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Comunione dei Santi e la retribuzione finale

Ultimo Aggiornamento: 08/07/2019 23:59
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fonte: La Chiesa Cattolica - la sua dottrina - Vol.II - con Imprimatur Vescovile - Trieste 1886

Mescolato anch'io con gli Apostoli, nel Cenacolo, sentirò quelle dolci parole di Gesù, Dio nostro: < amatevi gli uni gli altri, come io ho amato voi > (Gv.15,12).

- La Comunione dei Santi

 

1) Quali nozioni e quali prove della Comunione dei Santi?

 

La Chiesa Cattolica è una Istituzione Divina e perciò è Istituzione di Santificazione: essa santifica l'uomo nel Battesimo quando lo accoglie; gli ridona la perduta santità nel Sacramento della Penitenza quando il battezzato, pentito e convertito, si riconcilia con Dio; aumenta la santità delle sue membra cogli altri Sacramenti, specialmente con la Divina Eucaristia presa nello stato di grazia. Chi corrisponde alle premure della Chiesa diventa Santo, né lo diventa morendo, ma se lo è tale in vita giacché la morte non santifica nessuno, perciò semmai "si muore santi" o come si dice "in odore di santità"; e chi muore santo, se tale santità è perfetta, l'anima subito gode della beatitudine eterna, se tale ancora non lo è, lo diventerà dopo essersi reso degno con la purificazione in Purgatorio.

Imperciocché diciamo che la Chiesa Universale di Cristo opera in tre parti:

  1.  Chiesa militante (combattente), cioè siamo noi, viventi sulla terra, combattenti ogni giorno per la "buona battaglia", combattenti i nostri vizi e le nostre cattive inclinazioni, e combattenti con la Missione della Chiesa nel mondo;
  2.  Chiesa purgante, giacché le Anime del Purgatorio pur non potendo fare nulla per sé stesse, esse pregano per noi;
  3.  Chiesa trionfante, i Beati nel Cielo, le miriadi di Santi che ci hanno preceduto.

L'intima unione che passa tra queste "tre" Chiese si chiama Comunione dei Santi.

 

2) La Comunione dei Santi è un dogma di fede contenuto nel Simbolo Apostolico (Sanctorum Comunionem), ed espresso chiaramente nella S. Scrittura e nella Tradizione. Questa Comunione si esplica con una mutua dilezione e del mutuo soccorso fra le membra la cui descrizione ci viene fornita in diversi esempi dall'Apostolo S. Paolo: "Sicut enim in uno corpore multa membra habemus, omnia autem membra non eundem actum habent, ita multi unum corpus sumus in Christo, singuli autem alter alterius membra. / Poiché, come in un solo corpo abbiamo molte membra e queste membra non hanno tutte la medesima funzione, così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e ciascuno per la sua parte siamo membra gli uni degli altri" (Rom.12,4-5). San Paolo spiega che Gesù Cristo è il Capo per mezzo del quale tutto il corpo della Chiesa compaginato e connesso, per mezzo dei Sacramenti e della dottrina, mediante l'opera assegnata ai singoli membri, avente ognuno il proprio specifico ruolo, riceve incremento nella carità imperciocché Dio ha fatto nel corpo umano diverse membra, acciocché in esso non vi sia discordia, ma che tutte concorrano, vicendevolmente, per aiutarsi nella santificazione e nel crescere insieme:" Sed Deus temperavit corpus, ei, cui deerat, abundantiorem tribuendo honorem, ut non sit schisma in corpore, sed idipsum pro invicem sollicita sint membra. Et sive patitur unum membrum, compatiuntur omnia membra; sive glorificatur unum membrum, congaudent omnia membra. Vos autem estis corpus Christi et membra ex parte / Ma Dio ha composto il corpo, conferendo maggior onore a ciò che ne mancava, perché non vi fosse disunione nel corpo, ma anzi le varie membra avessero cura le une delle altre. Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui. Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte" (1Cor.12,24-27).

Non si dica che l'Apostolo parla solamente della Chiesa militante, imperciocché quelli che vivendo sulla terra sono membri di Gesù Cristo, cessano forse di esserlo quando sono in Cielo, o nel Purgatorio? O non si uniscono piuttosto maggiormente a Lui e per mezzo di Lui con le membra della Chiesa militante? Forse che la morte possa spezzare il vincolo della carità faticosamente raggiunto dalle membra santificate? Scrive S. Paolo: "Quis nos separabit a caritate Christi? Tribulatio an angustia an persecutio an fames an nuditas an periculum an gladius? Sicut scriptum est: Propter te mortificamur tota die, aestimati sumus ut oves occisionis ”. Sed in his omnibus supervincimus per eum, qui dilexit nos. Certus sum enim quia neque mors neque vita neque angeli neque principatus neque instantia neque futura neque virtutes neque altitudo neque profundum neque alia quaelibet creatura poterit nos separare a caritate Dei, quae est in Christo Iesu Domino nostro. / Chi ci separerà dunque dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Proprio come sta scritto:Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno, siamo trattati come pecore da macello. Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun'altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore" (Rm.8,35-39).

