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Le visite e le uscite di Papa Francesco, Parrocchie e dintorni

Ultimo Aggiornamento: 20/02/2017 11:11
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22/05/2013 08:48
 
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La musica di questa Casa è l'amore: così Papa Francesco durante la visita alla Casa Dono di Maria



“Con il vostro servizio quotidiano” siete “la mano di Dio che sazia la fame di ogni vivente”. Con queste parole Papa Francesco si è rivolto alle Suore missionarie della Carità, fondate dalla Beata Teresa di Calcutta, durante la visita ieri pomeriggio alla Casa Dono di Maria, in Vaticano. 21.5.2013

La struttura gestita dalle Suore offre ospitalità a circa 25 donne e circa 60 uomini vi consumano i pasti quotidianamente. Il Papa ieri ha incontrato un gruppo di "oltre un centinaio di persone, composto dalle ospiti della casa, dai suoi frequentatori, collaboratori e amici, oltre che dalle Suore della Casa e altre Suore della Carità rappresentanti delle diverse comunità di Roma”, fa sapere il direttore della Sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi.

Occasione della visita la commemorazione del 25.mo dell’affidamento della stessa Casa alla Beata Madre Teresa di Calcutta da parte del Beato Giovanni Paolo II. Il servizio di Debora Donnini: RealAudioMP3


“Voi, care Suore, insieme ai Missionari della Carità e ai collaboratori, rendete visibile l’amore della Chiesa per i poveri”.

E’ un grazie di cuore quello che Papa Francesco rivolge a quanti operano all’interno della Casa Dono di Maria: “in questi anni, quante volte vi siete chinati su chi ha bisogno, come il buon samaritano”, ricorda , “quante ferite, specialmente spirituali, avete fasciato!”. Festoso il clima dell’incontro, con canti. Le suore hanno posto al collo di Papa Francesco una bella ghirlanda di fiori, secondo l’uso indiano.
E il Papa ha salutato i presenti uno ad uno, a cominciare dalle donne ospiti. Questa è una cosa “fra beati” e “la santità è passata”, dice Papa Francesco in riferimento all’inaugurazione fatta da Giovanni Paolo II e a Madre Teresa. Tre le parole su cui si sofferma nel discorso: casa, dono e Maria.
Casa è il luogo dell’accoglienza che richiama l’amore e rappresenta dunque la ricchezza umana più preziosa, quella dell’incontro fra persone diverse che si aiutano a crescere. La casa è dunque “un luogo decisivo” nella vita, dove ogni persona “impara a ricevere amore e a donare amore” e questo, ricorda, “cerca di essere da 25 anni anche questa casa:


“Al confine tra Vaticano e Italia, essa è un forte richiamo a tutti noi, alla Chiesa, alla Città di Roma ad essere sempre più famiglia, “casa” in cui si è aperti all’accoglienza, all’attenzione, alla fraternità”.

Questa casa, poi, si caratterizza perché dona sostegno materiale e spirituale “a voi, cari ospiti”, dice Papa Francesco. “Ma anche voi – aggiunge - siete un dono per questa casa e per la Chiesa”:

“Voi ci dite che amare Dio e il prossimo non è qualcosa di astratto, ma di profondamente concreto: vuol dire vedere in ogni persona il volto del Signore da servire, e servirlo concretamente. E voi siete, cari fratelli e sorelle, il volto di Gesù. Grazie!Voi “donate” la possibilità a quanti operano in questo luogo di servire Gesù in chi è in difficoltà, in chi ha bisogno di aiuto”.

Il Papa ricorda che nella casa Dono di Maria si vive un’ospitalità aperta “senza distinzione di nazionalità o di religione”. “Dobbiamo recuperare tutti il senso del dono”, della gratuità, della solidarietà, prosegue, sottolineando che “un capitalismo selvaggio ha insegnato la logica del profitto ad ogni costo” “dello sfruttamento senza guardare alle persone” e, aggiunge, “i risultati li vediamo nella crisi che stiamo vivendo!”:

“Questa Casa è un luogo che educa alla carità, una “scuola” di carità, che insegna ad andare incontro ad ogni persona, non per profitto, ma per amore. La musica - diciamolo così - di questa Casa è l’amore”.

E dunque Papa Francesco apprezza che i seminaristi da tutto il mondo vengano qui per fare un’esperienza di servizio. Quindi la terza parola su cui si dipana il suo discorso è "Maria" che ha fatto della sua esistenza un incessante dono a Dio perché amava il Signore.
Ed è quindi “uno stimolo” “a vivere la carità verso il prossimo non per una sorta di dovere sociale, ma partendo dall’amore di Dio”. Riprendendo le parole pronunciate prima da suor Maria Prema Pierick, Madre Generale delle Missionarie della Carità, sulla Vergine, Papa Francesco ricorda che Maria “ci insegna come andare da Gesù” e Lei “fa famiglia con noi e con Gesù”:


“Per noi cristiani, l’amore per il prossimo nasce dall’amore di Dio e ne è la più limpida espressione. Qui si cerca di amare il prossimo, ma anche di lasciarsi amare dal prossimo”.

Questi due atteggiamenti camminano assieme, non può esserci l’uno, se non c’è anche l’altro, afferma il Papa e conclude con un invito ad “amare Dio nei fratelli e amare i fratelli in Dio” come ricorda la carta intestata delle Missionarie della Carità dove sono stampate queste parole di Gesù: “Tutto quello che avete fatto ad uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.

Durante la visita Papa Francesco era accompagnato da mons. Georg Gaenswein, prefetto della Casa Pontificia, e dal segretario personale mons. Alfred Xuereb. Ad accoglierlo il cardinale Angelo Comastri e la Madre Generale delle Suore della Carità, suor Maria Prema Pierick, che gli ha rivolto un indirizzo di saluto.







VISITA ALLA CASA DELL'ACCOGLIENZA "DONO DI MARIA":
INCONTRO CON LE MISSIONARIE DELLA CARITÀ,
CON I POVERI ASSISTITI E I VOLONTARI

PAROLE DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Martedì, 21 maggio 2013

 

Cari fratelli e sorelle, buonasera.

Rivolgo un affettuoso saluto a tutti voi; in modo del tutto speciale a voi, cari ospiti di questa Casa, che è soprattutto vostra, perché per voi è stata pensata e istituita. Ringrazio quanti, in vari modi, sostengono questa bella realtà del Vaticano. La mia presenza questa sera vuole essere anzitutto un grazie sincero alle Missionarie della Carità, fondate dalla Beata Teresa di Calcutta, che operano qui da 25 anni, con numerosi volontari, in favore di tante persone bisognose di aiuto. Grazie di cuore! Voi, care Suore, insieme ai Missionari della Carità e ai collaboratori, rendete visibile l’amore della Chiesa per i poveri. Con il vostro servizio quotidiano, siete – come dice un Salmo – la mano di Dio che sazia la fame di ogni vivente (cfr Sal 145,16). In questi anni, quante volte vi siete chinati su chi ha bisogno, come il buon samaritano, l’avete guardato negli occhi, gli avete dato la mano per sollevarlo! Quante bocche avete sfamato con pazienza e dedizione! Quante ferite, specialmente spirituali, avete fasciato! Oggi, vorrei fermarmi su tre parole che vi sono familiari: Casa, dono e Maria.

1. Questa struttura, voluta e inaugurata dal Beato Giovanni Paolo II - ma questa è una cosa fra i santi, fra beati! Giovanni Paolo II, Teresa di Calcutta; e la santità è passata; è bello questo! -è una “casa”. E quando diciamo “casa” intendiamo un luogo di accoglienza, una dimora, un ambiente umano dove stare bene, ritrovare se stessi, sentirsi inseriti in un territorio, in una comunità. Ancora più profondamente, “casa” è una parola dal sapore tipicamente familiare, che richiama il calore, l’affetto, l’amore che si possono sperimentare in una famiglia. La “casa” allora rappresenta la ricchezza umana più preziosa, quella dell’incontro, quella delle relazioni tra le persone, diverse per età, per cultura e per storia, ma che vivono insieme e che insieme si aiutano a crescere. Proprio per questo, la “casa” è un luogo decisivo nella vita, dove la vita cresce e si può realizzare, perché è un luogo in cui ogni persona impara a ricevere amore e a donare amore. Questa è la “casa”. E questo cerca di essere da 25 anni anche questa casa! Al confine tra Vaticano e Italia, essa è un forte richiamo a tutti noi, alla Chiesa, alla Città di Roma ad essere sempre più famiglia, “casa” in cui si è aperti all’accoglienza, all’attenzione, alla fraternità. 

2. C’è poi una seconda parola molto importante: la parola “dono”, che qualifica questa Casa e ne definisce l’identità tipica. E’ una Casa, infatti, che si caratterizza per il dono, e per il dono reciproco. Che cosa voglio dire? Voglio dire che questa Casa dona accoglienza, sostegno materiale e spirituale a voi, cari ospiti, provenienti da diverse parti del mondo; ma anche voi siete un dono per questa Casa e per la Chiesa. Voi ci dite che amare Dio e il prossimo non è qualcosa di astratto, ma di profondamente concreto: vuol dire vedere in ogni persona il volto del Signore da servire, e servirlo concretamente. E voi siete, cari fratelli e sorelle, il volto di Gesù. Grazie!Voi “donate” la possibilità a quanti operano in questo luogo di servire Gesù in chi è in difficoltà, in chi ha bisogno di aiuto. Questa Casa allora è una luminosa trasparenza della carità di Dio, che è un Padre buono e misericordioso verso tutti. Qui si vive un’ospitalità aperta, senza distinzione di nazionalità o di religione, secondo l’insegnamento di Gesù «gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,8). Dobbiamo recuperare tutti il senso del dono, della gratuità, della solidarietà. Un capitalismo selvaggio ha insegnato la logica del profitto ad ogni costo, del dare per ottenere, dello sfruttamento senza guardare alle persone… e i risultati li vediamo nella crisi che stiamo vivendo! Questa Casa è un luogo che educa alla carità, una “scuola” di carità, che insegna ad andare incontro ad ogni persona, non per profitto, ma per amore. La musica - diciamolo così - di questa Casa è l’amore. E questo è bello!E mi piace che seminaristi da tutto il mondo vengano qui per fare un’esperienza diretta di servizio. I futuri sacerdoti possono così vivere in modo concreto un aspetto essenziale della missione della Chiesa e farne tesoro per il loro ministero pastorale. 

3. C’è, infine, un’ultima caratteristica di questa Casa: essa si qualifica come un dono “di Maria”. La Vergine Santa ha fatto della sua esistenza un incessante e prezioso dono a Dio, perché amava il Signore. Maria è un esempio e uno stimolo per coloro che vivono in questa Casa, e per tutti noi, a vivere la carità verso il prossimo non per una sorta di dovere sociale, ma partendo dall’amore di Dio, dalla carità di Dio. E anche - come abbiamo sentito dalla Madre - Maria è quella che ci porta a Gesù e ci insegna come andare da Gesù; e la Madre di Gesù è nostra e fa famiglia, con noi e con Gesù.Per noi cristiani, l’amore per il prossimo nasce dall’amore di Dio e ne è la più limpida espressione. Qui si cerca di amare il prossimo, ma anche di lasciarsi amare dal prossimo. Questi due atteggiamenti camminano assieme, non può esserci l’uno, se non c’è anche l’altro. Sulla carta intestata delle Missionarie della Carità sono stampate queste parole di Gesù: «Tutto quello che avete fatto ad uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). Amare Dio nei fratelli e amare i fratelli in Dio.

Cari amici, grazie ancora a ciascuno di voi. Prego perché questa Casa continui ad essere un luogo di accoglienza, di dono, di carità, nel cuore della nostra Città di Roma. La Vergine Maria vegli sempre su di voi, e vi accompagni la mia Benedizione. Grazie.




[Modificato da Caterina63 23/05/2013 22:32]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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23/05/2013 18:29
 
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PAPA: DOMENICA A PRIMA PORTA INIZIA VISITE A PARROCCHIE ROMANE
 
 CdV, 23 mag.
 
Sara' Prima Porta il primo quartiere della Capitale ad accogliere Papa Francesco che inizia dalla parrocchia dei Santi Elisabetta e Zaccaria il suo itinerario tra le comunita' della diocesi di Roma. Il nuovo Pontefice verra' accolto da 44 bambini in veste bianca che poi riceveranno dalle sue mani la prima comunione. Con Francesco celebreranno il cardinale vicario Agostino Vallini, il vescovo ausiliare del settore Nord, monsignor Guerino Di Tora, e il parroco. I malati, i disabili e gli anziani prenderanno posto in chiesa, mentre i 15mila fedeli avranno a disposizione il sagrato e la collinetta antistante. Nei campi sportivi e nel parcheggio di un supermercato saranno posti maxischermi.

*********************

[SM=g1740771]

VISITA ALLA PARROCCHIA ROMANA DEI "SANTI ELISABETTA E ZACCARIA"

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Solennità della Santissima Trinità
Domenica, 26 maggio 2013

[Video]


 

Il Santo Padre all’inizio della Celebrazione eucaristica, dopo il saluto del Parroco, ha improvvisato le seguenti parole.

Cara prima sentinella, cara seconda sentinella, carissime sentinelle, mi piace quello che tu hai detto: che periferia ha un senso negativo, ma anche un senso positivo. Tu sai perché? Perché la realtà insieme si capisce meglio non dal centro, ma dalle periferie. Si capisce meglio. Anche questo che tu hai detto: diventare sentinelle, no?

Vi ringrazio per questo ufficio, per questo lavoro di essere sentinelle. Ringrazio anche per l’accoglienza, in questo giorno di festa della Trinità. Qui ci sono i preti che voi conoscete bene, che sono i due segretari del Papa, il Papa che è in Vaticano, eh? Oggi è venuto il Vescovo qui. E questi due lavorano bene. Ma uno di loro, Padre Alfred, oggi fa l’anniversario della sua ordinazione sacerdotale: 29 anni. Un applauso! Preghiamo per lui e chiediamo almeno altri 29 anni. E’ vero? Così cominciamo la Messa, con spirito di pietà, in silenzio, pregando tutti insieme per tutti.

 


Il Santo Padre ha tenuto l’Omelia, sviluppando un dialogo con i bambini e le bambine della Prima Comunione. 

Cari fratelli e sorelle,     

il Parroco, nelle sue parole, mi ha fatto ricordare una cosa bella della Madonna. Quando la Madonna, appena ricevuto l’annunzio che sarebbe stata madre di Gesù, e anche l’annunzio che sua cugina Elisabetta era incinta - dice il Vangelo - se ne andò in fretta; non aspettò.
Non ha detto: “Ma adesso io sono incinta, devo curare la mia salute. Mia cugina avrà delle amiche che forse l’aiuteranno”. Lei ha sentito qualcosa e “se ne andò in fretta”.
E’ bello pensare questo della Madonna, della nostra Madre, che va in fretta, perché ha questo dentro: aiutare.
Va per aiutare, non va per vantarsi e dire alla cugina: “Ma senti, adesso comando io, perché sono la Mamma di Dio!” No, Non ha fatto quello. E’ andata ad aiutare! E la Madonna è sempre così. E’ la nostra Madre, che sempre viene in fretta quando noi abbiamo bisogno. Sarebbe bello aggiungere alle Litanie della Madonna una che dica così: “Signora che vai in fretta, prega per noi!”.
E’ bello questo, vero? Perché Lei va sempre in fretta, Lei non si dimentica dei suoi figli. E quando i suoi figli sono nelle difficoltà, hanno un bisogno e la invocano, Lei in fretta va. E questo ci dà una sicurezza, una sicurezza di avere la Mamma accanto, al nostro fianco sempre. Si va, si cammina meglio nella vita quando abbiamo la mamma vicina. Pensiamo a questa grazia della Madonna, questa grazia che ci dà: di essere vicina a noi, ma senza farci aspettare. Sempre! Lei è - abbiamo fiducia in questo - per aiutarci. La Madonna che sempre va in fretta, per noi.

La Madonna ci aiuta anche a capire bene Dio, Gesù, a capire bene la vita di Gesù, la vita di Dio, a capire bene che cosa è il Signore, com’è il Signore, chi è Dio. A voi bambini, domando: “Chi sa chi è Dio?”. Alzi la mano. Dimmi? Ecco! Creatore della Terra. E quanti Dio ci sono? Uno? Ma a me hanno detto che ce ne sono tre: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo! Come si spiega questo? Ce n’è uno o ce ne sono tre? Uno? Uno? E come si spiega che uno sia il Padre, l’altro il Figlio e l’altro lo Spirito Santo? Forte, forte! Va bene quella. Sono tre in uno, tre persone in uno.
E che cosa fa il Padre? Il Padre è il principio, il Padre, che ha creato tutto, ha creato noi. Che cosa fa il Figlio? Che cosa fa Gesù? Chi sa dire che cosa fa Gesù? Ci ama? E poi? Porta la Parola di Dio! Gesù viene ad insegnarci la Parola di Dio. Benissimo questo! E poi? Che cosa ha fatto Gesù nella terra? Ci ha salvati! E Gesù è venuto per dare la sua vita per noi.

Il Padre crea il mondo; Gesù ci salva. E lo Spirito Santo che fa? Ci ama! Ti dà l’amore! Tutti i bambini insieme: il Padre crea tutti, crea il mondo; Gesù ci salva; e lo Spirito Santo? Ci ama! E questa è la vita cristiana: parlare con il Padre, parlare con il Figlio e parlare con lo Spirito Santo. Gesù ci ha salvato, ma anche cammina con noi nella vita. E’ vero questo? E come cammina? Che cosa fa quando cammina con noi nella vita?
Questo è difficile. Chi la fa vince il derby! Che cosa fa Gesù quando cammina con noi? Forte! Primo: ci aiuta. Ci guida! Benissimo! Cammina con noi, ci aiuta, ci guida e ci insegna ad andare avanti. E Gesù ci dà anche la forza per camminare. E’ vero? Ci sostiene! Bene! Nelle difficoltà, vero? Ed anche nei compiti della scuola! Ci sostiene, ci aiuta, ci guida, ci sostiene.
Ecco! Gesù va sempre con noi. Va bene.
Ma senti, Gesù ci dà la forza. Come ci dà la forza Gesù? Voi questo lo sapete come ci dà forza! Forte, non sento! Nella Comunione ci dà la forza, proprio ci aiuta con la forza. Lui viene a noi. Ma quando voi dite “ci dà la Comunione”, un pezzo di pane ti dà tanta forza? Non è pane quello? E’ pane? Questo è pane, ma quello sull’altare è pane o non è pane? Sembra pane! Non è proprio pane. Che cosa è? E’ il Corpo di Gesù. Gesù viene nel nostro cuore.
Ecco, pensiamo a questo, tutti: il Padre ci ha dato la vita; Gesù ci ha dato la salvezza, ci accompagna, ci guida, ci sostiene, ci insegna; e lo Spirito Santo? Che cosa ci dà lo Spirito Santo? Ci ama! Ci dà l’amore. Pensiamo a Dio così e chiediamo alla Madonna, la Madonna nostra Madre, in fretta sempre per aiutarci, che ci insegni a capire bene com’è Dio: com’è il Padre, com’è il Figlio e com’è lo Spirito Santo. Così sia.

 


[SM=g1740733]







 



[Modificato da Caterina63 26/05/2013 21:09]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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29/08/2013 00:10
 
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OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
IN OCCASIONE DELLA FESTA DI SANT'IGNAZIO

Chiesa del Gesù, Roma
Mercoledì 31 luglio 2013


 

In questa Eucaristia in cui celebriamo il nostro Padre Ignazio di Loyola, alla luce delle Letture che abbiamo ascoltato, vorrei proporre tre semplici pensieri guidati da tre espressioni: mettere al centro Cristo e la Chiesa; lasciarsi conquistare da Lui per servire; sentire la vergogna dei nostri limiti e peccati, per essere umili davanti a Lui e ai fratelli.

1. Lo stemma di noi Gesuiti è un monogramma, l’acronimo di “Iesus Hominum Salvator” (IHS). Ciascuno di voi potrà dirmi: lo sappiamo molto bene! Ma questo stemma ci ricorda continuamente una realtà che non dobbiamo mai dimenticare: la centralità di Cristo per ciascuno di noi e per l’intera Compagnia, che Sant’Ignazio volle proprio chiamare “di Gesù” per indicare il punto di riferimento. Del resto anche all’inizio degli Esercizi Spirituali, ci pone di fronte a nostro Signore Gesù Cristo, al nostro Creatore e Salvatore (cfr EE, 6).
E questo porta noi Gesuiti e tutta la Compagnia ad essere “decentrati”, ad avere davanti il “Cristo sempre maggiore”, il “Deus semper maior”, l’”intimior intimo meo”, che ci porta continuamente fuori da noi stessi, ci porta ad una certa kenosis, ad “uscire dal proprio amore, volere e interesse” (EE, 189). Non è scontata la domanda per noi, per tutti noi: è Cristo il centro della mia vita? Metto veramente Cristo al centro della mia vita? Perché c’è sempre la tentazione di pensare di essere noi al centro. E quando un Gesuita mette se stesso al centro e non Cristo, sbaglia.
Nella prima Lettura, Mosè ripete con insistenza al popolo di amare il Signore, di camminare per le sue vie, “perché è Lui la tua vita” (cfr Dt 30, 16.20). Cristo è la nostra vita! Alla centralità di Cristo corrisponde anche la centralità della Chiesa: sono due fuochi che non si possono separare: io non posso seguire Cristo se non nella Chiesa e con la Chiesa. E anche in questo caso noi Gesuiti e l’intera Compagnia non siamo al centro, siamo, per così dire, “spostati”, siamo al servizio di Cristo e della Chiesa, la Sposa di Cristo nostro Signore, che è la nostra Santa Madre Chiesa Gerarchica (cfr EE, 353). Essere uomini radicati e fondati nella Chiesa: così ci vuole Gesù. Non ci possono essere cammini paralleli o isolati. Sì, cammini di ricerca, cammini creativi, sì, questo è importante: andare verso le periferie, le tante periferie. Per questo ci vuole creatività, ma sempre in comunità, nella Chiesa, con questa appartenenza che ci dà coraggio per andare avanti. Servire Cristo è amare questa Chiesa concreta, e servirla con generosità e spirito di obbedienza.

2. Qual è la strada per vivere questa duplice centralità? Guardiamo all’esperienza di san Paolo, che è anche l’esperienza di sant’Ignazio.
L’Apostolo, nella Seconda Lettura che abbiamo ascoltato, scrive: mi sforzo di correre verso la perfezione di Cristo “perché anch’io sono stato conquistato da Gesù Cristo” (Fil 3,12). Per Paolo è avvenuto sulla via di Damasco, per Ignazio nella sua casa di Loyola, ma il punto fondamentale è comune: lasciarsi conquistare da Cristo. Io cerco Gesù, io servo Gesù perché Lui mi ha cercato prima, perché sono stato conquistato da Lui: e questo è il cuore della nostra esperienza. Ma Lui è primo, sempre. In spagnolo c’è una parola che è molto grafica, che lo spiega bene: Lui ci “primerea”, “El nos primerea”. E’ primo sempre. Quando noi arriviamo, Lui è arrivato e ci aspetta. E qui vorrei richiamare la meditazione sul Regno nella Seconda Settimana. Cristo nostro Signore, Re eterno, chiama ciascuno di noi dicendoci: “chi vuol venire con me deve lavorare con me, perché seguendomi nella sofferenza, mi segua anche nella gloria” (EE, 95): Essere conquistato da Cristo per offrire a questo Re tutta la nostra persona e tutta la nostra fatica (cfr EE, 96); dire al Signore di voler fare tutto per il suo maggior servizio e lode, imitarlo nel sopportare anche ingiurie, disprezzo, povertà (cfr EE, 98). Ma penso al nostro fratello in Siria in questo momento. Lasciarsi conquistare da Cristo significa essere sempre protesi verso ciò che mi sta di fronte, verso la meta di Cristo (cfr Fil 3,14) e chiedersi con verità e sincerità: Che cosa ho fatto per Cristo? Che cosa faccio per Cristo? Che cosa devo fare per Cristo? (cfr EE, 53).

