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Lettera del Papa ai Vescovi sull'Unità della Chiesa e la revoca alla FSSPX

Ultimo Aggiornamento: 31/01/2014 08:50
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Proseguendo da qui:
Benedetto XVI REVOCA LA SCOMUNICA AI LEFEBVRIANI! Evviva!


E...a seguire questa discussione sulla revoca alla FSSPX
http://www.oriensforum.com/index.php?topic=718.0

qui posteremo la LETTERA DEL PAPA AI VESCOVI....che dovrebbe uscire domani a mezzogiorno....[SM=g1740722]

Ho appena sentito il commento di padre Livio su Radio Maria....
la Lettera ai Vescovi è commentata stamani da Il Foglio....

Padre Livio ha letto tutto l'articolo molto interessante....

Con una mossa a sorpresa, umile e allo stesso tempo forte, Benedetto XVI ha deciso di spiegare personalmente all’episcopato cattolico la revoca della scomunica ai quattro vescovi lefebvriani che ha suscitato non poche polemiche.

Il Papa nella Lettera spiegherebbe le ragioni della revoca della scomunica alla FSSPX incentrando tale motivazione sull'aspetto del suo ministero petrino volto a "confermare i fratelli nella FEDE", a superare gli ostacoli e a ricercare sempre l'unità della Chiesa fra le sue componenti diversificate....

Il Papa ritornerebbe sull'importanza del Concilio che non può essere usato per dividere, ma anche sulla necessità di PARLARE ED ASCOLTARE LE RAGIONI che hanno provocato tale scisma....

Nel commento c'è stato anche un interessante punto sul fatto che il Papa, la Santa Sede, si sarebbero resi conto che attraverso internet le notizie viaggiono prima e finiscono, i Media di informazione, per sfalzare i fatti come è avvenuto per il caso Williamson....di conseguenza il Papa chiederebbe anche più attenzione ad INTERNET... [SM=g1740721]

Questo è in sostanza il commento alla Stampa che ho appenafinito di ascoltare...

se il Foglio ha ragione la Lettera NON conterrà nulla di nuovo....
non conterrà anatemi, nè scomuniche  Ghigno ma esclusivamente un appello all'unità...I vescovi RIBELLI SONO TANTI, TROPPI....il Papa NON può FOMENTARE una divisione per "accontentare i pochi" i pochi,  sono coloro che hanno sempre saputo dare alla Chiesa l'autentica linfa vitale e l'autentica fedeltà perchè questi "pochi" vivono davvero L'UMILTA' a dispetto della superbia di molti che il Papa ha il dovere di RICHIAMARE PATERNAMENTE....è così che il Papa conta su questi "pochi"....su di "noi"...su chiunque comprende la sua posizione ed anche se a malincuore la sostiene SOFFRENDO.... Occhiolino

suggerisco una segnalazione a parte dell'Udienza di oggi, il Papa parlando del Vescovo Bonifacio, ha parlato (anche a braccio a tratti) DELL'OBBEDIENZA DEI VESCOVI NELL'UNITA' CON LA SEDE APOSTOLICA, AL PAPA...non mi sembra un caso che il Papa abbia scelto per oggi questa catechesi, alla vigilia della sua Lettera ai vescovi... Occhiolino

Forse oserei dire che potrebbe avere più valore il testo di oggi che non quello di domani "ufficiale".....il Papa a braccio ha chiesto di INNAMORARCI DELLA CHIESA, E DELL'OBBEDIENZA....


appena esce metto il testo qui dell'Udienza........

 Sorriso

intanto da SiR

BENEDETTO XVI: UDIENZA, “AMARE APPASSIONATAMENTE LA CHIESA”

“La testimonianza coraggiosa di Bonifacio è un invito per tutti noi ad accogliere nella nostra vita la parola di Dio come punto di riferimento essenziale, ad amare appassionatamente la Chiesa, a sentirci corresponsabili del suo futuro, a cercarne l’unità attorno al successore di Pietro”.

Lo ha detto il Papa, nella catechesi dell’udienza generale di oggi, interamente dedicata alla figura di san Bonifacio, nato nel 675 e morto nel 754.
“Frutto di questo impegno – ha proseguito Benedetto XVI - fu il saldo spirito di coesione intorno al Successore di Pietro che Bonifacio trasmise alle Chiese del suo territorio di missione, congiungendo con Roma l’Inghilterra, la Germania, la Francia e contribuendo così in misura determinante a porre quelle radici cristiane dell’Europa che avrebbero prodotto fecondi frutti nei secoli successivi”.

Infine, Bonifacio “promosse l’incontro tra la cultura romano-cristiana e la cultura germanica”. “Trasmettendo l’antico patrimonio di valori cristiani – ha detto il Papa - egli innestò nelle popolazioni che evangelizzava un nuovo stile di vita più umano, grazie al quale venivano meglio rispettati i diritti inalienabili della persona. Da autentico figlio di san Benedetto, egli seppe unire preghiera e lavoro manuale e intellettuale, penna e aratro”.

“Non stancatevi di affidarvi a Cristo e di diffondere il Vangelo in ogni ambiente”. Con queste parole il Papa ha salutato oggi i fedeli di lingua italiana, al termine dell’udienza generale in piazza S. Pietro.

“Questo nostro tempo, del quale si sottolineano spesso le ombre che lo segnano – l’analisi del Papa riguardo allo scenario attuale – deve essere illuminato dal sole vivo della speranza, da Cristo nostra speranza. Egli ha promesso di restare sempre con noi e in molti modi manifesta la sua presenza”. “A voi – invito papale – il compito di annunciarne e testimoniarne l’indefettibile amore che ci accompagna in ogni situazione”.

Poi un’aggiunta speciale per i giovani: “Il cammino quaresimale che stiamo percorrendo – l’augurio di Benedetto XVI rivolto a loro – sia occasione di autentica conversione perché possiate giungere alla maturità della fede in Cristo”.

[SM=g1740722]

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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11/03/2009 20:00
 
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leggete il testo dell'Udienza intanto.... Ghigno

    Questo è il testo della catechesi su san Bonifacio pronunciata dal Papa durante l'udienza generale.

    Cari fratelli e sorelle,
    oggi ci soffermiamo su un grande missionario dell'VIII secolo, che ha diffuso il cristianesimo nell'Europa centrale, proprio anche nella mia patria:  san Bonifacio, passato alla storia come l'"apostolo dei Germani". Possediamo non poche notizie sulla sua vita grazie alla diligenza dei suoi biografi:  nacque da una famiglia anglosassone nel Wessex attorno al 675 e fu battezzato col nome di Winfrido. Entrò molto giovane in monastero, attratto dall'ideale monastico. Possedendo notevoli capacità intellettuali, sembrava avviato ad una tranquilla e brillante carriera di studioso:  divenne insegnante di grammatica latina, scrisse alcuni trattati, compose anche varie poesie in latino. Ordinato sacerdote all'età di circa trent'anni, si sentì chiamato all'apostolato tra i pagani del continente.

La Gran Bretagna, sua terra, evangelizzata appena cent'anni prima dai Benedettini guidati da sant'Agostino, mostrava una fede così solida e una carità così ardente da inviare missionari nell'Europa centrale per annunziarvi il Vangelo. Nel 716 Winfrido con alcuni compagni si recò in Frisia (l'odierna Olanda), ma si scontrò con l'opposizione del capo locale e il tentativo di evangelizzazione fallì. Tornato in patria, non si perse d'animo, e due anni dopo si recò a Roma per parlare col Papa Gregorio II ed averne direttive. Il Papa, secondo il racconto di un biografo, lo accolse "col viso sorridente e lo sguardo pieno di dolcezza", e nei giorni seguenti tenne con lui "colloqui importanti" (Willibaldo, Vita S. Bonifatii, ed. Levison, pp. 13-14) e infine, dopo avergli imposto il nuovo nome di Bonifacio, gli affidò con lettere ufficiali la missione di predicare il Vangelo fra i popoli della Germania.

    Confortato e sostenuto dall'appoggio del Papa, Bonifacio si impegnò nella predicazione del Vangelo in quelle regioni, lottando contro i culti pagani e rafforzando le basi della moralità umana e cristiana. Con grande senso del dovere egli scriveva in una delle sue lettere:  "Stiamo saldi nella lotta nel giorno del Signore, poiché sono giunti giorni di afflizione e miseria... Non siamo cani muti, né osservatori taciturni, né mercenari che fuggono davanti ai lupi! Siamo invece Pastori solerti che vegliano sul gregge di Cristo, che annunciano alle persone importanti e a quelle comuni, ai ricchi e ai poveri la volontà di Dio... nei tempi opportuni e non opportuni..." (Epistulae, 3, 352.354:  MGH).

Con la sua attività instancabile, con le sue doti organizzative, con il suo carattere duttile e amabile nonostante la fermezza, Bonifacio ottenne grandi risultati. Il Papa allora "dichiarò che voleva imporgli la dignità episcopale, perché così potesse con maggiore determinazione correggere e riportare sulla via della verità gli erranti, si sentisse sostenuto dalla maggiore autorità della dignità apostolica e fosse tanto più accetto a tutti nell'ufficio della predicazione quanto più appariva che per questo motivo era stato ordinato dall'apostolico presule" (Otloho, Vita S. Bonifatii, ed. Levison, lib. I, p. 127).

    Fu lo stesso Sommo Pontefice a consacrare "Vescovo regionale" - cioè per tutta la Germania - Bonifacio, il quale riprese poi le sue fatiche apostoliche nei territori a lui affidati ed estese la sua azione anche alla Chiesa della Gallia:  con grande prudenza restaurò la disciplina ecclesiastica, indisse vari sinodi per garantire l'autorità dei sacri canoni, rafforzò la necessaria comunione col Romano Pontefice:  un punto che gli stava particolarmente a cuore.[SM=g1740721] 

Anche i successori del Papa Gregorio ii lo ebbero in altissima considerazione:  Gregorio iii lo nominò arcivescovo di tutte le tribù germaniche, gli inviò il pallio e gli diede facoltà di organizzare la gerarchia ecclesiastica in quelle regioni (cfr. Epist. 28:  S. Bonifatii Epistulae, ed. Tangl, Berolini 1916); Papa Zaccaria ne confermò l'ufficio e ne lodò l'impegno (cfr. Epist. 51, 57, 58, 60, 68, 77, 80, 86, 87, 89:  op. cit.); Papa Stefano III, appena eletto, ricevette da lui una lettera, con cui gli esprimeva il suo filiale ossequio (cfr. Epist. 108:  op. cit.).