Tutta la Tradizione della Chiesa rende poi ampia testimonianza di questo dogma. Fino dai tempi apostolici troviamo la venerazione ed invocazione dei Santi e al tempo stesso anche il Suffragio per le Anime dei Defunti, le liturgie più antiche ed i SS. Padri di tutti i tempi ne parlano e lo insegnano. San Cipriano scrive: "Siamo ricordevoli l'uno dell'altro, concordi ed unanimi sempre, l'uno per l'altro preghiamo; e se alcuno di noi per disposizione della bontà Divina sarà partito prima, continui presso il Signore la nostra dilezione, non cessi l'orazione presso la misericordia del Padre pei nostri fratelli e per le nostre sorelle" (S. Cypr. ad Cornel. Pap. - Ed.Paris 1725 pag.96).

2) Quale nesso fra i vivi e i morti?

 

Non tutti i vivi né tutti i morti appartengono alla Comunione dei Santi; imperciocché, essendo la carità il vincolo che unisce le membra della Chiesa Cattolica, e che il primo vincolo che unisce è la carità che si esplica nell'Eucaristia, Sacramento di unità feconda; chi non ha questa carità, sia egli defunto o ancora vivo in questo mondo, non partecipa dei beni comuni. Perciò:

a. non c'é alcun nesso fra i vivi, membra della Chiesa militante, e i dannati, questi non appartengono alla Città di Dio, ma al regno del demonio, o come un tralcio staccato dalla vite non riceve alcun succo dalla medesima, così i reprobi, segregati per sempre dalla società dei Santi, non possono partecipare dei frutti della vite, che è Cristo Signore (Gv.15,1);

b. non appartengono al nesso della Comunione dei Santi coloro che vivono e sono ostinati nel peccato mortale, perché rinunziando alla grazia santificante, né possono partecipare delle opere buone fatte dagli altri e del merito del Divino Sacrificio, né sono essi in grado di fare opere meritorie per la vita eterna. Tutto il vantaggio spirituale che possono ricavare dalle opere dei Santi, sia vivi che Defunti, è che la misericordia di Dio, sollecitata dalle loro suppliche, e dalle penitenze dei vivi, conceda ad essi la grazia, il tempo di convertirsi, e che l'opera ch'essi compiono, possa risultare gradita a Dio "nella persona o per commissione" di un altro, appunto, e concedere un merito che possa essere applicabile per la salvezza di qualche anima. Tale sarebbe, per esempio, il caso di un Sacerdote che in peccato mortale celebrasse la S. Messa, o facesse le Esequie per un Defunto, o d'un secolare che in peccato mortale facesse delle opere pie a cui è obbligato per volontà d'un vivente o di un Defunto (cfr. S. Thom. Summ. Suppl. P.III quest. 71 art.3), nel primo caso opererebbe il Sacerdote come ministro della Chiesa, nel secondo caso, il secolare, sarebbe uno strumento  del committente che la misericordia Divina non trascurerebbe. Il nesso della Comunione dei Santi non ha dunque luogo, che per quelli che godono in qualche modo della vita spirituale in Cristo, cioè per i viventi che si trovano in grazia di Dio: fra di loro; colle Anime sante del Purgatorio; coi Santi tutti che godono la vita eterna.

I viventi che si trovano in grazia di Dio - essi sono coloro che rifiutano di giacere nel peccato mortale, si confessano assiduamente e conducono una vita nel sacro timor di Dio, ascoltano la Santa Messa con somma devozione e ricevono spesso la santa Eucaristia nel medesimo stato di grazia  e, naturalmente, che compiono anche le opere di misericordia - partecipano non solo dei beni spirituali comuni a tutti, cioè delle orazioni della Chiesa, del frutto dei Sacramenti e specialmente di quello della Santa Messa, ma pur anche ognuno secondo la sua capacità partecipa del merito delle opere buone fatte dagli altri. La ragione di questa grande opportunità è semplice: perché - spiega S. Tommaso d'Aquino - le opere buone hanno una radice comune, esse provengono dall'unico vero Bene e colui che le compie è in qualche modo innescato a questo Bene, imperciocché tutti quelli che per la carità vi si connettono, ossia che le compiono senza pensare a sé stessi o al guadagno che da queste potrebbero trarvi ma lo fanno gratuitamente in Nome del Sommo Bene, ricavano dalle mutue opere buone un qualche prezioso vantaggio, e questo vantaggio è maggiore quando l'operante ha l'intenzione di applicare ai più bisognosi l'opera sua, specialmente verso chi necessità di soccorso spirituale a salvamento dell'anima, in tal senso così scrive San Paolo: "Sed sicut in omnibus abundatis, fide et sermone et scientia et omni sollicitudine et caritate ex nobis in vobis, ut et in hac gratia abundetis. / E come vi segnalate in ogni cosa, nella fede, nella parola, nella scienza, in ogni zelo e nella carità che vi abbiamo insegnato, così distinguetevi anche in quest'opera generosa" (2Cor.8,7), e  ancora  "in praesenti tempore vestra abundantia illorum inopiam suppleat, ut et illorum abundantia vestram inopiam suppleat / Per il momento la vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza, perché anche la loro abbondanza supplisca alla vostra indigenza" (2Cor.8,14) e dove per indigenza, l'apostolo intende soprattutto l'indigenza spirituale.

