A tutti voi che passate da qui: BENVENUTI
Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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Udienza generale del Mercoledì Anno 2024

Ultimo Aggiornamento: 27/03/2024 17:21
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03/01/2024 11:53
 
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UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 3 gennaio 2024

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Il testo qui di seguito include anche le parti non lette che sono date ugualmente come pronunciate:
 

Catechesi. I vizi e le virtù. 2. Il Combattimento spirituale

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

La scorsa settimana ci siamo introdotti nel tema dei vizi e delle virtù. Esso richiama alla lotta spirituale del cristiano. Infatti, la vita spirituale del cristiano non è pacifica, lineare e priva di sfide; al contrario, la vita cristiana esige un continuo combattimento: il combattimento cristiano per conservare la fede, per arricchire i doni della fede in noi. Non a caso, la prima unzione che ogni cristiano riceve nel sacramento del Battesimo – l’unzione catecumenale – è senza alcun profumo e annuncia simbolicamente che la vita è una lotta. Infatti, nell’antichità, i lottatori, prima della gara, venivano completamente unti, sia per tonificare i muscoli, sia per rendere il corpo sfuggente alla presa dell’avversario. L’unzione dei catecumeni mette subito in chiaro che al cristiano non è risparmiata la lotta, che un cristiano deve lottare: anche la sua esistenza, come quella di tutti, dovrà scendere nell’arena, perché la vita è un avvicendarsi di prove e di tentazioni.

Un celebre detto attribuito ad Abba Antonio, il primo grande padre del monachesimo, recita così: “Togli le tentazioni e nessuno sarà salvato”. I santi non sono uomini a cui è stata risparmiata la tentazione, bensì persone ben coscienti del fatto che nella vita si affacciano ripetutamente le seduzioni del male, da smascherare e da respingere. Tutti noi abbiamo esperienza di questo, tutti noi: che ti viene un cattivo pensiero, che ti viene un desiderio di fare questo o di sparlare dell’altro… Tutti, tutti siamo tentati, e dobbiamo lottare per non cadere in queste tentazioni. Se qualcuno di voi non ha tentazioni lo dica, perché sarebbe una cosa straordinaria! Tutti abbiamo tentazioni, e tutti dobbiamo imparare come comportarci in queste situazioni.

Ci sono tante persone che si autoassolvono, che reputano di essere “a posto” – “No, io sono bravo, sono brava, io non ho questi problemi”. Ma nessuno di noi è a posto; se qualcuno si sente a posto, sta sognando; ognuno di noi ha tante cose da aggiustare, e ha pure da vigilare. E a volte succede che andiamo al sacramento della Riconciliazione e diciamo, con sincerità: “Padre, io non ricordo, non so se ho dei peccati…”. Ma questo è mancanza di conoscenza di ciò che succede nel cuore. Tutti siamo peccatori, tutti. E un po’ di esame di coscienza, un po’ di sguardo interiore ci farà bene. Altrimenti rischiamo di vivere nelle tenebre, perché ormai ci siamo assuefatti al buio e non sappiamo più distinguere il bene dal male. Isacco di Ninive diceva che nella Chiesa chi conosce i propri peccati e li piange è più grande di chi risuscita un morto. Tutti dobbiamo chiedere a Dio la grazia di riconoscerci poveri peccatori, bisognosi di conversione, conservando nel cuore la fiducia che nessun peccato è troppo grande per l’infinita misericordia di Dio Padre. Questa è la lezione inaugurale che Gesù ci regala.

Lo vediamo nelle prime pagine dei Vangeli, anzitutto quando ci viene raccontato il battesimo del Messia nelle acque del fiume Giordano. L’episodio ha in sé qualcosa di sconcertante: perché Gesù si sottomette a un simile rito di purificazione? Lui è Dio, è perfetto! Di quale peccato deve mai pentirsi Gesù? Nessuno! Anche il Battista è scandalizzato, al punto che il testo dice: «Giovanni voleva impedirglielo, dicendo: “Io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me?”» (Mt 3,15). Ma Gesù è un Messia molto diverso da come Giovanni lo aveva presentato e la gente lo immaginava: Egli non incarna il Dio adirato e non convoca per il giudizio, ma, al contrario, si mette in coda con i peccatori. Come mai? Sì, Gesù ci accompagna, tutti noi peccatori. Lui non è peccatore, ma è fra noi. E questa è una cosa bella. “Padre, ho tanti peccati!” – “Ma Gesù è con te: parlane, Lui ti aiuterà a uscirne”. Gesù mai ci lascia da soli, mai! Pensate bene questo. “Oh, Padre, io ne ho fatte delle grosse!” – “Ma Gesù ti capisce e ti accompagna: capisce il tuo peccato e lo perdona”. Mai dimenticare questo! Nei momenti più brutti, nei momenti in cui scivoliamo sui peccati, Gesù è accanto a noi per aiutarci a sollevarci. Questo dà consolazione. Non dobbiamo perdere questa certezza: Gesù è accanto a noi per aiutarci, per proteggerci, anche per rialzarci dopo il peccato. “Ma, Padre, è vero che Gesù perdona tutto?” – “Tutto. Lui è venuto per perdonare, per salvare. Soltanto, Gesù vuole il tuo cuore aperto”. Mai Lui si dimentica di perdonare: siamo noi, tante volte, che perdiamo la capacità di chiedere perdono. Riprendiamo questa capacità di chiedere perdono. Ognuno di noi ha tante cose per cui chiedere perdono: ognuno la pensi dentro di sé, e oggi ne parli con Gesù. Parli con Gesù su questo: “Signore, io non so se questo è vero o no, ma io sono certo che Tu non ti allontani da me. Sono certo che Tu mi perdoni. Signore, io sono peccatore, peccatrice, ma per favore non allontanarti”. Questa sarebbe oggi una bella preghiera a Gesù: “Signore, non allontanarti da me”.

E subito dopo l’episodio del battesimo, i Vangeli raccontano che Gesù si ritira nel deserto, dove viene tentato da Satana. Anche in questo caso ci si chiede: per quale ragione il Figlio di Dio deve conoscere la tentazione? Anche in questo caso, Gesù si mostra solidale con la nostra fragile natura umana e diventa il nostro grande exemplum: le tentazioni che attraversa e che vince tra le pietre aride del deserto sono la prima istruzione che consegna alla nostra vita di discepoli. Egli ha sperimentato ciò che anche noi dobbiamo sempre prepararci ad affrontare: la vita è fatta di sfide, di prove, di bivi, di visioni che si contrappongono, di seduzioni nascoste, di voci contraddittorie. Qualche voce è perfino suadente, tant’è vero che Satana tenta Gesù facendo ricorso alle parole della Scrittura. Bisogna custodire la lucidità interiore per scegliere la strada che ci conduce davvero alla felicità, e poi impegnarsi per non fermarsi lungo il cammino.

Ricordiamoci che siamo sempre combattuti tra estremi opposti: la superbia sfida l’umiltà; l’odio contrasta la carità; la tristezza osteggia la vera gioia dello Spirito; l’indurimento del cuore respinge la misericordia. I cristiani camminano di continuo su questi crinali. Perciò è importante riflettere sui vizi e sulle virtù: ci aiuta a vincere la cultura nichilista in cui i contorni tra il bene e il male rimangono sfumati e, al contempo, ci ricorda che l’essere umano, a differenza di ogni altra creatura, può sempre trascendere sé stesso, aprendosi a Dio e camminando verso la santità.

Il combattimento spirituale, allora, ci conduce a guardare da vicino quei vizi che ci incatenano e a camminare, con la grazia di Dio, verso quelle virtù che possono fiorire in noi, portando la primavera dello Spirito nella nostra vita.

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Saluti

Je salue cordialement les pèlerins de langue française. Je souhaite à chacun de vous et aux personnes qui vous sont chères une heureuse année riche de la présence du Seigneur Jésus, afin de mener une vie belle et bonne sous le regard de Dieu. Que Dieu vous bénisse.

[Porgo i miei più cordiali saluti ai pellegrini di lingua francese. Auguro a ciascuno di voi e ai vostri cari un felice anno nuovo, ricco della presenza del Signore Gesù per condurre una vita buona e bella al cospetto di Dio. Dio vi benedica.]

[Saluto cordialmente i pellegrini polacchi. Fratelli e sorelle, alla soglia di un nuovo anno, doniamo la nostra vita a Dio. Preghiamo che ci conceda un cuore sensibile alle necessità dei poveri, rifugiati e vittime della guerra. Per intercessione di Maria, Madre di Dio, chiedo al Signore il dono della pace, e vi benedico di cuore!]

* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. Con particolare affetto saluto i cresimandi e gli adolescenti della diocesi di Latina – ecco il Vescovo, lì –: cari ragazzi, come Maria, sappiate custodire, meditare e seguire il Verbo che a Betlemme si è fatto carne, per diffonderne tra i vostri amici e compagni il messaggio di bontà e di pace. Avete capito bene?

Saluto i sacerdoti di Modena che ricordano il 40° di ordinazione, incoraggiandoli a perseverare nel cammino di fedeltà al Signore.

Un pensiero speciale va poi ai vari gruppi parrocchiali, in particolare al Comitato festa della Madonna della Libera, di Pratola Peligna e ai fedeli di Vieste e Osteria Nuova.

E non dimentichiamo i popoli che sono in guerra. La guerra è una pazzia, sempre la guerra è una sconfitta! Preghiamo. Preghiamo per la gente in Palestina, in Israele, in Ucraina e in tanti altri posti dove c’è la guerra. E non dimentichiamo i nostri fratelli Rohingya, che sono perseguitati.

Mi rivolgo infine ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli: tutti esorto a proseguire nella fedele adesione a Cristo Gesù e nel generoso sostegno alla diffusione del suo Vangelo.

A tutti voi la mia Benedizione! Grazie.



UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 10 gennaio 2024

[Multimedia]

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Il testo qui di seguito include anche parti non lette che sono date ugualmente come pronunciate:
 

Catechesi. I vizi e le virtù. 3. La gola

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

In questo nostro cammino di catechesi che stiamo facendo sui vizi e le virtù, oggi ci soffermiamo sul vizio della gola.

Cosa ci dice il Vangelo a questo riguardo? Guardiamo a Gesù. Il suo primo miracolo, alle nozze di Cana, rivela la sua simpatia nei confronti delle gioie umane: Egli si preoccupa che la festa finisca bene e regala agli sposi una gran quantità di vino buonissimo. In tutto il suo ministero Gesù appare come un profeta molto diverso dal Battista: se Giovanni è ricordato per la sua ascesi – mangiava quello che trovava nel deserto –, Gesù è invece il Messia che spesso vediamo a tavola. Il suo comportamento suscita scandalo in alcuni, perché non solo Egli è benevolo verso i peccatori, ma addirittura mangia con loro; e questo gesto dimostrava la sua volontà di comunione e vicinanza con tutti.