3. E vengo all’ultimo punto. Nel Vangelo Gesù ci dice: “Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà… Chi si vergognerà di me…” (Lc 9, 23). E così via. La vergogna del Gesuita.
L’invito che fa Gesù è di non vergognarsi mai di Lui, ma di seguirlo sempre con dedizione totale, fidandosi e affidandosi a Lui. Ma guardando a Gesù, come ci insegna sant’Ignazio nella Prima Settimana, soprattutto guardando il Cristo crocifisso, noi sentiamo quel sentimento tanto umano e tanto nobile che è la vergogna di non essere all’altezza; guardiamo alla sapienza di Cristo e alla nostra ignoranza, alla sua onnipotenza e alla nostra debolezza, alla sua giustizia e alla nostra iniquità, alla sua bontà e alla nostra cattiveria (cfr EE, 59).
Chiedere la grazia della vergogna; vergogna che viene dal continuo colloquio di misericordia con Lui; vergogna che ci fa arrossire davanti a Gesù Cristo; vergogna che ci pone in sintonia col cuore di Cristo che si è fatto peccato per me; vergogna che mette in armonia il nostro cuore nelle lacrime e ci accompagna nella sequela quotidiana del “mio Signore”. E questo ci porta sempre, come singoli e come Compagnia, all’umiltà, a vivere questa grande virtù. Umiltà che ci rende consapevoli ogni giorno che non siamo noi a costruire il Regno di Dio, ma è sempre la grazia del Signore che agisce in noi; umiltà che ci spinge a mettere tutto noi stessi non a servizio nostro o delle nostre idee, ma a servizio di Cristo e della Chiesa, come vasi d’argilla, fragili, inadeguati, insufficienti, ma nei quali c’è un tesoro immenso che portiamo e che comunichiamo (2 Cor 4,7).
A me è sempre piaciuto pensare al tramonto del gesuita, quando un gesuita finisce la sua vita, quando tramonta. E a me vengono sempre due icone di questo tramonto del gesuita: una classica, quella di san Francesco Saverio, guardando la Cina. L’arte lo ha dipinto tante volte questo tramonto, questo finale di Saverio. Anche la letteratura, in quel bel pezzo di Pemán. Alla fine, senza niente, ma davanti al Signore; questo a me fa bene, pensare questo. L’altro tramonto, l’altra icona che mi viene come esempio, è quella di Padre Arrupe nell’ultimo colloquio nel campo dei rifugiati, quando ci aveva detto – cosa che lui stesso diceva – “questo lo dico come se fosse il mio canto del cigno: pregate”. La preghiera, l’unione con Gesù. E, dopo aver detto questo, ha preso l’aereo, è arrivato a Roma con l’ictus, che ha dato inizio a quel tramonto tanto lungo e tanto esemplare. Due tramonti, due icone che a tutti noi farà bene guardare, e tornare a queste due. E chiedere la grazia che il nostro tramonto sia come il loro.

Cari fratelli, rivolgiamoci a Nuestra Señora, Lei che ha portato Cristo nel suo grembo e ha accompagnato i primi passi della Chiesa, ci aiuti a mettere sempre al centro della nostra vita e del nostro ministero Cristo e la sua Chiesa; Lei che è stata la prima e più perfetta discepola del suo Figlio, ci aiuti a lasciarci conquistare da Cristo per seguirlo e servirlo in ogni situazione; Lei che ha risposto con la più profonda umiltà all’annuncio dell’Angelo: “Ecco la serva del Signore, avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1,38), ci faccia provare la vergogna per la nostra inadeguatezza di fronte al tesoro che ci è stato affidato, per vivere l’umiltà di fronte a Dio. Accompagni il nostro cammino la paterna intercessione di sant’Ignazio e di tutti i Santi Gesuiti, che continuano ad insegnarci a fare tutto, con umiltà, ad maiorem Dei gloriam.

 
[SM=g1740733]









SANTA MESSA PER L'INIZIO DEL CAPITOLO GENERALE
DELL'ORDINE DI SANT'AGOSTINO

PAROLE DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Basilica di Sant'Agostino in Campo Marzio, Roma
Mercoledì 28 agosto 2013


 

“Ci hai fatti per Te e inquieto è il nostro cuore finché non riposa in te” (Le Confessioni, I,1,1). Con queste parole, diventate celebri, sant’Agostino si rivolge a Dio nelle Confessioni, e in queste parole c’è la sintesi di tutta la sua vita.

“Inquietudine”. Questa parola mi colpisce e mi fa riflettere. Vorrei partire da una domanda: quale inquietudine fondamentale vive Agostino nella sua vita? O forse dovrei piuttosto dire: quali inquietudini ci invita a suscitare e a mantenere vive nella nostra vita questo grande uomo e santo? Ne propongo tre: l’inquietudine della ricerca spirituale, l’inquietudine dell’incontro con Dio, l’inquietudine dell’amore.

1. La prima: l’inquietudine della ricerca spirituale. Agostino vive un’esperienza abbastanza comune al giorno d’oggi: abbastanza comune tra i giovani d’oggi. Viene educato dalla mamma Monica nella fede cristiana, anche se non riceve il Battesimo, ma crescendo se ne allontana, non trova in essa la risposta alle sue domande, ai desideri del suo cuore, e viene attirato da altre proposte. Entra allora nel gruppo dei manichei, si dedica con impegno ai suoi studi, non rinuncia al divertimento spensierato, agli spettacoli del tempo, intense amicizie, conosce l’amore intenso e intraprende una brillante carriera di maestro di retorica che lo porta fino alla corte imperiale di Milano. Agostino è un uomo “arrivato”, ha tutto, ma nel suo cuore rimane l’inquietudine della ricerca del senso profondo della vita; il suo cuore non è addormentato, direi non è anestetizzato dal successo, dalle cose, dal potere. Agostino non si chiude in se stesso, non si adagia, continua a cercare la verità, il senso della vita, continua a cercare il volto di Dio. Certo commette errori, prende anche vie sbagliate, pecca, è un peccatore; ma non perde l’inquietudine della ricerca spirituale. E in questo modo scopre che Dio lo aspettava, anzi, che non aveva mai smesso di cercarlo per primo. Vorrei dire a chi si sente indifferente verso Dio, verso la fede, a chi è lontano da Dio o l’ha abbandonato, anche a noi, con le nostre “lontananze” e i nostri “abbandoni” verso Dio, piccoli, forse, ma ce ne sono tanti nella vita quotidiana: guarda nel profondo del tuo cuore, guarda nell’intimo di te stesso, e domandati: hai un cuore che desidera qualcosa di grande o un cuore addormentato dalle cose? Il tuo cuore ha conservato l’inquietudine della ricerca o l’hai lasciato soffocare dalle cose, che finiscono per atrofizzarlo? Dio ti attende, ti cerca: che cosa rispondi? Ti sei accorto di questa situazione della tua anima? Oppure dormi? Credi che Dio ti attende o per te questa verità sono soltanto “parole”?

2. In Agostino è proprio questa inquietudine del cuore che lo porta all’incontro personale con Cristo, lo porta a capire che quel Dio che cercava lontano da sé, è il Dio vicino ad ogni essere umano, il Dio vicino al nostro cuore, più intimo a noi di noi stessi (cfr ibid., III,6,11). Ma anche nella scoperta e nell’incontro con Dio, Agostino non si ferma, non si adagia, non si chiude in se stesso come chi è già arrivato, ma continua il cammino. L’inquietudine della ricerca della verità, della ricerca di Dio, diventa l’inquietudine di conoscerlo sempre di più e di uscire da se stesso per farlo conoscere agli altri. E’ proprio l’inquietudine dell’amore. Vorrebbe una vita tranquilla di studio e di preghiera, ma Dio lo chiama ad essere Pastore ad Ippona, in un momento difficile, con una comunità divisa e la guerra alle porte.
E Agostino si lascia inquietare da Dio, non si stanca di annunciarlo, di evangelizzare con coraggio, senza timore, cerca di essere l’immagine di Gesù Buon Pastore che conosce le sue pecore (cfr Gv 10,14), anzi, come amo ripetere, che “sente l’odore del suo gregge”, ed esce a cercare quelle smarrite. Agostino vive quello che san Paolo indica a Timoteo e a ciascuno di noi: annuncia la parola, insisti al momento opportuno e non opportuno, annuncia il Vangelo con il cuore magnanimo, grande (cfr 2 Tm 4,2) di un Pastore che è inquieto per le sue pecore. Il tesoro di Agostino è proprio questo atteggiamento: uscire sempre verso Dio, uscire sempre verso il gregge… E’ un uomo in tensione, tra queste due uscite; non “privatizzare” l’amore… sempre in cammino! Sempre in cammino, diceva Padre, Lei. Sempre inquieto! E questa è la pace dell’inquietudine.
Possiamo domandarci: sono inquieto per Dio, per annunciarlo, per farlo conoscere? O mi lascio affascinare da quella mondanità spirituale che spinge a fare tutto per amore di se stessi? Noi consacrati pensiamo agli interessi personali, al funzionalismo delle opere, al carrierismo. Mah, tante cose possiamo pensare… Mi sono per così dire “accomodato” nella mia vita cristiana, nella mia vita sacerdotale, nella mia vita religiosa, anche nella mia vita di comunità, o conservo la forza dell’inquietudine per Dio, per la sua Parola, che mi porta ad “andare fuori”, verso gli altri?

3. E veniamo all’ultima inquietudine, l’inquietudine dell’amore. Qui non posso non guardare alla mamma: questa Monica! Quante lacrime ha versato quella santa donna per la conversione del figlio! E quante mamme anche oggi versano lacrime perché i propri figli tornino a Cristo! Non perdete la speranza nella grazia di Dio! Nelle Confessioni leggiamo questa frase che un vescovo disse a santa Monica, la quale chiedeva di aiutare suo figlio a ritrovare la strada della fede: “Non è possibile che un figlio di tante lacrime perisca” (III,12,21). Lo stesso Agostino, dopo la conversione, rivolgendosi a Dio, scrive: “per amore mio piangeva innanzi a te mia madre, tutta fedele, versando più lacrime di quante ne versino mai le madri alla morte fisica dei figli” (ibid., III,11,19). Donna inquieta, questa donna, che, alla fine, dice quella bella parola: cumulatius hoc mihi Deus praestitit! [il mio Dio mi ha soddisfatta ampiamente] (ibid., IX,10,26). Quello per cui lei piangeva, Dio glielo aveva dato abbondantemente!  E Agostino è erede di Monica, da lei riceve il seme dell’inquietudine.
Ecco, allora, l’inquietudine dell’amore: cercare sempre, senza sosta, il bene dell’altro, della persona amata, con quella intensità che porta anche alle lacrime. Mi vengono in mente Gesù che piange davanti al sepolcro dell’amico Lazzaro, Pietro che, dopo aver rinnegato Gesù ne incontra lo sguardo ricco di misericordia e di amore e piange amaramente, il Padre che attende sulla terrazza il ritorno del figlio e quando è ancora lontano gli corre incontro; mi viene in mente la Vergine Maria che con amore segue il Figlio Gesù fino alla Croce. Come siamo con l’inquietudine dell’amore? Crediamo nell’amore a Dio e agli altri? O siamo nominalisti su questo? Non in modo astratto, non solo le parole, ma il fratello concreto che incontriamo, il fratello che ci sta accanto!
Ci lasciamo inquietare dalle loro necessità o rimaniamo chiusi in noi stessi, nelle nostre comunità, che molte volte è per noi “comunità-comodità”? A volte si può vivere in un condominio senza conoscere chi ci vive accanto; oppure si può essere in comunità, senza conoscere veramente il proprio confratello: con dolore penso ai consacrati che non sono fecondi, che sono “zitelloni”. L’inquietudine dell’amore spinge sempre ad andare incontro all’altro, senza aspettare che sia l’altro a manifestare il suo bisogno. L’inquietudine dell’amore ci regala il dono della fecondità pastorale, e noi dobbiamo domandarci, ognuno di noi: come va la mia fecondità spirituale, la mia fecondità pastorale?

Chiediamo al Signore per voi, cari Agostiniani, che iniziate il Capitolo Generale, e per noi tutti, che conservi nel nostro cuore l’inquietudine spirituale di ricercarlo sempre, l’inquietudine di annunciarlo con coraggio, l’inquietudine dell’amore verso ogni fratello e sorella. Così sia.



[Modificato da Caterina63 02/09/2013 10:58]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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VISITA PASTORALE ALLA PARROCCHIA ROMANA DI SAN CIRILLO ALESSANDRINO


OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO


I Domenica di Avvento, 1° dicembre 2013


Video



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Nella prima Lettura, abbiamo sentito che il profeta Isaia ci parla di un cammino, e dice che alla fine dei giorni, alla fine del cammino, il monte del Tempio del Signore sarà saldo sulla cima dei monti. E questo, per dirci che la nostra vita è un cammino: dobbiamo andare per questo cammino, per arrivare al monte del Signore, all’incontro con Gesù. La cosa più importante che a una persona può accadere è incontrare Gesù: questo incontro con Gesù che ci ama, che ci ha salvato, che ha dato la sua vita per noi. Incontrare Gesù. E noi camminiamo per incontrare Gesù.

Noi possiamo farci la domanda: Ma quando incontro Gesù? Alla fine soltanto? No, no! Lo incontriamo tutti i giorni. Ma come? Nella preghiera, quando tu preghi, incontri Gesù. Quando tu fai la Comunione, incontri Gesù, nei Sacramenti. Quando tu porti tuo figlio per battezzarlo, incontri Gesù, trovi Gesù. E voi, oggi, che ricevete la Cresima, anche voi incontrerete Gesù; poi lo incontrerete nella Comunione.
“E poi, Padre, dopo la Cresima, addio!”, perché dicono che la Cresima si chiama “il sacramento dell’addio”. E’ vero questo o no? Dopo la Cresima non si va mai in chiesa: è vero o no?... Così così! Ma anche dopo la Cresima, tutta la vita, è un incontro con Gesù: nella preghiera, quando andiamo a Messa, e quando facciamo opere buone, quando visitiamo i malati, quando aiutiamo un povero, quando pensiamo agli altri, quando non siamo egoisti, quando siamo amabili… in queste cose incontriamo sempre Gesù. E il cammino della vita è proprio questo: camminare per incontrare Gesù.

E oggi, anche per me è una gioia venire a trovare voi, perché tutti insieme, oggi, nella Messa incontreremo Gesù, e facciamo un pezzo del cammino insieme.

Ricordate sempre questo: la vita è un cammino. E’ un cammino. Un cammino per incontrare Gesù. Alla fine, e sempre. Un cammino dove non incontriamo Gesù, non è un cammino cristiano. E’ proprio del cristiano incontrare sempre Gesù, guardarlo, lasciarsi guardare da Gesù, perché Gesù ci guarda con amore, ci ama tanto, ci vuole tanto bene e ci guarda sempre. Incontrare Gesù è anche lasciarti guardare da Lui. “Ma, Padre, tu sai – qualcuno di voi potrebbe dirmi – tu sai che questo cammino per me è un cammino brutto, perché io sono tanto peccatore, ho fatto tanti peccati… come posso incontrare Gesù?”.
Ma tu sai che le persone che Gesù cercava maggiormente di trovare erano i più peccatori; e lo rimproveravano per questo, e la gente – le persone che si credevano giuste – dicevano: ma questo, questo non è un vero profeta, guarda che bella compagnia che ha! Era con i peccatori… E Lui diceva: Io sono venuto per quelli che hanno bisogno di salute, bisogno di guarigione, e Gesù guarisce i nostri peccati. E nel cammino noi – tutti peccatori, tutti, tutti siamo peccatori – anche quando sbagliamo, quando commettiamo un peccato, quando facciamo un peccato, Gesù viene, e ci perdona. E questo perdono che riceviamo nella Confessione è un incontro con Gesù. Sempre incontriamo Gesù.

E andiamo nella vita così, come dice il profeta, al monte, fino al giorno in cui sarà l’incontro definitivo, dove potremo guardare quello sguardo tanto bello di Gesù, tanto bello. E’ questa la vita cristiana: camminare, andare avanti, uniti, come fratelli, volendosi bene l’uno all’altro. Incontrare Gesù. Siete d’accordo, voi, i nove? Voi volete incontrare Gesù, nella vostra vita? Sì? Questo è importante nella vita cristiana. Voi, oggi, con il sigillo dello Spirito Santo, avrete più forza per questo cammino, per incontrare Gesù. Siate coraggiosi, non abbiate paura! La vita è questo cammino. E il regalo più bello è incontrare Gesù. Avanti, coraggio!

E adesso, andiamo avanti con il Sacramento della Cresima.





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19/01/2014 19:16
 
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Suggestive immagini che hanno stupito lo stesso pontefice... Un grande arcobaleno lo ha accolto durante la visita di oggi pomeriggio alla Parrocchia romana ....
Mi ha ricordato l'arcobaleno che accolse Benedetto XVI in Polonia proprio durante la sua visita ad Auschwitz 


Il Papa in visita alla Chiesa del Sacro Cuore. Don Baresi: una parrocchia accanto ai più poveri



E' in corso la visita del Papa alla parrocchia romana del Sacro Cuore di Gesù a Castro Pretorio. Si tratta di una Basilica minore affidata alla cura pastorale dei salesiani che gestiscono anche un’Opera voluta da don Bosco, oggi casa di accoglienza che offre svariati servizi per rifugiati e senza fissa dimora. La parrocchia, pur contando poco più di 2 mila anime, è molto attiva ed è assai vivo l’impegno dei giovani. Ma in quale realtà sociale è immersa? Tiziana Campisi lo ha chiesto al parroco don Valerio Baresi:RealAudioMP3 

R. – Noi ci troviamo al centro della città di Roma, proprio accanto alla Stazione Termini. Questo comporta da una parte la presenza di molta gente di passaggio e, per di più, questa è una realtà che si è trasformata negli ultimi anni: una quarantina di anni fa il quartiere era abitato da circa 15 mila persone, mentre ora la parrocchia ha poco più di due mila abitanti. Tutto il resto si è trasformato in hotel, in “Bed & breakfast”, attività ricettive, ristoranti, servizi di accoglienza, uffici… Essendo al centro, ci troviamo con una realtà indubbiamente di degrado legata a molte persone che - o perché sono migranti, o perché sono senza dimora – cercano nella stazione la possibilità di “campare”. Quindi, non possiamo far finta di non vederli, di ignorarli; cerchiamo di avere un’attenzione anche verso queste povertà.

D. – Quali sono le problematiche più gravi nel territorio in cui si trova la Basilica del Sacro Cuore di Gesù?

R. – La problematica più grave direi che, in questo momento, è la drammatica ricerca di lavoro e la drammatica ricerca di aiuto e di ascolto.

D. – Quali attività pastorali promuovete?

R. – Intanto, c’è un’attenzione al territorio parrocchiale, quindi, a tutto ciò che è legato alle famiglie, ai ragazzi, ai giovani presenti nella parrocchia: la catechesi, l’annuncio, la liturgia, l’attenzione ai malati. Poi ci sono i giovani universitari, giovani che desideriamo far incontrare con Gesù…

D. – In quali attività sono impieganti i giovani?

R. – C’è un impegno grande nei confronti dei rifugiati. Noi, nell’arco di un anno, riusciamo a raggiungere più di 300 rifugiati che fanno riferimento al Sacro Cuore per attività diverse: la scuola di italiano, la possibilità di prendere la licenza media; c’è un corso di scuola guida propedeutico in modo che i rifugiati possano con più facilità prendere la patente; c’è uno sportello informativo; un piccolo corso di informatica per utilizzare il computer sia per fare un curriculum, sia per ricercare lavoro in internet. Abbiamo anche un’attenzione aggregativa, ludica attraverso il cineforum, le gite e le serate di festa che viviamo insieme. Lo scopo è quello di mettere insieme i giovani italiani, con i giovani rifugiati perché ci siamo accorti che c’è un reciproco aiuto, un reciproco insegnamento. Un’altra attenzione forte è verso gli amici senza fissa dimora: accogliendoli in casa nostra ogni giovedì con l’attività di “Piazza grande” - un’attività di fraternità dove si gioca, si canta e si prega insieme – poi alle 19.30 si cena intorno allo stesso tavolo. Mentre, il venerdì un bel gruppo di giovani e di adulti – sono una quarantina – portano i sacchetti “cena” alla Stazione Termini. Abbiamo iniziato un anno fa con 120 sacchetti, ora ci ritroviamo a distribuire circa 330 sacchetti ogni venerdì.

D. – Cosa significa per voi la visita di Papa Francesco: il Papa viene a trovarvi, viene ad immergersi nella vostra realtà…

R. – Noi lo sentiamo come un grande dono, un dono grande del Signore. Lo avvertiamo come una conferma che l’atteggiamento assunto da noi in questi ultimi anni - di attenzione ai giovani, ai poveri, ai rifugiati - è la strada giusta. Sentiamo anche la presenza del Papa come un incoraggiamento, perché indubbiamente in quello che facciamo c’è anche una grande fatica.



Segue il testo integrale,  del Santo Padre


















Omelia del Santo Padre Francesco durante la Messa celebrata nella Parrocchia del Sacro Cuore a Castro Pretorio

"E’ bello, questo brano del Vangelo: Giovanni che battezzava.
E Gesù, che era stato battezzato prima – alcuni giorni prima – veniva: ed è passato davanti a Giovanni. E Giovanni ha sentito dentro di sé la forza dello Spirito Santo per dare testimonianza di Gesù.
E guardandolo, e guardando la gente che era attorno a lui, dice: “Ma questo: ecco l’Agnello di Dio, Colui che toglie i peccati del mondo”.
E dà testimonianza di Gesù: questo è Gesù, questo è quello che viene a salvarci; questo è quello che ci darà la forza della speranza. Gesù è chiamato l’Agnello: è l’Agnello che toglie il peccato del mondo.

Uno può pensare: ma come un agnello, tanto debole, un agnellino debole, come può togliere tanti peccati, tante cattiverie? Con l’Amore. Con la sua mitezza. Gesù non ha mai  lasciato di essere agnello: mite, buono, pieno d’amore, vicino ai piccoli, vicino ai poveri. Era lì, fra la gente, guariva tutti, insegnava, pregava.
Ma, tanto debole Gesù: come un agnello. Ma ha avuto la forza di portare su di sé tutti i nostri peccati: tutti. “Ma, Padre, Lei non sa la mia vita: io ne ho uno che … ma, non posso portarlo nemmeno con un camion …”.
Tante volte, quando guardiamo la nostra coscienza, ne troviamo alcuni che sono grossi, eh? Ma Lui li porta. Lui è venuto per quello: per perdonare, per fare la pace nel mondo, ma prima nel cuore. Forse ognuno di noi ha una tormenta nel cuore, forse ha un buio nel cuore, forse si sente un po’ triste per una colpa … Lui è venuto a togliere tutto quello, Lui ci dà la pace, Lui perdona tutto. “Ecco l’Agnello di Dio che toglie il peccato”, ma toglie il peccato con la radice e tutto! Questa è la salvezza di Gesù, con il suo amore e con la sua mitezza. E sentendo questo che dice Giovanni Battista, che dà testimonianza di Gesù come Salvatore, dobbiamo crescere nella fiducia in Gesù.

Tante volte abbiamo fiducia in un medico: è buono,  perché il medico c’è per guarirci; abbiamo fiducia in una persona: i fratelli, le sorelle sono per aiutarci.
E’ buono avere questa fiducia umana, tra di noi.

Ma dimentichiamo la fiducia nel Signore: questa è la chiave del successo della vita. La fiducia nel Signore: affidiamoci al Signore. “Ma, Signore, guarda la mia vita: io sono nel buio, ho questa difficoltà, ho questo peccato …”, tutto quello che noi abbiamo: “Guarda questo: io mi affido a te!”. E questa è una scommessa che dobbiamo fare: affidarci a Lui e mai delude. Mai, eh? Mai! Sentite bene, voi ragazzi e ragazze, che incominciate la vita adesso: Gesù mai delude. Mai. Questa è la testimonianza di Giovanni: Gesù, il buono, il mite, che finirà come un agnello: ucciso. Senza gridare. Lui è venuto per salvarci, per togliere il peccato. Il mio, il tuo e quello del mondo: tutto, tutto.

E adesso vi invito a fare una cosa: chiudiamo gli occhi; immaginiamo quella scena lì, sulla riva del fiume, Giovanni mentre battezza e Gesù che passa. E sentiamo la voce di Giovanni: “Ecco l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo”. Guardiamo Gesù e in silenzio, ognuno di noi, dica qualcosa a Gesù dal suo cuore. In silenzio.
(Pausa di silenzio).

Il Signore Gesù, che è mite, è buono – è un agnello – che è venuto per togliere i peccati, ci accompagni nella strada della nostra vita. E così sia."

(Trascrizione di lavoro dell''omelia del Santo Padre nella parrocchia del Sacro Cuore di via Marsala, pertanto seguirà il testo ufficiale dal sito Vaticano)






[Modificato da Caterina63 19/01/2014 20:33]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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14/12/2014 21:17
 
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Preghiera, rendimento di grazie per i doni ricevuti e aiuto al prossimo che è nel bisogno. Sono le tre vie per vivere la gioia del Natale che sta arrivando. Questo in sintesi il messaggio che il Papa ha lasciato alla parrocchia romana di S. Giuseppe all’Aurelio visitata nel pomeriggio 14.12.2014. 