Le Anime del Purgatorio, avendo la carità che le unisce come membra del Corpo mistico di Cristo, partecipano dei beni spirituali comuni a tutti quei che sono in grazia di Dio. La Chiesa stessa suffraga ogni giorno per i Defunti in generale, pei quali non conosciamo i nomi ma che di tutti auspichiamo la salvezza, ed anche per i Defunti in particolare sollecitando i fedeli a fare altrettanto attraverso il dono delle Sante Messe di Suffragio, quelle Messe da applicarsi per un Defunto familiare ad esempio o nello specifico quando la sia applica per le Anime del Purgatorio, e questi suffragi sono i più graditi a Dio, che li raccoglie per raddolcire le loro pene ed abbreviare il tempo del loro purgatorio. Tutte le opere buone concorrono a questo bene ma, spiega S. Tommaso d'Aquino, nate a suffragare i morti sono specialmente quelle opere che Dio ama di più: opere che concorrono alla comunione nella carità, e perciò prima opera fra tutte è la Comunione eucaristica da riceversi nello stato di grazia, Essa è vincolo d'unione ecclesiastica, l'elemosina data in nome di Cristo e guardando alla Divina Provvidenza con fiducia, questa elemosina è fondamentale per essere graditi a Dio, scrive l'Apostolo: "Beneficientiae autem et communionis nolite oblivisci; talibus enim hostiis oblectatur Deus. / Non scordatevi della beneficenza e di far parte dei vostri beni agli altri, perché di tali sacrifici il Signore si compiace" (Ebr.13,16), ed infine le orazioni, come quella che manifesta la intenzione verso l'altro.

I suffragi dei viventi, scrive Sant'Agostino: "giovano a quei Defunti, i quali mentre vivevano hanno meritato ch'essi possano loro giovare". Imperciocché v'é un modo di vivere così deciso nel bene da non aver bisogno di suffragi, ed avviene che altri siano stati così decisi nel male che, quando termina la loro vita, anche i suffragi non gli giovano, come ammonisce l'Apostolo: "Si quis videt fratrem suum peccare peccatum non ad mortem, petet, et dabit ei Deus vitam, peccantibus non ad mortem. Est peccatum ad mortem; non pro illo dico, ut roget. Omnis iniustitia peccatum est, et est peccatum non ad mortem. / Se uno vede il proprio fratello commettere un peccato che non conduce alla morte, preghi, e Dio gli darà la vita; s'intende a coloro che commettono un peccato che non conduce alla morte: c'è infatti un peccato che conduce alla morte; per questo dico di non pregare. Ogni iniquità è peccato, ma c'è il peccato che non conduce alla morte" (1Gv.5,16), e quali sono questi peccati per cui si va alla morte? I destinatari della Lettera erano forse informati su questo peccato di una gravità eccezionale. Può essere il peccato contro lo Spirito Santo, contro la verità (Mt 12,31) o l’apostasia degli anticristi, perciò, che cosa significa non pregare per questo peccato? Quando San Giovanni dice di non pregare per questo peccato non intende dire che dobbiamo escludere qualcuno dalla preghiera. Gesù non ha escluso nessuno dalla sua preghiera. Quando in croce ha detto: “Pater, dimitte illis, non enim sciunt quid faciunt / Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno”(Lc.23,34) non ha inteso escludere i farisei, i sommi sacerdoti, Giuda, ecc... E non intendeva escludere neanche coloro che commettono un peccato contro lo Spirito Santo. San Giovanni non proibisce assolutamente di pregare per gli apostati e neppure dice che tali preghiere non saranno mai esaudite. La Chiesa infatti prega per essi il Venerdì Santo e ad ogni Divino Sacrificio dell'Altare reca la speranza, la supplica della conversione. Ma fa notare che la sua raccomandazione non riguarda tali peccatori e lascia capire che le preghiere fatte per essi più difficilmente saranno esaudite, a motivo senza dubbio dell’indurimento nel male che si verifica in coloro che abbandonano Gesù Cristo e la sua Chiesa. San Giovanni  intende affermare che per quanto riguarda i fratelli che si sono macchiati di particolari peccati mortali, è opportuno abbandonarli al giusto giudizio di Dio.

