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Vescovi del Kenya scrivono ai Fedeli: i preti disertori e INFEDELI NON SONO PIU' CATTOLICI!

Ultimo Aggiornamento: 30/04/2010 19:06
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19/06/2009 14:17
 
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Una bella differenza con l'atteggiamento dei vescovi austriaci....
Episcopato Austriaco richiamato a Roma per gravi abusi liturgici e disobbedienza
una bella lezione davvero!!!

PRETI INFEDELI.....finalmente emergono Vescovi che non temono di usare i termini giusti al momento giusto...

Dal Blog di Raffaella volentieri riporto:

VESCOVI KENYA: “PRETI RIBELLI”, INVITO ALLA CAUTELA MA “NON SONO PIÙ CATTOLICI”

I vescovi del Kenya hanno scritto una lettera pastorale ai fedeli “sul dono del sacerdozio e del celibato” invitandoli alla “cautela” nei confronti dei cosiddetti “preti ribelli”, uno scisma di preti sposati che si è diffuso nel Paese africano.

In Kenya ha sede un gruppo di cattolici auto-denominati “The Reformed Roman Catholic and Apostolic Church”, fondato da Karl Raymond Rodig, ordinato sacerdote in Austria nell’86 e, senza il permesso della Santa Sede, vescovo a Miami (Usa) nel ‘99. Questo movimento conterebbe nel mondo circa 400 mila membri, di cui alcune migliaia in Kenya, con comunità esistenti a Thika, Nairobi e, la più attiva, nella diocesi di Kitale, suffraganea dell’arcidiocesi di Kisumu. Qui Rodig ha di nuovo ordinato il 14 maggio scorso, il prete cattolico Godfrey Shiundu e durante la stessa cerimonia, ha partecipato al suo matrimonio con una ex-suora, da cui aveva già avuto tre figli durante 14 anni di sacerdozio.
 
Pare che una ragione per la separazione di questo gruppo sia la possibilità, offerta a tutti i suoi membri, di accedere a tutti i sette sacramenti.
In Kenya il dibattito sui “preti ribelli” è forte, tanto che il 16 giugno scorso il card. John Njue, arcivescovo di Nairobi e primate del Kenya, ha convocato una conferenza stampa a nome dei 25 vescovi della Conferenza episcopale keniana, sottolineando che per via “della loro diserzione, questi preti non sono più cattolici”.

“Siamo dispiaciuti dal fatto che questi sfortunati preti siano stati infedeli all’obbligo del celibato che hanno accettato al momento dell’ordinazione”, ha affermato il card. Njue.
Rinunciare al celibato per costruirsi una famiglia, ha sottolineato, “è come abbandonare la Chiesa per aderire ad un’altra Chiesa o fondarne una nuova”.

“I cosiddetti ‘preti ribelli’ – ha aggiunto – sfidano l’autorità della Chiesa…quindi una dichiarazione di scomunica deriva da una scomunica che si sono imposti da soli”.
Sostegno alla posizione dei vescovi del Kenya è arrivato da più parti, soprattutto da un gruppo di laici cattolici rappresentanti di numerose associazioni (Catholic men’s association, Catholic professionals, gruppi giovanili, Catholic women’s association…) riunite nel coordinamento di Caritas Nairobi.

I laici cattolici affermano che “non sempre il cambiamento, anche se desiderato, è benvenuto”: “I cambiamenti e le riforme nella Chiesa devono arrivare in maniera disciplinata e all’interno di un contesto armonico”.

Un avvocato di Nairobi, William Maema, contesta, in un lungo editoriale sull’agenzia Cisa news intitolato “Preti sposati: smascherare l’ipocrisia”, la campagna di messa in ridicolo della Chiesa cattolica su alcuni media nazionali a questo proposito, argomentando le motivazioni del celibato sacerdotale.

Sir







Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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16/04/2010 19:43
 
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Sull'aborto in Kenya
i vescovi preparano un documento


Nairobi, 16. C'è attesa in Kenya per la pubblicazione di un documento da parte dei vescovi sulla proposta della commissione parlamentare per la revisione della Costituzione che intende modificare la clausola che definisce l'inizio della vita. Secondo la nuova proposta l'inizio della vita verrebbe spostato dal concepimento alla nascita.