VISITA PASTORALE ALLA PARROCCHIA ROMANA 
«SAN GIUSEPPE ALL'AURELIO»

 

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

 

III Domenica di Avvento, 14 dicembre 2014

[Multimedia]


 

 

La Chiesa, in questa domenica, anticipa un po’ la gioia del Natale, e per questo si chiama “la domenica della gioia”. In questo tempo, tempo di preparazione al Natale, per la Messa indossiamo i paramenti scuri, ma oggi ci sono questi rosa, perché fiorisce la gioia del Natale. E la gioia del Natale è una gioia speciale; ma è una gioia che non è solo per il giorno di Natale, è per tutta la vita del cristiano. E’ una gioia serena, tranquilla, una gioia che sempre accompagna il cristiano. Anche nei momenti difficili, nei momenti di difficoltà, questa gioia diventa pace. Il cristiano non perde mai la pace, quando è vero cristiano, anche nelle sofferenze. Quella pace è un dono del Signore. La gioia cristiana è un dono del Signore. “Ah, Padre, noi facciamo un bel pranzone, tutti contenti”. Questo è bello, un bel pranzone sta bene; ma questa non è la gioia cristiana della quale parliamo oggi, la gioia cristiana è un’altra cosa. Ci porta anche a fare festa, è vero, ma è un’altra cosa. E per questo, la Chiesa vuol far capire che cosa sia questa gioia cristiana.

 

L’Apostolo san Paolo ai Tessalonicesi dice: “Fratelli, siate sempre lieti”. E come posso essere lieto? Lui dice: “Pregate, ininterrottamente, in ogni cosa rendete grazie”. La gioia cristiana la troviamo nella preghiera, viene dalla preghiera e anche dal rendere grazie a Dio: “Grazie, Signore, per tante cose belle!”. Ma ci sono persone che non sanno ringraziare Dio: cercano sempre qualcosa per lamentarsi. Io conoscevo una suora – lontano da qui! – questa suora era buona, lavorava… ma la sua vita era lamentarsi, lamentarsi di tante cose che succedevano…. Nel convento la chiamavano “Suor Lamentela”, si capisce. Ma un cristiano non può vivere così, sempre cercando di lamentarsi: “Quello ha qualcosa che io non ho, quello… Hai visto che cosa è successo?…”. Questo non è cristiano! E fa male trovare cristiani con la faccia amareggiata, con quella faccia inquieta dell’amarezza, che non è in pace. Mai, mai un santo o una santa ha avuto la faccia funebre, mai! I santi hanno sempre la faccia della gioia. O almeno, nelle sofferenze, la faccia della pace. La sofferenza massima, il martirio di Gesù: Lui aveva quel volto di pace e si preoccupava degli altri: della mamma, di Giovanni, del ladrone… si preoccupava degli altri.

 

Per avere questa gioia cristiana, primo, pregare; secondo, rendere grazie. E come faccio, per rendere grazie? Ricorda la tua vita, e pensa a tante cose buone che la vita ti ha dato: tante. “Ma, Padre, è vero, ma io ho ricevuto tante cose cattive!” – “Sì, è vero, succede a tutti. Ma pensa alle cose buone” – “Io ho avuto una famiglia cristiana, genitori cristiani, grazie a Dio ho un lavoro, la mia famiglia non soffre la fame, siamo tutti sani...”. Non so, tante cose, e rendere grazie al Signore per questo. E questo ci abitua alla gioia. Pregare, rendere grazie…

 

E poi, la prima Lettura ci suggerisce un’altra dimensione che ci aiuterà ad avere la gioia: è portare agli altri il lieto annuncio. Noi siamo cristiani. “Cristiani” viene da “Cristo”, e “Cristo” significa “unto”. E noi siamo “unti”: lo Spirito del Signore è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione. Noi siamo unti: cristiani vuol dire “unti”. E perché siamo unti? Per fare che cosa? “Mi ha mandato a portare il lieto annuncio” a chi? “Ai miseri”, “a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l’anno di grazia del Signore” (cfr Is 61,1-2). Questa è la vocazione di Cristo e anche la vocazione dei cristiani. Andare agli altri, a quelli che hanno bisogno, sia bisogni materiali, sia spirituali… Tanta gente che soffre angoscia per problemi familiari… Portare la pace lì, portare l’unzione di Gesù, quell’olio di Gesù che fa tanto bene e consola le anime.

 

Dunque, per avere questa gioia nella preparazione del Natale, primo, pregare: “Signore, che io viva questo Natale con la vera gioia”. Non con la gioia del consumismo che ci porta al 24 dicembre tutti in ansia, perché “Ah, mi manca questo, mi manca quello…”. No, questa non è la gioia di Dio. Pregare. Secondo: rendere grazie al Signore per le cose buone che ci ha dato. Terzo, pensare come posso andare agli altri, a quelli che hanno difficoltà, problemi – pensiamo agli ammalati, a tanti problemi – a portare un po’ di unzione, di pace, di gioia. Questa è la gioia del cristiano. D’accordo? Mancano appena 15 giorni, un po’ di meno: 13 giorni. In questi giorni, preghiamo. Ma non dimenticate: preghiamo chiedendo la gioia del Natale. Rendiamo grazie a Dio per tante cose che ci ha dato, prima di tutto la fede. Questa è una grazia grande. Terzo, pensiamo dove io posso andare a portare un po’ di sollievo, di pace a quelli che soffrono. Preghiera, rendimento di grazie e aiuto agli altri. E così arriveremo al Natale dell’Unto, del Cristo, unti di grazia, di preghiera, di azione di grazia e di aiuto agli altri.

 

Che la Madonna ci accompagni in questa strada verso il Natale. Ma la gioia, la gioia!

 




[Modificato da Caterina63 15/12/2014 11:09]
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09/02/2015 09:32
 
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VISITA ALLA PARROCCHIA ROMANA 
«SAN MICHELE ARCANGELO A PIETRALATA»

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

V Domenica del Tempo Ordinario, 8 febbraio 2015

[Multimedia]





 

Così era la vita di Gesù: “Andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demoni” (Mc 1,39). Gesù che predica e Gesù che guarisce. Tutta la giornata era così: predica al popolo, insegna la Legge, insegna il Vangelo. E la gente lo cerca per ascoltarlo e anche perché guarisca gli ammalati. “Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. … Guarì molti che erano affetti da varie malattie. Scacciò molti demoni (Mc 1,32.34).
E noi siamo davanti a Gesù in questa celebrazione: Gesù è quello che presiede questa celebrazione. Noi sacerdoti siamo nel nome di Gesù, ma Lui è il Presidente, Lui è il vero Sacerdote, che offre il sacrificio al Padre.
Possiamo domandarci se io lascio che Gesù predichi a me. Ognuno di noi: “Io lascio che Gesù predichi a me, o io so tutto? Io ascolto Gesù o preferisco ascoltare qualsiasi altra cosa, forse le chiacchiere della gente, o storie…”. Ascoltare Gesù. Ascoltare la predica di Gesù. “E come posso fare questo, padre? Su quale canale della tv parla Gesù?”.
Ti parla nel Vangelo! E questa è un’abitudine che noi ancora non abbiamo: di andare a cercare la parola di Gesù nel Vangelo. Portare sempre un Vangelo con noi, piccolino, o averlo alla mano. Cinque minuti, dieci minuti. Quando sono in viaggio, o quando devo aspettare…, prendo il Vangelo dalla tasca o dalla borsa e leggo qualcosa; o a casa. E Gesù mi parla, Gesù predica a me lì. E’ la Parola di Gesù. E dobbiamo abituarci a questo: sentire la Parola di Gesù, ascoltare la Parola di Gesù nel Vangelo. Leggere un passo, pensare un po’ che cosa dice, che cosa dice a me. Se non sento che mi parla, passo ad un altro. Ma avere questo contatto quotidiano col Vangelo, pregare col Vangelo; perché così Gesù predica a me, dice col Vangelo quello che vuole dirmi. Io conosco gente che sempre lo porta e quando ha un po’ di tempo lo apre, e così trova sempre la parola giusta, per il momento che sta vivendo. Questa è la prima cosa che voglio dirvi: lasciate che il Signore predichi a voi. Ascoltare il Signore.

E Gesù guariva: lasciatevi guarire da Gesù. Tutti noi abbiamo ferite, tutti: ferite spirituali, peccati, inimicizie, gelosie; forse non salutiamo qualcuno: “Ah, mi ha fatto questo, non lo saluto più”. Ma questo dev’essere guarito! “E come faccio?”. Prega e chiedi a Gesù che lo guarisca. E’ triste quando in una famiglia i fratelli non si parlano per una stupidaggine; perché il diavolo prende una stupidaggine e ne fa un mondo. Poi le inimicizie vanno avanti, tante volte per anni, e si distrugge quella famiglia. I genitori soffrono perché i figli non si parlano, o la moglie di un figlio non parla all’altro, e così le gelosie, le invidie… Questo lo semina il diavolo.
E l’unico che scaccia i demoni è Gesù. L’unico che guarisce queste cose è Gesù. Perciò ad ognuno di voi dico: lasciati guarire da Gesù. Ognuno sa dove ha la ferita. Ognuno di noi ne ha; ne ha non solo una: due, tre, quattro, venti. Ognuno sa! Che Gesù guarisca quelle ferite. Ma per questo devo aprire il cuore, perché Lui venga. E come apro il cuore? Pregando. “Ma, Signore, io non posso con quella gente di là, la odio, mi ha fatto questo, questo e questo…”. “Guarisci questa piaga, Signore”. Se noi chiediamo a Gesù questa grazia, Lui la farà. Lasciati guarire da Gesù. Lascia che Gesù ti guarisca.

Lascia che Gesù predichi a te e lascia che ti guarisca. Così io posso anche predicare agli altri, insegnare le parole di Gesù, perché lascio che Lui predichi a me; e posso anche aiutare a guarire tante ferite, tante ferite che ci sono. Ma prima devo farlo io: lasciare che Lui predichi a me e che Lui mi guarisca.

Quando viene il vescovo a fare una visita alle parrocchie, si fanno tante cose, si può fare anche un proposito bello, piccolino: il proposito di leggere ogni giorno un brano del Vangelo, un passo piccolo, per lasciare che Gesù predichi a me. E l’altro proposito: pregare perché io mi lasci guarire dalle piaghe che ho. D’accordo? Firmiamo? D’accordo? Ma facciamolo, perché farà bene a tutti. Grazie.

 

 

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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  Messa del Papa a 50 anni dalla riforma liturgica del Concilio


 




Paolo VI nella chiesa di Ognissanti - RV




 



07/03/2015 



50 anni fa, il 7 marzo 1965, Paolo VI si recava nella parrocchia romana di Ognissanti per celebrare per la prima volta la Messa in italiano e con l’altare rivolto verso i fedeli, secondo le norme liturgiche stabilite dal Concilio Vaticano II. Per commemorare l’anniversario, il Papa presiede alle 18.00 una celebrazione eucaristica nella stessa chiesa. Al microfono di Davide Dionisi, ricorda il significato di quell’evento don Flavio Peloso, superiore generale degli Orionini, che oggi come ieri reggono la chiesa di Ognissanti:


R. – Fu chiaro intento del Concilio e quindi delle indicazioni della riforma e poi lo disse chiaramente Paolo VI, proprio in quel 7 marzo del 1965, definendo “memorabile” quella data: lo scopo è per rendere intellegibile e far capire la preghiera e per rendere possibile una partecipazione attiva dei fedeli al culto della Chiesa, creare e facilitare questo dialogo, questo incontro tra il popolo di Dio e il suo Dio. Ecco, questo è stato lo scopo principale. Quindi un motivo pastorale che si inserisce in quel più ampio dialogo Chiesa-mondo che il Concilio Vaticano II ha promosso.


D. – Quali sono state, secondo lei, le difficoltà dei sacerdoti?


R. – Le difficoltà sono state tante, ognuno avrà vissuto le proprie. Le due grandi novità evidenti in quella celebrazione del 7 marzo 1965 furono il fatto della lingua italiana e il fatto della celebrazione verso il popolo. Sono due grandi capovolgimenti, innovazioni, dopo secoli e secoli di unità della lingua latina per tutti i popoli; e anche questo segno di rivolgersi verso il popolo che significava un’unità anche assembleare davanti al Signore, con il Signore in mezzo, che ha portato a un ri-orientamento piano, piano al di là delle strutture delle Chiese, ma un orientamento anche spirituale. Tanti adattamenti, la novità, ogni cambio in sé porta degli adattamenti, vorrei dire, affettivi prima ancora che spirituali, che pastorali. Senza dubbio, l’obiettivo di favorire il dialogo tra il popolo di Dio e il suo Dio, questo è stato al centro e questo, come disse Paolo VI nell’Angelus di quella domenica, questo ha aiutato ad affrontare, l’ha definito, un “sacrificio” che la Chiesa ha compiuto, della propria lingua, del latino e dell’unità del linguaggio dei vari popoli, ma - disse – “questo sacrificio valeva la pena ed è per voi fedeli, perché possiate unirvi meglio alla preghiera della Chiesa”.


D. – La Costituzione conciliare sulla riforma liturgica richiamò anche alla conciliazione fra sana tradizione e legittimo progresso. A 50 anni di distanza, secondo lei, questa conciliazione è avvenuta?


R. – Credo proprio di sì. Evidentemente le sensibilità possono essere anche diverse. Ma, innanzitutto, più che conciliazione tra sana tradizione e innovazione, progresso, già nel concetto di tradizione c’è il concetto di progresso, perché “traditio” vuol proprio dire consegnare e consegnare a chi viene. E’ chiaro che poi c’è un certo legame a forme, a valori che fanno da contorno, perché la liturgia è un fatto teologico, è un fatto ecclesiale ma è anche un fatto umano in cui la persona con la sua storia, la sua cultura, è coinvolta. Quindi, che ci siano impazienze da una parte sull’innovazione o anche sofferenze per qualcosa di caro che viene a mutare, questo fa parte del cammino umano di ogni realtà. Io sono a capo di una congregazione, anche in una congregazione avviene questo, e tanto più nella Chiesa, nella liturgia, nella sacra liturgia della Chiesa, questo avviene. Però, mi pare che sia saldamente vigilato l’equilibrio tra fedeltà a quanto ricevuto e fedeltà a coloro a cui si trasmette, è saldamente vigilato dal ministero della Chiesa attraverso il ministero del Papa, delle Congregazioni. In questo c’è una grande tranquillità e serenità di camminare nella fedeltà che si rinnova, una fedeltà creativa, fedele alla santa tradizione.






 Il Papa: chiede sintonia tra Liturgia e vita a 50 anni da Messa in italiano


SANTA MESSA NELLA PARROCCHIA ROMANA DI OGNISSANTI A VIA APPIA NUOVA

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

III Domenica di Quaresima 
Sabato, 7 marzo 2015

[Multimedia]






 

In occasione della festa della Pasqua ebraica, Gesù si reca a Gerusalemme. Giunto al tempio, non trova gente che cerca Dio, ma gente che fa i propri affari: i mercanti di bestiame per l’offerta dei sacrifici; i cambiamonete, i quali scambiano denaro “impuro” recante l’immagine dell’imperatore con monete approvate dall’autorità religiosa per pagare la tassa annuale del tempio. Che cosa troviamo noi quando ci rechiamo, quando noi andiamo ai nostri templi? Lascio la domanda. L’indegno commercio, fonte di lauti guadagni, provoca l’energica reazione di Gesù. Egli rovescia i banchi e butta a terra il denaro, allontana i mercanti dicendo loro: «Non fate della casa del Padre mio un mercato!» (Gv 2,16).

Questa espressione non si riferisce soltanto ai traffici che si praticavano nei cortili del tempio. Riguarda piuttosto un tipo di religiosità. Il gesto di Gesù è un gesto di “pulizia”, di purificazione, e l’atteggiamento che Lui sconfessa lo si può ricavare dai testi profetici, secondo i quali Dio non gradisce un culto esteriore fatto di sacrifici materiali e basato sull’interesse personale (cfr Is 1,11-17; Ger 7,2-11). Questo gesto è il richiamo al culto autentico, alla corrispondenza tra liturgia e vita; un richiamo che vale per ogni epoca e anche oggi per noi. Quella corrispondenza tra liturgia e vita. La liturgia non è una cosa strana, là, lontana, e mentre si celebra io penso a tante cose, o prego il rosario. No, no. C’è una corrispondenza, tra la celebrazione liturgica che poi io porto nella mia vita; e su questo si deve andare ancora più avanti, si deve fare ancora tanto cammino.

La Costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium definisce la liturgia come «la prima e indispensabile fonte alla quale i fedeli possono attingere il vero spirito cristiano» (n. 14). Ciò significa riaffermare il legame essenziale che unisce la vita del discepolo di Gesù e il culto liturgico. Esso non è anzitutto una dottrina da comprendere, o un rito da compiere; è naturalmente anche questo ma in un’altra maniera, è essenzialmente diverso: è una sorgente di vita e di luce per il nostro cammino di fede.

Pertanto, la Chiesa ci chiama ad avere e promuovere una vita liturgica autentica, affinché vi possa essere sintonia tra ciò che la liturgia celebra e ciò che noi viviamo nella nostra esistenza. Si tratta di esprimere nella vita quanto abbiamo ricevuto mediante la fede e quanto qui abbiamo celebrato (cfr Sacrosanctum Concilium, 10).

Il discepolo di Gesù non va in chiesa solo per osservare un precetto, per sentirsi a posto con un Dio che poi non deve “disturbare” troppo. “Ma io, Signore, vado tutte le domeniche, compio…, tu non immischiarti nella mia vita, non disturbarmi”. Questo è l’atteggiamento di tanti cattolici, tanti. Il discepolo di Gesù va in chiesa per incontrare il Signore e trovare nella sua grazia, operante nei Sacramenti, la forza di pensare e agire secondo il Vangelo. Per cui non possiamo illuderci di entrare nella casa del Signore e “ricoprire”, con preghiere e pratiche di devozione, comportamenti contrari alle esigenze della giustizia, dell’onestà o della carità verso il prossimo. Non possiamo sostituire con “omaggi religiosi” quello che è dovuto al prossimo, rimandando una vera conversione. Il culto, le celebrazioni liturgiche, sono l’ambito privilegiato per ascoltare la voce del Signore, che guida sulla strada della rettitudine e della perfezione cristiana.

Si tratta di compiere un itinerario di conversione e di penitenza, per togliere dalla nostra vita le scorie del peccato, come ha fatto Gesù, pulendo il tempio da meschini interessi. E la Quaresima è il tempo favorevole a tutto questo, è il tempo del rinnovamento interiore, della remissione dei peccati, il tempo in cui siamo chiamati a riscoprire il Sacramento della Penitenza e della Riconciliazione, che ci fa passare dalle tenebre del peccato alla luce della grazia e dell’amicizia con Gesù. Non bisogna dimenticare la grande forza che questo Sacramento ha per la vita cristiana: esso ci fa crescere nell’unione con Dio, ci fa riacquistare la gioia perduta e sperimentare la consolazione di sentirci personalmente accolti dall’abbraccio misericordioso di Dio.

Cari fratelli e sorelle, questo tempio è stato costruito grazie allo zelo apostolico di san Luigi Orione. Proprio qui, cinquant’anni fa, il beato Paolo VI inaugurò, in un certo senso, la riforma liturgica con la celebrazione della Messa nella lingua parlata dalla gente. Vi auguro che questa circostanza ravvivi in tutti voi l’amore per la casa di Dio. In essa voi trovate un grande aiuto spirituale. Qui potete sperimentare, ogni volta che lo volete, la potenza rigeneratrice della preghiera personale e della preghiera comunitaria. L’ascolto della Parola di Dio, proclamata nell’assemblea liturgica, vi sostiene nel cammino della vostra vita cristiana. Vi incontrate tra queste mura non come estranei, ma come fratelli, capaci di darsi volentieri la mano, perché accomunati dall’amore per Cristo, fondamento della speranza e dell’impegno di ogni credente.

A Lui, Gesù Cristo, Pietra angolare, ci stringiamo fiduciosi in questa Santa Messa, rinnovando il proposito di impegnarci per la purificazione e la pulizia interiore della Chiesa edificio spirituale, di cui ognuno di noi è parte viva in forza del Battesimo. Così sia.







[Modificato da Caterina63 07/03/2015 21:24]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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08/03/2015 22:46
 
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VISITA ALLA PARROCCHIA ROMANA 
«SANTA MARIA MADRE DEL REDENTORE A TOR BELLA MONACA»

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

III Domenica di Quaresima, 8 marzo 2015

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In questo passo del Vangelo che abbiamo sentito, ci sono due cose che mi colpiscono: un’immagine e una parola.

L’immagine è quella di Gesù con la frusta in mano che caccia via tutti quelli che profittavano del Tempio per fare affari. Questi affaristi che vendevano gli animali per i sacrifici, cambiavano le monete… C’era il sacro – il tempio, sacro – e questo sporco, fuori. Questa è l’immagine. E Gesù prende la frusta e va avanti, per pulire un po’ il Tempio.

E la frase, la parola, è là dove si dice che tanta gente credeva in Lui, una frase terribile: “Ma Lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli, infatti, conosceva quello che c’è nell’uomo” (Gv 2,24-25).

Noi non possiamo ingannare Gesù: Lui ci conosce da dentro. Non si fidava. Lui, Gesù, non si fidava. E questa può essere una bella domanda a metà Quaresima: Gesù, può fidarsi di me? Gesù, può fidarsi di me, o faccio la doppia faccia? Faccio il cattolico, quello vicino alla Chiesa, e poi vivo come un pagano? “Ma Gesù non lo sa, nessuno va a raccontarglielo”. Lui lo sa. “Lui non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza; egli, infatti, conosceva quello che c’è nell’uomo”. Gesù conosce tutto quello che è dentro il nostro cuore: noi non possiamo ingannare Gesù. Non possiamo, davanti a Lui, fare finta di essere santi, e chiudere gli occhi, fare così, e poi fare una vita che non sia quella che Lui vuole. E Lui lo sa. E tutti sappiamo il nome che Gesù dava a questi con la doppia faccia: ipocriti.

Ci farà bene, oggi, entrare nel nostro cuore e guardare Gesù. Dirgli: “ Signore, guarda, ci sono cose buone, ma anche ci sono cose non buone. Gesù, Tu ti fidi di me? Sono peccatore…”. Questo non spaventa Gesù. Se tu gli dici: “Sono un peccatore”, non si spaventa. Lui, quello che lo allontana, è la doppia faccia: farsi vedere giusto per coprire il peccato nascosto. “Ma io vado in chiesa, tutte le domeniche, e io…”. Sì, possiamo dire tutto questo. Ma se il tuo cuore non è giusto, se tu non fai giustizia, se tu non ami quelli che hanno bisogno dell’amore, se tu non vivi secondo lo spirito delle Beatitudini, non sei cattolico. Sei ipocrita. Primo: Gesù, può fidarsi di me? Nella preghiera domandiamogli: Signore, Tu ti fidi di me?

Secondo, il gesto. Quando entriamo nel nostro cuore, noi troviamo cose che non vanno, che non vanno bene, come Gesù trovò nel Tempio quella sporcizia del commercio, degli affaristi. Anche dentro di noi ci sono sporcizie, ci sono peccati di egoismo, di superbia, di orgoglio, di cupidigia, di invidia, di gelosie… tanti peccati! Possiamo anche continuare il dialogo con Gesù: “Gesù, Tu ti fidi di me? Io voglio che Tu ti fidi di me. Allora io Ti apro la porta, e pulisci la mia anima”. E chiedere al Signore che, come è andato a pulire il Tempio, venga a pulire l’anima. E immaginiamo che Lui venga con una frusta di corde… No, con quella non pulisce l’anima! Voi sapete qual è la frusta di Gesù per pulire la nostra anima? La misericordia. Aprite il cuore alla misericordia di Gesù! Dite: “Gesù, guarda quanta sporcizia! Vieni, pulisci. Pulisci con la Tua misericordia, con le Tue parole dolci; pulisci con le Tue carezze”. E se noi apriamo il nostro cuore alla misericordia di Gesù, perché pulisca il nostro cuore, la nostra anima, Gesù si fiderà di noi.