Ma c’è anche dell’altro. Mentre l’atteggiamento di Gesù nei confronti dei precetti ebraici ci rivela la sua piena sottomissione alla Legge, Egli però si dimostra comprensivo con i suoi discepoli: quando questi vengono colti in fallo, perché avendo fame colgono delle spighe di grano in giorno di sabato, Lui li giustifica, ricordando che anche il re Davide e i suoi compagni, trovandosi nel bisogno, avevano mangiato dei pani sacri (cfr Mc 2,23-26). E Gesù afferma un nuovo principio: gli invitati a nozze non possono digiunare quando lo sposo è con loro; digiuneranno quando lo sposo verrà loro tolto. Ormai tutto è relativo a Gesù. Quando Lui è in mezzo a noi, non possiamo essere in lutto; ma nell’ora della sua passione, allora sì, digiuniamo (cfr Mc 2,18-20). Gesù vuole che siamo nella gioia in sua compagnia – Lui è lo Sposo della Chiesa –; ma vuole anche che partecipiamo alle sue sofferenze, che sono anche le sofferenze dei piccoli e dei poveri.

Un altro aspetto importante. Gesù fa cadere la distinzione tra cibi puri e cibi impuri, che era una distinzione fatta dalla legge ebraica. In realtà – insegna Gesù – non è ciò che entra nell’uomo a contaminarlo, ma ciò che esce dal suo cuore. E così dicendo «rendeva puri tutti gli alimenti» (Mc 7,19). Per questo il cristianesimo non contempla cibi impuri. Ma l’attenzione che dobbiamo avere è quella interiore: dunque non sul cibo in sé, ma sulla nostra relazione con esso. E Gesù su questo dice chiaramente che quello che fa la bontà o la cattiveria, diciamo così, di un cibo, non è il cibo in sé ma la relazione che noi abbiamo con esso. E noi lo vediamo, quando una persona ha una relazione non ordinata con il cibo, guardiamo come mangia, mangia di fretta, come con la voglia di saziarsi e mai si sazia, non ha un rapporto buono con il cibo, è schiavo del cibo.

Questo rapporto sereno che Gesù ha stabilito nei confronti dell’alimentazione dovrebbe essere riscoperto e valorizzato, specialmente nelle società del cosiddetto benessere, dove si manifestano tanti squilibri e tante patologie. Si mangia troppo, oppure troppo poco. Spesso si mangia nella solitudine. Si diffondono i disturbi dell’alimentazione: anoressia, bulimia, obesità… E la medicina e la psicologia cercano di affrontare la cattiva relazione con il cibo. Una cattiva relazione con il cibo produce tutte queste malattie.

Si tratta di malattie, spesso dolorosissime, che per lo più sono legate ai tormenti della psiche e dell’anima. L’alimentazione è la manifestazione di qualcosa di interiore: la predisposizione all’equilibrio o la smodatezza; la capacità di ringraziare oppure l’arrogante pretesa di autonomia; l’empatia di chi sa condividere il cibo con il bisognoso, oppure l’egoismo di chi accumula tutto per sé. Questa domanda è tanto importante: dimmi come mangi, e ti dirò che anima possiedi. Nel modo di mangiare si rivela la nostra interiorità, le nostre abitudini, i nostri atteggiamenti psichici.

Gli antichi Padri chiamavano il vizio della gola con il nome di “gastrimargia”, termine che si può tradurre con “follia del ventre”. La gola è una “follia del ventre”. E c’è anche questo proverbio: che noi dobbiamo mangiare per vivere, non vivere per mangiare. La gola è un vizio che si innesta proprio in una nostra necessità vitale, come l’alimentazione. Stiamo attenti a questo.

Se lo leggiamo da un punto di vista sociale, la gola è forse il vizio più pericoloso, che sta uccidendo il pianeta. Perché il peccato di chi cede davanti ad una fetta di torta, tutto sommato non provoca grandi danni, ma la voracità con cui ci siamo scatenati, da qualche secolo a questa parte, verso i beni del pianeta sta compromettendo il futuro di tutti. Ci siamo avventati su tutto, per diventare padroni di ogni cosa, mentre ogni cosa era stata consegnata alla nostra custodia, non al nostro sfruttamento! Ecco dunque il grande peccato, la furia del ventre: abbiamo abiurato il nome di uomini, per assumerne un altro, “consumatori”. E oggi si dice così nella vita sociale: i “consumatori”. Non ci siamo nemmeno accorti che qualcuno ha cominciato a chiamarci così. Siamo fatti per essere uomini e donne “eucaristici”, capaci di ringraziamento, discreti nell’uso della terra, e invece il pericolo è di trasformarsi in predatori, e adesso ci stiamo rendendo conto che questa forma di “gola” ha fatto molto male al mondo. Chiediamo al Signore che ci aiuti nella strada della sobrietà, e che le varie forme di gola non si impadroniscano della nostra vita.

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Saluti

[Saluto cordialmente i polacchi. All'inizio del nuovo anno, è importante ricordare che la pace, tanto voluta da tutti, nasce nel cuore dell'uomo. Maria, Regina della Pace, vi sostenga affinché i vostri progetti e le vostre decisioni nascano dal desiderio di bene per voi stessi, per le vostre famiglie, per la vostra Patria e per il mondo intero. Vi benedico di cuore.]

* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto i fedeli di Terracina, quelli di Canosa di Puglia e gli studenti di Frosinone.

Il mio pensiero va infine ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli - sono tanti! -: tutti invito ad operare sempre nella novità di vita che ci indica il Figlio di Dio, incarnatosi per salvare l’uomo.

Rinnoviamo la nostra vicinanza con la preghiera alla cara popolazione Ucraina così provata e a quanti soffrono l’orrore della guerra in Palestina e Israele, come pure in altre parti del mondo. Preghiamo, preghiamo per questa gente che è sotto la guerra e preghiamo il Signore perché semini nel cuore delle Autorità dei Paesi il seme della pace.

A tutti la mia Benedizione!

 
 

UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 17 gennaio 2024

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Il testo qui di seguito include anche parti non lette che sono date ugualmente come pronunciate.

Catechesi. I vizi e le virtù. 4. La lussuria 

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi ascoltiamo bene la catechesi perché dopo avremo il circo che farà qualche cosa qui per divertirci.

Proseguiamo il nostro itinerario sui vizi e le virtù; e gli antichi Padri ci insegnano che, dopo la gola, il secondo “demone” , cioè vizio, che sta sempre accovacciato alla porta del cuore è quello della lussuria. Mentre la gola è la voracità nei confronti del cibo, questo secondo vizio è una sorta di “voracità” verso un’altra persona, cioè il legame avvelenato che gli esseri umani intrattengono tra di loro, specialmente nella sfera della sessualità.

Si badi bene: nel cristianesimo non c’è una condanna dell’istinto sessuale. Un libro della Bibbia, il Cantico dei Cantici, è uno stupendo poema d’amore tra due fidanzati. Tuttavia, questa dimensione così bella della nostra umanità, la dimensione sessuale, la dimensione dell’amore, non è esente da pericoli, tanto che già San Paolo deve affrontare la questione nella prima Lettera ai Corinzi. Scrive così: «Si sente da per tutto parlare di immoralità tra voi, e di una immoralità tale che non si riscontra neanche tra i pagani” (5,1). Il rimprovero dell’Apostolo riguarda proprio una gestione malsana della sessualità da parte di alcuni cristiani.

Ma guardiamo all’esperienza umana, all’esperienza dell’innamoramento. Qui ci sono tanti sposi novelli, voi potete parlare di questo! Perché questo mistero accada, e perché sia un’esperienza così sconvolgente nella vita delle persone, nessuno di noi lo sa. Una persona si innamora di un’altra, l’innamoramento viene. È una delle realtà più sorprendenti dell’esistenza. Buona parte delle canzoni che si ascoltano alla radio riguardano questo: amori che si illuminano, amori sempre ricercati e mai raggiunti, amori carichi di gioia, o che tormentano fino alle lacrime.

Se non viene inquinato dal vizio, l’innamoramento è uno dei sentimenti più puri. Una persona innamorata diventa generosa, gode nel fare regali, scrive lettere e poesie. Smette di pensare a sé stessa per essere completamente proiettata verso l’altro, è bello questo. E se chiedete a un innamorato: “per quale motivo tu ami?”, non troverà una risposta: per tanti versi il suo è un amore incondizionato, senza nessuna ragione. Pazienza se quell’amore, tanto potente, è anche un po’ ingenuo: l’innamorato non conosce veramente il volto dell’altro, tende a idealizzarlo, è pronto a pronunciare promesse di cui non coglie subito il peso. Questo “giardino” dove si moltiplicano meraviglie non è però al riparo del male. Esso viene deturpato dal demone della lussuria, e questo vizio è particolarmente odioso, almeno per due motivi.

Anzitutto perché devasta le relazioni tra le persone. Per documentare una realtà del genere è sufficiente purtroppo la cronaca di tutti giorni. Quante relazioni iniziate nel migliore dei modi si sono poi mutate in relazioni tossiche, di possesso dell’altro, prive di rispetto e del senso del limite? Sono amori in cui è mancata la castità: virtù che non va confusa con l’astinenza sessuale – la castità è più che l’astinenza sessuale –, bensì va connessa con la volontà di non possedere mai l’altro. Amare è rispettare l’altro, ricercare la sua felicità, coltivare empatia per i suoi sentimenti, disporsi nella conoscenza di un corpo, di una psicologia e di un’anima che non sono i nostri, e che devono essere contemplati per la bellezza di cui sono portatori. Amare è questo, e l’amore è bello.
La lussuria, invece, si fa beffe di tutto questo: la lussuria depreda, rapina, consuma in tutta fretta, non vuole ascoltare l’altro ma solo il proprio bisogno e il proprio piacere; la lussuria giudica una noia ogni corteggiamento, non cerca quella sintesi tra ragione, pulsione e sentimento che ci aiuterebbe a condurre l’esistenza con saggezza. Il lussurioso cerca solo scorciatoie: non capisce che la strada dell’amore va percorsa con lentezza, e questa pazienza, lungi dall’essere sinonimo di noia, permette di rendere felici i nostri rapporti amorosi.

Ma c’è una seconda ragione per cui la lussuria è un vizio pericoloso. Tra tutti i piaceri dell’uomo, la sessualità ha una voce potente. Coinvolge tutti i sensi, dimora sia nel corpo che nella psiche, e questo è bellissimo, ma se non è disciplinata con pazienza, se non è inscritta in una relazione e in una storia dove due individui la trasformano in una danza amorosa, essa si muta in una catena che priva l’uomo di libertà. Il piacere sessuale, che è un dono di Dio, è minato dalla pornografia: soddisfacimento senza relazione che può generare forme di dipendenza. Dobbiamo difendere l’amore, l’amore del cuore, della mente, del corpo, amore puro nel donarsi uno all’altro. E questa è la bellezza del rapporto sessuale.