    Il grande Vescovo, oltre a questo lavoro di evangelizzazione e di organizzazione della Chiesa mediante la fondazione di diocesi e la celebrazione di Sinodi, non mancò di favorire la fondazione di vari monasteri, maschili e femminili, perché fossero come un faro per l'irradiazione della fede e della cultura umana e cristiana nel territorio. Dai cenobi benedettini della sua patria aveva chiamato monaci e monache che gli prestarono un validissimo e prezioso aiuto nel compito di annunciare il Vangelo e di diffondere le scienze umane e le arti tra le popolazioni. Egli infatti giustamente riteneva che il lavoro per il Vangelo dovesse essere anche lavoro per una vera cultura umana. Soprattutto il monastero di Fulda - fondato verso il 743 - fu il cuore e il centro di irradiazione della spiritualità e della cultura religiosa:  ivi i monaci, nella preghiera, nel lavoro e nella penitenza, si sforzavano di tendere alla santità, si formavano nello studio delle discipline sacre e profane, si preparavano per l'annuncio del Vangelo, per essere missionari. Per merito dunque di Bonifacio, dei suoi monaci e delle sue monache - anche le donne hanno avuto una parte molto importante in quest'opera di evangelizzazione - fiorì anche quella cultura umana che è inseparabile dalla fede e ne rivela la bellezza. Lo stesso Bonifacio ci ha lasciato significative opere intellettuali.

Anzitutto il suo copioso epistolario, in cui lettere pastorali si alternano a lettere ufficiali e ad altre di carattere privato, che svelano fatti sociali e soprattutto il suo ricco temperamento umano e la sua profonda fede. Compose anche un trattato di Ars grammatica, in cui spiegava declinazioni, verbi, sintassi della lingua latina, ma che per lui diventava anche uno strumento per diffondere la fede e la cultura. Gli si attribuiscono pure una Ars metrica, cioè un'introduzione a come fare poesia, e varie composizioni poetiche e infine una collezione di 15 sermoni.

    Sebbene fosse già avanzato negli anni, - era vicino agli 80 - si preparò ad una nuova missione evangelizzatrice:  con una cinquantina di monaci fece ritorno in Frisia dove aveva iniziato la sua opera. Quasi presago della morte imminente, alludendo al viaggio della vita, scriveva al discepolo e successore nella sede di Magonza, il Vescovo Lullo:  "Io desidero condurre a termine il proposito di questo viaggio; non posso in alcun modo rinunziare al desiderio di partire. È vicino il giorno della mia fine e si approssima il tempo della mia morte; deposta la salma mortale, salirò all'eterno premio. Ma tu, figlio carissimo, richiama senza posa il popolo dal ginepraio dell'errore, compi l'edificazione della già iniziata basilica di Fulda e ivi deporrai il mio corpo invecchiato per lunghi anni di vita" (Willibaldo, Vita S. Bonifatii, ed. cit., p. 46).

Mentre stava iniziando la celebrazione della Messa a Dokkum (nell'odierna Olanda settentrionale), il 5 giugno del 754 fu assalito da una banda di pagani. Egli, fattosi avanti con fronte serena, "vietò ai suoi di combattere dicendo:  "Cessate, figliuoli, dai combattimenti, abbandonate la guerra, poiché la testimonianza della Scrittura ci ammonisce di non rendere male per male, ma bene per male. Ecco il giorno da tempo desiderato, ecco che il tempo della nostra fine è venuto; coraggio nel Signore!"" (Ibid. pp. 49-50).

Furono le ultime sue parole prima di cadere sotto i colpi degli aggressori. Le spoglie del Vescovo martire furono poi portate nel monastero di Fulda, ove ricevettero degna sepoltura. Già uno dei suoi primi biografi si esprime su di lui con questo giudizio:  "Il santo Vescovo Bonifacio può dirsi padre di tutti gli abitanti della Germania, perché per primo li ha generati a Cristo con la parola della sua santa predicazione, li ha confermati con l'esempio, e infine ha dato per essi la vita, carità questa di cui non può darsi maggiore" (Otloho, Vita S. Bonifatii, ed. cit., lib. I, p. 158).

    A distanza di secoli, quale messaggio possiamo noi oggi raccogliere dall'insegnamento e dalla prodigiosa attività di questo grande missionario e martire?

Una prima evidenza si impone a chi accosta Bonifacio:  la centralità della Parola di Dio, vissuta e interpretata nella fede della Chiesa, Parola che egli visse, predicò e testimoniò fino al dono supremo di sé nel martirio. Era talmente appassionato della Parola di Dio da sentire l'urgenza e il dovere di portarla agli altri, anche a proprio personale rischio. Su di essa poggiava quella fede alla cui diffusione si era solennemente impegnato al momento della sua consacrazione episcopale:  "Io professo integralmente la purità della santa fede cattolica e con l'aiuto di Dio voglio restare nell'unità di questa fede, nella quale senza alcun dubbio sta tutta la salvezza dei cristiani" (Epist. 12, in S. Bonifatii Epistolae, ed. cit., p. 29).

La seconda evidenza, molto importante, che emerge dalla vita di Bonifacio è la sua fedele comunione con la Sede Apostolica, che era un punto fermo e centrale del suo lavoro di missionario, egli sempre conservò tale comunione come regola della sua missione e la lasciò quasi come suo testamento.

In una lettera a Papa Zaccaria affermava: "Io non cesso mai d'invitare e di sottoporre all'obbedienza della Sede Apostolica coloro che vogliono restare nella fede cattolica e nell'unità della Chiesa romana e tutti coloro che in questa mia missione Dio mi dà come uditori e discepoli" (Epist. 50:  in ibid. p. 81). [SM=g1740722] [SM=g1740721]

Frutto di questo impegno fu il saldo spirito di coesione intorno al Successore di Pietro che Bonifacio trasmise alle Chiese del suo territorio di missione, congiungendo con Roma l'Inghilterra, la Germania, la Francia e contribuendo così in misura determinante a porre quelle radici cristiane dell'Europa che avrebbero prodotto fecondi frutti nei secoli successivi.

Per una terza caratteristica Bonifacio si raccomanda alla nostra attenzioneegli promosse l'incontro tra la cultura romano-cristiana e la cultura germanica. Sapeva infatti che umanizzare ed evangelizzzare la cultura era parte integrante della sua missione di Vescovo. Trasmettendo l'antico patrimonio di valori cristiani, egli innestò nelle popolazioni germaniche un nuovo stile di vita più umano, grazie al quale venivano meglio rispettati i diritti inalienabili della persona. Da autentico figlio di san Benedetto, egli seppe unire preghiera e lavoro (manuale e intellettuale), penna e aratro.
   
La testimonianza coraggiosa di Bonifacio è un invito per tutti noi ad accogliere nella nostra vita la parola di Dio come punto di riferimento essenziale, ad amare appassionatamente la Chiesa, a sentirci corresponsabili del suo futuro, a cercarne l'unità attorno al successore di Pietro. Allo stesso tempo, egli ci ricorda che il cristianesimo, favorendo la diffusione della cultura, promuove il progresso dell'uomo. Sta a noi, ora, essere all'altezza di un così prestigioso patrimonio e farlo fruttificare a vantaggio delle generazioni che verranno.

    Mi impressiona sempre questo suo zelo ardente per il Vangelo:  a quarant'anni esce da una vita monastica bella e fruttuosa, da una vita di monaco e di professore per annunciare il Vangelo ai semplici, ai barbari; a ottant'anni, ancora una volta, va in una zona dove prevede il suo martirio. Paragonando questa sua fede ardente, questo zelo per il Vangelo alla nostra fede così spesso tiepida e burocratizzata, vediamo cosa dobbiamo fare e come rinnovare la nostra fede, per dare in dono al nostro tempo la perla preziosa del Vangelo.

 

(©L'Osservatore Romano - 12 marzo 2009)

[SM=g1740739]
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Dal momento che i commenti in giro si susseguono..e che vi è tendenza a rinchiudere ESCLUSIVAMENTE la Lettera del Papa in un atto di misericordia alla FSSPX e basta.. Occhi al cielo ..ho avanzato con questa riflessone...



Indubbiamente Pietro è chiamato a RIPORTARE LE PECORELLE NELL'OVILE non certo a farle uscire...
da qui scaturisce il senso di CARITA' nell'atto della revoca...
Egli ha ricevuto il potere di LEGARE E SCIOGLIERE, sta al suo discernimento decidere per ciò che è meglio PER LA CHIESA...
sono piuttosto non pochi vescovi (i quali NON hanno l'autorità di Pietro, essi la esercitano CUM PETRO) ad aver disseminato ODIO E INSOFFERENZA VERSO LA FSSPX ma non solo a loro, anche contro non pochi cattolici favorevoli alla Tradizione i quali sono stati emarginati dalle proprie parrocchie e dalle diocesi...dimenticando che i primi difensori della Tradizione dovrebbero essere loro stessi...

Attendiamo la Lettera, ma si eviti di INTERPRETARLA tirando ognuno l'acqua al proprio mulino...

la "pecorella smarrita" che è indicata NON LETTERALMENTE, ma secondo alcune interpretazioni date oggi tra Tornielli e il Foglio, nella Lettera del Papa, indicherebbe appunto la FSSPX ed è vero, ma la Lettera è indirizzata AI VESCOVI ergo a coloro che si STANNO OPPONENDO ALLE SCELTE DEL PONTEFICE...altrimenti il Papa non avrebbe avuto alcuna necessità di fare questo RICHIAMO... Occhiolino

La Lettera richiama principalmente I VESCOVI (è indirizzata a loro) e poi naturalmente anche all'attenzione della FSSPX per AIUTARLI ad evitare ulteriori spaccature, ergo un richiamo alla COLLABORAZIONE DI TUTTI...