 



PARROCCHIA DI SANTA GIOVANNA ANTIDA 

 Incontro con gli ammalati 

(Papa Francesco)

Vi ringrazio per l’accoglienza, vi ringrazio anche per il vostro sorriso. Io so che voi pregate per me, e di questo vi ringrazio tanto. Il Signore vi vuole tanto bene, il Signore è vicino a voi. Il Signore mai ci abbandona, neppure nei momenti più brutti. Abbiamo fiducia in Lui: Lui è vicino a noi, e quando arriva un momento brutto – perché a tutti succede questo – quando vengono i momenti brutti, un po’ di nostalgia, un po’ di tristezza, i lacrimoni che vengono, il pianto… Facciamo così con la mano e: “Signore, io so che Tu sei qui”. Mai ci abbandona. Forse dici: “Eh, Tu sei qui, ma il momento brutto lo passo io!”. Ma Lui ha vissuto un momento brutto sulla croce e – vi ricordate? – Lui è stato il primo a fare strada a tutti noi. E per questo sa cosa è il dolore, la tristezza, essere soli e tante cose… Ma sempre Lui è lì. Mai perdere la fiducia. Capito? Sì? Ma non siete molto convinti, eh? Mai perdere la fiducia! E con il Signore c’è anche nostra Madre. Le mamme mai lasciano soli i figli, e la Madonna è la nostra mamma. Adesso la preghiamo tutti insieme: “Ave o Maria,…”.

E vi do la benedizione: “Vi benedica Dio onnipotente, …”.

E, per favore, pregate per me: non dimenticate! Ci vedremo più avanti, ma non so, il Signore sa… Avanti, coraggio! Il Signore sempre è lì. Grazie. Grazie dell’accoglienza!

* * *

PARROCCHIA DI SANTA MARIA MADRE DEL REDENTORE A TOR BELLA MONACA  

Incontro con bambini e ragazzi 

(Bambina)

Padre Santo, volevamo sapere cosa hai provato quando sei stato eletto Papa … 

(Papa Francesco)

Grazie … 

(Ragazza scout)

Questa è una domanda che volevamo farti noi due: questa domanda l’avevamo da molto tempo, e finalmente potremo avere una risposta. Se Dio perdona tutti, come mai esiste l’Inferno? E poi, una piccola curiosità: secondo Lei, com’è il Paradiso? 

(Ragazza)

Caro Santo Padre, in quanto cristiani ci scontriamo con molte difficoltà. Veniamo esposti a tante prese in giro, anche a causa delle nostre scelte morali, come ad esempio vivere cristianamente la nostra sessualità. Santità, ci aiuti a capire e ci consigli come vivere al meglio la nostra fede e camminare accanto a Dio, nonostante le asprezze della vita che spesso ci fanno sentire lontani dal Suo amore. Grazie con tutto il nostro cuore. 

(Papa Francesco)

Buona sera a tutti!

Prima una domanda che è molto importante, quella che hai fatto tu, come bella scout hai fatto una bella domanda, e difficile. Adesso domando anch’io: Dio perdona tutto, o no? [Risposta: Sì! Perdona tutto!] Perché Lui è buono… o no? [Sì! E’ buono!] Lui è buono. Ma, voi sapete che c’era un angelo molto orgoglioso, molto orgoglioso; che era molto intelligente. E lui aveva invidia di Dio, capite? Aveva invidia di Dio. Voleva il posto di Dio. E Dio ha voluto perdonarlo, ma lui diceva: “Io non ho bisogno di perdono, io sono sufficiente a me stesso!”. Questo è l’Inferno: dire a Dio: “Arrangiati tu, che io mi arrangio da solo”. All’Inferno non ti mandano: ci vai tu, perché tu scegli di essere lì. L’Inferno è volere allontanarsi da Dio perché io non voglio l’amore di Dio. Questo è l’Inferno. Hai capito? E’ una teologia un po’… facile da spiegare, ma è questo. Il diavolo è all’Inferno perché lui l’ha voluto: mai un rapporto con Dio. Ma, se tu sei … pensa a un peccatore: se tu fossi un peccatore tremendo, con tutti i peccati del mondo, tutti; e poi, ti condannano alla pena di morte; e quando stai lì, bestemmi, insulti, tante cose… E al momento di andare lì, alla pena di morte, quando stai per morire, guardi il Cielo e dici: “Signore…!”. Dove vai, in Cielo o all’Inferno? Forte… [In Cielo!] In Cielo, vai, perché c’era un altro che era un ladrone, ma un ladro di quelli… E’ stato crocifisso vicino a Gesù. E uno di questi due ladri insultava Gesù. Questo non credeva a Gesù; sopportava i dolori fino alla morte. Ma a un certo punto, qualcosa s’è mosso dentro e ha detto: “Signore, abbi pietà di me!”. E cosa ha detto Gesù? Ti ricordi cosa ha detto? “Oggi, questa sera, sarai con me nel Paradiso”. Perché? Perché ha detto “ricordati”, “guardami”. Va all’Inferno soltanto  colui che dice a Dio: “Non ho bisogno di Te, mi arrangio da solo”, come ha fatto il diavolo che è l’unico che noi siamo sicuri che sia all’Inferno. E’ chiara la cosa? Grazie della domanda. Ma tu sembri una teologa! 

L’altra domanda, non è facile. La moralità cristiana: come vivere questa moralità, come essere santo davanti a Dio, cosa devo fare? E la moralità cristiana, vivere moralmente, è una grazia, è una risposta all’amore che Lui ti dà prima. Se tu non sei consapevole che Lui ti ama, tu non puoi fare niente. Niente. E il modo morale di vivere è una risposta a quell’incontro con Gesù. Se tu non avrai incontrato Gesù, mai, mai potrai vivere una vita cristiana. E’ Gesù quello che ti aiuta ad andare avanti, e se tu cadi è Lui che ti alza e che ti fa continuare ad andare. Ma se tu pensi e noi pensiamo che la vita morale sia soltanto ‘fare questo’, ‘non fare questo’, ‘fare questo’, ‘non fare questo’, ‘ fare questo’, ‘non fare questo’…, questo non è cristiano. Questo è una filosofia morale, ma no, non è cristiano. Cristiano è l’amore di Gesù che ci ama per primo. Capito? Quando tutti noi abbiamo tentazioni di invidia, gelosie, tante tentazioni, tutti, tutti, tante tentazioni; nel momento della tentazione, guardare Gesù e dire: “Signore, guardami, non lasciarmi da solo”. Ma poi, se tu cadi, alzati. Gli alpini hanno una canzone molto bella che dice così: “Nell’arte di salire ai monti, l’importante non è non cadere, ma non rimanere caduti”. La moralità cristiana è questo: tu cadi? Alzati subito e avanti. E’ questa, la vita. Ma sempre con Gesù. Senza Gesù non potrai fare nulla. Capito? Eh? Anche tu puoi andare a studiare teologia morale alla Gregoriana: ti insegneranno queste cose… 

E la terza domanda, che è stata la prima: cosa ho provato quando sono stati eletto Papa. Non so…: “Mi hanno cambiato di diocesi”… [ride, ridono] Io ero felice in una diocesi e adesso sono felice in un’altra. Mi hanno cambiato. Ecco.  

Ai bambini della Comunione, che mi hanno scritto tutti una lettera, ringrazio e porto le lettere con me.  

Preghiamo la Madonna perché ci benedica tutti. Mai andare nella vita senza Gesù! Mai cercare la salvezza senza Dio: è Lui che salva. Così non andiamo all’Inferno. E mai lamentarsi quando la vita ti cambia di posto!

“Ave o Maria…”.

Ora chiediamo a Dio che ci benedica tutti: “Vi benedica Dio onnipotente…”.

Grazie! 

* * *

Incontro con il Consiglio pastorale parrocchiale e gli animatori 

(Sacerdote)

Allora, Padre Santo, Lei ha davanti tutti coloro che collaborano qui, in parrocchia; sono quelli che ci permettono, a noi sacerdoti, di poter essere presenti nel territorio, e soprattutto grazie al loro impegno e alla loro costanza, ci aiutano a portare Gesù Cristo nel nostro quartiere. Abbiamo più di 250 collaboratori; molti sono qui, altri impegnati oggi in altri servizi ma è tutta gente veramente di buona volontà e con un grande cuore. Mentre stavamo venendo, in Via dell’Archeologia, Lei ha visto tutte quelle persone che l’aspettavano: quella è la gente che fa paura a Roma. Sono le persone povere. Non basta che due famiglie rovinino il tessuto di una situazione. La gente di Tor Bella Monaca è buona, e Lei oggi ha avuto la possibilità di toccare con mano la loro bontà e, come Le dicevo in macchina, la loro vicinanza a noi sacerdoti, perché ci vogliono bene: a noi e alle suore. E questo per noi è un grande dono, perché tutte le mattine ci alziamo sereni, sapendo di avere il popolo di Dio che cammina con noi nel portare la Parola di Dio nel quartiere. Quindi, lascio a loro adesso che dica qualcosa che li possa aiutare. 

(Papa Francesco)

Buon pomeriggio e grazie di essere venuti: grazie tante. E grazie per quello che fate.

Quello che diceva il parroco è bello. La gente di Tor Bella Monaca è buona, è gente buona. Ha soltanto un difetto, ma è lo stesso difetto che avevano Gesù, Maria, Giuseppe: di essere povera. La povertà… Con la differenza che Giuseppe aveva un lavoro, Gesù aveva un lavoro. Tanta gente di qua non ne ha. E deve dare da mangiare ai figli! E come si arrangia? Eh, voi lo sapete! La tentazione… “Ma, io non voglio fare questo, io non vorrei, ma devo dare da mangiare ai figli”. Questo è il vostro dramma, della gente di qua. Quella bontà messa alla prova dall’ingiustizia; dall’ingiustizia della disoccupazione o della discriminazione. E questo è peccato, è peccato grave. E tanta gente che è buona è costretta a fare cose brutte, forse, perché non trova un’altra via. Ma poi ci sono alcuni altri problemi: noi sappiamo che il diavolo e l’ingiustizia entra attraverso le dipendenze, sia l’alcol, sia la droga, e questo ci spinge a fare cose cattive, cose brutte. Ma voi avete capito questo, che sotto la polvere che si può vedere c’è un’anima buona, sempre. E una carezza, una tenerezza, un gesto di sfamare la gente, fa tanto bene.  

Una volta, io non l’ho visto, ma nell’altra diocesi mi ha raccontato un parroco che doveva andare in carcere a visitare uno dei suoi che era in carcere perché aveva rubato: aveva rubato in un supermarket un po’ di carne per dare da mangiare ai suoi figli. E questo è brutto; povero uomo, che ingiustizie! Perché per compiere un comandamento, era in carcere. Se tuo figlio ha fame e la società non ti aiuta a lavorare, non ti aiuta a trovare un lavoro, non ti aiuta a uscire dai vizi… tu devi dare da mangiare ai figli… Questo lo dico per capire bene la situazione di tanta gente che è buona, ma la vita la spinge contro il muro. E voi lavorate perché queste situazioni non si ripetano, perché queste situazioni non siano quotidiane: voi lavorate per continuare ad andare avanti con la gente e dirle: “No, vieni qua, che bisogno hai? Io ti aiuterò…”. E tante volte la gente, quando si sente accompagnata, ben voluta, non cade in quella rete dei cattivi, che sfruttano la gente povera. Perché anche i mafiosi sfruttano la gente povera per farle fare il lavoro sporco e poi, se la polizia trova, trova quella povera gente ma non i mafiosi che sono tutti sicuri e pagano anche la sicurezza. O non è vero, questo? E voi lo sapete meglio di me. Per questo, io vi consiglio una cosa, a voi, per aiutare la gente. Il primo comandamento pastorale è vicinanza: essere vicini alla gente. Vicinanza. Noi non possiamo andare in una famiglia con i bambini ammalati o affamati o che è caduta nel vizio, non possiamo andare con il ‘tu devi, tu devi, tu devi!’… No. Dobbiamo andare con la vicinanza, con quella carezza che Gesù ci ha insegnato. Per salvarci Dio si è fatto vicino a noi, si è fatto uno di noi: Gesù, e ha sofferto come noi! Questa è la strada: vicinanza. “Ma devo avvicinarmi anche a quello che io so che ha fatto fuori due o tre persone?”. Avvicinati, perché anche quello ha un cuore, e Dio lo ama. Avvicinati. Questo è il grande consiglio pastorale che vi do. E vi ringrazio di questa collaborazione. E se c’è tanta ingiustizia, facendo manifestazioni politiche contro l’ingiustizia, gridando, e poi andare a mangiare una bella pizza con la birra, non serve. Serve la vicinanza, le carezze, l’amore, il condividere la vita. 

Oggi ho ricevuto una lettera di un amico mio ebreo – siamo grandi amici, a Buenos Aires. Mi ha scritto una lettera elettronica. E mi diceva di una storia – perché gli ebrei hanno storie antiche dei rabbini anziani che sono come catechesi, che i vecchi rabbini facevano perché la gente imparasse come si deve fare. E c’era un uomo ricco, molto intelligente – è una storia di tanti secoli fa, che loro raccontano – e nella sua intelligenza leggeva la Bibbia e diceva: “Il profeta Elia deve tornare, deve venire…”, e non capiva perché non venisse, il profeta Elia. E’ andato dal suo rabbino. Il suo rabbino – vecchio, saggio – gli ha detto: “Vai nell’altro paese e troverai una casa così, così, così. Prendi tutto, tutte le cose per fare la festa – perché arrivava la loro festa del Capodanno – tutte le cose da mangiare, e portale lì in regalo e stai con loro un giorno di festa. E lì troverai Elia”. E questo uomo ricco ha fatto due cestini e se ne è andato e ha fatto festa con loro, ma guardava, guardava e non vedeva Elia. Poi è tornato, dopo un giorno, e è andato dal rabbino e ha detto: “Ho fatto quello che tu mi hai detto, ma non ho visto Elia. Cosa devo fare? Tu mi hai ingannato!” – “Torna dopodomani, con le stesse cose, ma non bussare alla porta: ascolta dalla finestra di che cosa parlano”. Erano gli ultimi giorni della festa. Quest’uomo si è avvicinato alla finestra, ha ascoltato e questa famiglia ebrea povera, povera, povera che non aveva da mangiare, parlava ai figli che dicevano: “Mamma, adesso come festeggiamo l’ultimo giorno della festa che non abbiamo da mangiare? Papà, come facciamo?”. E la mamma e il papà hanno detto: “Abbiamo fiducia: così come Elia, il profeta, è venuto il primo giorno, tornerà anche oggi”. E quell’uomo, che sentiva dalla finestra, si è accorto che il profeta Elia era lui.  

Anche noi siamo profeti, anche noi siamo grandi profeti; ma annunciamo Gesù Cristo con i gesti: anche con le parole, ma prima con i gesti. Con la vicinanza. Quell’uomo si era avvicinato e aveva scoperto che lui aveva la capacità di risolvere tanti problemi, di sfamare tanta gente. Avvicinatevi. Non abbiate paura della vicinanza. Non abbiate paura delle carezze: accarezzate la gente, i malati, i soli, anche quelli che meritano l’appellativo di ‘miserabile’: accarezzateli, come Dio ha accarezzato noi. Vicinanza, carezze, amore. E andate avanti su questa strada. E grazie, grazie, grazie per quello che fate! 

E adesso preghiamo la Madonna che era tanto vicina alla gente e che durante la storia della Chiesa ha voluto avvicinarsi a noi, venire da noi in tante apparizioni, in tanti posti del mondo, per insegnarci questa saggezza della vicinanza alle persone, senza repulsione. “Ave o Maria…”.

“Vi benedica Dio onnipotente…”.

E pregate per me… Che cosa vuol dire questo? Con il cuore avvicinatevi a me, che anch’io ho bisogno delle vostre carezze e preghiere! Grazie.




[Modificato da Caterina63 08/03/2015 23:28]
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VISITA PASTORALE ALLA PARROCCHIA ROMANA 
«SANTA MARIA REGINA PACIS» A OSTIA

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

V Domenica di Pasqua, 3 maggio 2015

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Una parola che Gesù ripete spesso, soprattutto durante l’Ultima Cena, è: “Rimanete in me”. Non staccatevi da me, rimanete in me. E la vita cristiana è proprio questo rimanere in Gesù. Questa è la vita cristiana: rimanere in Gesù. E Gesù, per spiegarci bene che cosa vuole dire con questo, usa questa bella figura della vite: “Io sono la vite vera, voi i tralci” (cfr Gv 15,1.5). E ogni tralcio che non è unito alla vite finisce per morire, non dà frutto; e poi è buttato via, per fare il fuoco. Servono tanto per questo, per fare il fuoco - sono molto, molto utili - ma non per dare frutto. Invece i tralci che sono uniti alla vite, ricevono dalla vite la linfa vitale e così si sviluppano, crescono e danno i frutti. Semplice, semplice l’immagine. Rimanere in Gesù significa essere unito a Lui per ricevere la vita da Lui, l’amore da Lui, lo Spirito Santo da Lui. E’ vero, tutti noi siamo peccatori, ma se noi rimaniamo in Gesù, come i tralci con la vite, il Signore viene, ci pota un po’, perché noi possiamo dare più frutto. Lui sempre ha cura di noi. Ma se noi ci stacchiamo da lì, non rimaniamo nel Signore, siamo cristiani a parole soltanto, ma non di vita; siamo cristiani, ma morti, perché non diamo frutto, come i tralci staccati dalla vite.

Rimanere in Gesù vuol dire avere la volontà di ricevere la vita da Lui, anche il perdono, anche la potatura, ma riceverla da Lui. Rimanere in Gesù significa cercare Gesù, pregare, la preghiera. Rimanere in Gesù significa accostarsi ai sacramenti: l’Eucaristia, la Riconciliazione. Rimanere in Gesù – e questa è la cosa più difficile – significa fare quello che ha fatto Gesù, avere lo stesso atteggiamento di Gesù. Ma quando noi “spelliamo” gli altri [parliamo male degli altri], per esempio, o quando noi chiacchieriamo, non rimaniamo in Gesù. Gesù mai ha fatto questo. Quando noi siamo bugiardi, non rimaniamo in Gesù. Lui mai lo ha fatto. Quando noi truffiamo gli altri con questi affari sporchi che sono alla portata di tutti, siamo tralci morti, non rimaniamo in Gesù. Rimanere in Gesù è fare le stesse cose che faceva Lui: fare il bene, aiutare gli altri, pregare il Padre, curare gli ammalati, aiutare i poveri, avere la gioia dello Spirito Santo.

Una bella domanda per noi cristiani è questa: Io rimango in Gesù o sono lontano da Gesù? Sono unito alla vite che mi dà vita o sono un tralcio morto, che è incapace di dare frutto, dare testimonianza? E ci sono anche altri tralci, di cui Gesù non parla qui, ma ne parla da un’altra parte: quelli che si fanno vedere come discepoli di Gesù, ma fanno il contrario di un discepolo di Gesù, e sono i tralci ipocriti. Forse vanno tutte le domeniche a Messa, forse fanno la faccia da immaginetta, tutte pie, ma poi vivono come se fossero pagani. E questi Gesù, nel Vangelo, li chiama ipocriti. Gesù è buono, ci invita a rimanere in Lui. Lui ci dà la forza, e se noi scivoliamo in peccati – tutti siamo peccatori – Lui ci perdona, perché Lui è misericordioso. Ma quello che Lui vuole sono queste due cose: che noi rimaniamo in Lui e che noi non siamo ipocriti. E con questo una vita cristiana va avanti.

E che cosa ci dà il Signore se rimaniamo in Lui? Lo abbiamo sentito: “Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto” (Gv 15,7). Una forza nella preghiera: “Chiedete quello che volete”, cioè la preghiera potente, tanto che Gesù fa quello che chiediamo. Ma se la nostra preghiera è debole – se non è fatta veramente in Gesù - la preghiera non dà i suoi frutti, perché il tralcio non è unito alla vite. Ma se il tralcio è unito alla vite, cioè “se voi rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete, vi sarà fatto”. E questa è la preghiera onnipotente. Da dove viene questa onnipotenza della preghiera? Dal rimanere in Gesù; dall’essere unito a Gesù, come il tralcio alla vite. Che il Signore ci dia questa grazia.





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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VISITA A "VILLA NAZARETH"


PAROLE DEL SANTO PADRE FRANCESCO


Sabato, 18 giugno 2016


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Commento al Vangelo del Buon Samaritano (Lc 10,25-37)


Ci sono tante persone coinvolte in questo brano del Vangelo: quello che fa la domanda “chi è il mio prossimo?”; Gesù; e poi, nella parabola, i briganti, il povero che era mezzo morto sulla strada, poi il sacerdote, poi il dottore della legge, forse avvocato [il “levita”]; poi il locandiere, l’albergatore.


Nella parabola, forse né il sacerdote né il dottore della legge né il samaritano né l’albergatore sapevano rispondere alla domanda “chi è il prossimo?”; forse neppure conoscevano com’era “il prossimo”, chi era “il prossimo”. Il sacerdote era di fretta, come tutti i preti, perché ha guardato l’orologio: “Devo dire la Messa”, o, tante volte: “Ho lasciato la chiesa aperta, devo chiuderla, perché l’orario è quello e non posso rimanere qui”. Il dottore della legge, uomo pratico, ha detto: “Se io mi immischio in questo, domani devo andare in tribunale, fare il testimone, dire quello che ho fatto, perdo due, tre giorni di lavoro… No, no, meglio…”. Viva Ponzio Pilato, e se n’è andato. Invece, quell’altro [il samaritano] peccatore, straniero che non era proprio del popolo di Dio, si è commosso: “ebbe compassione”, e si fermò. Tutti e tre – il sacerdote, l’avvocato e il samaritano – sapevano bene, conoscevano bene cosa si doveva fare. E ciascuno di loro ha preso la propria decisione. Ma a me piace pensare all’albergatore: è l’anonimo. Lui ha guardato tutto questo, ha visto e non ha capito nulla. “Ma questo è pazzo! Un samaritano che aiuta un ebreo! E’ pazzo! E poi, con le sue mani gli guarisce le ferite e lo porta qui all’albergo e mi dice: ‘Tu prenditi cura di lui, io ti pagherò se c’è qualcosa in più…’. Io non ho mai visto una cosa simile, questo è un pazzo!”. E quell’uomo ha ricevuto la Parola di Dio: nella testimonianza. Di chi? Del sacerdote, no, perché neppure lo aveva visto; dell’avvocato, lo stesso. Del peccatore, un peccatore che ha compassione. “Ah, hai sentito quella cosa? Un peccatore, sì, non era fedele al popolo di Dio, ma ha avuto compassione”. E non capiva niente, è rimasto con il dubbio, forse con la curiosità: “Ma che cosa è successo qui, strano…”. Con l’inquietudine dentro; e questo è ciò che fa la testimonianza. La testimonianza di questo peccatore ha seminato inquietudine nel cuore di questo locandiere; e cosa è successo di lui, il Vangelo non lo dice, neppure il nome. Ma sicuramente quest’uomo… – di sicuro, perché lo Spirito Santo quando semina, fa crescere – di sicuro è cresciuta la sua curiosità, la sua inquietudine, l’ha lasciata crescere nel suo cuore e ha ricevuto il messaggio della testimonianza. Poi, giorni dopo, è passato un'altra volta da quelle parti il samaritano; sicuramente ha pagato qualcosa. Oppure [l’albergatore gli ha detto]: “No, lascia, lascia: questo va sul mio conto”. Forse questa è stata la sua prima reazione alla testimonianza.


E perché io mi soffermo, oggi, su questo personaggio, su questa persona? Perché la nostra testimonianza non si può contabilizzare – non so come si dice –. La testimonianza è vivere in modo tale che gli altri “vedano le opere vostre e glorifichino il Padre che è nei Cieli” (cfr Mt 5,16), cioè che incontrino il Padre, che vadano a Lui… Sono parole di Gesù.


Io, su Villa Nazareth ho sentito delle notizie: “C’è questa Opera…”, ma non conoscevo bene. Poi Mons. Celli mi ha detto qualche cosa… E’ un’Opera, un lavoro dove si favorisce la testimonianza. Qui si viene non per “arrampicarsi”, né per guadagnare soldi, no, ma per seguire le tracce di Gesù e dare testimonianza di Gesù, seminare testimonianza. Nel silenzio, senza spiegazioni, con i gesti… Riprendere il linguaggio dei gesti. E sicuramente questo albergatore è in cielo, di sicuro!, perché quel seme, di sicuro, è cresciuto, è germogliato. Ha visto una cosa che mai, mai avrebbe pensato di vedere. E questa è la testimonianza. La testimonianza passa e se ne va. Tu la lasci lì e vai. Solo il Signore la custodisce, la fa crescere, come fa crescere il seme: mentre il padrone dorme, cresce la pianta.


Mi auguro che quest’Opera continui ad essere un’Opera di testimonianza, una casa di testimonianza; di testimonianza a tutti, a tutti. Di testimonianza per la gente che si avvicina, o che ne sente parlare… una testimonianza. Mi auguro questo. E che il Signore ci liberi dai briganti – ce ne sono tanti! –, ci liberi dai sacerdoti di fretta o che vanno in fretta, sempre, non hanno tempo di ascoltare, di vedere, devono fare le loro cose…; ci liberi dai dottori che vogliono presentare la fede di Gesù Cristo con una rigidità matematica; e ci insegni a fermarci e ci insegni quella saggezza del Vangelo: “sporcarsi le mani”. Che il Signore ci dia questa grazia. Grazie.