Vincere la battaglia contro la lussuria, contro la “cosificazione” dell’altro, può essere un’impresa che dura tutta una vita. Però il premio di questa battaglia è il più importante in assoluto, perché si tratta di preservare quella bellezza che Dio ha scritto nella sua creazione quando ha immaginato l’amore tra l’uomo e la donna, che non è per usarsi l’un l’altro, ma per amarsi. Quella bellezza che ci fa credere che costruire una storia insieme è meglio che andare a caccia di avventure – ci sono tanti don Giovanni! –, coltivare tenerezza è meglio che piegarsi al demone del possesso – il vero amore non possiede, si dona –, servire è meglio che conquistare. Perché se non c’è l’amore, la vita è triste, è triste solitudine. Grazie.

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Saluti

[Saluto cordialmente i polacchi. La catechesi di oggi è un incoraggiamento ad affrontare la lussuria. La lotta contro questo vizio può durare tutta la vita, la ricompensa però è incomparabile: il perseverare quella bellezza che Dio ha scritto nella sua creazione, quando ha immaginato l’amore tra l’uomo e la donna. Vi aiutino in questo l'intercessione e l'insegnamento di San Giovanni Paolo II, che con grande devozione educava i giovani all'amore maturo. Vi benedico di cuore.]

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APPELLO

Esprimo la mia vicinanza e solidarietà alle vittime, tutte civili, dell’attacco missilistico che ha colpito una zona urbana di Erbil, capitale della Regione Autonoma del Kurdistan Iracheno. Le buone relazioni tra vicini non si costruiscono con simili azioni, ma con il dialogo e la collaborazione. A tutti chiedo di evitare ogni passo che aumenti la tensione in Medio Oriente e negli altri scenari di guerra.

 * * *

Domani inizia la Settimana di preghiera per l’Unità dei cristiani, che quest’anno ha per tema: «Ama il Signore Dio tuo… e ama il prossimo come te stesso» (cfr. Lc 10,27). Vi invito a pregare, affinché i cristiani raggiungano la piena comunione e rendano una unanime testimonianza di amore verso tutti, specialmente verso i più fragili.

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto i fedeli di Bellizzi, il gruppo FederCasa, l’Istituto Pio IX-La Salle di Roma e la Scuola Highlands Institute di Roma.

Il mio pensiero va infine ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli. Oggi la liturgia fa memoria di Sant'Antonio Abate, uno dei padri fondatori del monachesimo. Il suo esempio vi incoraggi ad accogliere il Vangelo senza compromessi.

E non dimentichiamo i Paesi che sono in guerra, non dimentichiamo l’Ucraina, non dimentichiamo la Palestina, Israele, non dimentichiamo gli abitanti della Striscia di Gaza che soffrono tanto. Preghiamo per tante vittime della guerra, tante vittime. La guerra distrugge sempre, la guerra non semina amore, semina odio. La guerra è una vera sconfitta umana. Preghiamo per la gente che soffre nella guerra.

A tutti la mia Benedizione! 



[Modificato da Caterina63 17/01/2024 15:59]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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24/01/2024 12:31
 
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UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledi, 24 Gennaio 2024

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Il testo qui di seguito include anche parti non lette che sono date ugualmente come pronunciate.

Catechesi. I vizi e le virtù. 5. L’avarizia

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Proseguiamo le catechesi sui vizi e le virtù e oggi parliamo dell’avarizia, cioè di quella forma di attaccamento al denaro che impedisce all’uomo la generosità.

Non è un peccato che riguarda solo le persone che possiedono ingenti patrimoni, ma un vizio trasversale, che spesso non ha nulla a che vedere con il saldo del conto corrente. È una malattia del cuore, non del portafogli.

Le analisi che i padri del deserto compirono su questo male misero in luce come l’avarizia potesse impadronirsi anche di monaci i quali, dopo aver rinunciato a enormi eredità, nella solitudine della loro cella si erano attaccati ad oggetti di poco valore: non li prestavano, non li condividevano e men che meno erano disposti a regalarli. Un attaccamento a piccole cose, che toglie la libertà. Quegli oggetti diventavano per loro una sorta di feticcio da cui era impossibile staccarsi. Una specie di regressione allo stadio dei bambini che stringono il giocattolo ripetendo: “È mio! È mio!”. In questa rivendicazione si annida un rapporto malato con la realtà, che può sfociare in forme di accaparramento compulsivo o di accumulo patologico.

Per guarire da questa malattia i monaci proponevano un metodo drastico, eppure efficacissimo: la meditazione della morte. Per quanto una persona accumuli beni in questo mondo, di una cosa siamo assolutamente certi: che nella bara essi non ci entreranno. I beni non possiamo portarli con noi! Ecco svelata l’insensatezza di questo vizio. Il legame di possesso che costruiamo con le cose è solo apparente, perché non siamo noi i padroni del mondo: questa terra che amiamo, in verità non è nostra, e noi ci muoviamo su di essa come forestieri e pellegrini (cfr Lv 25,23).

Queste semplici considerazioni ci fanno intuire la follia dell’avarizia, ma anche la sua ragione più recondita. Essa è un tentativo di esorcizzare la paura della morte: cerca sicurezze che in realtà si sbriciolano nel momento stesso in cui le impugniamo. Ricordate la parabola di quell’uomo stolto, la cui campagna aveva offerto una mietitura abbondantissima, e allora si culla nei pensieri su come allargare i suoi magazzini per metterci tutto il raccolto. Quell’uomo aveva calcolato tutto, programmato il futuro. Non aveva però considerato la variabile più sicura della vita: la morte. «Stolto – dice il Vangelo –, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?» (Lc 12,20).

In altri casi, sono i ladri a renderci questo servizio. Anche nei Vangeli essi hanno un buon numero di apparizioni e, sebbene il loro operato sia censurabile, esso può diventare un ammonimento salutare. Così predica Gesù nel discorso della montagna: «Non accumulatevi tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano; accumulatevi invece tesori nel cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove ladri non scassinano e non rubano» (Mt 6,19-20). Sempre nei racconti dei padri del deserto si narra la vicenda di qualche ladro che sorprende nel sonno il monaco, e gli ruba i pochi beni che custodiva nella cella. Al risveglio, per nulla turbato dall’accaduto, il monaco si mette sulle tracce del ladro e, una volta trovatolo, anziché reclamare la refurtiva, gli consegna le poche cose rimaste dicendo: “Hai dimenticato di prendere queste!”.

Noi, fratelli e sorelle, possiamo essere signori dei beni che possediamo, ma spesso accade il contrario: sono loro alla fine a possederci. Alcuni uomini ricchi non sono più liberi, non hanno più nemmeno il tempo di riposare, devono guardarsi alle spalle perché l’accumulo dei beni esige anche la loro custodia. Sono sempre in ansia perché un patrimonio si costruisce con tanto sudore, ma può sparire in un attimo. Dimenticano la predicazione evangelica, la quale non sostiene che le ricchezze in sé stesse siano un peccato, ma di certo sono una responsabilità. Dio non è povero: è il Signore di tutto, però – scrive san Paolo – «da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà» (2 Cor 8,9).

È ciò che l’avaro non capisce. Poteva essere motivo di benedizione per molti, e invece si è infilato nel vicolo cieco dell’infelicità. E la vita dell’avaro è brutta. Ricordo il caso di un signore che ho conosciuto nell’altra diocesi, un uomo ricchissimo, e aveva la mamma ammalata. Lui era sposato. I fratelli si davano il turno per accudire la mamma, e la mamma prendeva uno yogurt, al mattino. Questo signore le dava la metà al mattino per darle l’altra metà al pomeriggio e risparmiare mezzo yogurt. Così è l’avarizia, così è l’attaccamento ai beni. Poi questo signore è morto, e i commenti delle persone che sono andate alla veglia era questo: “Ma, si vede che quest’uomo non ha niente addosso, ha lasciato tutto”. E poi, facendo un po’ di beffa, dicevano: “No, no, non potevano chiudere la bara perché voleva portare tutto con sé”. Questo, dell’avarizia, fa ridere gli altri: che alla fine dobbiamo dare il nostro corpo e la nostra anima al Signore e dobbiamo lasciare tutto. Stiamo attenti! E siamo generosi, generosi con tutti e generosi con coloro che hanno più bisogno di noi. Grazie. 

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Saluti

APPELLI

Sabato prossimo, 27 gennaio, si celebra la Giornata internazionale di commemorazione delle vittime dell’Olocausto. Il ricordo e la condanna di quell’orribile sterminio di milioni di persone ebree e di altre fedi, avvenuto nella prima metà del secolo scorso, aiuti tutti a non dimenticare che le logiche dell’odio e della violenza non si possono mai giustificare, perché negano la nostra stessa umanità.

* * *

La guerra stessa è una negazione dell’umanità. Non stanchiamoci di pregare per la pace, perché cessino i conflitti, perché si arrestino le armi e si soccorrano le popolazioni stremate. Penso al Medio Oriente, alla Palestina, a Israele, penso e alle notizie inquietanti che provengono dalla martoriata Ucraina, soprattutto per i bombardamenti che colpiscono luoghi frequentati da civili, seminando morte, distruzione e sofferenza. Prego per le vittime e per i loro cari, e imploro tutti, specialmente chi ha responsabilità politica, a custodire la vita umana mettendo fine alle guerre. Non dimentichiamo: la guerra sempre è una sconfitta, sempre. Solo “vincono” – tra virgolette – i fabbricanti di armi.

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Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto i Frati Cappuccini formatori dell’area Europea, le Suore Orsoline dell’Unione Romana e l’Associazione Opera di San Michele Arcangelo di Petralia.

Il mio pensiero va infine ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli. Celebriamo oggi la memoria liturgica di San Francesco di Sales, maestro di vita spirituale: egli ha insegnato che la perfezione cristiana è accessibile a ogni persona, qualunque sia il suo stato di vita e la sua condizione sociale. Possiate anche voi vivere le condizioni in cui vi trovate come vie di santità, da percorrere con fiducia nell’amore di Dio.

A tutti la mia Benedizione!


UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledi, 31 gennaio 2024

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Il testo qui di seguito include anche parti non lette che sono date ugualmente come pronunciate.

Catechesi. I vizi e le virtù. 6. L'ira

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

In queste settimane stiamo trattando il tema dei vizi e delle virtù, e oggi ci soffermiamo a riflettere sul vizio dell’ira. È un vizio particolarmente tenebroso, ed è forse il più semplice da individuare da un punto di vista fisico. La persona dominata dall’ira difficilmente riesce a nascondere questo impeto: lo riconosci dalle mosse del suo corpo, dall’aggressività, dal respiro affannoso, dallo sguardo torvo e corrucciato.