 

Questo giudizio di Dio imperciocché, non significa una condanna irrevocabile, ma implica un castigo che il Signore nella sua giustizia infligge a questi peccatori perché serva loro di salutare richiamo: in tal modo questi peccatori, tempestivamente puniti da Dio, eviteranno una condanna eterna (cfr. 1 Cor 5,5; 1 Tm 1,20).

“Quando occorrono nella S. Scrittura o nei Padri sentenze che sembrano affermare che per alcuni peccati non c’è remissione, bisogna intenderle nel senso che il loro perdono è oltremodo difficile. Come una malattia vien detta insanabile quando il malato respinge l’uso della medicina, così c’è una specie di peccato che non si rimette né si perdona perché rifugge dalla grazia di Dio, che è il rimedio suo proprio” (Catechismo Romano, c. 5,19). È questo il motivo per cui S. Tommaso affermava: “Questo non impedisce all’onnipotenza e alla misericordia di Dio di trovare la via del perdono e della guarigione che talora sana spiritualmente anche costoro in una maniera quasi prodigiosa” (Somma Teologica, II-II, 14, 3).

Perciò -risponde Sant'Agostino - quando per tutti i battezzati Defunti si offrono sacrifici, o di Sante Messe, o di elemosine, essi pei molti buoni sono rendimenti di grazie, pei non molto cattivi sono propiziazioni, ma pei molto cattivi e reprobi, benché nulla giovino ai morti, servono a consolare in qualche modo i viventi, e non ultimo, è lode che s'innalza a consolare il Divino Crocefisso che ha dato la Sua vita anche per coloro che hanno voluto dannarsi.

I Santi sono per tanto in un intimo nesso con noi, scrive San Cipriano: "Trovandosi a Dio famigliarmente vicini, sono consci dei divini secreti, e costantemente pregano la clemenza del Signore per i nostri travagli e per il conseguimento della beatitudine eterna", imperciocché, osserva San Girolamo: "Se gli Apostoli e i Martiri possono pregare per altri trovandosi col corpo, quando devono ancora essere solleciti della propria salvezza, quanto più potranno in seguito alle corone, alle vittorie, ai trionfi?" Infine ci rammenta San Tommaso d'Aquino: "non già come se in Dio vedessero o sapessero ogni cosa, ma perché spettando alla loro beata condizione il poter soccorrere chi ne abbisogna, il Signore concede loro la cognizione che a ciò si riferisce, e così è chiaro ch'essi nel Divin Verbo conoscono i voti, e le devozioni, e le preghiere degli uomini che ricorrono al loro aiuto".

 

- Le obiezioni

 

I Protestanti pur ammettendo che vi sia una specie di Comunione dei Santi che pregano "con noi", di fatto sostengono ed insegnano che noi non possiamo invocarli, e che l'unico tramite fra noi e Dio è solo Gesù Cristo, l'unico che deve essere pregato e invocato in avvocatura, l'uno mediatore fra noi e Dio.

a. Osserviamo in primo luogo che se i Santi intercedono per noi, non credono di offendere Gesù Cristo giacché sanno che ogni intercessione avviene tramite di Lui, e non v'é alcuna ragione per pensare di offendere Nostro Signore quando ai Santi ricorriamo, perché sappiamo che ogni supplica, la stessa Santa Messa, tutto passa attraverso di Lui.

