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Non tutti sanno che .... sana apologetica

Ultimo Aggiornamento: 09/11/2021 14:35
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  Non tutti sanno che... 


 


Il Timone n. 8 - anno 2000 - 


 


 




Persecuzione comunista.


Il Pontificio Ateneo Regina Apostolorum, guidato dai Legionari di Cristo, ha ospitato un Convegno dedicato ai martiri del comunismo e del nazismo. Nel corso dei lavori è stato reso noto dal vescovo ausiliare di Scutari Zef Simoni che nell'Albania del dittatore comunista Enver Hoxha furono uccisi decine di sacerdoti e molti altri subirono orribili torture (scariche elettriche, bocca riempita di sale, frustate, uova bollenti sotto le ascelle, piastre metalliche incandescenti...) a motivo della fede cattolica. Prima della presa del potere dei comunisti, operavano in Albania circa 200 sacerdoti, i quali finirono quasi tutti in prigione, torturati e molti vennero fucilati. Inoltre, padre Romano Scalfì, di Russia Cristiana, ha rivelato che in Unione Sovietica il tentativo comunista di sostituire il partito a Dio portò alla fucilazione, tra il 1917 e il 1941, di 130.000 (avete letto bene: centotrentamila!) sacerdoti della Confessione ortodossa russa e di 250 vescovi su un totale di 300.

Persecuzione nazista.

Nello stesso Convegno sopra ricordato, è stato fatto osservare che la Chiesa cattolica pagò un altissimo prezzo a causa della persecuzione scatenata contro di essa dai Nazionalsocialisti di Adolf Hitler. Nella sola Polonia, durante la Seconda Guerra mondiale, ben 6400 sacerdoti furono vittime della persecuzione. Nel campo di concentramento di Dachau vennero internati 2794 sacerdoti e religiosi di 37 nazionalità e in quello di Auschwitz ne vennero imprigionati 416. Naturalmente è impossibile fare un bilancio preciso del numero dei laici periti nei campi di concentramento comunisti e in quelli nazionalsocialisti a motivo della fede cattolica. In ogni caso, quelli sopra citati sono dati da ricordare a quanti sostengono ancora oggi una presunta complicità della Chiesa Cattolica con il regime hitleriano.

Ancora martiri.

La Commissione Nuovi Martiri, istituita dal Santo Padre Giovanni Paolo II, ha appurato che nel corso del XX secolo, in via di conclusione, hanno dato la vita a motivo del vangelo e della fede cattolica 126 tra vescovi, arcivescovi e cardinali, 4.872 appartenenti a Congregazioni religiose maschili e femminili e 5.343 tra sacerdoti, seminaristi e diaconi. Per quanto concerne i laici, la Commissione ha accertato l'esistenza di 2.351 casi di uccisi a motivo della fede, ritenendo tuttavia il numero reale assai più ampio, visto che di molti episodi non si è conservata la memoria. Di fronte a tali notizie, viene da chiedersi quando i protagonisti, o gli eredi culturali, di quelle ideologie e di quei sistemi politici, sentiranno il bisogno di chiedere perdono.

Copernico.

Furono i Protestanti e non la Chiesa cattolica, contrariamente a quanto si pensa, i primi a scagliarsi contro l'astronomo polacco, il canonico Nicolò Copernico. Come è noto, nel suo De revolutionibus, pubblicato postumo nel 1543, si affermava la centralità del Sole e non della Terra. L'eretico Martin Lutero (1483-1546), in uno dei suoi ben noti Discorsi a tavola, definì Copernico “un astrologo da quattro soldi [...], un insensato che vuole sovvertire l'intera scienza astronomica”. Dopo di lui, un altro autorevole rappresentante della Riforma protestante, Filippo Melantone (1497-1560) giudicava una “mancanza di dignità e onestà sostenere pubblicamente tali concetti, un esempio pericoloso”. Anche Giovanni Calvino (1509-1 564) lanciava sfide contro Co pernico chiedendosi: “Chi avrà l'ardire di porre l'autorità di Copernico al di sopra di quella dello Spirito Santo?”. Soltanto 73 anni dopo la morte di Copernico, la Chiesa cattolica, nel 1616, condannerà la sua dottrina eliocentrica.

Santa Messa.

Pochi, anche tra i cattolici, sono consapevoli del valore della Santa Messa. Una sola Santa Messa rende a Dio una adorazione rigorosamente infinita, degna di Lui e glorifica Dio più di quanto lo hanno glorificato e lo glorificheranno, per l'eternità, tutti gli angeli, i santi e i beati, compresa Maria Santissima. Il motivo è chiaro ed è dovuto al fatto che la Santa Massa è sostanzialmente lo stesso sacrificio della croce, mutando solo il modo dell'offerta di tale sacrificio: cruento sul Calvario, incruento sull'altare. Ne consegue che il valore di una sola Santa Messa è assolutamente incomparabile, perché con essa si offre a Dio l'infinita riparazione di Gesù Cristo con tutta la sua efficacia redentrice. E ne consegue anche che la Santa Messa muove infallibilmente Dio a concedere agli uomini tutte le grazie di cui hanno bisogno, ma il dono effettivo di queste grazie dipende dalle disposizioni, la mancanza delle quali può impedire completamente che giungano fino a noi.

Bastiglia.

La prima operazione di propaganda imbastita dai promotori della Rivoluzione Francese consistette nella invenzione della “presa della Bastiglia”, episodio mitologico, storicamente infondato, con il quale si vuoi far credere che il popolo parigino, guidato dai valorosi capi rivoluzionari, assali l'imponente fortezza simbolo dell'oppressione dell'Ancien Regime, il 14 luglio 1789. I fatti andarono diversamente: nessuno dei capi rivoluzionari partecipò al presunto assalto; non si trattò di “presa”, ma di un ingresso dalla porta, aperta per ordine del governatore; non fu il popolo parigino, che si tenne alla larga da quella operazione, ma sparuti gruppi di qualche decina di vagabondi e di disertori, soprattutto stranieri, che entrarono nella fortezza - appunto dalla porta - per cercarvi munizioni; infine, nella Bastiglia non si trovavano prigionieri politici, ma solo sette detenuti, e quindi non venne liberato nessun martire del vecchio regime. Come si vede, una impressionante serie di bugie sta alla base del mito di fondazione della Rivoluzione Francese.

Inquisizione.

Lo studioso John Tedeschi (nato a Modena nel 1931 ma emigrato negli USA all'età di 8 anni), già docente universitario, fondatore del Center for Renaissance Studies, ha pubblicato un poderoso volume sull'inquisizione romana, intitolato Il Giudice e l'eretico (Vita e Pensiero, Milano 1997). Nell'introduzione si legge: “Sostengo in questi saggi che l'Inquisizione non fu un tribunale arbitrario, un tunnel degli orrori o un labirinto giudiziario da cui era impossibile uscire” (p. 17). E a prova di quanto afferma, egli ricorda come nei processi inquisitoriali le accuse prive di riscontri non erano accettate, i verbali dei processi erano forniti agli accusati e ai loro avvocati, veniva lasciato tutto il tempo necessario per preparare la difesa, la tortura era limitata a pochissimi casi e severamente regolamentata. Tali garanzie erano particolarmente osservate nei processi di stregoneria, dove, dato il notorio scetticismo dei giudici inquisitoriali, per nulla convinti delle facili accuse lanciate agli imputati, si richiedeva l'intervento di medici onde chiarire se una malattia o un decesso fossero dovuti a cause naturali o a malefici. Come si potrà notare, gli studiosi sono ormai convinti della infondatezza della leggenda nera che circonda i tribunali della Santa Inquisizione.



IL TIMONE – N. 8 - ANNO II -  Luglio/Agosto 2000 - pag. 15



Non tutti sanno che...

Il Timone n. 1 - anno 1999 - 

Martiri del nostro secolo

Nel corso del suo pontificato, Giovanni Paolo II ha elevato agli onori degli altari 286 martiri del nostro secolo. Due di loro, padre Kolbe ed Edith Stein, sono stati canonizzati, i rimanenti 284 beatificati. La gran parte dei martiri (ben 231) è dovuta alla feroce persecuzione religiosa spagnola, provocata da socialisti, comunisti e anarchici, tra gli anni 1934 - 1939. Sono 26 i martiri provocati dalla persecuzione promossa dal Governo massonico negli anni Venti e Trenta in Messico. 
Tra le vittime della Germania nazionalsocialista il papa ha beatificato 11 martiri. Due sono martiri del comunismo in Bulgaria e in Jugoslavia. 
Gli altri sono stati martirizzati in paesi diversi. Tutti sono stati uccisi in "odium fidei" e in "odium Ecclesiae", oppure sono morti a causa delle sofferenze subite in prigione o nei campi di concentramento.


Il miracolo

Il più antico miracolo eucaristico è quello di Lanciano, in provincia di Chieti. Verso l'anno 750, un monaco che dubitava se nell' ostia e nel vino consacrati vi fosse veramente il Corpo e il Sangue di Cristo, mentre celebrava la Messa nel Monastero di san Legonziano (oggi di san Francesco), vide il pane e il vino trasformarsi in carne e sangue. Le preziose reliquie eucaristiche sono state conservate fino ai nostri giorni. Nel 1970, furono analizzate da Odoardo Linoli, primario degli Ospedali riuniti di Arezzo, docente di Anatomia, Istologia patologica e Microscopia clinica. 
Il risultato è strabiliante: la carne e il sangue sono vivi, presentano le stesse caratteristiche di una carne e di un sangue prelevati da un vivente! 
Per dodici secoli quella carne e quel sangue sono stati conservati allo stato naturale, esposti all' azione di agenti fisici, atmosferici e biologici. Eppure, è come se fossero ancora vivi. Ancora una volta, la scienza si inchina di fronte al mistero della Onnipotenza di Dio.



I primati di Roma


La Chiesa di Roma detiene ben cinque primati rispetto alle Chiese di tutto il mondo: 
- la più antica reliquia sicuramente autentica (le ossa dell' apostolo Pietro); 
- la più antica basilica cristiana "ufficiale", cioè riconosciuta dall' autorità pubblica (la Basilica Lateranense); 
- il più antico ritratto di Cristo (nella catacomba di Commodilla); 
- il più antico ritratto di Maria (nella Chiesa di santa Francesca Romana); 
- la più antica statua cristiana che si conosca (il famoso san Pietro di bronzo nella Basilica Vaticana).

Ma il primato che più conta è quello del vescovo di Roma, pastore universale della Chiesa, successore di san Pietro.
La studiosa Margherita Guarducci, nota in tutto il mondo per avere identificato la tomba e le ossa dell'apostolo Pietro, dà notizie dettagliate di questi cinque primati della Chiesa di Roma nel volume "Il primato della Chiesa di Roma". 


Pio XII e gli Ebrei

Alla morte di Pio XII (9 ottobre 1958), la signora Golda Mejr, allora Ministro degli esteri di Israele e poi Capo del Governo, inviò alla Santa Sede un messaggio nel quale si riconosceva che: "durante il decennio del terrore nazista, il nostro popolo ha subito un martirio terribile. La voce del Papa si è alzata per condannare i persecutori e per invocare pietà per le vittime". Queste parole, scritte non da uno storico revisionista o da un inguaribile apologeta cattolico, ma da un'altissima autorità israeliano, mostrano l'infondatezza dell'accusa a Papa Pio XII di essere stato complice silenzioso del genocidio degli Ebrei. 


Persecuzioni comuniste

Durante i decenni di repressione comunista nell'Unione Sovietica, furono uccisi almeno 200.000 tra sacerdoti e ministri di varie confessioni religiose. Un altro mezzo milione di religiosi è stato vittima di arresti, carcere, campi di concentramento e invio al confino. Le cifre sono state fornite qualche anno fa da Aleksandr Jakovlev, nominato da Boris Eltsin presidente della Commissione per la riabilitazione delle vittime delle repressioni poliziesche.


Inquisizione

Il domenicano spagnolo Torquemada (ca 1420-1498) fu incaricato nel 1483 dai sovrani di Spagna di organizzare il tribunale dell'Inquisizione. 
Sotto la sua responsabilità, l'Inquisizione spagnola consegnò al braccio secolare (la giustizia civile) per essere condannate al rogo 2.000 persone delle 100.000 che vennero processate. Una percentuale bassissima (solo il 2%), a fronte del 98% di assoluzioni o condanne minori, che smentisce la fama di terribile inquisitore che il domenicano spagnolo si porta appresso.

 

I nemici del Papa "buono"

 

Il 2 gennaio del 1957, l'allora Cardinale Angelo Roncalli, divenuto Papa con il nome di Giovanni XXIII, elencava su di una rivista quelle che secondo lui erano le cinque piaghe della Chiesa di quel tempo: l'imperialismo, il marxismo, la democrazia progressista, la massoneria e illaicismo. Come si vede, il futuro Papa "buono" non dimenticava di avvertire i credenti denunciando i' nemici della Chiesa. Passati oltre 30 anni, le piaghe ci sono ancora tutte, anche se alcune sembrano aver perso parte della loro virulenza.


IL TIMONE n. 1 – Anno I - Maggio/Giugno 1999 - pag. 10




 

IL CASO PISTOIA
L'Ospedale del Ceppo a Pistoia
 

Pistoia è stata designata capitale della cultura italiana per il 2017. Tra i punti di eccellenza pistoiese c’è l’Ospedale del Ceppo: una struttura di accoglienza, come tutti gli ospedali in Italia, nato dalla presenza cristiana e dalla fede cattolica. Quello di Pistoia, poi, risale addirittura a un’apparizione mariana.

di Marco Respinti

La notizia è fresca. Pistoia è appena stata designata capitale della cultura italiana per il 2017 (quando, a fine 2016, scadrà il mandato dell’attuale “capitale”, Mantova). Tra i punti di eccellenza pistoiese di cui tutti oggi parlano, e che hanno meritato il prestigioso titolo alla cittadina toscana, c’è l’Ospedale del Ceppo, che, con la sua facciata claustrale e il suo trionfo di metope, formelle coloratissime e fregi, è una vera e propria perla di cui è annunciata una sontuosa riqualificazione che lo vedrà trasformarsi in un grandioso museo. Bene. 

È bene che l’immenso patrimonio culturale del nostro Paese vengavalorizzato, che anche le bellezze meno conosciute rifioriscano, che il passato non vada smarrito. Ma sarebbe opportuno ricordare che l’Italia non godrebbe oggi di una simile ricchezza se non fosse per lo spirito profondamente cristiano che l’ha generata. Gli ospedali, appunto: se non fosse per la fede cattolica non esisterebbero. Quello di Pistoia, poi, risale addirittura a un’apparizione mariana. Lo dice proprio quel suo nome singolare.

Narra, infatti, la pia leggenda che la Madonna apparve nel secolo XIII ad Antimo e Bendinella, maritoe moglie, indicando loro il sito dove fondare un centro di assistenza per i malati. Era inverno e la Vergine indicò il luogo facendo fiorire miracolosamente fuori stagione un ceppo di legno, da cui il nome di Ospedale di Santa Maria del Ceppo. Più tardi lo si sarebbe accorciato nel solo “Ospedale del Ceppo”, facendo scomparire “Santa Maria”, ma la memoria di quell’evento non si è mai perduta. Più terra terra, qualcuno afferma invece che il riferimento al “ceppo” sia dovuto solo ai resti di un tronco di castagno usato per raccogliere le prime offerte destinate alla costruzione della struttura. Potrebbe anche essere così. Ma se in realtà il ceppo fosse lo stesso, quello del miracolo di Maria poi usato proprio a tal motivo per accogliere le donazioni nel punto stesso indicato dal Cielo per costruire l’ospedale?

Sia come sia, il nosocomio di Pistoia, in funzione fino al luglio del 2013, fu fondato nel 1277 da unsodalizio cattolico che per darsi un nome scelse proprio l’affidamento alla Vergine: la “Compagnia di santa Maria” o “del Ceppo dei Poveri”. Il grandioso frontone dell’edificio illustra del resto le sette opere di misericordia corporale insegnate da Gesù nel Vangelo. Nel 1348 Pistoia venne colpita dalla peste e il Ceppo divenne il primo luogo di ricovero e di assistenza della città. La sorveglianza della struttura era affidata al capitolo della cattedrale, ma già nel 1350 iniziò il processo di laicizzazione e di estromissione della Compagnia fondatrice, processo che culminerà all’inizio del Quattrocento quando la signoria di Firenze, che è remotamente all’origine dello spirito da cui sorgerà il concetto di Stato moderno, operò la completa secolarizzazione dell’istituto.

Ma il Ceppo, appunto, non è affatto un caso isolato; anzi, è un caso emblematico perché senza icattolici la cura ospedaliera proprio non sarebbe mai nata. L’antichità non conobbe nulla di nemmeno lontanamente simile. Solo l’antropologia nuova portata dal cristianesimo fece la differenza, fondando l’unico vero umanesimo possibile su un modello che non è affatto un’idea vaga ma una persona fisica, Gesù, sofferente e morto come tutti gli uomini di carne e ossa, e però risorto nel corpo come è la vocazione, per la natura con cui Dio li ha voluti e per i meriti di Cristo, di tutti gli uomini all’ultimo giorno. Gli ospedali li si debbono a vescovi, confraternite di eremiti e ordini religiosi. 

Si ha notizia di quello fondato dalla ricca Fabiola a Roma alla fine del secolo IV e poi è stato uncrescendo fino agli hospitales del pieno Medioevo. Anzi, quello che noi oggi chiamiamo “ospedale” all’epoca del re merovingio Childerico I (436 ca-481 ca.) si chiamava inequivocabilmente “Hôtel-Dieu” (e altrove “Ca’ di Dio”, “Domus Dei”, “God’s House” e “Godshuis”). Nell’epoca d’oro dei monaci-guerrieri, i Cavalieri di Malta si coprirono di gloria resistendo all’assalto musulmano su quell’isola a sud della Sicilia. Prima si chiamavano Cavalieri di Rodi perché a Rodi stavano fino a che da lì non li sloggiarono i musulmani. Ma il loro nome originale era Cavalieri dell'Ordine dell'Ospedale di San Giovanni di Gerusalemme, addetti alla cura dei pellegrini e dei combattenti nel momento in cui, su richiesta del Papa, la Cristianità europea corse in aiuto dei fratelli perseguitati in Terrasanta.

E come scordare la Scuola Medica Salernitana, vertice di eccellenza medioevale? E san Giovanni di Dio(1495-1550), fondatore dell’ordine ospedaliero dei Fatebenefratelli? Francesco Agnoli ha raccontato quest’avventura affascinante nel libro Case di Dio e Ospedali degli uomini (Fede & Cultura, Verona 2011) e Darrel W. Amundsen, docente emerito di Discipline classiche negli Stati Uniti, ha dedicato all’argomento una carriera intera. Sarebbe bello che Pistoia capitale della cultura italiana nel 2017 dedicasse almeno un angoletto del proprio tempo e dei propri spazi per ricordare anche questi che non sono esattamente dettagli.

 




[Modificato da Caterina63 09/02/2016 10:04]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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Le ragioni della Crociata




 


Pubblichiamo il testo della conversazione che Gianpaolo Barra, direttore de “il Timone”, ha tenuto a Radio Maria giovedì 22 aprile 1999, durante la “Serata Sacerdotale”, condotta da don Tino Rolfi. Conserviamo lo stile colloquiale e la divisione in paragrafi numerati, utilizzata per i suoi appunti dall'autore.


 


 


1.  Nel corso di questa conversazione affrontiamo il tema delle crociate. Come è facile intuire, si tratta di un argomento estremamente delicato, essendo uno dei cavalli di battaglia della cultura dominante, utilizzato per denigrare la storia della Chiesa.


2.  A partire da Voltaire, sulle Crociate  è stata costruita una autentica “leggenda nera”, infarcita di menzogne e fantasticherie, a causa della quale i cattolici sono stati costretti a posizioni di “difesa”.
3.  La leggenda nera narra che le Crociate furono guerre di religione, di chiarate dai cristiani ai musulmani. Tali guerre sarebbero state volute dalla Chiesa al solo fine di imporre la propria religione - quella cristiana - ad altri popoli, nella fattispecie ai popoli “civili e pacifici” del Vicino Oriente, musulmani, fedeli di Maometto e seguaci dell'Islam.

4. Sarebbero state - pertanto - manifestazioni di fanatismo religioso, di fondamentalismo cristiano cattolico e c'è chi sostiene che la Religione fu soltanto un alibi che nascondeva il vero intento delle Crociate: conquistare nuove terre, promuovere la politica espansionistica e imperialistica della Cristianità medievale.

5.  Naturalmente, stando ai sostenitori della leggenda nera, la Chiesa tutta intera dovrebbe vergognarsi per questa brutta pagina della sua storia. Infatti, che cosa ci sarebbe di più scandaloso, di più lontano dal Vangelo di una Chiesa che promuove la “guerra santa”, che incita all'annientamento di un'altra religione e dei suoi seguaci?

6. Questo - in rapida e fin troppo superficiale sintesi - il contenuto di quello che ci viene abitualmente propinato dalla propaganda e dalla cultura oggi di moda.

7.  Chi vi parla - ormai gli amici ascoltatori lo sanno molto bene - non si vergogna affatto della storia della Chiesa e men che meno si vergogna del fatto che ci siano state le Crociate. Prima infatti di batterci - contriti – il petto, è necessario capire che cosa sono state le Crociate ed è il compito che vogliamo svolgere nel corso di questa breve conversazione.

8. Per parlare delle crociate con competenza, mi farò guidare da due studiosi, uno storico e un filosofo. Lo storico è Franco Cardini, docente universitario, uno dei più prestigiosi e conosciuti studiosi del Medioevo cristiano e del mondo islamico. Il filosofo è un sacerdote, professore all'Università Cattolica di Milano, don Luigi Negri, il quale ha scritto un bel libro, intitolato significativamente: “False accuse alla Chiesa”, edito da Piemme, dove troviamo un capitolo molto importante dedicato alle crociate.

9. Cominciamo allora a rispondere  alla domanda: che cosa sono state le crociate? Preavverto che, per rispondere, dobbiamo fare uno sforzo: capire bene il significato delle crociate non è facile, perché sono passati molti secoli, è cambiato il mondo, è cambiata la mentalità dell'uomo moderno e non dobbiamo cadere nell'errore di giudicare i fatti storici adoperando esclusivamente i criteri di giudizio che la moda culturale oggi ci impone.

10. Rispondiamo   alla   domanda cominciando con il dire che le crociate sono state molto di più di semplici spedizioni militari: sono state innanzitutto dei pellegrinaggi, dei pellegrinaggi armati.

11.  Non si può negare che la spedizione armata fosse necessaria per liberare i Luoghi Santi dalla occupazione dei Turchi. Questa occupazione aveva reso impossibile lo svolgersi di un fatto che per tutto il Medioevo cristiano costituiva una esperienza normale, faticosa ma abituale: il pellegrinaggio in Terra Santa, per visitare i luoghi dove Gesù era vissuto.

12.  Ma è altrettanto vero che la crociata era di più di una spedizione militare. Ho parlato di pellegrinaggi, e qualcuno certamente si sarà stupito. Ma lo stupore si dissolve se ricordiamo che lamotivazione principale che spingeva alla crociata uomini e donne, giovani e adulti, perfino bambini, uomini di potere e semplici contadini, che lasciavano tutto e partivano per liberare la Terra Santa era una motivazione di carattere religioso.

13. Scrive il professor don Luigi Negri. “Le crociate sono state un grande movimento di carattere missionario la cui motivazione è fondamentalmente la fede”. Dunque fede e missionarietà alla base dello spirito della crociata.

14. Il caso di san Francesco di Assisi ne è la prova più convincente.

15. Si sa che di questo straordinario santo della Chiesa cattolica ci viene trasmessa una immagine tutta “acqua e zucchero”. Quanto è difficile, addirittura sorprendente, credere che san Francesco di Assisi fu un difensore della Crociata.

16. In effetti, egli accompagnò la V crociata, iniziando in prima persona la missione francescana presso i musulmani. Non risponde a verità la convinzione che san Francesco accompagnò i Crociati senza condividere la necessità di armarsi e di combattere per liberare i Luoghi Santi.

17. C'è un episodio di Francesco alla Crociata molto significativo che ci viene abitualmente taciuto: dopo essere scampato per miracolo alla morte e avere subito dai musulmani percosse sanguinose, Francesco riesce a raggiungere il sultano Malil-Al-Kamil. Con lui c'era un altro frate, di nomeIlluminato, che ci riporta il dialogo intercorso tra il poverello di Assisi e il Sultano.

18. Sentiamo la testimonianza di Frate Illuminato: “II Sultano sottopose a Francesco un'altra questione: “II vostro Signore insegna nei Vangeli che voi non dovete rendere male per male, e non dovete rifiutare neppure il mantello a chi vuoi togliervi la tonaca” Quanto più voi cristiani non dovreste invadere le nostre terre”. Rispose il beato Francesco: “Mi sembra che voi non abbiate letto tutto il Vangelo. Altrove, infatti, è detto: “Se il tuo occhio ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo lontano da te. E, con questo, Gesù ha voluto insegnarci che, se anche un uomo ci fosse amico o parente, o perfino fosse a noi caro come la pupilla dell'occhio, dovremmo essere disposti ad allontanarlo, a sradicarlo da noi, se tentasse di allontanarci dalla fede e dall'amore del nostro Dio. Proprio per questo, i cristiani agiscono secondo giustizia quando invadono le vostre terre e vi combattonoperché voi bestemmiate il nome di Cristo e vi adoperate ad allontanare dalla religione quanti uomini potete. Se invece voi voleste conoscere, confessare e adorare il Creatore e Redentore del mondo, vi amerebbero come se stessi!”.

19. Come vedete, qui ci troviamo di fronte ad un san Francesco sconosciuto da molti di noi cattolici. Un difensore dei diritti dei Crociati, sostenitore della necessità di combattere in quel frangente per la fede, pronto a offrire il contributo di cui è capace -lui non era un uomo d'armi - per il buon esito della crociata.

20. Ma possiamo capire questa posizione di san Francesco - che è comune all'uomo medievale, al cristiano medievale - se ritorniamo alla motivazione fondamentale della Crociata: la motivazione della fede.

21. Si deve ricordare, infatti, che l'occupazione di Gerusalemme da parte dei Turchi aveva messo in pericolo la memoria storica dei luoghi che avevano visto Gesù vivo. E la fede, la nostra fede cattolica, si fonda su dati storici e se si mettono in pericolo questi dati storici, questi fatti che riguardano la vita di Gesù, si mette in pericolo la Fede.

22. Così ragionavano i Cristiani del medioevo..

23.  Perché è difficile comprendere questo modo di ragionare, oggi? Perché anche noi credenti abbiamo perso di vista il fatto che la fede è un bene tra i più grandi che possediamo. Noi ci preoccupiamo della casa, del lavoro, della salute fisica e per questi beni – beni importanti, certamente, ma non i più importanti nella prospettiva cristiana - siamo disposti a lavorare e a lottare.

24. Le nazioni di oggi dichiarano guerra e fanno la guerra per altre ragioni: il petrolio, l'aiuto i profughi, ragioni economiche, etc. Nel medioevo cristiano sopra ogni ragione c'è una motivazione religiosa: la fede.

25. Per quanto possa sembrare scandaloso, le cose stanno proprio così. Ma torniamo alle Crociate.

26. C'era un'altra ragione che motivava la Crociata: non solo il pericolo di perdere la memoria storica di Gesù Cristo, ma anche il pericolo concreto e tremendo che correvano le comunità cristiane che vivevano in Terra Santa e lungo i confini orientali dell'Europa, minacciati dall'avanzata dei Turchi.

27. Nel tempo delle Crociate, tutta l'Europa cristiana avverte che quella Chiesa, che quella parte del Corpo Mistico di Cristo che viveva nell'Oriente corre il serio pericolo di essere definitivamente soppressa, di venir cancellata dall'Islam.

28. Bisognava difendere i cristiani minacciati. Era necessario mostrarsi concretamente solidali con loro. La difesa della Chiesa: questo era un elemento fondamentale dello spirito crociato. Questo volevano i crociati alla fin fine: liberare i luoghi santi, recuperare la libertà di accesso ai luoghi santi e difendere i propri fratelli cristiani nella fede.

29. Era una motivazione autenticamente gratuita, che veniva prima - scrive don Luigi Negri - “di qualsiasi valutazione e di qualsiasi strategia di carattere politico”; era una motivazione che sfuggiva a qualsiasi calcolo, a qualsiasi convenienza, a qualsiasi previsione di risultati.

30. Si badi bene: questo non vuoi dire che durante le crociate non siano emerse motivazioni e calcoli di ordine politico, economico o anche di profilo più basso: ma non furono questi i motivi che spinsero l'Europa intera, l'Europa cristiana dei secoli XI-XIII alle crociate.

31. La Crociata dunque è una missione. Una missione di aiuto, una missione armata: e allora le cose non potevano andare   diversamente. Uscire dall'Europa per liberare i territori sacri, per difendere la comunità cristiana, significava opporsi a coloro che, prima di questa uscita, avevano occupato militarmente la Terra Santa e tenevano soggette le popolazioni cristiane dell'Oriente.

32. Facciamo un passo avanti. L'idea che la Crociata fosse una operazione militare destinata non solo a liberare i luoghi santi ma anche ad occupare Gerusalemme ed annetterla all'Occidente cristiano non ha mai sfiorato i capi della Chiesa, i papi. Sul piano della teoria giuridica accettata in Occidente, la Città Santa apparteneva di diritto all'Imperatore di Oriente, all'Imperatore di Costantinopoli.

33. Una prova che la conquista di Gerusalemme non era stata programmata né dal Papa né dai principi cristiani che avevano partecipato alla prima Crociata (1095- 1099) - l'unica Crociata che giunse a buon fine - risiede nel fatto che nessuno sapeva bene come organizzare   le   nuove conquiste.

34. Molti cavalieri e pellegrini, sciolto il loro voto, rientravano in Europa, tornavano a casa. Nasceva lì il problema di difendere le conquiste fatte, obiettivo che nessuno si era posto e nessuno aveva preparato. Segno che lo spirito della Crociata era quello di liberare la Terra Santa, non di occuparla militarmente.

35. E soltanto la prima delle 7/8 crociate riuscì nel suo intento di liberare Gerusalemme. Tutte le altre fallirono.

36. Fallì la seconda crociata, durata due anni (1144-1146), provocata da una richiesta di aiuto da parte del regno di Gerusalemme all'Europa.

37. Fallì la terza crociata, durata sei anni (1187-1193), che vide il capo dei musulmani, il famoso Saladino, riconquistare Gerusalemme. E qui dobbiamo soffermarci per osservare un episodio rivelatore dello spirito crociato.

38. La terza crociata era comandata da Riccardo Cuor di Leone, re d'Inghilterra, e da Filippo II Augusto, re di Francia. Occorre ricordare che a questa crociata partecipa anche l'imperatore Federico Barbarossa, tuttavia non come comandante supremo, perché è scomunicato dal Papa.

39. Dunque, un imperatore, l'uomo più potente di tutta l'Europa, colui che sfidava il papato e che era stato scomunicato per questo dal Pontefice, aveva come unico motivo di onore partecipare alla Crociata come un soldato semplice. E morirà in crociata, annegando in un fiume.

40. Per la fede, per ottenere l'indulgenza plenaria, un imperatore è disposto perfino a lottare come soldato semplice.

41. Torniamo alle crociate. Fallì anche la quarta crociata, durata due anni (1202-1204), certamente la più incresciosa. Qui le motivazioni di carattere politico ebbero il sopravvento sulle ragioni   della   fede.   Partiti   per Gerusalemme, a causa dei ricatti di Venezia i crociati si ritrovarono a conquistare la cristianissima Costantinopoli, dando vita ad un effimero impero latino, che durò pochi decenni.

42. Le altre crociate fallirono tutte, non raggiunsero mai Gerusalemme.

43. Dunque, per avere un quadro generale, anche se generico, le crociate furono 7/8, sparse in due secoli di storia e videro i cristiani combattere soltanto per pochi anni.

44. Nel 1300, papa Bonifacio VIII indisse il primo Giubileo e spostò l'indulgenza plenaria dalla crociata al pellegrinaggio a Roma, rinunciando ad ogni tentativo di liberare Gerusalemme. Era la fine delle crociate in Terra Santa.

45. Veniamo ad un altro argomento: quando si parla di crociate, a qualcuno viene in mente l'inusitata violenza cui si abbandonarono i crociati, massacrando popolazioni, trucidando ebrei e arabi.

46. I fatti sono noti e purtroppo tragici. Quando, nella prima crociata, nell'agosto del 1099 Gerusalemme venne liberata, i crociati si abbandonarono ad un terribile massacro. Ma, mentre non dobbiamo nascondere questo aspetto crudele, tragico e tremendo, che ha caratterizzato le spedizioni crociate, dobbiamo ricordare con forza che non fu il Papa, non fu la Chiesa ad ordinare i massacri e le violenze. Questi furono compiuti da soldati che agirono al di fuori e contro le intenzioni della Crociata.

47. Dobbiamo ricordare che alla crociata partecipavano cavalieri armati e laici anche disarmati. Queste turbe di pellegrini, senza aspettare i principi cristiani che dovevano capitanare la spedizione, guidati e sospinti da monaci indisciplinati e da predicatori improvvisati, capaci però di infiammare e di trascinare le folle, queste turbe di pellegrini - dicevo – si abbandonarono - per esempio nel corso della prima crociata - a violenze inaudite mentre attraversavano l'Europa per giungere in Terra Santa.

48. Nella primavera del 1096, sulle città del Reno e del Danubio compiono razzie e massacri di cui furono vittime soprattutto le comunità ebraiche. Saranno - si rifletta su questo fatto – i vescovi e le autorità fedeli all'Imperatore Enrico IV ad opporsi ai massacri e gli eccessi di queste turbe indisciplinate non tardarono ad essere puniti.

49. Furono attaccate e decimate a loro volta, prima dalle milizie dei signori ecclesiastici e poi da quelle del Re di Ungheria e dai bizantini, per essere infine massacrate dai Turchi, appena i superstiti oltrepassarono lo Stretto dei Dardanelli.

50. Dunque, non il Papa, non la Chiesa aveva dato ordine di compiere questi massacri.

51. Possiamo trarre un bilancio conclusivo di questa nostra conversazione. Naturalmente, ci vuole ben altro che una mezz'oretta per illustrare quanto vi sarebbe da dire sulle Crociate. Ma a noi basta avere sottolineato qualche dato utile per respingere quella propaganda interessata che considera laChiesa colpevole per aver chiamato i popoli dell'Europa cristiana a liberare il Santo Sepolcro.

52. Per fare questo bilancio conclusivo, che meriterebbe comunque di essere approfondito, ci facciamo aiutare dallo storico Franco Cardini. E in sintesi, possiamo dire questo.

53. Primo: la crociata non fu mai semplicemente una guerra, e tanto meno una “guerra santa”. Fu vissuta come pellegrinaggio armato, per cui chi vi partecipava aveva diritto a determinate indulgenze.