Nella sua manifestazione più acuta l’ira è un vizio che non lascia tregua. Se nasce da un’ingiustizia patita (o ritenuta tale), spesso non si scatena contro il colpevole, ma contro il primo malcapitato. Ci sono uomini che trattengono l’ira sul posto di lavoro, dimostrandosi calmi e compassati, ma che una volta a casa diventano insopportabili per la moglie e i figli. L’ira è un vizio dilagante: è capace di togliere il sonno e di farci macchinare in continuazione nella mente, senza riuscire a trovare uno sbarramento ai ragionamenti e ai pensieri.

L’ira è un vizio distruttivo dei rapporti umani. Esprime l’incapacità di accettare la diversità dell’altro, specialmente quando le sue scelte di vita divergono dalle nostre. Non si arresta ai comportamenti sbagliati di una persona, ma getta tutto nel calderone: è l’altro, l’altro così com’è, l’altro in quanto tale a provocare la rabbia e il risentimento. Si comincia a detestare il tono della sua voce, i banali gesti quotidiani, i suoi modi di ragionare e di sentire.

Quando la relazione arriva a questo livello di degenerazione, ormai si è smarrita la lucidità. L’ira fa perdere la lucidità. Perché una delle caratteristiche dell’ira, a volte, è quella di non riuscire a mitigarsi con il tempo. In quei casi, anche la distanza e il silenzio, anziché quietare il peso degli equivoci, lo ingigantiscono. È per questo motivo che l’apostolo Paolo – come abbiamo ascoltato – raccomanda ai suoi cristiani di affrontare subito il problema e di tentare la riconciliazione: «Non tramonti il sole sopra la vostra ira» (Ef 4,26). È importante che tutto si sciolga subito, prima del tramonto del sole. Se durante il giorno può nascere qualche equivoco, e due persone possono non comprendersi più, percependosi improvvisamente lontane, la notte non va consegnata al diavolo. Il vizio ci terrebbe svegli al buio, a rimuginare le nostre ragioni e gli sbagli inqualificabili che non sono mai nostri e sempre dell’altro. È così: quando una persona è dominata dall’ira, sempre dice che il problema è dell’altro; mai è capace di riconoscere i propri difetti, le proprie mancanze.

Nel “Padre nostro” Gesù ci fa pregare per le nostre relazioni umane che sono un terreno minato: un piano che non sta mai in equilibrio perfetto. Nella vita abbiamo a che fare con debitori che sono inadempienti nei nostri confronti; come certamente anche noi non abbiamo sempre amato tutti nella giusta misura. A qualcuno non abbiamo restituito l’amore che gli spettava. Siamo tutti peccatori, tutti, e tutti abbiamo i conti in rosso: non dimenticare questo! Perciò tutti abbiamo bisogno di imparare a perdonare per essere perdonati. Gli uomini non stanno insieme se non si esercitano anche nell’arte del perdono, per quanto questo sia umanamente possibile. Ciò che contrasta l’ira è la benevolenza, la larghezza di cuore, la mansuetudine, la pazienza.

Ma, a proposito dell’ira, c’è da dire un’ultima cosa. È un vizio terribile, si diceva, sta all’origine di guerre e di violenze. Il proemio dell’Iliade descrive “l’ira di Achille”, che sarà causa di “infiniti lutti”. Ma non tutto ciò che nasce dall’ira è sbagliato. Gli antichi erano ben consapevoli che in noi sussiste una parte irascibile che non può e non deve essere negata. Le passioni in qualche misura sono inconsapevoli: capitano, sono esperienze della vita. Non siamo responsabili dell’ira nel suo sorgere, ma sempre nel suo sviluppo. E qualche volta è bene che l’ira si sfoghi nella giusta maniera. Se una persona non si arrabbiasse mai, se non si indignasse davanti a un’ingiustizia, se davanti all’oppressione di un debole non sentisse fremere qualcosa nelle sue viscere, allora vorrebbe dire che quella persona non è umana, e tantomeno cristiana.

Esiste una santa indignazione, che non è l’ira ma un movimento interiore, una santa indignazione. Gesù l’ha conosciuta diverse volte nella sua vita (cfr Mc 3,5): non ha mai risposto al male con il male, ma nel suo animo ha provato questo sentimento e, nel caso dei mercanti nel Tempio, ha compiuto un’azione forte e profetica, dettata non dall’ira, ma dallo zelo per la casa del Signore (cfr Mt 21,12-13). Dobbiamo distinguere bene: una cosa è lo zelo, la santa indignazione, un’altra cosa è l’ira, che è cattiva.

Sta a noi, con l’aiuto dello Spirito Santo, trovare la giusta misura delle passioni, educarle bene, perché si volgano al bene e non al male. Grazie.

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Saluti

Domani, in Italia, si celebra la Giornata Nazionale Vittime Civili di Guerra. Al ricordo orante per quanti sono deceduti nei due conflitti mondiali, associamo anche i tanti – troppi – civili, vittime inermi delle guerre che purtroppo insanguinano ancora il nostro pianeta, come accade in Medio Oriente e in Ucraina. Il loro grido di dolore possa toccare i cuori dei responsabili delle Nazioni e suscitare progetti di pace. Quando si leggono storie di questi giorni, nella guerra, c’è tanta crudeltà, tanta! Chiediamo al Signore la pace, che è sempre mite, non è crudele.

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto i sacerdoti che partecipano al corso di formazione promosso dalla Pontificia Università della santa Croce, i fedeli della parrocchia Cristo Divino Lavoratore di Ancona, gli alunni dell’Istituto Caetani di Cisterna di Latina, la banda musicale di Villa Santo Stefano.

Il mio pensiero va infine ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli. Invoco su di voi la protezione di San Giovanni Bosco, che oggi la Chiesa ricorda, affinché possa rendere feconda la vocazione di ciascuno nella Chiesa e nel mondo. A tutti la mia Benedizione!



UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledi, 7 febbraio 2024

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Il testo qui di seguito include anche parti non lette che sono date ugualmente come pronunciate.

 

Catechesi. I vizi e le virtù. 7. La tristezza

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Nel nostro itinerario di catechesi sui vizi e le virtù, oggi ci soffermiamo su un vizio piuttosto brutto, la tristezza, intesa come un abbattimento dell’animo, un’afflizione costante che impedisce all’uomo di provare gioia per la propria esistenza.

Anzitutto bisogna notare che, a proposito della tristezza, i Padri avevano elaborato un’importante distinzione. Vi è infatti una tristezza che conviene alla vita cristiana e che con la grazia di Dio si muta in gioia: questa, ovviamente, non va respinta e fa parte del cammino di conversione. Ma vi è anche una seconda figura di tristezza che si insinua nell’anima e che la prostra in uno stato di abbattimento: è questo secondo genere di tristezza che deve essere combattuto risolutamente e con tutta forza, perché essa viene dal Maligno. Questa distinzione la troviamo anche in San Paolo, che scrivendo ai Corinzi dice così: «La tristezza secondo Dio produce un pentimento irrevocabile che porta alla salvezza, mentre la tristezza del mondo produce la morte» (2 Cor 7,10).

C’è dunque una tristezza amica, che ci porta alla salvezza. Pensiamo al figlio prodigo della parabola: quando tocca il fondo della sua degenerazione prova grande amarezza, e questa lo spinge a rientrare in sé stesso e a decidere di tornare a casa di suo padre (cfr Lc 15,11-20). È una grazia gemere sui propri peccati, ricordarsi dello stato di grazia da cui siamo decaduti, piangere perché abbiamo perduto la purezza in cui Dio ci ha sognati.

Ma c’è una seconda tristezza, che invece è una malattia dell’anima. Nasce nel cuore dell’uomo quando svanisce un desiderio o una speranza. Qui possiamo fare riferimento al racconto dei discepoli di Emmaus. Quei due discepoli se ne vanno da Gerusalemme con il cuore deluso, e allo sconosciuto che a un certo punto li affianca confidano: «Noi speravamo che fosse lui – cioè Gesù – a liberare Israele» (Lc 24,21). La dinamica della tristezza è legata all’esperienza della perdita. Nel cuore dell’uomo nascono speranze che vengono a volte deluse. Può essere il desiderio di possedere una cosa che invece non si riesce ad ottenere; ma anche qualcosa di importante, come una perdita affettiva.
Quando questo capita, è come se il cuore dell’uomo cadesse in un precipizio, e i sentimenti che prova sono scoraggiamento, debolezza di spirito, depressione, angoscia.
Tutti attraversiamo prove che generano in noi tristezza, perché la vita ci fa concepire sogni che poi vanno in frantumi. In questa situazione, qualcuno, dopo un tempo di turbamento, si affida alla speranza; ma altri si crogiolano nella malinconia, permettendo che essa incancrenisca il cuore. Si sente piacere in questo? Vedete: la tristezza è come il piacere del non piacere; è come prendere una caramella amara, senza zucchero, cattiva, e succhiare quella caramella. La tristezza è un piacere del non piacere.

Il monaco Evagrio racconta che tutti i vizi hanno di mira un piacere, per quanto effimero esso possa essere, mentre la tristezza gode del contrario: del cullarsi in un dolore senza fine. Certi lutti protratti, dove una persona continua ad allargare il vuoto di chi non c’è più, non sono propri della vita nello Spirito. Certe amarezze rancorose, per cui una persona ha sempre in mente una rivendicazione che le fa assumere le vesti della vittima, non producono in noi una vita sana, e tanto meno cristiana. C’è qualcosa nel passato di tutti che dev’essere guarito. La tristezza, da emozione naturale può trasformarsi in uno stato d’animo malvagio.

È un demone subdolo, quello della tristezza. I padri del deserto lo descrivevano come un verme del cuore, che erode e svuota chi l’ha ospitato. Questa immagine è bella, ci fa capire. E allora che cosa devo fare quando sono triste? Fermarti e vedere: questa è una tristezza buona? È una tristezza non buona? E reagire secondo la natura della tristezza. Non dimenticatevi che la tristezza può essere una cosa molto brutta che ci porta al pessimismo, ci porta a un egoismo che difficilmente guarisce.

