggio di Dio è questo. Non si prende abbastanza sul serio il pensiero di questi nuovi cristiani. Ho visto che avete pubblicato Suad Sbai, avete fatto bene. E’ una persona splendida che si sta battendo. Oggi le loro storie sono drammi veri che vanno accolti e ascoltati.

Che cosa devono subire?
Rischiano la pelle con le famiglie di origine, con i mariti, con le comunità. Sono abbandonati a loro stessi perché nessun vescovo ha pensato di ideare programmi pastorali che prevedano anche loro testimonianze. Farebbe bene a loro a sentirsi accettati, ma farebbe bene a tutte le comunità cristiane, vescovi in primis per capire l’islam.

Sta dicendo che non sono ascoltati?
Peggio, vengono ostracizzati. In Francia è nata, tre anni fa, un’associazione chiamata “Gesù è il Messia”, composta da vecchi cristiani e di convertiti dall’islam al cristianesimo. Ebbene: abbiamo chiesto in varie diocesi di poterci riunire con loro in convegno per riflettere su “come annunciare il Vangelo ai musulmani”. Più vescovi hanno chiuso a noi le porte, con l’argomento “Noi cristiani non facciamo proselitismo”. Abbiamo ribadito : “Il Vangelo di Matteo si conclude con queste parole di Gesù: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo,  insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato” (Mt 28, 19-20).

Dove porterà questa mentalità così arrendevole?
Sarà l’inizio della fine se non si invertirà la rotta.




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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18/12/2017 15:19
 
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di mons. Antonio Livi

ECCLESIA - 18-12-2017

La pubblicazione negli Acta Apostolicae Sedis di due documenti che introducono la prassi della comunione per i divorziati risposati, riflette chiaramente la volontà del Papa ma non ha la forza di cambiare ciò che la Tradizione ci ha trasmesso. Ecco cosa fare.

Recentemente è stato resto noto che il 5 giugno scorso papa Francesco aveva ordinato la pubblicazione negli Acta Apostolicae Sedis di due documenti, specificando che essi costituiscono «magisterium authenticum»: si tratta di una lettera con cui egli approvava i provvedimenti adottati dai vescovi della regione ecclesiastica di Buenos Aires per applicare nel proprio territorio le direttive pastorali dell’esortazione apostolica post-sinodale Amoris laetitia (AL), e del testo di quel pronunciamento episcopale. La pubblicazione di questi documenti ha fatto esultare alcuni cattolici che ne hanno assunto la difesa d’ufficio contro altri cattolici (non esclusi autorevoli teologi e nemmeno alcuni eminenti uomini di Chiesa, come ad esempio i cardinali Raymond Leo Burke, Carlo Caffarra, Walter Brandmüller, Joachim Meisner, Robert Sarah e Gerhard Ludwig Müller), etichettati come «nemici del Papa».

La soddisfazione di quelli che si autodefiniscono «amici di Francesco» è motivata dal fatto che, secondo loro, Francesco ha voluto mettere fine alle critiche sulla presunta ambiguità di AL eliminando ogni dubbio circa la sua volontà che, a certe condizioni, i «divorziati risposati» possano accedere alla comunione eucaristica, pur continuando a convivere "more uxorio". In effetti, il Papa scrive nella sua Epistola apostolica che il documento dei vescovi argentini «spiega in modo eccellente il capitolo VIII di Amoris laetitia. Non ci sono altre interpretazioni». A questo punto, sembra che abbiano “vinto” loro, i presunti «amici del Papa», nella loro rabbiosa polemica contro chi osava proporre “dubia” o addirittura una “Filialis correctio”. Si deve dire, con alcuni di essi, «Roma locuta, quaestio finita»? Purtroppo (per loro e per tutti), no: la questione di fondo resta aperta.

1) Tanto per cominciare, anche quest’ultimo pronunciamento magisteriale è suscettibile di diverse interpretazioni, non essendo affatto evidente che l’approvazione della soluzione adottata dai vescovi della regione di Buenos Aires implichi la delegittimazione delle soluzioni adottate da altri vescovi, sia in senso decisamente restrittivo (come hanno fatto i componenti della conferenza episcopale polacca, molti vescovi africani  e l'arcivescovo di Philadelphia Charles Chaput), sia in senso decisamente più permissivo (come hanno fatto i componenti della conferenza episcopale tedesca o quelli della conferenza episcopale filippina). E non si deve dimenticare che lo stesso Francesco, riferendosi al dibattito che c’era stato durante il Sinodo, riconosceva all’inizio della AL che non sarebbe giusto escludere che «esistano diversi modi di interpretare alcuni aspetti della dottrina o alcune conseguenze che da essa derivano», motivo per cui «in ogni regione o Paese si possono cercare soluzioni più inculturate, attente alle tradizioni e alle sfide locali».
Insomma, di potrebbe dire, parafrasando un Leitmotif del magistero di papa Francesco, che quella dei vescovi argentini è soltanto una «scelta preferenziale». Se è così, resta aperta la questione se, al di là delle diverse interpretazioni o applicazioni pastorali, il “nucleo dogmatico” di AL (ossia la dottrina sul Matrimonio in relazione con la Penitenza e con l’Eucaristia) sia in perfetta continuità con il magistero ecclesiastico precedente oppure lo contraddica in punti fondamentali.