Il Concilio è una realtà VIVA DELLA CHIESA per la quale la stessa FSSPX ha più volte detto e ridetto che è stata ACCETTATA...
Accettare il Concilio però, non è un tacere sugli abusi e sulla falsa ermeneutica denunciata dallo stesso Benedetto XVI davanti alla Curia nel dicembre 2005  Occhiolino
altrimenti qui si eleva il Concilio a DOGMA impedendo una sana riforma voluta dal Concilio stesso...

Anzi, siamo ad una riforma della riforma? Si potrebbe sperare e dire di SI! Utilizzando sempre QUEL CONCILIO che ancora deve essere applicato correttamente a causa di anni trascorsi ad inventare Liturgie e a fare esperimenti sulle varie pastorali...qualche settimana fa  il card. Ruini AMMETTEVA E RICONOSCEVA IL FALLIMENTO DI ALCUNE PASTORALI SULLA FAMIGLIA, ma allora siamo capaci di riconoscere gli errori?  Occhiolino


Questo vuole la FSSPX e questo dovremo volere anche NOI con Bendetto XVI che ci sta testimoniando con i fatti la strada giusta da percorrere...
se la FSSPX volesse di più, lo spiegasse alle varie Commissioni, è solo PARLANDOSI che si potrà sperare nella comprensione dei PROPRI ERRORI COMMESSI da tutte le parti...

Stare con il Papa NON significa "non sbagliare MAI" come una volta si diceva alludendo alla sua infallibilità Ghigno
significa che anche sbagliando CON LUI E RESTANDO CON LUI, la presenza ATTIVA DELLO SPIRITO SANTO CI RIPORTA SEMPRE SULLA STRADA GIUSTA...


[SM=g1740733] [SM=g1740734] [SM=g1740739]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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12/03/2009 12:12
 
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IL TESTO UFFICIALE




Cari Confratelli nel ministero episcopale!

La remissione della scomunica ai quattro Vescovi, consacrati nell’anno 1988 dall’Arcivescovo Lefebvre senza mandato della Santa Sede, per molteplici ragioni ha suscitato all’interno e fuori della Chiesa Cattolica una discussione di una tale veemenza quale da molto tempo non si era più sperimentata. Molti Vescovi si sono sentiti perplessi davanti a un avvenimento verificatosi inaspettatamente e difficile da inquadrare positivamente nelle questioni e nei compiti della Chiesa di oggi. Anche se molti Vescovi e fedeli in linea di principio erano disposti a valutare in modo positivo la disposizione del Papa alla riconciliazione, a ciò tuttavia si contrapponeva la questione circa la convenienza di un simile gesto a fronte delle vere urgenze di una vita di fede nel nostro tempo. Alcuni gruppi, invece, accusavano apertamente il Papa di voler tornare indietro, a prima del Concilio: si scatenava così una valanga di proteste, la cui amarezza rivelava ferite risalenti al di là del momento. Mi sento perciò spinto a rivolgere a voi, cari Confratelli, una parola chiarificatrice, che deve aiutare a comprendere le intenzioni che in questo passo hanno guidato me e gli organi competenti della Santa Sede. Spero di contribuire in questo modo alla pace nella Chiesa.

Una disavventura per me imprevedibile è stata il fatto che il caso Williamson si è sovrapposto alla remissione della scomunica. Il gesto discreto di misericordia verso quattro Vescovi, ordinati validamente ma non legittimamente, è apparso all’improvviso come una cosa totalmente diversa: come la smentita della riconciliazione tra cristiani ed ebrei, e quindi come la revoca di ciò che in questa materia il Concilio aveva chiarito per il cammino della Chiesa. Un invito alla riconciliazione con un gruppo ecclesiale implicato in un processo di separazione si trasformò così nel suo contrario: un apparente ritorno indietro rispetto a tutti i passi di riconciliazione tra cristiani ed ebrei fatti a partire dal Concilio – passi la cui condivisione e promozione fin dall’inizio era stato un obiettivo del mio personale lavoro teologico. Che questo sovrapporsi di due processi contrapposti sia successo e per un momento abbia disturbato la pace tra cristiani ed ebrei come pure la pace all’interno della Chiesa, è cosa che posso soltanto deplorare profondamente. Mi è stato detto che seguire con attenzione le notizie raggiungibili mediante l’internet avrebbe dato la possibilità di venir tempestivamente a conoscenza del problema. Ne traggo la lezione che in futuro nella Santa Sede dovremo prestar più attenzione a quella fonte di notizie. Sono rimasto rattristato dal fatto che anche cattolici, che in fondo avrebbero potuto sapere meglio come stanno le cose, abbiano pensato di dovermi colpire con un’ostilità pronta all’attacco. Proprio per questo ringrazio tanto più gli amici ebrei che hanno aiutato a togliere di mezzo prontamente il malinteso e a ristabilire l’atmosfera di amicizia e di fiducia, che – come nel tempo di Papa Giovanni Paolo II – anche durante tutto il periodo del mio pontificato è esistita e, grazie a Dio, continua ad esistere.

Un altro sbaglio, per il quale mi rammarico sinceramente, consiste nel fatto che la portata e i limiti del provvedimento del 21 gennaio 2009 non sono stati illustrati in modo sufficientemente chiaro al momento della sua pubblicazione. La scomunica colpisce persone, non istituzioni. Un’Ordinazione episcopale senza il mandato pontificio significa il pericolo di uno scisma, perché mette in questione l’unità del collegio episcopale con il Papa. Perciò la Chiesa deve reagire con la punizione più dura, la scomunica, al fine di richiamare le persone punite in questo modo al pentimento e al ritorno all’unità. A vent’anni dalle Ordinazioni, questo obiettivo purtroppo non è stato ancora raggiunto. La remissione della scomunica mira allo stesso scopo a cui serve la punizione: invitare i quattro Vescovi ancora una volta al ritorno. Questo gesto era possibile dopo che gli interessati avevano espresso il loro riconoscimento in linea di principio del Papa e della sua potestà di Pastore, anche se con delle riserve in materia di obbedienza alla sua autorità dottrinale e a quella del Concilio. Con ciò ritorno alla distinzione tra persona ed istituzione. La remissione della scomunica era un provvedimento nell’ambito della disciplina ecclesiastica: le persone venivano liberate dal peso di coscienza costituito dalla punizione ecclesiastica più grave. Occorre distinguere questo livello disciplinare dall’ambito dottrinale. Il fatto che la Fraternità San Pio X non possieda una posizione canonica nella Chiesa, non si basa in fin dei conti su ragioni disciplinari ma dottrinali. Finché la Fraternità non ha una posizione canonica nella Chiesa, anche i suoi ministri non esercitano ministeri legittimi nella Chiesa. Bisogna quindi distinguere tra il livello disciplinare, che concerne le persone come tali, e il livello dottrinale in cui sono in questione il ministero e l’istituzione. Per precisarlo ancora una volta: finché le questioni concernenti la dottrina non sono chiarite, la Fraternità non ha alcuno stato canonico nella Chiesa, e i suoi ministri – anche se sono stati liberati dalla punizione ecclesiastica – non esercitano in modo legittimo alcun ministero nella Chiesa.

Alla luce di questa situazione è mia intenzione di collegare in futuro la Pontificia Commissione "Ecclesia Dei" – istituzione dal 1988 competente per quelle comunità e persone che, provenendo dalla Fraternità San Pio X o da simili raggruppamenti, vogliono tornare nella piena comunione col Papa – con la Congregazione per la Dottrina della Fede. Con ciò viene chiarito che i problemi che devono ora essere trattati sono di natura essenzialmente dottrinale e riguardano soprattutto l’accettazione del Concilio Vaticano II e del magistero post-conciliare dei Papi. Gli organismi collegiali con i quali la Congregazione studia le questioni che si presentano (specialmente la consueta adunanza dei Cardinali al mercoledì e la Plenaria annuale o biennale) garantiscono il coinvolgimento dei Prefetti di varie Congregazioni romane e dei rappresentanti dell’Episcopato mondiale nelle decisioni da prendere. Non si può congelare l’autorità magisteriale della Chiesa all’anno 1962 – ciò deve essere ben chiaro alla Fraternità. Ma ad alcuni di coloro che si segnalano come grandi difensori del Concilio deve essere pure richiamato alla memoria che il Vaticano II porta in sé l’intera storia dottrinale della Chiesa. Chi vuole essere obbediente al Concilio, deve accettare la fede professata nel corso dei secoli e non può tagliare le radici di cui l’albero vive.

Spero, cari Confratelli, che con ciò sia chiarito il significato positivo come anche il limite del provvedimento del 21 gennaio 2009. Ora però rimane la questione: Era tale provvedimento necessario? Costituiva veramente una priorità? Non ci sono forse cose molto più importanti?

Certamente ci sono delle cose più importanti e più urgenti. Penso di aver evidenziato le priorità del mio Pontificato nei discorsi da me pronunciati al suo inizio. Ciò che ho detto allora rimane in modo inalterato la mia linea direttiva. La prima priorità per il Successore di Pietro è stata fissata dal Signore nel Cenacolo in modo inequivocabile: "Tu … conferma i tuoi fratelli" (Lc 22, 32). Pietro stesso ha formulato in modo nuovo questa priorità nella sua prima Lettera: "Siate sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi" (1 Pt 3, 15).

Nel nostro tempo in cui in vaste zone della terra la fede è nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento, la priorità che sta al di sopra di tutte è di rendere Dio presente in questo mondo e di aprire agli uomini l’accesso a Dio. Non ad un qualsiasi dio, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; a quel Dio il cui volto riconosciamo nell’amore spinto sino alla fine (cfr Gv 13, 1) – in Gesù Cristo crocifisso e risorto. Il vero problema in questo nostro momento della storia è che Dio sparisce dall’orizzonte degli uomini e che con lo spegnersi della luce proveniente da Dio l’umanità viene colta dalla mancanza di orientamento, i cui effetti distruttivi ci si manifestano sempre di più.