Fratelli e sorelle, dobbiamo stare attenti a questa tristezza e pensare che Gesù ci porta la gioia della risurrezione. Per quanto la vita possa essere piena di contraddizioni, di desideri sconfitti, di sogni irrealizzati, di amicizie perdute, grazie alla risurrezione di Gesù possiamo credere che tutto sarà salvato. Gesù non è risorto solo per sé stesso, ma anche per noi, per riscattare tutte le felicità che nella nostra vita sono rimaste incompiute.
La fede scaccia la paura, e la risurrezione di Cristo rimuove la tristezza come la pietra dal sepolcro.
Ogni giorno del cristiano è un esercizio di risurrezione. Georges Bernanos, nel suo celebre romanzo Diario di un curato di campagna, così fa dire al parroco di Torcy: «La Chiesa dispone della gioia, di tutta quella gioia che è riservata a questo triste mondo. Ciò che avete fatto contro di lei, lo avete fatto contro la gioia». E un altro scrittore francese, León Bloy, ci ha lasciato quella stupenda frase: «Non c’è che una tristezza, […] quella di non essere santi». Che lo Spirito di Gesù risorto ci aiuti a vincere la tristezza con la santità.

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Saluti

[Saluto cordialmente i polacchi. Ognuno di voi porta nel cuore il desiderio di felicità, senso di sicurezza e di stima di sé. La fedeltà a Dio e ai suoi comandamenti e la cura di un cuore puro, aperto a Dio e agli altri, rafforzino la speranza e il coraggio d'animo nella vita personale, familiare e sociale. Vi benedico di cuore.]

* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto le Pie Discepole di Divin Maestro, che celebrano il Centenario di fondazione: possa questa ricorrenza essere uno stimolo per rinsaldare gli ideali religiosi e per esprimere in modo sempre più generoso la dedizione a Dio e ai fratelli. Saluto i sacerdoti, accompagnati dall’Arcivescovo Giovanni Tani, che ricordano il 25° di Ordinazione e auspico che il giubileo sacerdotale sia per ciascuno fonte di rinnovata dedizione a Cristo e alla Chiesa.

Accolgo con affetto i Seminaristi dei Padri di Schoenstatt, i fedeli di Casal di Principe, la Delegazione della Fiaccola benedettina e le Associazioni Spe Salvi e Insuperabile: a tutti auguro di saper crescere e operare, con l’aiuto del Signore, testimoniando la fraternità e la solidarietà.

E non dimentichiamo le guerre, non dimentichiamo la martoriata Ucraina, la Palestina, Israele, i Rohingya, tante, tante guerre che sono dappertutto. Preghiamo per la pace. La guerra sempre è una sconfitta, sempre. Preghiamo per la pace. Ci vuole la pace.

Il mio pensiero va infine ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli. La Vergine di Lourdes, che festeggeremo domenica prossima, vi accompagni con tenerezza materna nel vostro cammino. A tutti la mia Benedizione!


[Modificato da Caterina63 07/02/2024 23:46]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledi, 14 febbraio 2024

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Il testo qui di seguito include anche parti non lette che sono date ugualmente come pronunciate.

Catechesi. I vizi e le virtù. 8. L'accidia

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Tra tutti i vizi capitali ce n’è uno che spesso passa sotto silenzio, forse a motivo del suo nome che a molti risulta poco comprensibile: sto parlando dell’accidia. Per questo, nel catalogo dei vizi, il termine accidia viene spesso sostituito da un altro di uso molto più comune: la pigrizia. In realtà, la pigrizia è più un effetto che una causa. Quando una persona se ne sta inoperosa, indolente, apatica, noi diciamo che è pigra. Ma, come insegna la saggezza degli antichi padri del deserto, spesso la radice di questa pigrizia è l’accidia, che letteralmente dal greco significa “mancanza di cura”.

Si tratta di una tentazione molto pericolosa, con cui non bisogna scherzare. Chi ne cade vittima è come fosse schiacciato da un desiderio di morte: prova disgusto per tutto; il rapporto con Dio gli diventa noioso; e anche gli atti più santi, quelli che in passato gli avevano scaldato il cuore, gli appaiono ora del tutto inutili. Una persona comincia a rimpiangere il tempo che scorre, e la gioventù che è irreparabilmente alle spalle.

L’accidia è definita come il “demone del mezzogiorno”: ci coglie nel mezzo delle giornate, quando la fatica è al suo apice e le ore che ci stanno davanti ci appaiono monotone, impossibili da vivere. In una celebre descrizione il monaco Evagrio rappresenta così questa tentazione: «L’occhio dell’accidioso è continuamente fisso alle finestre, e nella sua mente fantastica sui visitatori […] Quando legge, l’accidioso sbadiglia spesso ed è facilmente vinto dal sonno, si stropiccia gli occhi, si sfrega le mani e, ritirando gli occhi dal libro, fissa il muro; poi di nuovo rivolgendoli al libro, legge ancora un poco […]; infine, chinata la testa, vi pone sotto il libro, si addormenta di un sonno leggero, finché la fame non lo risveglia e lo spinge a occuparsi dei suoi bisogni»; in conclusione, «l’accidioso non compie con sollecitudine l’opera di Dio» [1].

I lettori contemporanei intravedono in queste descrizioni qualcosa che ricorda molto il male della depressione, sia da un punto di vista psicologico che filosofico. Infatti, per chi è preso dall’accidia, la vita perde di significato, pregare risulta noioso, ogni battaglia appare priva di senso. Se anche in gioventù abbiamo nutrito passioni, adesso ci appaiono illogiche, sogni che non ci hanno reso felici. Così ci si lascia andare e la distrazione, il non pensare, appaiono come le uniche vie d’uscita: si vorrebbe essere storditi, avere la mente completamente vuota… È un po’ un morire in anticipo, ed è brutto.

Davanti a questo vizio, che ci accorgiamo essere tanto pericoloso, i maestri di spiritualità prevedono diversi rimedi. Vorrei segnalare quello che mi sembra il più importante e che chiamerei la pazienza della fede. Benché sotto la sferza dell’accidia il desiderio dell’uomo sia di essere “altrove”, di evadere dalla realtà, bisogna invece avere il coraggio di rimanere e di accogliere nel mio “qui e ora”, nella mia situazione così com’è, la presenza di Dio. I monaci dicono che per loro la cella è la miglior maestra di vita, perché è il luogo che concretamente e quotidianamente ti parla della tua storia d’amore con il Signore. Il demone dell’accidia vuole distruggere proprio questa gioia semplice del qui e ora, questo stupore grato della realtà; vuole farti credere che è tutto vano, che nulla ha senso, che non vale la pena di prendersi cura di niente e di nessuno. Nella vita incontriamo gente “accidiosa”, gente di cui diciamo: “Ma questo è noioso!” e non ci piace stare con lui; gente che ha pure un atteggiamento di noia che contagia. Ecco l’accidia.

Quanta gente, in preda all’accidia, mossa da un’inquietudine senza volto, ha stupidamente abbandonato la via di bene che aveva intrapreso! Quella dell’accidia è una battaglia decisiva, che bisogna vincere a tutti i costi. Ed è una battaglia che non ha risparmiato nemmeno i santi, perché in tanti loro diari c’è qualche pagina che confida momenti tremendi, di vere e proprie notti della fede, dove tutto appariva buio. Questi santi e queste sante ci insegnano ad attraversare la notte nella pazienza accettando la povertà della fede. Hanno raccomandato, sotto l’oppressione dell’accidia, di tenere una misura di impegno più piccola, di fissare traguardi più a portata di mano, ma nello stesso tempo di resistere e di perseverare appoggiandoci a Gesù, che mai abbandona nella tentazione.

La fede, tormentata dalla prova dell’accidia, non perde di valore. È anzi la vera fede, l’umanissima fede, che nonostante tutto, nonostante l’oscurità che la acceca, ancora umilmente crede. È quella fede che rimane nel cuore, come rimane la brace sotto la cenere. Sempre rimane. E se qualcuno di noi cade in questo vizio o in una tentazione di accidia, cerchi di guardarsi dentro e di custodire la brace della fede: così si va avanti.

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[1] Evagrio Pontico, Gli otto spiriti della malvagità, 14.

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Saluti

[Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua tedesca, in particolare ai chierichetti della Diocesi di Bolzano-Bressanone, accompagnati dal loro Vescovo Mons. Ivo Muser. Nella Quaresima che oggi iniziamo siamo chiamati a convertirci dai vizi per ritornare ad una vita in armonia con Dio e con i fratelli. La grazia del Signore ci accompagni in questo cammino!]

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana.

In particolare, agli studenti del Liceo Marconi di Pescara, dell’Istituto “Aldo Moro” di Sutri e della scuola “Gianna Beretta Molla” di Corbetta. Saluto con affetto i bambini ospiti dell’Istituto Nazionale Tumori di Milano, accompagnati dai familiari e dagli operatori sanitari. Accolgo con gratitudine i membri dell’Associazione “Motor Terapia” di Lecce, che aiutano le persone con diversa abilità motoria.

Tutti noi abbiamo letto, abbiamo sentito le storie dei primi martiri della Chiesa, che furono tanti. Qui, dove adesso sorge il Vaticano, c’è un cimitero e molti che erano stati giustiziati sono qui sepolti; scavando, se ne trovano le tombe. Ma anche oggi ci sono tanti martiri in tutto il mondo: tanti, forse più che agli inizi. Ci sono tanti perseguitati per la fede. E oggi mi permetto di salutare in modo speciale un “martire vivente”, il Cardinale Simoni. Lui, da prete, da Vescovo, ha vissuto 28 anni in carcere, nelle carceri dell’Albania comunista, la persecuzione forse più crudele. E continua a dare testimonianza. E come lui, tanti, tanti, tanti. Adesso ha 95 anni e continua a lavorare per la Chiesa senza scoraggiarsi. Caro fratello, ti ringrazio della testimonianza. Grazie.

Il mio pensiero infine è per i giovani, gli anziani, gli ammalati e gli sposi novelli. Oggi inizia la Quaresima, disponiamoci a percorrere questo tempo come occasione di conversione e di rinnovamento interiore nell’ascolto della Parola di Dio, nella cura dei fratelli che più necessitano. E non dimentichiamo mai la martoriata Ucraina, la Palestina e Israele che soffrono tanto. Preghiamo per questi fratelli e sorelle che soffrono a causa della guerra. Andiamo avanti nel processo di conversione, nell’ascolto della Parola di Dio, nella cura dei fratelli che necessitano e andiamo avanti nell’intensificare la preghiera, soprattutto per chiedere la pace nel mondo.

A tutti voi la mia benedizione!



UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledi, 28 febbraio 2024

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Il testo qui di seguito include anche parti non lette che sono date ugualmente come pronunciate.

Catechesi. I vizi e le virtù. 9. L’invidia e la vanagloria

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi prendiamo in esame due vizi capitali che troviamo nei grandi elenchi che la tradizione spirituale ci ha lasciato: l’invidia e la vanagloria.

