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Un Concilio Ecumenico ha più valore di un NON ecumenico? Cosa significa?

Ultimo Aggiornamento: 17/09/2009 17:15
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Oggi va di moda sostenere l'errata teoria che un Concilio se non è Ecumenico NON è infallibile ed è dunque reformabile... si aggiunge confusione su confusione senza capire bene come nasce il termine ECUMENICO per un Concilio il cui significato NON è quello che si attribuisce all'ecumenismo attuale... inoltre NON ci si sforza neppure di comprendere cosa significa l'infallibilità e il reformare... [SM=g1740733]

TUTTI I CONCILI RICONOSCIUTI DALLA CHIESA HANNO LO STESSO VALORE, LA STESSA INFALLIBILITà LA MEDESIMA CREDIBILITA' e rientrano in quello che chiamiamo: MAGISTERO UNIVERSALE DELLA CHIESA

Altro punto da chiarire è il seguente:
magistero straordinario o ordinario? quale è quello infallibile?
ENTRAMBI, lo spiega dettagliatamente Giovanni Paolo II nella Lettera Apostolica Ad Tuendam Fidem

cliccando qui troverete il testo:
difenderelafede.freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=8071772&...

dice il Papa:

Can. 750 - § 1. Per fede divina e cattolica sono da credere tutte quelle cose che sono contenute nella parola di Dio scritta o tramandata, vale a dire nell'unico deposito della fede affidato alla Chiesa, e che insieme sono proposte come divinamente rivelate, sia dal magistero solenne della Chiesa, sia dal suo magistero ordinario e universale, ossia quello che è manifestato dalla comune adesione dei fedeli sotto la guida del sacro magistero; di conseguenza tutti sono tenuti a evitare qualsiasi dottrina ad esse contraria.

§ 2. Si devono pure fermamente accogliere e ritenere anche tutte e singole le cose che vengono proposte definitivamente dal magistero della Chiesa circa la fede e i costumi, quelle cioè che sono richieste per custodire santamente ed esporre fedelmente lo stesso deposito della fede; si oppone dunque alla dottrina della Chiesa cattolica chi rifiuta le medesime proposizioni da tenersi definitivamente
.

Da dove nasce la teoria errata che un Concilio se NON è ecumenico non ha valore e che il magistero ordinario non va applicato dai fedeli?
DA ALCUNE FALSE INTERPRETAZIONI DEL DOPO CONCILIO VATICANO II... [SM=g1740730]

Dopo l'ultimo Concilio e a partire proprio dalla Enciclica Humanae Vitae di Paolo VI, gruppi di teologi trovando campo fra molti sacerdoti confusi dal caos culturale di quegli anni, iniziarono a spargere semi avvelenati CONTRO IL MAGISTERO PONTIFICIO... diabolicamente [SM=g1740732] iniziarono a far filtrare l'opzione che attraverso il Concilio NON ERA PIU' NECESSARIO OBBEDIRE, MA AGIRE ESCLUSIVAMENTE CON LA PROPRIA COSCIENZA...e cominciarono ad insegnare che solo il Magistero Straordinario era vincolante e che il Magistero Ordinario era invece opinabile a seconda delle proprie opinioni...

Paolo VI richiamò all'ordine molte volte questi teologi ma con scarso successo...un esempio di tale disastro lo troviamo nei famosi vescovi olandesi di quegli anni quando, avanzando con le proprie opinioni, inventarono un nuovo catechismo dentro il quale si giunse a dubitare perfino sulla Persona di Cristo...

Prima del Concilio Vaticano II NON si pose MAI in dubbio la validità di TUTTI i Concili riconosciuti dalla Chiesa, bastava infatti il semplice riconoscimento di questo per renderlo infallibile e non il termine "ecumenico"... [SM=g1740733]

L'Enciclopedia Cattolica spiega come nasce il termine Ecumenico:
www.enciclopediacattolica.it/wiki/Concilio_Ecumenico


Nei primi secoli di vita della Chiesa cristiana, nessuno si pose il problema di stabilire dei criteri per definire quando un concilio può dirsi veramente ecumenico. Il problema sorse solo più tardi, quando diversi sinodi o concili iniziarono, a torto, a definirsi “ecumenici”. A rendere necessario un intervento chiarificatore fu inoltre la tendenza sempre più evidente e marcata fra la Chiesa occidentale di Roma e la Chiesa orientale di Costantinopoli a diversificare le loro dottrine ecclesiologiche, in rapporto soprattutto al primato papale e alla preminenza dell’una o dell’altra sede apostolica.

Fu proprio durante il VII Concilio ecumenico, il Concilio di Nicea del 787, che per la prima volta furono stabiliti dei criteri di ecumenicità dei Concili. Nella sesta sessione di quel concilio, per confutare la pretesa di ecumenicità del Sinodo di Hieria del 754, i Padri conciliari affermarono che quel sinodo non poteva dirsi ecumenico, per i seguenti motivi:

« Non ebbe come collaboratore il papa della Chiesa romana di allora, o i sacerdoti che sono con lui, né per mezzo di suoi legati, né per mezzo di una sua enciclica, come è la norma del concilio. »


« Neanche vi acconsentirono i patriarchi dell’Oriente, di Alessandria, di Antiochia e della Città Santa, o i consacrati che sono con loro e i vescovi. »

« Le loro dichiarazioni sono state fatte come in un luogo segreto, e non dal monte dell’ortodossia. Per tutta la terra non si diffuse la loro eco, come quella degli apostoli, e fino ai confini del mondo le loro parole (cfr Salmo 18,5), come quelle dei sei santi concili ecumenici. »

« Come può essere settimo quello che non è in armonia con i sei santi concili ecumenici prima di esso? Infatti quello che sarebbe stato celebrato come settimo, deve essere coerente con il novero delle cose decise prima di esso. Ciò che non ha niente a che vedere con le cose computate, non deve essere computato. Se uno per esempio mette in fila sei monete d’oro e poi aggiunge a queste una monetina di rame, non può chiamare quest’ultima settima, perché è fatta di materia diversa. L’oro infatti è prezioso e di grande valore, mentre il rame è materiale a buon mercato e senza valore. »
(Secondo concilio di Nicea, VI sessione.)

Così i Padri conciliari definirono come ecumenico un concilio che avesse queste caratteristiche:

- deve avere il papa come collaboratore, o direttamente, tramite la sua presenza, od anche indirettamente, tramite dei rappresentanti, o legati papali; inoltre devono essere presenti i rappresentanti di tutti i Patriarchi della cristianità;
- deve essere accettato dagli altri Patriarchi della Chiesa, cioè, oltre che da quello di Roma, dai Patriarchi di Costantinopoli, Antiochia, Gerusalemme e Alessandria;
- deve essere recepito dai fedeli, dalla base;
e soprattutto deve essere coerente con i precedenti concili ecumenici, porsi cioè in linea di continuità teologica, morale e disciplinare.

L’attuale ecclesiologia cattolica pone alcuni principi nella definizione e nella composizione di concilio ecumenico:

- esso è sede dell’esercizio supremo della potestà sulla Chiesa universale da parte del Collegio dei Vescovi (Codice di diritto canonico 337,1; Lumen Gentium 22,3; Catechismo della Chiesa Cattolica 884);
- spetta solo al Papa di Roma convocare, presiedere, trasferire, sospendere, sciogliere un Concilio ecumenico, come pure approvarne i decreti (Codice di Diritto Canonico 338,1; Lumen Gentium 22,3);
- spetta solo al Papa di Roma determinare le questioni da trattare nel Concilio ecumenico, ed approvare eventuali questioni aggiunte dai Padri conciliari (Codice di Diritto Canonico 338,2);
- possono partecipare al Concilio ecumenico i Vescovi membri del Collegio dei Vescovi, (Codice di Diritto Canonico 339,1) ed altre persone chiamate a parteciparvi (Codice di Diritto Canonico 339,2);
- se la Sede Apostolica diventa vacante durante la celebrazione del Concilio, questo è interrotto fino all’elezione del nuovo Pontefice (Codice di Diritto Canonico 340);
- solo i decreti conciliari approvati e confermati dal Papa e da lui promulgati hanno forza obbligante (Codice di Diritto Canonico 341,1).

Nel 1586 Roberto Bellarmino nella sua opera “De conciliis et ecclesia militante”, riprese una lista di concili medievali già proposta dallo spagnolo Pontac in una cronografia pubblicata una ventina di anni prima, e la consacrò con il proprio prestigio e la propria autorità teologica.
Così il catalogo di Bellarmino affiancò ai concili del primo Millennio cristiano, 7 concili medievali, che egli qualificò col titolo di ecumenici: d’ora in avanti l'approvazione dei cinque patriarcati antichi non sarà più ritenuto un criterio necessario per l'ecumenicità, essendo sufficiente l’azione e il consenso papale
.

[SM=g1740733] ergo...la canonicità di un Concilio non è la sua "ecumenicità" bensì IL CONSENSO PAPALE...tutti i Concili riconosciuti dalla Chiesa e con l'approvazione del Pontefice, portano in sè l'ecumene, l'UNIVERSALITA' di cui necessitano perchè i Documenti da essi scaturiti possano trovare applicazione in tutto il mondo...

riguardo poi al Magistero straordinario o ordinario, rispose appunto Giovanni Paolo II proprio con il MP Ad Tuendam Fidem postato sopra....

E' necessario pertanto comprendere, per chi vuole dirsi Cattolico, che c'è stato un vero attentato all'obbedienza magisteriale attraverso false interpretazioni dell'ultimo Concilio e che MAI la Chiesa, riconoscendo un Concilio, lo ha definito reformabile solo perchè non aveva il titolo di "ecumenico"...

Soggetti depositari dell'infallibilità. [SM=g1740733]

Sono il Papa e tutto l'episcopato, cioè l'insieme dei vescovi in unione col Papa, loro capo.

a) Il Papa.
Il Papa è infallibile quando parla ex cathedra. De fide.Lo è anche nell'ordine del Magistero sia straordinario quanto quello ordinario quando esprime lezioni e catechesi di ordine etico, morale e dottrinale per il bene della Chiesa e di tutti gli Uomini.

b) I vescovi.
L'insieme dei vescovi è infallibile quando, o riunito in Concilio ecumenico o disperso sulla faccia della terra, in unione con il Papa, propone una dottrina di fede o di morale come verità a cui tutti i fedeli devono attenersi. De fide.

Il Concilio di Trento insegna che i vescovi sono i successori degli Apostoli (D. 960 [D S. 1768]); similmente il Concilio Vaticano I (D. 1828 [DS. 3061]).
Quali successori degli Apostoli, essi sono, al par di quelli, i pastori ed i maestri dei fedeli (D. 1821 [DS. 3050]).
Essendo per ufficio maestri della fede sono titolari dell'infallibilità attiva assicurata al magistero ecclesiastico.

Si distinguono due forme di attività nel magistero dell'episcopato, l'una straordinaria, l'altra ordinaria:

1) In modo straordinario i vescovi esercitano il loro infallibile potere magisteriale nel concilio generale o ecumenico in unione con il Papa; ed è proprio nelle decisioni dei concilii generali che l'attività dei loro magistero, istituito da Cristo, ha la più chiara manifestazione.
Nella Chiesa fu sempre viva la convinzione che le decisioni dei concilii generali sono infallibili.