b. Osserveremo in secondo luogo che la parola intercessione s'applica in modo differente da quello in cui si applica a Nostro Signore Gesù Cristo, Egli solo è infatti l'intercessore imperciocché se gli uomini ricevono grazie, e per grazia possono rivolgersi ai Santi in Cielo, questo avviene per tramite Suo, per i meriti infiniti del  Suo Divino Sacrificio, Gesù è pertanto l'intercessore necessario ed indispensabile, e chi non invoca la sua intercessione, o pretende di essere ascoltato senza vivere dei Sacramenti, dei Comandamenti e della dottrina, non può conseguire alcuna grazia, ogni intercessione infatti è subordinata alla intercessione di Gesù Cristo, è Lui che decide a chi accordare le preghiere rivolte ai Santi, è Lui che decide come e quando i Santi possono rispondere ai fedeli che li invocano (es. il compiersi dei miracoli in nome di un santo), è Lui elargitore e distributore della grazia, i Santi sono il tramite dello spargimento dei misteri, delle grazie, dei favori divini, così come è il Sacerdote, Ministro Ordinato, il tramite attraverso il quale il Signore Gesù Cristo, e tutta la Santissima Trinità, vivificano il Sacrificio dell'Altare, o come quando assolvono i penitenti dai propri peccati: il penitente riceve questa assoluzione tramite il Sacerdote il quale non agisce in nome proprio ma "nel Nome del Padre e del Figliolo e dello Spirito Santo". Il Concilio di Trento ha definito perciò: "essere cosa buona ed utile l'invocare supplichevolmente i Santi ed il ricorrere alle loro azioni, al loro soccorso e al loro aiuto, affine di impetrare da Dio dei benefici per mezzo del Suo Figliolo Gesù Cristo, nostro Signore, ch'é il solo nostro Redentore e Salvatore" (Conc. Trid. Sess. XXV).

Vi sono anche altri rami Protestanti come quello francese ed olandese, i quali sostengono che "i Santi ignorano ciò che nasce fra noi e non si danno alcun pensiero di quanto avviene sotto il sole", a questa affermazione oltre a quanto spiegato in tutto questo lavoro, ricordiamo il racconto fatto da San Paolo per la nostra edificazione nella 2Cor.12,1-5, come negare perciò che i Santi che sono puri spiriti, chiamati a condividere l'opera e le meraviglie del Signore, non conoscano per Sua grazia le cose di questa terra? La stessa parabola di Lazzaro e del ricco Epulone ci rammentano che c'è conoscenza fra questi mondi, ma un abisso li separa: Et ait: “Rogo ergo te, Pater, ut mittas eum in domum patris mei — habeo enim quinque fratres — ut testetur illis, ne et ipsi veniant in locum hunc tormentorum”. / E quegli replicò: Allora, padre, ti prego di mandarlo a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento" (Lc.16,19-31), l'abisso che separa il mondo dei dannati resta separato, mentre il Cielo che separa i Santi dai viventi santificanti è raggiungibile per mezzo di Cristo, questo proprio perché la nostra meta è il Cielo e non l'Inferno, e Gesù è venuto per portarci in Cielo dove già vivono e con Lui operano i Santi, coloro che sono morti in Cristo.

Il dogma Cattolico della Comunione dei Santi fa di tutti i figliuoli di Dio una sola famiglia, separata dal luogo ma unita col vincolo della carità, prima carità unitiva, come abbiamo spiegato, è proprio la Divina Eucaristia. Questo affetto unitivo corrisponde al bisogno del nostro cuore, ed il tributo di suffragi e preghiere, di elemosine e penitenze che diamo a quelli che ci lasciarono su questa terra, per mezzo di Nostro Signore Gesù Cristo fa che viviamo ancora con essi, perché essi sono vivi seppure in un modo a noi ancora incomprensibile.

Inoltre questo dogma che proviene dalla Sacra Scrittura e che la Tradizione della Chiesa ha confermato e vincolato nella fede comune, ci solleva dagli interessi puramente materiali e ci trasporta nel modo corretto nel mondo degli spiriti:

a. le Anime del Purgatorio pregano per noi e ci ricordano anche della nostra sorte;

b. l'invocazione e il culto dei Santi ci parlano della gloria che è stata per noi preparata;

c. e la memoria, i Suffragi eucaristici per coloro che ci hanno preceduto col segno della Croce e "dormono il sonno della pace", è per noi causa di dolci emozioni e scuola di cristiane virtù. Non esiste infatti alcuna specie di "comunione con i dannati", anzi, ogni contatto con loro è espressamente vietato da Dio in tutta la Sacra Scrittura, un regno definito dei "morti", morti alla grazia, morti alla partecipazione della divinità, morti alla beatitudine. Chiunque invochi questi Defunti, si mette contro Dio e mette in pericolo la propria anima lasciandola in balia di forze occulte e demoniache.



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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- Come avverrà la retribuzione finale?


 


1) il finimondo


 


Il Peccato Originale, attirando alla terra e agli uomini la maledizione divina (Gn.3,17), ha fatto degenerare tutte le creature le quali, come scrive San Paolo: " omnis creatura congemiscit et comparturit usque adhuc / tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto" (Rm.8,22), la Redenzione operata già da Gesù Cristo, spiega così l'Apostolo, rigenererà anche la natura materiale, ed il mondo sarà reso libero dalla schiavitù della materialità, da ogni corruzione alla libertà della Creazione originale, per la gloria dei Figli di Dio.


 


Ma quando avverrà tutto questo, e in che modo verrà distrutta la terra?