Domande e risposte


Il coraggio della scelta - Valentina Piras


Santo Padre,


prima di maestri, noi giovani abbiamo bisogno di testimoni credibili. Sovente abbiamo la consapevolezza di abitare una realtà complessa nella quale non ci sono punti di riferimento costanti e dove vengono proposte esperienze senza sostanza. A volte siamo ragazzi e adulti ‘parcheggiati’ nella vita, preda dell’illusione del successo e del culto del proprio ego, incapaci di donarci agli altri. Santo Padre, noi vorremmo che Lei ci desse una parola che ci aiuti a far luce sulle tenebre che sovrastano i nostri cuori. Come possiamo ridestare la grandezza e il coraggio di scelte di ampio respiro, di slanci del cuore per affrontare sfide educative e affettive?


Papa Francesco:


Grazie. Una parola-chiave è: “Noi giovani abbiamo bisogno di testimoni credibili”. E questa è proprio la logica del Vangelo: dare testimonianza. Con la propria vita, il modo di vivere, le scelte fatte… Ma testimonianza di che? Di diverse cose. Testimonianza, noi cristiani, di Gesù Cristo che è vivo, ci ha accompagnato: ci ha accompagnato nel dolore, è morto per noi, ma è vivo. Detto così, sembra troppo clericale. Ma io capisco qual è la testimonianza che i giovani cercano: è la testimonianza dello “schiaffo”. Lo schiaffo è una bella testimonianza quotidiana! Quella che ti sveglia, ti dice: “Guarda, non farti illusioni con le idee, con le promesse…”. Anche illusioni più vicine a noi. L’illusione del successo: “No, io vado per questa strada e avrò successo”. Del culto del proprio ego. Oggi, tutti lo sappiamo, lo specchio è di moda! Guardarsi. Il proprio ego, quel narcisismo che ci offre la cultura di oggi. E quando non abbiamo testimonianze, forse la vita ci va bene, guadagniamo bene, abbiamo una professione, c’è un bel posto di lavoro, una famiglia…, ma tu hai detto una parola molto forte: “Siamo uomini e donne parcheggiati nella vita”, cioè che non camminano, che non vanno. Come i conformisti: tutto è abitudine, un’abitudine che ci lascia tranquilli, abbiamo il necessario, non manca niente, grazie a Dio… “Come possiamo ridestare la grandezza e il coraggio di scelte di ampio respiro, di slanci del cuore per affrontare sfide educative e affettive?”. La parola l’ho detta tante volte: rischia! Rischia. Chi non rischia non cammina. “Ma se sbaglio?”. Benedetto il Signore! Sbaglierai di più se tu rimani fermo, ferma: quello è lo sbaglio, lo sbaglio brutto, la chiusura. Rischia. Rischia su ideali nobili, rischia sporcandoti le mani, rischia come ha rischiato quel samaritano della parabola. Quando noi nella vita siamo più o meno tranquilli, c’è sempre la tentazione della paralisi. Non rischiare: stare tranquilli, quieti… “Come possiamo ridestare la grandezza e il coraggio di scelte di ampio respiro”, hai domandato, “di slanci del cuore per affrontare sfide educative e affettive?”. Avvicinati ai problemi, esci da te stesso e rischia, rischia. Altrimenti la tua vita lentamente diventerà una vita paralitica; felice, contenta, con la famiglia, ma lì, parcheggiata – per usare la tua parola. E’ molto triste vedere vite parcheggiate; è molto triste vedere persone che sembrano più mummie da museo che esseri viventi. Rischia! Rischia. E se sbagli, benedetto il Signore. Rischia. Avanti! Non so, questo mi viene di dirti.


La fatica della fede nel mondo di oggi – Gabriele Giuliano


Caro Papa Francesco,


sui giornali spesso troviamo notizie drammatiche relative alla tragedia che sta colpendo le comunità cristiane sparse nel mondo: questi eventi ci inducono ad una profonda riflessione su quanto possa essere testimoniata e vissuta la propria fede, addirittura fino alla morte. Questo coraggio della fede autentica ci mette tutti davvero in discussione. Come possiamo essere testimoni credibili del Vangelo, come annunciare il messaggio di Cristo al mondo? Molti di noi, con tutte le mancanze e i limiti intrinseci all’essere umano, ci provano, ma si scoraggiano facilmente. A Lei succede? Si è mai trovato in crisi con la sua fede? Dove e come ha trovato il modo di riprendersi, non stancarsi, e continuare nel suo mandato, da laico prima, da consacrato poi?


Papa Francesco:


Ma, tu hai fatto una domanda troppo personale! E io devo fare la scelta… O rispondo la verità, o faccio una telenovela che sia bella e via… La tragedia delle comunità cristiane sparse nel mondo: questo è vero. Ma è il destino dei cristiani: la testimonianza – riprendo la parola testimonianza - fino a situazioni difficili. A me non piace, e voglio dirlo chiaramente, a me non piace quando si parla di un genocidio dei cristiani, per esempio nel Medio Oriente: questo è un riduzionismo, è un riduzionismo. La verità è una persecuzione che porta i cristiani alla fedeltà, alla coerenza nella propria fede. Non facciamo un riduzionismo sociologico di quello che è un mistero della fede: il martirio. Quei 13 – credo che fossero uomini egiziani cristiani copti, santi oggi, canonizzati dalla Chiesa Copta – sgozzati sulle spiagge della Libia: tutti sono morti dicendo: “Gesù, aiutami!”. Gesù. Ma io sono sicuro che la maggioranza di loro non sapesse nemmeno leggere. Non erano dottori in teologia, no, no. Era gente, come si dice, ignorante, ma erano dottori di coerenza cristiana, cioè erano testimoni di fede. E la fede ci fa testimoniare tante cose difficili nella vita; anche con la vita testimoniamo la fede. Ma non inganniamoci: il martirio cruento non è l’unico modo di testimoniare Gesù Cristo. E’ il massimo, diciamo, eroico. E’ anche vero che oggi ci sono più martiri che non nei primi secoli della Chiesa, è vero. Ma c’è il martirio di tutti i giorni: il martirio dell’onestà, il martirio della pazienza, nell’educazione dei figli; il martirio della fedeltà all’amore, quando è più facile prendere un’altra strada, più nascosta: il martirio dell’onesta, in questo mondo che si può chiamare anche “il paradiso delle tangenti”, è tanto facile: “Lei dica questo e avrà questo”, dove manca il coraggio di buttare in faccia i soldi sporchi, in un mondo dove tanti genitori danno da mangiare ai figli il pane sporcato dalle tangenti, quel pane che loro comprano con le tangenti che guadagnano… Lì è la testimonianza cristiana, lì è il martirio: “No, io non voglio questo!” – “Se tu non vuoi, non avrai quel posto, non potrai salire più in alto”. Il martirio del silenzio davanti alla tentazione delle chiacchiere. Per un cristiano – lo dice Gesù – non è lecito chiacchierare. Gesù dice che quello che dice “stupido” al fratello deve andarsene all’inferno. Voi sapete che le chiacchiere sono come la bomba di un terrorista, di un kamikaze – non di un kamikaze, di un terrorista, almeno il kamikaze ha il coraggio di morire anche lui – no, le chiacchiere sono quando io butto la “bomba”, distruggo quello, e io rimango felice. Ma la testimonianza cristiana è il martirio di ogni giorno, il martirio silenzioso, e noi dobbiamo parlare così. “Ma noi siamo uomini e donne martirizzati, dobbiamo avere la faccia triste, una faccia… col muso lungo”. No. C’è la gioia della parola Gesù, come quelli della spiaggia della Libia.


E ci vuole coraggio, e il coraggio è un dono dello Spirito Santo. Il martirio, la vita cristiana martiriale, la testimonianza cristiana non si può vivere senza il coraggio della vita cristiana. San Paolo usa due parole, per indicare la vita martiriale cristiana, la vita di ogni giorno: coraggio e pazienza. Due parole. Il coraggio di andare avanti e non vergognarti di essere cristiano e farti vedere come cristiano, e la pazienza di portare sulle spalle il peso di ogni giorno, anche i dolori, anche i propri peccati, le proprie incoerenze. “Ma, si può essere cristiano con i peccati?”. Sì. Tutti siamo peccatori, tutti. Il cristiano non è un uomo o una donna che ha l’asepsi dei laboratori, non è come l’acqua distillata! Il cristiano è un uomo, una donna capace di tradire il proprio ideale con il peccato, è un uomo e una donna debole. Ma noi dobbiamo riconciliarci con la nostra debolezza. E così il naso [l’aspetto] diventa un po’ più umile. Più umile.


La verità non è nelle apparenze. “Io non sono peccatore”, come quel fariseo che pregava davanti al Signore: “Ti ringrazio perché non sono come questo, come quello, come quell’altro”; sporcava tutti, ma lui era pulito. Si pavoneggiava. Permettetemi, è un po’… non è troppo corretto, no, non è proprio lecito quello che io dirò adesso, ma l’immagine ci aiuterà. La coerenza cristiana della verità è sentirsi peccatori e bisognosi di perdono; invece quello che si pavoneggia di essere cristiano perfetto, è come il pavone: ma che bello il pavone!, si vede, è una realtà bella... Scusatemi, ma girate di dietro: anche quella è la verità del pavone! E il messaggio di Cristo al mondo è così: siamo peccatori, e Gesù ci ha amato, ci ha guarito, o siamo in via di guarigione, sempre. E ci ama. E questi limiti intrinseci a noi e anche limiti estrinseci che noi vediamo, per esempio, l’ipocrisia nella Chiesa, l’ipocrisia dei cristiani;  questi limiti ci scoraggiano, e così la fede entra in crisi. E qui la domanda sfacciata: “Si è mai trovato in crisi con la sua fede?”. Questa è una domanda che fate al Papa! Avete coraggio! “Dove e come ha trovato il modo di riprendersi, non stancarsi e continuare nel suo mandato, da laico, prima, da consacrato, poi?”. Tante volte io mi trovo in crisi con la fede e alcune volte anche ho avuto la sfacciataggine di rimproverare Gesù: “Ma perché Tu permetti questo?”, e anche dubitare: “Ma questa sarà la verità, o sarà un sogno?”. E questo da ragazzo, da seminarista, da prete, da religioso, da vescovo e da Papa. “Ma come mai il mondo è così, se Tu hai dato la Tua vita? Ma non sarà, questa, un’illusione, un alibi per consolarci?”. Un cristiano che non abbia sentito questo, qualche volta, la cui fede non sia entrata in crisi, gli manca qualcosa: è un cristiano che si accontenta con un po’ di mondanità e così va avanti nella vita. Mi hanno detto – perché io non conosco il cinese, con le lingue ho tanta difficoltà, vedete… - non conosco il cinese, ma mi hanno detto che la parola crisi, in cinese, si fa con due ideogrammi: uno è l’ideogramma rischio e l’altro l’ideogramma opportunità. E’ vero. Quando uno entra in crisi – come quando Gesù disse a Pietro che il diavolo lo avrebbe messo in crisi [“vagliato”] come si fa con il grano, e tante volte il diavolo, la vita, il prossimo, tante persone ci fanno “saltare” come il grano, ci mettono in crisi – c’è sempre un pericolo, un rischio, un rischio in senso non buono, e un’opportunità. Il cristiano – questo l’ho imparato – non deve avere paura di entrare in crisi: è un segno che va avanti, che non è ancorato alla riva del fiume o del mare, che ha preso il largo e va avanti. E lì ci sono i problemi, le crisi, le incoerenze, e la crisi del proprio peccato, che ci fa tanto vergognare. E come non stancarsi? E’ una grazia. Chiedila al Signore: “Signore, che non mi stanchi. Dammi la grazia della pazienza, di andare avanti, di aspettare che venga la pace”. Non so: così mi sembra di rispondere. 

  continua............


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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  La vocazione professionale e affettiva – Giacomo Guarini


Santo Padre,


oggi tutto si dirige verso l’affermazione dell’individuo e sembra smarrirsi la persona come essere capace di donarsi e di ricevere amore. L’amore non è più inteso come movimento verso il bene dell’altro ma come mezzo di una gratificazione individuale; in modo particolare, non nascondiamo le difficoltà che riguardano noi giovani laureati, spesso avviliti dalla mancanza di prospettive concrete per il nostro futuro e impossibilitati a dare compimento alla vocazione professionale e affettiva che, grazie a Villa Nazareth, abbiamo scoperto. Pertanto, come fare del lavoro un luogo di vocazione, in un mondo governato da uno sfrenato individualismo? Come vivere le relazioni quali specchio dell’amore di Dio, anche nel fidanzamento, in un contesto in cui ogni desiderio di gratuità sembra venire meno?


Papa Francesco:


Tu hai detto una parola che a me piace tanto: la gratuità. Noi dimentichiamo spesso questo senso della gratuità, e dimentichiamo che la gratuità è il linguaggio di Dio. Lui ci ha creato gratuitamente; Lui ci ha ricreato in Gesù gratuitamente; e lo stesso Gesù ci ammonisce: “Quello che voi avete ricevuto gratuitamente, datelo gratuitamente”. La gratuità. In questa civiltà del “do ut des”, io ti do questo e questo, tutto si negozia, la gratuità corre il pericolo di sparire. E alle volte, o tante volte – credo che sia una delle abitudini più comuni – il cristianesimo diventa pelagiano: tutto si compra. “Io faccio questo e sono più santo”, “io faccio questo e sono più perfetto”, “io faccio questo e sono più cristiano”, “non faccio questo e il mio cristianesimo non…”. Anche con Dio abbiamo questo atteggiamento del “do ut des”. Ma il Signore, già nell’Antico Testamento ci diceva: “Io non ho bisogno dei vostri sacrifici. Guardate vicino a voi, e aiutate gli altri. Siate giusti nello stipendio”. E questo che tu chiami “l’affermazione dell’individuo”, questo individualismo ci porta a gravissime ingiustizie. Ingiustizie umane. Non direi “sociali”, perché qualcuno può dire: “Ma questo prete è socialista”. No, no: umane! E’ un po’ la gratificazione individuale che non ha niente a che fare con la gratuità che ci propone Gesù Cristo, che ci insegna Dio, che è proprio il linguaggio di Dio: gratuità. Dobbiamo metterci su questa lunghezza d’onda, della gratuità. Le gratificazioni individuali, l’edonismo: questa anche è una cultura dell’edonismo. Si cerca la soddisfazione personale. E oggi dobbiamo fare tanto lavoro anche per distinguere i santi da quelli che si truccano per apparire come santi! Tanti cristiani truccati che non sono cristiani, perché non sanno di gratuità. Vivono altrimenti.


“Come fare del lavoro un luogo di vocazione?”. Andare verso la prima chiamata, la chiamata che ognuno di noi riceve e che è la stessa che ha ricevuto l’umanità in Adamo: andate, coltivate la Terra, moltiplicatevi, assoggettatevi la terra, lavorate… “Come fare del lavoro un luogo di vocazione?”. Forse la parola più forte qui è lavoro. Una cosa è lavorare e un’altra è fare cose per profittare e anche per approfittarsi degli altri. La cultura del lavoro. In tanti Paesi sottosviluppati c’è la cultura del sussidio: si aiuta, ma non si insegna a lavorare. A me fa tanto bene pensare a Don Bosco, alla fine dell’Ottocento, in quella Torino massonica, mangiapreti, povera, dove i ragazzi erano per la strada… Cosa ha fatto, lui? E’ andato con l’acqua benedetta? No. Ha fatto educazione di emergenza, ha fatto studiare per imparare mestieri semplici, e così entrare nella cultura del lavoro. Ha visto in quel rischio unaopportunità, in quella crisi religiosa una opportunità; e ha aperto un orizzonte umano e religioso, a quelle persone. Lavoro. Che non è la stessa cosa che “fare cose”. La vocazione del lavoro, lavoro creativo. Il lavoro ci rende simili a Dio, che è Creatore, ed è anche un Artigiano. E il lavoro è un luogo di vocazione, non è un luogo di stallo, di parcheggio. La mia vocazione mi porta ad andare avanti nel lavoro, nella creatività.


E anche nel fidanzamento. Nel fidanzamento c’è la gratuità, c’è anche un impegno di andare insieme, capirsi, sentirsi, superare le difficoltà, mantenere la fedeltà; è anche un impegno gratuito. La gratuità si impara nel fidanzamento. Ma io, qui, vorrei fare una riflessione. Tante volte il lavoro, nel senso di “fare cose”, fa sì che venga meno la famiglia, venga meno il matrimonio. Io mi entusiasmo, per esempio con la politica, e vado di qua e di là e di là e poi non mi curo della moglie o del marito o dei figli. Io ho l’abitudine, nella Confessione, quando un uomo o una donna sposati mi dicono che hanno dei bambini e che forse perdono la pazienza…, io faccio una domanda: “Ma quanti bambini hai?”. Tante volte loro si spaventano: ma quale sarà la prossima domanda? E la seconda domanda è: “E dimmi: tu giochi con loro? Tu prendi tempo per giocare con i tuoi figli, per ascoltarli, per avere uno spazio di comunicazione con loro?” – “Ma, Padre – una risposta – quando io esco per lavorare la mattina, i bambini dormono, e quando torno, dormono”. Questo lavoro schiavizzante che non permette di vivere la gratuità del dono dell’amore, del dono di Dio, forse non è colpa di quest’uomo o di questa donna: è colpa della situazione, è colpa dell’ingiustizia, dell’ingiustizia morale che noi viviamo in questa società. Ma dico questo: curate la famiglia, curate il marito, curate la moglie, curate i bambini; e mi permetto una cosa che io ho molto a cuore: curate i nonni! Curate i nonni. Loro sono la nostra memoria! In questa cultura dello scarto, è tanto facile scartare i nonni: o a casa loro, o nella casa di riposo, e non andare a trovarli. Adesso è cambiato un po’ perché siccome non c’è tanto lavoro e loro hanno la pensione, allora andiamo dai nonni! Curate i nonni. Mi tocca il cuore quella profezia del profeta Gioele, nel capitolo III: “I nonni sogneranno”, e sarà proprio il sogno, la capacità di sognare cose grandi, quello che farà andare avanti i ragazzi, i giovani.


Mi fermo qui, perché non finisco più.


Le nuove povertà – Maria Elena Tagliaboschi


Santo Padre,


la crisi economica, i rilevanti flussi migratori, i cambiamenti demografici, l’incompatibilità dei tempi di lavoro con quelli della cura dei figli, sono solo alcuni dei fenomeni che stanno fortemente incidendo sullo sviluppo della società nei paesi industrializzati. Tutto ciò sta favorendo la nascita di nuove povertà: anziani soli; disoccupati e precari in forte crescita che non trovano lo spazio loro dovuto nel mercato del lavoro; giovani coppie soffocate da spese ingenti per la gestione familiare. Questi cambiamenti ci fanno sentire smarriti e sempre più poveri, prima che economicamente, nella speranza, nei desideri, nelle passioni. Con quale spirito, noi giovani e adulti possiamo affrontare queste situazioni che molte volte ci coinvolgono?


Papa Francesco:


Scusatemi, mi sono allungato troppo. Riguardo a questa domanda, per la maggior parte ho risposto a tante cose. Ma io andrò forse al centro del problema. Quello che dobbiamo rivedere è lo stile dell’economia di oggi. Oggi – e questo lo dico perché l’ho scritto nella Evangelii gaudium – c’è un’economia che uccide. Nel mondo, nell’economia mondiale, al centro non c’è l’uomo, la donna: c’è il dio denaro. E questo ci uccide. Tu puoi trovare una mattina d’inverno un senzatetto morto di freddo in piazza Risorgimento, o tanti bambini che non hanno da mangiare per la strada, o anche drogati… Questo non fa notizia, non fa notizia. Ma se i punti delle borse di Tokyo, Londra, Francoforte, New York calano di due o tre, grande tragedia internazionale! Noi siamo schiavi di questo sistema economico che uccide, schiavi e vittime. Oggi è comune lavorare in nero, perché se tu non lavori in nero, non hai lavoro. E’ comune. Oggi è comune che ti facciano il contratto di lavoro da settembre a giugno, e poi luglio e agosto? Mangia un po’ d’aria! E poi ti danno un altro contratto da settembre. Senza assistenza sanitaria, senza possibilità di pensione. Questo si chiama “lavoro schiavo”, e la maggioranza di noi vive in questo sistema di lavoro schiavo.


I flussi migratori: in parte fuggono per la fame, perché il loro Paese è stato sfruttato e hanno fame. E in parte fuggono dalla guerra, che è proprio l’affare in questo momento che rende più soldi: i trafficanti d’armi. E lo stesso che vende, che traffica le armi a questo Paese che è in guerra con quello, è lo stesso che vende a quello che è in guerra con questo! Anche per fare arrivare gli aiuti umanitari in Paesi di guerra o di guerriglia, è una difficoltà: tante volte la Croce Rossa non è riuscita. Ma le armi arrivano sempre, non c’è dogana che le fermino! Perché? Perché è proprio l’affare che rende di più. Il dio denaro. Noi siamo schiavi. Raccontava una ragazza, l’anno scorso, giovane: ha visto sul giornale, è andata, e lì c’era una coda di gente che era andata per questi lavori. E l’impiegato ha visto il suo curriculum e le ha detto: “Sì, sì, questo può andare, sì, lei può andare. Il suo lavoro sarà 10-11 ore al giorno, più o meno, più di 11 no, lo stipendio 650 euro al mese”. E la ragazza ha detto: “Ma, questo non è giusto!” – “Ma, se ti piace, lo prendi; se non ti piace, guarda dietro di te la coda che c’è… Arrivederci!”. E questo è il pane nostro di ogni giorno, e da queste ingiustizia vengono tante nuove povertà, tante nuove povertà. Una volta io sono andato in una baraccopoli di Buenos Aires, e c’era gente nuova. Sono andato a visitarli in quella casetta un po’ di legno, un po’ di latta che loro avevano fatto, ma i mobili erano buoni. E io ho avuto il coraggio di domandare: “Ma come mai, non capisco…”. E lui mi ha detto: “Padre, fino al mese scorso noi potevamo pagare l’affitto; adesso no”. E così crescono le baraccopoli. E’ la grande ingiustizia. E dobbiamo parlare chiaro: questo è peccato mortale. E a me dà indignazione, mi fa male, quando – per esempio, una cosa che è di attualità – vengono per battezzare un bambino e ti portano uno [come padrino], e gli viene detto: “Ma lei non è sposato in chiesa, no, lei non può essere padrino, perché il matrimonio, sposarsi in chiesa è importante”. Ma poi ti portano un altro che è un truffatore, uno sfruttatore di gente, un trafficante di bambini, ma è un “bravo cattolico”, dà elemosina alla Chiesa… “Ah, sì, tu puoi essere padrino”. Ma noi abbiamo capovolto i valori! Il mondo economico, oggi, come è sistemato nel mondo, è immorale. Sto parlando in genere, ma ci sono eccezioni. C’è gente buona, ci sono Paesi che cercano di cambiare questo, ci sono istituzioni che lavorano contro questo. Ma l’atmosfera mondiale è che l’uomo e la donna sono stati spostati dal centro dell’economia, e lì c’è il dio denaro. Credo che con questo ho risposto alla tua domanda.


Dal centro alle periferie – Tonino Casamassimi


Santo Padre,


il confronto con i valori fondanti di questa Comunità deve portare a interrogarci continuamente sulla serietà del nostro impegno nel mondo e del nostro servizio al prossimo. Una realtà come Villa Nazareth si riempie di senso proprio nella misura in cui riesce a far fruttificare i talenti trafficati ben al di fuori delle proprie mura, non solo quelle fisiche. Da qui il tentativo di aprirci sempre più - nel nostro piccolo e fra diverse difficoltà – all’impegno nella vita civile e sociale, ad una presenza attiva non confinata a questo luogo fisico ma estesa a tutti i territori in cui vivono ed operano i membri della nostra Comunità, ad una riflessione e ad una concreta progettualità di accoglienza del prossimo che viene da terre lontane. In quali modi e con quale spirito possiamo rafforzare il nostro impegno nel mondo, per vivere seriamente quell’incontro con le periferie dell’esistenza al quale Lei esorta, e che trova radice profonda nel messaggio evangelico?