2) Secondariamente, non è affatto chiaro il significato di «magistero autentico» applicato ai due documenti, perché nemmeno essi tolgono ogni dubbio sulla compatibilità delle direttive di AL con i principi dottrinali che ispirano le norme del Codice di diritto canonico, che fa espresso divieto di concedere la comunione eucaristica a coloro che «ostinatamente perseverano in peccato grave manifesto» (canone 915). Le argomentazioni canonistiche prodotte a titolo privato dal cardinale preposto all’interpretazione autentica dei testi legislativi (cfr Francesco Coccopalmerio, Il capitolo ottavo della Esortazione Apostolica Post Sinodale “Amoris Laetitia”, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2017) rappresentano anch’esse una difesa d’ufficio dalla AL, ma non entrano nel merito del problema perché fingono di ignorare che nessuna norma di legge può essere considerata abolita sulla base di discorsi vaghi e ambigui, non accompagnati peraltro da decreti legislativi adeguati.

Va riconosciuto, comunque, che una cosa almeno viene definitivamente chiarita da questo ultimo atto magisteriale di papa Francesco: è la sua fermaintenzione di introdurre nella Chiesa una nuova prassi, diversa da quella che era stata sancita dal suo predecessore san Giovanni Paolo II con l’esortazione apostolica post-sinodale Familiaris consortio (1981), che ben si armonizzava con tutta la Tradizione dogmatico-morale e con le norme che si ritrovano oggi nel Codice di Diritto Canonico. Una prassi che viene a legittimare quanto già veniva fatto (abusivamente) in molte regioni del mondo cattolico, a cominciare dalla Germania, dal Belgio e dall’Olanda, per volontà delle conferenze episcopali di quei paesi. Si tratta di un’intenzione di cambiamento della prassi pastorale nei confronti di quei fedeli che chiedono di essere ammessi alla comunione sacramentale pur trovandosi in una condizione di vita (esterna, pubblica) che fa legittimamente presumere che non siano in «stato di grazia santificante».

In che consiste tale cambiamento? Consiste nella pubblica accoglienza di questi fedeli nella comunità visibile, ossia nella vita sociale della comunità cristiana, dove il Vescovo e i presbiteri sono pronti a un fraterno dialogo di “discernimento”, per verificare, caso per caso, se quei fedeli non siano, malgrado le apparenze, in «stato di grazia santificante» e possano quindi accedere direttamente alla Comunione, oppure possano recuperare lo stato di grazia con la Confessione, pur non volendo o non potendo cambiare la loro «situazione oggettiva di peccato».

Ma se ora è fuori di dubbio che questa era l’intenzione del papa nel pubblicare la AL, restano – anzi, aumentano – i dubbi circa la dottrina che dovrebbe giustificare la nuova prassi. Non si può ignorare che qualsiasi decisione che la suprema autorità della Chiesa voglia assumere riguardo alla prassi pastorale implica sempre dei criteri dottrinali, indipendentemente dal fatto che siano formalmente enunciati oppure restino impliciti. Tradizionalmente, quando sembra difficile far comprendere e far accettare determinate decisioni agli operatori della pastorale e ai semplici fedeli – ed è il caso di quelle novità sconcertanti che seguono a una radicale riforma – l’autorità della Chiesa si premura di esporre con la massima chiarezza quei criteri dottrinali. Ciò non è avvenuto con la AL, che – come ho sempre sostenuto nelle mie pubblicazioni al riguardo – si esprime in modo «volutamente ambiguo» circa le ragioni dottrinali che consiglierebbero la nuova prassi. E il motivo di tal voluta ambiguità è, presumibilmente, la consapevolezza che la dottrina che ispira la nuova prassi è chiaramente contraria alla Tradizione e riflette teorie teologiche chiaramente eretiche, come la Correctio filialis ebbe a denunciare. I cinque “dubia” che in precedenza erano stati presentati al papa dai quattro cardinali avevano appunto questo scopo: indurre papa Francesco a riformulare le direttive pastorali in modo da eliminare da esse quei presupposti dottrinali che possono sembrare ereticali.