54. Secondo: non è vero che le crociate provocarono lontananza e inimicizia reciproca tra Occidente cristiano e Oriente musulmano. Il periodo delle crociate, quello fra XI e XIII secolo, fu anche quello delmassimo avvicinamento fra Cristianità e Islam. Pensate che proprio in questa epoca giungono in Occidente, dal mondo arabo, la scienza e la filosofia classiche che vi erano state dimenticate.

55. Terzo: non è vero che l'Islam non ci ha più potuto perdonare le crociate. L'Islam non se n'era nemmeno accorto. Bisogna aspettare il secolo scorso, quando i musulmani colti, studiando in Europa, entrano in contatto con la leggenda nera sulle crociate inventata dall'Illuminismo. Prima di allora – e questo dato è assai significativo – i Paesi islamici mancavano persino di una traduzione in lingua araba del termine “crociata”.

56. Quarto: a dispetto di quanto si crede, nei due secoli di crociate, gli anni di guerra effettiva, di guerra guerreggiata, furono assai pochi. E furono assai limitati gli episodi di ferocia, comunque non voluti dalla Chiesa.

57. E infine un'ultima considerazione, che potrà sembrare scandalosa oggi, visto che viviamo in un mondo dove i criteri di giudizio sono quelli “laicisti”, purtroppo fatti propri anche da molti nostri buoni, ma ingenui, cattolici.

58. Se si guarda al fenomeno delle crociate e alle motivazioni che spinsero migliaia e migliaia di uomini, donne e perfino bambini a mettersi in marcia per liberare la Terra Santa, a rischiare la vita, a sottoporsi a prove, fatiche e durezze, dobbiamo dire quanto scrive - con coraggio – don Luigi Negri: “Questa gente se ne è andata in giro per il mondo perché credeva che Gesù Cristo fosse il significato ultimo della vita, ciò per cui valeva la pena di vivere e di morire”.

59. Non si poteva accettare che non si potesse più andare ad inginocchiarsi dove Gesù era nato e dove era morto. [...] Non si poteva essere cristiani in Occidente dimenticando i fratelli a cui sarebbe stato impedito di esprimere la propria fede se fossero caduti sotto il dominio dei Turchi”.

60. Con questo richiamo alla motivazione più profonda che ha spinto alla Crociata, possiamo concludere la nostra conversazione.

61. Tutti ringrazio. A risentirci, a Dio piacendo, la prossima volta.



 IL TIMONE – N. 8 - ANNO II - Luglio/Agosto 2000  - pag. 27-28-29-30



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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  Non tutti sanno che...


 


Il Timone n. 3 - anno 1999 - 


Don Bosco


Il 28 novembre 1854, il Presidente del Consiglio Camillo Benso conte di Cavour e il Guardasigilli, nonché Ministro degli Affari ecclesiastici Urbano Rattazzi presentarono al Parlamento un progetto di legge che prevedevo lo soppressione degli Ordini religiosi e l'incameramento dei loro beni. Si trattava di un durissimo attacco alla libertà della Chiesa cattolica.
Don Bosco, avvertito in sogno, chiese a re Vittorio Emanuele II di attivarsi per impedire ad ogni costo l'approvazione di quella legge, pena il succedersi di "grandi lutti o Corte”. Il Re non gli diede ascolto e nel giro di soli quattro mesi, da gennaio a maggio 1855, la profezia di don Bosco si avverò.
Il 12 gennaio, a soli 54 anni, morivo la regina madre Maria Teresa. Otto giorni dopo, moriva a soli 33 anni la moglie del re, la regina Maria Adelaide. Il 10 febbraio si spegneva Ferdinando duca di Genova, fratello 33enne del re. Infine, il 17 maggio moriva, a soli quattro mesi di età, l'ultimogenito, Vittorio Emanuele duca del Genovese.

Miracoli
Uno dei più portentosi miracoli attribuiti all'intercessione della Madonna di Lourdes non si verificò dinanzi alla famoso grotta sui Pirenei, ma presso uno imitazione di questo, costruito o Oostacker, nelle Fiandre, il 7 aprile 1875. Peter van Rudder, contadino fiammingo, colpito da un ramo caduto, si fratturò tibia e perone della gamba destra, al punto che l'osso fuoriusciva dalla ferita. Dopo otto anni di inutili cure, le ossa non si erano rinsaldate e i medici premevano per l'amputazione. Invece, il van Rudder, in preghiera davanti alla grotta di Oostacker, fu istantaneamente guarito, la ferita si cicatrizzò e si registrò la crescita istantanea di qualche centimetro di osso.
Da quel giorno e per 23 anni le università belghe esaminarono il caso. Le autorità civili, con in testa il sindaco seguito da giudici, medici, gendarmi e altri notabili, firmarono un documento ufficiale - messo agli atti nel Comune - con il quale si dava testimonianza dell' avvenuta guarigione. Alla morte del miracolato, l'autopsia mostrò le tracce evidenti tanto della cicatrizzazione quanto della crescita dell'osso. Il tutto, ovviamente, accertato, studiato e documentato da oltre cento medici.
V' è do stupirsi riguardo le vie che Dio sceglie per farsi notare dal mondo. Eppure, quanti ancora non lo vogliono riconoscere...

San Francesco
E un grande santo per la Chiesa e un modello anche per molti atei, materialisti, ambientalisti, animalisti e pacifisti. Solo che questi ultimi - sospettiamo - non lo conoscono bene. Scrive Tomaso da Celano, nella Vita seconda, che tra tutti i vizi che san Francesco odiava, uno gli era insopportabile: la calunnia, il denigrare il prossimo. Per debellare questa colpa dalle fila dell'Ordine, il santo di Assisi aveva ordinato a frate Pietro di Cattaneo, suo vicario, di punire chi lanciava accuse ingiustamente "con un severo ed esemplare castigo! Consegnalo nelle mani del pugile di Firenze, se tu personalmente non sei in grado di punirlo". Conosciamo il nome del "pugile di Firenze": fra Giovanni, uomo dotato di forza impressionante.
L’immagine sdolcinata che schiere di pacifisti hanno appiccicato al poverello di Assisi sembra, qui, non avere fondamento. E si rivela palesemente errata se si ricorda la difesa appassionata che Francesco fece dinanzi al sultano della legittimità delle crociate. Franco Cardini, profondo conoscitore di storia medievale, ci ricorda che san Francesco "è il prodotto più rappresentativo ed ortodosso della Chiesa delle crociate". Ci domandiamo: quanti, anche tra i cattolici, non conoscono il vero san Francesco?

Donne
Nell'immaginario collettivo, inquinato dalla pseudo-cultura che trasuda dai mass-media, si crede che in epoca moderna, grazie alle rivendicazioni del movimento femminista, la donna possa godere di diritti che mai, prima, si era sognata di esercitare. Eppure, nella Chiesa, specialmente nell'epoca della tanto vituperata Christianitas medievale, le donne non erano certo da meno, in molti casi, degli uomini.
Valgo per tutti il caso di Roberto di Arbrissei (1045 - 1116), impareggiabile oratore, fondatore di un Ordine religioso i cui monasteri "doppi" ospitavano uomini e donne. Egli mise a capo una badessa e dispose che fosse vedova, perché l'aver conosciuta la vita matrimoniale facilitava il comando anche sugli uomini.
Regine Pernoud, una delle più grandi studiose dell'epoca medievale, rammenta che "alcune donne [...] hanno goduto nella Chiesa, e attraverso la loro funzione nella Chiesa, di un potere eccezionale nel Medioevo. Alcune badesse agivano come autentici signori feudali il cui potere era rispettato al pari di quello di tutti gli altri signori; sovente amministravano vasti territori che includevano villaggi, parrocchie...".
Quanti complessi di inferiorità e sensi di colpa ingiustificati potremmo facilmente rimuovere se noi cattolici conoscessimo la storia della nostra Chiesa.

Guerra civile

Il triennio 1936-1939 vide lo Spagna immerso In uno spaventosa guerra civile. Partiti e movimenti repubblicani (anarchici, socialisti e comunisti) si opponevano a militari e civili (monarchici, cattolici e falangisti), guidati da Francisco Franco, che risultarono alla fine vittoriosi, conquistando Madrid nel marzo 1939.

Stando alle cifre riportate da Vittorio Messori nel suo Pensare la storia (volume che non deve mancare nella libreria di ogni cattolico non pentito), dal luglio 1936 "nei modi più atroci furono uccisi 4.184 preti diocesani (includendovi i seminaristi), 2.365 frati, 283 suore", a cui si devono aggiungere ben 11 vescovi. È bene ricordare che gli assassini militavano nelle fila dei partiti e movimenti repubblicani.
Facciamo nostra, la riflessione di Messori: "Per decenni, anche per certo mondo 'cattolico' sembrò che chi doveva farsi perdonare e far dimenticare, nella tragedia spagnola, fosse lo Chiesa, non fossero gli anarchici, i socialisti, i comunisti".

Pio IX profetico
Dieci anni fa (novembre 1989) veniva abbattuto il vergognoso "Muro di Berlino", eretto dalle autorità della Germania orientale per impedire la fuga dei malcapitati tedeschi oppressi dal plumbeo e ferreo regime comunista. L'episodio ha assunto valore di simbolo per proclamare la caduta del comunismo. Sappiamo che decenni di totalitarismo ateo e marxista, a partire dal 1917, anno della rivoluzione bolscevica in Russia, hanno condotto alla tomba centinaio di milioni di vittime innocenti. Tra di loro, milioni di cattolici e credenti di diverse confessioni religiose.
Ma pochi sanno che nel 1864, dunque ben 135 anni fa, papa Pio IX definiva Socialismo e Comunismo "pestilenze dell'umanità" (Sillabo). IL Papa avvertiva l'umanità del pericolo costituito da ideologie che predicavano l'avvento di un mondo nuovo senza Dio e contro Dio.
Che cosa dire? Se questo secolo avesse dato retta a quel grande pontefice, ci saremmo risparmiati una delle più grandi tragedie della storia dell'umanità.



IL TIMONE – N. 3 - ANNO I - Settembre/Ottobre 1999 - pag. 12




Hanno scritto... hanno detto

Il Timone n. 3 - anno 1999 -

"La scienza ha molto a che vedere con l'ordine dell'universo: senza ordine non ci sarebbe scienza. E come può esserci ordine senza intelligenza? Quanto più la scienza progredisce più ordine si scopre, in una progressione che ha del meraviglioso. Il progresso scientifico non sopprime la capacità di stupirsi di chi pensa: risolve alcuni problemi, ma ne rivela altri ancora più profondi, in cui l'ordine è ancora più grande e complesso. Questa è la quinta "via" razionale di san Tommaso per giungere a Dio, e la scienza, progredendo, offre una base sempre più estesa in suo favore".
(Mariano Artigas, Le frontiere dell' evoluzionismo, Ares, Milano 1993, pp. 83-84).

****

"In effetti, perché quello massonico è il pericolo che la Chiesa, con un istinto significativo, avvertì subito come talmente insidioso da dedicargli il maggior numero di condanne? Ma perché niente è in apparenza più rassicurante e ragionevole - anche per un cristiano non scaltrito - dell'ideologia delle Logge: amore per l'umanità con relativo impegno filantropico, fratellanza, tolleranza, mutuo rispetto, universalismo non disgiunto dall' amor di patria, impegno per il miglioramento morale proprio e degli altri; e così via.
Non c'è, dunque, qui, una convergenza con i valori del cristianesimo? Certo: ma con l'avvertenza che ciò che caratterizza questa visione del mondo (che è quella che sta alla base di organizzazioni pur meritorie come la Croce Rossa, la Società delle Nazioni, certi club a diffusione internazionale) è un' apparenza evangelica senza più la sostanza, la base. Un cristianesimo, ma evi rata, perché senza Cristo".
(Vittorio Messori, Pensare la storia, Paoline, Cinisello B.mo [MI] 1992, p. 105).

****

"Dobbiamo avere il coraggio di ridire chiaro che, presa nella sua totalità, la Bibbia è cattolica. Accettarla come sta, nell'unità di tutte le sue parti, significa accettare i grandi Padri della Chiesa e la loro lettura; dunque, significa entrare nel cattolicesimo".
(Card. Joseph Ratzinger, in Vittorio Messori, Rapporto sulla Fede, Paoline, Cinisello B.mo (MI) 1985, p. 173).

****

"Ricordiamoci che, in tempi ancora non troppo lontani, nelle prediche durante i ritiri o le missioni, iNovissimi morte, giudizio, paradiso, inferno e purgatorio - sempre costituivano un punto fisso del programma di meditazione e i predicatori ne sapevano parlare in modo efficace e suggestivo. Quante persone furono indotte alla conversione e alla confessione da queste prediche e riflessioni sulle cose ultime.
[...] Si può dire che tali prediche, perfettamente corrispondenti al contenuto della Rivelazione nell'Antico e nel Nuovo Testamento, penetravano profondamente nel mondo intimo dell'uomo. Scuotevano la sua coscienza, lo gettavano in ginocchio, lo conducevano alla grata del confessionale, avevano una loro profonda azione salvifica".
(Papa Giovanni Paolo Il, Varcare le soglie della speranza, intervista di Vittorio Messori, Mondadori, Milano 1994, pp. 197-8).


****

"In Italia l'ambito più disastrato è quello della cultura (più di quelli della politica, dell'informazione, della giustizia e dell'economia); la cultura dominante - che sostanzialmente emargina Dio - si regge oggi sulla menzogna. Torna alla mente il discorso di sant'Agostino a proposito della "città terrena", che non facendo spazio a Dio finisce inevitabilmente col fare spazio al principe di questo mondo, cioè al demonio, i cui attributi sono di essere omicida (lo abbiamo visto a iosa in Russia, in Germania, in Cina, in Indocina) e menzognero. Adesso, conclusa la fase degli omicidi di massa, è subentrata la fase della menzogna: la portano avanti i grandi giornali, la radio, la televisione, soprattutto col sistema delle mezze verità, che impediscono alla gente comune di avere un'idea chiara della realtà. Per questo dobbiamo impegnarci a ricercare e a far conoscere la verità. Il fronte più importante oggi è dunque quello della cultura".
(Eugenio Corti, in Paola Scaglione, I giorni di uno scrittore. Incontro con Eugenio Corti, Maurizio Minchella Editore, Milano 1997, p. 119).

****

"In terzo luogo [la Chiesa] è santa perché possiede in modo infallibile la verità rivelata. E in questo è da collocarsi il principio medesimo dell'apologetica cattolica: la Chiesa non può esibire nel suo corso storico un'irreprensibile sequela di azioni conformi alla legge evangelica, ma può allegare un'ininterrotta predicazione della verità: la santità della Chiesa è da ricercare in questa, non in quella".
(Romano Amerio, Jota unum, Ricciardi, Milano-Napoli 1989, p. 111).

****

"A furia di studiar utopie e utopisti, e giudicandoli con l'unico metro di giudizio universalmente valido, cioè guardandone i frutti, chi scrive non poteva fare a meno di costatare che gli unici frutti non avvelenati ma nutrienti per gli uomini sono stati sempre e solo quelli prodotti dal cristianesimo. Non c'è stato nulla di simile prima: di questo possiamo star sicuri. Da qualsiasi parte lo si rigiri il cristianesimo mostra sempre la sua origine divina; le dottrine di origine umana - lo abbiamo visto - sono pie intenzioni che si rovesciano immancabilmente nel loro contrario".
(Rino Cammilleri, I mostri della Ragione, Ares, Milano 1993, p. 231).

****

"Presi in se stessi, i conflitti che travagliano l'umanità non meritano di attirare la nostra attenzione e il nostro dolore. Sono soltanto la maschera - una maschera che bisogna strappare - di un' altra scissione che sola è reale e sola importa: la fuga fuori di Dio e dell' attrazione del suo amore. La disgrazia non è che due menzogne si sbranino a vicenda, ma che lottino sul corpo di una verità assassinata. I gesti con i quali due idoli si feriscono reciprocamente mi toccano poco: ciò che mi spaventa è che ambedue compiono un identico gesto che ferisce Dio! La tragedia non consiste nella lotta dei frammenti tra di loro, ma nell'unità distrutta. Quando due idoli si battono, Dio è fra loro, e sanguina ad ogni colpo! Quando vedo due fratelli snaturati farsi guerra, la mia tristezza non si ferma a quei miserabili, ma risale al Padre comune che, prima di battersi, hanno dovuto rinnegare".
(Gustave Thibon, DiagnosiSaggio di fisiologia sociale, Volpe, Roma 1973, pp. 78-79).






IL TIMONE – N.3 - ANNO I - Settembre/Ottobre 1999 - pag. 13



Hanno scritto... hanno detto

 

 

Il Timone n. 1 - anno 1999 -

 

 
Juan Donoso Cortes - "Gli errori contemporanei sono infiniti: ma tutti, a ben guardare, hanno la loro origine e vanno a terminare in due negazioni supreme, una relativa a Dio, l'altra relativa all'uomo". (Lettera al cardinal Fornari del 19 giugno 1852, in RINO CAMMILLERI, Elogio del Sillabo, Leonardo, Milano 1994, p. 349)

****

Antonino Zichichi - "Lo scienziato per procedere nella ricerca di nuove frontiere scientifiche ha sempre bisogno di porre domande, non a se stesso, ne ai suoi colleghi, ma direttamente al Creatore, con umiltà. Fare un esperimento, infatti, corrisponde a chiedere la risposta a Colui che ha fatto il mondo". (Scienziato Direttore del Centro di Cultura scientifica "Ettore Majorana", in Luce, 10/11/1996) 
Cardinal Giacomo Biffi - "Oggi è in atto una delle più gravi avversioni culturali al cristianesimo. Tutta l'eredità del Vangelo (la concezione dell'uomo e della donna, del matrimonio e della famiglia, della vita umana e della sua sacralità, nonché della sua giusta trasmissione) viene progressivamente ripudiata dalla legislazione e scalzata dalle coscienze. I moderni areopaghi si fanno sempre più intolleranti nei confronti di quanti persistono a ritenere che la venuta tra noi del Figlio di Dio sia il fatto centrale della storia" . (Arcivescovo di Bologna)

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San Tommaso d'Acquino - "La ragione umana detta all'uomo di sottoporsi a qualche Essere superiore a causa delle deficienze che sperimenta in se stesso, nei riguardi delle quali sente il bisogno di essere aiutato e diretto da qualche Essere superiore; e, chiunque esso sia, e l'essere che presso tutti è chiamato Dio". (Somma Teologica) 

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Franco Cardini - "Non è affatto vero che le Crociate provocarono lontananza e inimicizia reciproca tra Occidente cristiano e Oriente musulmano. I secoli "classici" delle Crociate, quello fra XI e XIII secolo, furono anche quelli del massimo avvicinamento fra Cristianità e Islam. Fu durante tali secoli che la scienza e la filosofia classiche, dimenticate in Occidente, vi tornarono grazie alle traduzioni dall' arabo. In quegli stessi secoli, l'intensità dei traffici raggiunse livelli mai conosciuti prima. Le Crociate storiche sono l'epifenomeno di un grande movimento d'incontro e di convergenza". (Crociate, non guerra santa, in Avvenire, 9/2/1997)

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Cardinal Joseph Ratzinger - "Oggi più che mai il cristiano deve essere conscio di appartenere a una minoranza e di essere in contrasto con ciò che appare buono, ovvio, logico per lo "spirito del mondo", come lo chiama il Nuovo Testamento. Tra i compiti più urgenti per il cristiano, c'è il recupero della capacità di opporsi a molte tendenze della cultura circostante, rinunciando a certa solidarietà troppo euforica post-conciliare". (Intervistato da VITTORIO MESSORI, Rapporto sulla fede, Paoline, Cinisello Balsamo (Milano) 1985, p. 117) Vittorio Messori - "Si sa che oggi, per essere buoni cattolici, conviene parlare con convinto entusiasmo di ogni religione, tranne che della propria". (Pensare la storia - Paoline, Cinisello Balsamo (Milano), 1992, p.131)

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P. Piero Gheddo - "Molti sostengono che la Chiesa in missione non dovrebbe più raccontare il fatto storico della nascita, morte e resurrezione di Gesù ma solamente un astratto codice morale che già accomunerebbe tutti gli uomini e aggiungono che a ogni uomo, per salvarsi, è sufficiente seguire la propria coscienza e la propria fede. Chiaramente, questa prospettiva rende inutile la missione. Se tutte le religioni possono portare alla salvezza, che senso ha annunciare il Cristo Salvatore? Se non c'è differenza tra "religione naturale" (scritta da Dio nelle coscienze di tutti gli uomini) e "religione rivelata" (quale è il cristianesimo), che senso ha portare il Vangelo? [...] Sembra, ancora una volta, avverarsi la :profezia dello stesso Gesù: "Sarò la pietra d'inciampo". E sul suo nome, infatti, che inciampa sia chi vorrebbe ridurre la missione a un semplice aiuto materiale, sia chi vorrebbe far nascere dall'incontro fra le diverse religioni un deismo in cui tutti si possono riconoscere". (Intervistato da MICHELE BRAMBILLA, Nel nome del Padre, Bompiani, Milano 1992, p. 29)

****

Etienne Gilson - "Gli stessi maestri ignorano la verità di quel che insegnano. Non sono privi di carità, ma non sanno cosa devono amare. Non sono certo privi di fede, ma non conoscono ciò a cui bisogna credere; o forse, pensano che la Chiesa conserverà i suoi fedeli solo a patto che li esorti a credere e ad amare ciò che han voglia di amare. Non si preoccupano di salvare il mondo, ma, piuttosto, di persuaderlo che è già salvato così com'è, rinviandogli solo un' eco del messaggio cristiano". (Problemi d'oggi, Borla, 1967)



TIMONE – N.1 - ANNO I - Maggio/Giugno 1999 - pag. 18


[Modificato da Caterina63 21/10/2014 23:12]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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A proposito di una rilettura del rapporto tra romani e giudei

Scontro di civiltà (antiche)

 

di Manlio Simonetti

Paolo Mieli ha pubblicato sul "Corriere della sera" un'ampia e più che lusinghiera presentazione della recente traduzione italiana della monografia di Martin Goodman intitolata Rome and Jerusalem e pubblicata a Londra nel 2007 (Roma e Gerusalemme. Lo scontro delle civiltà antiche. Traduzione di Michele Sampaolo, Roma-Bari, Editori Laterza, 2009, pagine x+738, euro 35). La valutazione favorevole appare ben meritata in considerazione dell'ampiezza inusitata del libro, che fornisce gran copia di notizie riguardanti i più vari aspetti della vita, non soltanto comunitaria ma anche privata, di romani e giudei nel mondo antico, per cui questa monografia viene a collocarsi in posizione di spicco nell'ambito di una bibliografia tutt'altro che scarsa riguardante l'antigiudaismo nell'antichità.
All'inizio del libro Goodman spiega che il primitivo obiettivo della sua ricerca, analizzare le differenze tra la civiltà giudaica e quella romana, si è rivelato inadeguato a fronte della constatazione di non poter prescindere dalla dimensione storica del contrasto tra le due civiltà, culminato nella catastrofe dell'anno 70. Quanto a questa, l'autore, considerando che la fonte di gran lunga più importante di questi fatti, Flavio Giuseppe, era troppo coinvolta nei fatti che narrava per poterne fornire una presentazione distaccata e serena, si è chiesto se non convenisse ripensare tutta la vicenda, utilizzando il materiale fornito dall'antico storico ma interpretandolo in modo autonomo. Di qui una presentazione del rapporto tra giudei e romani largamente originale, sulla quale intendo ora soffermarmi, sia pure in breve.
Ma preliminarmente non posso esimermi dall'osservare che il serrato e documentato confronto tra i vari aspetti delle civiltà rispettivamente giudaica e romana presenta un evidente squilibrio in quanto mette a confronto, perciò su un medesimo livello, le due entità quasi fossero politicamente paritarie, mentre da una parte abbiamo la città imperiale e dall'altra una delle tante città dell'impero, centro ancestrale di un popolo che era soltanto uno dei tanti sui quali si estendeva il dominio romano. Non poco ci sarebbe da rilevare circa questa evidente forzatura, ma qui preferisco concentrarmi sull'interpretazione che l'autore propone del rapporto conflittuale tra romani e giudei.
Goodman afferma che i giudei della diaspora avevano trovato un accomodamento coi loro vicini, per cui, se non benvoluti, erano per lo meno tollerati dai pagani in mezzo ai quali vivevano, così come erano tollerati, fuori dell'impero, dal governo dei parti. Al tempo di Gesù i giudei non si sentivano oppressi dai romani, che non li consideravano pericolosi e ostili, e Gerusalemme era una città gloriosa e ricca. La rivolta dell'anno 66 fu determinata non dal rifiuto giudaico del dominio romano ma dalla reazione alle malversazioni di un governatore disonesto, che faceva seguito ad altri pessimi governatori. L'incapacità del magistrato di reprimere  subito  la  rivolta  e  la  perdita di un'intera legione imposero ai romani una risposta adeguata, che portò all'assedio e alla distruzione di Gerusalemme.
A causare questo crescendo di violenza non fu tanto la resistenza dei giudei quanto la particolare situazione nella quale si venne a trovare Vespasiano, prima comandante dell'esercito romano incaricato di reprimere la rivolta ma nel 69 acclamato imperatore dalle legioni d'oriente in opposizione a Vitellio:  "La totale sconfitta dei giudei gli era necessaria per costruirsi l'aura di generale vittorioso che potesse giustificare la sua ascesa al potere" (p. 660). Di qui la spietata violenza con cui fu assalita, conquistata e distrutta Gerusalemme, senza che si tenesse conto che la città, ormai ridotta agli estremi, di lì a poco si sarebbe dovuta arrendere per fame. "Una volta che i Flavi avevano stabilito il loro potere sulle spalle della sconfitta dei giudei, non fu nell'interesse della maggior parte degli imperatori successivi manomettere l'immagine così accuratamente costruita e tanto meno sfidarla direttamente permettendo ai giudei di ricostruire il loro Tempio" (pp. 660-661). All'antigiudaismo romano fece seguito quello cristiano, con una graduale crescendo di ostilità destinato a prolungarsi e intensificarsi nel mondo medievale e in quello moderno.
Il presupposto sul quale fonda questa interpretazione di Goodman, cioè che i giudei avrebbero trovato un accettabile modus vivendi con i pagani in mezzo ai quali vivevano, mi sembra ben poco solido. Infatti egli qui si distacca completamente da Flavio Giuseppe, fonte pressoché unica, il quale afferma a chiare lettere che i giudei erano del tutto malvisti in oriente, e soltanto la protezione dell'autorità romana li metteva a riparo dalle violenze alle quali le popolazione pagane li avrebbero volentieri assoggettati.
Lo storico riporta nelle Antichità giudaiche più di trenta decreti emanati dalle autorità romane per tutelare i giudei dalle vessazioni e dalle angherie di cui i pagani, appena se ne presentasse l'occasione, li facevano oggetto. E che questa condizione di vita precaria dei giudei non fosse ristretta all'impero romano ce lo dice ancora lo storico giudeo, il quale racconta che nel 40/41 dell'era cristiana a Seleucia, nel regno dei parti, cinquantamila ebrei furono massacrati in una sola notte dai siriani e dai greci (18, 376). Anche se la cifra potrebbe essere esagerata e non di poco, il fatto è significativo del malvolere che circondava i giudei anche fuori dell'impero romano.
Non è qui il caso d'indagare le cause di questo malvolere, tanto più che molto se n'è scritto, e che esso va fatto risalire già al tempo della rivolta dei cosiddetti Maccabei, e comunque ben prima della comparsa dei romani nella regione. Mi limito perciò a osservare che, a mio avviso, Goodman ha anche sottovalutato la conflittualità che s'instaurò in Palestina dopo la morte di Erode, per sfociare infine nella ribellione del 66. Non definirei semplici operazioni di polizia episodi come la cosiddetta guerra di Varo alla fine della quale il comandante romano fece crocifiggere ben duemila persone (17, 295). Quanto poi Goodman osserva circa la sopravvalutazione dell'importanza della guerra giudaica da parte degl'imperatori Flavii per motivazione politica, è pura ipotesi:  quella giudaica fu una guerra vera e propria e come tale fu combattuta, perciò senza mezze misure e tanto meno preoccupazioni umanitarie.
Sta il fatto che i giudei, pur accuratamente tutelati dall'autorità romana e autorizzati a praticare usanze che li isolavano dalle popolazioni entro le quali vivevano, rappresentarono per i romani un problema sempre aperto fino alla grande repressione del 135, stante proprio - soprattutto in Palestina dove i giudei erano largamente maggioritari e dove c'era il Tempio - la difficoltà di convivenza con i romani e con gli stranieri in genere, proprio a causa di quelle peculiari usanze e, conseguentemente, l'insofferenza per la dominazione romana.
Sono d'accordo con Goodman nel ritenere che in grande maggioranza i giudei di Palestina fossero ben lungi dal sentirsi spinti da questa insofferenza fino alla rivolta armata, ma fu sufficiente che lo fossero alcune minoranze di fanatici, perché la storia c'insegna che troppe volte sono state proprio queste minoranze di estremisti a trascinare, più spesso alla rovina che al successo, le maggioranze incapaci di far valere la loro moderazione.
Goodman si meraviglia e s'indigna perché, dopo la distruzione del Tempio nel 70, le autorità romane non ne permisero più la ricostruzione, manifestando un'intolleranza che contrastava con la tolleranza praticata nei confronti di altre popolazioni dell'impero. Ma il divieto di ricostruire il Tempio può essere valutato da un punto di vista perfettamente opposto:  vale a dire, ci si può chiedere perché i romani, tanto tolleranti nei confronti delle altre etnie, non lo siano stati su questo punto con i giudei. Evidentemente c'era una ragione.
In effetti per i romani i giudei erano qualcosa di diverso da quelle altre popolazioni e, a differenza di quelle, rappresentavano un problema di difficile soluzione:  perciò, risolto a modo loro, con i massacri del 70 e del 135, il problema, era naturale che essi volessero evitare ogni gesto che in qualche modo potesse riproporlo, e la ricostruzione del Tempio poteva essere valutata in questa ottica. A proposito della durezza con la quale i romani trattarono i giudei dopo i fatti del 66-70 e di cui farebbe fede l'imposizione del fiscus Iudaicus, Goodman avrebbe dovuto rilevare più significativamente di quanto non abbia fatto che anche dopo i gravissimi eventi del 66-70, del 115 e del 135, i romani continuarono a mantenere in vigore i provvedimenti che autorizzavano i giudei a vivere a modo loro nell'ambito dell'impero, ivi compresa l'esenzione di fare atto di ossequio all'imperatore in quanto dio.
Concludo perciò che l'interpretazione dei fatti che Goodman propone non mi sembra convincente là dove diverge da Flavio Giuseppe, e preferisco attenermi alla ricostruzione tradizionale del rapporto conflittuale tra romani e giudei, fondato sul dato di fatto che i giudei erano molto malvisti dai pagani, soprattutto in oriente, e che soltanto la protezione dei romani assicurava la loro incolumità, protezione che non venne meno neppure dopo le grandi ribellioni del I e II secolo. È fuor di dubbio che i tragici fatti di un passato ancora troppo prossimo invitino a riesaminare criticamente anche i fatti di un passato molto più remoto, ma non a punto tale da alterarne il significato al di là della verità storica.


(©L'Osservatore Romano 30 gennaio 2010)


 

 

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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La "buona battaglia"


 di Gianpaolo Barra

[Da "Il Timone" - Anno III, numero 11 - Gennaio/Febbraio 2001]

Pubblichiamo il testo della conversazione che Gianpaolo Barra, direttore de "Il Timone", ha tenuto a Radio Maria il 18 marzo 1999, durante la "Serata Sacerdotale", condotta da don Tino Rolfi. Conserviamo lo stile colloquiale e la divisione in paragrafi numerati, utilizzata per i suoi appunti dall’autore. 

1. Oggi tenteremo di riflettere su un aspetto della storia, sulla chiave di lettura della storia. Intendo tanto la nostra storia personale quanto la storia in generale 

2. Possiamo prendere a prestito una nota espressione biblica, "la buona battaglia" per dire che noi cristiani siamo chiamati a condurre a buon fine la "buona battaglia", come scrive san Paolo a Timoteo 

3. Anche chi si occupa di apologetica, come ogni cristiano, è chiamato a combattere la buona battaglia, ad essere soldato. Un soldato speciale, ovviamente, un soldato di Cristo. E il Catechismo della Chiesa Cattolica ci insegna che noi lo diventiamo con il Sacramento della Cresima. 

4. Oggi, chi si occupa di apologetica viene visto come un soldato. Un uomo che si adopera per difendere la verità della fede, per promuovere la cultura che ne deriva, per apprezzare e far conoscere la storia gloriosa della Chiesa, per difendere la Chiesa stessa dalle contestazioni. 

5. È comprensibile che qualcuno si domandi: che bisogno c’è di "soldati" ? Per di più di "soldati di Cnsto" ? Non è forse questa un’espressione bellicosa, un modo di parlare un po’ datato, d’altri tempi ? 

6 Proviamo a rispondere. Cristo ha bisogno di "cavalieri", la Chiesa ha bisogno di "militanti", il mondo ha bisogno di soldati di Cristo perchè la vita di ogni uomo, dopo il peccato originale, commesso da Adamo ed Eva, è una vita vissuta in guerra. 

7 Questa verità forte, che oggi spaverità non pochi credenti, emerge in primo luogo dalla Parola di Dio. Essa ci fa comprendere di quale guerra si sta parlando. 

8. Sentiamo il libro del Genesi. Dopo aver ceduto alla tentazione del serpente, il Signore Dio si rivolge a satana con queste parole, illuminanti per il tema che stiamo trattando: "Allora il Signore Dio disse al serpente: poiché tu hai fatto questo, su tu maledetto più di tutto il bestiame e più di tutte le bestie selvatiche, sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita. Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe, questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno" (Gn 3,14-15) 

9. Ecco la prima verità sul senso della storia che stiamo vivendo: a causa del peccato originale, Dio ha posto una inimicizia tra la donna e il serpente, tra la stirpe della donna e la stirpe del serpente. 

10 La Chiesa ha sempre insegnato che la donna è Maria Santissima, la Madre di Dio, ma non sbaglia chi crede che la donna sia anche la Chiesa. 

11. Ne consegue che stirpe della donna è - in primo luogo - suo Figlio, Gesù. Ma stirpe della donna, della donna-chiesa è anche l’insieme dei fedeli - dei cattolici -, quindi ciascuno di noi. 

12. Il serpente è satana e la sua stirpe è l’insieme degli angeli ribelli e degli uomini che scelgono liberamente di servirlo in odio a Dio. 

13. Se diamo ascolto alla Parola di Dio, essa ci svela che noi siamo nati in mezzo ad un combattimento che, iniziato prima di Adamo ed Eva, ai tempi della rivolta degli angeli ribelli, dura fino ai nostri giorni. 