Partiamo dall’invidia. Se leggiamo la Sacra Scrittura (cfr Gen 4), essa ci appare come uno dei vizi più antichi: l’odio di Caino nei confronti di Abele si scatena quando si accorge che i sacrifici del fratello sono graditi a Dio. Caino era il primogenito di Adamo ed Eva, si era preso la parte più cospicua dell’eredità paterna; eppure, basta che Abele, il fratello minore, riesca in una piccola impresa, che Caino si rabbuia. Il volto dell’invidioso è sempre triste: lo sguardo è basso, pare che indaghi in continuazione il suolo, ma in realtà non vede niente, perché la mente è avviluppata da pensieri pieni di cattiveria. L’invidia, se non viene controllata, porta all’odio dell’altro. Abele sarà ucciso per mano di Caino, che non poteva sopportare la felicità del fratello.

L’invidia è un male indagato non solo in ambito cristiano: essa ha attirato l’attenzione di filosofi e sapienti di ogni cultura. Alla sua base c’è un rapporto di odio e amore: si vuole il male dell’altro, ma segretamente si desidera essere come lui. L’altro è l’epifania di ciò che vorremmo essere, e che in realtà non siamo. La sua fortuna ci sembra un’ingiustizia: sicuramente – pensiamo – noi avremmo meritato molto di più i suoi successi o la sua buona sorte!

Alla radice di questo vizio c’è una falsa idea di Dio: non si accetta che Dio abbia la sua “matematica”, diversa dalla nostra. Ad esempio, nella parabola di Gesù sui lavoratori chiamati dal padrone ad andare nella vigna alle diverse ore del giorno, quelli della prima ora credono di aver diritto a un salario maggiore di quelli arrivati per ultimi; ma il padrone dà a tutti la stessa paga, e dice: «Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?» (Mt 20,15). Vorremmo imporre a Dio la nostra logica egoistica, invece la logica di Dio è l’amore. I beni che Lui ci dona sono fatti per essere condivisi. Per questo San Paolo esorta i cristiani: «Amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda» (Rm 12,10). Ecco il rimedio all’invidia!

E veniamo al secondo vizio che oggi esaminiamo: la vanagloria. Essa va a braccetto con il demone dell’invidia, e insieme questi due vizi sono propri di una persona che ambisce ad essere il centro del mondo, libera di sfruttare tutto e tutti, oggetto di ogni lode e di ogni amore. La vanagloria è un’autostima gonfiata e senza fondamenti. Il vanaglorioso possiede un “io” ingombrante: non ha empatia e non si accorge che nel mondo esistono altre persone oltre a lui. I suoi rapporti sono sempre strumentali, improntati alla sopraffazione dell’altro. La sua persona, le sue imprese, i suoi successi devono essere mostrati a tutti: è un perenne mendicante di attenzione. E se qualche volta le sue qualità non vengono riconosciute, allora si arrabbia ferocemente. Gli altri sono ingiusti, non capiscono, non sono all’altezza. Nei suoi scritti Evagrio Pontico descrive l’amara vicenda di qualche monaco colpito dalla vanagloria. Succede che, dopo i primi successi nella vita spirituale, si sente già un arrivato, e allora si precipita nel mondo per ricevere le sue lodi. Ma non capisce di essere solo agli inizi del cammino spirituale, e che è in agguato una tentazione che presto lo farà cadere.

Per guarire il vanaglorioso, i maestri spirituali non suggeriscono molti rimedi. Perché in fondo il male della vanità ha il suo rimedio in sé stesso: le lodi che il vanaglorioso sperava di mietere nel mondo presto gli si rivolteranno contro. E quante persone, illuse da una falsa immagine di sé, sono poi cadute in peccati di cui presto si sarebbero vergognate!

L’istruzione più bella per vincere la vanagloria la possiamo trovare nella testimonianza di San Paolo. L’Apostolo fece sempre i conti con un difetto che non riuscì mai a vincere. Per ben tre volte chiese al Signore di liberarlo da quel tormento, ma alla fine Gesù gli rispose: «Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza». Da quel giorno Paolo fu liberato. E la sua conclusione dovrebbe diventare anche la nostra: «Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo» (2 Cor 12,9).

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Saluti

[Saluto cordialmente i polacchi. Vi incoraggio a continuare con pazienza nel vostro impegno spirituale lottando contro tutto ciò che vi allontana da Dio e dagli altri – nella vita in famiglia, nella comunità e nei luoghi di lavoro e di incontro. Vi affido all’intercessione della Vergine Maria, l’umile Ancella del Signore, per la quale la principale regola di vita è amare Dio. Vi benedico di cuore.]

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APPELLO

Il 1° marzo ricorrerà il 25° anniversario dell’entrata in vigore della Convenzione sull’interdizione delle mine antipersona, che continuano a colpire civili innocenti, in particolare bambini, anche molti anni dopo la fine delle ostilità. Esprimo la mia vicinanza alle numerose vittime di questi subdoli ordigni, che ci ricordano la drammatica crudeltà delle guerre e il prezzo che le popolazioni civili sono costrette a subire. A questo proposito, ringrazio tutti coloro che offrono il loro contributo per assistere le vittime e bonificare le aree contaminate. Il loro lavoro è una risposta concreta alla chiamata universale ad essere operatori di pace, prendendoci cura dei nostri fratelli e sorelle.

* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana.

In particolare, saluto i fedeli provenienti dalle Diocesi dell’Emilia Romagna e di San Marino-Montefeltro, accompagnati dai loro Vescovi.

Saluto inoltre i gruppi parrocchiali di Gricignano di Aversa e di Isola di Capo Rizzuto, auspicando che la sosta presso le tombe degli Apostoli susciti un rinnovato fervore spirituale.

Il mio pensiero va infine ai malati, agli anziani, agli sposi novelli e ai giovani, specialmente agli studenti dell’Istituto “Falcone e Borsellino” di Roma e ai ragazzi della Scuola “Giovanni Pascoli” di Fucecchio. Il cammino della Quaresima sia occasione per rientrare in sé stessi e rinnovarsi nello spirito.

Cari fratelli e sorelle, non dimentichiamo i popoli che soffrono a causa della guerra: Ucraina, Palestina, Israele e tanti altri. E preghiamo per le vittime dei recenti attacchi contro luoghi di culto in Burkina Faso; come pure per la popolazione di Haiti, dove continuano i crimini e i sequestri delle bande armate.

A tutti, la mia benedizione!




UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 6 marzo 2024

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Catechesi. I vizi e le virtù. 10. La superbia

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Nel nostro percorso di catechesi sui vizi e le virtù, oggi arriviamo all’ultimo dei vizi: la superbia. Gli antichi greci la definivano con un  vocabolo che si potrebbe tradurre “eccessivo splendore”. In effetti, la superbia è autoesaltazione, presunzione, vanità. Il termine compare anche in quella serie di vizi che Gesù elenca per spiegare che il male proviene sempre dal cuore dell’uomo (cfr Mc 7,22). Il superbo è uno che pensa di essere molto più di quanto sia in realtà; uno che freme per essere riconosciuto più grande degli altri, vuole sempre veder riconosciuti i propri meriti e disprezza gli altri ritenendoli inferiori.

Da questa prima descrizione, vediamo come il vizio della superbia sia molto prossimo a quello della vanagloria, che abbiamo già presentato la volta scorsa. Però, se la vanagloria è una malattia dell’io umano, essa è ancora una malattia infantile se paragonata allo scempio di cui è capace la superbia. Analizzando le follie dell’uomo, i monaci dell’antichità riconoscevano un certo ordine nella sequenza dei mali: si comincia dai peccati più grossolani, come può essere la gola, per approdare ai mostri più inquietanti. Di tutti i vizi, la superbia è gran regina. Non a caso, nella Divina Commedia, Dante la colloca proprio nella prima cornice del purgatorio: chi cede a questo vizio è lontano da Dio, e l’emendazione di questo male richiede tempo e fatica, più di ogni altra battaglia a cui è chiamato il cristiano.

In realtà, dentro questo male si nasconde il peccato radicale, l’assurda pretesa di essere come Dio. Il peccato dei nostri progenitori, raccontato dal libro della Genesi, è a tutti gli effetti un peccato di superbia. Dice loro il tentatore: «Quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio» (Gen 3,5). Gli scrittori di spiritualità sono più attenti a descrivere le ricadute della superbia nella vita di tutti i giorni, a illustrare come essa rovini i rapporti umani, a evidenziare come questo male avveleni quel sentimento di fraternità che dovrebbe invece accomunare gli uomini.

Ecco allora la lunga lista di sintomi che rivelano il cedimento di una persona al vizio della superbia. È un male con un evidente aspetto fisico: il superbo è altero, ha una “dura cervice”, cioè, ha un collo rigido, che non si piega. È un uomo facile al giudizio sprezzante: per un niente emette sentenze irrevocabili nei confronti degli altri, che gli paiono irrimediabilmente inetti e incapaci. Nella sua supponenza, si dimentica che Gesù nei Vangeli ci ha assegnato pochissimi precetti morali, ma su uno di essi si è dimostrato intransigente: non giudicare mai. Ti accorgi di avere a che fare con un orgoglioso quando, muovendo a lui una piccola critica costruttiva, o un’osservazione del tutto innocua, egli reagisce in maniera esagerata, come se qualcuno avesse leso la sua maestà: va su tutte le furie, urla, interrompe i rapporti con gli altri in modo risentito.

C’è poco da fare con una persona ammalata di superbia. È impossibile parlarle, tantomeno correggerla, perché in fondo non è più presente a sé stessa. Con essa bisogna solo avere pazienza, perché un giorno il suo edificio crollerà. Un proverbio italiano recita: “La superbia va a cavallo e torna a piedi”. Nei Vangeli Gesù ha a che fare con tanta gente superba, e spesso è andato a stanare questo vizio anche in persone che lo nascondevano molto bene. Pietro sbandiera la sua fedeltà a tutta prova: “Se anche tutti ti abbandonassero, io no!” (cfr Mt 26,33). Presto farà invece l’esperienza di essere come gli altri, anche lui pauroso davanti alla morte che non immaginava potesse essere così vicina. E così il secondo Pietro, quello che non solleva più il mento ma che piange lacrime salate, verrà medicato da Gesù e sarà finalmente adatto a reggere il peso della Chiesa. Prima sfoggiava una presunzione che era meglio non sbandierare; ora invece è un discepolo fedele che, come dice una parabola, il padrone può mettere “a capo di tutti i suoi averi” (Lc 12,44).

La salvezza passa per l’umiltà, vero rimedio ad ogni atto di superbia. Nel Magnificat, Maria canta il Dio che con la sua potenza disperde i superbi nei pensieri malati del loro cuore. È inutile rubare qualcosa a Dio, come sperano di fare i superbi, perché in fin dei conti Lui ci vuole donare tutto. Per questo l’apostolo Giacomo, alla sua comunità ferita da lotte intestine originate dall’orgoglio, scrive così: «Dio resiste ai superbi, agli umili invece dà la sua grazia» (Gc 4,6).