Con questo suo ultimo gesto – la pubblicazione di una formale convalida di quanto avevano scritto i vescovi argentini –  papa Francesco ha fatto proprio il contrario: invece di riformulare le direttive pastorali in modo da eliminare da esse quei presupposti dottrinali che paiono a molti ereticali, ha mostrato disinteresse per la discussione sui principi e ha ribadito la sua intenzione di riformare ab imis la prassi pastorale della Chiesa universale nella direzione che gli era stata indica dal cardinale Walter Kasper e da un’agguerrita minoranza di vescovi  durante i lavori del Sinodo sulla famiglia (cfr i contributi di vari autori pubblicati in Dogma e pastorale. L’ermeneutica del Magistero dal Vaticano II al Sinodo sulla famiglia, a cura di Antonio Livi, Leonardo da Vinci, Roma 2015). E questa corrente teologico-pastorale che ha suggerito a papa Francesco le soluzioni adottate nella AL le sta adesso giustificando, in polemica con i critici, ricorrendo a tante, troppe argomentazioni retoriche, una in contrasto con l’altra, sicché i fedeli che continuano a nutrire dei dubbi sui principi dottrinali che ispirano la nuova prassi di AL si trovano in uno stato d’animo che io continuo a definire di vero e proprio «disorientamento pastorale».

A questo punto, se mi si domanda che cosa deve fare un cristiano che vede nel Papa, chiunque egli sia, il Vicario di Cristo, dirò che ogni decisione coerente con la fede deve prescindere da considerazioni troppo umane e da ogni “partito preso”. E deve riferirsi concretamente alle diverse condizioni personali. 

1) Se si tratta di uno dei principali destinatari della AL, ossia di un vescovo, egli deve prendere in seria considerazione l’appello alla misericordia di papa Francesco, applicandolo prudentemente alla realtà della sua diocesi, in forza di quel senso di irrinunciabile responsabilità nei confronti del popolo a lui affidato che gli deriva dal suo specifico munus pastorale. Egli dunque adopererà il retto discernimento di fede per decidere se e come eseguire le indicazioni dell’esortazione apostolica post-sinodale e quelle eventuali della conferenza episcopale di riferimento, che per la loro stessa natura non sono da intendersi come prescrizioni canoniche assolutamente obbliganti. Io personalmente conosco bene alcuni casi di esemplare condotta di vescovi diocesani che hanno vissuto in piena coerenza sia il dovere di conservare l’unità del collegio episcopale con a capo il Papa, sia il dovere di esercitare responsabilmente  la discrezionalità che la stessa legge canonica prevede (cfr Giuseppe Siri, Dogma e liturgia, Leonardo da Vinci, Roma 2015; Mario Oliveri, Un vescovo scrive alla Santa Sede sui pericoli pastorali del relativismo dogmatico,  Leonardo da Vinci, Roma 2017).  

2) Se poi si tratta di uno dei destinatari diretti ma subordinati della AL, ossia diun sacerdote in cura d’anime, egli deve mettere fedelmente in pratica i criteri di “misericordia” e di “accompagnamento” suggeriti da papa Francesco, senza però considerare “superati” o “aboliti” (perché AL non li ha esplicitamente dichiarati superati né può abolirli) i precetti della legge morale naturale e della legge evangelica che il diritto canonico vigente ha codificato per regolare santamente la prassi pastorale dei Sacramenti. Egli quindi non concederà l’assoluzione sacramentale a quelle persone delle quali conosce la situazione “irregolare” se prima non avrà accertato, in foro interno (ossia in un colloquio personale), che quel fedele è effettivamente pentito, vuole davvero riparare il danno causato agli altri membri della Chiesa ed è fermamente deciso a non peccare più (il che implica la volontà di uscire dalla situazione nella quale si trova per sua colpa, al netto di tutte le circostanze che possono averne limitato la libertà di azione).
Ora, per accompagnare il penitente in questo arduo cammino di conversione, il confessore dovrà impegnarsi fin dall’inizio a illuminare la sua coscienza con la dottrina del Vangelo, rendendolo consapevole di aver mancato al dovere di fedeltà matrimoniale (per il fatto di aver abbandonato il coniuge e di essersi unito ad altra persona) e al dovere di dare testimonianza della propria fede cattolica  (per il fatto di aver chiesto all’autorità civile il riconoscimento pubblico del divorzio e della nuova unione coniugale). Il ministro del sacramento della Penitenza ha non solo il dovere, giustamente ricordato da papa Francesco, di praticare la comprensione e la misericordia nei confronti di ogni penitente, ma anche il dovere di giudicare, graviter onerata conscientia, se esistono o meno, nel penitente, le condizioni per ottenere il perdono da parte di Dio e con esso il ripristino della grazia santificante, ossia il pentimento, l’accusa sincera, il proposito di emendarsi e di riparare. Se il confessore non ha  l’evidenza di tali condizioni e assolve ugualmente il penitente, non amministra validamente il sacramento, a danno del penitente stesso e della Chiesa intera.