14 In questa guerra è impegnata, con tutte le sue forze, che gli vengono dal suo Capo che è Cristo, la Chiesa Cattolica, quindi ciascuno di noi. 

15. Ora, io so bene che questo modo di ragionare è fuori moda. Viviamo nell’epoca del buonismo, del tutti siamo fratelli, del "volemose bene" ad ogni costo e ricordare quello che ci insegna la Parola di Dio, e cioè che, dopo il peccato originale, siamo in guerra, può impressionare qualcuno. Ma le cose stanno proprio così. 

16 Andiamo avanti. Questa verità cosi forte è sempre stata insegnata dalla Chiesa. 

17 San Paolo scrive ai cristiani di Efeso parole che possiamo considerare rivolte a noi: "Rivestitevi dell’armatura di Dio per poter resistere alle insidie del diavolo La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne ma contro i Principati e le potestà, contro i dominatori di questo mondo, contro gli spinti del male che abitano le regioni celesti" (Ef 6,11-12) 

18. Poniamoci una domanda: "Chi di noi può sentirsi escluso da questo invito nvoltogli dall’Apostolo delle genti a "rivestirsi dell’armatura di Dio" ? 

19. Tutta la vita di san Paolo fu dedicata al combattimento per la Gloria di Dio e la salvezza delle anime. A Timoteo scrive: "Quanto a me, il mio sangue sta per essere sparso in libagione ed è giunto il momento di sciogliere le vele. Ho combattuto la buona battaglia. Ho terminato la mia corsa, ho conservato la Fede" (2 Tm 4,6-7) 

20. Poco prima, aveva scritto: ’Questo è l’avvertimento che ti do, figlio mio Timoteo - ascoltiamo questo avvertimento come rivolto a ciascuno di noi - in accordo con le profezie che sono state fatte a tuo riguardo, perchè fondato su di esse, tu combatta la buona battaglia con fede e buona coscienza." (1 Tm 1,18) 

21. Anche San Pietro ci invita alla resistenza di fronte al maligno "Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro, cercando chi divorare. Resistetegli saldi nella fede." (1 Pt 5,8-9) 

22. È tempo di una prima conclusione. Sono sufficienti queste verità emerse dalla Parola di Dio per avvisarci del senso generale della storia e della nostra storia personale. Siamo immersi in una battaglia, in una situazione di "inimicizia" tra la donna e il serpente. 

23. Sulla scorta dell’insegnamento biblico e dell’illuminante esempio dei suoi santi (ricordiamo s. Agostino, s. Ignazio di Loyola, s. Massimiliano Kolbe), la Chiesa cattolica ha sempre insegnato che ogni suo figlio e chiamato ad essere "Miles Christi", soldato di Cristo. 

24. Nella Costituzione Gaudium et Spes del Concilio Vaticano II, la Chiesa ci ricorda "Tutta intera la storia umana è pervasa da una lotta tremenda contro le potenze delle tenebre, lotta incominciata fin dall’origine del mondo, che durerà, come dice il Signore, fino all’ultimo giorno. Inserito in questa battaglia, l’uomo deve combattere senza soste per poter restare unito al bene, nè può conseguire la sua interiore unità se non a prezzo di grandi fatiche, con l’aiuto della grazia di Dio." (GS 37,2) 

25. Ora, proseguiamo nella nostra riflessione. Diventa fondamentale, se non vogliamo soccombere, sapere dove si sta svolgendo questa battaglia, in quale campo si affrontano i due eserciti, quello di Dio e quello di satana. Quello della Donna e quello del serpente 

26. Il terreno privilegiato di combattimento è l’anima dell’uomo, è l’uomo stesso. 

27. Poiché il demonio non può nuocere a Dio, che odia, ma del Quale conosce bene la superiorità infinita, allora rivolge la propria azione distruttiva verso l’opera di Dio, la creazione e - nella creazione - verso la creatura più eccellente: l’uomo. 

28. E tra il genere umano, il demonio ha un odio particolare verso la creatura più eccelsa: Maria Santissima. Ma anche nei suoi confronti non può fare nulla, quindi si rivolge, odiandoli, contro i suoi figli diletti. 

29. Andiamo avanti. Se il terreno privilegiato di questo combattimento è l’anima dell’uomo, la posta in gioco in questa battaglia è la vita eterna che ci aspetta dopo la morte. 

30. Se non sapremo vincere, se per colpa nostra il demonio dovesse renderci suoi schiavi, la vita eterna che ci aspetta sarà quella disperata e tragicamente dolorosa dell’inferno. 

31. Al contrario, se con l’aiuto della Grazia di Dio, risultassimo vincitori, la vita eterna che ci aspetta è quella del Paradiso, della gioia eterna senza fine. 

32. Le armi che usa il serpente e coloro che lo servono in schiavitù sono le armi della menzogna, dell’omicidio e della tentazione. 

33. Le nostre armi sono quelle della fede, di cui parleremo più avanti. 

34. Noi abbiamo visto all’opera le armi del nemico Soprattutto nel XX secolo, quando il progetto di costruire un mondo nuovo, abitato da un uomo superbamente convinto di poter fare a meno di Dio si è avvicinato alla sua realizzazione. 

35. E abbiamo visto la tragedia delle guerre mondiali e delle guerre nazionali, i campi di concentramento, il totalitarismo comunista e l’arcipelago GuLag 

36 E vediamo la silenziosa carneficina di bambini innocenti uccisi con l’aborto ancora prima di vedere la luce del sole. In questi ultimi 30 anni, in 173 Paesi del nostro mondo, oltre 1.000.000.000 (un miliardo) di bambini è stato sterminato con l’aborto. 

37. Vogliamo provare a leggere "teologicamente" questo fatto ? Vogliamo avere il coraggio di dire che l’aborto costituisce un sacrificio umano gradito a satana ? Vogliamo avere il coraggio di dire che satana, scimmiottando Dio, vuole i suoi sacrifici e niente gli è più gradito del sacrificio di vittime innocenti, le più innocenti, le più vicine alla innocenza di Gesù ? 

38. Parlando del nemico. Pio XII scriveva agli Uomini di Azione Cattolica d’Italia parole che non hanno perso la loro attualità: "Esso [il nemico] si trova dappertutto e in mezzo a tutti, sa essere violento e subdolo. In questi ultimi secoli ha tentato di operare la disgregazione intellettuale, morale, sociale dell’unità nell’organismo misterioso di Cristo. Ha voluto la natura senza la grazia, la ragione senza la fede, la libertà senza l’autorità, talvolta l’autorità senza la libertà. È un "nemico" divenuto sempre più concreto, con una spregiudicatezza che lascia ancora attoniti: Cristo si, Chiesa no. Poi Dio si, Cristo no. Finalmente il grido empio: Dio è morto, anzi non è mai stato" (12-10-1952) 

39. Stando ad un altro grande pontefice, Papa Paolo VI, si direbbe che oggi il nemico sia penetrato da qualche fessura anche nella Chiesa. 

40. In un celebre discorso pronunciato nel 1972, Papa Paolo VI diceva: "Il fumo di Satana è entrato nel tempio di Dio. Si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. È venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio." 

41. Al suo grande amico Jean Guitton, Paolo VI rivelava: "Ciò che mi colpisce, quando considero il mondo cattolico, è che all’interno del cattolicesimo sembra talvolta predominare un pensiero di tipo non-cattolico, e può avvenire che questo pensiero diventi domani il più forte. Ma esso non rappresenterà mai il pensiero della Chiesa. Bisogna che sussista un piccolo gregge, per quanto piccolo esso sia" (Jean Guitton, Paolo VI segreto, pp 152-153) 

42.1 risultati di quest’azione sono sotto gli occhi di tutti. In sintesi potremmo enumerarli cosi. In primo luogo confusione dottrinale, offuscamento della verità. Poi sfiducia dei Pastori. Alcuni di essi sono stanchi e sfiduciati. Quindi i fedeli, e gli uomini in generale, hanno perduto il senso del peccato. Non si ha più la consapevolezza che vi sono parole, opere, pensieri e omissioni che offendono Dio e che sono, talvolta, peccati mortali. Anzi, nemmeno si conosce la distinzione tra peccato mortale e peccato veniale. In quarto luogo si è perso lo spirito missionario, il dovere di portare il Vangelo, e non altre dottrine, in tutto il mondo, si è persa la sete di conquistare anime alla causa del Vangelo e della Chiesa. 

43.1 nemici di Dio operano per distruggere quello che resta del Cristianesimo e noi abbiamo deposto le armi, convinti che la guerra fosse finita. 

44. Se questa è la situazione, si capisce bene - e cosi rispondiamo alla domanda con la quale abbiamo aperto la nostra riflessione apologetica - perchè Cristo, la Chiesa e il mondo hanno bisogno di soldati. 

45. E c’è bisogno dell’apologetica, cioè della proposizione chiara e semplice delle verità della Fede, della cultura che ne deriva e c’è bisogno di difendere questa verità dalle contestazioni. 

46. Questa è la "buona battaglia". 

47, Quali sono, dunque, le armi che dobbiamo utilizzare ? 

48. Ricordiamo che questa è una guerra speciale, non convenzionale. San Paolo dice che combattiamo "non contro creature fatte di sangue e di carne", ma contro "i dominatori di questo mondo, contro gli spiriti del male". 

49 La preghiera è la prima arma. La frequenza ai sacramenti, alla Confessione e alla santa Comunione, perchè la Grazia di Dio fortifichi la nostra anima e la renda inaccessibile agli attacchi del Nemico. Poi, esercizio e pratica delle virtù. 

50. La seconda arma è la formazione. Dobbiamo conoscere le ragioni della nostra Fede e saperle proporre al prossimo. Dobbiamo conoscere gli errori e le strategie del Nemico per poterle smascherare e denunciare. 

51. Infine, la terza arma è quella dell’apostolato concreto, efficace. 

52. Consapevoli che Gesù ha vinto il mondo e che le porte degli inferi non prevarranno, restiamo fedeli al Vangelo, al Papa e alla Chiesa per ottenere anche noi la vita eterna. 

Bibliografia 

Plinio Correa De Oliveira, Rivoluzione e contro-rivoluzione, Cristianità, Piacenza 1977. 
Sant’Agostino, La città di Dio, Rusconi, III ed., Milano 1992. 
Hubert Jedin, La storia della Chiesa è teologia e storia, Vita e Pensiero, Milano 1968. 
Roberto De Mattei, Il crociato del XX secolo. Plinio Correa de Oliveira, Piemme, Casale Monf.to (AL) 1996.
Andrea Sciffo, La cerca senza tempo. Tracce dell’Ordine cristiano, Il Cerchio, Rimini 1999.

© Il Timone


 Due progetti per l’apologetica
 La "buona battaglia"
 La Sacra Sindone
 Le colpe della Chiesa
 Nota sul perdono
 Il dito nella piaga
 E il Verbo si è fatto Carne...
 Vangelo: quasi una cronaca
 "Pieter, alzati e cammina !"
 La gamba di Miguel Juan

Due progetti per l’apologetica 
di Vittorio Messori 

[Da «il Timone» n. 50, Febbraio 2006] (Leggi Tutto)

 
 
 

La "buona battaglia" 
di Gianpaolo Barra

[Da "Il Timone" - Anno III, numero 11 - Gennaio/Febbraio 2001] (Leggi Tutto)

 
 
 

La Sacra Sindone 
di Gianpaolo Barra 

[Da "Il Timone" n. 10, Novembre/Dicembre 2000] (Leggi Tutto)

 
 
 

Le colpe della Chiesa 
di Franco Cardini

[Da "Avvenire", 5 Aprile 1995] (Leggi Tutto)

 
 
 

Nota sul perdono 
di Franco Cardini 

[Da "Avvenire", 31 Maggio 1995] (Leggi Tutto)

 
 
 

Il dito nella piaga 
di Alberto Azzimonti 

San Francesco di Assisi il primo stigmatizzato di cui si ha notizia. Quando il segno si fa prova della vera fede. (Leggi Tutto)

 
 
 

E il Verbo si è fatto Carne... 
di Enrico Salomi 

L’Eucaristia è il Corpo di Cristo. A Lanciano si è avuta una conferma miracolosa. Pane e vino consacrati tramutati in vera Carne e in vero Sangue. Il miracolo studiato anche dalla scienza.(Leggi Tutto)

 
 
 

Vangelo: quasi una cronaca 
di Alessandro Nicotra 

Sono (anche) documenti storici, attendibili, scritti pochi anni dopo la morte di Cristo. I testimoni erano vivi e potevano smentirli, ma non l’ hanno fatto. (Leggi Tutto)

 
 
 

"Pieter, alzati e cammina !" 
di Enrico Salomi 

Cronaca di un miracolo "di Lourdes" accaduto in Belgio. Da una gamba maciullata si rigenera una gamba completamente sana. Il fatto accertato dalla scienza. (Leggi Tutto)

 
 
 

La gamba di Miguel Juan 
di Enrico Salomi 

La prova provata che Dio esiste. Un miracolo che solo Lui può compiere. Grazie all’intercessione di Maria. Una rigorosissima indagine di Vittorio Messori. (Leggi Tutto)

 
 
 

Quel Chiodo è piantato nella storia 
di Maurizio Blondet 

L’ingegner Brunati ha studiato lo strano reperto conservato nel Duomo di Milano: rivela una tecnica finora ignota ma confermata dalla Sindone. "Staffe e anelli sembrano studiati per far sopravvivere (e soffrire) il più possibile il condannato Non serviva neppure il martello".(Leggi Tutto)

 
 
 

Il Vangelo e il "dottore" 
di Roberto Beretta 

Passione e morte di Gesù nel "referto medico" dei Vangeli. Un punto a favore della loro credibilità storica. Parola del professor Baima Bollone. (Leggi Tutto)

 
 
 

Beato Francesco di Sales salvami ! 
di Alessandro Nicotra 

Due fratelli devono attraversare un traballante ponte sopra un fiume in piena. Si raccomandano all’allora beato Francesco di Sales. Tuttavia, il più grande cade ed annega. Ma il giorno dopo... (Leggi Tutto)

 
 
 

Non di solo pane... 
di Alessandro Nicotra 

Guarisce miracolosamente, digiuna 36 anni di fila nutrendosi solo con l’Eucaristia, rivive fisicamente Passione e Resurrezione di Gesù. Accadeva pochi anni fa. Protagonista Teresa Neumann. La scienza ha visto, indagato e non sa spiegare. (Leggi Tutto)

 
 
 

Sindone tra Fede e Scienza 
di Alessandro Nicotra 

La scienza non ha svelato il mistero. Ma i dati finora conosciuti danno ragione ai cristiani. L’uomo del sacro lino è Gesù. (Leggi Tutto)

 
 
 

È Cattolica la vera Chiesa 
di Don Luigi Negri 

Verità fondamentali della fede cattolica esposte con chiarezza dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. Solo uno è il Salvatore: Gesù Cristo. Solo una è la vera Chiesa: la Cattolica. Spiegate con dovizia e con rigore. Il Papa fa suo, all’Angelus dell’1 ottobre, l’importante documento. (Leggi Tutto)

 
 
 

L'ora dell'apologetica 
di Roberto Beretta 

Gli ingredienti per una buona apologetica? Umiltà, oggettività e lealtà, le condizioni preliminari. E la preghiera. Poi spiegare perché la fede è ragionevole. Basta e avanza per accendere la fede in una persona disposta. (Leggi Tutto)

 
 
 

Apologismi fuori luogo 
di Rino Cammilleri

[Da "Il Timone" n. 13, Maggio/Giugno 2001] (Leggi Tutto)

 
 
 

Frammenti per un'apologetica dell'apologetica 
Conversazione di Vittorio Messori con la redazione del "Timone"

[Da "Il Timone" n. 10, Novembre/Dicembre 2000] (Leggi Tutto)

 
 
 

L’apologetica? Ha duemila anni 
di Giovanni Cantoni 

Le tappe storiche di un’apologetica bimillenaria. Che comincia dal Nuovo Testamento. Per mostrare ad ogni uomo la credibilità della fede cattolica. (Leggi Tutto)




 

 

   





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FALSIFICAZIONI

 




Sul Corriere della Sera, Ernesto Galli della Loggia in un inciso scrive: «Tutti sappiamo che il monoteismo in quanto tale intrattiene un oscuro rapporto con la violenza». La frase è bella. Ma falsa. Come quella su un presunto politeismo pacifico e tollerante. Vedi Nerone e Hitler, ad esempio. 



di Angela Pellicciari



Ernesto Galli della Loggia



Sul Corriere della Sera di ieri, in un articolo che pure porta finalmente alla ribalta il problema islam, Ernesto Galli della Loggia in un inciso scrive: «Tutti sappiamo che il monoteismo in quanto tale intrattiene un oscuro rapporto con la violenza». La frase è bella. Ma falsa.


Non è vero che i monoteismi in quanto tali intrattengano «un oscuro rapporto con la violenza»: è vero per l’islam che prevede anche la violenza (non oscura, ma esplicita) affinché il nome di Allah sia onorato e rispettato da tutti e in tutto il mondo. Qualche esempio tratto dal Corano, il libro che Allah detta a Maometto (detta, e quindi è difficile pensare che possa essere modificato dal momento che è Dio stesso a parlare e ordinare): «In verità, la ricompensa di coloro che combattono Iddio e il suo Messaggero e si danno a corrompere la terra è che essi saranno massacrati, o crocifissi, o amputati delle mani e dei piedi dai lati opposti, o banditi dalla terra» (Corano 5,33); «Getterò il terrore nel cuore dei miscredenti: colpiteli tra capo e collo, colpiteli su tutte le falangi […] Non siete certo voi che li avete uccisi, è Allah che li ha uccisi» (Corano 8, 12-17).


La leggenda del politeismo tollerante nasce in ambito anticristiano: è un modo come un altro per infamare, anche se indirettamente, i cristiani, facendo di tutta l’erba un fascio. Per chiarire quanto tollerante e non violento fosse il politeismo pagano basta citare un brano di Tacito che così racconta la prima persecuzione anticristiana scatenata da Nerone: «Quando andavano alla morte si aggiungevano loro gli scherni: si facevano dilaniare dai cani, dopo averli vestiti di pelli ferine, o si inchiodavano su croci, o si dava loro fuoco, perché ardessero a guisa di fiaccole notturne dopo il tramonto del sole. Nerone aveva offerto per tale spettacolo i propri giardini e celebrava giuochi nel circo, frammischiato alla plebe in abito d’auriga, o prendeva parte alle corse, in piedi sul carro». 

Convinto della pacifica positività del paganesimo è Adolf Hitler, che esplicita la sua convinzione in modo chiarissimo ne i Discorsi a tavola: «Il mondo antico aveva i suoi dei e serviva i suoi dei. Ma i preti, interposti tra gli dei e gli uomini, erano servitori dello Stato, perché gli dei proteggevano la Città. Insomma, erano l’emanazione di una potenza che il popolo aveva creata. L’idea di un dio unico era impensabile per quella gente. In questo campo i Romani erano la tolleranza in persona. L’idea di un dio universale non poteva apparir loro che una dolce follia».

Hitler si ripromette di liberare il mondo da ebrei e, a seguire, cristiani. Il presupposto culturale su cui è fondato il suo sogno palingenetico è duro a morire. Non sarebbe ora di farla finita con questo ciarpame anticristiano? Non ha ancora fatto abbastanza danni (soprattutto a noi italiani) la capillare, menzognera, propaganda anticattolica?





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Le sorprese dell'etimologia


L'etimologia ci riserva delle sorprese... sorprendenti. Per questa scienza (perché di scienza si tratta) gli unici che lavorano, che buttano il sangue, come suol dirsi, sono i negozianti; la altre categorie di onesti lavoratori non sono prese in considerazione. Vediamo, dunque.
Per spiegare quanto vogliamo dire occorre prendere il discorso alla lontana e parlare della scuola, non in senso polemico (e dobbiamo fare uno sforzo tremendo per astenerci dal giudicare negativamente la preparazione linguistico-grammaticale dei giovani sfornati dalla scuola di oggi: le nuove leve della carta stampata e no sono la prova provata), ma dal punto di vista etimologico.
La scuola, dicevamo, che per la maggior parte dei giovani significa ansia, lavoro, notti in bianco e qualche… scapaccione, in origine voleva dire tutto il contrario: rilassamento, riposo, ozio. Scuola, infatti, deriva dal greco σχολή (scholé) che significa, per l'appunto, riposo, ozio; per gli antichi coloro che si dedicavano all'esercizio dello spirito, della mente, dell'animo – anziché preoccuparsi diammazzarsi sulla vanga o sull'aratro (quando non erano in guerra) – oziavano; la scuola era motivo di riposo, di svago.
I Latini, infatti, chiamavano otium (ozio) il tempo che riuscivano a sottrarre agli affari, agli impegni per dedicarlo allo svago, al divertimento, tanto è vero che le ore che riuscivano a dedicare alle lettere e agli studi erano chiamate otia litterata. A questo punto, cortesi amici, vi domanderete che cosa c'entra la scuola, l'ozio con il … negozio. È presto detto.
Quando vollero coniare un termine che significasse il contrario dell'ozio, dello svago, del divertimento, fecero il negotium (nec-otium), cioè il non ozio, quindi attività, lavoro, occupazione. Il negozio, per tanto, nell'accezione di bottega è il luogo dove si lavora, si fanno affari.
Il negoziante, quindi, stando all'etimologia, è il lavoratore per antonomasia. Dal negotium, nel significato di lavoro, affari, sono derivati tutti gli altri termini che oggi adoperiamo comunemente come, per esempio, negoziato: insieme delle trattative per stipulare accordi, trattati e simili;negoziazione: l'atto del negoziare, trattare. Ma vediamo altre sorprese.
Avreste mai pensato che un tempo in compagnia dei ladri si stava molto bene? Anzi, che ogni persona avrebbe voluto al suo fianco un ladro per sentirsi più tranquilla, più sicura? In origine, infatti, questo termine indicava l'uomo che scortava una persona di alto rango, era – diremmo oggi – il gorilla addetto alla tutela di personaggi importanti. Il ladro, insomma, dal latino latro, tratto dalatus (fianco, lato), era la persona che camminava a lato di un'altra persona per proteggerla da eventuali aggressori.
Con il trascorrere del tempo attraverso un processo di degenerazione semantica (la semantica è lo studio del significato dei vocaboli e del loro sviluppo storico) il termine ladro ha acquisito l'accezione odierna di… ladro, cioè di brigante, rapinatore.
Due parole ora, sul fante, vale a dire sul soldato che combatte a piedi e che stando all'etimologia ha a che fare con il verbo parlare. Vediamo, quindi, quest'altra sorpresa.
Anche in questo caso occorre prendere il discorso alla lontana, partendo da un verbo latino, fari, che vuol dire, appunto parlare. L'infante, a rigore etimologico, dovrebbe essere un bambino che, oltre a non saper leggere e né scrivere, non dovrebbe saper parlare.
Da infante, con la caduta della sillaba iniziale (aferesi), sono derivati termini che hanno assunto significati diversi pur discendendo dallo stesso padre: il verbo latino fari (parlare), appunto.
Sono nati, così, il fante e il fanciullo. I servitori dei cavalieri medievali erano chiamati fanti, vale a dire ragazzi (da infante), poi, attraverso il solito processo semantico fante ha acquisito l'accezione di soldato a piedi.
A questo proposito vi chiederete: perché i fantini, invece vanno a cavallo? Semplicissimo: essendo uomini smilzi o ragazzi essi sono, appunto, piccoli fanti.


12-01-2010 — Autore: Fausto Raso

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IL CASO MORTARA
 

La sistematica riscrittura della storia a vantaggio delle ideologie anticattoliche ha prodotto in Italia un popolo smemorato che non sa più chi è. Che non conosce niente del proprio passato. Come il caso della Stampa che accusa Pio IX di aver strappato alla famiglia l'ebreo Edgardo Mortara per battezzarlo in segreto.

di Angela Pellicciari
Steven Spielberg

Nel lontano 25 novembre 1998, sulla Stampa, Aldo Zullini dell’Università di Milano (così veniva presentato) firmava un pezzo sconcertante dal titolo: “Maya, cannibali per necessità”. Dei due occhielli, l’uno specificava: “Fino all’arrivo di Colombo, nel Nuovo Mondo c’erano pochi animali domestici e commestibili”, l’altro “L’antropofagia, diffusa anche fra gli Atzechi, fu giustificata dal fatto che mancavano le proteine”.

Perché i Maya hanno organizzato i “più grandi festini antropofagi che siano mai avvenuti”? La risposta è semplice: “Per soddisfare il loro bisogno fisiologico dovevano immolare moltissimi prigionieri e per far ciò dovevano organizzare incursioni e guerre”. Bastava un’immane abbuffata di carne umana a saziare il bisogno proteico di tutta la popolazione? No, i sacrifici di massa “per quanto numerosi e frequenti, non potevano far fronte al fabbisogno proteico di tutto il popolo, ma questo non ha molta importanza. Conta invece il fatto che la classe dirigente, i sacerdoti e i militari, potessero usufruire di queste proteine”.

Perché citare questa bella pagina di giornalismo scientifico? Perché, pur di attaccare (anche se, in questo caso, solo indirettamente) la cattolica Spagna e la sua prodigiosa scoperta e colonizzazione dell’America centro-meridionale, tutto va bene. Anche la giustificazione di un crimine orrendo come il banchetto di carne umana.

La sistematica riscrittura della storia a vantaggio delle potenze e delle ideologie anticattoliche ha prodotto in Italia un popolo smemorato che non sa più chi è. Che non conosce niente del proprio passato. Siamo stati abituati a credere che la storia della Chiesa cui siamo legati da due millenni sia una storia piena di crimini, di cui vergognarsi e, quindi, da ripudiare. Tutti i mezzi di comunicazione di massa si sono allineati nella propaganda del disprezzo verso noi stessi. Da decenni. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: la disperazione che ci caratterizza. La mancanza di figli e quindi di futuro. La pochezza, il nulla culturale in cui le nuove generazioni vengono cresciute.

Negli ultimi anni i ripetuti attentati di un islam tornato rigoroso nell’applicazione della volontà di Maometto (la riduzione di tutto il mondo a islam) hanno sconcertato i cantori di un islam pacifico, moderato, contrario alla guerra, propria di quei guerrafondai dei crociati. Piano piano anche la stampa sta cambiano direzione e dal crimine di islamofobia si sta avvicinando ad un più pacato resoconto dei fatti. In questa direzione sembrano andare due articoli, uno a firma Mieli, l’altro a firma Ferrara.

Il 14 dicembre 2016 Mieli scrive un pezzo dal titolo: “Cattolici diffamati, sottotitolo: “Il protestante Rodney Stark smentisce le “Leggende nere” sulla Chiesa di Roma”. Il pezzo si chiude con un’affermazione perentoria: “Qui, come è evidente, la Chiesa cattolica non c’entra nel modo più assoluto”. Mieli sta citando il mio libro su Lutero e la documentazione da me addotta sull’odio protestante nei confronti degli ebrei. La chiusa, che torno a sottolineare, ribadisce che con l’odio e la persecuzione nazista contro gli ebrei “la Chiesa cattolica non c’entra nel modo più assoluto”.

Sul Foglio del 3 gennaio Ferrara firma il pezzo: “Storia della nonviolenza infame” e così conclude: “Libero padre Enzo Bianchi di dire che a Berlino non ce l’avevano con il valore cristiano del Natale, e neanche a Istanbul con il Capodanno. Autorizzati noi a chiedere che il libero pensiero imponga la sua vigilanza sulle scorrerie fantastiche di un pazzo intonacato”.

Evidentemente alla Stampa questa nuova aria di riaccostamento alla verità storica ancora non si è fatta strada. Sul sito internet del giornale, nel riquadro culturale, il 3 gennaio compariva questo titolo: “Spielberg trasforma in film la storia di Edgardo Mortara ebreo battezzato in segreto per volontà di Papa Pio IX”. Siamo alle solite: un papa, i papi, che sottraggono in segreto i bambini alle famiglie ebree e li battezzano!

Chi fosse interessato all’argomento può leggere l’autobiografia di don Edgardo Mortara.





[Modificato da Caterina63 08/01/2017 12:11]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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26/02/2017 12:21
 
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STORIA DELLA CHIESA
 

Due sole volte il Papa ha soppresso ordini religiosi regolarmente costituiti: la prima nel 1312, la seconda nel 1773. Ma in entrambi i casi furono le potenze di questo mondo a imporre la soppressione di ordini scomodi. Ora invece sembra che il pensiero del mondo abbia messo salde radici all’interno della Chiesa.

di Angela Pellicciari

Cavaliere Templare

La lettura del bel pezzo di mosnignor Livi sulla Bussola del 24 febbraio (clicca qui) mi ha fatto venire in mente qualche considerazione sulla soppressione degli ordini religiosi decisa dalla Chiesa nel corso dei suoi due millenni di storia. 



Due sole volte il Papa ha soppresso ordini religiosi regolarmente costituiti:
 la prima nel 1312, la seconda nel 1773. Nel primo caso si trattava dei Cavalieri Templari, nel secondo dei Gesuiti. Quella dei Templari, ordine monastico la cui regola è stata scritta da Bernardo di Chiaravalle, è una storia per tanti versi drammatica su cui ancora oggi si discute e che negli ultimi secoli è stata ammantata di fantasiose leggende e racconti esoterici. 


La soppressione dei Tempari è voluta da Filippo IV il Bello re di Francia che, oltre ad imporre con ricatti e minacce a Clemente V la permanenza del papato in Francia, è anche all’origine di una violenta quanto illegale congiura ai danni dei Cavalieri del Tempio. In una notte del 1307 Filippo fa arrestare e torturare tutti i Templari francesi accusati di eresia e tradimento, nonostante siano membri di un ordine religioso e quindi soggetti unicamente alla giurisdizione della Santa Sede. Numerosi cavalieri, compreso il gran maestro Jacques de Molay, ammettono sotto tortura come vere le colpe di cui sono accusati. 

Successivamente trovano il coraggio di appellarsi al papa e, di fronte al tribunale pontificio, ritrattano le confessioni loro estorte: l’ordine è santo. A quel punto Filippo ha gioco facile a farli finire sul rogo come relapsi (spergiuri). I Templari sono soppressi al Concilio di Vienne del 1312 ma la vittoria del re di Francia non è completa perché Clemente V non gli consente di appropriarsi di tutti gli ingenti beni dei Cavalieri che finiscono ad un ordine affine, quello dei Cavalieri di Malta.

Qualche secolo più tardi, il 21 luglio 1773, un altro Clemente, il quattordicesimo, col breve Dominus ac redemptor sopprime in perpetuo – così vuole che avvenga - la Compagnia di Gesù e condanna il generale Lorenzo Ricci a carcere duro, cioè a pane e acqua, nella prigione di Castel Sant’Angelo. In questo caso a pretendere la soppressione della Compagnia sono praticamente tutti i re della cristianità. 

L’influenza delle logge è capillarmente penetrata a corte e i sovrani, illuminati dal bagliore dei filosofi neopagani, vogliono farla finita con i gesuiti. Si comincia dal Portogallo dove il massone marchese di Pombal lancia una campagna diffamatoria contro la Compagnia accusata di aver cospirato contro la vita del re, e nel 1759 ottiene la loro soppressione, l’incameramento dei loro beni, la brutale espulsione dei gesuiti stranieri, il carcere duro per quelli portoghesi, uno dei quali, l’anziano Malagrida, ucciso. Seguono le corti di Francia, Spagna (dove un’insurrezione popolare è imputata ai gesuiti), Italia e Austria. Gli eserciti di Francia e Napoli invadono i territori pontifici di Avignone e Benevento, ma, mentre Clemente XIII resiste ai dictat, non altrettanto farà il suo successore. 

Giuseppe La Farina, storico massone, così commenta la decisione di papa Ganganelli nella sua Storia d’Italia del 1863: “Colla soppressione dei Gesuiti si consumò la ribellione dei principi contro il Papato, e colla bolla del 21 di luglio si compì l’abbassamento del papa innanzi ai principi”, “giammai la libertà ha avuto nemici più terribili dei Gesuiti, giammai il Papato milizia più operosa e più intrepida: la bolla di papa Ganganelli non fu una riforma, ma una capitolazione imposta dal vincitore”. Bisognerà aspettare il 1814 perché Pio VII appena rientrato a Roma si affretti a ricostituire la Compagnia che, durante tutto l’Ottocento, sarà infaticabile baluardo delle ragioni cattoliche contro la libera-muratoria imperante. Nel Novecento le cose andranno progressivamente cambiando.

Chissà perché mi è venuto in mente di parlare di soppressioni a proposito delle considerazioni fatte da Livi. Forse perché ad esigere la soppressione di ordini scomodi sono sempre state le potenze di questo mondo. Ora invece è diverso. Ora il pensiero del mondo ha messo salde radici all’interno della Chiesa.


Un sacerdote risponde

Che differenza c'è tra Israeliti, Israeliani, Ebrei?

Quesito

Caro Padre Angelo,
all'inizio dell'Esodo si legge che erano in Egitto, ospiti del faraone, tutti i discendenti di Giacobbe, cioè di Israele. In totale, meno di cento persone. Queste persone, come discendenti di Israele, erano gli Israeliti.
Ma è possibile che un intero popolo sia composto da meno di 100 persone? Se quelli erano gli israeliti, dove erano gli Ebrei, cioè i discendenti di Eber? In sostanza: che differenza c'è tra Israeliti, Israeliani, Ebrei?
La ringrazio di cuore se vorrà rispondermi.


Risposta del sacerdote

Carissimo,
1. Ebreo deriva da Eber.
Viene menzionato in Gn 10,21 discendente di Sem, capostipite di tutti gli Ebrei.
Dalla discendenza di Eber, per via di primogenitura, nacque Abramo, che generò Isacco, dal quale nacque Giacobbe, detto anche Israele.
Il popolo ebraico non ha origine dai figli di Eber, il quale oltre a Peleg, primogenito, ebbi figli e figlie. Né dagli altri primogeniti discendenti dalla sua stirpe, i quali a loro volta ebbero figli e figlie, ma da Abramo.
Ora quando gli ebrei, i discendenti di Israele o Giacobbe, scesero in Egitto erano settanta (Gn 46,27).

2. Ebrei era il nome dato agli israeliti dagli stranieri.
A loro volta gli ebrei lo davano a se stessi quando parlavano agli stranieri. 
Ha un significato più largo di quello di israeliti.
Israele indica l’insieme del popolo ebreo, ma più tardi sarà limitato al regno del nord formato da dieci tribù per distinguerlo dal regno del sud, costituito da due tribù, chiamato Giuda.
Il termine Israele in genere viene usato con un significato religioso, in riferimento all’elezione, al popolo di Dio.

3. Gli israeliani invece sono coloro che oggi abitano nello stato di Israele, di cui la maggioranza (80%) sono ebrei e il rimanente è arabo palestinese.
Pertanto molti israeliani sono ebrei.
Ma moltissimi ebrei non sono israeliani perché non sono appartenenti a quello stato, ma vivono altrove.