Condurre gli uomini verso Dio, verso il Dio che parla nella Bibbia: questa è la priorità suprema e fondamentale della Chiesa e del Successore di Pietro in questo tempo. Da qui deriva come logica conseguenza che dobbiamo avere a cuore l’unità dei credenti. La loro discordia, infatti, la loro contrapposizione interna mette in dubbio la credibilità del loro parlare di Dio. Per questo lo sforzo per la comune testimonianza di fede dei cristiani – per l’ecumenismo – è incluso nella priorità suprema. A ciò si aggiunge la necessità che tutti coloro che credono in Dio cerchino insieme la pace, tentino di avvicinarsi gli uni agli altri, per andare insieme, pur nella diversità delle loro immagini di Dio, verso la fonte della Luce – è questo il dialogo interreligioso. Chi annuncia Dio come Amore "sino alla fine" deve dare la testimonianza dell’amore: dedicarsi con amore ai sofferenti, respingere l’odio e l’inimicizia – è la dimensione sociale della fede cristiana, di cui ho parlato nell’Enciclica Deus caritas est.

Se dunque l’impegno faticoso per la fede, per la speranza e per l’amore nel mondo costituisce in questo momento (e, in forme diverse, sempre) la vera priorità per la Chiesa, allora ne fanno parte anche le riconciliazioni piccole e medie. Che il sommesso gesto di una mano tesa abbia dato origine ad un grande chiasso, trasformandosi proprio così nel contrario di una riconciliazione, è un fatto di cui dobbiamo prendere atto.

Ma ora domando: Era ed è veramente sbagliato andare anche in questo caso incontro al fratello che "ha qualche cosa contro di te" (cfr Mt 5, 23s) e cercare la riconciliazione? Non deve forse anche la società civile tentare di prevenire le radicalizzazioni e di reintegrare i loro eventuali aderenti – per quanto possibile – nelle grandi forze che plasmano la vita sociale, per evitarne la segregazione con tutte le sue conseguenze? Può essere totalmente errato l’impegnarsi per lo scioglimento di irrigidimenti e di restringimenti, così da far spazio a ciò che vi è di positivo e di ricuperabile per l’insieme?

Io stesso ho visto, negli anni dopo il 1988, come mediante il ritorno di comunità prima separate da Roma sia cambiato il loro clima interno; come il ritorno nella grande ed ampia Chiesa comune abbia fatto superare posizioni unilaterali e sciolto irrigidimenti così che poi ne sono emerse forze positive per l’insieme. Può lasciarci totalmente indifferenti una comunità nella quale si trovano 491 sacerdoti, 215 seminaristi, 6 seminari, 88 scuole, 2 Istituti universitari, 117 frati, 164 suore e migliaia di fedeli? Dobbiamo davvero tranquillamente lasciarli andare alla deriva lontani dalla Chiesa? Penso ad esempio ai 491 sacerdoti. Non possiamo conoscere l’intreccio delle loro motivazioni. Penso tuttavia che non si sarebbero decisi per il sacerdozio se, accanto a diversi elementi distorti e malati, non ci fosse stato l’amore per Cristo e la volontà di annunciare Lui e con Lui il Dio vivente. Possiamo noi semplicemente escluderli, come rappresentanti di un gruppo marginale radicale, dalla ricerca della riconciliazione e dell’unità? Che ne sarà poi?

Certamente, da molto tempo e poi di nuovo in quest’occasione concreta abbiamo sentito da rappresentanti di quella comunità molte cose stonate – superbia e saccenteria, fissazione su unilateralismi ecc. Per amore della verità devo aggiungere che ho ricevuto anche una serie di testimonianze commoventi di gratitudine, nelle quali si rendeva percepibile un’apertura dei cuori. Ma non dovrebbe la grande Chiesa permettersi di essere anche generosa nella consapevolezza del lungo respiro che possiede; nella consapevolezza della promessa che le è stata data? Non dovremmo come buoni educatori essere capaci anche di non badare a diverse cose non buone e premurarci di condurre fuori dalle strettezze? E non dobbiamo forse ammettere che anche nell’ambiente ecclesiale è emersa qualche stonatura? A volte si ha l’impressione che la nostra società abbia bisogno di un gruppo almeno, al quale non riservare alcuna tolleranza; contro il quale poter tranquillamente scagliarsi con odio. E se qualcuno osa avvicinarglisi – in questo caso il Papa – perde anche lui il diritto alla tolleranza e può pure lui essere trattato con odio senza timore e riserbo.

Cari Confratelli, nei giorni in cui mi è venuto in mente di scrivere questa lettera, è capitato per caso che nel Seminario Romano ho dovuto interpretare e commentare il brano di Gal 5, 13 – 15. Ho notato con sorpresa l’immediatezza con cui queste frasi ci parlano del momento attuale: "Che la libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri. Tutta la legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: amerai il prossimo tuo come te stesso. Ma se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri!" Sono stato sempre incline a considerare questa frase come una delle esagerazioni retoriche che a volte si trovano in san Paolo. Sotto certi aspetti può essere anche così. Ma purtroppo questo "mordere e divorare" esiste anche oggi nella Chiesa come espressione di una libertà mal interpretata. È forse motivo di sorpresa che anche noi non siamo migliori dei Galati? Che almeno siamo minacciati dalle stesse tentazioni? Che dobbiamo imparare sempre di nuovo l’uso giusto della libertà? E che sempre di nuovo dobbiamo imparare la priorità suprema: l’amore? Nel giorno in cui ho parlato di ciò nel Seminario maggiore, a Roma si celebrava la festa della Madonna della Fiducia. Di fatto: Maria ci insegna la fiducia. Ella ci conduce al Figlio, di cui noi tutti possiamo fidarci. Egli ci guiderà – anche in tempi turbolenti. Vorrei così ringraziare di cuore tutti quei numerosi Vescovi, che in questo tempo mi hanno donato segni commoventi di fiducia e di affetto e soprattutto mi hanno assicurato la loro preghiera.
Questo ringraziamento vale anche per tutti i fedeli che in questo tempo mi hanno dato testimonianza della loro fedeltà immutata verso il Successore di san Pietro. Il Signore protegga tutti noi e ci conduca sulla via della pace. È un augurio che mi sgorga spontaneo dal cuore in questo inizio di Quaresima, che è tempo liturgico particolarmente favorevole alla purificazione interiore e che tutti ci invita a guardare con speranza rinnovata al traguardo luminoso della Pasqua.

Con una speciale Benedizione Apostolica mi confermo

Vostro nel Signore

BENEDICTUS PP. XVI

Dal Vaticano, 10 Marzo 2009


www.vatican.va


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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Un ami mi ha condiviso questa riflessione:

La Ragione non dobbiamo mai perderla.
E questa lettera non rende pienamente onore alla realta'. E' inutile negarlo.
Chi ha le travi negli occhi continua a dettar legge come un prepotente. Chi ha la paglia è perseguitato.


la mia risposta:

Il Papa oggi si trova più che mai fra l'incudine e il martello, il martello serve per battere e fa più chiasso dell'incudine che è li ferma a raccogliere i colpi.....
Gesù non è solo l'immagine dell'Agnello condotto al macello, è stato condotto al macello e Pietro non è da meno: "Quo vadis Domine?"
Vado a Roma a farmi ricrocifiggere al posto tuo.....e Pietro capì che doveva restare li, per farsi condurre anche lui al macello...

Vedi amico mio, l'immagine vera è quella che per il mondo è invece scandalo, la Croce....il paradosso e la contraddizione che noi ci portiamo dietro sta proprio in questo "farci condurre al macello" in primis il Papa che NON ha mai sfoderato la spada se non per difendere la cristianità in momenti storici specifici e per nulla adattabili all'oggi  Occhiolino
C'è tradizione e c'è LA TRADIZIONE, non tutta la Tradizione.....stare con Pietro significa essere anche essere segno di contraddizione in tutti i sensi, non solo riguardo alle ideologie del mondo, ma anche  riguardo ai tanti Giuda...agli apostoli che DORMIVANO quando Gesù chiese loro di vegliare....alla solitudine quando tutti i discepoli scomparvero durante il processo e la passione...e sotto la Croce solo uno di loro rimase con Maria sua Madre e le altre Donne....queste Donne coraggiose ma senza "poteri" e senza autorità nella gerarchia, ma che davanti alla Croce e davanti al Sepolcro vuoto sono le vere ed autentiche testimone di questa contraddizione....

Tutto ciò che NON è conforme ai nostri parametri di pensiero e di valutazione, CI DELUDE, ci rammarica.... Occhiolino ci fa sentire inermi, delle volte ci umilia....io immagino sempre la scena di san Tommaso quando le Donne gli vanno a dire che Gesù è risorto...e vedo un Tommaso che prima di dire la famosa frase, si rammarica in cuor suo che Gesù invece di apparirgli direttamente, sia andato ad appirire a delle DONNE  Ghigno quale affronto deve essere stato per quell'epoca in cui il valore della donna era nullo ed ancora la Chiesa non aveva sviluppato una chiara pedagogia ed una chiara catechesi sul loro ruolo nella Chiesa...

La lettera del Papa dunque può lasciarci indubbiamente un pò perplessi...ci sono aspetti che mi è difficile comprendere e che mi sembrano una contraddizione diversa da ciò che dovremo essere per contraddizione....non è dunque, caro amico, la pura intelligenza che potrà farci comprendere come stiamo andando avanti....anzi in questi casi l'intelligenza potrebbe produrre un effetto devastante, la superbia... Occhiolino se vediamo la Chiesa quale è: MADRE, ESSERE dunque  CHE E' VITA E VIVE, palpita, inciampa, dice "NO" come anche "SI"  Occhiolino e che è quel Corpo martoriato condotto al macello...allora si potranno comprendere non soltanto le parole del Papa, ma leggerle soprattutto alla luce di una suplica continua: Signore, salva noi, salva la Tua Chiesa....
In tal modo non perdiamo la ragione, anzi, la rafforziamo verso ciò che c'è di più vero: l'insegnamento del Cristo che dice: ciò che ho fatto io così voglio facciate anche voi!


