A tutti voi che passate da qui: BENVENUTI
Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
Nuova Discussione
Rispondi
 
Pagina precedente | 1 | Pagina successiva

Gesù di Nazaret, il secondo volume di Benedetto XVI e la conversione del Rabbino di Roma Zolli

Ultimo Aggiornamento: 02/08/2012 21:54
Autore
Stampa | Notifica email    
OFFLINE
Post: 39.987
Sesso: Femminile
24/02/2010 10:41
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

Quell'ebreo Gesù che cambiò la vita al gran rabbino di Roma

La cambiò a tal punto che si fece battezzare nella Chiesa cattolica. Il suo libro "Il Nazareno" è stato riedito e recensito su "L'Osservatore Romano" da una studiosa ebrea. E intanto va alle stampe il secondo volume del "Gesù di Nazaret" del papa

di Sandro Magister




ROMA, 24 febbraio 2010 – Il primo a cui ha confidato di aver finito di scrivere il suo libro su Gesù è stato un rabbino ebreo, il giorno dopo la visita nella sinagoga di Roma, lo scorso 18 gennaio.

Il rabbino è l'americano Jacob Neusner, e l'autore del libro è Benedetto XVI.

Il primo volume del "Gesù di Nazaret" di papa Joseph Ratzinger è uscito tre anni fa. E ora è pronto per le traduzioni e per la stampa il secondo e conclusivo volume dell'opera, dedicato alla passione e risurrezione di Gesù e ai Vangeli dell'infanzia.

Intanto, però, con significativa coincidenza, è uscita in questi giorni in Italia la ristampa di un altro importante libro su Gesù, intitolato "Il Nazareno", scritto più di settant'anni fa da un grande rabbino italiano.

Non solo. Di questa nuova edizione di quel libro è uscita il 20 febbraio su "L'Osservatore Romano" una recensione molto positiva, scritta da una studiosa ebrea di fama, Anna Foa, docente di storia all'Università di Roma "La Sapienza".

E anche questa recensione segna una novità importante. L'autore del libro, Israel Zoller, fu gran rabbino della comunità ebraica di Roma. E nel 1945 si convertì alla fede cattolica.

La sua clamorosa conversione turbò fortemente la comunità ebraica romana e italiana. Che su di lui calò un silenzio durato decenni.

La recensione di Anna Foa sul "giornale del papa" ha definitivamente rotto questo silenzio. E per di più ha riconosciuto che in quel libro, pur scritto molti anni prima della conversione del suo autore, già "sembrava apparire fra le righe un riconoscimento della messianicità di Cristo".

*

Israel Zoller nacque nel 1881 a Brodj, villaggio della Galizia austro-ungarica che oggi è dentro i confini della Polonia. A 6 anni emigrò con la famiglia a Stanislavia, l'attuale Ivano-Frankovsk, in Ucraina. Studiò a Leopoli e poi a Firenze. Stabilitosi in Italia, il suo cognome fu mutato in Zolli. Fu rabbino capo a Trieste e insegnò letteratura ebraica all'università di Padova. Trasferitosi a Roma, fu eletto rabbino capo e direttore del collegio rabbinico. All'inizio del 1945 si dimise e nel febbraio chiese d'essere battezzato nella Chiesa cattolica col nome di Eugenio, lo stesso del papa di allora, Pio XII. Morì nel 1956.

La sua autobiografia, scritta nel 1947 e ristampata in Italia sei anni fa, aiuta molto a capire il percorso e il significato della sua conversione alla fede cristiana.

Fin da bambino, per lui, Gesù era presente con tutto il suo mistero. Dentro un mondo che ricorda i quadri di Chagall, il pittore ebreo nato e vissuto in quelle stesse terre orientali tra l'Europa e la Russia (vedi foto): col villaggio, la sinagoga, il granturco sulla neve, la scuola ebraica col maestro severo, il galletto sui tetti... E tante figure volanti, nel cielo stellato: i personaggi della Bibbia.

Ma, appunto, c'è anche Gesù, da subito. C'è il crocefisso nella casa del compagno di scuola:

"Perché fu crocefisso, Lui? Perché noi ragazzi diventiamo così diversi al cospetto di Lui? No, no, Lui non può essere stato cattivo. Forse era e forse non era – chi lo sa – il Servo di Dio i cui canti abbiamo letto a scuola. Io non so nulla, ma d'una cosa sono certo: Lui era buono, e allora... E allora, perché lo hanno crocefisso?".

Ci sono da subito i Vangeli e il Nuovo Testamento:

"Solo soletto, leggevo il Vangelo e provavo un piacere infinito. Che sorpresa ebbi in mezzo al prato verde: 'Ma io vi dico: amate i vostri nemici'. E dall'alto della croce: 'Padre, perdona loro'. Il Nuovo Testamento è davvero un testamento... nuovo! Tutto ciò mi appariva d'una importanza straordinaria. Insegnamenti sul tipo: 'Beati i puri di cuore' e la preghiera sulla croce segnano una linea di demarcazione tra il mondo di idee antiche e un cosmo morale nuovo. Eh sì! Qui sorge un mondo nuovo. Si delineano le forme sublimi del Regno dei Cieli, dei perseguitati che non hanno perseguitato, ma che hanno amato".

Il battesimo arriverà molti anni dopo. E appare nell'autobiografia come naturale fioritura messianica di un ceppo ebraico che resta vivo, già dall'inizio carico di destino.

Israel Zoller poi divenuto Eugenio Zolli ha prefigurato nella sua vita il sorgere di un rapporto fraterno tra cristianesimo ed ebraismo che oggi è assurto a programma del vertice supremo della Chiesa.