Ti auguro un felice proseguimento dell’anno nuovo, ti ricordo al Signore e ti benedico. 
Padre Angelo




Sappiamo che il vangelo è stato tradotto e ritradotto; come facciamo a sapere se non sia stato manipolato

Quesito

Padre Angelo,
le vorrei porre una domanda.
Nel partecipare con intensità alle celebrazioni del triduo pasquale e nell’ascoltare le tante letture proposte (passione di Cristo in primis) mi è venuta una curiosità.
Purtroppo da questa curiosità ne è seguito un tentativo di ricerca di informazioni che mi ha accresciuto il dubbio.
La domanda è questa: come facciamo ad essere sicuri che i Vangeli e le letture che oggi vengono lette siano realmente così come sono state scritte?
In fondo anche il Vangelo stesso è stato tradotto e ritradotto, modificato e aggiornato moltissime volte. Avendo 2000 anni, come facciamo ad essere sicuri che i testi siano quelli che erano?
Basta cambiare una parola o cambiare l’ordine delle parole di un discorso per dare significati diversi.
Nel ricercare in internet ho trovato diversi siti che mostrerebbero come quello che viene proclamato dagli altari sia la “copia della copia della copia ...” della “traduzione della traduzione della traduzione ...” dei testi originali.
Questi siti provano anche ad essere dettagliati portando ad esempio versetti che, anche in recenti traduzioni CEI, avrebbero subito cambiamenti minimi ma fondamentali per il significato.
Altri siti, invece, scherzano i cristiani su questo punto in confronto ad altre fedi che starebbero ancora leggendo i testi originali mai tradotti.
A parte questo ultimo punto che non considero importante, il dubbio sulla originalità dei testi del Vangelo quindi mi è cresciuto.
Voglio crederlo come fedele, ma il raziocinio umano mi fa dubitare.
Aggiungo al dubbio un ulteriore dubbio: vi sono resti e reperti anche parziali dei testi originali conservati con cura in qualche riservatissimo luogo?
Grazie Padre Angelo.
Buona giornata.


Risposta del sacerdote

Carissimo, 
1. è vero quello che dici. 
E tuttavia abbiamo tanti motivi per ritenere che i Vangeli non siano stati manipolati e  che i testi che sono giunti a noi sono autentici.
Certo, non abbiamo l’originale, ma le copie delle copie. E le più antiche di queste copie risalgono al IV secolo.
Queste copie delle copie in gergo tecnico vengono chiamate codici.

2. Tuttavia lo stesso discorso si potrebbe fare anche per tutti i classici antichi. Di essi non ci è pervenuto l’originale, ma le copie delle copie.
Ma con questa differenza: che mentre i codici più antichi dei classi greci e romani sono per lo più posteriori al IX secolo (frutto dei copisti dei monasteri), i codici del Nuovo Testamento sono molto più antichi.

3. Un illustre esegeta gesuita Alberto Vaccari ha scritto: “Il testo del Nuovo Testamento è in condizioni assai migliori di quello dell'Antico Testamento, anzi così favorevoli che nessun libro dell'antichità può essergli neanche lontanamente messo a paragone.
Quasi tutti i classici non ci sono giunti che in pochi manoscritti e di età piuttosto bassa, pochissimi più antichi del sec. IX d.c..
Il Nuovo Testamento invece ci si presenta in 17 fra codici e frammenti del sec. IV, 27 del V, 37 del VI e così via” (Bibbia, in EIT VI, 1930, 888).
Gli onciali (scritti in maiuscolo) sono 210, i minuscoli circa 2.400, i papiri 67, i lezionari per le funzioni liturgiche 1.610, per un  totale di circa 4.290 dei quali 53 contengono il Nuovo Testamento per intero.

4. Ma non ci sono solo i codici.
Ci sono anche le versioni antiche (alcune del II o III secolo) per lo più latine.
Il nuovo Testamento è stato scritto in greco.
Confrontando le varie versioni si può vedere che nulla è stato manipolato dal testo originario.

5. Inoltre vi sono le citazioni di frasi o di fatti del Nuovo Testamento che si trovano nelle opere dei Santi Padri e degli antichi scrittori ecclesiastici.
Queste citazioni sono numerosissime.
Nell’Introduzione alla BibbiaPerrella-Vagaggini scrivono: “Le citazioni degli antichi scrittori ecclesiastici sono così frequenti che, unendole insieme, si potrebbe ricostruire con esse tutto il Nuovo Testamento greco.
Un primo spoglio parziale di solo sette scrittori ha dato per risultato un totale di ben 26.487 citazioni” (p. 133).
Queste varie citazioni, spesso  fatte a memoria, non si contraddicono l’un l’altra.

6. Tutto questo sta a dimostrare che coloro che citavano o traducevano o ricopiavano avevano un tale senso di rispetto e di adorazione per la parola di Dio che non si sognavano minimamente di manipolarne il testo.
Sapevano tra l’altro che avrebbero dovuto renderne conto a Dio.

7. Ed ecco l’elenco dei principali codici che noi oggi possediamo.
B, Vaticanus (La sigla B è iniziale di Baticanus, foneticamente raddolcita in V). Contiene l'Antico Testamento nella traduzione greca dei LXX e il Nuovo Testamento, ambedue però non completi.
Fu copiato nel secolo IV probabilmente in Egitto. Si conserva nella Biblioteca Vaticana (di qui il nome). È universalmente conosciuto come il migliore di tutti i codici del Nuovo Testamento sotto l'aspetto sia paleografico che critico.

SSinaiticus. Contiene ambedue i Testamenti, ma l'Antico Testamento è lacunoso. Copiato nel secolo IV-V, ha col Vaticano affinità di origine e d'indole.
Fu scoperto nel 1844 nel monastero di S. Caterina sul monte Sinai (di qui il suo nome) da C. von Tischendorf, il quale ne portò parte a Lipsia e il resto, più tardi, a Pietroburgo, di dove, nel 1933, passò al British Museum per 100 mila sterline .

A, Alexandrinus. Contiene, con varie lacune, ambedue i Testamenti. Copiato in Egitto nel secolo V, fu in passato ad Alessandria (donde il suo nome); oggi è al British Museum.

C, Ephraemi rescriptus, ossia palinsesto. Contiene frammenti dell'Antico Testamento e quasi tutto il Nuovo Testamento. Copiato nel secolo V in Egitto, fu cancellato nel secolo XII per scrivervi le opere di S. Efrem tradotte in greco. Si trova ora nella biblioteca nazionale di Parigi.

Dea, Codex Bezae o Cantabrigiensis. Contiene vangeli e Atti, in greco (pagina a sinistra) e in latino (pagina destra). Copiato nel secolo VI in Occidente, nel secolo XVI venne in possesso di Teodoro Beza, il quale lo cedette all'accademia di Cambridge, dove tuttora si trova: di qui il doppio appellativo.

DPClaromontanus. Contiene le epistole di S. Paolo in greco e in latino; tra l'epistola a Filemone e quella agli Ebrei si legge la lista dei libri sacri scritta sticometricamente (Canone Claromontano, del secolo IV). Copiato nel secolo VI in Occidente, una volta si trovava nel monastero di Clermont (donde il nome); oggi è nella Biblioteca Nazionale di Parigi.

WFreer (così detto dal nome di Ch. L. Freer, che lo scoprì nel 1907 in Egitto) del secolo V. Contiene i vangeli e si trova attualmente a Washington.

Come si vede, questi testi non sono nascosti in posti segretissimi e inaccessibili. Si sa benissimo dove si trovano e si possono vedere.
Penso che adesso puoi andare fiero della veridicità dei testi sacri.

Ti auguro ogni bene, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo





[Modificato da Caterina63 03/06/2017 10:18]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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05/06/2017 00:28
 
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Che cosa significano le parole dell’inno di Mameli

Tutti sono in grado di canticchiarne qualche strofa. Ma pochi sanno “decodificarne” il testo. Anche perché usa un linguaggio arcaico ed è pieno di richiami al nostro passato.

inno_mameli_prima_guerra_mondiale
 
 

Ogni volta che gioca la Nazionale (di calcio, rugby, pallavolo etc) ascoltiamo l'Inno d'Italia, l'Inno di Mameli, e magari ci devertiamo a vedere se i giocatori conoscono a memoria le sue parole. Ma qual è la sua origine e quale il significato delle strofe dell'inno di Mameli?

 

Dal 12 ottobre 1946, l’inno nazionale d’Italia è il Canto degli Italiani, scritto nell’autunno del 1847 dallo studente e patriota genovese Goffredo Mameli, e musicato a Torino da un altro genovese, Michele Novaro.

 

Nato in un clima di fervore patriottico che preludeva alla guerra contro l’Austria, l’inno presenta numerosi riferimenti storici del passato, che richiedono però una lettura attenta e circostanziata per una più corretta comprensione del testo. Ecco le nostre spiegazioni, strofa per strofa.

Fratelli d’Italia
L’Italia s’è desta,
Dell’elmo di Scipio
S’è cinta la testa.

Publio Cornelio Scipione, detto l’Africano (253-183 a. C.), fu il generale e uomo politico romano vincitore dei Cartaginesi e di Annibale nel 202 a. C. a Zama (attuale Algeria); la battaglia decretò la fine della seconda guerra punica, con la schiacciante vittoria dei Romani. L’Italia, ormai pronta alla guerra d’indipendenza dall’Austria, si cinge figurativamente la testa dell’elmo di Scipione come richiamo metaforico alle gesta eroiche e valorose degli antichi Romani.

Dov’è la Vittoria?
Le porga la chioma,
Ché schiava di Roma
Iddio la creò.

Si riferisce all’uso antico di tagliare i capelli alle schiave per distinguerle dalle donne libere; queste ultime, per sottolineare il loro stato, erano solite tenere i capelli lunghi. La dea Vittoria rappresentata come una donna dai lunghi capelli, dovrebbe quindi porgere la chioma perché le venga tagliata in segno di sottomissione a Roma: il senso della quartina è la certezza di Mameli che, in caso di insurrezione contro gli austriaci, la Vittoria non potrà che essere degli italiani perché è il destino che così vuole.

Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò.

La coorte era un’unità da combattimento dell’esercito romano, composta da 600 uomini: era la decima parte di una legione. “Stringiamci a coorte” vuole dunque essere un’esortazione a presentarsi senza indugio alle armi, a rimanere uniti e compatti, disposti a morire, per la liberazione dall’oppressore straniero.


Leggi anche: qual è l'inno nazionale più antico del mondo?


Noi siamo da secoli
Calpesti, derisi,
Perché non siam popolo,
Perché siam divisi.
Raccolgaci un’unica
Bandiera, una speme:
Di fonderci insieme
Già l’ora suonò.
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò.

Si tratta di un richiamo al desiderio di raccogliersi sotto un’unica bandiera: speranza (speme) di unità e di ideali condivisi per un’Italia, quella del 1848, ancora divisa in sette Stati (Regno delle due Sicilie, Stato Pontificio, Regno di Sardegna, Granducato di Toscana, Regno Lombardo-Veneto, Ducato di Parma, Ducato di Modena).

Uniamoci, amiamoci,
l’Unione, e l’amore
Rivelano ai Popoli
Le vie del Signore;
Giuriamo far libero
Il suolo natìo:
Uniti per Dio
Chi vincer ci può?
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò.

Mameli era un mazziniano convinto e in questa strofa interpreta il disegno politico del fondatore della “Giovine Italia”: quello di arrivare, attraverso l’unione di tutti gli Stati italiani, alla realizzazione della repubblica. “Per Dio” è un francesismo (e non un’imprecazione), che significa “attraverso Dio”, “da Dio”, qui inteso come sostenitore dei popoli oppressi.

Dall’Alpi a Sicilia
Dovunque è Legnano,

) La battaglia di Legnano, del 1176, è quella in cui la Lega Lombarda, al comando di Alberto da Giussano, sconfisse Federico I di Svevia, il Barbarossa. A seguito della sconfitta l’imperatore, sceso in Italia per affermare la sua autorità, fu costretto a rinunciare alle sue pretese di supremazia; scese dunque a patti con le città lombarde, con cui stipulò una tregua di 6 anni, a cui seguì nel 1183 la pace di Costanza in cui dovette riconoscere le autonomie cittadine.

Ogn’uom di Ferruccio
Ha il core, ha la mano,

Si fa riferimento all’eroica difesa della Repubblica di Firenze che tra il 12 ottobre del 1529 e il 12 agosto del 1530 venne assediata dall’esercito imperiale di Carlo V d’Asburgo. Nel corso dell’assedio, il capitano Francesco Ferrucci venne ferito a morte, e finito da Fabrizio Maramaldo, un capitano di ventura al soldo dell’esercito imperiale, il cui nome è diventato sinonimo di “vile” e al quale Ferrucci rivolse le parole “Tu uccidi un uomo morto”. Il 12 agosto i fiorentini firmarono la resa che li sottometteva nuovamente ai Medici.


I bimbi d’Italia
Si chiaman Balilla,

Il richiamo a tutte le genti d’Italia è al valore e al coraggio del leggendario Balilla, il simbolo della rivolta popolare di Genova contro la coalizione austro-piemontese: si tratta del soprannome del fanciullo, forse un certo Giambattista Perasso, che il 5 dicembre 1746 scagliò una pietra contro un ufficiale, dando l’avvio alla rivolta che portò alla liberazione della città


Il suon d’ogni squilla
I Vespri suonò.
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò.

“Il suon d’ogni squilla” significa “il suono di ogni campana”. L’evento cui fa riferimento Mameli è quello dei “Vespri Siciliani”: nome dato al moto per cui la Sicilia insorse dopo 16 anni di dominio angioino (francese) e si diede agli aragonesi (spagnoli). All’ora dei vespri del lunedì di Pasqua del 31 marzo 1282 tutte le campane si misero a suonare per sollecitare il popolo di Palermo all’insurrezione contro i francesi.

Son giunchi che piegano
Le spade vendute:
Già l’Aquila d’Austria
Le penne ha perdute.
Il sangue d’Italia,
Il sangue Polacco,
Bevé, col cosacco,
Ma il cor le bruciò.
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò.

L'Austria degli Asburgo (di cui l’aquila bicipite era il simbolo imperiale) era in declino (le spade vendute sono le truppe mercenarie di cui erano piene le file dell’esercito imperiale) e Mameli chiama un’ultima volta a raccolta le genti italiche per dare il colpo di grazia alla dominazione austriaca con un parallelismo con la Polonia. Tra il 1772 e il 1795, l’Impero austro-ungarico, assieme alla Russia (il “cosacco”) aveva invaso la Polonia. Ma il sangue dei due popoli oppressi, l’italiano e il polacco, può trasformarsi in veleno attraverso la sollevazione contro l’oppressore straniero.





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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[SM=g1740758] quando Ratzinger spiegò, al Parlamento italiano, la vera crisi dell'Europa....

13 maggio 2004

Europa. I suoi fondamenti spirituali ieri, oggi e domani
Lectio magistralis del Cardinale Ratzinger
Biblioteca del Senato
Sala Capitolare del Convento di S. Maria sopra Minerva

L'Europa - Cos'è essa propriamente? Questa domanda è stata sempre nuovamente posta, in maniera espressa, dal cardinal Józef Glemp in uno dei circoli linguistici del Sinodo Episcopale sull'Europa: dove comincia, dove finisce l'Europa? Perché ad esempio la Siberia non appartiene all'Europa, sebbene essa sia abitata anche da europei, la cui modalità di pensare e di vivere è inoltre del tutto europea? E dove si perdono i confini dell'Europa nel sud della comunità di popoli della Russia? Dove corre il suo confine nell'Atlantico? Quali isole sono Europa, e quali invece non lo sono, e perché non lo sono? In questi incontri divenne perfettamente chiaro che Europa solo in maniera del tutto secondaria è un concetto geografico: l'Europa non è un continente nettamente afferrabile in termini geografici, ma è invece un concetto culturale e storico.

1. Il sorgere dell'Europa
Questo risulta in modo assai evidente se tentiamo di risalire alle origini dell'Europa. Chi parla dell'origine dell'Europa, rinvia solitamente ad Erodoto (ca. 484-425 a. C.), il quale certamente è il primo a conoscere l'Europa come concetto geografico, e la definisce così: «i Persiani considerano come cosa di loro proprietà l'Asia e i popoli barbari che vi abitano, mentre ritengono che l'Europa e il mondo greco siano un paese a parte». I confini dell'Europa stessa non vengono addotti, ma è chiaro che terre che oggi sono il nucleo dell'Europa odierna giacevano completamente al di fuori del campo visivo dell'antico storico. Di fatto con la formazione degli stati ellenistici e dell'Impero Romano si era formato un continente che divenne la base della successiva Europa, ma che esibiva tutt'altri confini: erano le terre tutt'attorno al Mediterraneo, le quali in virtù dei loro legami culturali, in virtù dei traffici e dei commerci, in virtù del comune sistema politico formavano le une insieme alle altre un vero e proprio continente. Solo l'avanzata trionfale dell'Islam nel VII e all'inizio dell'VIII secolo ha tracciato un confine attraverso il Mediterraneo, lo ha per così dire tagliato a metà, cosicché tutto ciò che fino ad allora era stato un continente si suddivideva adesso oramai in tre continenti: Asia, Africa, Europa.

In oriente la trasformazione del mondo antico si compì più lentamente che in occidente: l'Impero Romano con Costantinopoli come punto centrale resistette laggiù - anche se sempre più spinto ai margini - fino al XV secolo. Mentre la parte meridionale del Mediterraneo attorno all'anno 700 è completamente caduta fuori di quello che fino ad allora era un continente culturale, si verifica nel medesimo tempo una sempre più forte estensione verso il nord. Il limes, che sino ad allora era stato un confine continentale, scompare e si apre verso un nuovo spazio storico, che ora abbraccia la Gallia, la Germania, la Britannia come terre-nucleo vere e proprie, e si protende in maniera crescente verso la Scandinavia. In questo processo di spostamento dei confini la continuità ideale con il precedente continente mediterraneo, misurato geograficamente in termini differenti, venne garantita da una costruzione di teologia della storia: in collegamento con il libro di Daniele, si considerava l'Impero Romano rinnovato e trasformato dalla fede cristiana come l'ultimo e permanente regno della storia del mondo in generale, e si definiva perciò la compagine di popoli e di stati che era in via di formazione come il permanente Sacrum Imperium Romanum.

Questo processo di una nuova identificazione storica e culturale è stato compiuto in maniera del tutto consapevole sotto il regno di Carlo Magno, e qui emerge ora nuovamente anche l'antico nome di Europa, in un significato mutato: questo vocabolo venne ora impiegato addirittura come definizione del regno di Carlo Magno, ed esprimeva al tempo stesso la coscienza della continuità e della novità con cui la nuova compagine di stati si presentava come la forza propriamente carica di futuro. Carica di futuro proprio perché si concepiva in continuità con la storia del mondo fino ad allora e ultimamente ancorata in ciò che permane sempre.

Nell'autocomprensione che andava così formandosi è espressa parimenti la consapevolezza della definitività, così come al tempo stesso la consapevolezza di una missione.

È vero che il concetto di Europa è pressoché nuovamente scomparso dopo la fine del regno carolingio ed è rimasto solamente conservato nel linguaggio dei dotti; nel linguaggio popolare esso trapassa solamente all'inizio dell'epoca moderna - certo in connessione con il pericolo dei Turchi, come modalità di autoidentificazione -, per imporsi in generale nel XVIII secolo. Indipendentemente da questa storia del termine, il costituirsi del regno dei Franchi come l'Impero Romano mai tramontato e ora rinato significa di fatto il passo decisivo verso ciò che noi oggi intendiamo quando parliamo di Europa.

Certo non possiamo dimenticare che c'è anche una seconda radice dell'Europa, di un'Europa non occidentale: l'Impero Romano aveva in effetti, come già detto, resistito a Bisanzio contro le tempeste della migrazione dei popoli e dell'invasione islamica. Bisanzio intendeva se stessa come la vera Roma; qui di fatto l'Impero non era mai tramontato, ragion per cui si continuava ad avanzare una rivendicazione nei confronti dell'altra metà, quella occidentale, dell'Impero. Anche questo Impero Romano d'Oriente si è esteso ulteriormente verso il nord, fin dentro il mondo slavo, e si è creato un proprio mondo, greco-romano, che si differenzia rispetto all'Europa latina dell'occidente in virtù di una diversa liturgia, una diversa costituzione ecclesiastica, una diversa scrittura, e in virtù della rinuncia al latino come comune lingua insegnata.

Certamente ci sono anche sufficienti elementi unificanti, che possono fare dei due mondi un unico, comune continente: in primo luogo la comune eredità della Bibbia e della Chiesa antica, la quale del resto in entrambi i mondi rinvia aldilà di se stessa verso un'origine che ora giace al di fuori dell'Europa, e cioè in Palestina; inoltre la stessa comune idea di Impero, la comune comprensione di fondo della Chiesa e quindi anche la comunanza delle fondamentali idee del diritto e degli strumenti giuridici; infine io menzionerei anche il monachesimo, che nei grandi sommovimenti della storia è rimasto l'essenziale portatore non solamente della continuità culturale, bensì soprattutto dei fondamentali valori religiosi e morali, degli orientamenti ultimi dell'uomo, e in quanto forza pre-politica e sovra-politica divenne portatore delle sempre nuovamente necessarie rinascite.

Tra le due Europe, pur in mezzo alla comunanza dell'essenziale eredità ecclesiale, c'è tuttavia ancora una profonda differenza, alla cui importanza ha accennato specialmente Endre von Ivanka: a Bisanzio Impero e Chiesa appaiono quasi identificati l'uno con l'altro; l'imperatore è capo anche della Chiesa. Egli intende se stesso come rappresentante di Cristo, e in collegamento con la figura di Melchisedek, che era al tempo stesso re e sacerdote (Gen 14,18), porta dal VI secolo il titolo ufficiale di «re e sacerdote». Per il fatto che a partire da Costantino l'imperatore se ne era andato via da Roma, nell'antica capitale dell'Impero poté svilupparsi la posizione autonoma del vescovo di Roma come successore di Pietro e pastore supremo della Chiesa; qui già dall'inizio dell'era costantiniana viene insegnata una dualità di potestà: imperatore e papa hanno in effetti potestà separate, nessuno dispone della totalità. Il papa Gelasio I (492-496) ha formulato la visione dell'Occidente nella sua famosa lettera all'imperatore Anastasio e ancor più chiaramente nel suo quarto trattato, dove egli di fronte alla tipologia bizantina di Melchisedek sottolinea che l'unità delle potestà sta esclusivamente in Cristo: «questi infatti, a causa della debolezza umana (superbia!), ha separato per i tempi successivi i due ministeri, affinché nessuno si insuperbisca» (c. 11). Per le cose della vita eterna gli imperatori cristiani hanno bisogno dei sacerdoti (pontifices), e questi a loro volta si attengono, per il corso temporale delle cose, alle disposizioni imperiali. I sacerdoti devono seguire nelle cose mondane le leggi dell'imperatore insediato per ordine divino, mentre questi deve sottomettersi nelle cose divine al sacerdote. Con ciò è introdotta una separazione e distinzione delle potestà, la quale divenne di massima importanza per il successivo sviluppo dell'Europa, e che per così dire ha posto i fondamenti di ciò che è propriamente tipico dell'Occidente.

Poiché da ambo le parti di contro a tali delimitazioni rimase vivo sempre l'impulso alla totalità, la brama di porre il proprio potere al di sopra dell'altro, questo principio di separazione è divenuto anche la sorgente di infinite sofferenze. Come esso debba essere vissuto correttamente e concretizzato politicamente e religiosamente rimane un problema fondamentale anche per l'Europa di oggi e di domani.

2. La svolta verso l'epoca moderna
Se in base a quanto sin qui detto possiamo considerare il sorgere dell'impero carolingio da una parte, e la continuazione dell'impero romano a Bisanzio e la sua missione verso i popoli slavi dall'altra parte come la vera e propria nascita del continente Europa, l'inizio dell'epoca moderna significa per ambedue le Europe una svolta, un cambiamento radicale, che concerne sia l'essenza di questo continente, sia i suoi contorni geografici.

Nel 1453 Costantinopoli venne conquistata dai Turchi. O.Hiltbrunner commenta questo evento in maniera laconica: «gli ultimi ... dotti emigrarono... verso l'Italia e trasmisero agli umanisti del Rinascimento la conoscenza dei testi originali greci; ma l'Oriente sprofondò nell'assenza di cultura». Questa affermazione può essere formulata in maniera un po' troppo rozza, poiché in effetti anche il regno della dinastia degli Osman aveva la sua cultura; ma è vero che la cultura greco-cristiana, europea, di Bisanzio trovò con ciò la sua fine. Così una delle due ali dell'Europa rischiò in tal modo di scomparire, ma l'eredità bizantina non era morta: Mosca dichiara se stessa come la terza Roma, fonda ora un proprio patriarcato sulla base dell'idea di una seconda translatio imperii e si presenta dunque come una nuova metamorfosi del Sacrum Imperium - come una propria forma di Europa, che tuttavia rimase unita con l'Occidente e si orientò sempre più verso di esso, fino a che Pietro il Grande tentò di farla diventare un paese occidentale. Questo spostamento verso nord dell'Europa bizantina portò con sé il fatto che ora anche i confini del continente si misero in movimento ampiamente verso oriente. La fissazione degli Urali come frontiera è oltremodo arbitraria, in ogni caso il mondo a oriente di essi diventò sempre più una specie di sottostruttura dell'Europa, né Asia né Europa, essenzialmente forgiato dal soggetto Europa, senza partecipare però esso stesso del suo carattere di soggetto: oggetto, e non portatore esso stesso della sua storia. Forse con ciò è definita, tutto sommato, l'essenza di uno stato coloniale.

Possiamo dunque, a riguardo dell'Europa bizantina, non occidentale, all'inizio dell'epoca moderna, parlare di un duplice evento: da una parte vi è il dissolvimento dell'antica Bisanzio con la sua continuità storica nei confronti dell'Impero Romano; dall'altra parte questa seconda Europa ottiene con Mosca un nuovo centro e amplia i suoi confini verso oriente, per erigere infine in Siberia una specie di pre-struttura coloniale.

Contemporaneamente possiamo constatare anche in occidente un duplice processo con notevole significato storico. Una grande parte del mondo germanico si distacca da Roma; sorge una nuova, illuminata forma di cristianesimo, cosicché attraverso l'occidente scorre d'ora in poi una linea di separazione, la quale forma chiaramente anche un limes culturale, un confine tra due diverse modalità di pensare e di rapportarsi. Certo c'è anche all'interno del mondo protestante una frattura, in primo luogo tra luterani e riformati, ai quali si associano metodisti e presbiteriani, mentre la chiesa anglicana tenta di formare una via di mezzo tra cattolici ed evangelici; a ciò si aggiunge poi anche la differenza tra cristianesimo sotto la forma di una chiesa di stato, che diventa contrassegno dell'Europa, e chiese libere, che trovano il loro spazio di rifugio nel Nordamerica, sulla qual cosa dovremo tornare a parlare.

Facciamo attenzione in primo luogo al secondo evento, che caratterizza essenzialmente la situazione dell'epoca moderna di quella che un tempo era l'Europa latina: la scoperta dell'America. All'allargamento verso est dell'Europa in virtù della progressiva estensione della Russia verso l'Asia corrisponde la radicale uscita dell'Europa fuori dai suoi confini geografici, verso il mondo che sta aldilà dell'Oceano, che ora riceve il nome di America; la suddivisione dell'Europa in una metà latino-cattolica e una metà germanico-protestante si trasferisce e si ripercuote su questa parte della terra occupata dall'Europa. Anche l'America diventa in un primo tempo una Europa allargata, una colonia, ma essa si crea contemporaneamente con il sommovimento dell'Europa ad opera della Rivoluzione Francese il suo proprio carattere di soggetto: dal XIX secolo in poi essa, sebbene forgiata nel profondo dalla sua nascita europea, sta tuttavia di fronte all'Europa come un soggetto proprio.

Nel tentativo di conoscere la più profonda, interiore identità dell'Europa attraverso lo sguardo sulla storia abbiamo adesso preso in osservazione due fondamentali svolte storiche: come prima la dissoluzione del vecchio continente mediterraneo ad opera del continente del Sacrum Imperium, collocato più verso nord, in cui si forma a partire dall'epoca carolingia la Europa come mondo occidentale-latino; accanto a questo la continuazione della vecchia Roma a Bisanzio, con il suo protendersi verso il mondo slavo. Come secondo passo avevamo osservato la caduta di Bisanzio e il conseguente spostamento da una parte dell'Europa verso nord e verso est dell'idea cristiana di impero, e dall'altra parte l'interna divisione dell'Europa in un mondo germanico-protestante e un mondo latino-cattolico, e oltre a ciò la fuoriuscita verso l'America, a cui si trasferisce questa divisione e che alla fine si costituisce come un soggetto storico proprio, che sta di fronte all'Europa. Ora noi dobbiamo porci davanti agli occhi una terza svolta, il cui fanale ben visibile fu formato dalla Rivoluzione Francese. È vero che il Sacrum Imperium come realtà politica già a partire dal tardo Medioevo era concepito in dissolvimento ed era divenuto sempre più fragile anche come valida e indiscussa interpretazione della storia, ma soltanto adesso questa cornice spirituale va in frantumi anche formalmente, questa cornice spirituale senza cui l'Europa non avrebbe potuto formarsi. Questo è un processo di portata considerevole, sia dal punto di vista politico, sia da quello ideale. Dal punto di vista ideale questo significa che la fondazione sacrale della storia e dell'esistenza statuale viene rigettata : la storia non si misura più in base ad un'idea di Dio ad essa precedente e che le dà forma; lo Stato viene oramai considerato in termini puramente secolari, fondato sulla razionalità e sul volere dei cittadini.

Per la prima volta in assoluto nella storia sorge lo Stato puramente secolare, che abbandona e mette da parte la garanzia divina e la normazione divina dell'elemento politico , considerandole come una visione mitologica del mondo e dichiara Dio stesso come affare privato, che non fa parte della vita pubblica e della comune formazione del volere. Questa viene ora vista solamente come un affare della ragione, per la quale Dio non appare chiaramente conoscibile: religione e fede in Dio appartengono all'ambito del sentimento, non a quello della ragione. Dio e la sua volontà cessano di essere rilevanti nella vita pubblica.

In questa maniera sorge, con la fine del XVIII secolo e l'inizio del XIX, un nuovo tipo di scisma, la cui gravità noi percepiamo ora sempre più nettamente. Esso non ha in tedesco alcun nome, poiché qui si è ripercosso più lentamente. Nelle lingue latine viene delineato come divisione tra cristiani e laici. Questa lacerazione negli ultimi due secoli è penetrata nelle nazioni latine come una frattura profonda, mentre il cristianesimo protestante in un primo tempo ebbe vita facile nel concedere spazio alle idee liberali e illuministe all'interno di sé, senza che la cornice di un ampio consenso cristiano di fondo dovesse in tal modo venir distrutta. L'aspetto di politica realistica della dissoluzione dell'antica idea di impero consiste in questo, che ora definitivamente le nazioni, gli stati che sono divenute identificabili come tali in virtù della formazione di ambiti linguistici unitari, appaiono come i veri e unici portatori della storia, e dunque ottengono un rango che ad essi in precedenza non spettava così tanto. La drammaticità esplosiva di questo soggetto storico ora plurale si mostra nel fatto che le grandi nazioni europee si sapevano depositarie di una missione universale, che necessariamente doveva portare a conflitti fra di loro, il cui impatto mortale noi abbiamo dolorosamente sperimentato nel secolo ora trascorso.

3. L'universalizzazione della cultura europea e la sua crisi
Infine dobbiamo qui considerare ancora un ulteriore processo, con cui la storia degli ultimi secoli trapassa chiaramente in un mondo nuovo. Se la vecchia Europa precedente all'epoca moderna nelle sue due metà aveva conosciuto essenzialmente solo un dirimpettaio, con il quale doveva confrontarsi per la vita e per la morte, ossia il mondo islamico; se la svolta dell'epoca moderna aveva portato l'allargamento verso l'America e in parti dell'Asia senza propri grandi soggetti culturali, così ora ha luogo la fuoriuscita verso i due continenti sinora toccati solo marginalmente : l'Africa e l'Asia, che adesso parimenti si tentò di trasformare in succursali dell'Europa, in colonie. Fino ad un certo punto questo è anche riuscito, in quanto adesso anche Asia e Africa inseguono l'ideale del mondo forgiato dalla tecnica e del suo benessere, cosicché anche là le antiche tradizioni religiose entrano in una situazione di crisi e strati di pensiero puramente secolare dominano sempre più la vita pubblica.

Ma c'è anche un effetto contrario: la rinascita dell'Islam non è solo collegata con la nuova ricchezza materiale dei paesi islamici, bensì è anche alimentata dalla consapevolezza che l'Islam è in grado di offrire una base spirituale valida per la vita dei popoli, una base che sembra essere sfuggita di mano alla vecchia Europa, la quale così, nonostante la sua perdurante potenza politica ed economica, viene vista sempre più come condannata al declino e al tramonto.

Anche le grandi tradizioni religiose dell'Asia, soprattutto la sua componente mistica che trova espressione nel buddismo, si elevano come potenze spirituali di contro ad un'Europa che rinnega le sue fondamenta religiose e morali. L'ottimismo circa la vittoria dell'elemento europeo, che Arnold Toynbee poteva sostenere ancora all'inizio degli anni sessanta, appare oggi stranamente superato: «di 28 culture che noi abbiamo identificato ... 18 sono morte e nove delle dieci rimaste - di fatto tutte tranne la nostra - mostrano che esse sono già colpite a morte». Chi ripeterebbe oggi ancora le stesse parole? E in generale - cos'è la nostra cultura, che è ancora rimasta? La cultura europea è forse la civiltà della tecnica e del commercio diffusa vittoriosamente per il mondo intero? O non è questa forse piuttosto nata in maniera post-europea dalla fine delle antiche culture europee? Io vedo qui una sincronia paradossale: con la vittoria del mondo tecnico-secolare post-europeo, con l'universalizzazione del suo modello di vita e della sua maniera di pensare, si collega in tutto il mondo, ma specialmente nei mondi strettamente non- europei dell'Asia e dell'Africa, l'impressione che il mondo di valori dell'Europa, la sua cultura e la sua fede, ciò su cui si basa la sua identità, sia giunto alla fine e sia propriamente già uscito di scena; che adesso sia giunta l'ora dei sistemi di valori di altri mondi, dell'America pre-colombiana, dell'Islam, della mistica asiatica.

L'Europa, proprio in questa ora del suo massimo successo, sembra diventata vuota dall'interno, paralizzata in un certo qual senso da una crisi del suo sistema circolatorio, una crisi che mette a rischio la sua vita, affidata per così dire a trapianti, che poi però non possono che eliminare la sua identità. A questo interiore venir meno delle forze spirituali portanti corrisponde il fatto che anche etnicamente l'Europa appare sulla via del congedo.