2) I vescovi esercitano il loro infallibile potere in modo ordinario quando, nelle proprie Diocesi, uniti moralmente con il Papa, annunciano concordemente le medesime dottrine di fede o di morale. Il Concilio Vaticano I dichiarò espressamente che anche le verità rivelate proposte dal magistero ordinario ed universale della Chiesa devono essere credute per fede divina e cattolica (D. 1792 [DS. 3011]), decreto ripreso da Giovanni Paolo II nella Ad Tuendam Fidem.

Ora chi detiene il magistero ordinario e universale è precisamente l'episcopato diffuso su tutta la faccia della terra. La concordanza dei vescovi nella dottrina può essere stabilita dai catechismi che essi redigono, dalle loro pastorali, dai libri di preghiera che essi approvano e dalle decisioni dei sinodi particolari. E' sufficiente una concordanza moralmente universale in cui non deve mancare l'espressa o tacita approvazione del Papa, quale capo supremo di tutto l'episcopato.

Il singolo vescovo nel proclamare le verità di fede non è infallibile. La storia della Chiesa mostra che singoli membri dell'episcopato sono caduti in errore e in eresie, per es. Fotino, Nestorio. Per conservare integra la dottrina tradizionale, è sufficiente l'infallibilità collegiale dell'intero episcopato. Il singolo vescovo è però per la sua diocesi, in forza del suo ufficio, l'autentico, cioè autorevole maestro della fede, purché sia in comunione con la Santa Sede e si attenga alla dottrina generale della Chiesa.

Ricapitolando:

NON esiste un Magistero ecclesiale o Pontificio fallibile, sia quello straordinario, quanto quello ordinario devono trovare nel fedele che voglia dirsi Cattolico la piena adesione;

la confusione e la disobbedienza nascono da false interpretazioni attribuite al Concilio Vaticano II che Paolo VI condannò aspramente...

Così disse il card. Bertone spiegando l'autorità della Dominus Jesus:

" una dottrina può essere insegnata dal Magistero come definitiva sia con un atto definitorio e solenne ( dal Papa "ex cathedra" e dal Concilio ecumenico) sia con un atto ordinario non solenne (dal Magistero ordinario e universale del Papa e dei Vescovi in comunione con lui). Entrambi questi atti sono tuttavia infallibili.


È inoltre possibile che il Magistero ordinario del Papa confermi o riaffermi dottrine che appartengono d'altronde alla fede della Chiesa: in questo caso, il pronunciamento del Papa, pur non avendo il carattere di una definizione solenne, ripropone alla Chiesa dottrine infallibilmente insegnate come da credersi o da tenersi definitivamente, ed esige quindi dai fedeli un assenso di fede o definitivo.


Nella fattispecie della Dichiarazione "Dominus Iesus", si deve dire che esso resta un Documento della Congregazione per la Dottrina della Fede, che non gode quindi della prerogativa dell'infallibilità, in quanto emanato da un organismo inferiore al Papa e al collegio dei Vescovi in comunione con il Papa. Tuttavia gli insegnamenti delle verità di fede e di dottrina cattolica in esso contenuti, esigono da parte di tutti i fedeli un assenso definitivo e irrevocabile, non già in forza e a partire dalla pubblicazione della Dichiarazione, ma in quanto essi appartengono al patrimonio di fede della Chiesa e sono stati infallibilmente proposti dal Magistero in precedenti atti e documenti.

[SM=g1740733]

[SM=g1740750]

[Modificato da Caterina63 24/08/2009 12:25]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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SOLENNE APERTURA DEL
CONCILIO ECUMENICO VATICANO II
_______________

DISCORSO DEL SANTO PADRE GIOVANNI XXIII

Giovedì, 11 ottobre 1962



Sessione I

Venerabili Fratelli,

1. La Madre Chiesa si rallegra perché, per un dono speciale della Divina Provvidenza, è ormai sorto il giorno tanto desiderato nel quale qui, presso il sepolcro di san Pietro, auspice la Vergine Madre di Dio, di cui oggi si celebra con gioia la dignità materna, inizia solennemente il Concilio Ecumenico Vaticano II.



I Concili Ecumenici nella Chiesa

2. 1. Tutti i Concili — sia i venti Ecumenici sia gli innumerevoli e da non sottovalutare Provinciali e Regionali — che sono stati celebrati nel succedersi dei secoli, attestano con evidenza la vitalità della Chiesa Cattolica e sono iscritti come lumi splendenti nella sua storia. [SM=g1740733]

2. Nell’indire questa grandiosa assemblea, il più recente e umile Successore del Principe degli Apostoli, che vi parla, si è proposto di riaffermare ancora una volta il Magistero Ecclesiastico, che non viene mai meno e perdura sino alla fine dei tempi; Magistero che con questo Concilio si presenta in modo straordinario a tutti gli uomini che sono nel mondo, tenendo conto delle deviazioni, delle esigenze, delle opportunità dell’età contemporanea.

3. Iniziando questo Concilio universale, il Vicario di Cristo, che vi sta parlando, guarda, com’è naturale, al passato, e quasi ne percepisce la voce incitante e incoraggiante: volentieri infatti ripensa alle benemerenze dei Sommi Pontefici che vissero in tempi più antichi e più recenti, e che dalle assemblee dei Concili, tenuti sia in Oriente che in Occidente dal quarto secolo fino al Medio Evo e agli ultimi tempi, hanno trasmesso le testimonianze di tale voce veneranda e solenne. Esse acclamano senza sosta al trionfo di quella Società umana e divina, cioè della Chiesa, che assume dal Divin Redentore il nome, i doni della grazia e tutto il suo valore.

4. Se questo è motivo di letizia spirituale, non possiamo tuttavia negare che nella lunga serie di diciannove secoli molti dolori e amarezze hanno oscurato questa storia. Fu ed è veritiero quello che il vecchio Simeone con voce profetica disse a Maria Madre di Gesù: "Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti..., segno di contraddizione" [1]. E Gesù stesso, cresciuto in età, indicò chiaramente come nei tempi si sarebbero comportati gli uomini verso di lui, pronunziando quelle misteriose parole: "Chi ascolta voi ascolta me" [2]. Questo disse inoltre: "Chi non è con me, è contro di me; e chi non raccoglie con me, disperde" [3], come vediamo scritto in San Luca, che riferisce anche le espressioni precedenti.

5. Dopo quasi venti secoli, le situazioni e i problemi gravissimi che l’umanità deve affrontare non mutano; infatti Cristo occupa sempre il posto centrale della storia e della vita: gli uomini o aderiscono a lui e alla sua Chiesa, e godono così della luce, della bontà, del giusto ordine e del bene della pace; oppure vivono senza di lui o combattono contro di lui e restano deliberatamente fuori della Chiesa, e per questo tra loro c’è confusione, le mutue relazioni diventano difficili, incombe il pericolo di guerre sanguinose.

6. Ogni volta che vengono celebrati, i Concili Ecumenici proclamano in forma solenne questa corrispondenza con Cristo e con la sua Chiesa ed irradiano per ogni dove la luce della verità, indirizzano sulla via giusta la vita dei singoli, della convivenza domestica e della società, suscitano ed irrobustiscono le energie spirituali, innalzano stabilmente gli animi ai beni veri e sempiterni.

7. Mentre contempliamo le successive epoche dell’umanità durante questi venti secoli dell’era cristiana, davanti ai Nostri occhi sfilano le testimonianze di questo Magistero straordinario della Chiesa, cioè dei Concili universali. Tale documentazione è contenuta in parecchi volumi di grande imponenza, ed è da considerare come un sacro tesoro, che è conservato negli archivi della Città di Roma e nelle più celebri biblioteche di tutto il mondo.



Origine e causa del Concilio Ecumenico Vaticano II

3. 1. Quanto all’origine e alla causa del grande avvenimento per il quale Ci è piaciuto adunarvi, è sufficiente riportare ancora una volta la testimonianza, certamente umile, ma che Noi possiamo attestare come sperimentata: la prima volta abbiamo concepito questo Concilio nella mente quasi all’improvviso, e in seguito l’abbiamo comunicato con parole semplici davanti al Sacro Collegio dei Padri Cardinali in quel fausto 25 gennaio 1959, festa della Conversione di San Paolo, nella sua Patriarcale Basilica sulla via Ostiense. Gli animi degli astanti furono subito repentinamente commossi, come se brillasse un raggio di luce soprannaturale, e tutti lo trasparirono soavemente sul volto e negli occhi. Nello stesso tempo si accese in tutto il mondo un enorme interesse, e tutti gli uomini cominciarono ad attendere con impazienza la celebrazione del Concilio.

2. In questi tre anni è stato svolto un lavoro intenso per preparare il Concilio, con il programma di indagare più accuratamente ed ampiamente quale fosse in questa nostra epoca la condizione della Fede, della pratica religiosa, dell’incidenza della comunità cristiana e soprattutto cattolica.

3. Non a torto questo tempo speso nel preparare il Concilio Ci sembra sia stato quasi un primo segno e dono della grazia celeste.

4. Illuminata dalla luce di questo Concilio, la Chiesa si accrescerà, come speriamo, di ricchezze spirituali e, attingendovi il vigore di nuove energie, guarderà con sicurezza ai tempi futuri. Infatti, introducendo opportuni emendamenti ed avviando saggiamente un impegno di reciproco aiuto, la Chiesa otterrà che gli uomini, le famiglie, le nazioni rivolgano davvero le menti alle realtà soprannaturali.

5. È dunque dovere di coscienza ringraziare fervidamente il Sommo Datore di ogni bene per la celebrazione di questo Concilio, e magnificare con esultanza la gloria di Cristo Signore, che è Re vittorioso ed immortale dei secoli e dei popoli.



Opportunità di celebrare il Concilio

4. 1. C’è inoltre un’altra cosa, Venerabili Fratelli, che è utile proporre alla vostra considerazione sull’argomento. Ad aumentare la santa letizia che in quest’ora solenne pervade i nostri animi, Ci sia cioè permesso osservare davanti a questa grandiosa assemblea che l’apertura di questo Concilio Ecumenico cade proprio in circostanze favorevoli di tempo.

2. Spesso infatti avviene, come abbiamo sperimentato nell’adempiere il quotidiano ministero apostolico, che, non senza offesa per le Nostre orecchie, ci vengano riferite le voci di alcuni che, sebbene accesi di zelo per la religione, valutano però i fatti senza sufficiente obiettività né prudente giudizio. Nelle attuali condizioni della società umana essi non sono capaci di vedere altro che rovine e guai; vanno dicendo che i nostri tempi, se si confrontano con i secoli passati, risultano del tutto peggiori; e arrivano fino al punto di comportarsi come se non avessero nulla da imparare dalla storia, che è maestra di vita, e come se ai tempi dei precedenti Concili tutto procedesse felicemente quanto alla dottrina cristiana, alla morale, alla giusta libertà della Chiesa.

3. A Noi sembra di dover risolutamente dissentire da codesti profeti di sventura, che annunziano sempre il peggio, quasi incombesse la fine del mondo.

4. Nello stato presente degli eventi umani, nel quale l’umanità sembra entrare in un nuovo ordine di cose, sono piuttosto da vedere i misteriosi piani della Divina Provvidenza, che si realizzano in tempi successivi attraverso l’opera degli uomini, e spesso al di là delle loro aspettative, e con sapienza dispongono tutto, anche le avverse vicende umane, per il bene della Chiesa.