Tutto il capitolo 24 di San Matteo ci racconta come il Signore Gesù ha spiegato questo "finimondo" e come avverrà, ma quanto al giorno e all'ora è stato chiarissimo: " De die autem illa et hora nemo scit, neque angeli caelorum neque Filius, nisi Pater solus. / Quanto a quel giorno e a quell'ora, però, nessuno lo sa, neanche gli angeli del cielo e neppure il Figlio, ma solo il Padre" (Mt.24,36), si fugga pertanto dai falsi profeti finimondisti, seguaci di quel millenarismo sempre condannato dalla Santa Chiesa. L'aver detto, nostro Signore Gesù Cristo, che allora:" Consurget enim gens in gentem, et regnum in regnum, et erunt fames et terrae motus per loca (...) et multi pseudoprophetae surgent et seducent multos / Si solleverà popolo contro popolo e regno contro regno; vi saranno carestie e terremoti in vari luoghi (..) Sorgeranno molti falsi profeti e inganneranno molti" (Mt.24,7-11), fa si che ogni qualvolta che i tempi erano calamitosi, si predicesse vicino il termine del tempo del mondo, ma seppur non ebbe fine il mondo, sicuramente ebbero fine dei tempi che gravavano periodicamente e pesantemente contro i Cristiani.


Per capire come queste profezie di Nostro Signore vadano interpretate, è saggio e confortevole ascoltare i Santi Padri come S. Cipriano nel terzo secolo, nel quarto ne parlava S. Giovanni Grisostomo, nel sesto S. Gregorio Magno e sempre, fra i più grandi Santi c'è l'insegnamento a guardare "i segni dei tempi". La opinione che il mondo non dovrebbe durare oltre i "sei mille anni"(da non confondersi con l'eresia millenarista) è antichissima, si pensa persino apostolica, di certo è che Sant'Agostino la riporta nel suo Libro "La Città di Dio" e vi osserva che: "essendo mille anni presso Dio come un giorno solo (2Pt.3,8), come la settimana della Creazione durò sei giorni e il settimo fu di riposo, così sei mille anni durerà il tramestio delle cose terrene, ed a questo succederà il Sabbato eterno. Ma nessuno può sapere quando ciò avverrà, quando il mondo finirà, quale il suo giorno, quale la sua ora, solo ci è detto di guardare ai segni dei tempi..."


"Vigilate ergo, quia nescitis qua die Dominus vester venturus sit.  / Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà" (Mt.24,42), nell'insegnamento dei Santi Padri è più conveniente che il fedele si preoccupi più per la sua anima che non di stabilire il giorno e l'ora del finimondo: " Dico vobis: Cito faciet vindictam illorum. Verumtamen Filius hominis veniens, putas, inveniet fidem in terra? / Vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?" (Lc.18,8), benché i segni saranno manifesti, il Signore amorevolmente continua a metterci in guardia dall'ozio spirituale: " Sicut enim erant in diebus ante diluvium comedentes et bibentes, nubentes et nuptum tradentes, usque ad eum diem, quo introivit in arcam Noe, et non cognoverunt, donec venit diluvium et tulit omnes, ita erit et adventus Filii hominis. / Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e marito, fino a quando Noè entrò nell'arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e inghiottì tutti, così sarà anche alla venuta del Figlio dell'uomo" (Mt.24,38-39).


Intorno al modo del finimondo, oltre quanto riportato dal Vangelo di Matteo 24, anche San Pietro scrive: " dicentes: “ Ubi est promissio adventus eius? Ex quo enim patres dormierunt, omnia sic perseverant ab initio creaturae ”. Latet enim eos hoc volentes, quod caeli erant prius, et terra de aqua et per aquam consistens Dei verbo, per quae ille tunc mundus aqua inundatus periit; caeli autem, qui nunc sunt, et terra eodem verbo repositi sunt igni, servati in diem iudicii et perditionis impiorum hominum.  / 