Fraternamente CaterinaLD

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14/03/2009 22:47
 
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Il servizio del Primato all’unità della Chiesa
VATICANO - LE PAROLE DELLA DOTTRINA

a cura di don Nicola Bux e don Salvatore Vitiello

Settant’anni fa il Cardinale Eugenio Pacelli, romano, veniva eletto Papa con il nome di Pio XII. Allora, nessuno poteva concepire che il Collegio cardinalizio e quello episcopale non dovessero essere “ tutti unanimi del parlare – secondo le parole dell’Apostolo – perché non vi siano divisioni tra voi, ma siate in perfetta unione di pensiero e d’intenti” (1 Cor 1,10).
Anche Giovanni XXIII, nel discorso di apertura del Concilio, poteva parlare di “rinnovata, serena e tranquilla adesione a tutto l’insegnamento della Chiesa nella sua interezza e precisione, quale ancora splende negli atti conciliari da Trento al Vaticano I ”.

Si potrebbe infatti immaginare che la Chiesa, Corpo mistico di Cristo, si esprima in modo disorganico? Si potrebbe concepire l’ecclesiologia di comunione, dimenticando quel che il Concilio ha detto sul Primato (cfr Lumen gentium 13, 22 e 23)?

Allora bisogna che tutti nella Chiesa, Vescovi, sacerdoti e fedeli, riflettano sulle parole miti e argomentate del Santo Padre Benedetto XVI al Seminario Romano Maggiore e all'Angelus di domenica 22 febbraio e facciano cessare le polemiche che "nascono dove la fede degenera in intellettualismo e l’umiltà viene sostituita dall’arroganza di esser migliori dell’altro…questa è una caricatura della Chiesa che dovrebbe essere un cuor solo e un’anima sola". Tali parole manifestano l’esercizio del Primato nella pazienza e ad esso deve corrispondere la docilità umile di tutti i cattolici.

Il Santo Padre sa che il Primato ha una "struttura martirologica" perché "la parola di Dio non è incatenata"(2 Tm 2,9) e questo vale per ogni Papa. Il Primato petrino sta ed opera perché la comunione ecclesiale non può essere distruttiva, anzi il Credo la chiama "cattolica". Conviene andare, in proposito, a quanto ha scritto da teologo, nel testo "Introduzione al Cristianesimo": "un’idea fondamentale è documentabile, sin dal principio, come determinante: con questa parola si allude all’unità di luogo: solamente la comunità unita al Vescovo è ‘Chiesa cattolica’, non i gruppi parziali che, per qualsiasi motivo, se ne sono staccati. In secondo luogo, è qui richiamata l’unità delle Chiese locali fra loro, le quali non possono chiudersi in se stesse, ma possono rimanere Chiesa solo mantenendosi aperte l’una verso l’altra, formando un’unica Chiesa […] nell’aggettivo ‘cattolica’ si esprime la struttura episcopale della Chiesa e la necessità dell’unità di tutti i Vescovi fra loro […]" (ed. Queriniana-Vaticana, 2005, p 335).

Dopo aver osservato che questo non costituisce l’elemento primario, ricorda: "Elementi fondamentali della Chiesa appaiono piuttosto il perdono, la conversione, la penitenza, la comunione eucaristica e, a partire da questa, la pluralità e l’unità: pluralità delle Chiese locali, che però restano Chiesa unicamente tramite il loro inserimento nell’organismo dell’unica Chiesa […]. La costituzione episcopale compare sullo sfondo come un mezzo di questa unità […]. Un ulteriore stadio, sempre nell’ordine dei mezzi, sarà poi costituito dal servizio del Vescovo di Roma. Una cosa è chiara: la Chiesa non va pensata partendo dalla sua organizzazione, ma è l’organizzazione che va compresa partendo dalla Chiesa. Tuttavia è al contempo chiaro che, per la Chiesa visibile, l’unità visibile è qualcosa di più della semplice ‘organizzazione’. […] Solo in quanto ‘cattolica’, ossia visibilmente una pur nella molteplicità, essa corrisponde a quanto richiede il Simbolo. Nel mondo dilaniato e diviso la Chiesa deve esser segno e strumento di unità, deve superare barriere e riunire nazioni, razze e classi. Sino a che punto anche in questo compito essa sia venuta meno, lo sappiamo assai bene […] nonostante tutto…invece di limitarci a denigrare il passato, dovremmo soprattutto mostrarci pronti ad accogliere l’appello del presente, cercando di non limitarci a confessare la cattolicità del Credo, ma di realizzarla nella vita del nostro mondo dilaniato"
(Ivi, p 336-337).


© Copyright (Agenzia Fides 12/3/2009)


[SM=g1740722]

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15/03/2009 11:41
 
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Vi condivido ulteriori riflessioni....

in un blog una persona ha scritto:




E' grave che il Santo Padre, ponga come condizione essenziale il riconoscimento pieno del CVII per giungere alla Comunione.


********************

la mia risposta....

Per amor del vero caro ***** la Lettera del Papa toglie ogni dubbio, e la stessa risposta (quanti l'hanno letta?) che abbimo postato di mons. Fellay lo conferma con serenità....non vi è alcun ultimatum nè un ricatto nè una scelta INCONDIZIONATA per la FSSPX e ne seguiamo i fatti che sono questi:

A giugno 2008 Tornielli fece uscire in antprima un presunto ULTIMATUM del Papa alla FSSPX con i 5 famosi punti INDISCUTIBILI, scoppiò il solito putiferio e la lettera si rivelò UNA BUFALA il Papa NON ha mai chiesto la accettazione incondizionata del Concilio perchè, come ha confermato Fellay il Concilio in quanto tale NON è mai stato messo in discussione.... Occhi al cielo

chi mette in discussione il Concilio in quanto tale sono i SEDEVACANTISTI i quali NON riconoscono neppure la validità dei Pontefici da Giovanni XXIII in poi....
la FSSPX NON rientra in questo settore  Occhiolino
è stata l'ignoranza in materia di non poca gente che li ha catalogati in questo ambiente...
ma non Ratzinger che con Giovanni Paolo II segue da 20 anni personalmente il percorso di mons. Lefebvre e dei suoi, ed è inoltre studioso di Liturgia da 40 anni!

Nella Lettera dunque il Papa NON dice affatto che la FSSPX deve accettare TUTTO il Concilio SENZA ALCUNA REPLICA, al contrario, il Papa dice che la Commissione Ecclesia Dei ora che la scomunica è stata revocata e dunque non vi è più la questione disciplinare, sarà affiancata dalla Congregazione per la FEDE per DISCUTERE CON LA FSSPX LE QUESTIONI DOTTRINALI PIU' SPINOSE che hanno portato a questa spaccatura... Occhiolino

Una di queste spaccature fu la Messa san Pio V che venne VIETATA ALLA FSSPX (ed ai cattolici tradizionali che furono dentro la Chiesa messi a tacere ed emarginati) alla fine degli anni '70...
il Papa ha dimostrato con il MP Summorum Pontificum che quel divieto a celebrare quella Messa FU UN ABUSO e fu uno dei motivi per cui si arrivò alla spacctura con coloro che avevano a cuore questa Liturgia...

Dunque il Papa con il MP HA DATO RAGIONE ALLA FSSPX che difese la legittimità di quella Messa... Occhiolino


Ora restano da chiarire tanti altri aspetti dottrinali che in verità il Papa stesso ha risolto con la Sacramentum Caritatis, ma purtroppo NON trova vescovi compatti ad applicare le direttive che sta emanando...come il ritorno dell'inginocchiatoio il quale attenzione, NON è obbligatorio per i fedeli, ma è UN DIRITTO PER LORO TROVARLO DURANTE LA COMUNIONE in modo che chi vuole, possa prendere la comunione in ginocchio... Occhi al cielo

Due giorni fa il Papa, e lo abbiamo postato, ha detto chiaramente alla Congregazione per il Culto, di RIPORTARE TUTTE LE COMUNITA' E TUTTI I FEDELI AD UNA CONOSCENZA EUCARISTICA LEGATA ALLA TRADIZIONE DELLA CHIESA....segno evidente che il Papa sta anche anticipando le future discussioni dottrinali che si dovranno affrontare con la FSSPX per giungere, PAROLE TESTUALI DEL PAPA, "AD UN ACCORDO" con questo gruppo...

La Lettera del Papa ai vescovi così è davvero una bomba per alcuni aspetti:

1) è l'espressione viva di una misericordia APOSTOLICA unica nel suo genere, nella quale il Papa VUOLE ricordare ai Vescovi che egli non può governare DA SOLO la Chiesa...ma che NON si può govrnare la Chiesa senza la comunione con Pietro in totos a cominciare dall'applicazione delle Norme della Santa Sede...e dalle scelte del Pontefice...

2) il Papa indietro NON torna: la FSSPX ha tutto il diritto di contestare alcune scelte SBAGLIATE avvenute con una falsa interpretazione dei testi del Concilio e questo il Papa lo disse e lo riconobbe in quel dicembre 2005 con il suo stupendo discorso alla Curia...

3) nella Lettera il Papa sottolinea l'urgenza di questo momento storico per il quale la Chiesa pone come priorità ogni possibile apertura per unire quanto più possibile TUTTI I CRISTIANI...è il momento che stiamo vivendo che lo esige, segno evidente che "domani" (forse fra 10,20 o 30 anni) le scelte prioritarie della Chiesa potrebbero cambiare...in fondo ad ogni giorno basta la sua pena...e il Papa sta dimostrando di vivere con passione la sua... Sorriso

4) Con questa Lettera il Papa sta chiedendo di farla finita con questo ODIO VERSO TUTTO CIO' CHE PORTA ALLA TRADIZIONE....egli non nasconde questo attacco alla sua Persona accusata (DALL'AMBIENTE CATTO-PROGRESSISTA) a tal punto da vedere in lui un nostalgico tradizionalista negatore esso stesso del Conclio... il Papa, ribadisce, sta solo DIFENDENDO LA VERITA'...e riconosce (descrivendone i numeri) la vera VOCAZIONE dei sacerdoti e dei fedeli e dei religiosi legati alla FSSPX...per i quali il Papa si sente responsabile perchè senza comunione questi fratelli e sorelle, dice, "CHE FINE FARANNO"?
ergo il Papa CERCA CON LORO LA COMUNIONE PIENA per la qual cosa nel comunicato di mons. Fellay c'è un chiaro RINGRAZIAMENTO...

Cerchiamo così di fare un ulteriore passo in avanti:

La Lettera del Papa ai Vescovi stabilisce con mons. Fellay che NON è più in discussione il Concilio in quanto tale e che ora si dovrà discutere delle Dottrine scaturite da una lettura FALSA dei Documenti conciliari...