C'è una strana mancanza di voglia di futuro. I figli, che sono il futuro, vengono visti come una minaccia per il presente; essi ci portano via qualcosa della nostra vita, così si pensa. Essi non vengono sentiti come una speranza, bensì come un limite del presente. Il confronto con l'Impero Romano al tramonto si impone: esso funzionava ancora come grande cornice storica, ma in pratica viveva già di quelli che dovevano dissolverlo, poiché esso stesso non aveva più alcuna energia vitale.

Con questo siamo giunti ai problemi del presente. Circa il possibile futuro dell'Europa ci sono due diagnosi contrapposte. C'è da una parte la tesi di Oswald Spengler, il quale credeva di poter fissare per le grandi espressioni culturali una specie di legge naturale: c'è il momento della nascita, la crescita graduale, la fioritura di una cultura, il suo lento appesantirsi, l'invecchiamento e la morte. Spengler arricchisce la sua tesi in modo impressionante, con documentazioni tratte dalla storia delle culture, in cui si può intravedere questa legge del decorso naturale. La sua tesi era che l'Occidente sarebbe giunto alla sua epoca finale, che corre inesorabilmente incontro alla morte di questo continente culturale, nonostante tutti i tentativi di scongiurarla. Naturalmente l'Europa può trasmettere i suoi doni ad una cultura nuova emergente, come è già accaduto nei precedenti declini di una cultura, ma in quanto soggetto essa ha ormai il suo tempo di vita alle sue spalle.

Questa tesi bollata come biologistica ha trovato appassionati oppositori nel tempo tra le due guerre mondiali specialmente in ambito cattolico; in maniera impressionante le si è mosso contro anche Arnold Toynbee, certo con postulati che oggi trovano poco ascolto. Toynbee mette in luce la differenza tra progresso materiale-tecnico da una parte, e dall'altra progresso reale, che egli definisce come spiritualizzazione. Egli ammette che l'Occidente - il mondo occidentale - si trova in una crisi, la cui causa egli la vede nel fatto che dalla religione si è decaduti al culto della tecnica, della nazione, del militarismo. La crisi significa per lui, ultimamente: secolarismo.

Se si conosce la causa della crisi, si può indicare anche la via della guarigione: deve essere nuovamente introdotto il fattore religioso, di cui fa parte secondo lui l'eredità religiosa di tutte le culture, ma specialmente quello «che è rimasto del cristianesimo occidentale». Alla visione biologistica si contrappone qui una visione volontaristica, che punta sulla forza delle minoranze creative e sulle personalità singole eccezionali.

La domanda che si pone è: è giusta questa diagnosi? E se sì - è in nostro potere introdurre nuovamente il momento religioso, in una sintesi di cristianesimo residuale ed eredità religiosa dell'umanità? Ultimamente la questione tra Spengler e Toynbee rimane aperta, perché noi non possiamo vedere nel futuro. Ma indipendentemente da ciò si impone il compito di interrogarci su che cosa può garantire il futuro, e su che cosa è in grado di continuare a far vivere l'interiore identità dell'Europa attraverso tutte le metamorfosi storiche. O ancora più semplicemente: che cosa anche oggi e domani promette di donare la dignità umana e un'esistenza conforme ad essa.

Per trovare una risposta a ciò dobbiamo gettare lo sguardo ancora una volta dentro il nostro presente e al tempo stesso tener presenti le sue radici storiche. In precedenza eravamo rimasti fermi, in effetti, alla Rivoluzione Francese e al XIX secolo. In questo tempo si sono sviluppati soprattutto due nuovi modelli europei. Ecco qui allora nelle nazioni latine il modello laicistico: lo Stato è nettamente distinto dagli organismi religiosi, che sono attribuiti all'ambito privato. Lo Stato stesso rifiuta un fondamento religioso e si sa fondato solamente sulla ragione e sulle sue intuizioni. Di fronte alla fragilità della ragione questi sistemi si sono rivelati fragili e facili a cadere vittima delle dittature; essi sopravvivono, propriamente, solo perché parti della vecchia coscienza morale continuano a sussistere anche senza i precedenti fondamenti e rendono possibile un consenso morale di base. Dall'altra parte, nel mondo germanico, esistono in maniera differenziata i modelli di Chiesa di Stato del protestantesimo liberale, nei quali una religione cristiana illuminata, essenzialmente concepita come morale - anche con forme di culto garantite dallo Stato - garantisce un consenso morale e un fondamento religioso ampio, al quale le singole religioni non di Stato devono adeguarsi. Questo modello in Gran Bretagna, negli stati scandinavi e in un primo tempo anche nella Germania dominata dai prussiani ha garantito per lungo tempo una coesione statuale e sociale. In Germania, tuttavia, il crollo del cristianesimo di Stato prussiano ha creato un vuoto, che poi parimenti si offrì come spazio vuoto per una dittatura. Oggi le chiese di Stato sono dappertutto cadute vittima del logoramento: da corpi religiosi che sono derivazioni dello Stato non proviene più alcuna forza morale, e lo Stato stesso non può creare forza morale, ma la deve invece presupporre e costruire su di essa.

Tra i due modelli si collocano gli Stati Uniti del Nord-America, che da una parte - formatisi sulla base delle chiese libere - prendono le mosse da un rigido dogma di separazione, dall'altra parte, aldilà delle singole denominazioni, vengono plasmati tuttavia da un consenso di fondo cristiano-protestante non forgiato in termini confessionali, il quale si collegava con una particolare coscienza della missione, nei confronti del resto del mondo, di tipo religioso e così dava al fattore religioso un significativo peso pubblico, che in quanto forza pre-politica e sovra-politica poteva essere determinante per la vita politica. Certo non ci si può nascondere che anche negli Stati Uniti il dissolvimento dell'eredità cristiana avanza incessantemente, mentre al tempo stesso il rapido aumento dell'elemento ispanico e la presenza di tradizioni religiose provenienti da tutto il mondo cambia il quadro. Forse si deve qui osservare anche che gli Stati Uniti promuovono ampiamente la protestantizzazione dell'America Latina e quindi il dissolvimento della Chiesa cattolica ad opera di forme di chiese libere, per la convinzione che la Chiesa cattolica non potrebbe garantire un sistema politico ed economico stabile, in quanto dunque fallirebbe come educatrice delle nazioni, mentre ci si aspetta che il modello delle chiese libere renderà possibile un consenso morale e una formazione democratica della volontà pubblica, simili a quelli caratteristici degli Stati Uniti. Per complicare ulteriormente il quadro si deve ammettere che oggi la Chiesa cattolica forma la più grande comunità religiosa negli Stati Uniti, che essa nella sua vita di fede sta decisamente dalla parte dell'identità cattolica, che però i cattolici a riguardo del rapporto tra Chiesa e politica hanno recepito le tradizioni delle chiese libere, nel senso che proprio una Chiesa non confusa con lo Stato garantisce meglio le fondamenta morali del tutto, cosicché la promozione dell'ideale democratico appare come un dovere morale profondamente conforme alla fede. In una posizione simile si può vedere a buon diritto una prosecuzione, adeguata ai tempi, del modello di papa Gelasio, di cui ho parlato sopra.

Torniamo all'Europa. Ai due modelli di cui parlavo prima se ne è aggiunto ancora nel XIX secolo un terzo, ossia il socialismo, che si suddivise presto in due diverse vie, quella totalitaria e quella democratica. Il socialismo democratico è stato in grado, a partire dal suo punto di partenza, di inserirsi all'interno dei due modelli esistenti, come un salutare contrappeso nei confronti delle posizioni liberali radicali, le ha arricchite e corrette. Esso si rivelò qui anche come qualcosa che andava al di là delle confessioni: in Inghilterra esso era il partito dei cattolici, che non potevano sentirsi a casa loro né nel campo protestante-conservatore, né in quello liberale. Anche nella Germania guglielmina il centro cattolico poteva sentirsi più vicino al socialismo democratico che alle forze conservatrici rigidamente prussiane e protestanti. In molte cose il socialismo democratico era ed è vicino alla dottrina sociale cattolica, in ogni caso esso ha considerevolmente contribuito alla formazione di una coscienza sociale.

Il modello totalitario, invece, si collegava con una filosofia della storia rigidamente materialistica e ateistica: la storia viene compresa deterministicamente come un processo di progresso che passa attraverso la fase religiosa e quella liberale per giungere alla società assoluta e definitiva, in cui la religione come relitto del passato viene superata e il funzionamento delle condizioni materiali può garantire la felicità di tutti. L'apparente scientificità nasconde un dogmatismo intollerante: lo spirito è prodotto della materia; la morale è prodotto delle circostanze e deve venir definita e praticata a seconda degli scopi della società; tutto ciò che serve a favorire l'avvento dello stato finale felice è morale. Qui il capovolgimento dei valori che avevano costruito l'Europa è completo. Ancor più, qui si realizza una frattura nei confronti della complessiva tradizione morale dell'umanità: non ci sono più valori indipendenti dagli scopi del progresso, tutto può, in un dato momento, essere permesso e persino necessario, può essere morale nel senso nuovo del termine. Anche l'uomo può diventare uno strumento; non conta il singolo, ma unicamente il futuro diventa la terribile divinità che dispone sopra tutti e sopra tutto.

I sistemi comunisti frattanto sono naufragati innanzitutto per il loro falso dogmatismo economico. Ma si trascura troppo volentieri il fatto che essi sono naufragati , più a fondo ancora, per il loro disprezzo dei diritti umani, per la loro subordinazione della morale alle esigenze del sistema e alle sue promesse di futuro. La vera e propria catastrofe che essi hanno lasciato alle loro spalle non è di natura economica; essa consiste nell'inaridimento delle anime, nella distruzione della coscienza morale. Io vedo come un problema essenziale della nostra ora per l'Europa e per il mondo questo, che non viene mai contestato il naufragio economico, e perciò i vetero-comunisti sono diventati senza esitazione liberali in economia; invece la problematica morale e religiosa, di cui propriamente si trattava, viene quasi completamente rimossa. Pertanto la problematica lasciata dietro di sé dal marxismo continua a esistere anche oggi: il dissolversi delle certezze primordiali dell'uomo su Dio, su se stessi e sull'universo - la dissoluzione della coscienza dei valori morali intangibili, è ancora e proprio adesso nuovamente il nostro problema e può condurre all'autodistruzione della coscienza europea, che dobbiamo cominciare a considerare - indipendentemente dalla visione del tramonto di Spengler - come un reale pericolo.

4. A che punto siamo oggi?
Così ci troviamo davanti alla questione: come devono andare avanti le cose? Nei violenti sconvolgimenti del nostro tempo c'è un'identità dell'Europa, che abbia un futuro e per la quale possiamo impegnarci con tutto noi stessi? Non sono preparato per entrare in una discussione dettagliata sulla futura Costituzione europea. Vorrei soltanto brevemente indicare gli elementi morali fondanti, che a mio avviso non dovrebbero mancare.

Un primo elemento è l'"incondizionatezza" con cui la dignità umana e i diritti umani devono essere presentati come valori che precedono qualsiasi giurisdizione statale. Questi diritti fondamentali non vengono creati dal legislatore, né conferiti ai cittadini, «ma piuttosto esistono per diritto proprio, sono da sempre da rispettare da parte del legislatore, sono a lui previamente dati come valori di ordine superiore». Questa validità della dignità umana previa ad ogni agire politico e ad ogni decisione politica rinvia ultimamente al Creatore: solamente Egli può stabilire valori che si fondano sull'essenza dell'uomo e che sono intangibili. Che ci siano valori che non sono manipolabili per nessuno è la vera e propria garanzia della nostra libertà e della grandezza umana; la fede cristiana vede in ciò il mistero del Creatore e della condizione di immagine di Dio che egli ha conferito all'uomo.

Ora oggi quasi nessuno negherà direttamente la precedenza della dignità umana e dei diritti umani fondamentali rispetto ad ogni decisione politica; sono ancora troppo recenti gli orrori del nazismo e della sua teoria razzista. Ma nell'ambito concreto del cosiddetto progresso della medicina ci sono minacce molto reali per questi valori: sia che noi pensiamo alla clonazione, sia che pensiamo alla conservazione dei feti umani a scopo di ricerca e di donazione degli organi, sia che pensiamo a tutto quanto l'ambito della manipolazione genetica - la lenta consunzione della dignità umana che qui ci minaccia non può venir misconosciuta da nessuno. A ciò si aggiungono in maniera crescente i traffici di persone umane, le nuove forme di schiavitù, l'affare dei traffici di organi umani a scopo di trapianti. Sempre vengono addotte finalità buone, per giustificare quello che non è giustificabile. In questi settori ci sono nella Carta dei diritti fondamentali alcuni punti fermi di cui rallegrarsi, ma in importanti punti essa rimane troppo vaga, mentre invece proprio qui ne va della serietà del principio che è in gioco.

Riassumiamo: la fissazione per iscritto del valore e della dignità dell'uomo, di libertà, eguaglianza e solidarietà con le affermazioni di fondo della democrazia e dello stato di diritto, implica un'immagine dell'uomo, un'opzione morale e un'idea di diritto niente affatto ovvie, ma che sono di fatto fondamentali fattori di identità dell'Europa, che dovrebbero venir garantiti anche nelle loro conseguenze concrete e che certamente possono venir difesi solamente se si forma sempre nuovamente una corrispondente coscienza morale.

Un secondo punto in cui appare l'identità europea è il matrimonio e la famiglia. Il matrimonio monogamico, come struttura fondamentale della relazione tra uomo e donna e al tempo stesso come cellula nella formazione della comunità statale, è stato forgiato a partire dalla fede biblica. Esso ha dato all'Europa, a quella occidentale come a quella orientale, il suo volto particolare e la sua particolare umanità, anche e proprio perché la forma di fedeltà e di rinuncia qui delineata dovette sempre nuovamente venir conquistata, con molte fatiche e sofferenze. L'Europa non sarebbe più Europa, se questa cellula fondamentale del suo edificio sociale scomparisse o venisse essenzialmente cambiata. La Carta dei diritti fondamentali parla di diritto al matrimonio, ma non esprime nessuna specifica protezione giuridica e morale per esso e nemmeno lo definisce più precisamente. E tutti sappiamo quanto il matrimonio e la famiglia siano minacciati - da una parte mediante lo svuotamento della loro indissolubilità ad opera di forme sempre più facili di divorzio, dall'altra attraverso un nuovo comportamento che si va diffondendo sempre di più, la convivenza di uomo e donna senza la forma giuridica del matrimonio. In vistoso contrasto con tutto ciò vi è la richiesta di comunione di vita di omosessuali, che ora paradossalmente richiedono una forma giuridica, la quale più o meno deve venir equiparata al matrimonio. Con questa tendenza si esce fuori dal complesso della storia morale dell'umanità, che nonostante ogni diversità di forme giuridiche del matrimonio sapeva tuttavia sempre che questo, secondo la sua essenza, è la particolare comunione di uomo e donna, che si apre ai figli e così alla famiglia. Qui non si tratta di discriminazione, bensì della questione di cos'è la persona umana in quanto uomo e donna e di come l'essere assieme di uomo e donna può ricevere una forma giuridica. Se da una parte il loro stare assieme si distacca sempre più da forme giuridiche, se dall'altra l'unione omosessuale viene vista sempre più come dello stesso rango del matrimonio, siamo allora davanti ad una dissoluzione dell'immagine dell'uomo, le cui conseguenze possono solo essere estremamente gravi.

Il mio ultimo punto è la questione religiosa. Non vorrei entrare qui nelle discussioni complesse degli ultimi anni, ma mettere in rilievo solo un aspetto fondamentale per tutte le culture: il rispetto nei confronti di ciò che per l'altro è sacro, e particolarmente il rispetto per il sacro nel senso più alto, per Dio, cosa che è lecito supporre di trovare anche in colui che non è disposto a credere in Dio. Laddove questo rispetto viene infranto, in una società qualcosa di essenziale va perduto. Nella nostra società attuale grazie a Dio viene multato chi disonora la fede di Israele, la sua immagine di Dio, le sue grandi figure. Viene multato anche chiunque vilipendia il Corano e le convinzioni di fondo dell'Islam. Laddove invece si tratta di Cristo e di ciò che è sacro per i cristiani, ecco che allora la libertà di opinione appare come il bene supremo, limitare il quale sarebbe un minacciare o addirittura distruggere la tolleranza e la libertà in generale. La libertà di opinione trova però il suo limite in questo, che essa non può distruggere l'onore e la dignità dell'altro; essa non è libertà di mentire o di distruggere i diritti umani.

C'è qui un odio di sé dell'Occidente che è strano e che si può considerare solo come qualcosa di patologico; l'Occidente tenta sì in maniera lodevole di aprirsi pieno di comprensione a valori esterni, ma non ama più se stesso; della sua propria storia vede oramai soltanto ciò che è deprecabile e distruttivo, mentre non è più in grado di percepire ciò che è grande e puro. L'Europa, per sopravvivere, ha bisogno di una nuova - certamente critica e umile - accettazione di se stessa, se essa vuole davvero sopravvivere. La multiculturalità, che viene continuamente e con passione incoraggiata e favorita, è talvolta soprattutto abbandono e rinnegamento di ciò che è proprio, fuga dalle cose proprie. Ma la multiculturalità non può sussistere senza costanti in comune, senza punti di orientamento a partire dai valori propri. Essa sicuramente non può sussistere senza rispetto di ciò che è sacro. Di essa fa parte l'andare incontro con rispetto agli elementi sacri dell'altro, ma questo lo possiamo fare solamente se il sacro, Dio, non è estraneo a noi stessi. Certo, noi possiamo e dobbiamo imparare da ciò che è sacro per gli altri, ma proprio davanti agli altri e per gli altri è nostro dovere nutrire in noi stessi il rispetto davanti a ciò che è sacro e mostrare il volto di Dio che ci è apparso - del Dio che ha compassione dei poveri e dei deboli, delle vedove e degli orfani, dello straniero; del Dio che è talmente umano che egli stesso è diventato un uomo, un uomo sofferente, che soffrendo insieme a noi dà al dolore dignità e speranza.

Se non facciamo questo, non solo rinneghiamo l'identità dell'Europa, bensì veniamo meno anche ad un servizio agli altri che essi hanno diritto di avere. Per le culture del mondo la profanità assoluta che si è andata formando in Occidente è qualcosa di profondamente estraneo. Esse sono convinte che un mondo senza Dio non ha futuro. Pertanto proprio la multiculturalità ci chiama a rientrare nuovamente in noi stessi.

Come andranno le cose in Europa in futuro non lo sappiamo. La Carta dei diritti fondamentali può essere un primo passo, un segno che l'Europa cerca nuovamente in maniera cosciente la sua anima. In questo bisogna dare ragione a Toynbee, che il destino di una società dipende sempre da minoranze creative. I cristiani credenti dovrebbero concepire se stessi come una tale minoranza creativa e contribuire a che l'Europa riacquisti nuovamente il meglio della sua eredità e sia così a servizio dell'intera umanità.

www.youtube.com/watch?v=eTlekAm4tFo




[SM=g1740771]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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27/08/2017 12:16
 
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Qual è il valore della bolla Exurge Domine con cui vengono condannati 41 errori di Lutero


Quesito


Buongiorno Padre Angelo,
Questa volta, finalmente direi, la domanda non è relativa a un mio particolare scrupolo di coscienza. L'altra volta ho visto su Rai storia un programma su Lutero. Io mi sono chiesto una cosa perché Lutero ha avuto una condanna con una bolla. Che valore di magistero ha quella bolla? È magistero infallibile? Una delle condanne era relativa al fatto che lo Spirito non sarebbe contrario a bruciare gli eretici. Ma se al giorno d'oggi uno dicesse che bruciare gli eretici è contrario alla dignità dell'uomo sarebbe condannato per eresia? Mi sto chiedendo, in un clima in cui la tolleranza religiosa è un tema molto di moda (visti gli episodi di violenza dell'isis) che cosa dovrei rispondere se uno mi facesse la domanda che le ho esposto prima. So che ha risposto in precedenza ad un visitatore proprio su questo tema, ma non trovo proprio la risposta alla domanda che le ho esposto. Soprattutto quella relativa al fatto se la bolla corrisponda a un atto di magistero ex cathedra infallibile (secondo la definizione del Concilio Vaticano I). Grazie per la gentile disponibilità che sempre mi ha mostrato. Le chiedo ancora di poter mantenere segreta la mail.
Mi ha sempre assicurato la preghiera al termine di ogni email e desidero fare altrettanto.
Alessandro


Risposta del sacerdote

Caro Alessandro,
1. Papa Leone X con la bolla Exurge Domine del 15 giugno 1520 ha condannato 41 errori di Lutero.
Questi errori sono menzionati uno dietro l’altro.
Il curatore dell’edizione del Denzinger Schonmetzer scrive: “le proposizioni della bolla riportano quasi sempre con precisione le parole di Lutero”.
E infatti ogni proposizione condannata ha un preciso rimando negli scritti di Lutero.

2. La Bolla si conclude così: “Tutti e ciascuno gli articoli o errori sopra elencati noi li condanniamo, spingiamo e rigettiamo totalmente, in conformità a quanto detto sopra rispettivamente come eretici, scandalosi, falsi, offensivi per le orecchi pie o in quanto capaci di sedurre le menti degli uomini semplici e in contraddizione con la fede cattolica”.

3. Non sono errori tutti del medesimo spessore.
Alcuni toccano il dogma, altri la disciplina della Chiesa, altri l’interpretazione delle Scritture, altri atteggiamenti pratici, come ad esempio la seguente affermazione di Lutero:  “combattere contro i turchi è opporsi a Dio, che visita le nostre menti per mezzo loro” (n. 34).
Uno dei vari errori è anche quello da te menzionato. È al n. 33.
Per alcuni di questi errori il Concilio di Trento che sarà celebrato diversi decenni dopo concluderà che chi li sostiene deve essere considerato anatema, e cioè scomunicato.
Per ora, nel 1520 vengono semplicemente condannati.
Pertanto non era prevista la scomunica per chi sosteneva l’errore n. 33.

4. Va ricordato anche che la bolla non è un pronunciamento ex cathedra.
È un documento con il quale il Papa chiedeva a Lutero di sottomettersi.
In risposta Lutero il 10 dicembre dello stesso anno bruciò in pubblico la bolla Exurge Domine.
Come contro risposta il Papa il 3 gennaio 1521 lo scomunicò con la bolla Decet Romanum Pontificem.

5. Per venire adesso all’errore n. 33 da te menzionato c’è da dire certo che oggi viviamo in un contesto diverso e abbiamo tutti una sensibilità diversa.
Lutero diceva che è contrario alle Scritture condannare a morte gli eretici poiché il Signore dice di non raccogliere la zizzania prima della mietitura (fine del mondo). 
Si legge infatti in Mt 13, 27-30: “E i servi gli dissero: «Vuoi che andiamo a raccoglierla?». «No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l'una e l'altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponételo nel mio granaio».”

6. Tuttavia la Chiesa interpretava questo passo secondo la mens di sant’Agostino, sostenuta anche da San Tommaso, il quale nella Somma teologica scrive: “Alcuni intesero quel testo nel senso che è proibito non già di scomunicare, ma di uccidere gli eretici: e ciò è dimostrato dalla citazione del Crisostomo.
Anche S. Agostino così narra di se stesso: "Prima io ero dell'opinione che non si dovesse costringere nessuno all'unità di Cristo, ma che bisognava trattare a parole, e combattere con le dispute. 
Però questa mia opinione è stata vinta non dalle parole, ma dai fatti. Infatti la paura delle leggi civili ha tanto giovato che molti sono arrivati a dire: "Sia ringraziato il Signore che ha spezzato le nostre catene". 
Perciò, il significato di quelle parole del Signore: "Lasciateli crescere insieme, l'uno e l'altra, fino alla mietitura", appare da quelle che seguono: "affinché raccogliendo la zizzania, non strappiate anche il frumento". "Nelle quali egli mostra abbastanza chiaramente", a detta di S. Agostino, "che quando non c'è questo timore, cioè quando il delitto è ben noto e a tutti appare esecrabile, così da non avere difensori o da non averne tali da poter determinare uno scisma, la severità della correzione non deve dormire" (Somma teologica, II-II, 10, 8, ad 1).

7. Ora la spiegazione del passo evangelico portata da Lutero non poteva escludere altre interpretazioni come quelle di S. Agostino e S. Tommaso.
In altre parole non poteva dire che era contro la volontà dello Spirito.

8. È interessante notare che più avanti nel 1525 Lutero cambiò idea e appoggiò di fatto la tesi tradizionale della Chiesa Cattolica.
Lutero infatti inizialmente aveva favorito la guerra dei contadini contro il pagamento delle decime e altro. Ma poi li fece trucidare dicendo che si trattava di un’opera grata a Dio.
Ecco che cosa scrivono gli storici Bihlmeyer - Tuechle: “La sommossa iniziò nel maggio del 1524 nelle regioni del Reno superiore (Hegau) e si diffuse gradualmente per tutta la Germania meridionale dall'Alsazia alla Carinzia, eccettuato il ducato di Baviera, e per la maggior parte della Germania centrale (Turingia, Assia, Sassonia, Brunswick). I territori ecclesiastici ne furono particolarmente funestati. Più di mille castelli e monasteri furono dati in preda alle fiamme.
La posizione di Lutero nei confronti della sollevazione dei contadini non fu coerente. Richiesto di un giudizio sui 12 articoli» nell'aprile del 1525 egli scrisse un Invito alla pace, diretto ai principi e ai contadini, nel quale egli riconosceva la legittimità di gran parte delle istanze di questi ultimi e minacciava la rovina ai signori, se essi si indurivano contro i postulati del Vangelo e non cessavano di « scorticare e depredare le classi sociali inferiori». Ma quando gli giunse notizia delle terribili atrocità commesse dai contadini, in un nuovo scritto dal titolo « Anche contro le bande predatrici e assassine degli altri contadini» del maggio 1525 incitò i principi a trucidare i contadini come «cani rabbiosi», perché questa era ora un'opera grata a Dio” (Storia della Chiesa, III, § 162).

9. Pertanto si potrebbe dire che la condanna di quell’errore Lutero stesso in seguito la sottoscrisse con i fatti.

Ti auguro ogni bene, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo





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Un sacerdote risponde

Mi sono imbattuto in un sito cattolico su un commento ad Amoris Laetitia francamente per me molto triste

Quesito

Carissimo Padre Angelo,
le volevo chiedere un parere utile a tante persone che cercano di seguire gli insegnamenti della Chiesa anche in materia matrimoniale.
Mi sono imbattuto in un sito cattolico su un commento ad Amoris Laetitia francamente per me molto triste, perché questi messaggi rendono il tema “paternità responsabile” / “non liceità della contraccezione” molto ambiguo e rafforzano la diffusissima convinzione che si possa fare quello che si vuole nei rapporti matrimoniali per essere “buoni cristiani”.
Quello che mi dispiace è che chi vuole seguire il pensiero della Chiesa è confuso da AL, perché il giornalista ha gioco facile a ribadire che non “proibendo esplicitamente” di fatto si lascia all’individuo fare come meglio pensa, pur “consigliando” i metodi naturali e citando l’enciclica HV.
E’ evidente che un sito cattolico non è il Papa e nemmeno un vescovo però quello che oggettivamente emerge è che se in 400 e passa pagine di Lettera Pastorale se ne parla così…magari il fatto che sia un tema “non fondamentale” passa come messaggio….
Le evidenzio sotto le parti per me più imbarazzanti.
"Se il Santo Padre avesse voluto condannare formalmente o semplicemente mettere in guardia contro l’uso della contraccezione l’avrebbe fatto, ma non è stato così. Dall’altro lato, non ha detto formalmente che l’uso della contraccezione non è più proibito, ma è facile comprendere perché su questo argomento Francesco rifiuti di essere intrappolato nella logica del “permesso” e del “proibito”. I tomisti diranno giustamente che il papa vuole sostituire la “legge morale” con la “virtù morale”, la crescita della grazia.
In tutta l’onestà intellettuale basata sulla fede, sembra quindi legittimo concludere questa breve revisione critica dicendo che l’esortazione apostolica Amoris Laetitia segna non l’abrogazione ma l’eliminazione, implicita ma reale, del divieto assoluto della contraccezione per le coppie cattoliche.
Prego per lei e la famiglia Domenicana che tanto mi ha aiutato e mi aiuta a seguire Nostro Signore. 
Alberto


Risposta del sacerdote

Caro Alberto,
1. l’affermazione che tu hai riportato dà l’impressione che il papa non abbia voluto condannare la contraccezione e neanche abbia detto il contrario.
Il che farebbe concludere che ognuno infine potrebbe fare quello che vuole, sebbene l’articolista neghi anche quest’affermazione.

2. Ebbene, non è vero che il Papa in Amoris Laetitia non proibisca la contraccezione.
Al n. 80 vi si legge: “Fin dall’inizio l’amore rifiuta ogni impulso di chiudersi in sé stesso e si apre a una fecondità che lo prolunga oltre la sua propria esistenza. Dunque nessun atto genitale degli sposi può negare questo significato,[86] benché per diverse ragioni non sempre possa di fatto generare una nuova vita” (AL 80).
Nessun atto genitale: pertanto la contraccezione coniugale rimane esclusa sempre, dal momento che i precetti morali negativi obbligano semper et pro semper (sempre e in ogni caso).

3. La nota n. 86 fa riferimento all’enciclica Humanae vitae di Paolo VI, ed espressamente ai numeri 11 e 12.
Ora nel n. 11 è contenuta l’affermazione centrale dell’enciclica: “Ma, richiamando gli uomini all’osservanza delle norme della legge naturale, interpretata dalla sua costante dottrina, la chiesa insegna che qualsiasi atto matrimoniale deve rimanere aperto alla trasmissione della vita”.

4. E nel n. 12 si legge: “Tale dottrina, più volte esposta dal magistero della chiesa, è fondata sulla connessione inscindibile, che Dio ha voluto e che l’uomo non può rompere di sua iniziativa, tra i due significati dell’atto coniugale: il significato unitivo e il significato procreativo. Infatti, per la sua intima struttura, l’atto coniugale, mentre unisce con profondissimo vincolo gli sposi, li rende atti alla generazione di nuove vite, secondo leggi iscritte nell’essere stesso dell’uomo e della donna.
Salvaguardando ambedue questi aspetti essenziali, unitivo e procreativo, l’atto coniugale conserva integralmente il senso di mutuo e vero amore ed il suo ordinamento all’altissima vocazione dell’uomo alla paternità”.

5. Quando Amoris laetitia aggiunge: “benché per diverse ragioni non sempre possa di fatto generare una nuova vita” fa riferimento a quanto scritto nel medesimo n. 11 dell’HV: “Questi atti, con i quali gli sposi si uniscono in casta intimità e per mezzo dei quali si trasmette la vita umana, sono, come ha ricordato il recente concilio, "onesti e degni", e non cessano di essere legittimi se, per cause mai dipendenti dalla volontà dei coniugi, sono previsti infecondi, perché rimangono ordinati ad esprimere e consolidare la loro unione”.

6. Sempre Amoris laetitia dice: “In seguito, «il beato Paolo VI, sulla scia del Concilio Vaticano II, ha approfondito la dottrina sul matrimonio e sulla famiglia. In particolare, con l’Enciclica Humanae vitae, ha messo in luce il legame intrinseco tra amore coniugale e generazione della vita: “L’amore coniugale richiede dagli sposi che essi conoscano convenientemente la loro missione di paternità responsabile, sulla quale oggi a buon diritto tanto si insiste e che va anch’essa esattamente compresa. […] L’esercizio responsabile della paternità implica dunque che i coniugi riconoscano i propri doveri verso Dio, verso se stessi, verso la famiglia e verso la società, in una giusta gerarchia dei valori» (n. 10)” (AL 68).
Riconoscere i propri doveri verso Dio, verso se stessi, verso la famiglia e verso la società non è un optional. È la legge morale, la quale non è consigliata, ma comandata.

7. Sempre nel medesimo punto Amoris laetitia parla della dottrina del Vaticano II approfondita da Paolo VI.
In seguito, per quanto concerne i divorziati risposati, dice ancora: “Perciò, mentre va espressa con chiarezza la dottrina” (AL 79).
Su questi punti, pertanto, non vi è alcun dubbio: Amoris laetitia fa riferimento alla dottrina.

8. Ora la dottrina si approfondisce, si sviluppa, si applica a diverse situazioni ma sempre secondo un criterio di omogeneità, per cui essa rimane la stessa nel medesimo modo in cui noi, pur passando attraverso vari sviluppi, siamo rimasti gli stessi e abbiamo conservato la nostra identità.
Per questo Giovanni XXIII nel discorso inaugurale del Concilio aveva detto: “Il 21 concilio ecumenico - che si avvarrà dell’efficace e importante somma di esperienze giuridiche, liturgiche, apostoliche e amministrative - vuole trasmettere pura e integra la dottrina, senza attenuazioni o travisamenti, che lungo venti secoli, nonostante difficoltà e contrasti, è divenuta patrimonio comune degli uomini. Patrimonio non da tutti bene accolto, ma pur sempre ricchezza aperta agli uomini di buona volontà. 
Il nostro dovere non è soltanto di custodire questo tesoro prezioso, come se ci preoccupassimo unicamente dell’antichità, ma di dedicarci con alacre volontà e senza timore a quell’opera, che la nostra età esige, proseguendo così il cammino, che la chiesa compie da quasi venti secoli. 
Lo scopo principale di questo concilio non è, quindi, la discussione di questo o quel tema della dottrina fondamentale della chiesa, in ripetizione diffusa dell’insegnamento dei padri e dei teologi antichi e moderni quale si suppone sempre ben presente e familiare allo spirito. 
Per questo non occorreva un concilio. Ma dalla rinnovata, serena e tranquilla adesione a tutto l’insegnamento della chiesa nella sua interezza e precisione, quale ancora splende negli atti conciliari del Tridentino e del Vaticano I, lo spirito cristiano, cattolico e apostolico del mondo intero, attende un balzo innanzi verso una penetrazione dottrinale e una formazione delle coscienze; è necessario che questa dottrina certa e immutabile, che deve essere fedelmente rispettatasia approfondita e presentata in modo che risponda alle esigenze del nostro tempo
Altra cosa è infatti il deposito stesso della fede, vale a dire le verità contenute nella nostra dottrina, e altra cosa è la forma con cui quelle vengono enunciate, conservando ad esse tuttavia lo stesso senso e la stessa portata”.