e diranno: "Dov'è la promessa della sua venuta? Dal giorno in cui i nostri padri chiusero gli occhi tutto rimane come al principio della creazione". Ma costoro dimenticano volontariamente che i cieli esistevano già da lungo tempo e che la terra, uscita dall'acqua e in mezzo all'acqua, ricevette la sua forma grazie alla parola di Dio; e che per queste stesse cause il mondo di allora, sommerso dall'acqua, perì. Ora, i cieli e la terra attuali sono conservati dalla medesima parola, riservati al fuoco per il giorno del giudizio e della rovina degli empi" (2Pt.3,4-7), l'uomo oggi sa che le indagini della scienza confermano le parole dell'Apostolo. Come il corpo dell'uomo ha in sé stesso il principio della dissoluzione, così racchiude la terra nelle sue viscere l'elemento che se oggi l'alimenta, domani la distruggerà. E' riportato nel Corso di Storia Naturale (Geologia di F.S. Beudant, Milano, Vallardi 1847) che le osservazioni dei dotti hanno dimostrato che ad ogni 33 metri di profondità sotto il punto della temperatura stazionaria, il calore cresce d'un grado; per il che, se anche il calore non cresce uniformemente, ad una profondità di 200 chilometri l'interna temperatura dev'essere di 4000 gradi, temperatura che mantiene in fusione qualunque corpo. Considerando ora, che il raggio terrestre è di 6000 e più chilometri, e lo spessore della crosta solida non è più che di 20 e quindi non raggiunge neppure, in paragone, allo spessore che ha il guscio dell'uovo relativamente al suo raggio, s'arriva a persuadersi, che il periodo di calma in cui si trova oggi la nostra terra (ricordiamo che questo testo è del 1886 - nota mia), periodicamente riprende le sue attività assottigliandosi sempre di più, aumentando i disastri naturali, terremoti e vulcani, e il tutto trova un appoggio anche nelle stesse leggi che sembrano reggere il mondo e che sono riportate nella "Città di Dio" di Sant'Agostino dove scrive: "In questo mondano incendio s'abbruceranno interamente le qualità degli elementi corruttibili ch'erano adatte ai nostri corpi corruttibili, e la sostanza medesima avrà quelle qualità che per ammirabile cambiamento possono convenire a corpi immortali; cioè così, che il mondo rinnovato in meglio, ben si adatti agli uomini, che pur saranno nella carne in meglio rinnovati."


Il Santo Padre della Chiesa non fa altro che riportare le parole dell'Apostolo: " Non tardat Dominus promissionem, sicut quidam tarditatem existimant, sed patienter agit in vos nolens aliquos perire, sed omnes ad paenitentiam reverti. Adveniet autem dies Domini ut fur, in qua caeli magno impetu transient, elementa vero calore solventur, et terra et opera, quae in ea invenientur. Cum haec omnia ita dissolvenda sint, quales oportet esse vos in sanctis conversationibus et pietatibus, exspectantes et properantes adventum diei Dei, propter quam caeli ardentes solventur, et elementa ignis ardore tabescent! Novos vero caelos et terram novam secundum promissum ipsius exspectamus, in quibus iustitia habitat. Propter quod, carissimi, haec exspectantes satagite immaculati et inviolati ei inveniri in pace  /  Il Signore non ritarda nell'adempiere la sua promessa, come certuni credono; ma usa pazienza verso di voi, non volendo che alcuno perisca, ma che tutti abbiano modo di pentirsi. Il giorno del Signore verrà come un ladro; allora i cieli con fragore passeranno, gli elementi consumati dal calore si dissolveranno e la terra con quanto c'è in essa sarà distrutta. Poiché dunque tutte queste cose devono dissolversi così, quali non dovete essere voi, nella santità della condotta e nella pietà, attendendo e affrettando la venuta del giorno di Dio, nel quale i cieli si dissolveranno e gli elementi incendiati si fonderanno! E poi, secondo la sua promessa, noi aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova, nei quali avrà stabile dimora la giustizia. Perciò, carissimi, nell'attesa di questi eventi, cercate d'essere senza macchia e irreprensibili davanti a Dio, in pace". (2Pt.3,9-14)


- Diremo solamente due parole alla questione relativa dell'Anticristo.


 


L'argomento è di prudenziale trattazione e molto deve essere concepito alla luce della dottrina sulle "cose ultime" e dei Novissimi, tratteremo qui solo alcuni spunti di riflessione e di ammaestramento essenziale. La questione dell'Anticristo che precederà il ritorno di Cristo, imperciocché non si trascuri di studiare le Sacre Scritture e il magistero dei Santi i quali spiegano come per mezzo di prodigi diabolici e pervertitori l'Anticristo pretenderà d'essere Dio e di come vorrà essere adorato come Lui: cfr. 2Tess.2,4-10/Ap.13,4. La Scrittura stessa pone la figura dell'ultimo nemico di Cristo terreno, da cui appunto il nome "Anti", col duplice senso che chi sta contro Cristo, a Lui pretende di sostituirsi. Le Profezie ritenute edificanti dalla Chiesa ci mettono in guardia da questa evoluzione: prima avviene la persecuzione a Cristo il quale è stato odiato e Crocefisso, ma Lui è Risorto e da allora i nemici del Cristo, "anticristi", muovono guerra ai suoi discepoli, alla Sua Chiesa, perseguitandoli ed uccidendoli, poi alla fine dei tempi, quando ai nemici di Cristo non basterà più di perseguitare i Suoi discepoli, arriveranno tanti che diranno di essere Lui e alla fine verrà l'Anticristo che Gesù stesso, nostro Signore, sconfiggerà definitivamente.