Il documento sarà reso noto al termine della riunione plenaria della Conferenza episcopale del Kenya, in corso di svolgimento presso il Centro pastorale "Santa Maria" a Nakuru.

A gennaio i vescovi avevano manifestato la loro opposizione alla proposta della commissione parlamentare per la revisione della Costituzione. Questa proposta viene vista dalla Chiesa come propedeutica alla legalizzazione dell'aborto. "Inserire nella Costituzione una clausola che sposta il momento dell'inizio della vita dal concepimento alla nascita - scrivono i presuli - è una sconfitta della ragione e senza dubbio apre la strada alla legalizzazione dell'aborto".

Il 24 marzo l'arcivescovo di Nairobi, cardinale John Njue, durante un incontro ecumenico svoltosi nella capitale keniana, aveva ribadito l'opposizione della Chiesa cattolica alla modifica della clausola sull'inizio della vita. Un altro punto della proposta di revisione costituzionale che ha suscitato l'opposizione della Chiesa e delle altre confessioni cristiane riguarda il riconoscimento delle corti civili musulmane, "kadhi courts".

I vescovi non hanno dichiarato quali provvedimenti avrebbero preso se il progetto non fosse stato modificato. L'arcivescovo di Kisumu, monsignor Zacchaeus Okoth, ha però espresso ottimismo sul fatto che la commissione di otto persone formata durante un incontro tra i funzionari dello Stato e i vescovi riuscirà a trovare una soluzione. "L'equivoco sulla clausola dell'aborto - ha spiegato l'arcivescovo - è di natura semantica. E questo può essere superato riscrivendo parte dell'articolo per cambiarne il senso negativo".


(©L'Osservatore Romano - 17 aprile 2010)
Fraternamente CaterinaLD

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30/04/2010 19:06
 
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In vista del referendum i vescovi invitano a un dialogo sereno e paritario

La Chiesa in Kenya e la nuova Costituzione


di Giuseppe Caramazza


La violenza che ha scosso il Kenya all'indomani delle elezioni politiche del dicembre 2007, ha anche catalizzato la vita del paese con tensioni etniche e giochi di potere nel campo politico. L'orizzonte sembra schiarirsi, secondo alcuni osservatori, grazie a due iniziative che stanno a cuore alla popolazione. La prima è la decisione del tribunale penale internazionale dell'Aia di dare il via libera al proprio procuratore capo, Louis Moreno-Ocampo, per investigare sulle cause e i mandanti delle violenze che scossero il paese nei primi mesi del 2008. Almeno 1.500 persone morirono e 300.000 dovettero abbandonare le proprie case e proprietà. I keniani sperano che l'azione del tribunale internazionale metta fine all'impunità che politici - tra questi alcuni membri del governo - e grandi proprietari terrieri hanno goduto sino ad ora.

Il secondo evento è il referendum che chiamerà i cittadini ad approvare o rifiutare la nuova Costituzione. I keniani da anni attendono una nuova Costituzione che risponda alle esigenze di un Paese in crescita. L'attuale presidente Emilio Mwai Kibaki aveva promesso una nuova legge fondamentale entro i primi mesi del suo mandato. Una proposta di Costituzione venne bocciata con un referendum nel 2005. Dopo 24 anni di dittatura, i keniani avevano riposto molte speranza nel governo di Kibaki. Speranze che non si materializzarono. Oggi, a distanza di un quinquennio, Kibaki è un forte sostenitore del nuovo testo, che è stato approvato senza emendamenti dal parlamento di Nairobi il 1° aprile scorso.

Non vi è dubbio che la nuova Costituzione sia apprezzata da tutti. Esperti legali la considerano progressista e ben articolata. I diritti dei cittadini sono salvaguardati, e il potere dell'esecutivo delineato con precisione. Esistono però alcuni punti che dividono le coscienze:  la questione delle corti islamiche di diritto privato (khadi courts), e quella dell'aborto. Le corti islamiche - che possono agire solo se i contendenti sono di religione islamica e solo per questioni di diritto privato - furono accolte nell'ordinamento del nascente Kenya dopo una trattativa con il Sultano di Zanzibar. Questi aveva ancora, almeno nominalmente, il controllo di una fascia di terra sulla costa keniana. Il Sultano accettò di cedere questo territorio alla nascente nazione ma chiese che la popolazione di quell'area - allora in assoluta maggioranza musulmana - potesse essere tutelata dal diritto islamico. La nuova Costituzione riflette questa realtà.