9. Giovanni Paolo II dal canto suo ha detto: “Quanto è insegnato dalla Chiesa sulla contraccezione non appartiene a materia liberamente disputabile tra i teologi. Insegnare il contrario equivale a indurre nell’errore la coscienza morale degli sposi” (5.5.1987).
Nel medesimo discorso ha detto anche che “emerge a tale proposito una grave responsabilità: coloro che si pongono in aperto contrasto con la legge di Dio, autenticamente insegnata dal magistero della Chiesa, guidano gli sposi su una strada sbagliata.
Benedetto XVI, nel 40° della pubblicazione dell’Humanae vitae ha affermato: “Il Magistero della Chiesa non può esonerarsi da riflettere in maniera sempre nuova e approfondita sui principi fondamentali che riguardano il matrimonio e la procreazione. Quanto era vero ieri, rimane vero anche oggi. La verità espressa nell’Humanae Vitae non muta”.
E la stessa cosa ha detto anche Papa Francesco in Amoris laetitia al n. 80 sopra citato.
Pertanto se l’articolista che hai citato ha detto quanto hai riferito è nell’errore. Per usare il linguaggio di Giovanni Paolo II è su una strada sbagliata e induce nell’errore la coscienza morale degli sposi”.

11. Il Vademecum per i confessori del Pontificio Consiglio per la famiglia (12.2.1997) scrive: “La Chiesa ha sempre insegnato l’intrinseca malizia della contraccezione, cioè di ogni atto coniugale intenzionalmente infecondo. Questo insegnamento è da ritenere come dottrina definitiva ed irreformabile. La contraccezione si oppone gravemente alla castità matrimoniale, è contraria al bene della trasmissione della vita (aspetto procreativo del matrimonio), e alla donazione reciproca dei coniugi (aspetto unitivo del matrimonio), ferisce il vero amore e nega il ruolo sovrano di Dio nella trasmissione della vita umana” (n. 2.4).

12. Amoris laetitia cita un testo del Concilio che nel quale l’articolista inciampa in maniera abbastanza clamorosa e conclude malamente. 
Perché il Concilio in tale testo parla del numero dei figli da procreare. Mentre l’articolista applica il testo alle vie da seguire (contraccezione o metodi naturali).
Ecco il testo del Concilio: “Rimane valido quanto affermato con chiarezza nel Concilio Vaticano II: «I coniugi [...], di comune accordo e con sforzo comune, si formeranno un retto giudizio: tenendo conto sia del proprio bene personale che di quello dei figli, tanto di quelli nati che di quelli che si prevede nasceranno; valutando le condizioni sia materiali che spirituali della loro epoca e del loro stato di vita; e, infine, tenendo conto del bene della comunità familiare, della società temporale e della Chiesa stessa. Questo giudizio in ultima analisi lo devono formulare, davanti a Dio, gli sposi stessi» (Gaudium et spes 50).
Mentre a proposito delle vie da seguire il Concilio dice: “Però nella loro linea di condotta i coniugi cristiani siano consapevoli che non possono procedere a loro arbitrio, ma devono sempre essere retti da una coscienza che sia con forme alla legge divina stessa; e siano docili al magistero della Chiesa, che interpreta in modo autentico quella legge alla luce del Vangelo.
Tale legge divina manifesta il significato pieno dell'amore coniugale, lo protegge e lo conduce verso la sua perfezione veramente umana” (GS 50).
E ancora: “Quando si tratta di comporre l’amore coniugale con la trasmissione responsabile della vita, il carattere morale del comportamento non dipende solo dalla sincera intenzione e dalla valutazione dei motivi, ma va determinato da criteri oggettivi che hanno il loro fondamento nella dignità stessa della persona umana e dei suoi atti e sono destinati a mantenere in un contesto di vero amore l’integro senso della mutua donazione e della procreazione umana, e tutto ciò non sarà possibile se non venga coltivata con sincero animo la virtù della castità coniugale.
I figli della Chiesa, fondati su questi principi, non potranno seguire strade che sono condannate dal Magistero nella spiegazione della legge divina” (GS 51).
Mi pare che questo equivoco sia grave.
Ne va della competenza o della buona fede di chi ha scritto quel pezzo.

13. Va detto anche che non era obiettivo del Sinodo pronunciarsi sulla dottrina della Chiesa in tema di contraccezione. Non è stato convocato per questo. In parole povere, il suo obiettivo non era quello di riformare la dottrina dell’Humanae vitae.
Anzi su questo ha richiamato più volte l’enciclica di Paolo VI e ne ha ribadito la dottrina.
Né ha lasciato ai coniugi la libertà di scegliere le vie che vogliono. Qui si tratta di legge divina, che è una legge di vita.
Scegliere il contrario è la stessa cosa che scegliere la morte.
Valgono anche per il nostro argomento le parole che si leggono in Dt 30,19-20: “Prendo oggi a testimoni contro di voi il cielo e la terra: io ti ho posto davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione. Scegli dunque la vita, perché viva tu e la tua discendenza, amando il Signore, tuo Dio, obbedendo alla sua voce e tenendoti unito a lui, poiché è lui la tua vita e la tua longevità, per poter così abitare nel paese che il Signore ha giurato di dare ai tuoi padri”.
La legge di Dio non è un optional, una via facoltativa, il cui percorso vale quanto il contrario.
L’osservanza della legge di Dio è la stessa cosa che la scelta della vita: dell’amore umano anzitutto, poi del matrimonio e della famiglia e poi anche di qualcosa d’altro.
Fare il contrario è la stessa cosa che scegliere la morte: dell’amore umano anzitutto, poi del matrimonio e della famiglia e poi anche di qualcosa d’altro.
Vale anche per questa materia quanto si legge nella Sacra Scrittura “Prendo oggi a testimoni contro di voi il cielo e la terra: io ti ho posto davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione. Scegli dunque la vita, perché viva tu e la tua discendenza” (Dt 30,19).

14. Infine,  viene detto che il papa “vuole sostituire la legge morale con la virtù morale, la crescita della grazia” come dicono i tomisti.
Ma, proprio come dicono proprio i tomisti, la crescita nella grazia non avviene sostituendo la natura, ma presupponendola, confermandola e sanandola.
San Tommaso è esplicito su questo fin dall’inizio della Somma teologica: “La grazia infatti non distrugge la natura, ma anzi la perfeziona” (Somma teologica, I, 1, 8, ad 2).
Pertanto non va creata opposizione tra legge morale e virtù morale, perché è virtuoso proprio chi si lascia guidare da Dio e dai suoi comandamenti.
“Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama” (Gv 14,21). E San Tommaso commenta: “Qui si noti che il vero amore si esprime e si mostra nelle opere, perché l’amore così si manifesta. Infatti amare qualcuno altro non è che volere a lui del bene e desiderare quello che lui vuole; perciò non ama veramente colui che non fa la volontà dell’amato e non eseguisce quello che conosce come voluto da lui. Perciò chi non fa la volontà di Dio mostra di non amarlo veramente. Ecco perché Gesù afferma: Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama, ossia ha un amore vero verso di me” (Commento al Vangelo di Giovanni 14,21).

Ti ringrazio di avermi dato l’opportunità di portare un po’ di chiarezza su punti molto importanti per la vita dei singoli nei loro rapporti con Dio e sui quali alcuni intendono mettere confusione.
Mi auguro anche di aver tolto la tristezza che causata dalla lettura di quell’articolo.
Ti ricordo al Signore e ti benedico. 
Padre Angelo








 

[Modificato da Caterina63 27/08/2017 12:29]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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22/09/2017 09:04
 
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EDITORIALE



«L’Istituto Giovanni Paolo II per gli studi sul Matrimonio e la Famiglia era noto come la roccaforte della resistenza contro il programma di misericordia di Francesco. Adesso il papa l’ha sciolto e ne ha fondato uno nuovo». Non si potrebbe essere più chiari di così, e l’autore di questa “sentenza” è Thomas Jansen, direttore di Katholisch.de, il sito internet ufficiale della Conferenza episcopale tedesca, che lo scrive in un articolo titolato “Un thinktank per Amoris Laetitia”. Tanto per capire, vuol dire che la sola esortazione post-sinodale «non è sufficiente per cambiare il paradigma teologico-morale della Chiesa cattolica». Un Istituto su Matrimonio e Famiglia “rifondato” (per usare l’espressione usata da Vatican Insider) provvederà le armi teologiche per portare a compimento la rivoluzione.


E questo con buona pace di coloro che in questi giorni si sono prodigati per sostenere che non è cambiato nulla, che l’istituzione di un nuovo Pontificio Istituto Teologico per le Scienze su Matrimonio e Famiglia è in continuità con il magistero di san Giovanni Paolo II e che si tratta solo di un aggiornamento. È vero che la battaglia – come abbiamo scritto – non è ancora finita, perché il vero cambiamento sarà possibile soltanto con i nuovi statuti, ma almeno sia chiaro quali sono i termini della questione.


Il commento ufficiale della Conferenza episcopale tedesca è significativo, perché è da lì che viene la spinta maggiore a rovesciare l’insegnamento bimillenario della Chiesa su matrimonio e famiglia, e anzi nei giorni scorsi c’è chi ha scritto che proprio da settori della Chiesa tedesca vengono pressioni sul Papa per accelerare certe riforme in modo da rendere eventualmente impossibile al suo successore di tornare indietro.


La battaglia – che peraltro ha le sue radici nello scontro seguito alla pubblicazione dell’enciclica di Paolo VI Humanae Vitae (1968) – è iniziata nel momento in cui papa Francesco ha annunciato il doppio Sinodo sulla famiglia. Come si ricorderà si è dato fuoco alle polveri con il Concistoro del febbraio 2014, con la “lezione” che il Papa ha chiesto di svolgere al cardinale Walter Kasper, come introduzione ai lavori sinodali. Subito ci si è concentrati sul tema della comunione ai divorziati risposati, ma era soltanto lo strumento per scardinare l’intero edificio della morale cattolica. Infatti il documento presentato dai vescovi tedeschi come sintesi delle risposte al questionario diffuso tra i fedeli in preparazione del Sinodo, aveva già il carattere della guerra totale: tutto il magistero romano in fatto di gender, unioni omosessuali, relazioni prematrimoniali, ammissione dei divorziati risposati ai sacramenti viene «respinto espressamente». Si parte dalla constatazione che la gente non segue più la morale sessuale insegnata dalla Chiesa e che i giovani non capiscono certe norme etiche, per arrivare ad «invocare un cambiamento profondo della morale cattolica».
E quindi, porte aperte a seconde nozze, unioni omosessuali, controllo artificiale delle nascite, rapporti prematrimoniali e così via. Il documento puntava dritto, non a caso, al superamento della Humanae Vitae, con i princìpi di morale sessuale che confermava.

Dall’Istituto Giovanni Paolo II venne in effetti una risposta: come ricorda Thomas Jansen, due professori dell’istituto – Juan José Perez Soba e Stephan Kampowski – pubblicarono immediatamente un libro – “Il vangelo della famiglia” – con un sottotitolo eloquente: “nel dibattito sinodale oltre la proposta del cardinale Kasper”. I due docenti rispondevano all’invito di papa Francesco per un dibattito franco e così, confutando le tesi di Kasper sugli sposi passati in seconde unioni, essi indicavano anche le linee di un atteggiamento pastorale misericordioso nella linea tracciata da Giovanni Paolo II.
Come i Sinodi siano andati e delle polemiche e opposte interpretazioni che hanno seguito l’esortazione post-sinodale al punto da spingere quattro cardinali a esprimere al Papa cinque Dubia, è ben noto. Così Jansen ricorda che l’attuale cambiamento dell’Istituto segue la decapitazione dei vertici del Giovanni Paolo II quando l’anno scorso il Gran cancelliere cardinale Agostino Vallini e il preside monsignor Livio Melina furono sostituiti rispettivamente da monsignor Vincenzo Paglia e monsignor Pierangelo Sequeri.

Un ulteriore tassello riguarda il nome dell’istituto. Non solo un semplice aggiornamento non avrebbe bisogno di chiudere e rifondare, ma ha destato curiosità anche la denominazione di “Scienze del Matrimonio e della famiglia”. Qualcuno lo ha legato a questa annunciata apertura alle varie discipline con cui si vuole allargare il discorso sulla famiglia (perfino all’ecologia), coerentemente alle linee impostate da Amoris Laetitia.  Ma c’è chi vi ha trovato una inquietante connessione con il dibattito avvenuto al tempo dell’Humanae VitaeIl giornalista Steve Skojec (Onepeterfive.com) riprendendo in mano il testo della Commissione di esperti che presentò a Paolo VI la relazione di maggioranza, a favore della contraccezione, ha infatti scoperto che già questa commissione aveva proposto la creazione di un istituto pontificio «per le scienze legate alla vita matrimoniale». L’idea era di avere a disposizione un gruppo di esperti di varie materie in grado di portare avanti la rivoluzione della morale propugnata dalla Commissione creata da Paolo VI. Uno dei compiti fondamentali di questo Istituto di Scienze sulla vita matrimoniale, dice la relazione, sarebbe dovuto essere quello di vedere come «la dottrina del matrimonio debba applicarsi a differenti parti del mondo». In pratica si prefigura quella maggiore autonomia delle Conferenze episcopali in materia dottrinale che papa Francesco auspica nella Evangelii Gaudium e che è già nei fatti come esito delle diverse interpretazioni date ad alcuni passaggi di Amoris Laetitia.  

Non può essere allora un caso che la rifondazione dell’Istituto Giovanni Paolo II proceda di pari passo con i lavori di una commissione storica (prima negata da monsignor Paglia, poi minimizzata, in realtà dai grandi poteri) che ha lo scopo di rivedere tutto il dibattito che ha accompagnato i lavori che hanno poi portato alla pubblicazione della Humanae Vitae. Qualcuno ha ancora dubbi su dove si voglia andare a parare?




[Modificato da Caterina63 22/09/2017 09:06]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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05/11/2017 10:15
 
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Risposte ad alcune domande sulla situazione della Chiesa








 


Benedykt-XVI-krytykuje-kapitalizm-i-marksizm


Sulle pagine di Radio Spada  si possono incontrare diverse interviste a esponenti del mondo cattolico sulla “crisi nella Chiesa”: non solo sul web ma anche dal vivo, nelle varie edizioni del 25 aprile radiospadista, hanno avuto luogo confronti su questo argomento. Oggi, collocandoci in questa “tradizione” consolidata, riportiamo l’ampia intervista con don Mauro Tranquillo pubblicata nell’ultimo numero de La Tradizione Cattolica: alla stesura originale delle domande hanno partecipato alcuni giovani di Radio Spada [RS]


RISPOSTE AD ALCUNE DOMANDE SULLA SITUAZIONE DELLA CHIESA


di don Mauro Tranquillo (La Tradizione Cattolica, Anno XXVIII, n. 3 [104] – 2017)



  • 1) «Prima Sedes a nemine iudicatur». Alcuni ambienti modernisti ricordano sempre questo principio per escludere ogni tipo di giudizio sul Papa e sul suo operato, onde «resistere in nome della Tradizione» sarebbe giudicare il Pontefice.


Tale fondamentale principio giuridico, basato sul dato rivelato, impone di credere che nessuno può portare un giudizio sulla Sede Apostolica, come ovviamente su colui che vi siede hic et nunc. Occorre però fare alcune distinzioni: l’enunciato in effetti è compendioso, e serve a memorizzare un grande principio che necessita esplicitazione.


Se con tale sentenza si intende (come vuole il senso ovvio) il portare sulla persona del Pontefice un giudizio di valore canonico e con effetti legali, come su un suddito, è palese che ciò è impossibile in ogni senso, non avendo il Papa un superiore competente a giudicarlo in terra, in nessuna materia. Se si intende del giudicare gli atti della persona rivestita hic et nunc del Pontificato, distinguiamo nuovamente: gli atti (sentenze giudiziali o dogmatiche) rivestiti di autorità papale in qualche grado non possono essere discussi, essendo formalmente atti papali. Gli atti non rivestiti di autorità, che il Papa compie in quanto uomo e non in quanto Vicario di Dio, se non possono essere sottoposti a giudizio in senso giuridico, possono però essere valutati secondo quanto già definito dal Magistero, cioè secondo quanto già definito come rivelato da Dio, con un giudizio prudente e personale, come gli atti di qualsiasi altra persona.


Ovviamente si suppone che non tutte le azioni del Papa siano atti che procedono dalla sua formalità di Papa; e che il Papa in quanto uomo possa peccare, e anche peccare contro la fede (il che non ha nulla a che vedere con l’infallibilità che è prerogativa di un certo tipo di atti della persona del Papa). Questo si può provare con molti argomenti. San Paolo per primo dice che “omnis Pontifex ex hominibus assumptus… et ipse circumdatus est infirmitate” (Heb. V). Sant’Urbano Papa, riportato nel Corpus Iuris Canonici 25, q. 1, c. Sunt quidem, dice: “Laddove il Signore o i suoi apostoli o i santi padri apertamente definirono qualcosa con sentenza, il Pontefice romano non può dare una nuova legge, ma piuttosto deve confermare fino alla vita e al sangue ciò che è stato predicato. Se infatti tentasse di distruggere ciò che hanno insegnato gli apostoli e i profeti non attenterebbe di dare una sentenza, ma sarebbe convinto di errore”. Errare contro le verità definite è appunto l’eresia. E la Glossa ordinaria 24a, q.1, c. 1 commenta: “Questo è il caso in cui un Papa può legarne un altro […] Né osta la regola per cui un uguale non può legare l’uguale, perché se il Papa è eretico, in quanto è eretico è inferiore a qualsiasi cattolico”. Interessante è notare come già questi antichi canonisti erano in grado di capire la differenza tra le varie formalità presenti nella persona rivestita dell’ufficio papale: quella umana, circondata d’infermità, che può errare anche contro la fede; e quella papale, che gli permette di sciogliere e legare, e che non è sottoposta a nessuno, se non al fatto della rivelazione, alla verità oggettiva di Dio che tutto sovrasta. Una volta definito un dogma, significa che tale cosa è stata rivelata da Dio, e nessuno può fare che diventi “non-rivelata” o “diversamente rivelata”. In questo senso un Papa può “legare”, e quindi “giudicare” il suo successore: quando una verità è definita il Papa non ha più autorità sulla materia, sulla quale si è esaurito il potere magisteriale, ed è quindi possibile giudicarlo sulla materia ormai determinata.


Il dogma dell’infallibilità definito al Vaticano I, come è logico, non contraddice né supera queste antiche determinazioni canoniche, né rende il Papa impeccabile, fosse anche in un solo campo (la fede). Semplicemente garantisce che quando conferma la Chiesa nella fede con l’intenzione di insegnare il Papa non può errare, cioè che alcuni suoi atti specifici e volontari sono rivestiti di infallibilità. Dico “alcuni” non perché siano pochi o molti: sono esattamente quelli che il Papa vuole come tali, cioè come insegnamento formale all’intera Chiesa.


Non dovrebbe porre alcuna difficoltà l’esistenza di atti compiuti dal Pontefice al di fuori della sua autorità e come tali soggetti a giudizio umano, ed eventualmente accettabili o denunciabili come scandalo. Non sono mancati né gli insegnamenti dei Dottori né gli esempi dei Santi in tal senso, e spesso sono stati citati. Il problema reale, lo vedremo, andrà a porsi al momento di determinare quali atti (in astratto e in concreto), specialmente nella situazione attuale, possano dirsi autorevoli o no (e quindi passibili di giudizio secondo quanto già definito o no). Solo una concezione dell’infallibilità come Provvidenza o impeccabilità può opporsi a tali semplici princìpi, o una teologia hegeliana della storia, per cui ogni atto del Pontefice sarebbe una manifestazione del divino. Ciò ridurrebbe la struttura giuridica della Chiesa a un malcelato profetismo del tutto estraneo al concetto delle Sacre Chiavi.


Ripetiamo: che ci siano atti della persona del Papa che ognuno può valutare (non in senso giuridico ma morale) come buoni o cattivi, perché non rivestiti di infallibilità, è palese e indiscusso (o dovrebbe esserlo); la discussione porterà su come determinare l’uso dell’autorità.



  • 2) «Qui non est membrum, non potest esse caput». Chi si esclude dalla Chiesa non professandone la Dottrina, come può essere a Capo della Chiesa stessa? Sembra essere questa la principale obiezione sedevacantista. Che dire?


L’obiezione si basa anzitutto su un fatto, su cui possiamo tutti concordare: alcuni recenti Pontefici non hanno professato la dottrina della Chiesa ma veri e propri errori ed eresie, a prescindere dalla questione dell’uso dell’autorità di cui sopra (cioè poco importa che lo abbiano fatto in documenti autorevoli o privati, il fatto che siano eresie pubbliche già li escluderebbe dalla Chiesa). Sarebbe quindi assolutamente necessario dichiararli decaduti, in quanto hanno dimostrato di non essere membri della Chiesa e quindi di non poterne essere a capo. L’obiezione trova poi due fondamenti teoretici: uno nella legislazione canonica che priva di giurisdizione l’eretico, l’altro nelle tesi di numerosi teologi e dottori del passato che hanno ipotizzato il caso del Papa caduto in eresia, e molti di loro hanno dato come soluzione la sua decadenza (discordando poi su come questa potesse effettivamente essere constatata, o eludendo il problema nel quadro di una trattazione che restava accademica).


La questione non può essere posta su un piano puramente canonico, perché parlando del Papa si parla di persona non soggetta alle leggi puramente ecclesiastiche. Occorre dunque capire che cosa il diritto divino dica dell’eretico, e se sia certo che nella sua essenza il possesso della suprema giurisdizione sia incompatibile con l’eresia o la non appartenenza alla Chiesa. In realtà sappiamo che il Battesimo, anche in chi non ha la fede o è nello scisma, permette di mantenere un certo legame con la Chiesa come struttura sociale: infatti ogni battezzato, anche nato nell’eresia, è considerato non membro ma suddito della Chiesa e delle sue leggi (a maggior ragione questo vale per l’apostata dalla fede cattolica, sul quale continuano ad urgere i precetti ecclesiastici). Quindi è possibile che una qualche relazione, seppur esteriore, rimanga tra il battezzato e la società ecclesiastica. Inoltre è notorio che esistono casi in cui chierici eretici o scismatici (apostati o no) possono ricevere giurisdizione ecclesiastica, per esempio il caso del pericolo di morte: questo dimostra che l’incompatibilità tra professione dell’eresia e possesso della giurisdizione è di diritto ecclesiastico, non è un’impossibilità metafisica. Più nello specifico, esistono anche teologi che hanno supposto lo scenario di un Papa scismatico (cioè che rifiuta di far parte della Chiesa) che però continua ad esserne il Capo. L’esempio è portato dal Caietano, uno dei principali commentatori di san Tommaso (Commento a IIaIIae, q.39, art. 3): si chiede se la persona di un vero, certo ed indubbio Papa possa essere scismatica (quindi non essere membro della Chiesa). Egli risponde che la persona del Papa può rifiutare di sottomettersi all’ufficio del Papa, quod per accidens est pro tunc in ipso, introducendo una distinzione capitale (che ci riporta a quanto già accennato sopra). Rifiuterebbe così di essere in comunione con la Chiesa nelle cose spirituali (la fede ad esempio), ma rimarrebbe al governo di essa, come una specie di governatore esterno (habere se tantum ut dominus temporalis).


Perché dovremmo preferire l’idea che il Papa non perda il pontificato una volta caduto in eresia, nonostante l’opinione contraria di molti dottori? Fondamentalmente perché gli antichi dottori che immaginavano il caso del Papa caduto in eresia consideravano uno scenario ben diverso dall’attuale: nelle loro ipotesi era il Papa solo a cadere nell’eresia, mentre il corpo episcopale, restando più o meno sano, garantiva il perpetuarsi dell’esistenza della Chiesa, esattamente come avviene alla morte del Papa; secondo i sedevacantismi attuali, non è solo la Sede di Pietro a essere vacante, ma tutte le sedi episcopali contemporaneamente. Chi vuole applicare queste tesi alla situazione attuale dovrebbe quindi sempre ricordare che non sta presentando una Chiesa “senza Papa” (cosa che avviene regolarmente nel periodo di conclave), ma una Chiesa senza alcuna gerarchia sulla terra, senza episcopato residenziale, quindi senza presenza di giurisdizione ordinaria. In questo senso non è indifferente quanto a lungo la Sede Apostolica rimanga vacante: c’è un tempo limite, ed è la permanenza di altri individui aventi giurisdizione ordinaria, ricevuta dal Papa precedente, e che mantengono dopo la di lui morte[1]. Se la giurisdizione ordinaria scomparisse del tutto da individui viventi sulla terra, come sarebbe oggi secondo certe tesi, non esisterebbe –come è logico- nemmeno quella straordinariamente delegata: perché essa è delegata da qualcuno, a norma del diritto, non dalla “Chiesa” astrattamente intesa. Il diritto canonico certo usa l’espressione supplet Ecclesia, ma teologicamente e metafisicamente la giurisdizione sta negli uomini che l’hanno ricevuta dal Papa (o, solo per il Papa, dal Cristo), non vaga nell’aria in attesa che qualcuno la colga[2].


Facciamo un esempio (che è solo l’esempio estremo): il sacerdote che non ha ordinariamente potere di giurisdizione, o anche un sacerdote scomunicato o eretico, o uno che non ha cura d’anime, si trova di fronte a un moribondo (oppure si trova in una situazione di grave necessità generale, come è l’attuale, e una persona gli chiede di confessarsi[3]). Quegli potrà assolverlo ricevendo per quell’atto giurisdizione, a norma del diritto canonico e divino; egli attingerà, teologicamente parlando, questo potere da qualcuno che lo possiede abitualmente, che sia il Vescovo residenziale o il Papa. Il legislatore ecclesiastico, basandosi sulla suprema legge divina della salus animarum, ha previsto questo caso e ha disposto di concedere tale delega “automatica”, che nessun prelato può negare, essendo il potere dato per il bene (e negarlo in tali casi sarebbe del tutto irrazionale e contrario al diritto divino).


Ora, venendo a mancare non solo il Papa ma anche qualsiasi Vescovo residenziale, ci si dovrebbe chiedere da chi un sacerdote possa ricevere giurisdizione anche solo per ascoltare la confessione di un moribondo. Il problema non è dunque se in certe situazioni il potere possa essere delegato in forme straordinarie (il che è del tutto pacifico), ma da chi. Se si risponde che lo si può ricevere direttamente da Gesù Cristo, si deve tener conto che si sta introducendo un’eccezione al principio per cui ogni giurisdizione sulla terra deriva dal Papa, il quale è il solo a ricevere il potere dal Cristo stesso: si sta cioè minando il principio della Monarchia papale, che a parole si vorrebbe tanto difendere; si sta commettendo un errore analogo a quello di Lumen Gentium, e si sta in fin dei conti annullando la necessità del Papato stesso (e infatti si arriva a dire che la Chiesa possa esistere per decenni, anzi indefinitamente, senza Papa). Quindi dalla lodevole intenzione di difendere il Papato si arriva a considerarlo, di fatto, del tutto superfluo per la vita e l’esistenza quotidiana della Chiesa. L’esempio estremo della confessione del moribondo fa capire come nella Chiesa non si può far nulla senza Papato, a maggior ragione se si annulla anche ogni potere causato da quello del Papa e che potrebbe perdurare alla di lui morte (pur avendo sempre il Pontefice stesso come origine), cioè sostanzialmente quello dei Vescovi residenziali.


Evidentemente dunque la soluzione di alcuni degli antichi teologi sul Papa eretico non si attaglia alla nostra situazione, o dovremmo ammettere non solo l’impossibilità di confessarci, ma addirittura la cessazione della Chiesa cattolica, almeno come società nella forma (nel senso filosofico del termine) che i dogmi hanno definito: ridurre il problema al già gravissimo e insolutoesempio delle confessioni è misconoscerne la portata.



  • 3) Un «non Papa», occupante il Trono di Pietro, potrebbe tuttavia salvare l’indefettibilità della Chiesa dando continuità – con le sue nomine cardinalizie e nelle sedi episcopali – alla gerarchia materiale? Sarebbe così agevole dimostrare che l’infallibilità dottrinale è salvata dall’assenza di un Papa vero e proprio, mentre il semplice «Papato materiale» salverebbe la continuità della Chiesa. Verrebbe in supporto di questo schema anche il tema del «titolo colorato». Cosa ne pensa?


La risposta è semplicissima. Il “Papa materiale” della famosa tesi è a tutti gli effetti un non-Papa, una persona non avente alcuna giurisdizione. Per la tesi è solo uno che potrebbe avere giurisdizione se si convertisse. Quindi il discorso è esattamente lo stesso che per ogni altro sedevacantismo, in nessun modo è garantita la continuità dell’istituzione. Per la tesi come per ogni altro sedevacantismo attualmente la società ecclesiastica è scomparsa, al massimo ci viene spiegato come e in quali persone potrebbe (o potrà) riapparire. Questo espediente, che non risolve nulla sul presente, è anche problematico nel suo meccanismo: come un non-Papa possa nominare dei non-Cardinali e dei non-Vescovi residenziali è già inspiegabile. Dire poi che se uno di questi si convertisse riceverebbe la giurisdizione è ancora più problematico, perché non si saprebbe da chi (in quanto mancherebbe il Papa da cui riceverla). Dire che in virtù del titolo (“colorato”) ricevuto da un non-Papa l’ecclesiastico convertito possa procedere a un conclave o alla convocazione di un concilio imperfetto, è cosa che mostra solo come il grande edificio della tesi tenti di reggersi in piedi sulla punta di uno spillo.



  • 4) A questo punto però, avendo escluso l’ipotesi sedevacantista, si dovrebbe spiegare come mai in documenti che sembrano assolutamente magisteriali o in leggi universali possano trovarsi errori ed eresie che la stessa Fraternità apertamente rifiuta e denuncia, benché vengano da autorità riconosciute come tali. Quale spiegazione alternativa al sedevacantismo si può dare a questa situazione?


Chiaramente questo punto è la chiave di tutto il problema. Il problema non viene tanto dall’eresia del Papa (come abbiamo visto sopra) quanto dal fatto che l’eresia sembra contenuta in documenti magisteriali o in leggi universali (anche liturgiche), che dovrebbero godere dell’infallibilità definita dal Vaticano I, o almeno avere un valore tale da non poter essere discussi. A nostro giudizio per una soluzione non può bastare la distinzione tra Magistero infallibile e non infallibile, a cui alcuni in certi momenti hanno fatto riferimento per uscire dall’impasse. Partiremo dall’assunto che tutto il Magistero vero e proprio è, in buona sostanza e secondo tutte le tesi teologiche, indiscutibile. L’opinione più probabile e che, andando per esclusione, può conciliare tutti gli aspetti del problema, è quella di un rifiuto generale, da parte dei Pontefici moderni, dell’uso del potere magisteriale. Le tesi sedevacantiste insistono sull’assenza di tale potere, che spiegherebbe la presenza di errore. Poiché tale potere (che è parte del potere di governo) deve essere presente nella società ecclesiastica, come abbiamo visto, pena la scomparsa della medesima, la questione deve essere spostata dal livello del possesso del potere a quello del suo uso. Possiamo constatare il rifiuto dell’uso dell’infallibilità in modo assolutamente chiaro in numerosi documenti ufficiali già esaminati. Quanto al rifiuto dell’uso del potere magisteriale in senso più largo, al punto da ridurre i testi anche pubblici e apparentemente “magisteriali” a semplici scritti privati, buoni o cattivi che siano, questo va fondato in un discorso più generale. Da un lato il principio posto con il Concilio della libertà religiosa sembra incompatibile con un esercizio del potere magisteriale che si imponga alle coscienze; così pure il liberalismo e il comportamento dei Papi moderni sembra lontano dalla volontà di usare di un potere vincolante e definitorio della verità. Si parla qui strettamente del potere di definire una verità come rivelata da Dio, non di una volontà coattiva in materia pratica che non ha mancato di manifestarsi più volte anche in questi ultimi Pontefici. Occorre fare attenzione a non restare vittima di nomi privati di sostanza: quando un Papa come Paolo VI, che professa la libertà religiosa (per esempio) parla di “supremo Magistero ordinario” non vuole necessariamente dire la stessa cosa che intendeva Pio XII quando usava tale espressione. Quando Papa Francesco, che ha pubblicamente dichiarato a Scalfari il primato assoluto della coscienza, dice di usare il Magistero, probabilmente non intende la stessa cosa che intendeva san Pio X. Occorre andare alle cose singole e non fermarsi ai nomi di generi e specie, che possono essere usati per designare individui ben distanti tra loro. Il Magistero è un potere che si esercita in atti volontari singoli, ad alcuni dei quali è volontariamente legata l’infallibilità o un altro grado di autorità dottrinale, secondo quanto il Pontefice in quell’atto o in quel contesto manifesta.


Forse la chiave di tutto sta proprio nel fatto che la professione degli errori e delle eresie costituisce di per se stessa un obex, un ostacolo, all’esercizio (e NON al possesso) del potere magisteriale. L’esercizio del Magistero e il grado del medesimo sono frutto di un atto volontario del Pontefice quando vuole insegnare alla Chiesa: la professione dell’errore renderebbe sistematicamente impossibile il volere un tale tipo di atto. In pratica basterebbe spostare il discorso dal possesso all’uso del potere, dal livello materia/forma a quello atto primo/atto secondo per trovare una possibile via d’uscita al dilemma. Il Papa è tale (quindi la Chiesa continua ad esistere) ma non vuole agire da Papa (o non può per un ostacolo, un impedimento, messo da lui stesso: la sede è piena ma in qualche modo impedita): la negligenza nel porre azioni dovute da parte del Pontefice, unita allo scandalo del “dire pubblicamente” l’eresia mette in crisi generale la società ecclesiastica, senza però che venga a mancare ciò che permetterebbe di porre questi atti.


In questo senso anche l’infallibilità legata alle leggi universali (o alle canonizzazioni), che garantisce che non possano contenere nulla contro la fede, non sarebbe più esercitata: verrebbe infatti meno la volontà di unire questi atti, ormai snaturati ed equivoci, alla conformità e all’esplicitazione di una dottrina che è scomparsa dall’orizzonte dei Pontefici attuali. Guardiamoci dall’applicare categorie teologiche sul Magistero (che erano già alquanto confuse nel pre-concilio) alla situazione attuale, al di là dei nomi stessi.



  • 5) Giunti a questo punto molti porrebbero una semplice obiezione: l’idea di un Papato caratterizzato da errori abituali nei campi della Fede e della morale e da «comandi» relativi al governo della Chiesa cui è necessario disobbedire per restare fedeli alla Tradizione Cattolica, non risulta forse troppo distante dalle sontuose parole di Pastor Aeternus (Pio IX)? In questo modo non si configura quasi un «Papato leggero» che – de facto – è un «non Papato»?