3) Infine, se si tratta di uno dei destinatari indiretti della AL, ossia di un comune fedele, sia ecclesiastico che laico, costui è tenuto anche oggi a rispettare e venerare il Papa, chiunque egli sia, senza per questo sentirsi obbligato a considerare de fide divina et catholica ciò che egli ha proposto, non come una precisa dottrina dogmatico-morale ma solo come vaghi e contraddittori argomenti filosofico-teologici a sostegno delle sue indicazioni pastorali. Come ho già detto, il fatto di includere formalmente la dottrina della AL tra i documenti del magistero ordinario del papa non implica che essa sia sostanzialmente tale da vincolare tutti i fedeli all’assenso, come parte del sistema della fede. Di conseguenza, un comune fedelesoprattutto se è un teologo, non deve sentirsi in coscienza privato della libertà di pensiero per quanto riguarda un proprio giudizio sulla prassi voluta da papa Francesco, la quale, a parere di molti cattolici competenti (ad esempio i filosofi Robert Spaemann, Stalislaw Gryegel e Joseph Seifert, oltre ai teologi firmatari della Correctio filialis, tra i quali notoriamente ci sono anch’io), comporta il rischio di contribuire alla diffusione delle eresie nella Chiesa di oggi.

Si tratta – ripeto ancora una volta, sperando che questa precisazione sia finalmente recepita anche da chi finora ha preferito alimentare sterili polemiche di parte – di legittime opinioni espresse con prudenza e misura da fedeli cattolici che sono solleciti del bene comune ecclesiale e constatano, vivendo in mezzo alla gente, che la prassi consigliata da papa Francesco non contribuisce all’unità della Chiesa nella fede e nella carità. In spirito di leale collaborazione ecclesiale, è lecito esprimere le proprie opinioni sull’opportunità di determinati atti di governo e di determinati indirizzi pastorali del Pontefice regnante. Non si tratta certamente di giudizi perentori (apodittici, dogmatici), su materie di fede e di morale che l’autorità ecclesiastica ha il compito di insegnare autorevolmente come facenti parte della divina rivelazione, quale è stata donata al mondo da Cristo ed è stata finora infallibilmente custodita e interpretata dalla Chiesa. Ha torto quindi chi accusa me e gli altri firmatari della Correctio filialis di aver voluto «condannare senza discutere» (cfr Rocco Buttiglione, Risposte amichevoli ai critici di “Amoris laetitia”, Ares, Milano 2017). Se è vero che talvolta alcuni espongono le loro opinioni (legittime) in in modo eccessivamente polemico (ad esempio i firmatari della dichiarazione intitolata Fedeli alla vera dottrina, non ai pastori che sbagliano), non è certamente questo il mio modo di servire la fede del popolo di Dio, nella fedeltà a Cristo e quindi ai Pastori da Lui istituiti.

A «condannare senza discutere» i Pastori della Chiesa di Cristo sono stati piuttosto quei «teologi del dissenso» che per oltre mezzo secolo hanno contestato sistematicamente i papi che hanno preceduto Francesco (Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI). Emblematico è il caso di Hans Küng, il quale ha davvero condannato senza discutere tutto il magistero di quei pontefici, come si può agevolmente verificare consultando il mio trattato su Vera e falsa teologia, Leonardo da Vinci, Roma 2017, pp. 296-301). E oggi sono quegli stessi «teologi del dissenso» a ergersi a difensori di un Papa che essi considerano portatore delle loro idee (cfr Antonio Livi, Come la teologia neomodernista è passata dal rifiuto del Magistero ancora dogmatico all’esaltazione dei un Magistero volutamente ambiguo, in Teologia e Magistero, oggi, Leonardo da Vinci, Roma 2017, pp. 59-86). Se costoro praticano oggi il “culto della personalità” nei confronti di Francesco non è certamente perché vedano in lui, come in ogni altro papa, il Vicario di Cristo, ma perché lo considerano il portabandiera delle loro militanza ideologica.
Ben diverso è il caso di quei fedeli che si avvalgono della loro competenza in campo giuridico-morale per rilevare come la cattiva teologia sul matrimonio implichi l’abbandono delle certezze relative alla legge morale naturale (cfr Carlo Testa, L’ordine giuridico e l’ordine morale. Riflessioni sul diritto naturale e sulla deontologia dei giuristi a proposito della “Correcto filialis” a papa Bergoglio, Introduzione epistemologica di Antonio Livi, Leonardo da Vinci, Roma 2017).

 





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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19/12/2017 13:04
 
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Cardinale Betori tutta l’Italia pagherà la sua superba “generosità”

«L’islam invaderà l’Europa»… profetizzava san Giovanni Paolo II e mons. Betori offre loro la Toscana su di un piatto d’argento.