Dunque, cari fratelli e sorelle, approfittiamo di questa Quaresima per lottare contro la nostra superbia.

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Saluti

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Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana.

In particolare saluto i fedeli di Scalea, accompagnati dal Vescovo Mons. Stefano Rega, che celebrano il giubileo della consacrazione della Chiesa della Santissima Trinità. Accolgo con affetto gli allievi, assieme ai loro formatori, del Seminario Interdiocesano di Pisa e gli ex alunni del Pontificio Collegio Lituano di San Casimiro a Roma, che rendono grazie al Signore per i Settantacinque anni della fondazione dell’Istituto: possiate conformare sempre più la vostra vita a Cristo Buon Pastore ed essere annunciatori gioiosi del Vangelo.

Il mio pensiero va infine ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli. In questi giorni di Quaresima, continuate con coraggio nell’impegno di liberarvi da tutto ciò che maschera la vostra vita per ritornare con tutto il cuore a Dio, che ci ama con amore eterno.

Ancora una volta, fratelli e sorelle, rinnovo il mio invito a pregare per le popolazioni che soffrono l’orrore della guerra in Ucraina e in Terra Santa, come pure in altre parti del mondo. Preghiamo per la pace! Chiediamo al Signore il dono della pace!

A tutti la mia benedizione.



[Modificato da Caterina63 07/03/2024 23:15]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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13/03/2024 11:23
 
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UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 13 marzo 2024

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Catechesi. I vizi e le virtù. 11. L'agire virtuoso

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Dopo aver concluso la carrellata sui vizi, è giunto il momento di rivolgere lo sguardo sul quadro simmetrico, che sta in opposizione all’esperienza del male. Il cuore dell’uomo può assecondare cattive passioni, può dare ascolto a tentazioni nocive travestite con vesti suadenti, ma può anche opporsi a tutto questo. Per quanto ciò possa risultare faticoso, l’essere umano è fatto per il bene, che lo realizza veramente, e può anche esercitarsi in quest’arte, facendo sì che alcune disposizioni divengano in lui o in lei permanenti. La riflessione intorno a questa nostra meravigliosa possibilità forma un capitolo classico della filosofia morale: il capitolo delle virtù.

I filosofi romani la chiamavano virtus, quelli greci aretè. Il termine latino evidenzia soprattutto che la persona virtuosa è forte, coraggiosa, capace di disciplina ed ascesi; dunque l’esercizio delle virtù è frutto di una lunga germinazione, che richiede fatica e anche sofferenza. La parola greca, aretè, indica invece qualcosa che eccelle, qualcosa che emerge, che suscita ammirazione. La persona virtuosa è pertanto quella che non si snatura deformandosi ma è fedele alla propria vocazione, realizza pienamente sé stessa.

Saremmo fuori strada se pensassimo che i santi siano delle eccezioni dell’umanità: una sorta di ristretta cerchia di campioni che vivono al di là dei limiti della nostra specie. I santi, in questa prospettiva che abbiamo appena introdotto riguardo alle virtù, sono invece coloro che diventano pienamente sé stessi, che realizzano la vocazione propria di ogni uomo. Che mondo felice sarebbe quello in cui la giustizia, il rispetto, la benevolenza reciproca, la larghezza d’animo, la speranza fossero la normalità condivisa, e non invece una rara anomalia! Ecco perché il capitolo sull’agire virtuoso, in questi nostri tempi drammatici nei quali facciamo spesso i conti con il peggio dell’umano, dovrebbe essere riscoperto e praticato da tutti. In un mondo deformato dobbiamo fare memoria della forma con cui siamo stati plasmati, dell’immagine di Dio che in noi è impressa per sempre.

Ma come possiamo definire il concetto di virtù? Il Catechismo della Chiesa Cattolica ci offre una definizione precisa e sintetica: «La virtù è una disposizione abituale e ferma a fare il bene» (N. 1803). Non è dunque un bene improvvisato e un po’ casuale, che piove dal cielo in maniera episodica. La storia ci dice che anche i criminali, in un momento di lucidità, hanno compiuto atti buoni; certamente questi atti sono scritti nel “libro di Dio”, ma la virtù è un’altra cosa. È un bene che nasce da una lenta maturazione della persona, fino a diventare una sua caratteristica interiore. La virtù è un habitus della libertà. Se siamo liberi in ogni atto, e ogni volta siamo chiamati a scegliere tra bene e male, la virtù è ciò che ci permette di avere una consuetudine verso la scelta giusta.

Se la virtù è un dono così bello, subito nasce una domanda: come è possibile acquisirla? La risposta a questa domanda non è semplice, è complessa.

Per il cristiano il primo aiuto è la grazia di Dio. Infatti, in noi battezzati agisce lo Spirito Santo, che lavora nella nostra anima per condurla a una vita virtuosa. Quanti cristiani sono arrivati alla santità attraverso le lacrime, constatando di non riuscire a superare certe loro debolezze! Ma hanno sperimentato che Dio ha completato quell’opera di bene che per loro era solo un abbozzo. Sempre la grazia precede il nostro impegno morale.

Inoltre, non si deve mai dimenticare la ricchissima lezione che ci è arrivata dalla saggezza degli antichi, che ci dice che la virtù cresce e può essere coltivata. E perché ciò avvenga, il primo dono dello Spirito da chiedere è proprio la sapienza. L’essere umano non è libero territorio di conquista di piaceri, di emozioni, di istinti, di passioni, senza poter fare nulla contro queste forze, a volte caotiche, che lo abitano. Un dono inestimabile che possediamo è l’apertura mentale, è la saggezza che sa imparare dagli errori per indirizzare bene la vita. Poi ci vuole la buona volontà: la capacità di scegliere il bene, di plasmare noi stessi con l’esercizio ascetico, rifuggendo gli eccessi.

Cari fratelli e sorelle, cominciamo così il nostro viaggio attraverso le virtù, in questo universo sereno che si presenta impegnativo, ma decisivo per la nostra felicità.

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Saluti

[Saluto cordialmente i polacchi. In questi nostri tempi drammatici, nei quali facciamo spesso i conti con quanto vi è di peggio nella persona umana, è necessario riscoprire l’importanza di coltivare in noi stessi una disposizione abituale e ferma a fare il bene. Imparate questo dai vostri Santi, cercando l’aiuto della grazia di Dio. Vi benedico di cuore.]

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Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare alle Capitolari delle Carmelitane Missionarie e alle Apostole del Sacro Cuore di Gesù, che incoraggio a custodire il patrimonio spirituale dei rispettivi Istituti religiosi.

Saluto i fedeli della parrocchia di Santa Maria Goretti in Frigole, i devoti di Santa Domenica provenienti da diverse località, la Facoltà di Diritto Canonico San Pio X di Venezia: auspico che ciascuno sappia rispondere alla vocazione cristiana offrendo un valido contributo alla crescita armonica della società. Un saluto va anche agli Allievi della Scuola Sottufficiali della Marina Militare di Taranto, che esorto a svolgere il servizio con lealtà e generosità.

Il mio pensiero va infine ai malati, agli anziani, agli sposi novelli e ai giovani, specialmente ai tanti studenti presenti, in particolare all’Istituto Carbone e Rosati di Sora. Tutti invito a proseguire con impegno nell’itinerario quaresimale, pronti a compiere gesti di cristiana solidarietà ovunque la Provvidenza vi chiama ad operare.

E, per favore, perseveriamo nella fervida preghiera per quanti soffrono le terribili conseguenze della guerra. Oggi mi hanno portato un rosario e un Vangelo di un giovane soldato morto al fronte: lui pregava con questo. Tanti giovani, tanti giovani vanno a morire! Preghiamo il Signore perché ci dia la grazia di vincere questa pazzia della guerra che sempre è una sconfitta. A tutti voi la mia Benedizione!



UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 20 marzo 2024

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Catechesi. I vizi e le virtù. 12. La prudenza

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

La catechesi di oggi la dedichiamo alla virtù della prudenza. Essa, insieme a giustizia, fortezza e temperanza forma le virtù cosiddette cardinali, che non sono prerogativa esclusiva dei cristiani, ma appartengono al patrimonio della sapienza antica, in particolare dei filosofi greci. Perciò uno dei temi più interessanti nell’opera di incontro e di inculturazione fu proprio quello delle virtù.

Negli scritti medievali, la presentazione delle virtù non è una semplice elencazione di qualità positive dell’anima. Riprendendo gli autori classici alla luce della rivelazione cristiana, i teologi hanno immaginato il settenario delle virtù – le tre teologali e le quattro cardinali – come una sorta di organismo vivente, dove ogni virtù ha uno spazio armonico da occupare. Ci sono virtù essenziali e virtù accessorie, come pilastri, colonne e capitelli. Ecco, forse niente quanto l’architettura di una cattedrale medievale può restituire l’idea dell’armonia che c’è nell’uomo e della sua continua tensione verso il bene.

Dunque, partiamo dalla prudenza. Essa non è la virtù della persona timorosa, sempre titubante circa l’azione da intraprendere. No, questa è un’interpretazione sbagliata. Non è nemmeno solo la cautela. Accordare un primato alla prudenza significa che l’azione dell’uomo è nelle mani della sua intelligenza e libertà. La persona prudente è creativa: ragiona, valuta, cerca di comprendere la complessità del reale e non si lascia travolgere dalle emozioni, dalla pigrizia, dalle pressioni dalle illusioni.

In un mondo dominato dall’apparire, dai pensieri superficiali, dalla banalità sia del bene che del male, l’antica lezione della prudenza merita di essere recuperata.

San Tommaso, sulla scia di Aristotele, la chiamava “recta ratio agibilium”. È la capacità di governare le azioni per indirizzarle verso il bene; per questo motivo essa è soprannominata il “cocchiere delle virtù”. Prudente è colui o colei che è capace di scegliere: finché resta nei libri, la vita è sempre facile, ma in mezzo ai venti e alle onde del quotidiano è tutt’altra cosa, spesso siamo incerti e non sappiamo da che parte andare. Chi è prudente non sceglie a caso: anzitutto sa che cosa vuole, quindi pondera le situazioni, si fa consigliare e, con visione ampia e libertà interiore, sceglie quale sentiero imboccare. Non è detto che non possa sbagliare, in fondo restiamo sempre umani; ma almeno eviterà grosse sbandate. Purtroppo, in ogni ambiente c’è chi tende a liquidare i problemi con battute superficiali o a sollevare sempre polemiche. La prudenza invece è la qualità di chi è chiamato a governare: sa che amministrare è difficile, che i punti di vista sono tanti e bisogna cercare di armonizzarli, che si deve fare non il bene di qualcuno ma di tutti.