5. Questo è facile arguire se si considerano con attenzione i problemi e i pericoli di natura politica ed economica del giorno d’oggi. Essi tengono così occupati gli uomini da distogliere i loro interessi e le loro preoccupazioni dal fatto religioso, che è di pertinenza del sacro Magistero della Chiesa. Questo modo di agire non manca certo di errore, e dev’essere giustamente riprovato. Tuttavia nessuno può negare che queste nuove situazioni indotte hanno almeno questo vantaggio, che vengono così eliminati quegli innumerevoli impedimenti con cui un tempo i figli del secolo erano soliti ostacolare la libera azione della Chiesa. Basta sfogliare di sfuggita gli annali ecclesiastici per constatare con evidenza che gli stessi Concili Ecumenici, le cui vicende sono registrate a caratteri d’oro nella storia della Chiesa, sono stati spesso celebrati non senza gravissime difficoltà e motivi di dolore a causa dell’indebita ingerenza del potere civile. Talvolta infatti i Principi di questo mondo si proponevano sinceramente di assumere la protezione della Chiesa, ma molte volte ciò non avveniva senza danno e pericolo spirituale, perché più spesso essi erano guidati da calcoli politici e si preoccupavano troppo dei propri interessi.

6. Confessiamo che oggi siamo afflitti da grandissimo dolore perché in mezzo a voi mancano molti Pastori della Chiesa, a Noi carissimi, che per la Fede di Cristo sono tenuti in catene o sono impediti da altri ostacoli, e il cui ricordo Ci spinge ad elevare per essi a Dio ardentissime preghiere; tuttavia non senza speranza e Nostra grande consolazione vediamo oggi verificarsi il fatto che la Chiesa, finalmente sciolta da tanti impedimenti profani delle età passate, da questo Tempio Vaticano, come da un secondo Cenacolo degli Apostoli, per mezzo di voi possa alzare la sua voce, gravida di autorità e di maestà.



Compito principale del Concilio: difendere e diffondere la dottrina

5. 1. Quel che più di tutto interessa il Concilio è che il sacro deposito della dottrina cristiana sia custodito e insegnato in forma più efficace.

2. Tale dottrina abbraccia l’uomo integrale, composto di anima e di corpo, e a noi, che abitiamo su questa terra, comanda di tendere come pellegrini alla patria celeste.

3. Ciò mostra in qual modo si deve ordinare questa vita mortale, affinché, adempiendo i nostri doveri, ai quali siamo tenuti verso la Città terrena e quella celeste, possiamo raggiungere il fine a noi prestabilito da Dio. In altri termini, tutti quanti gli uomini, sia singoli che come società, finché questa vita lo permette, hanno il dovere di tendere senza tregua a conseguire i beni celesti, e servirsi per far questo delle realtà terrene, in modo però che l’uso dei beni temporali non rechi pregiudizio alla loro felicità eterna.

4. È certamente vero che il Signore ha pronunziato questa esortazione: "Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia" [4]. Questo "prima" esprime dove devono essere dirette anzitutto le nostre forze e le nostre preoccupazioni; però non bisogna affatto trascurare le altre parole che seguono in questo comando del Signore: "e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta" [5]. In realtà, nella Chiesa ci furono sempre e ci sono coloro, che, pur dedicandosi con tutte le forze alla pratica della perfezione evangelica, danno contemporaneamente il loro contributo al progresso civile, perché dagli esempi della loro vita e dalle loro benefiche iniziative di carità riceve non poco vigore e incremento quanto c’è di più alto e di più nobile nella società umana.

5. Ma perché tale dottrina raggiunga i molteplici campi dell’attività umana, che toccano le persone singole, le famiglie e la vita sociale, è necessario prima di tutto che la Chiesa non distolga mai gli occhi dal sacro patrimonio della verità ricevuto dagli antichi; ed insieme ha bisogno di guardare anche al presente, che ha comportato nuove situazioni e nuovi modi di vivere, ed ha aperto nuove vie all’apostolato cattolico. [SM=g1740733]

6. Per questa ragione la Chiesa non è rimasta indifferente a quelle meravigliose scoperte dell’umano ingegno ed a quel progresso delle idee di cui oggi godiamo, né è stata incapace di onestamente apprezzarle; ma, seguendo con vigile cura questi fatti, non cessa di ammonire gli uomini perché, al di sopra dell’attrattiva delle realtà visibili, volgano gli occhi a Dio, fonte di ogni sapienza e di ogni bellezza, affinché essi, ai quali è stato detto: "Soggiogate la terra e dominatela" [6], non dimentichino quel rigorosissimo comando: "Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto" [7], perché il fascino fuggente delle cose non impedisca il vero progresso.



In che modo va sviluppata oggi la dottrina

6. 1. Ciò premesso, Venerabili Fratelli, diventa chiaro che cosa è stato demandato al Concilio Ecumenico per quanto riguarda la dottrina.

2. Il ventunesimo Concilio Ecumenico — che si avvale dell’efficace e importante aiuto di persone che eccellono nella scienza delle discipline sacre, dell’esercizio dell’apostolato e della rettitudine nel comportamento — vuole trasmettere integra, non sminuita, non distorta, la dottrina cattolica, che, seppure tra difficoltà e controversie, è divenuta patrimonio comune degli uomini. Questo non è gradito a tutti, ma viene proposto come offerta di un fecondissimo tesoro a tutti quelli che sono dotati di buona volontà.

3. Però noi non dobbiamo soltanto custodire questo prezioso tesoro, come se ci preoccupassimo della sola antichità, ma, alacri, senza timore, dobbiamo continuare nell’opera che la nostra epoca esige, proseguendo il cammino che la Chiesa ha percorso per quasi venti secoli.

4. Ma il nostro lavoro non consiste neppure, come scopo primario, nel discutere alcuni dei principali temi della dottrina ecclesiastica, e così richiamare più dettagliatamente quello che i Padri e i teologi antichi e moderni hanno insegnato e che ovviamente supponiamo non essere da voi ignorato, ma impresso nelle vostre menti.

5. Per intavolare soltanto simili discussioni non era necessario indire un Concilio Ecumenico. Al presente bisogna invece che in questi nostri tempi l’intero insegnamento cristiano sia sottoposto da tutti a nuovo esame, con animo sereno e pacato, senza nulla togliervi, in quella maniera accurata di pensare e di formulare le parole che risalta soprattutto negli atti dei Concili di Trento e Vaticano I; occorre che la stessa dottrina sia esaminata più largamente e più a fondo e gli animi ne siano più pienamente imbevuti e informati, come auspicano ardentemente tutti i sinceri fautori della verità cristiana, cattolica, apostolica; occorre che questa dottrina certa ed immutabile, alla quale si deve prestare un assenso fedele, sia approfondita ed esposta secondo quanto è richiesto dai nostri tempi. Altro è infatti il deposito della Fede, cioè le verità che sono contenute nella nostra veneranda dottrina, altro è il modo con il quale esse sono annunziate, sempre però nello stesso senso e nella stessa accezione. Va data grande importanza a questo metodo e, se è necessario, applicato con pazienza; si dovrà cioè adottare quella forma di esposizione che più corrisponda al magistero, la cui indole è prevalentemente pastorale.



In che modo vanno combattuti gli errori

7. 1. Aprendo il Concilio Ecumenico Vaticano II, è evidente come non mai che la verità del Signore rimane in eterno. Vediamo infatti, nel succedersi di un’età all’altra, che le incerte opinioni degli uomini si contrastano a vicenda e spesso gli errori svaniscono appena sorti, come nebbia dissipata dal sole.

2. Non c’è nessun tempo in cui la Chiesa non si sia opposta a questi errori; spesso li ha anche condannati, e talvolta con la massima severità. Quanto al tempo presente, la Sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia invece di imbracciare le armi del rigore; pensa che si debba andare incontro alle necessità odierne, esponendo più chiaramente il valore del suo insegnamento piuttosto che condannando. Non perché manchino dottrine false, opinioni, pericoli da cui premunirsi e da avversare; ma perché tutte quante contrastano così apertamente con i retti principi dell’onestà, ed hanno prodotto frutti così letali che oggi gli uomini sembrano cominciare spontaneamente a riprovarle, soprattutto quelle forme di esistenza che ignorano Dio e le sue leggi, riponendo troppa fiducia nel progressi della tecnica, fondando il benessere unicamente sulle comodità della vita. Essi sono sempre più consapevoli che la dignità della persona umana e la sua naturale perfezione è questione di grande importanza e difficilissima da realizzare. Quel che conta soprattutto è che essi hanno imparato con l’esperienza che la violenza esterna esercitata sugli altri, la potenza delle armi, il predominio politico non bastano assolutamente a risolvere per il meglio i problemi gravissimi che li tormentano.

3. Così stando le cose, la Chiesa Cattolica, mentre con questo Concilio Ecumenico innalza la fiaccola della verità cattolica, vuole mostrarsi madre amorevolissima di tutti, benigna, paziente, mossa da misericordia e da bontà verso i figli da lei separati. All’umanità travagliata da tante difficoltà essa dice, come già Pietro a quel povero che gli aveva chiesto l’elemosina: "Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!" [8]. In altri termini, la Chiesa offre agli uomini dei nostri tempi non ricchezze caduche, né promette una felicità soltanto terrena; ma dispensa i beni della grazia soprannaturale, i quali, elevando gli uomini alla dignità di figli di Dio, sono di così valida difesa ed aiuto a rendere più umana la loro vita; apre le sorgenti della sua fecondissima dottrina, con la quale gli uomini, illuminati dalla luce di Cristo, riescono a comprendere a fondo che cosa essi realmente sono, di quale dignità sono insigniti, a quale meta devono tendere; infine, per mezzo dei suoi figli manifesta ovunque la grandezza della carità cristiana, di cui null’altro è più valido per estirpare i semi delle discordie, nulla più efficace per favorire la concordia, la giusta pace e l’unione fraterna di tutti.



Promuovere l’unità nella famiglia cristiana e umana

8. 1. Questa sollecitudine della Chiesa nel promuovere e tutelare la verità deriva dal fatto che, secondo il piano di Dio, "il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità" [9], senza l’aiuto dell’intera dottrina rivelata gli uomini non possono pervenire ad una assoluta e saldissima unità degli animi, cui sono collegate la vera pace e l’eterna salvezza.

2. Purtroppo tutta la comunità dei cristiani non ha ancora pienamente e perfettamente raggiunto questa visibile unità nella verità. La Chiesa Cattolica ritiene suo dovere adoperarsi attivamente perché si compia il grande mistero di quell’unità che Cristo Gesù con ardentissime preghiere ha chiesto al Padre Celeste nell’imminenza del suo sacrificio; essa gode di pace soavissima, sapendo di essere intimamente unita a Cristo in quelle preghiere; di più, si rallegra sinceramente quando vede che queste invocazioni moltiplicano i loro frutti più generosi anche tra coloro che stanno al di fuori della sua compagine. Se ben consideriamo, questa stessa unità, che Cristo impetrò per la sua Chiesa, sembra quasi rifulgere di un triplice raggio di luce soprannaturale e salvifica, a cui corrispondono: l’unità dei cattolici tra di loro, che deve essere mantenuta fermissima e brillare come esempio; poi, l’unità che consiste nelle pie preghiere e nelle ardenti speranze con cui i cristiani separati da questa Sede Apostolica aspirano ad essere uniti con noi; infine, l’unità basata sulla stima e il rispetto verso la Chiesa Cattolica che nutrono coloro che seguono le diverse forme di religione non ancora cristiane.