Papa Francesco:


Far fruttificare i talenti. Noi saremo giudicati su questo: cosa ho fatto con i miei talenti, con quello che ho ricevuto, con quello che il Signore gratuitamente mi ha dato? E’ una domanda che dobbiamo farci. Posso fare di più? Posso dare di più? Posso condividere di più? I talenti, non solo i soldi, i talenti! E qual è uno dei talenti più importanti del cristianesimo, e anche uno dei grandi talenti di Villa Nazareth dal momento della fondazione? Lei ha detto la parola: l’accoglienza. Noi stiamo vivendo una civiltà di porte chiuse, di cuori chiusi. Ci difendiamo, ci difendiamo l’uno dall’altro: “Questo è mio; questo è mio”. Paura di accogliere. Paura di accogliere. E non parlo soltanto dell’accoglienza ai migranti, che questo è un grande problema, è anche un problema politico mondiale. Ma anche l’accoglienza quotidiana, l’accoglienza di quello che mi cerca per annoiarmi con le sue lamentele, con i suoi problemi, e cerca da me una parola di conforto e anche la possibilità di spalancare una “finestrina” per uscirne fuori. A me fa male, fa male quando vedo le chiese con le porte chiuse, fa male. Ci saranno alcuni motivi giustificabili, ma una chiesa a porte chiuse significa che quella comunità cristiana ha il cuore chiuso, è rinchiusa in sé stessa. E noi dobbiamo riprendere il senso dell’accoglienza, essere accolti. E questo è molto semplice, è quotidiano, quello che succede a Roma: credo che è uno dei lavori, o se voi volete chiamarlo in termini di apostolato, ciò di cui noi abbiamo più bisogno è l’apostolato dell’orecchio. Noi non abbiamo tempo per ascoltare, abbiamo perso questa capacità: “Io no, non ho tempo di andare ad ascoltare queste lamentele, no, mi fanno male, meglio se faccio un’altra cosa più utile, non perdere tempo…”. Se non facciamo questo non accogliamo gli altri. E se non accogliamo non siamo cristiani e non saremo accolti nel Regno dei Cieli. E’ matematico. E’ così, questa è la logica del Vangelo. E’ così. E voi che avete avuto l’esperienza dell’accoglienza qui, in questa Casa, avete una grande responsabilità sociale ed ecclesiale: insegnare, far capire che questa è la porta della strada cristiana. Quando noi siamo stati battezzati, siamo stati accolti dalla comunità cristiana. Una bella cerimonia liturgica dove il parroco spiegava bene le cose, tutto… Ma questa accoglienza sacramentale, con il segno della Trinità, io sono capace di portarla avanti nel mio modo di vivere la fede? O preferisco guardare da un’altra parte? Meglio dire: “non ho capito”, “non ho sentito”, “non sapevo”… E invece questo [l’accoglienza] dà frutto, dà frutto. Accoglienza che fa fruttificare i talenti. C’è la grande accoglienza di quelli che vengono da terre lontane, e c’è la piccola accoglienza, quando tu – papà o mamma – torni dal lavoro e c’è tuo figlio o tua figlia adolescente che è in difficoltà e ha voglia di dirti qualcosa o ha bisogno almeno che tu ascolti qualcosa… “Sono troppo occupato, facciamo domani…”. Questo è il momento della grazia: accogliere. “Ma, Padre, questa è una tortura!”. No, è una mortificazione, è una mortificazione. E’ la croce di ogni giorno. Gesù ci ha detto: “Colui che vuol venire dietro di me, prenda la propria croce”, non ha detto “prenda la propria morfina per addormentarsi bene”; “prenda la propria croce e mi segua”. E l’accoglienza è una croce, ma una croce bella, perché ci fa ricordare l’accoglienza che il Buon Dio ha avuto e ha con noi, ogni volta che noi andiamo da Lui per riconciliarci, per chiedere consiglio, per chiedere perdono… Accoglienza.


Le sfide della famiglia – Massimo Moretti con la moglie Giorgia Lagattola


Santo Padre,


la famiglia oggi è sollecitata dalla cultura del provvisorio. La coppia è minata dalla tentazione di ricercare la maggiore felicità possibile in una dimensione che, nonostante il matrimonio, rischia di rimanere individuale. Sappiamo di poter contare sulla grazia indissolubile del sacramento, ma non sempre abbiamo la forza e la costanza di attingere a questo tesoro. Come possiamo mantenere viva la fiamma del nostro amore e quale valore ha per il mondo di oggi la promessa di eternità che ci siamo scambiati?


Papa Francesco:


Ho detto qualche cosa sulle famiglie, oggi, ma prenderò una o due parole tue. Quella sulla cultura del provvisorio: questo io lo ripeto sempre. Una parte della gente che si sposa non sa cosa fa. Si sposa… “Ma tu sai che questo è un sacramento?” – “Sì, sì, e per questo io dovrò confessarmi prima, sì, sì, lo farò, e farò la comunione, pure” – “E tu sai che questo è per tutta la vita?” – “Sì, sì, lo so, lo so”. Ma non lo sanno, perché questa cultura del provvisorio penetra tanto in noi, nei nostri valori, nei nostri giudizi, che poi significa – per parlare così, semplicemente – significa: “Sì, sì, io mi sposo finché l’amore dura, e quando l’amore non dura, è finito il matrimonio”. Non si dice, ma la cultura del provvisorio ti porta a questo. E credo che la Chiesa debba lavorare molto su questo punto con la preparazione al matrimonio. Nella Amoris laetitia c’è un capitolo, un capitolo dedicato a questo. Una signora –questo l’ho detto a San Giovanni in Laterano l’altro sera –, una signora una volta mi ha detto: “Voi preti siete furbi: per diventare prete studiate otto anni, poi andate bene; e se la cosa non va e tu trovi una ragazza che ti piace e non te la senti più, dopo un po’ fai una procedura, vai alla Santa Sede e ti danno la dispensa, ti sposi e formi una famiglia. E noi, che riceviamo un sacramento che è indissolubile e per tutta al vita, è il mistero di Cristo e della Chiesa e dura per tutta la vita, ci preparano con tre o quattro conferenze?”. E’ vero: la preparazione al matrimonio. E’ meglio non sposarsi, non ricevere il sacramento se tu non sei sicuro del fatto che lì c’è un mistero sacramentale, c’è lì l’abbraccio proprio di Cristo con la Chiesa; se non sei ben preparato.


Poi c’è la dimensione culturale e sociale. E’ vero, sposarsi è un fatto sociale, è sempre stato un fatto sociale, sempre, perché è bello sposarsi, in tutte le culture: ci sono tanti riti belli, belli, nelle culture… quando il ragazzo va a prendere la ragazza e la porta… tante cose belle, che indicano questa bellezza del matrimonio. Ma questo aspetto sociale, nella cultura del consumismo, della mondanità, alle volte favorisce la provvisorietà e non ti aiuta a prendere sul serio [il matrimonio]. Ho raccontato l’altra sera che avevo chiamato un ragazzo che io conoscevo; gli ho telefonato, perché la mamma mi aveva detto che si sposava, e io l’avevo conosciuto quando andavo a dire la Messa qui a Ciampino. Gli dico: “Mi hanno detto che ti sposi…” – “Sì, sì” – “Lo farai in quella chiesa?” – “Ma, veramente non sappiamo, perché dipende dal vestito della mia ragazza, che sia intonato con la chiesa, per la bellezza…” – “Ah, che bello, che bello… E quando?” – “Entro qualche settimana” – “Ah, va bene, va bene. Vi state preparando bene?” – “Sì, sì, adesso andiamo, stiamo cercando un ristorante che non sia troppo lontano, e anche le bomboniere, e questo e quello, e quell’altro…”. Che senso ha questo matrimonio? E’ puramente un fatto sociale, un fatto sociale. Io mi domando: questi fidanzati – bravi – sono liberi da questa cultura mondana consumistica edonistica, o il fatto sociale fa sì che cadano in questa mancanza di libertà? Perché il sacramento del matrimonio si può ricevere soltanto con libertà. Se tu non sei libero, non lo ricevi.


E poi, c’è una cosa che dobbiamo curare. A me piace incontrare, sia nelle Messe a Santa Marta sia nelle udienze generali, i coniugi che fanno il 50° e il 60°, perché sempre parlo con loro, mi dicono le cose… sono felici. Una volta ho sentito dire da una di queste coppie quello che tutti volevano dire, ma quelli sono riusciti a dirlo. [Io ho chiesto loro:] “60 anni. Chi ha avuto più pazienza?” – “Eh, tutti e due!” – dicono sempre la stessa cosa – E poi: “Avete litigato?” – “Quasi tutti i giorni. Ma non c’è problema” – “Siete contenti?”, e io mi sono commosso, perché si sono guardati negli occhi: “Padre, siamo innamorati”. Questo è grande! Dopo 60 anni, questo è grande. E questo è uno dei frutti del sacramento del matrimonio: questo lo fa la grazia. Magari tutti potessero capire questo! E c’è un’altra cosa che io vorrei dire. Che nel matrimonio si litiga, tutti lo sappiamo; a volte volano i piatti; sono cose di tutti i giorni. Ma il consiglio che io sempre do è questo: mai finire la giornata senza fare la pace, perché io ho paura della “guerra fredda” del giorno dopo. Sì, è pericolosissima! Quando tu ti arrabbi e finisci arrabbiato e non fai la pace quel giorno, diventa peggio, peggiora, peggiora. “Ma come faccio la pace, Padre? Devo fare un discorso, inginocchiarmi?” – “No, fa’ così [fa il gesto di una carezza] e basta”. E’ un gesto, è il linguaggio del gesto. E fra i gesti – per favore – non dimenticatevi di accarezzarvi: la carezza è uno dei linguaggi più sacri nel matrimonio. Le carezze: ti amo tanto… Le carezze… Sposi che sono capaci di accarezzarsi, di volersi così, ma anche con il corpo, con tutto, sempre… Le carezze… Credo che con questo si potrà mantenere quella forza del sacramento, perché anche il Signore accarezza con tanta tenerezza la sua sposa, la Chiesa. Andiamo avanti così.


Una comunità e la sua missione – Luca Monteferrante


Santo Padre,


siamo una comunità che vuole restare fedele allo speciale carisma ricevuto dal fondatore e alla missione affidatale dalla Chiesa come Associazione di fedeli laici chiamata a custodirlo, a diffonderlo e a farlo fruttificare. Sentiamo forte il desiderio di chiederLe aiuto nel discernimento sui segni del tempo presente e sulle possibili strade da percorrere insieme. Sono segni di crisi che esibiscono le fatiche e le ferite del nostro vivere ma che dischiudono, al contempo, potenzialità e semi di novità, spronandoci ad aprire strade nuove nel deserto delle nostre vite, come esercizio di una creatività di pensiero e di vita ispirata dallo Spirito. Le chiediamo dunque, in questa speciale ricorrenza, di aiutarci a comprendere il senso dell’invito di Gesù rivolto a Nicodemo a “rinascere dall’alto”, come comunità che si interroga di fronte alla svalutazione della cultura quale strumento di promozione dell’uomo; alla organizzazione del lavoro che mette in pericolo gli spazi di vita personale e familiare; al mondo delle professioni che chiede di rinunciare a quote di libertà personale per accedere a ruoli di responsabilità; alla crisi della dimensione comunitaria e del valore della fraternità causata da ritmi di vita incompatibili con la partecipazione ad esperienze condivise.


Papa Francesco:


Ma, la risposta mi viene da quella parola che ha detto san Paolo quando era in mezzo alla tempesta, prima di arrivare a Malta: “O ci salviamo tutti, o nessuno”. Questo è l’aspetto comunitario, questo siete anche voi, il vostro carisma, la vostra associazione: o si salva tutta o non si salva. O tutti, o nessuno. Non dovete permettervi divisioni tra voi. E se ci sono alcune divisioni, incontratevi, litigate, ditevi la verità, arrabbiatevi, ma da lì uscirà sempre più forte l’unità. Salvate sempre l’unità. Non abbiate paura di litigare, di discutere…, ma per salvare l’unità. Sempre dentro, sempre dentro. E questo è uno strumento importante per salvare l’unità: o ci salviamo tutti, o non si salva nessuno. I particolarismi, qui, sono brutti, brutti.


Ci sono [nella domanda] il “discernimento dei segno dei tempi”, “semi di novità”, come “rinunciare a quote di libertà per accedere a ruoli di responsabilità”… Tre cose: la prima l’ho detta, o tutti o nessuno. Seconda: formate figli, formate discepoli con questa “mistica” [atteggiamento interiore], e lasciate a loro la fiaccola, che la portino avanti. Non ci sono dirigenti eterni: l’unico eterno è l’Eterno Padre. Tutti noi dobbiamo passare la fiaccola ai figli perché la portino avanti. Fare discepoli, formare discepoli è una rinuncia, ma è una rinuncia di saggezza. Fare un passo “da parte” perché il figlio possa portare avanti le cose. Aiutarlo, custodirlo, ma non iper-proteggerlo: lasciarlo libero. E Colui che fa tutto questo lavoro di mantenere l’unità, la creatività, le nuove sfide, i nuovi figli è lo Spirito Santo. E’ la preghiera allo Spirito Santo. Bisogna chiedere a Lui, perché Lui è quello che ci consola nelle difficoltà, è Colui che è la gioia: lo Spirito Santo è la gioia della Chiesa. E’ Colui che ci aiuta, ci dà la gioia. Lo Spirito Santo è l’armonia, è Colui che delle diversità, che Lui stesso crea, fa l’armonia di tutta la Chiesa. Lo Spirito Santo è la bellezza. Ricordiamo quella volta che Paolo è andato in una comunità cristiana nuova e ha chiesto loro: “Avete ricevuto lo Spirito Santo?” – “Ma noi neppure sappiamo che ci sia uno Spirito Santo” (cfr At 19,2). E quante istituzioni finiscono male, o perdono il carisma proprio delle origini, perché hanno dimenticato lo Spirito Santo, che è consolatore nelle difficoltà, è la gioia, è l’armonia, è la bellezza?


E così, ringrazio voi per la pazienza che avete avuto nell’ascoltare questo “sermone di Quaresima”, che erano sette: come i “sermoni delle sette parole”, che in Argentina duravano tre ore! Grazie tante. Grazie per quello che fate, grazie della testimonianza. E, per favore, vi chiedo di pregare per me, perché questo lavoro non è facile. Pregate per me. Grazie.


 


   


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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14/01/2017 19:17
 
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Il Santo Padre Francesco visita la Parrocchia di S. Maria a Setteville di Guidonia


Don Luigi Tedoldi, parroco di S. Maria a Setteville di Guidonia - RV

Don Luigi Tedoldi, parroco di S. Maria a Setteville di Guidonia - RV





14/01/2017 




Grande attesa a Setteville di Guidonia, nella periferia Est di Roma, per la visita pastorale di Papa Francesco nella parrocchia di Santa Maria, questa domenica 15 gennaio 2017,  alle 16.00. Il Santo Padre celebrerà la Santa Messa, confesserà alcune persone e incontrerà i giovani, gli operatori pastorali e i malati: tra questi, il viceparroco don Giuseppe Berardino, 46 anni, affetto da sclerosi laterale amiotrofica. Ma come è stata accolta la notizia della visita del Papa? Federico Piana lo ha chiesto al parroco, don Luigi Tedoldi:




R. – Con sorpresa ed emozione: sorpresa, perché non ce lo aspettavamo ed emozione per questo atto di carità non solo verso tutta la parrocchia, ma soprattutto verso il mio caro don Giuseppe, malato di sla, immobilizzato dopo solo due mesi di malattia. Sono due anni e mezzo che vive in questa immobilità totale, assoluta; non ha mai potuto leggere neanche con il computer e non si è mai ribellato un momento: questa è la grande grazia. Quando si ammalò, io mi alzai di notte, mi inginocchiai davanti al Santissimo chiedendo la grazia se non della guarigione, almeno di un processo lento, di un degrado più lento. E invece fu improvviso: il primario del Gemelli ci ha detto che in trenta anni non aveva mai visto un’evoluzione così rapida e così violenta. Quindi non sono stato ascoltato né dal Signore né dalla Madonna né da San Giuseppe … Li ho pregati tanto. Però, hanno fatto una grazia più grande che nella mia poca fede non chiedevo: quella di non ribellarsi. Mai, mai, mai crucciato, mai! Finché ha potuto esprimersi in qualche modo con lo sguardo, con gli occhi fino a tre mesi fa lo ha fatto, perché da allora non si esprime neanche con gli occhi ... con niente.


D. - Quindi sicuramente a don Giuseppe farà piacere questa visita di Papa Francesco …


R. - È chiaro, perché lui capisce: non si esprime, ma capisce.


D. - Ci può raccontare la sua parrocchia?


R. - Non è una grande parrocchia. È una parrocchia di periferia, però ha più del paese che della periferia, anche se ha dei problemi come la mancanza del lavoro. È una parrocchia di circa cinquemila abitanti al centro e un migliaio di abitanti che stanno sorgendo nella campagna vicina. Ci sono otto comunità neocatecumenali, cento ragazzi scout, 130 ragazzi del post-Cresima dai 13 ai 18 anni che frequentano la chiesa ogni settimana in un percorso più formativo che ricreativo. Questo è l’aspetto che vorrei sottolineare, perché i ragazzi sono più attratti dalle attività formative che da quelle ricreative. Quando noi come parrocchia ci mettiamo in concorrenza con il mondo, siamo sconfitti in partenza e perfino ridicoli.


D. - Vorrei capire un po’ le difficoltà e le cose invece positive che ci sono nella parrocchia …


R. - Tra le cose positive pensi al fatto che aiutiamo tantissimo le coppie. Per questo abbiamo il pieno di coppie giovani in chiesa, li aiutiamo nel loro matrimonio; oggi l’unità della famiglia è minata. Quanti matrimoni sono vicini alla chiesa perché aiutati a perdonarsi, a riconciliarsi e tanti figli nati, tante vocazioni, perché in un momento così … La chiesa oggi non è in crisi perché manca la sua capacità di carità: è in crisi perché manca di vocazioni. E noi abbiamo tre preti ordinati negli ultimi venti anni e cinque in seminario.


D. - Questo perché, secondo lei?


R. - Perché secondo me c’è un ambiente cristiano. Oggi manchiamo di predicare il Signore! Predicare il Signore crea un ambiente cristiano. Se noi facciamo moralismo, diventiamo un’agenzia etica!


D. - Questa visita del Papa, secondo lei, quali frutti porterà nella sua parrocchia, nella zona?


R. - Non glielo so dire. Il Signore mi ha sempre sorpreso in questo senso. E che mi aspettavo dai frutti della malattia di don Giuseppe? Li sto vedendo adesso, poverino, non glielo so dire questo. Si vedrà. Io sono sicuro che li darà. Oggi le posso dire quello che mi aspetto dal Papa: la conferma nella fede, che è il Ministero petrino, la conferma nella fede della nostra missione, che è quella di annunciare Cristo, e annunciando Cristo, conducendo le persone a fare come i Magi e come i pastori, poi tornano con grande gioia; la gioia del Vangelo, che non è solo un’allegria così … è il godimento di tutti i beni possibili sulla Terra.


D. - Tornando a don Giuseppe: nella sua malattia sicuramente ha dato un esempio …


R. - Certo, la prova è questa: non bastano le quattro infermerie dell’Asl, non basta l’infermiere che pago, perché per fare l’igiene bisogna essere in due, lui è un metro e ottanta … Ma poi all’infermerie bisogna dare un giorno o due di riposo … Insomma da due anni e mezzo venti giovani - che ora sono tutti sposati con figli e che lavorano - ogni sabato ed ogni domenica e quando è stato all’ospedale Gemelli per due mesi tutti i giorni - si danno il turno per l’igiene per assisterlo per non lasciarlo mai da solo. E tutto questo senza pesantezza. È questo che mi edifica. Io sono edificato da queste venti persone che hanno famiglie, che hanno un lavoro. Dico sempre loro: “Ragazzi, non fatelo con sforzo, con pesantezza, perché dopo si rovina tutto. Se siete stanchi io vi capisco. Smettetela”; e invece mi rispondono: “No, no don Gino. Abbiamo un debito di riconoscenza infinito!”.


D. - Io non voglio farle anticipare ciò che lei dirà al Papa, però un po’ il senso ce lo può dire?


R. - Il senso è questo. Mi riferisco ad un fatto: prima degli Anni ’70, prima che nascesse la parrocchia, c’erano solo case sparse e una fontanella chiamata dalla gente “La fontanella dei poveri” perché le case erano senza acqua e la gente si dissetava qui, si dissetavano le greggi … Adesso ovviamente questa fontanella non c’è più. La parrocchia è diventata la “fontana” del quartiere, fontana spirituale e materiale, perché aiutiamo in maniera massiccia, soprattutto la gente che rimane senza lavoro, che ha le bollette e il mutuo da pagare. Noi non diamo soltanto la sporta con la pasta e i pelati. Pur essendo parrocchia di classe bassa, insomma, nessuno è ricco qui, però aiutiamo tanto. Possiamo dire che se annunci il Signore, poi ti trovi i soldi senza bisogno di fare collette. Io non ho mai fatto una colletta in 21 anni!

da Radio Vaticana




VISITA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
ALLA PARROCCHIA ROMANA «SANTA MARIA A SETTEVILLE»

Domenica, 15 gennaio 2017

[Multimedia]



 

Incontro con i malati
Incontro con i bambini e i giovani
Incontro con i genitori dei bambini da poco battezzati
Incontro con i collaboratori pastorali
Omelia durante la Celebrazione Eucaristica
Saluto finale


Incontro con i malati

Santo Padre:

Vi saluto e vi prometto di pregare per voi. Ognuno ha il proprio problema, o una malattia, o una preoccupazione… Anche i bambini con problemi… Ci sono cose che non si possono spiegare, ma succedono, la vita è così… la vita è così. Gesù ha voluto essere vicino a noi anche col suo dolore, con la sua passione, con le proprie sofferenze, e Gesù è vicino a tutti voi. Lui stesso lo ha detto: “Se tu vai a trovare un malato, vai a trovare me” (cfr Mt 25,36.40). Gesù è con i malati, con quelli che hanno problemi. E questo è vero. Io so che quando si soffre, quando ci sono problemi, è difficile capire, ma non si tratta di capire, si tratta di sentire, sentire le carezze di Gesù. Soltanto questo. E questo consola.

E perché tutti voi siate capaci di sentire queste carezze di Gesù, vi darò la benedizione. Ma prima di questo, Gesù lo porta la mamma, sempre; preghiamo la Madonna, tutti insieme, perché Gesù ci benedica.

Ave o Maria, …

[Benedizione]

Ecco. E pregate per me, non dimenticatevi, per favore. E coraggio, coraggio: non lasciarti prendere dalla tristezza! Su, non giù. Su! Il Signore è con noi, sempre! Grazie. Dio vi benedica e pregate per me.


Incontro con i bambini e i giovani

Santo Padre:

Grazie. Grazie per la vostra gioia, per i vostri disegni… Bellissimi, quelli che mi avete dato. Siete bravi. E grazie per le cose che avete detto. Post-Cresima, Cresima… Ma io ho sentito che qui a Roma la Cresima è il “sacramento dell’addio”: dopo la Cresima, non ci vediamo più… E’ vero questo? Non è vero? Ah, no? E voi siete tutti i giovani di Roma? Tutti? E gli altri? Non sono tornati, dopo la Cresima?… Il dopo-Cresima è un problema. E il fatto che voi siate qui è una grazia del Signore. Il Signore vi ha dato questa grazia, di non fare della Cresima il sacramento dell’“arrivederci” fino al giorno delle nozze. Tanti anni senza una comunità… E voi siete stati scelti dal Signore per fare comunità. E questo è grande. Credo che Maria [una ragazza della parrocchia] ha detto: “Noi siamo qui perché il Signore ci ama”. Ma, dimmi, e gli altri, quelli che non sono qui adesso, il Signore li ama?... Non sapete se il Signore li ama o no?... Li ama? E perché non sono qui? Se voi vi sentite amati dal Signore e per questo il Signore vi ha portati qui, perché quegli altri non sono qui? Cosa succede?... Qualcuno intelligente che mi dica una parola… Parlate, parlate, che voglio sentirvi.

[Un bambino parla ma non si capisce]

Santo Padre:

Sei bravo tu! Quanti anni hai?

[Bambino]

Otto.

Santo Padre:

Questi ne hanno più di 18 e nessuno di loro è riuscito a parlare, e tu sei [riuscito]… Bravo, continua così! Fai bene, fai bene. E’ coraggioso! Senza vergogna. Sii coraggioso, continua! Vieni, vieni… Senti, non tutti ti hanno sentito. Sei capace di ripetere quello che mi hai detto? Dillo…

[Bambino]

In pratica, ci sono delle persone che non sono insieme a noi, facendo un’unione, perché non sono qui con noi condividendo gioia e ogni giorno il Signore ci dona qualcosa, e noi non lo possiamo condividere; quindi, delle persone se ne vanno, lasciandoci da soli o non ascoltando le parole del Signore.