Sant’Agostino d’Ippona nei suoi Sermones (164, 14) afferma: Humanum fuit errare, diabolicum est per animositatem in errore manere (“cadere nell’errore è stato proprio dell’uomo, ma è diabolico insistere nell’errore per superbia”), da qui la  locuzione latina errare humanum est, perseverare autem diabolicum, che tradotta letteralmente significa “commettere errori è umano, ma perseverare (nell’errore) è diabolico”.

E’ di questi giorni il “regalo di Natale” di mons. Giuseppe Betori, arcivescovo cardinale di Firenze, a riguardo della vendita di un territorio della diocesi per darlo ai musulmani che vi costruiranno una Moschea. Di questi tempi sarebbe una “non notizia” vista l’assillante imposizione, l’obbligo del dialogo “ad ogni costo”, del volemose bene e di un “ammmore” che non sarà mai corrisposto, anzi, come un Cavallo di Troia si stanno offrendo all’Islam le “chiavi delle città”, delle città italiane, con conseguenze future drammatiche.

In una intervista il gesuita padre Samir Kahlil esperto dell’argomento e del mondo islamico, alla Nuova Bussola Quotidiana, vedi qui, ha messo tutto nero su bianco, è tutto talmente ben spiegato che suggeriamo di tenere conservata questa intervista, quando gli eventi precipiteranno e sapremo chi, in parte, dovremo “ringraziare” per i massacri che ci saranno. Sappiamo bene che i “profeti di sventura” non piacciono alla cultura relativista predominante in Europa come nella Chiesa di oggi, ma far finta che il problema non esista, o che non importa loro se ciò dovesse accadere quando loro non ci saranno più, non è amare il prossimo. Se è vero che prevenire è meglio che curare, la prevenzione è saggezza.

Viene anche da pensare al fatto che molte Famiglie italiane non hanno una casa…. se una diocesi possiede terreni, non dovrebbe forse facilitarne l’uso più consono per loro e più evangelico anziché trarre dei guadagni e lasciare le Famiglie senza una casa, un terreno?  Ecco perché parliamo di superbia e, ci aggiungiamo, di AVIDITA’. Sappiamo bene come tutti, comprese le diocesi, risentiamo della crisi economica e che mantenere tutto l’apparato ecclesiale di una diocesi costa caro oggi e che “240mila euro“, per la vendita del terreno all’Islam, in fondo sono bruscolini.

Ma ciò che doveva sapere mons. Betori è che con questi soldi avrebbe venduto la vita degli italiani non soltanto cattolici, ma di tutti, persino di quei musulmani che oggi, integrati da anni nel nostro territorio, al momento della resa dei conti dovranno decidere da che parte stare, per aver salva la propria vita: o contro di noi o con l’Islam.

Non siamo noi i catastrofisti, basta avere un poco di conoscenza dell’Islam e, soprattutto, riconoscere che il dialogo interreligioso non risparmierà l’ecatombe dei Cristiani in Europa. Bisogna infatti sapere che per l’Islam non esiste la “laicità” di uno stato e che tutto ciò che essi stanno facendo oggi, per presentarsi in amicizia e in dialogo, ha un fine ed uno scopo: islamizzare l’Europa, specialmente l’Italia il cui sogno musulmano si infranse con la vittoria della famosa Battaglia di Lepanto.

Il gesto di mons. Betori non ha nulla di evangelico, basta leggere gli Atti degli Apostoli per capire e sapere come venivano usate le proprietà. O il suo gesto è talmente disperato che aveva bisogno di quei soldi, fino a vendere la sicurezza futura degli italiani, oppure è stato semplicemente un ingordo filantropico e in entrambi i casi a farne le spese saranno i Cristiani. Ma forse chissà, ci piacerebbe pensare, anche, che l’abbia fatto per accelerare in qualche modo il nostro MARTIRIO, ricordarci che un vero Cristiano è votato alla morte di Croce per la Fede in Cristo Gesù.

L’Islam infatti non fa sconti a nessunoL’Islam è talmente fedele al Corano che la sua applicazione è letterale. Per l’Islam o si è musulmani o si è “infedeli”, non esiste altra via. Per l’Islam ogni territorio conquistato, o comprato, diventa luogo sacro nel quale vige la legge del Corano, non esiste l’integrazione ma la paziente conquista. Il loro senso del dialogo interreligioso ha secondi fini: avvicinare tutto ciò che non è musulmano, per convertirlo o con le buone o con le cattive. Nei casi in cui resistono amicizie miste il motivo è che quel musulmano non è “praticante” e il cristiano lo è all’acqua di rose o non lo è affatto. Come spiega Padre Samir si può essere amici per una partita a calcetto ma: “il loro ragionamento è: più ci sono immigrati profughi, più conquistiamo pezzo per pezzo, ci vorrà un secolo, ma ce la faremo. E’ un’invasione programmata, non illudiamoci…

E monsignore Betori, che evidentemente non capisce nulla di Islam come la maggior parte dei Vescovi – duole dirlo – si è fatto bello nel presente a discapito dei Cristiani – e degli italiani – del futuro.