Non si faccia ulteriore discussione dell'argomento al di fuori dell'insegnamento della Chiesa, tenendo per saggio il monito di Papa Leone X nel Quinto Concilio Lateranense del 1516, nel quale emanò il seguente Decreto: "Ordiniamo a tutti coloro che esercitano l'ufficio della predicazione o che l'eserciteranno in futuro, di non presumere di fissare nelle loro predicazioni o nelle loro affermazioni un tempo determinato per i mali futuri, sia per la venuta dell'Anticristo, sia per il giudizio finale. Poiché la Verità ha detto: non vi è dato di conoscere il tempo o il momento che il Padre ha fissato di sua propria autorità. Dunque, coloro che sino al presente, hanno osato asserire simili cose, hanno mentito, ed è accaduto che, per causa loro, un gran danno è stato arrecato all'autorità di coloro che predicano saggiamente".


La Chiesa insegna che sappiamo per certo che l'impero dell'Anticristo sarà universale, S. Giovanni ci dice che alla bestia "fu dato potere sopra ogni stirpe, popolo, lingua e nazione" (Ap.13,7), e - spiega S. Giovanni Grisostomo: " E neanche pensiamo ch'egli (l'Anticristo) sia il Diavolo o un demone, come alcuni erroneamente pensano, ma sarà uno dell'umanità (un uomo) in cui Satana abiterà totalmente (...) proferendo dalla sua bocca grande vanto, perché egli è l'uomo del peccato, il figlio della perdizione, tanto che siederà nel tempio come fosse Dio..." (S. G.Chrisost. III Om. su II.Tess. ), e S. Girolamo scrive: "Cristo non verrà a giudicare i vivi e i morti, se prima non verrà il suo avversario, l'Anticristo, a trarre in errore i morti nell'anima, sebbene attiene a un giusto giudizio di Dio che da lui siamo tratti in errore. Infatti la sua presenza avverrà nella potenza di Satana con ogni specie di portenti, di segni e prodigi, di menzogna, e con ogni sorta di inganno per quelli che si vogliono perdere. Allora Satana sarà slegato e regnerà per un certo tempo e agirà mediante l'Anticristo..." (S. Girolam. Commentariorum in Danielem).


Due sole sono le corrispondenze che noi, viventi, dobbiamo avere a riguardo di questi tempi:


a. Verumtamen Filius hominis veniens, putas, inveniet fidem in terra? / Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?" (Lc.18,8);


b. et multi pseudoprophetae surgent et seducent multos. Et, quoniam abundavit iniquitas, refrigescet caritas multorum; qui autem permanserit usque in finem, hic salvus erit.  / Sorgeranno molti falsi profeti e inganneranno molti; per il dilagare dell'iniquità, l'amore di molti si raffredderà. Ma chi persevererà sino alla fine, sarà salvato" (Mt.24,11-13).


 


 


- Conclusione dei Capitoli trattati


 


L'uomo è nato per essere felice, ma la sua felicità non può che trovarla in Dio. S'illude chi pensa che esistano altre strade, e s'illude chi pensa che dopo la morte non vi sia nulla per cui non valga la pena di discutere sul proprio senso della vita. Il tentativo di stravolgere questa felicità è sempre stato presente in ogni società e ad ogni generazione, imperciocché troppi rifiutano di studiare le radici di questi stravolgimenti che sono nel Peccato Originale. Ma l'uomo è nato per essere veramente felice e i nostri primi padri la cercarono rendendosi indipendenti da Dio, e finirono col precipitare, ma la misericordia Divina riorganizzò la vita così  che, l'uomo soffrendo su questa terra le conseguenze del peccato, trovasse in un mondo migliore la sua felicità. A questo convito di eterna beatitudine, Dio chiama tutti, perché tutti vuole che si salvino (1Tim.2,4), ma non tutti corrispondono a questo invito.


Per superare le difficoltà di questa apologetica Cattolica, è necessario munirsi di tutte le virtù e di esercitarle ogni giorno, non serve alcuna scienza, serve solo la volontà per accogliere il messaggio contenuto, affidarsi alla Divina Provvidenza, Pregare, mantenersi nello stato di grazia sfruttando spesso il Sacramento della Penitenza, ricevere la Divina Eucaristia.


Alla Beatissima Vergine Maria, Madre di Dio e Madre nostra, noi che ricorriamo supplici mentre viviamo in questa valle di lacrime, affidiamo la conversione di tutti i cuori che tanto dolore costano al suo Cuore Immacolato, e tanto dolore costò al suo Divin Figlio, Gesù Cristo, il nostro Signore Dio.


 


Sia lodato Gesù Cristo +


 


 


 


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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