 Occhiolino



[SM=g1740739] [SM=g1740733]
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31/03/2009 00:18
 
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Giorgio Israel: Pretendo il mea culpa da chi diceva che Benedetto XVI non è amico degli ebrei

La straodinaria lettera del Papa sul caso dei lefebvriani dà ragione a chi, per esempio Jacob Neusner, ha sempre sostenuto che è proprio grazie a uomini come Ratzinger che il dialogo fra ebrei e cristiani vive e prospera.
Un Ebreo dunque dice ciò che molti vescovi e sacerdoti non hanno saputo dire su questa Lettera....meditiamo gente, meditiamo...[SM=g1740733]

di Giorgio Israel

È un documento davvero straordinario e destinato a passare alla storia la lettera di Benedetto XVI ai vescovi della Chiesa cattolica circa la remissione della scomunica ai quattro presuli consacrati dall’arcivescovo Lefebvre.

Lo è in primo luogo per la chiarezza assoluta con cui viene esaminato il caso in tutti i suoi risvolti, anche a costo di affrontare la polemica e pronunziare giudizi crudi. Non un dettaglio è trascurato (persino il ruolo di internet), non un aspetto è lasciato in ombra, in particolare per quel riguarda le implicazioni scandalose del caso Williamson derivanti dalle sciagurate dichiarazioni negazioniste sulle camere a gas. Ma lo è soprattutto per il tono appassionato con cui il Papa ha messo a nudo il suo animo e le intenzioni che lo hanno guidato nell’affrontare questa vicenda. Ne discende che aveva ragione chi, nelle tempeste di questi ultimi mesi, ha sostenuto che i rapporti ebraico-cristiani non erano compromessi in alcun modo dalle scelte di Benedetto XVI.

Il rabbino Jacob Neusner, con le cui tesi il Papa aveva intessuto un dialogo teologico nel suo Gesù di Nazaret, ha sostenuto, al contrario, che è proprio grazie a uomini come lui che il dialogo ebraico-cristiano vive e prospera. Egli ha riconosciuto la bontà delle intenzioni del Papa, osservando che il nuovo corso iniziato con il Concilio «è stato riaffermato nella risposta che con cuore puro il Papa ha dato alla mia conversazione immaginaria inserita nel mio libro». È un corso che potrà avere intoppi, ha dichiarato Neusner, ma è irreversibile. E la stragrande maggioranza dell’ebraismo mondiale ha aderito a tesi simili riprendendo in pieno il cammino del dialogo.

È anche la tesi sostenuta ripetutamente da chi scrive, insieme ad altri ebrei italiani come Guido Guastalla, e che ci è costata una serie di nutriti lanci di pietre. Sarebbe preferibile non parlare di casi personali in una rubrica, ma ci sono circostanze in cui si ha diritto a togliersi dalle scarpe qualcuna di quelle pietre. Quando sostenemmo che la nuova preghiera del Venerdì santo non doveva essere intesa come un arretramento verso una logica di conversione forzata qualcuno ci trattò come “ebrei di corte”. Quando venne avanzata la proposta di interrompere il dialogo ebraico-cristiano manifestammo in modo pacato il nostro dissenso. Apriti cielo. Alcuni esponenti dell’ebraismo italiano, presumendo di avere un’autorità dogmatica, ci attaccarono in modo violento, nello stile “taci tu, ché soltanto io ho il diritto di parlare”. Poi venne il caso Williamson e fummo tra i primi a chiedere il massimo di chiarezza, certi che sarebbe venuta proprio dal Papa, proprio perché eravamo convinti della trasparenza delle sue intenzioni.

Allora è venuta una scarica di legnate da parte di alcuni cattolici convinti che per dimostrare di essere tali bisogna eccedere in zelo e mostrarsi fanatici: presuntuosi e arroganti ebrei che “attaccano” il Papa, è stato detto, proprio a chi lo aveva difeso da attacchi infondati.

Ora, dopo che proprio dal Papa è venuta la conferma più autorevole che era giusto quanto venivamo dicendo e che i fatti hanno dimostrato quanto fossero ingiuste e detestabili quelle scariche di pietre provenienti da entrambi i lati, sarebbe naturale ricevere delle sentite scuse. Ne è venuta una soltanto, e da una persona che ha avuto un ruolo secondario nei lanci. Troppo poco. Quantomeno ci si attenderebbe un decoroso silenzio. Ma, si sa, un bel tacer non fu mai scritto. Difatti, alcuni dei protagonisti di quelle incivili aggressioni si stanno attivando per proporsi come protagonisti del rinnovato dialogo ebraico-cristiano… No comment.

 [consoliamoci: non siamo solo noi cattolici ad aver bisogno di una bella pulizia all'interno della nostra gerarchia]

 Tempi, 24 marzo 2009, via
Papa Ratzinger blog
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lunedì 13 aprile 2009

Tradizione o riscoperta della Verità ?




Dal sito ufficiale della FSSPX ritengo utile quanto segue per evitare di lasciarci, noi stessi, catturare dalle notizie di stampa le quali sono spesso strumentalizzate, manipolate e CONTRO il desiderio stesso del Pontefice a favore della FSSPX...  Occhiolino

di Daniele Nigro

"Ogni Cattolico è, per il fatto stesso di essere cattolico, uomo della Tradizione. Infatti il termine tradizione viene dal latino “tradere”, che significa tramandare" [1]. Con questo pensiero di San Pio X Mons. Bernard Fellay delinea il significato profondo del movimento interiore che è stato alla base della frattura tra la Chiesa di Roma e Mons. Marcel Lefebvre. Aggiungendo che la Chiesa ha come scopo quello di tramandare ciò che ha ricevuto.

Credo che da questo concetto si debba partire per comprendere lo spirito del libro-intervista che, grazie anche all’acutezza dei suoi autori, riesce, allargando il respiro della questione e non soffermandosi solo sugli aspetti della celebrazione liturgica, a rivelarci profondità e contraddizioni della Fraternità San Pio X.
Partendo infatti dal presupposto che Tradizione non significa replicare il passato, ma tramandare lo spirito che lo ha animato, Fellay cerca di far emergere proprio questo “spirito”.

Colpisce subito la fermezza del superiore della Fraternità nell’affermare che né lui, né Mons. Lefebvre si siano mai sentiti “lefebvriani”, ma solo ed esclusivamente cattolici; cioè appartenenti a quella Chiesa che << è Nostro Signore Gesù Cristo il quale si è unito alle anime per le quali ha versato il proprio sangue sulla Croce >>[2]. Anche se, a differenza di quello che fece San Francesco subendo umiliazioni e affrontando grandi difficoltà, hanno preferito collaborare alla “santificazione” della Chiesa dal suo esterno almeno dal momento della consacrazione dei vescovi, atto sicuramente necessario per la continuità della Fraternità, ma che di fatto, a seguito della scomunica, li ha posti fuori dalla “comunità”.

Sicuramente vanno riconosciuti meriti alla chiara esposizione di Mons. Bernard Fellay, che orienta l’attenzione su argomenti e problemi per troppo tempo accantonati, dando soluzioni coraggiose.

Di estrema attualità é la teoria sulla responsabilità personale dei vescovi per le anime a loro affidate da Dio, oggi troppe volte mistificata da una millantata collegialità che ne ostacola il ministero pastorale e il restringimento della loro visione indirizzata esclusivamente alla terra sottovalutando il fatto che "volgendo lo sguardo verso il Cielo si troverebbe più facile la soluzione ai problemi terren"[3].
Si potrebbe cioè asserire con Fellay che l’uomo di oggi, sia egli fedele o consacrato, non volge più lo sguardo verso il Cielo; e ciò che la Chiesa dovrebbe tornare a dire all’uomo è quello che ha sempre detto in tutti i tempi: "Bisogna tornare a ricordare agli uomini la Croce "[4]. Bisogna tornare ad insegnare i comandamenti e spiegare che servono a santificarsi.

Lo sguardo verso il Cielo, però, non deve farci dimenticare che siamo nel mondo e se è vero che Gesù stesso ci ha detto che la via semplice e larga del mondo porta alla dannazione, non ha esitato a venire nel mondo, a farsi giudicare e mettere a morte da questo stesso mondo per redimerci e per insegnarci la via stretta del Cielo. Non dobbiamo rinunciare a camminare nel mondo e a mischiarci con esso, perché solo così potremo adempiere alla missione che Cristo stesso ci ha affidato, che è quella di “tramandare”, di far scoprire a tutti gli uomini che accogliere Colui che è tutto Amore non toglie niente alla nostra vita, ma la arricchisce e la trasforma in qualcosa di profondo e meraviglioso.

Risulta oltretutto interessante rilevare come questo scarso slancio verso la Croce si è manifestato visivamente nella liturgia con la progressiva emarginazione di questa dall’altare. Il celebrante, l’uomo del sacrificio, durante la celebrazione non guarda più alla Croce non è più rivolto verso il segno della nostra redenzione, ma si sostituisce ad essa catalizzando su di sè anche l’attenzione dei fedeli. Forse è vero che oggi il sacerdote non si senta più uomo del sacrificio, ma solo uomo della “Parola”, disattendendo lo stesso spirito del Concilio che nella Costituzione Lumen Gentium dice testualmente che i presbiteri "Esercitano il loro sacro ministero soprattutto nel culto eucaristico o sinassi, dove, agendo in persona di Cristo [103] e proclamando il suo mistero, uniscono le preghiere dei fedeli al sacrificio del loro capo e nel sacrificio della messa rendono presente e applicano fino alla venuta del Signore (cfr. 1 Cor 11,26), l’unico sacrificio del Nuovo Testamento, quello cioè di Cristo, il quale una volta per tutte offrì se stesso al Padre quale vittima immacolata (cfr. Eb 9,11-28) [104] ".