Santo Padre:

Questo ha coraggio! E’ coraggioso. Ha detto due cose: ascoltare la Parola del Signore e trovare gioia. Due cose che io prendo da quello che lui ha detto. Quei giovani ascoltano la Parola del Signore, ma come noi diciamo le parole del Signore? Quando io sento parlare un giovane o una giovane del Signore, o un catechista, una catechista, non so, uno qualsiasi, io mi annoio. Parliamo del Signore con una certa tristezza. Lui ha detto gioia: è questo il segreto. Parlare del Signore con gioia, e questo si chiama testimonianza cristiana. Capite? La testimonianza cristiana è parlare del Signore con gioia, ma anche con la gioia della propria vita, cioè fare con la mia vita quello che dico del Signore. E voi, che siete i più grandi, chi di voi sa dirmi com’è la testimonianza cristiana? Sapete cosa significa, testimonianza? Sapete o no? Sì… Tu sei?… Spiegatemi cos’è la testimonianza cristiana, come si fa… Dite, dite, parlate…

[Ragazzo]

Dando un esempio di vita.

Santo Padre:

Dando un esempio di vita. Eccone uno. Così. Se io dico: “Io sono molto cattolico, vado tutte le domeniche a Messa”, ma poi con i miei genitori non parlo, gli anziani non mi interessano, non assisto i poveri, non vado a trovare i malati… questa è testimonianza di vita? No! Io posso parlare del Signore, ma se io con la mia vita non parlo dando testimonianza, come tu hai detto, con la propria vita, non serve! “Ma, Padre, io sono cristiano, e parlo del Signore!”. Sì, ma tu sei un cristiano-pappagallo! Soltanto da qui [indica la bocca]: parole, parole, parole… Ti ricordi quella canzone? No, voi no, siete giovani. Sì? “Parole, parole, parole…”, e niente di più. La testimonianza cristiana si fa con la parola, con il cuore e con le mani. Ripetiamo insieme: con la parola, con il cuore e con le mani. Benissimo. Adesso, io vi domando – vediamo chi risponde, perché sto parlando io, e questo non va – come si fa la testimonianza cristiana con la parola? Uno… Tu hai già parlato, un altro… Ma dimmi, tu che sei catechista, sono muti, questi? Come si fa? [qualcuno interviene] Ecco, raccontando le proprie esperienze, il rapporto con il Signore, con la parola. Bravo! Come si fa la testimonianza cristiana con il cuore?

[Una ragazza]

Donandosi.

Santo Padre

Donandosi. Spiegaci un po’, hai ragione, ma spiega un po’ cosa vuoi dire con quella parola: donandosi.

[Ragazza]

Aprirsi all’altro…

Santo Padre

Aprirsi all’altro, bene…

[Ragazza]

Accettare l’altro come è…

Santo Padre

Accettare l’altro come è, non come io voglio che sia, bene! Di’, di’ ancora…

[Ragazza]

Ascoltare l’altro

Santo Padre

Ascoltare l’altro. E’ interessante, questo. Un cristiano è un uomo, è una donna, è un giovane, è un bambino, è una bambina dell’ascolto, che sa ascoltare. Sa ascoltare la Parola di Dio e sa ascoltare l’altro. Soltanto con le orecchie?... Con il cuore, pure. Si sa commuovere. Brava, brava! E come si fa la testimonianza cristiana con le mani?

[Ragazza]

Facendosi umili

Santo Padre

Facendosi umili… E com’è l’umiltà?

[Ragazza]

Andare incontro alle persone.

Santo Padre

Andare incontro alle persone… E se qualcuno si è arrabbiato con te e ha sparlato di te, la testimonianza cristiana dice: “No, con quello non andare”?

[Ragazza]

No. E’ difficile mettere l’orgoglio da parte, però la Parola ci insegna a farsi umili e a chiedere perdono, andare per primi e chiedere perdono alla persona con la quale hai litigato.

Santo Padre:

Chiedere perdono, perdonare… Sei brava! Con il cuore, con le mani… Anche, testimonianza cristiana con le mani…

[Ragazza]

Agire…

Santo Padre:

Agire. Come, per esempio?

[Ragazza]

Rendendosi utile per gli altri.

Santo Padre:

Ecco. Le opere di misericordia: andare a trovare gli ammalati, i carcerati, aiutare il compagno a fare i compiti… tutte queste cose. Aiutare sempre! Testimonianza: con la lingua, con la bocca, confessare il Signore; con il cuore, sempre aprire all’amore; e con le mani: le opere di misericordia. Questa è la testimonianza cristiana. Adesso avete capito? Ma dovete parlare fra voi di queste cose! Va bene. Qualche domanda? Parla, parla forte!

[Ragazza]

Come spiegare a chi non crede perché la fede è importante?

Santo Padre:

Come potete spiegare a qualcuno che non crede perché o come la fede è importante? Questa è la domanda? Non si deve spiegare. Sentite bene questo: se tu hai un amico, un’amica che non crede, tu non devi dire: “Tu devi credere per questo, per questo, per questo…”, e spiegargli tutte le cose. Questo non si deve fare! Questo si chiama proselitismo, e noi cristiani non dobbiamo fare proselitismo. Cosa si deve fare? Se io non posso spiegare, cosa devo fare? Vivere in modo tale che sia lui o lei a chiedermi: “Perché tu vivi così? Perché tu hai fatto questo?”, e allora sì, spiegare. Capito? Ma mai per primo spiegare, per convincere. La fede è una grazia di Dio e ci vuole l’inquietudine [la ricerca interiore] dello Spirito Santo per avere la fede, e l’inquietudine dello Spirito Santo viene anche dalla nostra testimonianza. “Ma guarda, questo è pazzo! Invece di venire con noi a divertirsi, è andato a fare la veglia a un malato, ad accompagnare un malato. Ma è pazzo! Domani gli domanderò…”. “Dimmi: perché hai fatto questo?”. E’ così. E’ l’inquietudine che è nel cuore ti fa domandare. Prima, fare; dopo, spiegare. Capito? E lo Spirito Santo entra nel cuore, rende il cuore inquieto con la testimonianza dei cristiani. Per questo Gesù diceva alla gente, riguardo ai dottori della legge di quei tempi: “Fate tutto quello che loro dicono, ma non quello che fanno”. Non davano testimonianza. E la testimonianza cristiana – questo che voi avete detto su come vivere, come essere testimone – è quello che provoca l’inquietudine nell’altro, e ti fa la domanda, e tu spieghi. Hai capito la risposta? Ma mai prima incominciare a spiegare. Fare che sia lui o lei a fare la domanda, e provocare la domanda con la propria testimonianza. Capito? Ecco. Un’altra cosa, un’altra domanda?

[Ragazza]

Perdonare. Nel cristianesimo è importante perdonare… Ma Lei riesce sempre a perdonare?

Santo Padre:

E’ difficile. Io ho conosciuto una vecchietta che era brava! Credo che questa picchiava anche il marito… [ride, ridono], ma era brava. Era una donna brava, forte. E questa donna diceva: “Perdonare sempre. Dimenticare è difficile”. Quando tu sei in “guerra”, diciamo così, sei in inimicizia con una persona, il tuo cuore e il cuore di quella persona sono feriti… D’accordo? La ferita dell’odio, dell’inimicizia, della gelosia…, tante ferite. E se una persona fa male all’altra, la ferita diventa più grande. Perdonare è difficile, ma si può. Pensiamo a Gesù, all’esempio che ci dà, quando ha detto al Padre: “Perdonali, Padre: non sanno quello che fanno” (cfr Lc 23,34). Perdonare si può. La ferita può guarire, essere guarita; la ferita si chiude. Ma rimane tante volte la cicatrice. E questo significa: “Io non posso dimenticare, ma ho perdonato”. Sempre, il perdono. Ma non andare da quella persona a dare il perdono come se io dessi un’elemosina, no. Il perdono nasce nel cuore e io incomincio a trattare quella persona come se niente fosse successo… Un sorriso, e lentamente il perdono viene. Il perdono non si fa per decreto: ci vuole un cammino interiore nostro, per perdonare. Non è facile… Ma si può arrivare, a questo. Va bene così? Sei d’accordo?

Un’altra domanda, da quella parte… Sono più bravi quelli di voi! [ride, ridono]

[Ragazzo]

Secondo Lei, qual è il dono più grande che ci ha fatto Dio?

Santo Padre:

Grazie. Mah, non so cosa dirvi… Perché in teoria io potrei dire: il dono più grande è la fede. Sì, è vero. Questo in teoria. Ma quello che io sento come un grande dono di Dio è la mia famiglia: il papà, la mamma, cinque fratelli, tutta la famiglia… Per me, questo è un grande dono, vivere in famiglia. Per questo è importante la famiglia... E la famiglia è papà, mamma, i fratelli… e finisce lì? No…, i nonni! Che cosa pensate voi dei nonni?... Chi risponde?...

[Ragazza]

Che sono dei secondi genitori.

Santo Padre:

Che sono i secondi genitori. Va bene questo. Sono quelli che custodiscono la famiglia “dietro” i genitori. E’ bene. Un po’ di più, un’altra cosa…

[Ragazzo]

Molte volte, più che secondi genitori, possono essere anche amici, i nonni…

Santo Padre:

Ecco, anche i nonni possono essere amici. Io conosco ragazzi e ragazze che sono più capaci di parlare con i nonni che con i genitori. Perché si sentono più amici, più capiti, dai nonni… Ma ho sentito qualcuno dire: “Parlare con i nonni è noioso! I nonni sono roba vecchia, non servono”. E’ vero, questo?

[Ragazzi]

No!

Santo Padre:

No! Io vi do un consiglio: parlate con i nonni; fate domande ai nonni. I nonni sono la memoria della vita, sono la saggezza della vita. Parlate con i nonni. Capito? Benissimo.

Io non so… possiamo continuare? Un’altra domanda. Io vorrei guardare qui, ma sono tutti muti…

[Ragazza]

Come ha fatto a non perdere mai la fede tra gli alti e bassi della vita?

[Ragazza]

Come ha fatto a non perdere mai la fede tra gli alti e bassi della vita?

Santo Padre:

Ma la fede si perde… Io, alcune volte, pensando adesso ad alcuni momenti,… la fede si è abbassata tanto che io non la trovavo e vivevo come se non avessi fede… Poi, si ritrova. Gli alti e bassi della vita hanno anche un primo momento, una scossa che ti muove e ti fa perdere un po’ la fede, ma poi con il tempo la ritrovi. C’è una parola, nel Vangelo, quando Gesù dice: “Tutto è possibile a quello che ha fede”. Tutto. E il papà di quel bambino ammalato – il papà aveva portato il bambino perché fosse guarito da Gesù – cosa ha detto, a Gesù? “Signore, io ho fede, ma aiuta la mia poca fede” (cfr Mc 9,23-24). La fede non è sempre così [grande]… Ci sono giorni bui, tutto scuro… Anch’io ho camminato nella mia vita per giorni così. Ma non [bisogna] spaventarsi: pregare e avere pazienza, e poi il Signore si fa vedere, ci fa crescere la fede e ti fa andare avanti. Ho risposto alla tua domanda?

[Ragazza]

Sì, sì, grazie.

Santo Padre:

Ho risposto?

[Ragazza]

Sì, perché io certe volte perdo la fede, però… cerco di ritrovarla…

Santo Padre:

Sì, tu hai ragione, perché la fede in alcuni giorni non si vede: è tutto buio … E quando uno vede delle calamità… Ieri, per esempio, quando ho fatto il battesimo a 13 bambini dei terremotati: il papà di uno aveva perso la moglie. “Ho perso il mio amore”, mi ha detto. Uno pensa: quest’uomo può avere fede, dopo questa tragedia? E si capisce che lì c’è il buio… “E se io non ci credo…”. Stai zitto. Accompagnalo. Rispetta quel buio dell’anima. Poi sarà il Signore a risvegliare la fede. La fede è un dono del Signore. A noi [spetta] soltanto custodirlo… Non si studia per avere fede, la fede si riceve come un regalo. Grazie.

Mi dicono che devo dare la benedizione, e Gesù dava la benedizione sempre. E io darò a tutti voi la benedizione, ma specialmente ai muti, a quelli che non sono riusciti a parlare… Ma guarda, trovare giovani che non parlino… è una tragedia!

Adesso preghiamo la Madonna: Ave o Maria,…

[Benedizione]

Prima di andarmene, una domanda: cosa si deve fare con i nonni?

[Ragazzi]

Parlarci!

Santo Padre:

E ascoltarli! Parlare e ascoltarli. Pregate per me! Grazie.


Incontro con i genitori dei bambini da poco battezzati

Santo Padre:

Grazie per questa ricchezza che sono i bambini. E’ un grande dono, avere un bambino. Anche un grande problema, pure, perché piangono, non ci lasciano dormire, non si sa cosa fanno, ma sempre è una gioia vederli crescere: è la gioia della vita che va avanti…; della vita che va avanti e anche rende più giovani noi. Io ho avuto un professore, quando studiavo in seminario, era professor di filosofia… E io ho visto quell’uomo che insegnava la filosofia, una cosa astratta, come giocava con i bambini! Diventava giovane! Perché i bambini hanno questa grazia di renderci giovani.

Vi auguro il meglio, per voi, con i vostri bimbi. Che il Signore vi renda felici con questo dono della famiglia, dei bambini… Ci saranno problemi, un sacco di problemi; ma alla fine, il frutto sarà maturo e sarà il frutto del vostro lavoro, della vostra pazienza, del vostro insegnamento, del vostro esempio… E’ bello.

Io mi permetto, scusatemi, mi permetto di darvi un consiglio. “Già lo so, Padre, lo so cosa dirà: mandare il bambino a fare la Comunione…”. No, no. Un altro consiglio vi darò. E’ normale che i coniugi litighino, è normale. E’ un po’ raro se una coppia non litiga, è raro. E’ normale litigare, è parte della vita. Ma il consiglio che io vi do, che mai i vostri bimbi vi sentano o vi vedano litigare. Se voi volete dirvi delle cose, andate in camera, chiudete la porta e dite tutto, litigate. E’ sano, perché anche sfogarsi è sano. Ma che loro non vedano, perché i bambini soffrono, si sentono abbandonati, quando i genitori litigano. Questo è il primo consiglio che vi do.

E il secondo consiglio non è tanto per i bambini, è per voi. Se voi avete litigato – che è una cosa normale, litigare, nella coppia –, non finire la giornata senza fare la pace. Perché la guerra fredda del giorno dopo è molto pericolosa. Non finire la giornata senza fare la pace.

Ma il primo consiglio riguarda i bambini: che loro mai vedano i genitori litigare! Perché soffrono.

E vi auguro il meglio.

Pregherò per voi, e voi pregate per me.

E adesso voi rimanete seduti tutti, perché avere un bambino in braccio non è facile. Tutti seduti e io vi darò la benedizione. A tutti, alla famiglia, a tutta la famiglia.

Preghiamo la Madonna, prima: Ave o Maria…

[Benedizione]

E per favore, pregate per me. Grazie.


Incontro con i collaboratori pastorali

Santo Padre:

E ci sono il segretario o le segretarie parrocchiali?

Parroco:

No, no: non ci sono.

Santo Padre:

Non ci sono…

Parroco:

…perché preferisco, Santo Padre, che la gente parli con noi sacerdoti; perché tante volte, vedo uno, per un certificato, dico: “Perché quella faccia lì? Che ti succede?”, se no si perde tutto … l’occasione …

Santo Padre:

E’ furbo, il parroco! E’ furbo… Alcune segretarie invece di aprire le porte, chiudono le porte, fanno vedere i denti…

Parroco:

… siamo sempre noi …

Santo Padre:

… spaventano la gente … Ma, va bene.

Parroco:

Aiutano in tutti i modi: come ha detto Lei ai ragazzi, aiutano con la parola, aiutano con la vita, con l’esempio, aiutano pulendo la chiesa, cucinando, facendo di tutto…

Santo Padre:

E questo è buono: è una vera comunità.

Parroco:

…con i poveri… Sì, sì: ci sono tutte le espressioni dell’aiuto, ecco.

Santo Padre:

E questo è bello.

Parroco:

Testa, cuore e mani.

Santo Padre:

Si può aiutare con la testa, confessando, con il cuore e con le mani: ma aiutare sempre. E lasciarsi aiutare. Questo non è facile, chiedere aiuto: “Aiutami, perché ho questo problema”. Chiedere consiglio: “Io faccio la cosa così, tu cosa pensi? Va bene così, o devo cambiare un po’?...”. Questo è importante, che vi aiutiate a migliorare il lavoro che fate nella parrocchia. Questa non è critica, questo è dire in faccia come io la penso. La critica è dire: “Ah, bene, bene!”, e poi da dietro sparlare. No, no… Ma questo, in questa parrocchia non succede mai!… [ride, ridono] Non succede… Si vede che sono tutti buoni!

Mi dicono che siamo in ritardo, ma almeno una domanda, qualcuna, uno che mi faccia una domanda per dirvi qualche cosa, una domanda che provochi che io dica qualcosa…

[La domanda non si sente, ma ridono tutti, anche il Papa. Spiega il parroco: questo è stato uno dei responsabili del partito comunista per tutta la vita]

Santo Padre:

Il Papa è il vescovo di Roma, e deve fare il vescovo di Roma tutti i giorni. Almeno, io non trovo un momento nel quale io possa andare a giocare a golf, per esempio, no, no.

[Domanda, incomprensibile]

Santo Padre:

No…, ma sento musica, a volte quando leggo qualche libro, un po’ di musica, questo sento. Ma film, no, no. Perché si deve andare da un’altra parte a vederlo – almeno nel mio caso. Ma è una cosa bella: ci sono film molto buoni, molto buoni, che fanno bene, fanno pensare… Quando ero a Buenos Aires, alcune catechesi le facevo con un film, e poi facevo riflettere su questo film, e alla fine veniva la catechesi, la settimana dopo, così avevano una settimana per pensare al film. Ci sono film buoni buoni buoni, e adesso con la tecnica che si possono trovare vecchi film buoni, o anche nuovi… Per esempio, per spiegare il dialogo tra i nonni e i bambini, che è tanto importante, c’è un film di 20 anni fa [del 1991], che vi raccomando – voi lo troverete – “Rapsodia in agosto”; è giapponese, di Kurosawa. Questo film vi farà capire come si deve fare il dialogo fra nonni e nipotini. Per esempio, un altro film, sulla gratuità dell’amore di Gesù nell’Eucaristia: c’è un film danese-francese che si chiama “La cena di Babette”. Cercatelo, e vedrete come è la gratuità cristiana, come è… tutto gratis, Gesù ci ha dato tutto gratis. Questo film io lo facevo vedere sempre ai ministri della comunione, nel corso per fare i nuovi ministri della Comunione. La prima seduta era così: il sabato si vede questo; poi si pensa; il sabato seguente si parla su questo; poi, il terzo sabato, la catechesi. No, i film sono buoni. Ma io non ho la possibilità vicina di farlo e preferisco studiare, scrivere lettere, cose che devo fare, leggere qualche libro importante che mi farà bene, e sì, ascoltare un po’ di musica, sì. Rock, no. [ride, ridono] Tango, sì.  

[domanda]

Nel film sulla sua vita, si è ritrovato?

Santo Padre:

Non l’ho visto. Non ne ho voluto vedere nessuno.

[domanda, non si capisce bene]

Santo Padre:

…perché, io ho pensato: diranno tante bugie, tante bugie, che è meglio non vederlo… [ride, ridono]

Non è vero.

[domanda]

Noi siamo con mia moglie, una famiglia, una coppia senza figli, siamo in missione ad gentes in Austria, da sei anni. Sicuramente ci seguono anche i fratelli [di comunità]: siamo sei famiglie, italiane e spagnole, e il presbitero è stato itinerante a Tucumán, e La saluta. Vorremmo una parola da Lei… C’è anche una sorella che è in missione a Tolone, in Francia…

Santo Padre:

A Toulon… Andare in missione non è facile. Ci vuole coraggio, ma ci vuole la chiamata del Signore. Non è un problema di entusiasmo mio: “Mah, parliamo, andiamo in missione!...”. No, no, fermati! Che ti chiami il Signore ad andare in missione. E non è facile. Non è facile lasciare terra, casa, quel “vattene” che Dio ha detto a nostro padre Abramo: “incomincia a camminare”… Non è facile. Ma c’è la piccola missione di tutti i giorni: nel posto di lavoro, nel quartiere, nella scuola, con i bambini, con i ragazzi, una buona parola… C’è la piccola missione dove io lavoro, dove io vivo. E la grande missione è questa, a trovare nuovi orizzonti…

La Chiesa è cresciuta con le missioni! Dopo Pentecoste, la Chiesa, che era chiusa, è diventata una Chiesa in uscita, cioè esce, va in missione. E dopo la persecuzione, la prima persecuzione a Gerusalemme, tutti sono scappati, [se ne] sono andati e hanno fatto missione in tutto il mondo… E alcuni non tornarono mai a Gerusalemme… Parlavo con un Cardinale brasiliano, che era incaricato delle popolazioni dell’Amazzonia brasiliana, e lui mi diceva questo: “Quando io vado in un piccolo villaggio, la prima cosa che faccio è andare al cimitero. E trovo tante, tante sepolture di suorine, di preti, di missionari… Tanti sono morti giovani perché hanno preso malattie alle quali non erano preparati, non avevano l’antivirus… E hanno dato la vita lì”. Dare la vita è un po’ il proprio della missione. E lui mi diceva: “Se io fossi Papa, canonizzerei tutti questi, perché hanno dato la vita per il Vangelo”. E questo è bello. E la missione è un po’ questo: lascia, anche con la possibilità di non tornare. E’ un po’ brutto, questo. E’ brutto ma è bello. Ma ci vuole una chiamata. Io non posso dare a me stesso la missione. Hai capito?

Ecco. Continuate ad aiutare il parroco in questa modalità che tutti fanno tutto, e andiamo avanti, con la testimonianza. E grazie. Grazie.

Ave o Maria, …

[Benedizione]

E pregate per me, per favore. E grazie di quello che fate.

Parroco:

Guardi, guardi: tutta la strada …


Omelia durante la Celebrazione Eucaristica

Il Vangelo ci presenta Giovanni [il Battista] nel momento in cui dà testimonianza di Gesù. Vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’Agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è Colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”» (Gv 1,29-30). Questo è il Messia. Dà testimonianza. E alcuni discepoli, sentendo questa testimonianza – discepoli di Giovanni – seguirono Gesù; andarono dietro a Lui e sono rimasti contenti: «Abbiamo trovato il Messia!» (Gv 1,41). Hanno sentito la presenza di Gesù. Ma perché hanno incontrato Gesù? Perché c’è stato un testimone, perché c’è stato un uomo che ha dato testimonianza di Gesù.

Così succede nella nostra vita. Ci sono tanti cristiani che professano che Gesù è Dio; ci sono tanti preti che professano che Gesù è Dio, tanti vescovi… Ma tutti danno testimonianza di Gesù? O essere cristiano è come… un modo di vivere come un altro, come essere tifoso di una squadra? “Ma sì, sono cristiano…”. O come avere una filosofia: “Io osservo questi comandamenti, sono cristiano, devo fare questo…”. Essere cristiano, prima di tutto, è dare testimonianza di Gesù. La prima cosa. E questo è quello che hanno fatto gli Apostoli: gli Apostoli hanno dato testimonianza di Gesù, e per questo il cristianesimo si è diffuso in tutto il mondo. Testimonianza e martirio: la stessa cosa. Si dà testimonianza nel piccolo, e alcuni arrivano al grande, a dare la vita nel martirio, come gli Apostoli. Ma gli Apostoli non avevano fatto un corso per diventare testimoni di Gesù; non avevano studiato, non sono andati all’università. Avevano sentito lo Spirito dentro e hanno seguito l’ispirazione dello Spirito Santo; sono stati fedeli a questo. Ma erano peccatori, tutti! I Dodici erano peccatori. “No, Padre, Giuda soltanto!”. No, poveraccio… Noi non sappiamo cosa è accaduto dopo la sua morte, perché la misericordia di Dio c’è anche in quel momento. Ma tutti erano peccatori, tutti. Invidiosi, avevano gelosia tra loro: “No, io devo occupare il primo posto e tu il secondo”; e due di loro parlano alla mamma perché vada a parlare a Gesù che dia il primo posto ai loro figli… Erano così, con tutti i peccati. Erano anche traditori, perché quando Gesù è stato catturato, tutti sono scappati, pieni di paura; si sono nascosti: avevano paura. E Pietro, che sapeva di essere il capo, sentì il bisogno di avvicinarsi un po’ per vedere cosa accadeva; e quando la domestica del sacerdote disse: “Ma anche tu eri…”, disse: “No, no, no!”. Rinnegò Gesù, tradì Gesù. Pietro! Il primo Papa. Tradì Gesù. E questi sono i testimoni! Sì, perché erano testimoni della salvezza che Gesù porta, e tutti, per questa salvezza si sono convertiti, si sono lasciati salvare. E’ bello quando, sulla riva del lago, Gesù fa quel miracolo [la pesca miracolosa] e Pietro dice: «Allontanati da me, Signore, perché sono peccatore» (Lc 5,8). Essere testimone non significa essere santo, ma essere un povero uomo, una povera donna che dice: “Sì, sono peccatore, ma Gesù è il Signore e io do testimonianza di Lui, e io cerco di fare il bene tutti i giorni, di correggere la mia vita, di andare per la giusta strada”.