Molte comunità evangeliche e protestanti hanno in questi mesi dato vita a una campagna di protesta contro le corti islamiche, invitando i propri aderenti a votare contro la nuova Costituzione. In caso di una vittoria dei no, la vecchia Costituzione rimarrebbe in vigore, e così anche le corti islamiche. Mancando una proposta alternativa basata sul diritto, non si capisce come questi gruppi possano far valere le loro ragioni.

Diverso è stato l'approccio della Chiesa cattolica. Il 15 aprile scorso, al termine della loro riunione annuale, i vescovi keniani hanno pubblicato un messaggio alla nazione. I vescovi dichiarano di non poter sostenere la nuova Costituzione per la presenza di alcune clausole potenzialmente pericolose. La prima questione sorge con l'articolo 26, paragrafo 4, dove si legge "L'aborto non è permesso a meno che, nell'opinione del personale medico preparato, ci sia bisogno di un trattamento medico d'emergenza, o la vita della madre sia in pericolo, o questo sia permesso da qualsiasi altra legge scritta". I vescovi fanno notare come la Chiesa abbia sempre sostenuto il diritto alla salute delle persone, e che non è contraria a interventi di emergenza per salvare la vita della madre. Allo stesso tempo si oppone al fatto che non venga riconosciuto tale diritto anche al nascituro. Inoltre, questo articolo della Costituzione "spalanca le porte all'aborto a richiesta". Un'altra ambiguità rilevata è il divieto dell'aborto "a meno che questo non sia permesso da qualsiasi altra legge scritta", affermazione che contraddice lo spirito della Costituzione stessa.

I vescovi chiedono che questo paragrafo sia rimosso dal testo della Costituzione presentato al referendum. Essi fanno notare che la questione dell'aborto non è una scelta politica, ma morale, e che tutte le forze politiche sono ora rappresentate nella coalizione al governo. Sarebbe quindi possibile per il presidente e il primo ministro prendere una decisione che chiarisca una volta per tutte se il Paese desidera liberalizzare l'aborto o meno.

Per quanto riguarda le corti islamiche, i vescovi sottolineano che la questione non è religiosa. Si tratta invece di una "questione di eguaglianza civile di fronte allo Stato". Non sembra corretto che alcuni cittadini abbiano un trattamento di favore rispetto ad altri. Tanto più che i musulmani non sono la sola minoranza religiosa nel paese. La conferenza episcopale chiede quindi che uguali diritti vengano riconosciuti ai membri delle tanti fedi presenti in Kenya, tanto più che le ragioni storiche che portarono alla presenza delle corti islamiche sono ora superate.

La Chiesa cattolica ha lavorato molto per sensibilizzare la popolazione e portare le proposte popolari alla commissione preparatoria incaricata di stendere la nuova Costituzione. Questo lavoro venne vanificato da vari politici che, nel 2005, vollero approvare un testo rimaneggiato, poi rifiutato dal popolo. Molto di quel lavoro è comunque sopravvissuto ed è stato recepito dal nuovo testo, che si prevede verrà approvato dal referendum popolare, la Chiesa è quindi interessata al progresso che la nuova Costituzione può portare al Paese. Allo stesso tempo, non può tacere su questi due temi, molto sentiti dalla popolazione. Sulla questione delle corti islamiche, la Chiesa cattolica si è giustamente allontanata dalle posizioni fondamentaliste prese da altri gruppi ecclesiali.

Non c'è una guerra di religione in Kenya, né sussistono le basi per uno scontro tra cristiani e musulmani. Soffiare sul fuoco delle divisioni non aiuta la distensione e il dialogo. Anche se è giusto ricordare alla minoranza musulmana che "accettando che gruppi particolari, siano essi religiosi, tribali, geografici o altro, possano negoziare dei privilegi riconosciuti dalla Costituzione vuol dire andare contro il principio dell'uguaglianza". La Chiesa non si augura quindi una chiusura verso le minoranze, ma un'apertura al dialogo sereno e paritario.


(©L'Osservatore Romano - 1 ° maggio 2010)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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