Il Corano IMPONE LA LEGGE ISLAMICA, possibile che non lo capiscono? Ecco perché parliamo di superbia. La Legge Islamica, a sua volta, IMPONE che il Cristiano RINUNCI A CREDERE NELLA SANTISSIMA TRINITA’ e in Gesù Cristo in quanto vero Figlio di Dio “generato non creato, della stessa sostanza del Padre“.

Questa realtà non porta noi Cristiani a non avere dialogo con i musulmani, tanti fra noi hanno amici musulmani e molti di loro sono persone bellissime, e molti di loro subiscono attacchi violenti dal fondamentalismo islamico. Ma credere o pensare che esista un Islam moderato è pura follia. Come abbiamo spiegato, i musulmani che oggi ci sono Amici, domani dovranno decidere se morire per noi e con noi, oppure tradirci perché non avranno altra scelta neppure lorolo dice il Corano, la guerra santa (jihād) viene chiaramente posta come un obbligo collettivo di tutti i mussulmani.

Ammoniva il cardinale Giacomo Biffi: “I ‘cattolici’, lasciando sbiadire in se stessi la consapevolezza della verità posseduta e sostituendo all’ansia apostolica il puro e semplice dialogo a ogni costo, inconsciamente preparano (umanamente parlando) la propria estinzione…” (Discorso sull’immigrazione 30 settembre 2000)

Qualcuno fa accenno alla “Fratellanza Musulmana (con sede al Cairo, quella con la quale papa Francesco ha stretto baci e abbracci) per dimostrare che l’Islam è cambiato e che esiste un Islam “moderato” e che il fondamentalismo o il terrorismo non ha nulla da spartire con l’Islam vero e proprio. Ebbene, pur nulla togliendo alle singole persone molte delle quali veri Amici… non bisogna distogliere l’attenzione dal fatto che – chi è musulmano –  o obbedisce all’Islam, al Corano, alla Fratellanza musulmana, oppure è esso stesso un nemico dell’Islam, un traditore, un infedele da convertire oppure abbattere.

Quando i Fratelli insegnano dogma teologico detto al-walà wa-al-barà, ovverosia “fedeltà [a tutto ciò che è islamico] e disapprovazione [di ciò che non lo è], insinuano nello spirito di un giovane una logica binaria mortale, ovvero che all’interno della società, esiste un “noi” e  un “loro”. “Noi”, il gruppo salvato, e “loro”, il gruppo maledetto. “Noi”, le vittime, e “loro”, i carnefici. “Noi”, la comunità migliore, e “loro”, la comunità perversa. Peggio ancora, si trasmette al giovane che in nome dell’islam è vietato amare “loro” e che, in nome della fede, dobbiamo odiare “loro”. L’odio nei confronti dell’altro diventa un atto di fede, un atto di adorazione. Nel programma educativo dei Fratelli, c’è un capitolo fondamentale intitolato Amare per Allah e odiare per Allah.

Queste parole non sono di uno storico occidentale o cristiano studioso dell’Islam, ma di un musulmano che ha fatto la propria scelta di abbandonare l’Islam, di lasciare la Fratellanza Musulmana spiegandone le trappole, gli intrighi e il vero scopo di tanta amicizia… vedi qui testo integrale. Si tratta di Mohammed Louizi, di origine marocchina, ma residente a Lille in Francia, è un ex Fratello musulmano che ha vissuto la Fratellanza sia in Marocco che in Francia, come Presidente dell’organizzazione Etudiants Musulmans de France, membro del Forum delle Organizzazioni Giovanili e Studentesche Europee (FEMYSO) di cui fanno parte anche i Giovani Musulmani d’Italia (GMI). Louizi ha avuto il coraggio non solo di lasciare gli incarichi e l’affiliazione alla Fratellanza, ma anche di denunciarne il progetto globale.

E a noi preoccupa che un arcivescovo venda i cristiani ignorando le conseguenze del suo gesto! E sì, perché che Gesù è morto è talmente una palese ovvietà con la quale oggi sono concordi tutti i libri di testo, le enciclopedie, gli studiosi. Oltre al criterio di antichità, a conferma della morte di Gesù gioca il criterio di imbarazzo: mai al mondo gli Evangelisti gli avrebbero attribuito una morte così umiliante e infame, e non a caso occorre aspettare l’inizio del V secolo per vedere una raffigurazione cristiana di Gesù in croce, nel portone della basilica di santa Sabina a Roma.