Il Papato non è cambiato di una virgola nella sua essenza, è esattamente quello di Pastor Aeternus, sia quanto al possesso del potere magisteriale con la sua nota di infallibilità sia quanto alla sua indispensabile presenza per l’esistenza stessa della Chiesa romana. Non è diventato più leggero. Siamo però costretti a vedere che è “usato” in modo leggero da chi lo detiene attualmente. Piuttosto sarebbe contrario a Pastor Aeternus (che definisce anche il supremo primato di giurisdizione) sostenere l’assenza indefinitamente protratta del Papato come possibile e normale. Il potere di insegnare è presente ma deve essere esercitato in atti volontari, non è una specie di fantasma che aleggia garantendo una sorta di provvidenziale direzione degli atti più quotidiani del Pontefice. Il Magistero non è la vita quotidiana del Papa, né ogni sua parola o addirittura gesto, in un senso quasi profetico (a queste tesi è arrivato, sostanzialmente, un personaggio come don Cantoni). Nessun Papa della storia ha esercitato il Magistero in ogni istante, ma in atti più o meno frequenti e necessari a seconda delle vicende. Alcuni sono stati negligenti nell’intervenire quando lo dovevano. I Papi attuali hanno trascinato la Chiesa in questa crisi per il rigetto del concetto stesso di dottrina rivelata, e quindi della possibilità di porre veri atti magisteriali. Ma tale potere resta, è lì, Dio non l’ha tolto, non ne priva la Chiesa. Basta che il Papa voglia togliere quello che abbiamo chiamato obex. Il Papa rimane la chiave di tutto. Il termine “abituale” è una pericolosa reificazione di una serie di atti che vanno considerati ognuno in modo singolo, per quanto frequenti essi siano.


Del resto, contra factum non fit argumentum: la situazione della Chiesa è questa, la crisi non può consistere nella dissoluzione della società ecclesiastica (il che sarebbe contrario alle promesse divine) ma nell’arrivare alle estreme possibilità di male senza che collassi la struttura della Chiesa Romana. Riusciamo per un pelo a mantenere tutti gli elementi essenziali; la soluzione non può certo essere il sacrificarne uno per mantenere l’altro in un ipotetico pieno funzionamento. Non possiamo pensare che il “magistero” dei Papi attuali sia uguale a quello dei predecessori, come fanno alcuni modernisti, pena il trovarci costretti a cambiare dottrina; non possiamo, per salvare ipoteticamente l’infallibilità, sacrificare l’esistenza della struttura ecclesiastica. Dobbiamo tenere insieme tutti gli elementi, e lo possiamo fare, ma sappiamo di essere arrivati all’estremo limite che le definizioni dogmatiche (e non la retorica) ci consentono.


Per regolarci nella situazione abbiamo tutta la luce che ci viene dal vero Magistero della Chiesa, che non è “vivente” nel senso inteso dai modernisti ma che ha definito ciò che il Cristo ha rivelato: in pratica è tutto “passato”, perché serve a delimitare quello che molti secoli fa il Cristo e gli Apostoli hanno insegnato oppure no.



  • 6) Cambiando tema, una domanda sulla liturgia: chi ritiene valido il novus ordo missae fa spesso leva su tale argomento per suggerire che tale rito sia anche «buono», capace di dispensare grazie per sua propria virtù. In tal modo il fedele viene incoraggiato ad assistere alla «messa nuova», perlomeno quando non possa assistere alla Messa tridentina senza grave incomodo. Può essere un approccio corretto, o va considerato anche il profilo della “liceità” del nuovo rito, come aspetto non meno importante della sua validità, determinante per stabilire che condotta devono seguire i fedeli cattolici?


In nessun tempo è stato permesso ai fedeli cattolici di partecipare a una qualsiasi Messa o sacramento unicamente perché “validi”. L’indiscussa validità sacramentale dei riti degli scismatici orientali non è mai stata considerata una buona ragione per parteciparvi, anzi la Chiesa non solo proibisce formalmente tale partecipazione ma la punisce con il rigore dei canoni. Questo perché la validità dei sacramenti non porta alcun frutto nell’anima quando coesiste con la professione anche solo esteriore (e cosciente) di errori contro la fede. Se quando il sacramento viene amministrato si professano eresie o si compiono sacrilegi, prendere parte a un tale rito (e massimamente ricevendo il sacramento in questione) è un peccato contro la professione di fede, compiuto contestualmente al sacramento, e quindi rende impossibile ricevere la grazia del sacramento medesimo. Parliamo qui ovviamente di partecipazione cosciente a un rito che si sa non esprimere la fede cattolica, al di là della nostra interiore ortodossia: la fede non va solo posseduta interiormente, ma non deve essere mai negata da gesti esterni ad essa contrari o anche solo ambigui. Dal momento in cui percepiamo quanto la nuova messa si distacchi dalla professione di fede cattolica su sacrificio, sacerdozio e presenza reale (cf. Breve esame critico), non possiamo mai prendervi parte, nemmeno sotto il pretesto di partecipare ai sacramenti. Infatti non possiamo contraddire, con la partecipazione a un rito non cattolico, la fede che il sacramento valido in se stesso significa: sarebbe commettere un peccato che ostacolerebbe gli stessi frutti del sacramento, anche ricevuto validamente. Potremmo noi assistere passivamente, e magari avvicinarci solo alla comunione? Evidentemente no, perché partecipare alla comunione durante quel rito sarebbe la massima adesione possibile al contenuto di quel rito. Perfino in punto di morte non si devono accettare i sacramenti in un rito o da ministri non cattolici, qualora questo diventi o anche solo possa sembrare un’adesione ai loro errori.



  • 7) Per quanto concerne il novus ordo – in ogni caso – va detto che pare essere stato promulgato come legge universale. Inoltre è celebrato da tutti i vescovi del mondo. Questa pratica unanime non corrisponde al criterio infallibile del magistero ordinario universale? Come è possibile spiegare questo fatto?


Sul problema della promulgazione del novus ordo come legge universale, che quindi non potrebbe contenere errori contro la fede, al di là dei tentativi di risposta puramente canonici, valga anzitutto quanto detto sopra. Le nuove leggi universali sembrano ormai slegate dalla valenza magisteriale che ebbero un tempo, per volontà di chi le ha promulgate e del concetto della dottrina che i Papi moderni hanno manifestato, oltre che per l’obex che hanno posto all’esercizio del potere magisteriale.


Ugualmente si può capire la risposta all’obiezione sulla nuova messa come “magistero ordinario universale”: un atto magisteriale non è solo un atto materiale di enunciazione della dottrina, ma è formalmente un atto che il Papa vuole come autorevole in senso dottrinale (non solo in senso coattivo) e definitorio. Ciò vale anche per il magistero del corpo episcopale disperso, il cui potere su tutta la Chiesa non è altro che un diverso modo di esercizio dell’autorità del Papa stesso.


 


Risposta a un’obiezione particolare


Riferendosi a quanto detto nel punto 2 sull’esempio delle confessioni, un obiettante dice che in realtà la giurisdizione per confessare viene da Dio con l’ordinazione sacerdotale, e che quello che il Papa concede è la determinazione dei sudditi su cui esercitarla. Quindi in caso di necessità o di vacanza di tutte le sedi (papale ed episcopali, vedi sopra) basterebbe il radicale potere di confessare senza bisogno dell’intervento pontificio.


Intanto facciamo notare che l’obiezione porterebbe soluzione unicamente sul problema delle confessioni, quindi non su quello radicale della sussistenza della società ecclesiastica, ma “solo” su una delle più gravi ed evidenti conseguenze della scomparsa di questa.


L’obiettante in realtà formula in modo alquanto contraddittorio la sua obiezione, che messa così sarebbe semplicemente la negazione della verità cattolica per cui il potere di giurisdizione è necessario a una valida confessione insieme all’Ordine sacerdotale, seppure a diverso titolo. In realtà l’obiettante ammette preliminarmente in chiari termini, con il Magistero e qualsiasi teologo cattolico, che la giurisdizione sia per diritto divino necessaria alla valida assoluzione; ma poi crea una distinzione su una “giurisdizione in foro interno” che verrebbe da Dio tramite l’ordinazione sacerdotale, confondendola con la potestà delle chiavi di cui parla San Tommaso, tramite un paio di citazioni tronche del teologo domenicano Merkelbach. Andiamo dunque a vedere, al di là della formulazione incerta dell’obiettante, cosa dice Merkelbach nel passo che lui stesso cita, riportandolo pressoché per esteso: «La giurisdizione è l’una del foro ecclesiastico o esterno, quando riguarda direttamente e in primo luogo il governo pubblico e l’utilità della Chiesa; l’altra del foro di Dio o interno, quando riguarda direttamente e in primo luogo l’utilità privata di ciascun fedele. La prima è una potestà ecclesiastica e sociale che è concessa dal Pontefice di propria autorità, e perciò da questa è derivata da lui come da causa principale e in suo nome si esercita; l’altra è una potestà non ecclesiastica ma divina, che è concessa per l’autorità propria di Dio [N.B.: qui l’obiettante tronca la sua citazione del testo] (che solo può toccare direttamente la coscienza e il vincolo del peccato), tuttavia mediante il Pontefice come ministro e strumento della divinità, e quindi da esercitarsi non per l’autorità propria della Chiesa, ma per l’autorità di Dio stesso. […] Dunque nel confessore il potere d’ordine e quello di giurisdizione si differenziano in molti modi: 1. Per l’origine (la collazione): Il primo è conferito con la consacrazione, cioè con la sacra ordinazione, e si imprime indelebilmente nel soggetto; l’altro è conferito dal superiore con l’atto esterno della missione (cfr. II-II. q.39, art.1), missione che può essere revocata, diminuita o aumentata, sospesa o limitata […] 2. Per l’essenza. Il poter d’ordine dà l’attitudine prossima e la disposizione al fatto che uno riceva giurisdizione sui sudditi per assolvere i peccati; è una deputazione a esercitare un giudizio sacramentale sui sudditi, se ne ha […] 3. Per l’effetto. Grazie al potere di giurisdizione il giudizio è valido, grazie al potere d’ordine è efficace. Quindi la potestà di giurisdizione si può definire: il potere conferito dal superiore con atto esterno, con la quale il sacerdote può esercitare la giurisdizione sui sudditi nel foro interno e della penitenza, ovvero la legittima deputazione ad esercitare l’ufficio di assolvere determinati penitenti come sudditi»[4].


Quanto a quello che san Tommaso chiama “il potere delle chiavi”, così spiega Merkelbach: «E infatti, dice san Tommaso, quel potere delle chiavi è realmente la stessa cosa del carattere o potestà spirituale del sacramento dell’ordine, così che per essenza è un potere sul Corpo reale di Cristo e sul suo Corpo mistico, ovvero il potere con cui il sacerdote può consacrare l’Eucaristia e il potere con cui può sciogliere e legare, se c’è la giurisdizione (q.17, a.2, ad 1); ma si distinguono secondo la ragione perché si riferiscono a diversi aspetti […] Per cui le chiavi vengono date con l’ordine in una consacrazione, ma l’esecuzione delle chiavi si ottiene tramite la giurisdizione; e così prima della giurisdizione il ministro ha le chiavi, ma non ha l’atto delle chiavi» E per chi ancora non avesse capito in nota Merkelbach aggiunge: «Da ciò appare chiaro che anche secondo san Tommaso la potestà di giurisdizione si distingue dall’ordine e non è data con esso»[5]. Notiamo, se necessario, che parla della giurisdizione non solo in generale ma di quella necessaria al confessore.


Da questi testi appaiono chiari diversi punti di dottrina: che se è vero che il potere di assolvere è essenzialmente potere d’ordine, la giurisdizione è tuttavia condizione necessaria alla validità dell’assoluzione; che certamente la giurisdizione al foro interno fa sì che il confessore agisca in nome di Dio e non in nome del Papa, come accade per una delegazione del potere di governo esterno (questo è, molto semplicemente, il significato di ciò che l’obiettante ha travisato), ma tale giurisdizione è data mediante il Pontefice o un atto del superiore ecclesiastico che da questi l’ha ricevuta e non deriva dall’ordinazione; che la giurisdizione necessaria alla valida confessione è altro, per essenza e per origine, dal potere d’ordine; che l’espressione “potere delle chiavi” usata da san Tommaso quanto alla confessione non indica altro che il potere d’ordine sotto l’aspetto del potere di assolvere, e che questo è insufficiente –senza giurisdizione- alla validità del sacramento. Il caso di necessità non fa cessare ciò che è di diritto divino, cioè la necessità della giurisdizione, ma allarga solo ciò che è di diritto ecclesiastico (cioè i modi di trasmissione della medesima, ma non la loro fonte ultima che non è l’ordinazione o un potere da essa derivante). L’obiezione è quindi inefficace, nel voler provare che esista una sorta di giurisdizione sufficiente a confessare che avrebbe altra fonte che l’autorità che garantisce anche la giurisdizione al foro esterno; inoltre l’obiezione travisa più o meno volutamente il testo che cita e che noi abbiamo ampiamente citato a comodità del lettore.


***


[1] Se e come la giurisdizione delegata dal Papa (per diritto ecclesiastico) ad altri prelati che i Vescovi residenziali permanga e in quale misura, è problema canonico-teologico che non cambia in nulla la sostanza del nostro discorso; quindi non menzioniamo la problematica qui.


[2] Attenzione: non stiamo affermando che la giurisdizione dei vescovi residenziali sommati tra loro, vacante la Sede apostolica, sia equivalente alla giurisdizione universale del Pontefice. Quando il Papa muore, indubbiamente viene a mancare la giurisdizione universale e suprema, ma ne permangono gli effetti nella potestà ordinaria che i vescovi residenziali dal Papa avevano ricevuto. Quindi permane l’effetto del potere supremo che garantisce quei legami che costituiscono la società ecclesiastica e le permettono di rimanere se stessa e di permanere in attesa di un nuovo Vicario di Cristo.


[3] Diamo per noto il dogma che richiede al sacerdote che deve confessare non solo il potere d’Ordine, ma anche la giurisdizione su colui che confessa. La confessione è in effetti un vero giudizio, che richiede un’autorità di governo sul penitente. Se il potere dell’Ordine sacerdotale conferisce radicalmente il potere di confessare, la giurisdizione sul penitente è necessaria come condizione alla validità del sacramento. I parroci o altri sacerdoti in cura d’anime ricevono stabilmente questo potere; tutti i sacerdoti, anche eretici o scomunicati, lo ricevono ad casum per confessare i moribondi o nella grave necessità generale.


[4] » «Iurisdictio est alia fori Ecclesiae seu externi, quando directe et primario spectat publicum Ecclesiae regimen et utilitatem; alia fori Dei seu interni, quando directe et primario spectat privatam cuiuslibet fidelis utilitatem. Prior est potestas ecclesiastica et socialis quae conceditur a Pontifice ex propria auctoritate, et ideo ex hac derivatur ab eo ut a causa principali et auctoritate eius exercetur; altera est potestas non ecclesiastica sed divina, quae conceditur auctoritate propria Dei (qui solus valet directe attingere consicientiam et vinculum peccati), mediante tamen Pontifice ut ministro et instrumento divinitatis, et ideo non auctoritate Ecclesiae propria sed auctoritate ipsius Dei exercenda. […] Itaque in confessario potestas ordinis et potestas iurisdictionis differunt multipliciter: 1. CollationePrior consecratione scil. sacra ordinatione confertur et indebiliter subiecto inhaeret; altera actu esterno missionis ad subditos a superiore confertur (cfr. II-II, q.39, art.1), quae missio revocari potest, minui aut augeri, suspendi aut limitari […] 2. Essentia. Potestas ordinis dat proximam aptitudinem et dispositionem ad hoc quod quis recipiat iurisdictionem in subditos ad absolvendum a peccatis; est deputatio ad exercendum iudicium sacramentale in subditos, si quos habet […] 3. Effectu. Ex potestate iurisdicitonis iudicium est validum, ex potestate ordinis est efficax. Hinc potestas iurisdictionis definiri potest: Potestas externo superioris actu collata, qua sacerdos iurisdictionem exercere potest erga subditos in foro interno et poenitentiali, seu deputatio legitima ad exercendum munus absolvendi a peccatis modo iudiciali poenitentes determinatos tamquam subditos». Merkelbach o.p., Summa Theologiae moralis III, tract. De Poenitentia IV pars, q. I (n. 569)


[5] «Etenim, ait Sanctus Thomas, potestas illa clavium realiter idem est ac character seu potestas spiritualis instrumentalis ordinis, ita ut eadem per essentiam sit potestas in corpus Christi reale et in corpus Christi mysticum, seu potestas qua sacerdos conficere potest Eucharistiam et potestas qua potest solvere et ligare, si iurisdictio adsit (q. 17, art. 2, ad 1); sed differunt ratione secundum quod ad diversus effectus comparantur […] Unde claves dantur cum ordine in aliqua consercratione, sed exsecutio clavis indiget materia debita circa quam exercetur, scil. subditis, et ideo actus clavium habetur per iurisdictionem; et ita ante iurisdictionem minister habet claves, sed non habet actum clavium». E in nota Merkelbach aggiunge: «Ex quo patet, etiam secundum Sanctum Thomam, potestatem iurisdictionis distingui ab ordine nec cum eo dari» (ibidemn.570)




[Modificato da Caterina63 05/11/2017 10:16]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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VI HANNO INGANNATI !

Due parole scomode a un giovane cattolico


di Francesco Lamendola


Articolo pubblicato sul sito Accademia Nuova Italia
già pubblicato il 30 novembre 2016 e ripreso il 16 novembre 2017

Presentazione, impaginazione e neretti sono nostri



Presentazione

Salvare il seme !


Sulle riflessioni di Francesco Lamendola

A chi gli chiedeva cosa fare di fronte al declino inarrestabile della Chiesa Cattolica, Alessandro Gnocchi, dalle colonne della sua rubrica“Fuori Moda” (sul sito Riscossa Cristiana)  rispondeva “Salvare il seme!”,  affinché possa nuovamente germogliare in futuro e ridare rinnovato vigore alla Santa Madre Chiesa, quella Una, Santa, Cattolica, Apostolica,  all’infuori della quale non c’è salvezza (Extra Ecclesiae Nulla Salus).
Ebbene, a questo compito ben assolvono, a nostro avviso,  gli articoli del professor Francesco Lamendola, pubblicati su alcuni siti internet e da noi ripresi per offrirli alla considerazione dei lettori del nostro sito.
A noi sembra che dagli scritti di Lamendola  emergano chiaramente le cause della crisi che attanaglia la Chiesa di Cristo da oltre un cinquantennio, il suo attuale “motus in fine velocior”, nonché i disastri che si prospettano all’orizzonte nell’immediato futuro; e tutto questo accompagnato e sostenuto dalla retta dottrina bimillenaria della Chiesa, quel “depoisitum fidei” affidato da Nostro Signore Gesù Cristo ai suoi discepoli affinché lo custodissero gelosamente, senza stravolgerlo o manipolarlo, come fatto negli ultimi 50 anni, dando ad intendere che si trattasse solo di un “aggiornamento pastorale”.
In questi tempi di oscurità, se il clero, divenuto sale insipido, non fa più germogliare il seme, essendo divenuto relativista, sincretista, immanentista e antropocentrico, a volte perfino apostata, allora diventa inevitabile che spetti ai laici difendere l’ultimo bastione della cattolicità dagli assalti furiosi del dragone infernale (il pensiero qui corre al libro“L’ultima battaglia del diavolo”, del reverendo  Paul Kramer), e se possibile, con l’aiuto di Dio, assolvere l’arduo compito di “salvare il seme”.

Dopo aver lanciato l’accorato appello “Salviamo i giovani!”, in questo articolo  Lamendola si rivolge ad un ipoetico giovane nato 20-30 anni dopo il C.V. II,  per dimostrargli, con una lezione di catechismo a carattere antimodernista, come tutto ciò che gli è stato insegnato dalle catechiste in parrocchia, e poi dagli insegnanti di religione, sia un colossale inganno, una palese mistificazione e falsificazione del vero Vangelo di Nostro Signore Gesù Cristo. Alle possibili rimostranze del giovane che, nella sua (indotta) mentalità modernista potrebbe considerarlo un semplice “nostalgico dei tempi andati”, Lamendola  risponde “La cosa è molto più profonda, più grave e urgente: ne va della salvezza delle anime”.
FRF




Due parole scomode a un giovane cattolico.
Stai attento a non lasciarti ingannare quella che ti viene presentata come la religione cattolica spesso non è affatto tale:
con la scusa di cambiare i modi si è cambiato tutto 



Caro amico, tu e gli altri che siete nati venti o trenta anni dopo la conclusione del Concilio Vaticano II, c’è una cosa che dovete sapere, e che può dirvi solo chi appartiene alla generazione precedente la vostra: vi hanno ingannati. O vi stanno ingannando. Oppure ancora: state attenti a non lasciarvi ingannare. 
Quella che vi viene presentata come la religione cattolica - non diciamo sempre, ma spesso - non è affatto tale. Le cose che vi dicono gli insegnanti di religione cattolica, nella scuola media e superiore, sovente non corrispondono alla dottrina cattolica. E la stessa cosa vale per ciò che vi insegnano le catechiste, all’oratorio parrocchiale: magari con tanta buona volontà, ma con poca dottrina ed ancor più scarso discernimento. Anche delle prediche in chiesa, durante la santa Messa, non dovete fidarvi del tutto, purtroppo: ci sono in giro troppi preti che si sentono autorizzati a interpretare e stravolgere il Vangelo secondo la loro personale ideologia.

La buona volontà non basta: ci vuole la conoscenza delle Scritture e della sacra Tradizione; ci vuole la fede, accompagnata dai doni dello Spirito Santo; ci vuole la grazia divina, che illumini la mente e riscaldi il cuore. Se si vive così come vive la gente del mondo, si perde di vista il Vangelo; peggio: si finisce per interpretarlo secondo il mondo e non secondo il volere di Dio. Cioè si finisce per cercare proprio in esso una giustificazione ed una legittimazione di stili di vita e modi di pensare che non hanno niente di cristiano, né di cattolico. 
Il che non è solamente temerario: è, soprattutto, blasfemo. Pretendere di cambiare il senso del Vangelo per cercarvi un appiglio che assolva gli uomini dal peccato, è blasfemo e diabolico. Ma è quello che alcuni teologi sedicenti cattolici stanno facendo: lentamente, silenziosamente, quotidianamente. Stanno lavorando in maniera alacre, metodica, quasi scientifica, per demolire la Chiesa di Dio, la Chiesa dei santi, la Chiesa di sempre, e sostituirla con la Chiesa degli uomini: il tempo del relativismo e del permissivismo, del perdono all’ingrosso, magari senza vero pentimento; il tempo della confusione voluta e programmata, il tempo dell’apostasia dalla Verità.

Tu ti stupisci: vedo già la tua espressione meravigliata e incredula. Hai ragione. 
Se quel che ti stiamo dicendo fosse vero, la cosa sarebbe gravissima; ma quali prove abbiamo da portare? 
Ti possiamo portare l’esempio della nostra vita: di quello che abbiamo visto; di quello che la Chiesa era, ed è stata per secoli e secoli, sin dalle origini; di quello che ci è stato insegnato con zelo, con amore, con scienza, da preti e suore di prima del Concilio, che non erano dei vecchi barbogi, ma, generalmente parlando, degli autentici uomini e delle autentiche donne del Signore; e di quello che stava scritto nei manuali di teologia, che veniva insegnato nei seminari, che veniva predicato dal pulpito; infine, cosa ancora più importante, di quello che ci veniva insegnato in famiglia, dai nonni, dai genitori, soprattutto dalle mamme, e in primo luogo con l’esempio, assai più che a parole, in termini di dottrina cattolica e di morale cattolica. 

Tu adesso penserai: Ma è normale che le cose cambino; i tempi cambiano, tutto deve cambiare, tutto deve adattarsi alle nuove condizioni della vita, dell’economia, della società, della cultura, della politica. Ecco: questo è già un modo di pensare non cattolico; e non ve ne accorgete, tu e i tuoi coetanei, perché in questo errore siete stati cresciuti. 
Il Vangelo non cambia; non cambia, né può cambiare, la sua sostanza, il suo insegnamento perenne, la sua Verità soprannaturale. Certo, può cambiare, moderatamente, il modo di porgerlo; ma appunto qui si è consumato il tradimento: il modo è diventato, poco a poco, la sostanza; e, con la scusa di cambiare i modi, si è cambiato tutto.

Ti sei probabilmente stupito, e quasi divertito, allorché, poco fa, abbiamo affermato che voler inserire, surrettiziamente, modi di pensare e di agire non cattolici, all’interno della dottrina e della morale cattolica, è temerario e blasfemo: e questo tuo stupore, quel tuo sorriso, sono la prova che abbiamo colto nel segno. 
Poco ti è stato detto del peccato, della fragilità umana, dell’uomo peccatore: molti sacerdoti, oggi, sorvolano su questo aspetto; i teologi, ancor di più: a sentir loro, l’uomo è una creatura eccellente e meravigliosa, che ha bisogno solo di un piccolo aiuto da pare di Dio e che, di fronte al mistero della vita e della morte, non deve preoccuparsi di nulla, né prendersela troppo a cuore, perché, alla fine, la misericordia del Signore è talmente grande, che nessuno ne rimane escluso. Errore. 
Se leggi il Vangelo, vedrai che Gesù parla molto spesso di coloro che restano fuori: le vergini stolte, ad esempio, o gli invitati indegni: e non solo restano fuori, mentre i portoni del palazzo vengono chiusi, ed essi si trovano dove sono tenebre e stridore di denti; ma vengono anche legati e gettati nell’inferno, in mezzo al fuoco eterno. 
Gesù li chiama “maledetti” e li ammonisce con parole severissime: Via da me, maledetti; non vi conosco: andatevene nel fuoco eterno. 

Ecco, lo vedi che ti hanno ingannato? Ti hanno insegnato un vangelo che non è il Vangelo: perché, nel Vangelo, c’è anche - anzi, è al centro - il concetto del Giudizio: quando i buoni saranno premiati e i malvagi saranno puniti.  Per l’eternità. 
Sì, lo sappiamo: oggi non va di moda parlar di queste cose; i preti hanno ben altro da predicare. Predicano l’amore, l’accoglienza, la fratellanza, la misericordia; e si sentono buoni, si sentono pieni di sacro zelo, anzi, si sentono migliori di tutti gli altri, come Marta si sentiva migliore di Maria (e non lo era), perché fanno vedere che sono uomini pratici, loro, e che il Vangelo è fatto di opere, non di chiacchiere. 
Falso anche questo. Il Vangelo è la Parola di Gesù Cristo. Chiaro che chi ascolta la Sua parola, deve anche metterla in pratica; ma metterla in pratica non significa, automaticamente, passare all’azione materiale. Prima viene la salvezza dell’anima; prima viene l’amor di Dio; quindi, prima viene la preghiera, e, innanzitutto, la preghiera di lode e di ringraziamento. Va bene pregare per chiedere ciò di cui si ha bisogno, ma Dio sa già ciò di cui abbiamo bisogno; ce lo ha ricordato Gesù stesso. Perciò, la preghiera più bella e più profonda è quella che non chiede nulla; quella che dà lode e ringraziamento a Dio; e quella che offre a Lui le nostre pene, le nostre sofferenze, con spirito di piena accettazione, per somigliare a Lui, che ha preso su di sé tutto il male del mondo, per amor nostro.

Il fatto che i sacerdoti, i catechisti e gli insegnanti di religione, oggi, non parlino quasi più del peccato, del male, del diavolo e dell’inferno, ha un significato ben preciso: significa che stanno stravolgendo, gradualmente e silenziosamente, il cristianesimo; che stanno manipolando il Vangelo: cosa empia e intollerabile. 
Il fatto che certi documenti del Magistero affermino, o lascino intendere, che la misericordia di Dio abbraccia sempre tutto e tutti, quasi che il pentimento del male fatto non sia la condizione assolutamente necessaria per ottenere il perdono di Dio, è uno stravolgimento della parola di Cristo: cosa empia e intollerabile. 
Il fatto che si parli sempre e solo della misericordia di Dio, e mai della Sua giustizia, è un altro stravolgimento del Vangelo, ancor più esiziale, ancor più foriero di disastrose conseguenze per la vita dell’anima; cosa empia e intollerabile. 
Lo scopo del Vangelo è la salvezza delle anime; ma se il suo messaggio viene distorto, le anime vengono spinte verso il pericolo, verso l’abisso. 

Costoro si sono assunti una responsabilità tremenda: tanto più grave in quanto essi, che conoscono perfettamente la sana e autentica dottrina cattolica, la stanno modificando, avvantaggiandosi del fatto che voi giovani, per motivi anagrafici, non avete potuto ricevere la formazione, le parole, gli esempi, della sana e autentica dottrina cattolica. 
Dunque, si stanno approfittando della vostra ignoranza e della vostra inconsapevolezza. Stanno insegnando una marmellata dove tutto, alla fine, va bene, e dove il cattolicesimo, in fin dei conti, non si distingue molto da qualsiasi altra dottrina religiosa. 
E lo dicono esplicitamente: tutte le religioni portano a Dio, perché tutte contengono una parte di verità. 

Tu, come i tuoi coetanei, sei cresciuto ascoltando simili cose: ma questo non è il Vangelo. Ti hanno ingannato, vi hanno ingannati. Le parole di Gesù, vai a rileggerti il Vangelo, sono queste: Andate, battezzate e predicate il Vangelo; chi sarà battezzato e crederà, sarà salvato; ma chi non crederà, sarà condannato. 
Sissignori: Gesù dice proprio così: Chi non crederà, sarà condannato (Marco, 16, 16). 

Che cosa ti hanno fatto credere, che Gesù sia un damerino dalle vesti svolazzanti, tutto sorrisi e tenerezze? Certo, Egli è anche sorrisi e tenerezze; ma è anche il Cristo, Re dell’universo; è anche Cristo giudice, Signore del cielo e della terra, colui che viene a giudicare i vivi e i morti, le cose visibili e quelle invisibili. 
Non te l’hanno detto, non te l’hanno insegnato? È perché non ti hanno insegnato il Vangelo di Gesù, ma un altro vangelo: il loro; che vale meno di zero; anzi, che rischia di essere occasione di scandalo e di peccato, perché, con l’apparenza di essere il vero Vangelo, in realtà ne sovverte sottilmente il senso, ne rovescia la prospettiva. 
Non è il Vangelo di Gesù, figlio di Dio, ma il vangelo dell’uomo. 
Vi si parla molto più dell’uomo, che di Dio. Del timor di Dio, non si parla proprio; ma anche questo è sbagliato ed eretico: leggi il libro di Isaia, leggi il Nuovo Testamento, le lettere di san Paolo, l’Apocalisse, e te ne renderai conto. 

È un vangelo gnostico-massonico, relativista e permissivista, dove si parla troppo di quel che l’uomo sa fare e troppo poco di quel che non sa e non può fare. Non sa fare la cosa più importante di tutte: non sa e non può redimersi da solo. Dio soltanto lo può redimere. L’uomo è peccatore; ma, conservando il bene del libero arbitrio, può trarsi fuori dal peccato e ritornare a Dio. 
Deve, però, volerlo. 
Dio gli viene incontro; ma anche lui si deve muovere. Non può fare tutto Dio: se così fosse, l’uomo non avrebbe alcun merito nella propria salvezza, e santi e peccatori riceverebbero lo stesso trattamento. Il che è ingiusto, dunque cristianamente impossibile. Ricordati la parabola del padre misericordioso: il padre,  felice del ritorno di suo figlio, gli va incontro, lo bacia e lo abbraccia: ma è il figlio che si è pentito, che si è messo sulla strada di casa, e che, davanti al padre suo, si getta in ginocchio, e gli confessa con parole franche: Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te. Non sono più degno di essere chiamato tuo figlio! Trattami come l’ultimo dei tuoi servi. 
Questo è il giusto atteggiamento dell’uomo davanti a Dio: e temiamo che te ne abbiano parlato molto, troppo poco. Ti hanno certo parlato della misericordia inesauribile di Dio, e ciò è giusto; ma avrebbero dovuto parlarti anche della necessità del pentimento da parte del peccatore. Niente pentimento, nessuna misericordia. Questa è la giustizia: e non c’è teologo modernista o prete progressista che la possa adulterare.

Ecco dove si arriva, se si parla solo dell’amore e della misericordia di Dio, ma si tace della Sua giustizia. Giustizia è dare a ciascuno quel che gli è dovuto, secondo i suoi meriti. Questa sopravvalutazione dell’uomo, i teologi modernisti la chiamano “svolta antropologica”: essa fa la sua comparsa durante e dopo il Concilio Vaticano II; prima non c’era. Prima, Dio era Dio, e l’uomo era l’uomo; Dio era il Salvatore, l’uomo, il peccatore che può essere redento (e non già redimersi) mediante il pentimento e la penitenza. 
Dio e l’uomo non stanno su un piede di parità. Dio è il Creatore, l’uomo è la creatura. Ci si vergogna a dire simile banalità; ma per te, caro giovane, non sono banalità, sono parole nuove e inaudite, perché ben poche volte ti sono state dette, e quindi ti paiono strane, innaturali. 
Ripetiamo: sei stato ingannato. Ti è stata taciuta la parte più importante, e la più bella, del cristianesimo: la dimensione del soprannaturale. 
Pare che il cristianesimo sia una faccenda soprattutto umana; ma non è così: il cristianesimo viene dall’Incarnazione di Gesù Cristo, il Verbo fatto carne, dalla sua Passione, Morte e Resurrezione; e viene dalla fede degli uomini in lui, Redentore dell’umanità, fonte inesauribile di speranza, di forza e di consolazione per tutti, e specialmente per i sofferenti, i tribolati, gli scoraggiati, gli oppressi. 
Che cosa credevi? Che essere cristiano fosse una cosa facile e pulita, come bere un bicchier d’acqua? Che bastasse andare in chiesa una volta a settimana, assistere a una Messa strimpellata con le chitarre e sovrastata da canzoni sguaiate, stravolta da una predica mondana e priva di spiritualità, in cui – magari – ci si fa beffe del culto della Vergine Maria, del Rosario, degli Angeli e dei Santi, e ci si sente dire quel che fa piacere agli uomini d’oggi? 
Guai a me se non annunciassi il Vangelo, dice san Paolo; ma il Vangelo di Gesù, non il vangelo modernista e progressista, antropocentrico e demagogico.

Tu, forse, adesso starai pensando: Ho capito: costoro hanno nostalgia dei tempi andati; hanno nostalgia della Messa in latino e del canto gregoriano. Non è così; certo, come potremmo non avere nostalgia della Messa in latino e del canto gregoriano? Essi conferivano alla sacra liturgia una solennità particolare, ineffabile, che non può nemmeno immaginare, chi non l’ha vissuta. 
Ma non si tratta solo di questo. La cosa è molto più profonda, più grave e urgente: ne va della salvezza delle anime. 
Non si può far credere al cristiano che il Vangelo può e deve essere “aggiornato” mano a mano che mutano i costumi: sarebbe come dire che non il Vangelo deve convertire il mondo, ma che il modo converte il Vangelo; il che è assurdo, e peggio. 
Gesù è venuto per convertire il modo, e ha detto ai suoi: Vi lascio la pace, vi do la mia pace; ve la do, non come la dà il mondo.