E proprio il tema della liturgia, al quale viene semplicisticamente ricondotto il pensiero della Fraternità San Pio X, acquista uno spessore interessante nel corso dell’intervista. Esso permea tutto il libro e riaffiora costantemente, facendo comprendere come la liturgia non sia una mera rappresentazione di un evento, non sia un compartimento a tenuta stagna, ma il momento in cui l’intera esperienza cristiana prende forma. L’ideale diventa così fattuale. Fellay partendo dalla testimonianza di un americano ricorda come "che accade nella messa è un mistero "[5]. È vero che mai le parole saranno adeguate per esprimere una realtà così grande e meravigliosa, ed infatti ritengo che il problema non sia la lingua nella quale si scelga di celebrare il rito.

Il latino, certo, rende meglio il carattere di universalità della Chiesa; una Chiesa che non è chiesa di Francia, d’Italia, di Germania, ma che comprende tutti i redenti dal Sangue Prezioso dell’Agnello. La questione, invece, si gioca sul contenuto e sulla dignità della celebrazione. Una liturgia composta, dignitosa, bella, aiuta qualsiasi individuo ad avvicinarsi a Dio e ad iniziarsi al mistero più di ogni dotta disquisizione mistagogica.

Compito della Chiesa deve essere quello di indicare il vero significato della liturgia e della partecipazione ad essa, a catechizzare la liturgia stessa. Elemento di netta distinzione con gli altri culti è la ferma certezza che quella particola e quel vino sono il Corpo ed il Sangue di Cristo. Non si mette in scena una rappresentazione, ma si verifica ancora una volta il più grande dono che Cristo ha fatto all’uomo: il sacrificio di Se stesso per la sua salvezza. Solo recuperando il profondo significato della liturgia la sua forma potrà tornare ad essere "il Cielo sulla terra"[6].

I temi del peccato, del demonio e dell’inferno, troppo spesso eliminati dalle catechesi e dalle omelie e ridotti a mere superstizioni per ignoranti e creduloni, vengono esaminati con equilibrio e coraggio facendo riscoprire il profondo senso della riconciliazione con Dio ed il significato di peccato che si sostanzia nel "contravvenire al dovere fondamentale di ricambiare l’amore di Dio"[7], al quale segue il giusto castigo liberamente scelto dall’uomo.

In questa ottica anche l’uso della libertà ritorna ad avere il suo significato autentico: "la libertà non può essere esercitata nella scelta del fine, ma nella scelta dei mezzi per raggiungere il fine"[8]. Dio non ha certo fatto il dono della libertà all’uomo perché potesse dannarsi. La libertà viene consegnata all’uomo affinché egli possa giungere alla Verità. Possa cioè intraprendere con coscienza e vera adesione il cammino che conduce al fine ultimo: la santità; così la Lumen Gentium > (1 Ts 4,3; cfr. Ef 1,4) >>. L’uomo ha la possibilità di aderire alla chiamata del Signore fino al “calar del giorno”.

Non importa per quanto tempo egli viva la Verità. Importa il suo totale abbandono alla Verità, poiché solo questo lo trasforma e rigenera, solo questo lo rende figlio e quindi partecipe dell’eredità di Cristo. Al “calar del giorno” la scelta non può più essere mutata. Ed a riguardo Fellay ricorda che "mentre in vita l’uomo può dirigersi verso Dio o allontanarsi da Lui, dopo la morte l’anima rimane fissa nella sua decisione per l’eternità… a quel punto non potrà mutare la sua scelta sulla quale verrà giudicata"[9].

L’accenno all’ecumenismo e ai suoi cattivi frutti risulta alquanto riduttivo, poiché se è vero che in alcuni sia passata l’idea di ecumenismo come uguaglianza e pari dignità delle varie religioni, Benedetto XVI, come già faceva Giovanni Paolo II, ha più volte ribadito, con espressioni certo differenti dettate dai tempi, ciò che in sostanza disse Pio IX nel Concistoro del 1861 e che Fellay ricorda: "C’è una sola religione vera e santa, fondata ed istituita da Cristo Nostro Signore. Madre e nutrice delle virtù, distruttrice dei vizi, liberatrice delle anime, indicatrice della vera felicità. Essa si chiama: Cattolica, Apostolica, Romana"[10]. Ne tale verità può portare a chiudersi e ad isolarsi ostacolando quel confronto che serve a fare aprire i cuori alla Verità.

A Benedetto XVI dobbiamo tutti riconoscenza perché con il suo gesto di amore incondizionato ci ha insegnato concretamente che cosa è la Chiesa e che cosa è la fede Cattolica, e cioè qualcosa che unisce e non che divide; dimostrando oltremodo che padre è colui che fa festa e uccide il vitello grasso perché il figlio che era perduto è stato ritrovato.

È proprio vero, a tutti gli uomini di oggi " serve la Verità, che si trova solo nella Chiesa "[11].


[1] GNOCCHI-PALMARO, Tradizione Il vero volto, p.49.
[2] Ibidem, p. 39.
[3] Ibidem, p. 70.
[4] Ibidem, p. 60.
[5] Ibidem, p. 94.
[6] N.BUX, La Riforma di Benedetto XVI. La liturgia tra innovazione e tradizione, Casale M.,2008, p 17.
[7] GNOCCHI-PALMARO, Tradizione Il vero volto, p. 137.
[8] Ibidem, p. 127.
[9] Ibidem, p. 142.
[10] Ibidem p. 101.
[11] Idem p. 150.


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L'ho letto già due volte...[SM=g1740722] .lo consiglio a chiunque voglia davvero conoscere il vero volto della FSSPX, le speranze che ci uniscono e i nodi che lo stesso Pontefice sta portando al pettine[SM=g1740722]

Lo consiglio anche per evitare, chi vuole parlare della FSSPX, di esprimersi in modo inesatto o solo per sentito dire...e si scoprirà che la FSSPX è davvero molto più unita al Pontefice di quanto lo siano certe comunità che si dicono cattoliche dentro la Chiesa...

I problemi ci sono è vero, ma proprio per questo l'utilità di questo libro sta nel fatto che esso aiuta a capire quali essi siano realmente...e di quanto sia indispensabile la mediazione portata avanti dal Papa...

E' un libro che può interessare solo a chi ama davvero la verità...[SM=g1740733]


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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“La remissione della scomunica non è l’ultima parola”


Intervista a don Mauro Gagliardi, Ordinario di Teologia presso la “Regina Apostolorum”


di Antonio Gaspari

ROMA, giovedì, 29 gennaio 2009 (ZENIT.org).- Con i comunicati letti al termine dell’Udienza generale di questo mercoledì,  Benedetto XVI sembra aver avviato a risoluzione la discussione sulle tesi negazioniste sostenute da uno dei quattro Vescovi della Fraternità sacerdotale San Pio X, cui il Santo Padre ha recentemente rimesso la scomunica del 1988.

È possibile, perciò, interrogarsi sul significato ecclesiale della decisione del Papa.

Ne abbiamo parlato con don Mauro Gagliardi, Ordinario di Teologia presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum di Roma e Consultore dell’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice.

Prof. Gagliardi, sembra che la discussione sulle tesi negazioniste di mons. Williamson si stia avviando a felice conclusione.

Don Mauro: Me ne rallegro molto. In effetti, quella pur importante discussione correva il rischio di farci perdere di vista l’aspetto centrale della decisione del Santo Padre di rimettere la scomunica ai quattro Vescovi della Fraternità San Pio X.

In che cosa consiste secondo lei questo aspetto centrale?

Don Mauro: Direi che la decisione di Benedetto XVI ha un’importanza storica molto grande. Questo gesto di paterna misericordia del Papa è paragonabile ad altri già compiuti dai suoi predecessori. Penso, in particolare, alla reciproca abolizione delle scomuniche tra Roma e Costantinopoli, avvenuta ad opera di Paolo VI e di Atenagora I, il 7 dicembre 1965; o anche alla Dichiarazione congiunta a riguardo della dottrina della giustificazione, firmata dal Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani e dalla Federazione Luterana Mondiale il 31 ottobre 1999.

Sebbene in questo secondo caso non si sia trattato di una revoca delle scomuniche, la Dichiarazione afferma: «Le condanne dottrinali del XVI secolo, nella misura in cui esse si riferiscono all’insegnamento della giustificazione, appaiono sotto una nuova luce: l’insegnamento delle Chiese luterane presentato in questa Dichiarazione non cade sotto le condanne del Concilio di Trento. Le condanne delle Confessioni luterane non colpiscono l’insegnamento della Chiesa cattolica romana così come esso è presentato in questa Dichiarazione» (n. 41).

Nei casi che lei cita, tuttavia, si è trattato di un atto concordato tra due parti, mentre la decisione di Benedetto XVI è unilaterale.

Don Mauro: È vero: lo ha affermato il Santo Padre in persona e lo ha riconosciuto la stessa Fraternità San Pio X, che pure aveva chiesto la remissione della scomunica. L’unilateralità della decisione del Papa mostra che, nel caso della Fraternità, non si tratta di un accordo tra Chiesa cattolica e ortodossa, o tra Chiesa cattolica e Comunità luterana.

I cosiddetti “lefebvriani” erano e sono di fede cattolica, anche se la loro posizione nella Chiesa deve essere ancora ben chiarita. Il carattere peculiare di questa remissione di scomunica è dovuto alla diversa posizione della Fraternità nei confronti della Chiesa cattolica rispetto alla posizione di ortodossi e protestanti.

Nonostante questa precisazione, resta la continuità, nella decisione di Benedetto XVI, sia con il Concilio Vaticano II, che con i pontificati dei suoi predecessori. Non si può vedere in questo gesto misericordioso del Santo Padre un segno di discontinuità con il Concilio: il Vaticano II, infatti, è stato il primo e finora unico Concilio ecumenico che ha deciso di non anatematizzare alcuna dottrina erronea, né di scomunicare alcuno.

Per quanto riguarda il Pontefice che scomunicò i quattro Vescovi “lefebvriani”, bisogna ricordare che Giovanni Paolo II fece tutto il possibile per convincere mons. Lefebvre a non procedere alle ordinazioni e che l’allora Cardinal Ratzinger ebbe un ruolo centrale in quest’opera di dialogo. Il tempo porterà gli storici della Chiesa ad un giudizio sereno ed oggettivo sugli avvenimenti del 1988, tuttavia due punti mi sembrano difficilmente contestabili.