Il problema è che la morte di Gesù non è riconosciuta dal Corano e dalla tradizione islamica. Non solo non è riconosciuta, ma andarlo a dire o crederci è serio motivo di persecuzione. Secondo l’Islam Gesù era un profeta di Dio, inferiore a Maometto (Corano 2,87.136.253; 3,45; 4,171; 5,75; 57,27; 61,6) e come tale non poteva fare una fine del genere: “Non l’hanno né ucciso, né crocifisso, ma così parve loro” (Corano 4,157). Chi effettivamente sarebbe stato crocifisso al posto di Gesù, il Corano non lo dice. Tuttavia una risposta esplicita si trova nel testo attribuito a Barnaba, apocrifo medievale non a caso di origine islamica che spiega come: fu crocifisso Giuda Iscariota, miracolosamente reso simile a Gesù e crocifisso al suo posto….

Di conseguenza è ERESIA per l’Islam parlare della morte e della Risurrezione di Gesù! Una eresia che può costare la vita a chi affermasse il contrario. E’ evidente che se Gesù non è morto in croce, il Cristianesimo è falso e l’Islam può vantare la ragione della sua battaglia contro gli infedeli e falsari cristiani… ma se Gesù è morto in croce ed è veramente risorto, come afferma letteralmente san Luca (24,24) e come noi sosteniamo da duemila anni e per la qual ragione abbiamo migliaia di Martiri e di Santi, abbiamo la Chiesa e lo stesso mons. Betori… allora ciò è devastante per la convinzione dell’Islam di essere la vera religione di Dio, poiché il Corano sbaglia. E poiché l’ispirazione divina del Corano è quella della dettatura, se il Corano sbaglia non è divinamente ispirato, e il fondamento dell’Islam poggia sulla falsità….

Infine due parole sulla questione della convivenza fra Cristiani e Musulmani cercando di attenerci ai fatti, sintetizzandoli per offrirvi una riflessione immediata, qui un testo interessante per chi vuole approfondire.

Fin dall’inizio, questa convivenza con l’Islam, non è affatto pacifica e non per colpa dei Cristiani che non avevano affatto progetti espansionistici, ma perchè è proprio dell’Islam la “conquista”il sottomettere al Corano ogni essere vivente. La violenza con la quale questo avviene nasce dal fatto che se non convertono “gli infedeli” all’Islam, loro rischiano di andare all’inferno perdendo il diritto al paradiso. Naturalmente inferno e paradiso non sono gli stessi professati dalla dottrina cattolica!

La storia stessa insegna la realtà della dura lotta fra la guerra e la pace, ma dobbiamo imparare di nuovo il vero significato, perché pare l’abbiamo dimenticato: “Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada” (Mt.10,34); “Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione.” (Lc.12,51), e questo non perché il nostro Dio sia un Dio a cui piace fare la guerra, ma perchè la pace che ci ha portato, pagandola a caro prezzo, non è il pacifismo, non è la convivenza tranquilla o pacifista, ma è Lui stesso: « Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore…»” (Gv.14,23-27); «Vi ho detto queste cose perché abbiate pace in me. Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo!» (Gv.16,33). La guerra di cui si parla è il peccato, il mondo con le sue lusinghe! La Pace è così quel dimorare in CristoAvremo perciò tribolazioni nel mondo, non convivenze pacifiste!

Il gesto compiuto da mons. Betori è un vero tradimento al Vangelo e a tutti i Cristiani, è anche un tradimento all’Italia e a tutti gli italiani. Nel 2016 – LibertàePersona – faceva questo articolo del quale condividiamo la chiusura:

“La Cristologia cristiana è dunque diversa dalla Cristologia islamica; la teologia cristiana diversa dalla teologia islamica (il Dio con noi, incarnato, è tutt’altro dal Dio lontano dell’Islam; la trascendenza islamica è differente da quella biblica; il Cristianesimo non è, come l’Islam, una “religione del libro”, semmai la vicenda di un Dio raccontata anche in un libro; gli islamici, inoltre, affermano che la Bibbia dei cristiani è falsificata…), se oggi esiste il terrorismo islamico, che non è attribuibile solo e soltanto alla religione islamica, ma ha con essa, comunque, un qualche rapporto, in tutto il mondo islamico i cristiani vengono oggi uccisi e crocifissi, ma nessun cattolico ha mai compiuto un attentato terroristico (e se lo facesse sarebbe in contrasto evidente con l’insegnamento di Cristo e del magistero della Chiesa).”