3. A questo proposito - per quanto tutti gli uomini che nascono siano stati anch’essi redenti nel sangue di Cristo - c’è veramente da dolersi che tuttora gran parte del genere umano non partecipi ancora di quelle fonti di grazia soprannaturale che ci sono nella Chiesa Cattolica. Ne deriva che alla Chiesa Cattolica, la cui luce illumina tutte le cose e la cui forza di unità soprannaturale ridonda a vantaggio di tutta la comunità umana, si applicano perfettamente queste belle parole di San Cipriano: "Perfusa di luce, la Chiesa del Signore diffonde i suoi raggi sul mondo intero; è però un’unica luce che viene irradiata dovunque, né viene scissa l’unità del corpo. Estende i suoi rami su tutta la terra per il copioso rigoglio, espande a profusione i rivoli che scaturiscono con abbondanza; ma è unico il capo e unica l’origine e unica la madre fertile per le fortunate fecondità: da lei siamo partoriti, siamo nutriti dal suo latte, siamo vivificati dal suo spirito [10].



Venerabili Fratelli,

4. Questo si propone il Concilio Ecumenico Vaticano II, il quale, mentre raccoglie insieme le migliori energie della Chiesa e si sforza con zelo di far accogliere dagli uomini più favorevolmente l’annunzio della salvezza, quasi prepara e consolida la via per realizzare quell’unità del genere umano, che è come il necessario fondamento, perché la Città terrena si organizzi a somiglianza della Città celeste "il cui re è la verità, la cui legge è la carità, la cui grandezza è l’eternità" [11].



Conclusione

9. 1. Ed ora "la nostra voce si rivolge a voi" [12], Venerabili Fratelli nell’Episcopato. Eccoci ormai radunati insieme in questa Basilica Vaticana, dove si trova il cardine della storia della Chiesa: dove ora il Cielo e la terra si uniscono in uno strettissimo abbraccio, qui presso il sepolcro di San Pietro, presso le tombe di tanti Santi Nostri Predecessori, le cui ceneri in quest’ora solenne sembrano quasi esultare di un fremito arcano.

2. Il Concilio che inizia sorge nella Chiesa come un giorno fulgente di luce splendidissima. È appena l’aurora: ma come già toccano soavemente i nostri animi i primi raggi del sole sorgente! Tutto qui spira santità, suscita esultanza. Contempliamo infatti stelle aumentare con il loro chiarore la maestà di questo tempio, e siete voi, secondo la testimonianza dell’Apostolo Giovanni [13]; e per voi risplendere i candelabri d’oro intorno al sepolcro del Principe degli Apostoli, che sono le Chiese a voi affidate [14]. Vediamo anche le degnissime personalità che sono convenute a Roma dai cinque continenti, in rappresentanza delle proprie Nazioni, e che sono qui presenti con grande rispetto e in cortesissima attesa.

3. Si può dunque dire che i Santi e gli uomini cooperano nella celebrazione del concilio: i Santi del Cielo sono impegnati a proteggere i nostri lavori; i fedeli ad elevare a Dio ardenti preghiere; e voi tutti, assecondando prontamente le soprannaturali ispirazioni dello Spirito Santo, ad applicarvi attivamente perché le vostre fatiche rispondano pienamente alle attese e alle necessità dei diversi popoli. Perché ciò si avveri, si richiedono da voi la serena pace degli animi, la concordia fraterna, la moderazione delle iniziative, la correttezza delle discussioni, la saggezza in tutte le decisioni. [SM=g1740733]

4. Che il vostro impegno e il vostro lavoro, ai quali sono rivolti non solo gli occhi dei popoli, ma anche le speranze del mondo intero, corrispondano largamente alle attese.

5. Dio Onnipotente, in te riponiamo tutta la fiducia, diffidando delle nostre forze. Guarda benigno a questi Pastori della tua Chiesa. La luce della tua grazia superna Ci assista nel prendere le decisioni, sia presente nell’emanare leggi; ed esaudisci prontamente le preghiere che rivolgiamo a te in unanimità di Fede, di voce, di animo.

6. O Maria, Aiuto dei Cristiani, Aiuto dei Vescovi, il cui amore abbiamo recentemente sperimentato in modo particolare nel tuo tempio di Loreto, dove abbiamo venerato il mistero dell’Incarnazione, con il tuo soccorso disponi tutto per un esito felice, fausto, propizio; insieme con il tuo Sposo San Giuseppe, con i Santi Apostoli Pietro e Paolo, con i santi Giovanni Battista ed Evangelista, intercedi per noi presso Dio.

7. A Gesù Cristo, amabilissimo Redentore nostro, Re immortale dei popoli e dei tempi, amore, potere e gloria nei secoli dei secoli. Amen (AAS 54 (1962), pp. 785-795).



--------------------------------------------------------------------------------

[1] Lc 2,34.

[2] Lc 10,16.

[3] Lc 11, 23.

[4] Mt 6,33.

[5] Mt 6,33.

[6] Cf. Gen 1,28.

[7] Mt 4,10; Lc 4,8.

[8] At 3,6.

[9] 1Tm 2,4.

[10] De Catholicae Ecclesiae unitate, 5.

[11] S. AGOSTINO, Ep. CXXXVIII, 3.

[12] 2 Cor 6,11 Vlg.

[13] Cf. Ap 1,20.

[14] Cf. Ap 1,20.

[SM=g1740750]

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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...dal sito amico:
disputationes-theologicae.blogspot.com/2009/06/il-magistero-ordinario-infallib...

riporto quanto segue e che aiuta a comprendere la grande confusione che ruota attorno a questo dilemma scaturito non dal Concilio Vaticano II in se ma da coloro che lo usarono apportando pendieri contrari e diversi...si invita gli interessati lettori a NON estrapolare singole parti dal testo, ma se volessero citarlo di riportarlo INTEGRALMENTE... [SM=g1740733]

giovedì 18 giugno 2009

Il magistero ordinario infallibile, l’Abbé Barthe difende la posizione di Mons. Gherardini


La nostra redazione ha ricevuto un’obiezione di un certo interesse da parte di uno dei nostri lettori in relazione al rapporto tra possibilità di critica teologica dei testi del Vaticano II e sottomissione dell’intelligenza al Magistero ordinario infallibile; si tratta di un dibattito annoso e particolarmente spinoso per l’esiguità di pronunciamenti sulla natura e sulle note del magistero ordinario, tuttavia cercheremo di abbordarne la complessità con una serie di interventi. Ringraziamo il contraddittore, che preferisce restare anonimo, per il suo intervento e invitiamo i nostri lettori che vogliano esprimere una diversa visione teologica a partecipare alla disputa.





Il testo del contraddittore :


Paolo VI definì, in un discorso del 12 gennaio 1966, il Magistero dell'ultimo Concilio come 'Magistero ordinario supremo'. Ebbene, il Magistero ordinario universale (se non si vorrà riconoscere come tale quello del Concilio si dovrà farlo rispetto al Magistero di tutti i vescovi sparsi per il mondo in unione con il Papa che da quarant'anni ha per oggetto le dottrine del Vaticano II), laddove proponga dottrine fondate sulla divina Rivelazione, è totalmente vincolante. Lo afferma il Concilio Vaticano I:

"Con fede divina e cattolica deve credersi tutto ciò che è contenuto nella parola di Dio scritta o tramandata, e che è proposto dalla chiesa come divinamente rivelato sia con giudizio solenne, sia nel suo magistero ordinario universale".

Dunque, come accade ad es. per la dottrina riguardante la libertà religiosa contenuta nella dichiarazione Dignitatis Humanae (I, 2), da parte del fedele vi è l'obbligo di credere, di esercitare l'atto di Fede e non solamente l'obbligo di avere per essa profondo rispetto.


L'argomento è oggetto di scontri teologici piuttosto accesi, specie se si valutano alcune scuole teologiche, entrambe di tendenza tradizionale. La nostra redazione ha chiesto un parere ad un teologo che ha a lungo studiato la problematica in questione l'Abbé Claude Barthe. Nato nel 1947, laureato in storia e diritto, ha studiato al seminario tradizionale di Econe e all'Istituto Cattolico di Tolosa; ordinato sacerdote nel 1979 ha fondato e cura tuttora la rivista "Catholica". Tra le numerose monografie ricordiamo "Propositions pour une paix de l'Eglise" ("Proposte per una pace della Chiesa"), sulla situazione teologica e liturgica della Chiesa di oggi, ma anche opere di filologia come "Le IV livre du Rationel de Guillaume Durand de Mende", così come l'edizione francese commentata del "Cerimoniale Episcoporum" voluto dal Concilio di Trento; il suo ultimo lavoro, raccoglie uno studio sulle tendenze odierne tra politica ecclesiastica e scuole teologiche: "Les oppositions romaines à Benoit XVI" ("Le opposizioni romane a Benedetto XVI"). Conosciuto per la rapida intelligibilità delle sue tesi, l'abbé Barthe è anche apprezzato per l'immediatezza concisa dei suoi interventi sempre congiunti ad una ricerca approfondita.




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CONSIDERAZIONI SUL MAGISTERO ORDINARIO INFALLIBILE

dell'Abbé Claude Barthe






(traduzione dall'originale francese di G. Lenzi)




Vorrei in questa sede fare qualche riflessione sulle chiare analisi teologiche che Mons. Brunero Gherardini, ha espresso su "Disputationes Theologicae", le quali hanno anticipato e riassumono quelle del suo libro apparso in questi giorni su questa capitale questione, "Concilio Ecumenico Vaticano II, una discorso da fare". Allo stesso tempo questi miei accenni già pubblicati in buona parte sulla rivista "Objections", vogliono essere una risposta all'obiezione che è stata mossa a Mons. Gherardini su queste stesse pagine.

Bisogna ricordare con fermezza i diversi gradi che impegnano l'insegnamento supremo del Papa solo o del Papa e dei vescovi uniti a Lui. E' necessario soprattutto specificare che il magistero più elevato deve collocarsi intorno a due gradi di autorità:


1) Quello delle dottrine irreformabili del Papa solo oppure del collegio dei Vescovi (Lumen gentium N. 25 § 2, 3). Questo magistero infallibile al quale bisogna " obbedire nella obbedienza della Fede", può essere a sua volta proposto sotto due forme:



a) Le dichiarazioni solenni del Papa solo o del Papa e dei vescovi riuniti in Concilio.

b) Il magistero ordinario e universale(Dz 3011).

2) Secondariamente quello degli insegnamenti del Papa o del Collegio dei Vescovi col Papa, senza intenzione di proporlo in maniera definitiva, ai quali è dovuto "un assenso religioso della volontà e dello spirito" ( Lumen gentium N.25 § 1). Si parla in questo caso, in genere, di "magistero autentico", sebbene l'espressione non sia stata fissata in maniera assoluta.