Il primo è che Giovanni Paolo II non poteva non procedere alla scomunica, che d’altro canto in questi casi è automatica (cf. CJC can. 1382). Il secondo è che lo stesso Pontefice il giorno dopo la scomunica istituì la Commissione Ecclesia Dei: segno della sua volontà di fare tutto il possibile per ristabilire al più presto la comunione visibile con questi fratelli separati.

Cosa si potrebbe dire a quei cattolici che si mostrano, se non contrari, almeno perplessi dinanzi alla remissione della scomunica?

Don Mauro: Direi innanzitutto che non devono temere conseguenze negative da un atto di vero amore e di paterna misericordia. Questa remissione di scomunica non mette in discussione né l’operato di Giovanni Paolo II, né i documenti del Concilio Vaticano II, anzi ne rappresenta l’esito naturale. In fondo, Benedetto XVI sin dall’inizio del suo pontificato aveva affermato di riconoscere come suo «impegno primario quello di lavorare senza risparmio di energie alla ricostituzione della piena e visibile unità di tutti i seguaci di Cristo».

E aveva aggiunto che «per questo non bastano le manifestazioni di buoni sentimenti. Occorrono gesti concreti che entrino negli animi e smuovano le coscienze, sollecitando ciascuno a quella conversione interiore che è il presupposto di ogni progresso sulla via dell’ecumenismo» (Primo messaggio al termine della concelebrazione eucaristica con i Cardinali elettori in Cappella sistina, 20 aprile 2005).

E, nella Lettera che accompagna il Summorum Pontificum, aveva precisato con coraggio: «Guardando al passato, alle divisioni che nel corso dei secoli hanno lacerato il Corpo di Cristo, si ha continuamente l’impressione che, in momenti critici in cui la divisione stava nascendo, non è stato fatto il sufficiente da parte dei responsabili della Chiesa per conservare o conquistare la riconciliazione e l’unità; si ha l’impressione che le omissioni nella Chiesa abbiano avuto una loro parte di colpa nel fatto che queste divisioni si siano potute consolidare. Questo sguardo al passato oggi ci impone un obbligo: fare tutti gli sforzi, affinché a tutti quelli che hanno veramente il desiderio dell’unità, sia reso possibile di restare in quest’unità o di ritrovarla nuovamente».

La decisione di Benedetto XVI esprime esattamente questa linea, dalla quale nessuno deve trarre motivi di preoccupazione, ma al contrario di intima gioia e soddisfazione, gli stessi sentimenti con cui furono accolti i gesti di Paolo VI e del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani. Non mi risulta, infatti, che in quei casi si siano alzate voci preoccupate; perciò non ha senso che si alzino ora. È chiaro altresì che la remissione della scomunica non è l’ultima parola, perché c’è ancora un cammino da fare.

In che consiste il cammino cui lei fa riferimento?

Don Mauro: Non è possibile rispondere a questa domanda in modo completo e breve. Mi limito solo a dire che la Fraternità San Pio X può offrire alla Chiesa un contributo importante nell’applicazione dell’«ermeneutica della continuità» che deve applicarsi ai documenti del Vaticano II.

La Fraternità deve riconoscere l’autorità propria di questo concilio ecumenico. Essa può contribuire a che il Concilio sia sempre ben compreso e ben applicato nella vita della Chiesa. I “lefebvriani” hanno una spiritualità ed un carisma che può costituire una ricchezza per la vita della Chiesa tutta. Ciò avverrà solo se tutti sapranno essere larghi nel proprio cuore (cf. 2Cor 6,11-13), come dimostra di essere Benedetto XVI.


Fraternamente CaterinaLD

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31/01/2014 08:50
 
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   da Rorate Coeli


Abbiamo a lungo considerato la Lettera ai vescovi sulla remissione della scomunica dei vescovi della Fraternità San Pio X come il più bello dei documenti del pontificato Ratzinger, e noi abbiamo spesso citato da esso, anche a tempo di abdicazione .E non è perché si tratta di una questione che è vicino al cuore di ogni tradizione cattolica, ma perché è un documento profondamente amorevole e commovente, che è quasi un testamento allo spirito di se stesso Benedetto XVI, il Papa che è stato più perseguitato da opinionisti (lo stesso che ora loda il suo successore all'infinito) dal San Pio X.
 
Ora apprendiamo dalle labbra della Santa Sede portavoce lui, padre Federico Lombardi, SJ, che il documento è stato completamente scritto dallo stesso Benedetto XVI, una grande rarità nel papato moderno. Quando si riceve un premio a Toledo, in Spagna, il Lunedi, 27 gennaio questo è ciò che Lombardi aveva da dire (audio conferenza in spagnolo -  file mp3 ):
 
Eppure mi ricordo ancora di più la lettera ai vescovi dopo la discussione sulla remissione della scomunica ai vescovi lefebvriani e la vicenda Williamson. Si tratta di un documento in cui il Papa ha risposto con grande umiltà, ma anche con la vera passione evangelica, le critiche che erano state sollevate. Un documento della più alta nobiltà spirituale. Ricordo che, quando Abp. [. Poi Mons.] Gänswein mi ha parlato prima della sua pubblicazione, mi ha detto che la lettera era del tutto dalla mano del Papa, e che ha mostrato - non posso dimenticarlo - Ratzinger in uno stato puro. Vale la pena di leggere questa lettera, che è molto caratteristico. E 'ancora per me uno dei documenti più espressivi del Pontificato di Papa Benedetto XVI e del suo spirito.
 
Nel febbraio 2012 , abbiamo fatto un post speciale in onore di Benedetto XVI, citando solo dalla lettera, e vorrei proporlo alla vostra riflessione ancora: pura bellezza in prosa, ex corde Benedicti.





Ecco ora il momento favorevole,! ecco ora il giorno della salvezza . Diamo senza offesa per nessuno, che il nostro ministero non può essere imputato al contrario, cerchiamo di comportarci in tutte le circostanze come ministri di Dio,  in gran pazienza nelle tribolazioni, in difficoltà, in angustie ... "
 
Alcuni gruppi, invece, accusavano apertamente il Papa di voler tornare indietro, a prima del Concilio: come risultato, una valanga di proteste si è scatenata, la cui amarezza rivelava ferite risalenti più profonde di quelle del momento presente. 

________________________________
"... In strisce, in prigionie, in tumulti, nelle fatiche, nelle notti insonni, nei digiuni, nell'innocenza, nella conoscenza, in-lunghe sofferenze ... "

Sono rimasto rattristato dal fatto che anche cattolici, che, dopo tutto, avrebbero avuto una migliore conoscenza della situazione, il pensiero hanno dovuto attaccarmi con aperta ostilità .


________________________________
"... In bontà, nello Spirito Santo, amore inalterato; nella parola della verità ... "

ome di coloro che si segnalano come grandi difensori del Concilio deve anche ricordare che il Vaticano II abbraccia l'intera storia dottrinale della Chiesa. Chi vuole essere obbediente al Concilio, deve accettare la fede professata nel corso dei secoli e non può tagliare le radici di cui l'albero vive.


________________________________
"... nella potenza di Dio,  con le armi della giustizia a destra ea sinistra ... "

Era tale provvedimento necessario? Era davvero una priorità? Non sono le altre cose forse più importante? Naturalmente ci sono cose più importanti e urgenti. ... Ai nostri giorni, in cui in vaste zone della terra la fede è nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento, la priorità principale è di rendere Dio presente in questo mondo e per mostrare agli uomini e alle donne la via al Signore. Non un qualsiasi dio, ma quel Dio che ha parlato sul Sinai , a quel Dio il cui volto riconosciamo nell'amore che preme "sino alla fine" (cfr Gv 13,1) - in Gesù Cristo crocifisso e risorto . Il vero problema in questo nostro momento della storia è che Dio sparisce dall'orizzonte degli uomini e che con lo spegnersi della luce proveniente da Dio, l'umanità ha smarrito l'orientamento, i cui effetti distruttivi ci si manifestano sempre .  Possiamo noi semplicemente escluderli, come rappresentanti di un gruppo marginale radicale, dalla ricerca della riconciliazione e dell'unità ? Che poi sarebbe stato di loro? ... [ S ] hould non la grande Chiesa permettersi di essere anche generosa nella consapevolezza del lungo respiro, nella consapevolezza della promessa fatta a lei?  Non dovremmo come buoni educatori essere capaci anche di non badare a diverse colpe e fare di ogni sforzo di aprire prospettive più ampie? E non dobbiamo forse ammettere che alcune cose spiacevoli sono anche nell'ambiente ecclesiale è emersa?
 
________________________________
"... Come dolorosa eppur sempre allegri , come poveri eppure arricchendo molti ... "

A volte si ha l'impressione che la nostra società ha bisogno di avere almeno un gruppo al quale non riservare alcuna tolleranza mostrata, che si può tranquillamente scagliarsi con odio. E se qualcuno osa avvicinarglisi - in questo caso il Papa - perde anche lui il diritto alla tolleranza e può pure lui essere trattato con odio senza timore e riserbo .


________________________________
"... Come non avendo nulla ancora in possesso di tutte le cose . " 
San Paolo (2Cor vi, 1-10) 
Lettera per la Prima Domenica di Quaresima

Maria ci insegna la fiducia. Ella ci conduce al Figlio, nel quale ognuno di noi può mettere la nostra fiducia.Egli sarà la nostra guida - anche in tempi turbolenti. E quindi vorrei offrire grazie di cuore a tutti i numerosi Vescovi che mi hanno recentemente offerto segni commoventi di fiducia e di affetto e soprattutto mi hanno assicurato la loro preghiera. I miei ringraziamenti vanno anche a tutti i fedeli che in questi giorni mi hanno dato testimonianza della loro fedeltà immutata verso il Successore di san Pietro. Il Signore protegga tutti noi e guidi i nostri passi sulla via della pace. Questa è la preghiera che sgorga spontaneo dal cuore all'inizio di questa Quaresima, tempo liturgico particolarmente favorevole alla purificazione interiore, quella che invita tutti noi a guardare con rinnovata speranza alla luce che ci attende a Pasqua.
 
Benedetto XVI
Lettera ai Vescovi della Chiesa cattolica
sulla remissione della scomunica dei quattro Vescovi
10 marzo 2009








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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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