La prudenza insegna anche che, come si suol dire, “l’ottimo è nemico del bene”. Il troppo zelo, infatti, in qualche situazione può combinare disastri: può rovinare una costruzione che avrebbe richiesto gradualità; può generare conflitti e incomprensioni; può addirittura scatenare la violenza.

La persona prudente sa custodire la memoria del passato, non perché ha paura del futuro, ma perché sa che la tradizione è un patrimonio di saggezza. La vita è fatta di un continuo sovrapporsi di cose antiche e cose nuove, e non fa bene pensare sempre che il mondo cominci da noi, che i problemi dobbiamo affrontarli partendo da zero. E la persona prudente è anche previdente. Una volta decisa la meta a cui tendere, bisogna procurarsi tutti i mezzi per raggiungerla.

Tanti passi del Vangelo ci aiutano a educare la prudenza. Ad esempio: è prudente chi costruisce la sua casa sulla roccia e imprudente chi la costruisce sulla sabbia (cfr Mt 7,24-27). Sagge sono le damigelle che portano con sé l’olio per le loro lampade e stolte quelle che non lo fanno (cfr Mt 25,1-13). La vita cristiana è un connubio di semplicità e di scaltrezza. Preparando i suoi discepoli per la missione, Gesù raccomanda: «Ecco: io vi mando come pecore in mezzo a lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe» (Mt 10,16). Come dire che Dio non ci vuole solo santi, ci vuole santi intelligenti, perché senza la prudenza è un attimo sbagliare strada!

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Saluti

[Saluto cordialmente i polacchi. Ogni anno il 24 marzo celebrate in Polonia la Giornata Nazionale della Vita. Pensando alla vostra patria, vorrei riferirvi il mio sogno, che ho espresso qualche anno fa scrivendo sull’Europa. Che la Polonia sia una terra che tuteli la vita in ogni suo istante, da quando sorge nel grembo materno fino alla sua fine naturale. Non dimenticate che nessuno è padrone della vita, né propria né di quella degli altri. Vi benedico di cuore.]

* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare alla Rete delle città legate al culto di Sant’Oronzo, Vescovo e martire. Cari fratelli e sorelle, la testimonianza del vostro celeste protettore, di cui sarò lieto di benedire l’immagine, susciti in ciascuno il desiderio di aderire sempre più generosamente a Cristo e al Vangelo.

Saluto altresì la parrocchia di San Pietro in Grignano di Prato, i podisti di Boves e gli alunni dell’Istituto comprensivo di Sora.

Il mio pensiero va infine ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli. Abbiamo celebrato ieri la solennità di San Giuseppe, Patrono della Chiesa universale. Vorrei insieme a voi affidare al suo patrocinio la Chiesa e il mondo intero, soprattutto tutti i papà che in lui hanno un modello singolare da imitare.

A San Giuseppe raccomandiamo anche le popolazioni della martoriata Ucraina e della Terra Santa – la Palestina, Israele –, che tanto soffrono l’orrore della guerra. E non dimentichiamo mai: la guerra sempre è una sconfitta. Non si può andare avanti in guerra. Dobbiamo fare tutti gli sforzi per trattare, per negoziare, per finire la guerra. Preghiamo per questo.

A tutti la mia Benedizione!




UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 27 marzo 2024

[Multimedia]

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Il testo qui di seguito include anche parti non lette che sono date ugualmente come pronunciate.


Catechesi. I vizi e le virtù. 13. La pazienza

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi l’udienza era prevista in Piazza, ma per la pioggia è stata trasferita qui dentro. È vero che sarete un po’ ammucchiati, ma almeno saremo non bagnati! Grazie della vostra pazienza.

Domenica scorsa abbiamo ascoltato il racconto della Passione del Signore. Alle sofferenze che subisce, Gesù risponde con una virtù che, pur non contemplata tra quelle tradizionali, è tanto importante: la virtù della pazienza. Essa riguarda la sopportazione di ciò che si patisce: non a caso pazienza ha la stessa radice di passione. E proprio nella Passione emerge la pazienza di Cristo, che con mitezza e mansuetudine accetta di essere arrestato, schiaffeggiato e condannato ingiustamente; davanti a Pilato non recrimina; sopporta gli insulti, gli sputi e la flagellazione dei soldati; porta il peso della croce; perdona chi lo inchioda al legno e sulla croce non risponde alle provocazioni, ma offre misericordia. Questa è la pazienza di Gesù. Tutto questo ci dice che la pazienza di Gesù non consiste in una stoica resistenza nel soffrire, ma è il frutto di un amore più grande.

L’Apostolo Paolo, nel cosiddetto “Inno alla carità” (cfr 1 Cor 13,4-7), congiunge strettamente amore e pazienza. Infatti, nel descrivere la prima qualità della carità, utilizza una parola che si traduce con “magnanima”, “paziente”. La carità è magnanima, è paziente. Essa esprime un concetto sorprendente, che torna spesso nella Bibbia: Dio, di fronte alla nostra infedeltà, si mostra «lento all’ira» (cfr Es 34,6; cfr Nm 14,18): anziché sfogare il proprio disgusto per il male e il peccato dell’uomo, si rivela più grande, pronto ogni volta a ricominciare da capo con infinita pazienza. Questo per Paolo è il primo tratto dell’amore di Dio, che davanti al peccato propone il perdono. Ma non solo: è il primo tratto di ogni grande amore, che sa rispondere al male col bene, che non si chiude nella rabbia e nello sconforto, ma persevera e rilancia. La pazienza che ricomincia. Dunque, alla radice della pazienza c’è l’amore, come dice Sant’Agostino: «Uno è tanto più forte a sopportare qualunque male, quanto in lui è maggiore l’amore di Dio» (De patientia, XVII).

Si potrebbe allora dire che non c’è migliore testimonianza dell’amore di Gesù che incontrare un cristiano paziente. Ma pensiamo anche a quante mamme e papà, lavoratori, medici e infermieri, ammalati che ogni giorno, nel nascondimento, abbelliscono il mondo con una santa pazienza! Come afferma la Scrittura, «è meglio la pazienza che la forza di un eroe» (Pr 16,32). Tuttavia, dobbiamo essere onesti: siamo spesso carenti di pazienza. Nel quotidiano siamo impazienti, tutti. Ne abbiamo bisogno come della “vitamina essenziale” per andare avanti, ma ci viene istintivo spazientirci e rispondere al male col male: è difficile stare calmi, controllare l’istinto, trattenere brutte risposte, disinnescare litigi e conflitti in famiglia, al lavoro o nella comunità cristiana. Subito viene la risposta, non siamo capaci di essere pazienti.

Ricordiamo però che la pazienza non è solo una necessità, è una chiamata: se Cristo è paziente, il cristiano è chiamato a essere paziente. E ciò chiede di andare controcorrente rispetto alla mentalità oggi diffusa, in cui dominano la fretta e il “tutto subito”; dove, anziché attendere che maturino le situazioni, si spremono le persone, pretendendo che cambino all’istante. Non dimentichiamo che la fretta e l’impazienza sono nemiche della vita spirituale. Perché? Dio è amore, e chi ama non si stanca, non è irascibile, non dà ultimatum, Dio è paziente, Dio sa attendere. Pensiamo al racconto del Padre misericordioso, che aspetta il figlio andato via di casa: soffre con pazienza, impaziente solo di abbracciarlo appena lo vede tornare (cfr Lc 15,21); o pensiamo alla parabola del grano e della zizzania, con il Signore che non ha fretta di sradicare il male prima del tempo, perché nulla vada perduto (cfr Mt 13,29-30). La pazienza ci fa salvare tutto.

Ma, fratelli e sorelle, come si fa ad accrescere la pazienza? Essendo, come insegna San Paolo, un frutto dello Spirito Santo (cfr Gal 5,22), va chiesta proprio allo Spirito di Cristo. Lui ci dà la forza mite della pazienza – è una forza mite la pazienza –, perché «è proprio della virtù cristiana non solo operare il bene, ma anche saper sopportare i mali» (S. Agostino, Discorsi, 46,13). Specialmente in questi giorni ci farà bene contemplare il Crocifisso per assimilarne la pazienza. Un bell’esercizio è anche quello di portare a Lui le persone più fastidiose, domandando la grazia di mettere in pratica nei loro riguardi quell’opera di misericordia tanto nota quanto disattesa: sopportare pazientemente le persone moleste. E non è facile. Pensiamo se noi facciamo questo: sopportare pazientemente le persone moleste. Si comincia dal chiedere di guardarle con compassione, con lo sguardo di Dio, sapendo distinguere i loro volti dai loro sbagli. Noi abbiamo l’abitudine di catalogare le persone con gli sbagli che fanno. No, non è buono questo. Cerchiamo le persone per i loro volti, per il loro cuore e non per gli sbagli!

Infine, per coltivare la pazienza, virtù che dà respiro alla vita, è bene ampliare lo sguardo. Ad esempio, non restringendo il campo del mondo ai nostri guai, come invita a fare l’Imitazione di Cristo: «Occorre dunque che tu rammenti le sofferenze più gravi degli altri, per imparare a sopportare le tue, piccole», ricordando che «non c’è cosa, per quanto piccola, purché sopportata per amore di Dio, che passi senza ricompensa presso Dio» (III, 19). E ancora, quando ci sentiamo nella morsa della prova, come insegna Giobbe, è bene aprirsi con speranza alla novità di Dio, nella ferma fiducia che Egli non lascia deluse le nostre attese. Pazienza è saper sopportare i mali.

E qui oggi, in questa udienza, ci sono due persone, due papà: uno israeliano e uno arabo. Ambedue hanno perso le loro figlie in questa guerra e ambedue sono amici. Non guardano all’inimicizia della guerra, ma guardano l’amicizia di due uomini che si vogliono bene e che sono passati per la stessa crocifissione. Pensiamo a questa testimonianza tanto bella di queste due persone che hanno sofferto nelle loro figlie la guerra della Terra Santa. Cari fratelli, grazie per la vostra testimonianza!

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Saluti

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana: parrocchie, associazioni e scuole, in particolare agli alunni dell’Istituto Marconi di Gorgonzola e a quelli dell’Istituto Carlo Alberto Dalla Chiesa di Afragola.

Nell’intenso clima spirituale della Settimana Santa, saluto con affetto i giovani, i malati, gli anziani e gli sposi novelli. Invito ciascuno a vivere questi giorni nella preghiera, per aprirsi alla grazia di Cristo Redentore, fonte di gioia e di misericordia.

Fratelli e sorelle, preghiamo per la pace. Che il Signore ci dia la pace nella martoriata Ucraina, che sta soffrendo tanto sotto i bombardamenti; anche in Israele e Palestina, che ci sia la pace nella Terra Santa. Che il Signore dia la pace a tutti, come dono della sua Pasqua!

A tutti la mia Benedizione.













[Modificato da Caterina63 27/03/2024 17:21]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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