Il contraddittore, come già l'aveva fatto notare l'Abbé Bernard Lucien, nel suo libro "Les degrès d'authorité du magistére", difende il magistero ordinario ed universale, magistero infallibile misconosciuto, schiacciato se così possiamo esprimerci, fra il magistero solenne infallibile ed il magistero autentico non infallibile. Questa giusta rivalutazione tuttavia non obbliga assolutamente a farvi rientrare tutto l'insieme dei testi del Vaticano II, né tutte le parti di ciascuno dei testi e specialmente le dottrine che sono state oggetto di molte discussioni, nello specifico:


a) Il passaggio dalla dottrina tradizionale della tolleranza a quella della libertà religiosa contenuta nel n. 2 della dichiarazione "Dignitatis Humanae" del Vaticano II;


b) La riverenza da portare alle religioni non cristiane nel n. 2 della dichiarazione "Nostra Aetate";




c) L'ecclesialità "imperfetta" che sembrerebbe essere accordata alle religioni cristiane non cattoliche nel numero 3 del decreto "Unitatis redintegratio".



I padri conciliari non intesero mai innalzare questi propositi, così come altri, la cui formulazione è evidentemente incompiuta, a livello di magistero infallibile da riceversi nell'obbedienza della fede. Il fatto che essi non siano connessi alla professione di Fede Cattolica è quindi una questione di buon senso.




L'infallibilità del Concilio è paradossalmente un tema tradizionalista




In effetti la questione tanto discussa non è stata mai sollevata altrove se non nel mondo tradizionalista, di cui una parte di teologi, in maniera senza dubbio molto bene intenzionata, ma di cui in fin dei conti non si riesce a percepire l'utilità, vorrebbe che queste dottrine si accordassero perfettamente con il magistero anteriore. Ma a dire il vero mai nessuna istanza romana ha preteso la cosa ed ancor meno ha preteso farne una dottrina infallibile! D'altro canto i teologi "non tradizionalisti" non sono obnubilati da "Dignitatis humanae", ma da "Humanae vitae". La loro letteratura a proposito dell'autorità del magistero è immensa, ma essa si occupa – o almeno si occupava fino a "Ordinatio sacerdotalis" sull'impossibilità di ordinare preti le donne – solo del valore dell'enciclica di Paolo VI sull'immoralità intrinseca della contraccezione. Certamente qualche rarissimo autore, tacciato di massimalismo, ha sostenuto che la dottrina del N. 14 di "Humanae vitae" fosse Magistero Ordinario Universale (espressa dal Papa ed approvata dai vescovi in comunione con Lui), magistero di conseguenza infallibile: si tratta dei moralisti C. Ford e Germain Grisez, ed del P. Ermenegildo Lio, i quali hanno inutilmente fatto pressione affinché questa infallibilità fosse riconosciuta ufficialmente.




Per tutti gli altri teologi, "Humanae vitae" non voleva essere altro che "magistero autentico" (e ciò ci appare come un fatto storicamente certo, anche se noi consideriamo, da parte nostra, che questa dottrina in sé stessa sia di fatto infallibile, in quanto conseguenza diretta della legge naturale).




I teologi della contestazione sostengono che una dottrina non sia vincolante se semplicemente autentica. I teologi, invece, favorevoli a "Humanae vitae", al seguito di Giovanni Paolo II, affermano che benché non sia infallibile, sia vincolante in maniera assoluta. Ma costoro hanno dovuto ammettere che può essere prudentemente discussa. Così anche S.E.R. Mons. William Levada, allora Arcivescovo di Portland: " Visto che l'insegnamento certo, ma non infallibile, non comporta l'assoluta garanzia a proposito della sua veridicità, è ben possibile, per una persona che sia arrivata a delle ragioni veramente convincenti, giustificare la sospensione dell'adesione."




Se quindi "Humanae vitae", che è nella linea della continuità con l'insegnamento anteriore a riguardo della condanna della contraccezione, non è stata mai proposta come infallibile, a maggior ragione "Dignitatis humanae", la quale propone in una maniera che può essere intesa in diversi modi, una dottrina che ha tutte le apparenze di una novità, non può avere questa pretesa. L'argomento, sicuramente insufficiente se preso in se stesso, ci rimanda ad un'inquietudine delle origini per quanto riguarda l'infallibilità, la quale é introdotta dal famoso fine semplicemente "pastorale" del Concilio.




Il contesto: un Concilio "semplicemente pastorale", cioè "semplicemente autentico"




All'origine di tutto c'è la dichiarazione preliminare di Giovanni XXIII nel suo discorso " Gaudet mater Ecclesia" del 11 Ottobre 1962: visto che una dottrina infallibilmente definita è già stata sufficientemente espressa dai concili precedenti, ora non resta che presentarla "nella maniera che corrisponde alle esigenze della nostra epoca" e dare attraverso quest'azione "un insegnamento di carattere soprattutto pastorale". Il punto cruciale è dunque sapere se il Concilio abbia potuto essere infallibile senza volerlo veramente e ciò per il solo fatto che pronunciava delle dottrine che adempivano oggettivamente le "condizioni" tipiche degli enunciati che devono esse fermamente accettati e creduti. Ma bisognerebbe anche valutare la reale pertinenza della questione.




Il Vaticano II è incontestabilmente un concilio eccezionale, unico nel suo genere, in tutta la storia della Chiesa, il quale ha provocato un sommovimento senza eguali nella fede e nella disciplina. Non si può dubitare che richiami un certo numero di insegnamenti tradizionali (come quello dell'infallibilità per esempio), e che abbia prodotto dei bei testi (sulle missioni o sulla Rivelazione per esempio). Ma è impossibile ragionare teologicamente fuori dal contesto pregnante del suo svolgimento e delle sue conseguenze, nel quale il fatto di volere attenuare le chiusure della dottrina tradizionale sembrava naturale nonché necessario per realizzare una "apertura verso il mondo". In questo contesto "pastorale", i Padri conciliari, coltivando una certa ambiguità che permetteva di scioccare un po' meno i propri contemporanei, i quali giudicavano come "tirannico" per le coscienze moderne, il potere di "scogliere e legare", hanno dovuto semplicemente lasciarsi trasportare dalla corrente generale. Questo Concilio ha si insegnato, ma "pastoralmente". Si può fare un parallelo in chiave analogica (un po' lontano ma che può illuminarci) con i sacramenti. La loro validità è dipendente dell'uso "serio" fattone dal ministro e richiesto dal rito essenziale (materia e forma), uso che manifesta oggettivamente che ha l'intenzione di fare ciò che la Chiesa vuol fare. Un uso "serio", cioè grazie al quale è visibile, secondo il senso comune, che il ministro vuole veramente compiere il rito efficace. Così un prete che, nel contesto di una semplice lezione di catechismo, compie i gesti e pronuncia le parole di un sacramento ciononostante non compie l'atto sacramentale. Supponiamo, per favorire la nostra riflessione, che un sacerdote, in un contesto ambiguo, lasci intendere almeno come idea diffusa, che non vuole veramente compiere un atto sacramentale formale (cosa che d'altronde capita oggigiorno in certe cerimonie). Quest'atto sarebbe almeno di validità discutibile. Mutatis mutandis, la situazione a-magisteriale che ha preceduto il Vaticano II rende almeno dubbia una delle specificità del Concilio, e non la meno importante, quella della volontà del Papa e dei vescovi sull' obbligo all'adesione. Invece, anche dopo tutte le dispute per l'interpretazione che conosciamo bene, è perfettamente presente la chiara volontà di "fissare una certa linea". Il Concilio Vaticano II ha creato una "disposizione dell'animo", ma non ha creato nessun corpo dottrinale. I teologi non-tradizionalisti, quasi unanimemente, non hanno mai smesso di conservare la spiegazione di "pastorale" come praticamente sinonimo di "autentico", cioè di non infallibile.




L'interpretazione degli autori: una chiara volontà di non definire


In ogni caso, le testimonianze ufficiali sono concordi sulla volontà di non "definire". A due riprese (6 marzo 1964, 16 novembre 1964), la Commissione Dottrinale, alla quale era stato chiesto quale dovesse essere la qualifica teologica della dottrina proposta nello schema sulla Chiesa (e la domanda mirava soprattutto alla dottrina della collegialità), rispose: "Tenendo conto della pratica conciliare e del fine pastorale dell'attuale Concilio, quest'ultimo definisce solo le cose concernenti la Fede e la Morale che esso stesso avrà esplicitamente dichiarato tali".


Paolo VI spiegò che la cosa non era avvenuta. Una volta terminato il Concilio ritornò in effetti due volte sulla questione. Una prima volta, nel discorso di chiusura del 7 dicembre 1965: "Il Magistero (..), pur non volendo pronunciarsi con sentenze dogmatiche straordinarie, ha profuso il suo autorevole insegnamento sopra una quantità di questioni, che oggi impegnano la coscienza e l'attività dell'uomo". Una seconda volta nel discorso del 12 gennaio 1966: "Vi è chi si domanda quale sia l'autorità, la qualifica teologica, che il Concilio ha voluto attribuire ai suoi insegnamenti, sapendo che esso ha evitato di dare definizioni dogmatiche solenni, impegnanti l'infallibilità del magistero ecclesiastico (…), dato il carattere pastorale del Concilio, esso ha evitato di pronunciare in modo straordinario dogmi dotati della nota di infallibilità; ma esso ha tuttavia munito i suoi insegnamenti dell'autorità del supremo magistero ordinario; il quale magistero ordinario e così palesemente autentico deve essere accolto docilmente e sinceramente da tutti i fedeli, secondo la mente del Concilio circa la natura e gli scopi dei singoli documenti".


La redazione di questi testi è in certa misura imbarazzata. Li si può interpretare in due modi a seconda che si insista sull'uno o l'altro versante della dichiarazione essenziale:


1) il concilio non ha mai fatto uso di "definizioni dogmatiche solenni impegnanti l'infallibilità del magistero ecclesiastico", ma ha potuto far uso del magistero ordinario universale (infallibile). La cosa sarebbe sufficiente a fare del Vaticano II un Concilio "a parte" nella storia della Chiesa, il quale insegna su "materie nuove" (l'ecumenismo) ma rifiutando di definire;


2) il Concilio non ha mai fatto uso di "definizioni dogmatiche solenni impegnanti l'infallibilità del magistero ecclesiastico". Se non ha mai fatto uso di definizioni solenni è perché non ha voluto essere infallibile. Il che conferma il fatto che questi testi evitino accuratamente di parlare di "obbedienza della fede": "(Questo Concilio ha tuttavia) profuso il suo autorevole insegnamento sopra un quantità di questioni che oggi impegnano la coscienza e l'attività dell'uomo"….. "ha munito i suoi insegnamenti dell'autorità del supremo magistero ordinario; il quale magistero ordinario e così palesemente autentico deve essere accolto docilmente e sinceramente da tutti i fedeli". La qual cosa rinvia all' "assenso religioso della volontà e dello spirito" richiesto dal magistero "palesemente autentico", e non già all'"obbedienza della fede" richiesta dal magistero infallibile.