Cattolici che uccidono, violentano, agiscono contro i Dieci Comandamenti, saranno giudicati da Dio molto severamente, fino a rischiare l’inferno eterno se non si convertiranno cambiando la propria condotta. Ma non esiste un magistero, o un Catechismo della Chiesa che abbia mai indotto i Cristiani alla violenza, alla persecuzione dei popoli, all’imposizione della propria fede.

«L’islam invaderà l’Europa»… profetizzava san Giovanni Paolo II e mons. Betori offre loro la Toscana su di un piatto d’argento. Alla fine finirà che dovremo pure ringraziarlo, per averci aperto le porte al massacro per difendere la Fede in Cristo Gesù.

Dopo la Vittoria di Lepanto e un secolo dopo il tentativo dei Musulmani di riprendere l’Europa da Vienna, il sultano Solimano fa una strana profezia. Passando in rassegna le truppe avrebbe detto loro: “ci rivedremo alla Mela Rossa“. La “Mela Rossa” era per l’Islam il “frutto proibito” nella conquista delle città cristianizzate. Ma c’è un’altra profezia che attribuita a Solimano è molto inquietante. Dopo la sconfitta di Vienna (quella del 1683), al generale che rimise in piedi le truppe gli chiese quando avesse voluto ritentare l’attacco, il Sultano rispose: “No! Riconquisteremo l’Europa quando i cristiani avranno abbandonato il loro Dio“.

Nel punto in cui ci troviamo, e nel quale stiamo affossando l’Europa Cristiana, vedi qui, non è più importante approfondire la credibilità di certe “profezie” o aneddoti, quel che conta in questo momento è ciò che stiamo vivendo, e il destino suicida al quale ci siamo votati. Possiamo però prendere in considerazione “La visione di Giovanni Paolo II: «L’islam invaderà l’Europa»… vedi quiVedo la Chiesa del terzo millennio afflitta da una piaga mortale, si chiama islamismo. Invaderanno l’Europa. Ho visto le orde provenire dall’Occidente all’Oriente: dal Marocco alla Libia, dall’Egitto fino ai paesi orientali… l’Europa sarà una cantina, vecchi cimeli, penombra, ragnatele…. dovrete contenere l’invasione. Ma non con le armi, le armi non basteranno, con la vostra fede vissuta con integrità…».

Laudetur Jesus Christus

 





  • BIOTESTAMENTO/CAVINA

"Medici, per la vita si deve andare controcorrente"

Nuovo affondo di un vescovo a favore dell'obiezione di coscienza, assente dalla legge sul Biotestamento. E' il turno di Cavina (Carpi): "Non c’è altra via all’obiezione di coscienza". 

-GLI INTERVENTI DI: CREPALDIRUINI, BAGNASCO, NOSIGLIA E NEGRI


«A questo punto l’elemento più grave di questa legge è la mancanza di qualunque riferimento all’obiezione di coscienza». Risponde così monsignor Francesco Cavina, vescovo di Carpi, sollecitato da La Nuova BQ sulla recente approvazione della legge sulle Dat.

Monsignore, cosa pensa di questa norma approvata dal Parlamento?
«Condivido quanto dichiarato dal cardinale Angelo Bagnasco, non mi sembra proprio che possa ritenersi un segno di civiltà».

Per quale motivo?
«Per diverse ragioni, ne cito una. Questa legge finisce per ridurre idratazione e alimentazione come delle terapie e, quindi, come tali si può arrivare a sospenderle. E qui si apre l’ulteriore gravissimo vulnus di questa legge: la mancanza di ogni riferimento all’obiezione di coscienza».

Cosa può fare un medico cattolico, ma anche un non cattolico, che si trovi in una situazione che lo mette di fronte ad un problema di coscienza di questo tipo?
«Come ha detto l’arcivescovo di Torino, monsignor Cesare Nosiglia, occorre saper testimoniare andando controcorrente. Qui si tratta di dover commettere atti contro la vita che non sono mai negoziabili. Perciò non c’è altra via all’obiezione di coscienza, come ha sottolineato don Carmine Arice, superiore generale del Cottolengo».

Mancando il riferimento all’obiezione di coscienza questa legge sembra aver dimenticato uno dei capisaldi dei tanto decantati diritti umani.
«Certamente c’è una strana contraddizione. Da una parte si dice di voler difendere i diritti delle persone sofferenti, mentre dall’altra si omette un caposaldo della dichiarazione universale dei diritti umani quale è, appunto, il riferimento all’obiezione di coscienza. E’ una schizofrenia che purtroppo vediamo sempre più spesso, soprattutto su certi cosiddetti “nuovi diritti” per cui si fanno grandi battaglie civili, ma poi si riduce lo spazio della libertà di coscienza. Un cortocircuito che dovrebbe far riflettere tutti».

 


 

[Modificato da Caterina63 20/12/2017 09:55]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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