Soltanto io vorrei lasciarvi un messaggio. Questo lo capiamo tutti, quello che ho detto: testimoni peccatori. Ma, leggendo il Vangelo, io non trovo un [certo tipo di] peccato negli Apostoli. Alcuni violenti c’erano, che volevano incendiare un villaggio che non li aveva accolti… Avevano tanti peccati: traditori, codardi… Ma non ne trovo uno [particolare]: non erano chiacchieroni, non parlavano male degli altri, non parlavano male uno dell’altro. In questo erano bravi. Non si “spennavano”. Io penso alle nostre comunità: quante volte, questo peccato, di “togliersi la pelle l’uno all’altro”, di sparlare, di credersi superiore all’altro e parlare male di nascosto! Questo, nel Vangelo, loro non l’hanno fatto. Hanno fatto cose brutte, hanno tradito il Signore, ma questo no. Anche in una parrocchia, in una comunità dove si sa… questo ha truffato, questo ha fatto quella cosa…, ma poi si confessa, si converte… Siamo tutti peccatori. Ma una comunità dove ci sono le chiacchierone e i chiacchieroni, è una comunità che è incapace di dare testimonianza.

Io dirò soltanto questo: volete una parrocchia perfetta? Niente chiacchiere. Niente. Se tu hai qualcosa contro uno, vai a dirglielo in faccia, o dillo al parroco; ma non fra voi. Questo è il segno che lo Spirito Santo è in una parrocchia. Gli altri peccati, tutti li abbiamo. C’è una collezione di peccati: uno prende questo, uno prende quell’altro, ma tutti siamo peccatori. Ma quello che distrugge, come il tarlo, una comunità sono le chiacchiere, dietro le spalle.

Io vorrei che in questo giorno della mia visita questa comunità facesse il proposito di non chiacchierare. E quando ti viene voglia di dire una chiacchiera, morditi la lingua: si gonfierà, ma vi farà tanto bene, perché nel Vangelo questi testimoni di Gesù – peccatori: anche hanno tradito il Signore! – mai hanno chiacchierato uno dell’altro. E questo è bello. Una parrocchia dove non ci sono le chiacchiere è una parrocchia perfetta, è una parrocchia di peccatori, sì, ma di testimoni. E questa è la testimonianza che davano i primi cristiani: “Come si amano, come si amano!”. Amarsi almeno in questo. Incominciate con questo. Il Signore vi dia questo regalo, questa grazia: mai, mai sparlare uno dell’altro. Grazie.


Saluto finale sul piazzale antistante la parrocchia

Santo Padre:

Avete preso tanto freddo! Un pochettino…

Grazie tante, e vi chiedo di pregare per me, pregare perché la parrocchia vada avanti, il quartiere vada avanti, per gli ammalati, perché guariscano, per i bambini, perché crescano sani, e pregare per tutti: gli uni per gli altri. E questo fa che la Chiesa sia buona, anche che il quartiere sia un quartiere di pace. Quando la gente prega uno per l’altro, vengono cose buone: non costa niente, ma fa tanto bene.

E adesso, prima di andarmene, vorrei darvi la benedizione. Preghiamo la Madonna, prima: Ave o Maria, …

[Benedizione]

Pregate per me, non dimenticatevi! Grazie. Buona serata.


[Modificato da Caterina63 16/01/2017 13:53]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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20/02/2017 11:09
 
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VISITA PASTORALE ALLA PARROCCHIA ROMANA 
DI SANTA MARIA JOSEFA DEL CUORE DI GESÙ A CASTELVERDE

 

Domenica, 19 febbraio 2017

Incontro con i bambini




Il parroco:

Alessandro è un ragazzo intelligentissimo. Qualche domenica fa, a proposito della chiamata degli Apostoli, ho detto: “Se oggi viene Gesù e ti chiama, chi è disposto ad andare?”, e hanno alzato la mano in diversi. Tra cui lui. Alessandro, qui c’è Sua Santità Papa Francesco, il Vicario di Cristo, e puoi domandargli tutto quello che vuoi.

Alessandro:

D. – Perché sei diventato Papa?

Papa Francesco:

Perché ci sono i “colpevoli”. Uno dei colpevoli è questo [indica il Cardinale Vallini]. [I bambini scoppiano a ridere]. Perché tu sai come si fa il Papa? Ecco, te lo spiego. Voi sapete come si fa il Papa? [“No!”]. Si paga, per diventare Papa? [“No!”]. Ma se uno paga tanto, tanto, tanto, alla fine lo fanno Papa? [“No!”] No. Si fa a sorteggio, il Papa? [“No!”] No. Non si fa a sorteggio. E come si fa? Chi sono quelli che eleggono il Papa? Pensate bene: chi sono? [“I cardinali”] I cardinali. E Don Agostino [Vallini] è un cardinale, è il Vicario di Roma, e lui era tra quei 115 che erano riuniti per eleggere il Papa. Capito? E loro si riuniscono, parlano tra loro, pensano… “Eh, ma pensiamo a questo, pensiamo a questo, e questo ha questo vantaggio, questo ha l’altro vantaggio…”, e ragionano… Ma soprattutto – e questa è la cosa più importante, si prega. Capito? Questa gente che è in clausura, cioè, lì non possono parlare con gente di fuori, sono come isolati, dalla Casa Santa Marta vanno in Cappella Sistina a eleggere il Papa. Parlano tra loro su ciò di cui ha bisogno la Chiesa oggi, e per questo è meglio una personalità di questo profilo o di quell’altro…; tutti ragionamenti umani. E il Signore invia lo Spirito Santo e lo Spirito Santo aiuta nell’elezione. Poi, ognuno dà il suo voto e si fanno i conti, i suffragi, e quello che ha i due terzi dei numeri viene eletto Papa.
Come vedete, è un processo fatto di molta preghiera. Non si paga, non ci sono amici potenti che spingono, no, no. Dunque, chi fa il Papa?... No, la domanda la farò così: chi è la persona più importante in quel gruppo che fa il Papa? Pensateci bene! Chi è? [Uno dice: “Il Papa”]. No, il Papa non è fatto ancora. [Alcuni: “Dio”] Dio, lo Spirito Santo, che tramite il voto fa il Papa. Poi, quello che viene eletto, forse non è il più intelligente, forse non è il più furbo, forse non è il più sbrigativo per fare le cose, ma è quello che Dio vuole per quel momento della Chiesa.
Capito? [“Sì!”]
E vi faccio una domanda, ma pensateci bene. Nell’elezione, tu hai fatto la prima domanda, Alessandro, dove mi hanno fatto Papa a me, eravamo 115. Vi faccio la domanda: chi era il più intelligente di questi 115? [“Tu!”] No! [Alcuni: “Tutti!”] No. Il più, il più…[“Dio”] Dio. Dio è il 116°... Mah, non si sa, ma quello che viene eletto non necessariamente è il più intelligente. Capito? Ci sono più intelligenti di lui, ma Dio ha scelto quello. E come in tutte le cose della vita, il tempo passa, il Papa deve morire come tutti, o andare in pensione, come ha fatto il grande Papa Benedetto, perché non aveva buona salute, e arriverà un altro, che sarà differente, sarà diverso, forse sarà più intelligente o meno intelligente, non si sa. Ma arriverà quest’altro nello stesso modo: eletto dal gruppo dei cardinali sotto la luce dello Spirito Santo. Avete capito? Dimmi, Alessandro, tu sei soddisfatto della risposta? E’ vera? Non ho sbagliato? Non ho detto una bugia? Grazie.

Il parroco:

Flavio, del gruppo della Cresima. Dove sta? Facciamo uno e uno.

Flavio:

Tu, quando eri piccolo, che cosa volevi fare da grande?

Papa Francesco:

Te lo dirò: ma come ti chiami?

Flavio:

Flavio.

Papa Francesco:

Te lo dico, ma non ridere! Non scherzare, io dirò la verità. Io volevo fare il macellaio. Davvero! Perché quando andavo al mercato con la nonna, vedevo come il macellaio faceva i pezzi di carne: “Che bravo è quest’uomo!”, e mi piaceva. “Quando sarò grande, sarò macellaio”.

Flavio:

E… potrei farti una foto?

Papa Francesco:

Sì!

E tu, dimmi, tu cosa vuoi fare quando sei grande?

Flavio:

Il calciatore.

Papa Francesco:

Il calciatore! Voi avete visto giocare a calcio, questo? [“Sì!”] Lo fa bene o no? (“E’ bravo”] E che posto hai…

Flavio:

Centrocampista.

Papa Francesco:

Centrocampista? Va bene…

Il parroco:

Presentati, di’ come ti chiami.

Cristian:

Io mi chiamo Cristian. Tu, come hai fatto a diventare Papa?

Il parroco:

Un’altra volta?

Cristian:

Eh, questa è la mia domanda!

Il parroco:

Questa era la tua domanda? Ti ha risposto prima … fanne un’altra …

Papa Francesco:

Dimmi un’altra. Pensa, pensa. Pensa tranquillo, tu pensa qui un’altra e …

Il parroco:

Fai una domanda. Quella che vuoi?

Papa Francesco:

Come ti chiami?

Agostino:

Agostino.

Papa Francesco:

Agostino, come il Vicario di Roma.

Agostino:

Ma, per diventare Papa, a scuola dovevi andare bene?

Papa Francesco:

Per diventare Papa tu devi, prima di tutto, essere un buon cristiano. Normalmente, si fa il prete prima, poi il vescovo. Ma nei primi tempi della Chiesa, non necessariamente tutti i Papi erano preti: alcuni erano diaconi. Ma si deve essere un buon cristiano. E la comunità fa la segnalazione, faceva, in quel tempo. C’era tanta gente cristiana che conosceva questo o quello e segnalavano; alcuni erano sacerdoti, alcuni diaconi. Ma poi, con il tempo, si è sistemato bene il sistema di elezione e adesso eleggono il Papa soltanto i cardinali. I cardinali sotto gli 80 anni.

Bambino:

Quale è stato il punto più difficile della tua vita?

Papa Francesco:

Quale è stato …?

Bambino:

… il punto più difficile della tua vita?

Papa Francesco:

Sì, ce ne sono stati alcuni difficili. Per la salute, ho avuto alcuni tempi difficili. Quando avevo 20 anni, sono stato quasi alla morte per un’infezione, mi hanno tolto parte di un polmone… ma il Signore mi ha portato avanti. E poi, i momenti difficili che tutti abbiamo, tutti, nella vita. State attenti a questo! La vita è un dono di Dio, ma nella vita ci sono momenti brutti, ci sono momenti difficili che bisogna superare e andare avanti. Io ne ho avuti tanti, come tutta la gente. Ma ricordo questo della malattia a 20 anni, e ne ho avuto altri difficili. Ma io dirò questo: per me la vita non è stata facile. Io domando a voi: per tutti, per la gente, la vita, in generale, è facile? [“No”] Ci sono difficoltà, nella vita? [“Sì”] Sempre! Ci sono e ci saranno. Ma non bisogna spaventarsi. Le difficoltà si superano, si va avanti, con la fede, con la forza, con il coraggio! Ma voi non siete coraggiosi… Siete o non siete?...

Bambino:

In certi momenti…

Papa Francesco:

Siete coraggiosi o no? [“Sì”] Siete bravi? [“Sì e no”] O siete tutti paurosi? [“No”] Siete coraggiosi? [“Sì”] Bene, avanti! Grazie!

Bambino.

A te. Posso farti una foto?

Papa Francesco:

Sì.

Adesso, passiamo al secondo tempo: il tempo delle femminucce. Vediamo chi vince, eh?

Giulia:

Come ci si sente a essere il rappresentante della Chiesa cattolica?

Papa Francesco:

Ci si sente con tanta responsabilità. Tu hai detto la parola “rappresentante”, e uno che “rappresenta” la Chiesa non può fare brutta figura. Il Papa, può fare brutta figura? [“No”] No, non può. Deve stare attento a non fare brutta figura. Ma si sente anche un’altra cosa. Il Papa è il Vescovo… Il Papa è vescovo o non è vescovo?

Giulia:

Sì.

Papa Francesco:

Ma di che città è vescovo?

Giulia:

Di Roma.

Papa Francesco:

Di Roma. Il Papa è il Vescovo di Roma ma ha la cura pastorale di tutta la Chiesa del mondo con gli altri vescovi. Ma la diocesi del Papa qual è? [qualcuno dice: “San Giovanni”] La cattedrale è San Giovanni. E la diocesi è…

Giulia:

San Pietro.

Papa Francesco:

Roma. D’accordo. E il Papa è anche vescovo e padre, e quello che deve sentire il Papa è che è padre; se il Papa o il Vescovo non sente che è padre, gli manca qualcosa. E’ questo.

Il parroco:

Bene, ragazzi, basta così, con le domande.

Bambini:

No!

Papa Francesco:

Adesso le faccio io…

Il parroco:

Adesso, ragazzi, silenzio assoluto, perché il Papa vuole fare una domanda a voi. Quindi dovete stare attenti.

Papa Francesco:

Io faccio domande e voi rispondete tutti. Quanti “Dio” ci sono? [“Uno”] Ma… io ne conosco tre! [“Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo”] Padre, Figlio e Spirito Santo: uno e due e tre. Sono tre. Cosa rispondete a questo? Chi può rispondere? [Uno dice: “Sono tre”] Sono tre Dei? O uno? [Uno dice: “E’ uno solo diviso in tre parti”] In tre pezzi? No, Dio è uno [“E’ un solo Dio che però rappresenta più cose”] Non va… Quanti “Dio” sono? [“Tre”] Tre “Dio”? O uno? [“Uno”] Ma se è uno… Vi faccio questa domanda: il Padre è Dio? [“Sì”] Il Figlio è Dio? [“Sì… No…”] Ah, non è Dio? [“Sì, è Dio”] Lo Spirito Santo è Dio? [“Sì”] Sono tre, ma questa è una cosa non facile da capire: sono tre Persone, capito questo? Sono tre Persone, ma le tre Persone fanno un solo Dio.
D’accordo? [“Sì”] Non siete convinti? Allora sono tre, che cosa? Tre… [“Persone”] e un [“Dio”] Tre… [“Persone”] e un [“Dio”] E la Madonna, è Dio? [“No”] Cosa è la Madonna? [“La Madre…”] La Madre di Dio. Perché è la Madre di Dio? Perché è quella che ha portato Gesù al mondo. D’accordo? [“Sì”] Sì. E Giuseppe ha aiutato la Madonna, davvero. Il Padre è Dio? Sì. Il Figlio è Dio? Sì. Lo Spirito Santo è Dio? Sì. Tre Persone, d’accordo? Quante persone? (“Tre”] Quanti “Dio”? (“Uno”] La Madonna è Dio? [“No”] La Madonna è…? La Madre di Dio. Chiaro. Questo non dimenticatelo mai. Va bene.

Il parroco:

Grazie mille, Santità. Ragazzi, ci mettiamo in piedi e ora il Santo Padre ci farà pregare, quindi silenzio, come facciamo di solito in chiesa.

Papa Francesco:

Silenzio. Gli occhi chiusi. Pensiamo alla Madonna e preghiamo la Madonna, che è Madre di Dio e Madre nostra. Tutti insieme. Ave o Maria…

Vi benedica Dio onnipotente…

E pregate per me, d’accordo? [“Sì!”] Sicuro? [“Sì!”] Grazie!

Incontro con le le famiglie assistite dalla Caritas

Papa Francesco:

Grazie per quello che fate. Il vostro lavoro è avvicinarsi alle persone che hanno qualche bisogno, e anche non solo dare una cosa, ma ascoltare: l’ “apostolato dell’orecchio”. Alle volte, uno può pensare: “Ma quello è un po’ noioso, quanto noiosa è… ascoltare tanto dolore, quando non c’è il necessario per comprare i farmaci, quando non c’è da mangiare…

(un uomo)

Santo Padre, l’Elemosineria manda tanti aiuti Suoi.

(una donna)

… è una parrocchia che ha tanto bisogno, tanto!

Papa Francesco:

…tanta tenerezza…

(una donna)

Noi ce la mettiamo tutta, non ci scoraggiamo.

Papa Francesco:

Avanti!… Ma non litigate tra voi!

Pensate questo: quando viene una persona a chiedere aiuto, una signora o un signore o chiunque, quella persona è Gesù. Perché anche Gesù ha dovuto chiedere aiuto quando era profugo in Egitto. E’ Gesù che ha bisogno in questa persona. “Ma questa è una persona che sparla, che non va in chiesa, che non crede in Dio…”. Ma è Gesù. E’ Gesù. E’ la vostra preghiera che fa allargare il cuore e la fede: è Gesù, è con me, Gesù è con me, oggi. E questo pacco lo do a Gesù. E questo sorriso lo do a Gesù. Questa è la vostra strada di santità. Se voi fate questo, diventerete santi. Tutti! E’ semplice. Ma non dimenticare: è Gesù che bussa alla porta. Vi do la benedizione, ma prima di tutto preghiamo la Madonna, perché lei interceda per tutti noi e voi. Ave o Maria…

[Benedizione]

E ricordate: ogni persona che viene è Gesù. Quella persona buona è Gesù? Sì. Quella persona non tanto buona è Gesù? Sì. Per me, è Gesù. Io devo riceverla come Gesù. Quella donna che ha una lingua di serpente, è Gesù? Sì. E devo, con la mia tenerezza e il mio amore, fare che la sua lingua si “sveleni”, e non sparli. Ma è sempre la tenerezza, l’amore, perché ogni persona che ha bisogno è Gesù che bussa alla porta del mio cuore. E pregate per me: anche io busso alla porta del vostro cuore e chiedo preghiera. Non chiedo un pacco, ma chiedo preghiera, qualche Rosario… Grazie!
 



Omelia durante la Celebrazione Eucaristica


Oggi c’è un messaggio che direi unico nelle Letture. Nella prima Lettura c’è la Parola del Signore che ci dice: «Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo» (Lv 19,2). Dio Padre ci dice questo. E il Vangelo finisce con quella Parola di Gesù: «Voi siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,48). La stessa cosa. Questo è il programma di vita. Siate santi, perché Lui è santo; siate perfetti, perché Lui è perfetto.

E voi potete domandarmi: “Ma, Padre, come è la strada per la santità, qual è il cammino per diventare santi?”. Gesù lo spiega bene nel Vangelo: lo spiega con cose concrete.

Prima di tutto: «Fu detto: “Occhio per occhio e dente per dente”. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio» (Mt 5,38-39), cioè niente vendetta. Se io ho nel cuore il rancore per qualcosa che qualcuno mi ha fatto e voglio vendicarmi, questo mi allontana dal cammino verso la santità. Niente vendetta. “Me l’hai fatta: me la pagherai!”. Questo è cristiano? No. “Me la pagherai” non entra nel linguaggio di un cristiano. Niente vendetta. Niente rancore. “Ma quello mi rende la vita impossibile!...”. “Quella vicina di là sparla di me tutti i giorni! Anch’io sparlerò di lei…”. No. Cosa dice il Signore? “Prega per lei” – “Ma per quella devo pregare io?” – “Sì, prega per lei”. E’ il cammino del perdono, del dimenticare le offese. Ti danno uno schiaffo sulla guancia destra? Porgigli anche l’altra. Il male lo si vince con il bene, il peccato lo si vince con questa generosità, con questa forza. E’ brutto il rancore. Tutti sappiamo che non è una cosa piccola. Le grandi guerre – noi vediamo nei telegiornali, sui giornali, questo massacro di gente, di bambini… quanto odio!, ma è lo stesso odio – è lo stesso! – che tu hai nel tuo cuore per quello, per quella o per quel parente tuo o per tua suocera o per quell’altro, lo stesso. Quello è ingrandito, ma è lo stesso. Il rancore, la voglia di vendicarmi: “Me la pagherai!”, questo non è cristiano.

“Siate santi come Dio è santo”; “siate perfetti come perfetto è il Padre vostro”, «il quale fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti» (Mt 5,45). E’ buono. Dio dà i suoi beni a tutti. “Ma se quello sparla di me, se quello me l’ha fatta grossa, se quello mi ha…”. Perdonare. Nel mio cuore. Questa è la strada della santità; e questo allontana dalle guerre. Se tutti gli uomini e le donne del mondo imparassero questo, non ci sarebbero le guerre, non ci sarebbero. La guerra incomincia qui, nell’amarezza, nel rancore, nella voglia di vendetta, di farla pagare. Ma questo distrugge famiglie, distrugge amicizie, distrugge quartieri, distrugge tanto, tanto… “E cosa devo fare, Padre, quando sento questo?”. Lo dice Gesù, non lo dico io: «Amate i vostri nemici» (Mt 5,44). “Io devo amare quello?” - Sì - “Non posso” - Prega perché tu possa -. «Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano» (ibid.). “Pregare per quello che mi fa del male?” – Sì, perché cambi vita, perché il Signore lo perdoni. Questa è la magnanimità di Dio, il Dio magnanimo, il Dio dal cuore grande, che tutto perdona, che è misericordioso. “E’ vero, Padre, Dio è misericordioso”. E tu? Sei misericordioso, sei misericordiosa, con le persone che ti hanno fatto del male? O che non ti vogliono bene? Se Lui è misericordioso, se Lui è santo, se Lui è perfetto, noi dobbiamo essere misericordiosi, santi e perfetti come Lui.

Questa è la santità. Un uomo e una donna che fanno questo, meritano di essere canonizzati: diventano santi. Così semplice è la vita cristiana. Io vi suggerisco di incominciare dal poco. Tutti abbiamo dei nemici; tutti sappiamo che quello o quella sparla di me, tutti lo sappiamo. E tutti sappiamo che quello o quella mi odia. Tutti sappiamo. E incominciamo dal poco. “Ma io so che costui mi ha calunniato, ha detto di me cose brutte”. Vi suggerisco: prenditi un minuto, rivolgiti a Dio Padre: “Quello o quella è Tuo figlio, è Tua figlia: cambia il suo cuore. Benedicilo, benedicila”. Questo si chiama pregare per quelli che non ci vogliono bene, per i nemici. Si può fare con semplicità. Forse il rancore rimane; forse il rancore rimane in noi, ma noi stiamo facendo lo sforzo per andare sulla strada di questo Dio che è così buono, misericordioso, santo e perfetto che fa sorgere il sole sui cattivi e sui buoni: è per tutti, è buono per tutti. Dobbiamo essere buoni per tutti. E pregare per quelli che non sono buoni, per tutti.

Noi preghiamo per quelli che ammazzano i bambini nella guerra? E’ difficile, è molto lontano, ma dobbiamo imparare a farlo. Perché si convertano. Noi preghiamo per quelle persone che sono più vicine a noi e ci odiano o ci fanno del male? “Eh, Padre, è difficile! Io avrei voglia di stringergli il collo!” – Prega. Prega perché il Signore cambi loro la vita. La preghiera è un antidoto contro l’odio, contro le guerre, queste guerre che incominciano a casa, che incominciano nel quartiere, che incominciano nelle famiglie… Pensate soltanto alle guerre nelle famiglie per l’eredità: quante famiglie si distruggono, si odiano per l’eredità. Pregare perché ci sia la pace. E se io so che qualcuno mi vuole male, non mi vuole bene, devo pregare specialmente per lui. La preghiera è potente, la preghiera vince il male, la preghiera porta la pace.

Il Vangelo, la Parola di Dio oggi è semplice. Questo consiglio: «Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo”. E poi: «Voi siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste». E per questo, chiedere la grazia di non rimanere nel rancore, la grazia di pregare per i nemici, di pregare per la gente che non ci vuole bene, la grazia della pace.

Vi chiedo, per favore, di fare questa esperienza: tutti i giorni una preghiera. “Ah, questo non mi vuole bene, ma, Signore, ti prego…”. Uno al giorno. Così si vince, così andremo su questa strada della santità e della perfezione. Così sia.



Saluto finale


Grazie tante per essere stati qui a pregare insieme, a pregare per tutto il quartiere, per la parrocchia. Saluto tutti voi, fedeli cattolici, e anche i musulmani, e per tutti voi chiedo la benedizione del Signore. Saluto anche tanti che volevano venire ma non è stato possibile per loro: la mia benedizione e il mio saluto anche per loro. E adesso, un minuto in preghiera e vi do la benedizione. Preghiamo insieme la Madonna: Ave o Maria…

[Benedizione]

E per favore, pregate per me. Arrivederci!



[Modificato da Caterina63 20/02/2017 11:11]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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