Il buon senso: il rifiuto di una "definizione forte" manifesta logicamente il rifiuto di una "definizione leggera"


Nel caso volessimo supporre che siano state scartate chiaramente soltanto le definizioni solenni, resterebbe tuttavia qualcosa di incomprensibile: il Vaticano II avrebbe rifiutato le "definizioni forti" secondo un'espressione chiara e incontestabile (il magistero solenne), nella volontà tuttavia di accrescere il contenuto del Credo facendo scivolare alcune "definizioni leggere" (il magistero ordinario e universale). Inoltre i testi del Concilio – prescindendo dal contesto generale e dalle interpretazioni degli autori - contengono dei tipi di proposizione che, in un altro concilio, aldilà di questa congiuntura nella quale ci si rifiuta di porre una regola di fede, si sarebbero potuti considerare come definizioni solenni. E' il caso della sacramentalità dell'episcopato (che nessuno, è vero, metteva più in dubbio), oppure a proposito della "sussistenza" della Chiesa di Cristo nella Chiesa cattolica (del tutto nuova, ma il cui senso oscuro è ancora da precisare).

Riguardo alla definizione della libertà religiosa, essa è formalizzata: "questa libertà consiste: ecc...; si fonda sulla dignità stessa della persona umana quale si conosce sia per mezzo della parola rivelata di Dio, sia mediante la stessa ragione", Dignitatis humanae, 2,1. Inoltre, ogni testo conciliare, ivi compresa la dichiarazione Dignitatis humanae è seguito da una formula come : "tutte e ciascuna delle cose proclamate in questa dichiarazione piacquero ai Padri del Concilio. E Noi in virtù del potere apostolico che abbiamo da Cristo, in unione con i venerabili Padri, Noi l'approviamo, stabiliamo e decretiamo nello Spirito Santo". A Firenze, Trento o al Vaticano I, non sarebbe stato impossibile che ci si fosse trovati in presenza di un dogma da credere.


Eppure il commento più autentico che sia possibile, in quanto emana dagli autori stessi dei documenti, lo afferma senza ambiguità: non sono dei dogmi. Malgrado le apparenze, o malgrado la necessita intrinseca. Joseph Ratzinger commentava in un complemento all'opera classica di riferimento in Germania, il Lexicon fur Theologie und Kirche : "il Concilio non ha creato nessun nuovo dogma su nessuno dei punti abbordati. (…) Ma i testi includono, ognuno secondo il proprio genere letterario, una proposizione ferma per la loro coscienza di cattolici". Soltanto una "proposizione ferma": non l'obbligo a credere. Ciò che d'abitudine in un Concilio dovrebbe comportare l'impegno del magistero solenne non lo ha comportato nel caso del Vaticano II, quindi e a maggior ragione, se valutiamo il magistero non solenne, il quale, con la grande difficoltà che esso comporta nel discernimento del grado di impegno, si troverà al di sotto dell'infallibilità, altrimenti detto sarà semplicemente autentico.


Inoltre, qualunque ipotesi si voglia considerare, "nessuna dottrina è considerata come infallibilmente definita se la cosa non è stata stabilita in maniera manifesta" (CJC, can. 749 c. 3). L'importanza di questo canone è enorme perché legata all'appartenenza alla Chiesa.

In effetti tutti sono obbligati a evitare ogni dottrina contraria", tenentur devitare (CJC, can. 750). E chiunque nega una verità cade nell'eresia (can. 751). (Allorché nulla di simile succede a colui che rifiuta una verità del "magistero autentico": "i fedeli avranno cura di evitare ciò che non concorda con questa dottrina", curent devitare, can. 752). La cosa deriva, del resto, dal principio generale che vuole che non si imponga mai un fardello senza motivo, e dunque che ciò che è più esigente non si presume: "le leggi che impongono una pena (…) sono di interpretazione stretta" (can. 18).


Provare a superare la difficoltà

In definitiva ci si potrebbe chiedere se il dibattito stesso, oltre al fatto che non interessa affatto il mondo della teologia "conciliare", seppur interessato in prima persona, non sia del tutto inutile. Tutti i partecipanti al dibattito, o quasi, sono d'accordo sul fatto che alcune precisazioni magisteriali sui punti apparentemente o realmente anti-tradizionali del Vaticano II, sarebbero in ogni caso qualcosa di estremamente opportuno. Noi siamo per parte nostra convinti che queste precisazioni non possono arrivare se non per mezzo del solo "gioco" dello sviluppo omogeneo del magistero (del magistero in quanto tale, infallibile) confrontato ad una crisi della fede, va detto che questo movimento è già in gestazione in atti tra l'altro come Veritatis splendor e Dominus Jesus.


Nell'attesa di queste precisazioni, che arriveranno ineluttabilmente, ma che è cosa buona sollecitare presso i pastori e i dottori, non si potrebbe parlare ad esempio di "magistero incompiuto"? "Magistero incompiuto", nel senso che quando ha abbordato soggetti nuovi, la volontà di insegnare del Vaticano II non è andata fino in fondo, fino all'infallibilità, o che nel caso in cui sia pervenuto a questa infallibilità non ha emesso altro che dei "canovacci" ("brouillons") di dottrina infallibile? Parlando di "magistero incompiuto" si lascerebbe ai teologi del futuro la possibilità di dibattere a piacimento sul fatto che il Vaticano II, a proposito di ecumenismo, di libertà religiosa, dello status delle religioni non cristiane, è stato in seguito sia rettificato, sia completato. Ciò che resta in ogni caso fondamentale per il bene della Chiesa è che la confessione della fede possa essere rimessa su un agevole cammino grazie ad un magistero preciso e chiaramente infallibile.
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Un esempio concreto.....


Se tutto quello che c'è nel catechismo sia infallibile

      Quesito

      caro padre,
      volevo sapere questo: se io prendo in mano il catechismo della chiesa cattolica, posso essere sicuro che tutto quello è scritto gode del carisma dell’infallibilità?
      E se sì, come mai nel catechismo di Pio x (forse) era scritto che i bambini morti senza battesimo finivano nel limbo mentre giustamente oggi si dice che Dio ha vie che solo lui sa per salvarli?
      Come sempre mille grazie.
      Luca
 


      Risposta del sacerdote

      Caro Luca,
      le domande che mi poni sono due. La prima verte sulla sicurezza dottrinale dei contenuti del Catechismo della Chiesa cattolica.
      La seconda sul fatto che alcuni dicono che la Chiesa dovrebbe ammorbidirsi sulla questione del divorzio.
     
      1. Circa la prima domanda.
      Non tutte le affermazioni del CCC hanno il medesimo valore.
      Sono tutte proposizioni del Magistero ecclesiastico, e pertanto vanno accolte con l’interiore ossequio dell’intelletto e della volontà, come dice il Vaticano II.
      Ma non tutte sono legate al magistero infallibile.
      Il magistero infallibile viene espresso in due maniere.
 
      1. Nel magistero straordinario. E ci troviamo di fronte a magistero straordinario in due casi: nei pronunciamenti dogmatici del Sommo Pontefice e nei pronunciamenti di un Concilio ecumenico. 

      2. Nel magistero ordinario fatto dal papa, ma col quale concordano tutti i vescovi sebbene non riuniti in Concilio, come ricorda il Concilio Vaticano II nella Lumen gentium, n.25. 

      In altri casi ci si trova di fronte a magistero ordinario che ha un grado maggiore o minore di certezza a seconda del modo o della frequenza con cui è stato proposto.
      In altri casi ancora ci si trova di fronte a contenuti dottrinali esposti nella liturgia della Chiesa, nel pensiero dei Santi Padri o dei dottori della Chiesa. E in altri casi infine al pensiero comune dei teologi. 

      Ebbene, per appurare il grado di valore delle affermazioni è necessario sempre tener d’occhio le note: se si tratta del Magistero solenne del papa, del magistero di un concilio, del magistero del papa con l’aiuto delle congregazioni romane, del pensiero di un santo o semplicemente di un’indicazione pratica non suffragata da alcun documento ecclesiastico. 

      Tuttavia, sebbene le singole affermazioni non abbiano tutte il medesimo grado di certezza, il Catechismo della Chiesa Cattolica è “norma sicura per l’insegnamento della fede”, come ha detto Giovanni Paolo II nella Costituzione Apostolica Fidei depositum, con la quale ha emanato la pubblicazione del Catechismo della Chiesa cattolica (n. 4). 

      Si faccia attenzione. Giovanni Paolo II non ha detto: è “norma infallibile”, ma: è “norma sicura”. Egli stesso era consapevole delle distinzioni che io ti ho fatto.
     
      Circa l’esempio che mi hai posto, ti posso dire che anche San Pio X sapeva che non era insegnamento infallibile la destinazione al limbo per i bambini morti senza battesimo.
      Trovandosi di fronte ad un problema sul quale non si può trarre una risposta puntuale direttamente dalla Divina Rivelazione o dal Magistero infallibile della Chiesa, ha dato una risposta traendola dal pensiero comune dei teologi. 

      Oggi la Chiesa, come tu stesso rilevi, pensa diversamente. Ma non condanna come erroneo il pensiero precedente, perché aveva le sue buone motivazioni. Tuttavia il pensiero del CCC ha motivazioni migliori.
     
      Come sempre, ti assicuro le mie preghiere e ti benedico.
      Padre Angelo


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 La questione sul LIMBO e l'importanza del Battesimo
Chiarimenti su una dottrina NON dogmatica ma essenziale


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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26/08/2009 17:25
 
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....ripropongo qui una parte del testo che Gino (che ringrazio vivamente) ha inserito all'interno di un discorso più ampio includendo una prima parte che vi invito a leggere integralmente cliccando qui:

IL MAGISTERO DELLA CHIESA

Le forme di esercizio del magistero nella Chiesa Cattolica *


Con l’ordinazione sacramentale, i vescovi della Chiesa cattolica ricevono la pienezza del ministero sacerdotale, che la teologia articola in munus docendi, regendi et sanctificandi (potere/ministero di insegnare, di governare e di santificare).

Il magistero nella Chiesa cattolica è l’espressione dell’esercizio da parte del collegio episcopale – il quale sussiste sempre cum Petro ed sub Petro – dell’autorità di insegnamento dottrinale in materia della fede e dei costumi rivelati, nonché di quanto è intimamente connesso alla rivelazione.

In concreto, il magistero viene esercitato in modi distinti e quindi anche con una gradazione nell’impegno dell’autorità magisteriale. È nostro compito qui offrire una descrizione molto sintetica di queste distinte forme di esercizio del magistero ecclesiale.

Due modalità fondamentali di magistero, un solo soggetto magisteriale

Una prima distinzione utile è quella tra un esercizio «solenne o straordinario» del magistero e l’esercizio «non solenne o ordinario».

Mediante la prima espressione, si fa riferimento a decisioni e dottrine particolarmente importanti, insegnate in forma definitiva; mentre con la seconda, si allude all’esercizio continuativo del munus docendi, senza che gli insegnamenti proposti implichino di per sé l’infallibilità e la definitività.

Per procedere con ordine, dobbiamo ricordare innanzitutto che nella Chiesa cattolica vi è un solo soggetto di magistero, vale a dire il collegio dei vescovi in unione e sotto il successore di Pietro (cf.LG 22). Quest’unico soggetto può agire tuttavia in due modi distinti: o con una decisione manifestamente collegiale, oppure nella persona del capo del collegio episcopale, il Papa, che nel (5) pronunciarsi a livello magisteriale racchiude in sé anche l’intero collegio dei vescovi. In ogni caso,
dunque, è sempre l’unico soggetto ad insegnare nella Chiesa, ma secondo una duplice modalità.