Caro amico, armati di coraggio e chiedi l’aiuto di Dio, che ti faccia incontrare un vero sacerdote. Hai davanti un compito immenso; non lasciarti ingannare. 
E soprattutto prega, senza stancarti mai...




[Modificato da Caterina63 29/11/2017 20:23]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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03/01/2018 22:36
 
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  Era ora che qualche Vescovo cominciasse a fare chiarezza, nel marasma e nella confusione in cui si trova oggi la Chiesa.

Questi tre Vescovi, Mons. Peta, Mons. Schneider e Mons. Lenga hanno pubblicato una Correzione Ufficiale agli errori morali e dottrinali dell’Amoris Laetitia.
Una cosa che aspettavamo da tempo. Reputo questo documento della massima importanza, perché a questo punto siamo ad un bivio. Questa infatti non è più una richiesta di chiarezza a Bergoglio, ma è proprio una Correzione Formale ai suoi errori.Soprattutto fatta da Vescovi. Che si sono sentiti in dovere di “chiarire” la deriva Bergogliana.
Ecco perché vi dico: cari lettori, siamo ad un bivio. Ora è chiaro che si scatenerà un putiferio, perché Bergoglio sguinzaglierà i suoi “cani da guardia” giornalisti, editorialisti, Sale Stampa, per attaccare o intimorire questi coraggiosi Vescovi. Ma siamo arrivati al bivio: seguire la Vera Dottrina pronunciata oggi ufficialmente da Vescovi Cattolici o seguire la deriva e l’eresia di Bergoglio? Personalmente opto per la prima ovviamente. Anche se l’idea dello scisma non mi ha mai fatto impazzire. Ma se le cose continuano di questo passo, prima o poi una cosa del genere succederà. Infatti i malumori ormai sono tanti. E anche tra i fedeli e teologi c’è un movimento di ribellione nei confronti di questa eresia dilagante. La stampa ne parla poco (perché fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce). Ma vi assicuro che la maggioranza dei Cattolici non sono per niente in sintonia con questo Pontificato.


Che farà Bergoglio ora? Se prende provvedimenti contro questi Vescovi, credo si arrivi alla rivolta. Se tace, ne esce con le ossa completamente rotte, perché sarebbe una figura di m…. colossale. Ma solitamente il suo carattere impulsivo gli farà fare qualche ossa. Da buon dittatore sudamericano si starà già consultando con i suoi leccacalzini.

Staremo a vedere. Ma una cosa vi chiedo. Preghiamo intensamente per questi Vescovi, perché per loro inizierà la persecuzione. Preghiamo per la Chiesa intera, perché sento che sta per succedere qualcosa di impressionante che non si è mai visto prima d’ora.

Da parte nostra, come Blog,CI SENTIAMO DI SOSTENERE QUESTI VESCOVI EROICI E DI SOSTENERE IN PIENO LA LORO CORREZIONE. VI CHIEDO DI DIVULGARLA IL PIU’ POSSIBILE.

Eccola (ve la espongo con la traduzione del giornalista Dott. Marco Tosatti che ringrazio per aver pubblicato interamente il testo):

Professione delle verità immutabili riguardo al matrimonio sacramentale

Dopo la pubblicazione dell’Esortazione Apostolica “Amoris laetitia” (2016) vari vescovi hanno emanato a livello locale, regionale e nazionale norme applicative riguardanti la disciplina sacramentale di quei fedeli, detti “divorziati risposati”, i quali, vivendo ancora il loro coniuge al quale sono uniti con un valido vincolo matrimoniale sacramentale, hanno tuttavia iniziato una stabile convivenza more uxorio con una persona che non è il loro coniuge legittimo.

Le norme menzionate prevedono tra l’altro che in casi individuali le persone, dette “divorziati risposati”, possano ricevere il sacramento della Penitenza e la Santa Comunione, pur continuando a vivere abitualmente e intenzionalmente more uxorio con una persona che non è il loro coniuge legittimo. Tali norme pastorali hanno ricevuto l’approvazione da parte di diverse autorità gerarchiche. Alcune di queste norme hanno ricevuto l’approvazione persino da parte della suprema autorità della Chiesa.

La diffusione di tali norme pastorali, ecclesiasticamente approvate, ha causato una notevole e sempre più crescente confusione tra i fedeli e il clero, una confusione che tocca le centrali manifestazioni della vita della Chiesa, quali sono il matrimonio sacramentale con la famiglia, la chiesa domestica e il sacramento della Santissima Eucaristia.

Secondo la dottrina della Chiesa solamente il vincolo matrimoniale sacramentale costituisce una chiesa domestica (cf. Concilio Vaticano Secondo, Lumen gentium, 11). L’ammissione dei fedeli cosiddetti “divorziati risposati” alla Santa Comunione, che è la massima espressione dell’unità di Cristo-Sposo con la Sua Chiesa, significa nella pratica un modo d’approvazione o di legittimazione del divorzio, e in questo senso una specie di introduzione del divorzio nella vita della Chiesa.

Le menzionate norme pastorali si rivelano di fatto e col tempo come un mezzo di diffusione della “piaga del divorzio”, un’espressione usata dal Concilio Vaticano Secondo (cf. Gaudium et spes, 47). Si tratta di una diffusione della “piaga del divorzio” persino nella vita della Chiesa, quando la Chiesa, invece, dovrebbe essere, a causa della sua fedeltà incondizionata alla dottrina di Cristo, un baluardo e un inconfondibile segno di contraddizione contro la piaga ogni giorno più dilagante del divorzio nella società civile.

In modo inequivoco e senza ammettere nessuna eccezione Nostro Signore e Redentore Gesù Cristo ha solennemente riconfermato la volontà di Dio riguardo al divieto assoluto del divorzio. Un’approvazione o legittimazione della violazione della sacralità del vincolo matrimoniale, seppure indirettamente tramite la menzionata nuova disciplina sacramentale, contraddice in modo grave l’espressa volontà di Dio e il Suo comandamento. Tale pratica rappresenta perciò un’alterazione sostanziale della bimillenaria disciplina sacramentale della Chiesa. Inoltre, una disciplina sostanzialmente alterata comporterà col tempo anche un’alterazione nella corrispondente dottrina.

Il costante Magistero della Chiesa, cominciando dagli insegnamenti degli Apostoli e di tutti i Sommi Pontefici, ha conservato e fedelmente trasmesso sia nella dottrina (nella teoria) sia nella disciplina sacramentale (nella pratica) in modo inequivoco, senza alcuna ombra di dubbio e sempre nello stesso senso e nello stesso significato (eodem sensu eademque sententia) il cristallino insegnamento di Cristo riguardo all’indissolubilità del matrimonio.

A causa della sua natura Divinamente stabilita, la disciplina dei sacramenti non deve mai contraddire la parola rivelata di Dio e la fede della Chiesa nell’indissolubilità assoluta del matrimonio rato e consumato. “I sacramenti non solo suppongono la fede, ma con le parole e gli elementi rituali la nutrono, la irrobustiscono e la esprimono; perciò vengono chiamati sacramenti della fede” (Concilio Vaticano Secondo, Sacrosanctum Concilium, 59). “Neppure l’autorità suprema nella Chiesa può cambiare la liturgia a sua discrezione, ma unicamente nell’obbedienza della fede e nel religioso rispetto del mistero della liturgia” (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1125). La fede cattolica per sua natura esclude una formale contraddizione tra la fede professata da un lato e la vita e la pratica dei sacramenti dall’altro. In questo senso si può intendere anche la seguente affermazione del Magistero: “La dissociazione tra la fede che si professa e la vita quotidiana, va annoverata tra i più gravi errori del nostro tempo” (Concilio Vaticano Secondo, Gaudium et spes, 43) e “la pedagogia concreta della Chiesa deve sempre essere connessa e non mai separata dalla sua dottrina” (Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Familiaris consortio, 33).

In vista dell’importanza vitale che costituiscono la dottrina e la disciplina del matrimonio e dell’Eucaristia, la Chiesa è obbligata a parlare con la stessa voce. Le norme pastorali riguardo all’indissolubilità del matrimonio non devono, quindi, contraddirsi tra una diocesi e un’altra, tra un paese e un altro. Dal tempo degli Apostoli la Chiesa ha osservato questo principio come lo attesta Sant’Ireneo di Lione: “La Chiesa, sebbene diffusa in tutto il mondo fino alle estremità della terra, avendo ricevuto dagli Apostoli e dai loro discepoli la fede, conserva questa predicazione e questa fede con cura e, come se abitasse un’unica casa, vi crede in uno stesso identico modo, come se avesse una sola anima ed un cuore solo, e predica le verità della fede, le insegna e le trasmette con voce unanime, come se avesse una sola bocca” (Adversus haereses, I, 10, 2). San Tommaso d’Aquino ci trasmette lo stesso perenne principio della vita della Chiesa: “C’è una sola e medesima fede degli antichi e dei moderni, altrimenti non ci sarebbe l’unica medesima Chiesa” (Questiones Disputatae de Veritate, q. 14, a. 12c).

Resta attuale e valida la seguente ammonizione di Papa Giovanni Paolo II: “La confusione, creata nella coscienza di numerosi fedeli dalle divergenze di opinioni e di insegnamenti nella teologia, nella predicazione, nella catechesi, nella direzione spirituale, circa questioni gravi e delicate della morale cristiana, finisce per far diminuire, fin quasi a cancellarlo, il vero senso del peccato” (Esortazione Apostolica Reconciliatio et paenitenia, 18).

Alla dottrina e disciplina sacramentale riguardanti l’indissolubilità del matrimonio rato e consumato è pienamente applicabile il senso delle seguenti affermazioni del Magistero della Chiesa:

 

“La Chiesa di Cristo, fedele custode e garante dei dogmi a lei affidati, non ha mai apportato modifiche ad essi, non vi ha tolto o aggiunto alcunché, ma trattando con ogni cura, in modo accorto e sapiente, le dottrine del passato per scoprire quelle che si sono formate nei primi tempi e che la fede dei Padri ha seminato, si preoccupa di limare e di affinare quegli antichi dogmi della Divina Rivelazione, perché ne ricevano chiarezza, evidenza e precisione, ma conservino la loro pienezza, la loro integrità e la loro specificità e si sviluppino soltanto nella loro propria natura, cioè nell’ambito del dogma, mantenendo inalterati il concetto e il significato” (Pio IX, Bolla dogmatica Ineffabilis Deus).

 

“Quanto alla sostanza stessa della verità, la Chiesa ha, dinanzi a Dio e agli uomini, il sacro dovere di annunziarla, d’insegnarla senza alcuna attenuazione, come Cristo l’ha rivelata, e non vi è alcuna condizione di tempi che possa far scemare il rigore di quest’obbligo. Esso lega in coscienza ogni sacerdote a cui è affidata la cura di ammaestrare, di ammonire e di guidare i fedeli” (Pio XII, Discorso ai parroci e ai quaresimalisti, 23 marzo 1949).

 

“La Chiesa non storicizza, non relativizza alle metamorfosi della cultura profana la natura della Chiesa sempre eguale e fedele a se stessa, quale Cristo la volle e la autentica tradizione la perfezionò” (Paolo VI, Omelia dal 28 ottobre 1965).

 

“Non sminuire in nulla la salutare dottrina di Cristo è eminente forma di carità verso le anime” (Paolo VI, Enciclica Humanae Vitae, 29).

 

“Le eventuali difficoltà coniugali siano risolte senza mai falsificare e compromettere la verità” (Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Familiaris consortio, 33).

 

“Di tale norma [della legge morale Divina] la Chiesa non è affatto né l’autrice né l’arbitra. In obbedienza alla verità, che è Cristo, la cui immagine si riflette nella natura e nella dignità della persona umana, la Chiesa interpreta la norma morale e la propone a tutti gli uomini di buona volontà, senza nasconderne le esigenze di radicalità e di perfezione” (Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Familiaris consortio, 33).

 

“È il principio della verità e della coerenza, per cui la Chiesa non accetta di chiamare bene il male e male il bene. Basandosi su questi due principi complementari, la Chiesa non può che invitare i suoi figli, i quali si trovano in quelle situazioni dolorose, ad avvicinarsi alla misericordia divina per altre vie, non però per quella dei sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia, finché non abbiano raggiunto le richieste disposizioni dell’anima” (Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Reconciliatio et paenitentia, 34).

 

“La fermezza della Chiesa nel difendere le norme morali universali e immutabili, non ha nulla di mortificante. È solo al servizio della vera libertà dell’uomo: dal momento che non c’è libertà al di fuori o contro la verità” (Giovanni Paolo II, Enciclica Veritatis splendor, 96).

 

“Di fronte alle norme morali che proibiscono il male intrinseco non ci sono privilegi né eccezioni per nessuno. Essere il padrone del mondo o l’ultimo «miserabile» sulla faccia della terra non fa alcuna differenza: davanti alle esigenze morali siamo tutti assolutamente uguali” (Giovanni Paolo II, Enciclica Veritatis splendor, 96).

 

“Il dovere di ribadire questa non possibilità di ammettere all’Eucaristia [i divorziati risposati] è condizione di vera pastoralità, di autentica preoccupazione per il bene di questi fedeli e di tutta la Chiesa, poiché indica le condizioni necessarie per la pienezza di quella conversione, cui tutti sono sempre invitati dal Signore” (Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, Dichiarazione circa l’ammissibilità alla Santa Comunione dei divorziati risposati, dal 24 giugno 2000, n. 5).

Come vescovi cattolici, i quali – secondo l’insegnamento del Concilio Vaticano Secondo – devono difendere l’unità della fede e la disciplina comune della Chiesa, e procurare che sorga per tutti gli uomini la luce della piena verità (cf. Lumen gentium, 23), siamo costretti in coscienza a professare, di fronte all’attuale dilagante confusione, l’immutabile verità e l’altrettanto immutabile disciplina sacramentale riguardo all’indissolubilità del matrimonio secondo l’insegnamento bimillenario ed inalterato del Magistero della Chiesa. In questo spirito reiteriamo:

 

I rapporti sessuali tra persone che non sono legate tra loro con il vincolo di un matrimonio valido – ciò che si verifica nel caso dei cosiddetti “divorziati risposati” – sono sempre contrari alla volontà di Dio e costituiscono una grave offesa a Dio.

Nessuna circostanza o finalità, neanche una possibile imputabilità o colpevolezza diminuita, possono rendere tali relazioni sessuali una realtà morale positiva e gradevole a Dio. Lo stesso vale per gli altri precetti negativi dei Dieci Comandamenti di Dio. Poiché “esistono atti che, per se stessi e in se stessi, indipendentemente dalle circostanze, sono sempre gravemente illeciti, in ragione del loro oggetto” (Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Reconciliatio et paenitentia, 17).

La Chiesa non possiede il carisma infallibile di giudicare lo stato di grazia interiore di un fedele (cf. Concilio di Trento, sess. 24, cap. 1). La non-ammissione alla Santa Comunione dei cosiddetti “divorziati risposati” non significa quindi un giudizio sul loro stato di grazia dinanzi a Dio, ma un giudizio sul carattere visibile, pubblico e oggettivo della loro situazione. A causa della natura visibile dei sacramenti e della stessa Chiesa, la ricezione dei sacramenti dipende necessariamente dalla corrispondente situazione visibile e oggettiva dei fedeli.

Non è moralmente lecito intrattenere rapporti sessuali con una persona che non è il proprio coniuge legittimo per evitare un altro supposto peccato. Poiché la Parola di Dio ci insegna, che non è lecito “fare il male affinché venga il bene” (Rom. 3, 8).

L’ammissione di tali persone alla Santa Comunione può essere permessa solamente quando loro, con l’aiuto della grazia di Dio ed un paziente ed individuale accompagnamento pastorale, fanno un sincero proposito di cessare d’ora in poi l’abitudine di tali rapporti sessuali e di evitare lo scandalo. In ciò si è espresso sempre nella Chiesa il vero discernimento e l’autentico accompagnamento pastorale.

Le persone che hanno abituali rapporti sessuali non coniugali, violano con tale stile di vita il loro indissolubile vincolo nuziale sacramentale nei confronti del loro coniuge legittimo. Per questa ragione essi non sono capaci di partecipare “nello Spirito e nella Verità” (cf. Giov. 4, 23) alla cena nuziale eucaristica di Cristo, tenendo conto anche delle parole del rito della Santa Comunione: “Beati gli invitati alla cena nuziale dell’Agnello!” (Ap. 19, 9).

L’adempimento della volontà di Dio, rivelata nei Suoi Dieci Comandamenti e nel Suo esplicito e assoluto divieto del divorzio, costituisce il vero bene spirituale delle persone qui in terra e le condurrà alla vera gioia dell’amore nella salvezza della vita eterna.

Essendo i vescovi nel loro ufficio pastorale “cultores catholicae et apostolicae fidei” (cf. Missale Romanum, Canon Romanus), siamo coscienti di questa grave responsabilità e del nostro dovere dinanzi ai fedeli che aspettano da noi una professione pubblica e inequivocabile della verità e della disciplina immutabile della Chiesa riguardo all’indissolubilità del matrimonio. Per questa ragione non ci è permesso tacere.

Affermiamo perciò nello spirito di San Giovanni Battista, di San Giovanni Fisher, di San Tommaso More, della Beata Laura Vicuña e di numerosi conosciuti e sconosciuti confessori e martiri dell’indissolubilità del matrimonio:

Non è lecito (non licet) giustificare, approvare o legittimare né direttamente, né indirettamente il divorzio e una relazione sessuale stabile non coniugale tramite la disciplina sacramentale dell’ammissione dei cosiddetti “divorziati risposati” alla Santa Comunione, trattandosi in questo caso di una disciplina aliena rispetto a tutta la Tradizione della fede cattolica e apostolica.

Facendo questa pubblica professione dinanzi alla nostra coscienza e dinanzi a Dio che ci giudicherà, siamo sinceramente convinti di aver prestato con ciò un servizio di carità nella verità alla Chiesa dei nostri giorni e al Sommo Pontefice, Successore di San Pietro e Vicario di Cristo sulla terra.

31 dicembre 2017, Festa della Sacra Famiglia, nell’anno del centenario delle apparizioni della Madonna a Fatima.

 + Tomash Peta, Arcivescovo Metropolita dell’Arcidiocesi di Maria Santissima in Astana

+ Jan Pawel Lenga, Arcivescovo-Vescovo emerito di Karaganda

+ Athanasius Schneider, Vescovo Ausiliare dell’Arcidiocesi di Maria Santissima in Astana

Dio benedica questi Pastori!

Fra Cristoforo"


[Modificato da Caterina63 03/01/2018 23:14]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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La lettera di S. Ignazio di Loyola all’imperatore d’Etiopia in difesa del Primato del Papa



Allo (spaventoso) stato attuale i Gesuiti sono tra i più accaniti propagatori delle peggiori iniziative che ammorbano la compagine ecclesiale infestata dal neomodernismo. Ma “dapprincipio non fu così”. Sant’Ignazio e la Compagnia furono “subsidium militantis Ecclesiae”, l’aiuto offerto da Dio alla sua Chiesa impegnata nella lotta con gli eretici in Europa e nella propagazione delle vera fede ad Oriente e ad Occidente. Insomma la negazione di ogni ecumenismo e sincretismo. Il che ci palesa anche la seguente lettera che sant’Ignazio scrisse all’imperatore Claudio d’Etiopia, scismatico ed eretico e particolarmente ostile al Primato Romano, in occasione della missione del gesuita João Nunes Barreto, eletto da Giulio III Patriarca d’Etiopia nel 1555.

Il Serenissimo re di Portogallo, attesa la premura e lo zelo datogli da Dio nostro Creatore e Signore della gloria, del suo santo nome e della salute delle anime redente col sangue prezioso e colla vita dell’unigenito suo Figliuolo, più d’una volta mi ha significato per lettere che gli sarebbe stata cosa assai grata qualora tra religiosi della nostra minima Compagnia chiamata di Gesù, io destinassi dodici soggetti, fra i quali egli farebbe elezione di un patriarca e di due coadiutori insieme e successori, che egli stesso avrebbe supplicato il sommo Vicario di Cristo nostro Signore affinché i medesimi venissero forniti di autorità e di diritto col quale abilitato ciascuno ad esercitar rettamente il loro ministero potessero, trasferirsi con altri sacerdoti ai regni di vostra Altezza.
Io a contemplazione dei segnalati benefizi coi quali il medesimo re di Portogallo fra tutti gli altri principi Cristiani favorisce tutta la nostra Società e del rispetto e della divozione che noi tutti scambievolmente abbiamo per esso, ho eseguito quanto mi aveva egli comandato ed avendo avuto studiosamente in mira che il numero rappresentasse il collegio degli Apostoli di Cristo nostro Signore, ho trascelto dal nostro corpo, oltre lo stesso patriarca, dodici sacerdoti in tutto che formassero una specie di supplemento o di seminario, consacrando se medesimi e la loro vita ad ogni genere di fatica e di pericoli per servire e dare aiuto alle anime soggette all’impero e dominio di vostra Altezza.
E tanto più volentieri ho ubbidito quanto io ed i miei compagni ci sentiamo portati da una singolare prontezza ad impiegarci nel compiacere e servire l’Altezza vostra e non senza ragione, mentre voi fra tante nazioni infedeli che vi stanno d’intorno e fra tanti nemici del nome Cristiano premurosamente vi affaticate seguendo le tracce de vostri maggiori a conservare ed a promuovere la religione e la gloria di Cristo Signore e Dio nostro.

Per questo stesso motivo era cosa desiderabile che a così giusti desideri e agli sforzi di vostra Altezza vi fosse aggiunto il sussidio dei padri spirituali, i quali muniti fossero di legittima potestà emanata da questa suprema Santa Sede Apostolica e ben istruiti nella dottrina pura e sincera della fede Cristiana, mentre esse sono quelle due chiavi del regno de cieli le quali Cristo Signor nostro prima promise e poi effettivamente consegnò a san Pietro e a tutti quelli che indi seder dovevano nel di lui soglio.
Gliele promise soltanto quando gli disse come leggiamo presso l’Evangelista san Matteo. “Io ti dico che tu sei Pietro e sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa. A te darò le chiavi del regno dei cieli. E qualunque cosa legherai sulla terra sarà legata anche nei cieli e qualunque cosa scioglierai sulla terra sarà pure sciolta nei cieli“.
Gliele consegnò ed eseguì la fatta promessa mossa allorquando dopo la risurrezione, prima di salire al cielo, avendogli per ben volte domandato, come afferma san Giovanni l’Evangelista: “Simone, figlio di Giona, mi ami tu più di costoro?“, soggiunse a ciascuna delle risposte di Pietro: “Pasci le mie pecorelle“, affidandogli non già una qualche parte delle sue pecorelle, ma tutta affatto la greggia con pienissima potestà di nutrire per ogni dove col vital pascolo della Cristiana religione tutti e condurli ai pascoli celestiali della eterna beatitudine.
E in vero agli altri Apostoli conferì Cristo Signor nostro l’autorità delegata e come fuori d’ordine, laddove a san Pietro ed a successori suoi la dette ordinaria e piena, affinché gli altri pastori di anime ricorressero a questo sommo pastore come a sorgente, da esso lui riconoscessero emanato e al medesimo riferissero tutto ciò che di diritto ciascun di essi ottenesse relativamente al ministero loro e governo. Il che sembra che di già il Signore adombrato avesse per mezzo d’Isaia quando, parlando del pontefice massimo Eliacim disse: “Sulle spalle di lui porrò la chiave della casa di David: egli aprirà e non ci sarà chi chiuda, chiuderà e non saravvi chi apra“, nella qual figura vennero delineati Pietro ed i successori suoi, la potestà intiera dei quali data loro è espressa dalle chiavi che sono il simbolo consueto ed il segno del totale ed assoluto dominio.

Le quali cose essendo così, l’Altezza vostra è tenuta a rendere infinite grazie a Dio nostro Signore perché in tempo del suo regno si è degnato di mandare a coteste nazioni veri pastori di anime, i quali abbiano la dipendenza dal sommo pastore e Vicario lasciato in terra da Cristo nostro Signore e che tutta la loro potestà, che al certo è molto grande, l’abbiano essi ricevuta dallo stesso Vicario. Però non senza ragione rincresceva al padre e all’avolo di vostra Altezza di valersi del patriarca di Alessandria, mentre essendo questi un membro separato dal corpo non riceve in alcuna maniera dal suo corpo né moto, né senso, né vita per la stessa ragione il patriarca di Egitto ovunque egli esista, o in Alessandria o nel Cairo, essendo scismatico e separato da questa sacrosanta Sede Apostolica e dal capo di tutta la Chiesa, cioè dal sommo Pontefice, né egli in sé stesso riceve la vita della grazia o la legittima autorità pastorale, né la può conferire a nessun altro.

Imperciocché la Chiesa Cattolica è una sola in tutto il mondo, né può ammettersi che una Chiesa ubbidisca al Pontefice Romano e l’altra all’Alessandrino e siccome Cristo è l’unico di lei sposo così unica è la sua sposa, intorno alla quale dice Salomone nei Cantici, parlando in persona di Cristo nostro Signore: “La mia colomba è una sola“; ed Osea Profeta: “Si raduneranno insieme i figliuoli di Giuda e i figliuoli d’Israele e si eleggeranno un solo capo“. La stessa sentenza scrisse dopo molto tempo san Giovanni, dicendo: “Si farà un solo gregge ed un un solo pastore”. L’arca di Noè era una, come leggiamo nella Genesi, fuori della quale niuno poté salvarsi; uno il tabernacolo fabbricato da Mosè; uno il tempio di Gerosolima, edificato da Salomone, nel qual tempio era d’uopo che si facessero i sacrifizi e le adorazioni; una era la Sinagoga, al cui giudizio conveniva stare.
E vale a dire che tutte queste cose denotavano essere unica la Chiesa, la quale è meritamente una sola e fuori della quale non vi è alcun bene, mentre chi al di lei corpo non sarà unito non riceverà da Cristo, di lei capo, influsso di quella grazia che dà vita all’anima e la dispone per la eterna felicità; dichiarare questa stessa unità che si canta nel simbolo: “lo credo essere una sola la Chiesa Cattolica ed Apostolica“, e dai sacrosanti concili è stato condannato l’errore che si diano chiese particolari come l’Alessandrina e la Costantinopolitana o simili, le quali non siano sottoposte al Romano Pontefice, capo comune di tutte, da cui, con non mai interrotta successione, incominciando da san Pietro, il quale per come comando di Cristo Signore, come dice il martire san Marcello, fissò in Roma la sua sede e poi la ratificò col suo sangue, sono derivati e succeduti senz’alcun dubbio i Romani Pontefici Vicari di Cristo, per tali riconosciuti da tanti e tanto santi dottori Greci, Latini e di ogni nazione; sono stati eziandio adorati dai santi anacoreti, dai vescovi e dagli altri confessori; e in somma somma sono stati comprovati da tanti prodigi e miracoli e dalla testimonianza di tanti martiri, che in questa fede ed unione della santa Romana Chiesa perderono la vita. A ragione dunque con unanime consenso di tutti i vescovi radunati nel concilio Calcedonense fu ivi insieme proclamato Papa Leone col nome di Santissimo, di Apostolico, di Universale; e condannata in quello di Costanza l’eresia di coloro che negavano che il primato del Romano Pontefice dovesse soprastare a tutte e singole chiese dell’universa terra.
Alle quali sì chiare e ferme sanzioni e decreti dei padri si aggiunge l’autorità del concilio Fiorentino con tanta maturità di saviezza celebrato sotto Eugenio IV fra le altre nazioni dai Greci ancora, dagli Armeni e dai Giacobiti espressa con queste parole: “Definiamo che la santa sede Apostolica e il Romano Pontefice hanno il primato in tutto il mondo e ch’egli è il successore di Pietro e vero Vicario di Cristo, capo altresì di tutta la Chiesa, padre e dottore di tutti i Cristiani e che ad esso in persona di san Pietro è stata conferita da Gesù Cristo Signore piena potestà di pascere, di regge re e di governare la Chiesa universale“.

Avendo dunque mandato il re David, padre di vostra Altezza, un legato per prestare ossequio al sommo Pontefice ha meritamente riconosciuto questa Santa Sede per madre e per primaria di tutte le altre.
E narrandosi molte altre gloriose azioni di lui stesso e di vostra Altezza, queste due però sono di tal natura che il loro splendore sembra non poter giammai essere oscurato da alcuna dimenticanza, laonde tutti coloro che vivono sotto cotesto impero debbono rendere grazie immortali all’autore di ogni bene per un beneficio cosi segnalato conferito ad essi per mezzo dell’opera, dell’industria e valore di voi due, mentre l’uno, per il primo fra tutti gli altri re Abissini, si è protestato di soggettarsi perpetuamente alla potestà di chi sulla terra fa le veci di Cristo, l’altro parimente il primo ha condotto nei regni suoi il vero patriarca e figlio legittimo di questa Santa Sede, dato loro dallo stesso Vicario di Cristo.
Poiché se devesi stimare gran beneficio, come realmente lo è, l’essere uniti al corpo mistico della Cattolica Chiesa, che dallo Spirito Santo è vivificato e retto e alla quale, come dice l’Evangelista, “lo stesso divino Spirito insegna ogni verità“; se dono sublime è quello di contemplare la luce della sana dottrina e di tenersi saldo ai fondamenti della Chiesa che san Paolo, scrivendo a Timoteo, chiama casa di Dio, colonna e firmamento di verità, alla quale Cristo promise di assistere colla perpetua sua presenza, dicendo: “Ecco che io sarò con voi sino alla consumazione di secoli“, come appunto leggiamo presso l’Evangelista Matteo; hanno ben ragione coteste nazioni di mostrarsi infinitamente grate a Dio nostro Signore e Creatore la cui provvidenza si è degnata di conceder loro così gran bene per mezzo di vostra Altezza e del vostro genitore, massimamente che da questa conciliazione ed unione si deve con ogni fondamento sperare che sotto la condotta di Cristo Signore, cogli accrescimenti spirituali verranno eziandio ad accrescersi i temporali, ampliandosi il vostro regno e rimanendo oppressi i nemici.

I Sacerdoti che costà sono inviati, tutti al certo sono uomini di molto ben conosciuta virtù, principalmente il patriarca e i due coadiutori e successori: essi sono stati provati nella nostra società con tutti gli sperimenti ed in vista dell’illustre loro carità e dottrina assai ragguardevole sono stati prescelti ad un opera così grande.
Per sì fatta impresa non manca loro il coraggio né un animo pronto, avendo i medesimi concepita gran fiducia di poter impiegare le loro fatiche per la gloria di di Cristo Signore, per gl’interessi di vostra Altezza e per l’aiuto delle anime, col lucro corrispondente alle fatiche medesime.
Imperocché vi sono essi stimolati dall’amore della salute degli uomini e dal desiderio d’imitare almeno in qualche parte Cristo Signore, il quale subì volontariamente e di buon animo i tormenti e la morte per redimere gli uomini dall’eterna miseria, dicendo egli per mezzo dell’Evangelista: “Io sono il buon pastore. Il buoni pastore espone la sua vita per salvare le sue pecorelle“. Da questo esempio eccitati, il patriarca e gli altri si mettono in viaggio disposti a recare aiuto alle anime pericolanti, non solo col mezzo della parola e del consiglio, ma colla morte stessa, se sarà di bisogno.
Quanto più intrinseca sarà la domestichezza e familiarità a cui vostra Altezza voglia ammetterli. tanto più grande. come spero. ne risentirà piacere nel Signore.

Ora per quanto appartiene alla fede e alla sostanza di quanto i medesimi esporranno o pubblicamente o privatamente, non ignora vostra Altezza che nei detti di essi tutti, in quanto sono legittimamente inviati, singolarmente del patriarca, trovasi il peso e l’autorità della fede Apostolica e che però conviene prestare l’assenso proporzionalmente ad essi e alla Chiesa, le cui parole e sentenze debbono essi interpretare. E siccome è necessario che tutti i fedeli di Cristo credano fermamente alla Chiesa, ubbidiscano ai di lei decreti e ricorrano alla medesima in occasione di qualche dubbio o di qualche oscurità, così non dubito che la vostra esimia pietà e bontà farà sì che in tutti i suoi regni, mediante un pubblico editto tutti gl’individui di ogni ceto seguano senza veruna difficoltà i detti, i comandi e le risposte si dello stesso patriarca che di quei che faranno le sue veci.
Abbiamo dal Deuteronomio che circa tutte le controversie e cose implicate si costumava di riportarsi alla Sinagoga, ch’era prefigurativa della Chiesa.
Quindi ancora quelle parole di Cristo Signore: “Sulla Cattedra di Mosè sedettero gli Scribi e i Farisei“; lo stesso insegna nei proverbi la sapienza di Salomone, dicendo: “Non trascurare gli ammaestramenti della tua madre (questa è la Chiesa)”; e altrove: “Non oltrepassare i termini fissati dai padri tuoi (questi sono i vescovi stessi)”.
Finalmente è tale e tanto l’ossequio e la deferenza che Cristo Signore vuol che si abbia alla sua Chiesa che per mezzo dell’Evangelista san Luca manifestamente dichiara: “Chi ascolta voi ascolta me e chi disprezza voi disprezza me“, e in san Matteo: “Se alcuno non ascolterà la Chiesa sia tenuto da te come un pagano un pubblicano“, onde apparisce non doversi neppur prestare orecchio a coloro che recassero innanzi qualsivoglia cosa aliena dall’interpretazione della Cattolica Chiesa, dandoci previo avviso su questo eziandio san Paolo nella epistola ai Galati quando dice: “Se venisse un Angelo dal cielo ad annunziarvi cose diverse da quelle che noi vi annunziato sia scomunicato“.

In somma questo stesso dimostrano chiaramente i santi dottori, i canoni dei concili, il consenso e la consuetudine di tutti i fedeli; e nello stesso il patriarca e tutti i compagni suoi per cosa certa e indubitata che vostra Altezza eseguirà ciò con riverenza, costante sommessione e compiacenza ancora, quanto comporterà il lecito e l’onesto.
Frattanto l’Altezza vostra riconosca noi tutti quanti siamo sulla terra in questa minima Compagnia dispostissimi a prestarle tutto l’ossequio nel Signore. Noi continueremo al certo a pregare Iddio nelle nostre orazioni e sacrifizi, come già abbiamo cominciato, affinché conservi la vostra reale Altezza e cotesto vastissimo regno nel santo servizio di Cristo e le conceda di passare la vita tra i beni temporali in modo tale che non perda gli eterni. Lo stesso Dio e Signor nostro dia per sua bontà a noi tutti lume perpetuo e forza per chiaramente conoscere e rettamente eseguire la sua santissima volontà.

Roma, 23 febbraio 1555

Fonte da RadioSpada

Il testo in italiano è il volgarizzamento realizzato dall’abate Niccolò de Lagua nel 1790 (vedi qui).

Immagine: Anonimo, Papa Paolo III approva oralmente la regola di S. Ignazio il 3 settembre 1539, Chiesa del Gesù, Roma (da scuolaecclesiamater.org)


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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