Questa annotazione consente ora più agevolmente di ordinare le distinte forme di magistero all’interno della distinzione già proposta tra magistero «straordinario/solenne» e «ordinario/non solenne».

Le distinte forme di magistero

Nel magistero straordinario rientrano quegli insegnamenti che vengono proposti dall’autorità ecclesiastica come infallibili e quindi definitivi. Nel caso essi siano pronunciati dal solo capo del collegio, si tratta degli insegnamenti ex cathedra del Pontefice romano, ai quali il concilio Vaticano I riconosce l’infallibilità (cf. DS 3074).
Nel caso in cui un insegnamento definitivo sia offerto dall’intero collegio, vi sono due tipi di insegnamento infallibile: quello proposto attraverso una definizione dogmatica di un concilio ecumenico; e quello che è contenuto nel cosiddetto «magistero ordinario universale», sul quale torneremo.

Se volgiamo ora lo sguardo al magistero ordinario, vedremo che in questa categoria rientrano le seguenti forme di esercizio del munus docendi: per quanto riguarda il Papa, si tratta qui del suo magistero ordinario, espresso in vari modi e con distinte gradazioni, ma tuttavia non proposto infallibilmente (non ex cathedra) NOTA 1

Da questi insegnamenti ordinari del Papa vanno accuratamente distinti i suoi scritti personali, che non rientrano nell’esercizio del suo magistero. Per alcune riflessioni essenziali su questo punto, si può vedere: M. Gagliardi, «Il magistero può esprimersi in versi? Poesie del Papa ed epistemologia teologica», Vita Pastorale 4 (2003), pp. 80-83.).


Circa i vescovi, rientra nel loro magistero ordinario – che essi possono esercitare solo in comunione gerarchica col capo del collegio – sia un insegnamento
promulgato in concilio ecumenico, ma non definito dogmaticamente, sia tutti gli insegnamenti che i vescovi impartiscono come singoli nelle proprie diocesi, o attraverso varie forme aggregative, nel loro quotidiano esercizio di magistero pastorale.

Sarà utile a questo punto ricapitolare il tutto con un semplice schema:

1.Magistero «straordinario/solenne»
a. Definizioni dogmatiche del Papa ex cathedra
b. Definizioni dogmatiche di concili ecumenici
c. Magistero ordinario universale

2. Magistero «ordinario/non solenne»
a. Insegnamenti del Papa non proposti in maniera definitiva
b. Insegnamenti dei concili ecumenici non proposti in maniera definitiva
c. Insegnamenti ordinari dei vescovi


Nello schema proposto si noterà un’inconsistenza, che finora abbiamo lasciato volutamente passare:
nella serie di insegnamenti «straordinari/solenni» figura anche il «magistero ordinario universale», il quale di certo non è straordinario, perché si chiama ordinario; e nemmeno è solenne, perché non viene di norma solennizzato in alcun modo (ad es. con una definizione dogmatica solenne).

Cos’è il magistero ordinario universale?

In questa categoria rientra ogni insegnamento costante di tutti i vescovi in comunione gerarchica col Papa, senza tuttavia che sia mai intervenuta una proclamazione solenne. Si tratta di insegnamenti, si potrebbe dire, attinenti a verità che la chiesa sempre e dovunque ha proposto a credere, anche se essi non sono mai stati formalmente definiti come dogmi.
Nonostante ciò, si ritiene che queste dottrine vengano proposte infallibilmente da parte del magistero della Chiesa (cf. DS 2879; LG 25). Per questo, il magistero ordinario universale rientra nel gruppo delle forme di esercizio straordinarie, ovvero di quelle che fissano la dottrina in maniera incontrovertibile. Di qui, la nostra proposta: più che utilizzare le dizioni – seppur classiche e che perciò abbiamo mantenuto sin qui – di «magistero straordinario/solenne», e di «magistero ordinario/non solenne», sarebbe preferibile distinguere in «magistero infallibile» e «magistero non infallibile».

Questo accorgimento eliminerebbe ogni possibilità di confusione.

È chiaro anche che simile categorizzazione non dovrebbe divenire occasione di strumentalizzazioni.

Piste di approfondimento

Attiriamo ora l’attenzione su alcuni punti particolari, non essendo qui possibile un approfondimento adeguato delle varie forme di esercizio del munus docendi.

1. Per quanto riguarda il magistero infallibile ex cathedra del Sommo Pontefice, rientrano in questa categoria solo alcuni insegnamenti del Papa, che di norma non ricorre a questa forma particolarmente impegnativa della sua autorità magisteriale.

Il concilio Vaticano I ha definito come dogma di fede che il Papa, quando insegna in questo modo, gode «di quella infallibilità di cui il divino Redentore ha voluto che fosse dotata la sua chiesa» (DS 3074). Perché vi sia effettivamente una definizione ex cathedra, sono necessarie alcune condizioni, ovvero:

a) che il Papa parli a tutta la Chiesa, in qualità di pastore e dottore supremo di tutti i fedeli, con lo scopo di confermarli nella fede;

b) che il Papa voglia impegnare tutta la sua autorità magisteriale;

c) che manifesti, con un atto chiaro ed evidente, la sua volontà di insegnare la dottrina in modo definitivo;

d) che la dottrina insegnata riguardi la materia di fede e di costumi.


L’assenza anche di uno solo di questi requisiti impedisce di ritenere ex cathedra un dato insegnamento pontificio.


2. Riguardo al magistero infallibile espresso in definizioni dogmatiche di concili ecumenici, bisogna annotare che, anche in questo caso, non solo deve essere manifesto il carattere di insegnamento definitivo, ma bisogna anche rilevare il carattere di ecumenicità del concilio stesso, affinché la definizione dottrinale sia valida.

Qual è il criterio di ecumenicità di un concilio?


La normativa vigente (cf. LG 22), prevede che i concili sono ecumenici quando vengono convocati, presieduti e confermati dal Sommo Pontefice. Tuttavia nella storia della Chiesa antica incontriamo numerose definizioni dogmatiche prodotte in concili non convocati né presieduti dal Papa. Pertanto, il criterio ultimo di discernimento della ecumenicità di un concilio risiede nel fatto che esso sia stato almeno confermato o accettato da un romano Pontefice. La stessa LG 22 afferma: «Concilium Oecumenicum numquam datur, quod a Successore Petri non sit ut tale confirmatum vel saltem receptum». Solo tale riconoscimento, infatti, manifesta la comunione gerarchica dei vescovi presenti ad un concilio con il capo del collegio, comunione senza la quale nessun insegnamento episcopale può essere ritenuto valido e tantomeno infallibile.

3. Un caso più difficile è costituito dal magistero ordinario universale. Questo magistero è infallibile quando vi sia una convergenza esplicita su una dottrina che il collegio episcopale ritiene definitiva.
Nella lettera Tuas libenter (21 dicembre 1863), Pio IX insegnava che l’atto di fede divina non deve essere limitato da parte del credente solo a quanto è stato esplicitamente definito dal Papa o dai concili ecumenici, ma deve essere effettuato «anche a quelle cose che per mezzo del magistero ordinario di tutta la Chiesa diffusa sulla terra, sono trasmesse come divinamente rivelate e quindi, per universale e costante consenso, sono considerate dai teologi cattolici come appartenenti alla fede» (DS 2879).

Anche il concilio Vaticano II (cf. LG 25) ha fatto riferimento a questa forma di
magistero. Un esempio recente di richiamo a questo tipo di magistero lo incontriamo nella Lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis (22 maggio 1994) di Giovanni Paolo II, in cui il Papa affermava che «la dottrina circa l’ordinazione sacerdotale da riservarsi soltanto agli uomini» è «conservata dalla costante e universale tradizione della Chiesa» e dichiarava perciò che «la Chiesa non ha in
alcun modo la facoltà di conferire alle donne l’ordinazione sacerdotale e che questa sentenza deve essere tenuta in modo definitivo da tutti i fedeli della Chiesa» (EV/14, nn. 1347-1348) NOTA 2.

Una successiva «Risposta» della Congregazione per la Dottrina della Fede (28 ottobre 1995: EV/14, n. 3271; si veda anche l’annesso commento: nn. 3274-3282) ha chiarito che questo insegnamento di Giovanni Paolo II rientra esattamente nella categoria del «magistero ordinario universale», per cui qui il Papa non ha fatto altro che prendere atto di ciò che da sempre fa parte della fede della Chiesa e lo ha riproposto con la sua autorità magisteriale ai nostri giorni.



Il punto difficile sta nel reperire effettivamente il consenso del collegio episcopale e dei teologi su una dottrina di magistero ordinario universale.
Per questo, riteniamo che di fatto solo il Papa sia nella posizione ed abbia l’autorità per poter effettivamente rilevare e dichiarare l’esistenza di simile convergenza magisteriale, convergenza operata dallo Spirito di verità, il quale non permette che la totalità dei fedeli (universitas fidelium) possa sbagliarsi nel credere (cf. LG 12).

4. Infine, circa le varie forme di magistero non infallibile: di certo questi insegnamenti non vengono proposti come definitivi e sono pertanto perfezionabili. Tuttavia, bisogna partire dal presupposto (praesumptio) che di norma anche il magistero ordinario o non infallibile non sbagli nel guidare i fedeli alla conoscenza della verità.

Sarebbe errato ritenere che l’azione ispiratrice dello Spirito Santo si verifichi solo in occasione di insegnamenti infallibili: ciò farebbe di tutte le altre forme di esercizio magisteriale un’iniziativa puramente umana. D’altro canto, l’indispensabile distinzione tra un magistero infallibile e uno non infallibile non dovrebbe essere strumentalizzata per fungere da fondamento per il dissenso teologico nei confronti dei pronunciamenti non infallibili dei pastori della Chiesa, insegnamenti che, d’altro canto, rappresentano la parte materialmente più ampia della dottrina ecclesiale. Il teologo può dare un notevole contributo alla vita ecclesiale anche facendo notare i margini di miglioramento di aspetti particolari del magistero autentico dei pastori, tuttavia tale collaborazione deve essere vissuta sempre in spirito ecclesiale e non in un dilacerante spirito di contestazione e di rivalsa. NOTA 3

Su questo aspetto consigliamo la lettura del documento della Congregazione per la Dottrina della Fede, Donum veritatis. Istruzione sulla vocazione ecclesiale del teologo, 24 maggio 1990: EV/12, nn. 244-305. Si veda pure: Paolo VI, Paterna cum benevolentia, 8 dicembre 1974: EV/5, nn. 815-848.


Conclusione

La differenziazione degli interventi magisteriali è indice della ricchezza e pluriformità che lo Spirito di Cristo suscita in tutti gli ambiti della Chiesa. D’altra parte, indica anche che la Chiesa cattolica, finché vive in questa terra, ne condivide anche la condizione di storicità pellegrinante. Infine, l’esistenza di diverse forme di esercizio del magistero, nonché la tendenza da parte dei pastori a utilizzare di rado le sue forme infallibili, denuncia come infondate le accuse di chi ritiene il magistero della Chiesa un negativo esempio di autoritarismo. Esso è, al contrario, esercizio di una
vera autorità donata da Cristo a coloro che hanno la responsabilità di «ascoltare piamente, custodire fedelmente ed esporre santamente» (DV 10) il deposito della fede, per favorire la salvezza dei credenti e di tutti gli uomini di buona volontà.

* Tratto dal numero di marzo-aprile 2007 di “Sacerdos”


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Bibliografia essenziale ( a cura dell’Associazione “Veritatis Splendor”)

RACCOLTE DI DOCUMENTI DOTTRINALI
Heinrich Denzinger, Enchiridion Symbolorum, definitionum et declarationum et morum, Edizione bilingue, EDB, Bologna 2004, pp. 2304
Josef Neuner, Jacques Dupuis, La fede cristiana nei documenti dottrinali della Chiesa cattolica, San Paolo, 2002, pp. 1128
La fede della Chiesa cattolica. Le idee e gli uomini nei documenti dottrinali del Magistero, a cura di J. Collantes, Libreria Editrice Vaticana, 1993, pp. 1086


DOCUMENTI SPECIFICI (in ordine cronologico)
Congregazione per la Dottrina della Fede, Istruzione Donum Veritatis sulla vocazione ecclesiale dl teologo, 24 maggio 1990
Giovanni Paolo II, Lettera apostolica Ad tuendam fidem, 18 maggio 1998
Congregazione per la Dottrina della Fede, Nota illustrativa della formula conclusiva della Professio fidei, 29 giugno 1998
Congregazione per la Dottrina della Fede, Dichiarazione Dominus Jesus circa l’unicità e l’universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa, 6 agosto 2000

STUDI
Ugo Lattanzi, Il primato romano, Morcelliana, Brescia 1961
Piero Cantoni, L’infallibilità del Magistero del Papa, in Processi alla Chiesa. Mistificazione e apologia, Piemme Casale Monferrato 1992, pp. 125-143
J. Ratzinger, Trasmissione e fonti della fede, [n. 96 “Cristianità”, (aprile 1983)], Piemme, Casale Monferrato, 1985.
Roberto de Mattei, Quale Papa dopo il Papa, Piemme, Casale Monferrato 2002





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Concilio pastorale? = non tutto vincolante!

Un appassionante articolo di Roberto De Mattei sulla storiografia dell'ultimo Concilio. Dove è significativo, tra l'altro, che argomenti di questo spessore, e di questo genere, appaiano su quotidiani di primaria diffusione nazionale e non più solo in bollettini di nicchia, snobbati dai più. Davvero da questi segni appare con evidenza che non solo l'atmosfera: anche il clima, sta cambiando. E questo spiega molte reazioni scomposte del campo avverso: al disprezzo e al fastidio è subentrata la paura e, presto, il panico.


DUE RILETTURE DEL VATICANO II RISCOPRONO
“L’ININTERROTTA TRADIZIONE ECCLESIALE”
E IL PESO NON DOGMATICO DEL CONCILIO

Roma. Il Concilio Vaticano II, fino a ieri appaltato alla lettura storiografica della “scuola di Bologna”, inizia a essere oggetto di una nuova fase di riflessione storico-critica, che prende le mosse dall’ormai celebre discorso alla Curia romana di Benedetto XVI del 22 dicembre 2005.

Lo stesso Papa Ratzinger è ritornato più volte sull’argomento: l’ultima volta nel
discorso ai partecipanti alla Plenaria della Congregazione per il Clero del 16 marzo 2009, in cui il Papa ha ribadito la necessità di rifarsi “all’ininterrotta Tradizione ecclesiale” e di “favorire nei sacerdoti, soprattutto nelle giovani generazioni, una corretta ricezione dei testi del Concilio Ecumenico Vaticano II, interpretati alla luce di tutto il bagaglio dottrinale della chiesa”. L’unica maniera di rendere credibile il Vaticano II - ha sempre sostenuto il cardinale Ratzinger e sostiene oggi Benedetto XVI - è presentarlo come una parte dell’intera e unica Tradizione della chiesa e della sua Fede.

In questo solco si è inserito il recente libro “Vatican II. Renewal within Tradition” (Oxford University Press 2008) di Matthew Lamb e Matthew Levering, due docenti dell’Università Ave Maria in Florida. Al discorso di Benedetto XVI, che apre il volume, seguono una serie di densi contributi, rispettivamente dedicati alle quattro costituzioni conciliari, ai nove decreti e alle tre dichiarazioni del Vaticano II. I nomi degli autori sono di prestigio: tra essi, due cardinali americani (Avery Dulles e Francis George), noti teologi, come il domenicano dell’Angelicum padre Charles Morerod [ora incaricato dei colloqui con la FSSPX], studiosi di peso come il filosofo del diritto Russell Hittinger. La tesi di fondo è che il Vaticano II può essere inteso solo in continuità con la tradizione bimillenaria della chiesa, secondo la formula di Leone XIII “vetera novis augere et perficere”.

La dimostrazione si svolge sul piano di un’analisi testuale dei documenti, considerata naturalmente riduttiva da chi sostiene la priorità qualitativa dell’”evento” conciliare rispetto alle sue decisioni dottrinali che, come ha scritto Giuseppe Alberigo, “non possono essere lette come astratti dettati normativi, ma come espressione e prolungamento dell’evento stesso”.
 
E’ in questo dibattito che si inserisce ora il recente libro di monsignor Brunero Gherardini, “Concilio ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare”, edito dalla Casa Mariana Editrice di Frigento dei Francescani dell’Immacolata. Un’opera la cui importanza deriva, oltre che dal suo contenuto, dalla figura stessa dell’autore, decano della Pontificia Università Lateranense, postulatore della causa di canonizzazione di Pio IX, direttore della rivista “Divinitas” ed ultimo esponente della grande “scuola teologica romana”.

L’autorità del volume è accresciuta dalla prefazione di monsignor Mario Oliveri, vescovo di Albenga e dalla premessa di monsignor Albert Malcolm Ranjith, [ex] segretario della Congregazione del Culto Divino e arcivescovo di Colombo (Sri Lanka). Tema centrale del volume di monsignor Gherardini è quello della natura pastorale del Concilio, un punto su cui i fautori delle pur diverse tesi sostanzialmente concordano. Il Vaticano II fu un concilio pastorale: tale lo dissero sempre Giovanni XXIII, Paolo VI e i suoi successori, fino all’attuale Pontefice. Ma quali sono le conseguenze di questa “pastoralità”, che è, in ultima analisi, la relazione della chiesa con il mondo?

“Costituzioni dogmatiche”

Il Vaticano II, chiarisce Gherardini, in quanto “pastorale”, fu privo di un carattere dottrinale “definitorio”. L’assenza di intenti definitori sembra contraddetta dall’aggettivo “dogmatica”, con cui il Concilio qualifica due sue importanti costituzioni: la Lumen Gentium e la Dei Verbum. In realtà, come spiega l’autore, di esse si parla come di “costituzioni dogmatiche” solo perché esse recepirono e riproposero come verità di fede dogmi definiti in precedenti Concili (pp. 50-51). Il fatto che solo due documenti conciliari furono definiti dogmatici, rende comunque evidente che tale carattere non ebbero gli altri documenti.

Il Concilio Vaticano II ha certamente un suo specifico insegnamento, non privo di autorevolezza, ma come spiega Gherardini, “le sue dottrine, non riconducibili a precedenti definizioni, non sono né infallibili né irreformabili, e dunque nemmeno vincolanti; chi le negasse non per questo sarebbe formalmente eretico. Chi poi le imponesse come infallibili ed irreformabili andrebbe contro il Concilio stesso” (p. 51).

Ne consegue che è lecito riconoscere al Vaticano II un’indole dogmatica solamente là dove esso ripropone come verità di fede dogmi definiti in precedenti concili. “Le dottrine, invece, che gli son proprie non potranno assolutamente considerarsi dogmatiche, per la ragione che son prive dell’ineludibile formalità definitoria e quindi della relativa ‘voluntas definiendi’” (p. 51). Non si tratta di mettere in soffitta l’ultimo concilio, o di liquidarlo, “si tratta solamente di rispettare la natura, il dettato, le finalità e la pastoralità che esso stesso rivendica” (p. 24).

Benedetto XVI afferma che il Concilio Vaticano II deve essere letto alla luce della Tradizione, rivendicando un “ritorno alla verità del testo”, al di là delle intenzioni o delle conseguenze dell’”evento”.

Tuttavia, secondo monsignor Gherardini, i testi presentano una loro ambiguità e possono essere oggetto di critica, storica e teologica.

Un tipico esempio è la costituzione che fu detta “pastorale”,
Gaudium et Spes, del 7 dicembre 1965, sulla chiesa nel mondo contemporaneo. La parola “pastorale” qualifica il suo approccio “umanistico” di simpatia, di apertura, di comprensione verso l’uomo, la sua storia e “gli aspetti della vita odierna e della società umana”, con particolare attenzione ai “problemi che sembrano oggi più urgenti”.

Il mito ottocentesco e novecentesco del Progresso permea il documento: progresso della cultura e delle istituzioni (n. 53); progresso economico e sociale (n. 66); progresso tecnico (n. 23); e più in generale “progresso umano” (nn. 37, 39, 53, 72). Si tratta di un cristianesimo di nuovo conio che allarga i propri confini “ai cristiani anonimi di Karl Rahner e a quelli impliciti di E. Schillebeeckx, oltre che ai cristiani finalmente maturi dell’assise conciliare” (p. 72). La Gaudium et Spes, pur contenendo un’implicita dottrina, è tuttavia un documento privo di valore vincolante, nei punti in cui si discosta dalla Tradizione della chiesa.

Quando infatti un Concilio presenta sé stesso, il contenuto e la ragione dei suoi documenti sotto la categoria della pastoralità, autoqualificandosi come pastorale, esclude in tal modo ogni intento definitorio: “E perciò non può pretender la qualifica di dogmatico, né altri posson conferirgliela” (p. 23).

A differenza di tutti gli altri Concili Ecumenici della storia, il Vaticano II non è caratterizzato da una sua incidenza dottrinale - e ancor meno dogmatica - ma dalle novità di atteggiamento, di valutazione, di movimento e di azione introdotte nei gangli vitali della chiesa (p. 65). Il paradosso è consistito in questo: si è voluto elevare a dogma un Concilio che aveva apertamente chiarito di non voler affermare nessun principio assoluto. Ciò che è pastorale va giudicato non tanto nei principi quanto nei risultati concreti.

Monsignor Gherardini, riecheggiando quanto già nel 1985 il cardinale Ratzinger affermava nel suo
Rapporto sulla fede”, rileva che il disastro ecclesiale, dal Vaticano II a oggi, ha assunto, con progressione crescente, proporzioni gigantesche. “A un osservatore attento e soprattutto a un cattolico coerente non dovrebb’esser difficile prender atto del disastro e riconoscerlo fra le pieghe di quel relativismo, che paragonerei al montare di uno tsunami limaccioso e travolgente” (p. 93).

Nella supplica al Santo Padre che conclude il suo libro, monsignor Gherardini suggerisce come necessaria un’attenta e scientifica analisi dei singoli documenti del Concilio, del loro insieme e d’ogni loro argomento, nonché delle loro fonti immediate e remote: un’analisi che dovrebbe essere comparativa con quella degli altri venti concili, allo scopo di provare se il Vaticano II sia nel solco della continuità più o meno evolutiva, o sia invece con essa in parziale o totale rottura. Il Concilio Vaticano II, infatti, non è più grande della chiesa né della sua Tradizione.

Fonte: Il Foglio 15.9.09



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