Un rapporto fraterno che si gioca tutto sulla differenza capitale tra le due fedi: il riconoscimento di Gesù come "mio Signore e mio Dio".

È la stessa differenza messa in luce da Benedetto XVI nel capitolo sul Discorso della Montagna del primo volume del suo "Gesù di Nazaret". Nel quale è l'amico rabbino Jacob Neusner l'emblema del pio ebreo che rifiuta di accettare la divinità di Gesù, allora come oggi.

Ecco, qui di seguito, la recensione dell'ebrea Foa a "Il Nazareno" del rabbino Zolli, su "L'Osservatore Romano" del 20 febbraio 2010.

__________



Il rabbino che studiava Gesù

di Anna Foa



Il libro "Il Nazareno" di Eugenio Zolli apparve nel 1938, pubblicato dall'Istituto delle Edizioni Accademiche di Udine. Israel Zolli, che poi diventerà Eugenio, era all'epoca rabbino capo a Trieste e non era ancora subentrato – lo avrebbe fatto un anno dopo – nella cattedra rabbinica romana al rabbino David Prato, cacciato nel 1938 perché sionista. Pochi mesi dopo la pubblicazione di questo libro, le leggi razziste di Mussolini fecero di Zolli, nato a Brody, in Galizia, ma cresciuto in Italia, un apolide, e lo catapultarono negli anni duri della persecuzione. Sette anni dopo, nel febbraio 1945, sollevando un grande scandalo nel mondo ebraico italiano e molto clamore anche in quello non ebraico, Israel Zolli si convertì al cattolicesimo, prendendo con il battesimo il nome di papa Pacelli e divenendo così Eugenio Zolli.

Un volume su Gesù Cristo scritto da un rabbino di primo piano, dunque, destinato poco dopo, nonostante questo libro e il vago sentore ereticale che lo circondava già da molti anni, a diventare il rabbino maggiore della comunità ebraica romana.

È il libro una prefigurazione del percorso posteriore dell'autore, un'anticipazione del suo successivo battesimo? Oppure riflette un percorso di studi esegetici ampiamente condiviso in ambito ebraico, con un'attenzione verso la figura di Gesù Cristo propria, a partire dalla seconda metà dell'Ottocento, a molta parte del pensiero esegetico ebraico europeo?

È quest'ultima la prospettiva in cui lo colloca, nella sua ampia e preziosa postfazione, il curatore del libro Alberto Latorre, analizzando gli studi ebraici e cristiani sul Cristo in quei decenni cruciali del primo Novecento e contestualizzando in quest'ambito il lavoro di Zolli.

Il rabbino triestino scrive su Gesù e sui rapporti tra il primo cristianesimo e la cultura rabbinica del tempo con accenti e tesi non dissimili da quelle dei suoi maestri al Collegio rabbinico di Firenze, Chayes e Margulies, e suscitando molte minori polemiche di quante non ne avesse suscitate il libro di Joseph Klausner su "Gesù il Nazareno", che al suo apparire in ebraico a Gerusalemme nel 1921 fu attaccato tanto dagli ebrei ortodossi che dai cristiani, come ricorda, in un interessante brano di un suo romanzo ripreso da Latorre nella sua postfazione, il nipote di Klausner, lo scrittore Amos Oz.

Questo ambito di studi era molto frequentato dagli studiosi ebrei di tutt'Europa, e in particolare da quelli di area tedesca, eredi della Scienza del Giudaismo e legati alle correnti riformate, che sottolineavano fortemente l'ebraicità di Gesù e mettevano in rilievo le corrispondenze tra l'ebraismo rabbinico e il primo cristianesimo. Ma era prediletto anche dagli studiosi cristiani, particolarmente protestanti, nella Germania del XIX secolo, nell'ambito della scuola di Tubinga e delle successive scuole di teologia liberale, e fatto proprio, all'inizio del nuovo secolo, dagli studiosi cattolici modernisti.

Un contesto, questo, legato al metodo storico-critico di esegesi biblica, di grande interesse dalle due parti.

Se questo era il clima culturale in cui nasceva il poderoso studio di Zolli, bisogna anche dire che si trattava di un clima a cui scarsissimi furono gli apporti del mondo ebraico italiano. Fanno eccezione il Collegio rabbinico di Livorno, dove nella seconda metà dell'Ottocento insegnò Elia Benamozegh, il Collegio rabbinico di Firenze, con il suo nucleo di maestri di provenienza dalla Galizia, e Trieste, città culturalmente e fino al 1918 anche politicamente asburgica, aperta a tutte le correnti culturali mitteleuropee, non ultima, con Weiss, quella psicanalitica. Con Firenze e con Trieste strettissimi furono i rapporti di Zolli, che a Firenze aveva compiuto i suoi studi e a Trieste fu rabbino per vent'anni.

Ma la cultura ebraica italiana era lontana da queste correnti culturali più ampie e legate all'esperienza di studi tedeschi, e all'impronta lasciata su di essi dal movimento riformato ebraico.

La cultura ebraica italiana non condivideva l'attenzione per la figura storica, per le categorie ebraiche della sua predicazione e in genere per le radici ebraiche del cristianesimo. Il suo taglio era più tradizionale e parrocchiale, e accomunava in quel momento storico l'ebraismo italiano agli studi di esegesi cattolica, anch'essi assai distanti, tranne che per alcune figure maggiormente legate al modernismo, dall'impostazione esegetica storico-critica diffusa nel resto d'Europa.

Nel suo volume, che raccoglieva contributi in parte già pubblicati nelle riviste di Raffaele Pettazzoni, "Studi e materiali di storia delle religioni", e del modernista Ernesto Buonaiuti, "Ricerche religiose", Zolli procedeva utilizzando, oltre il metodo storico-critico, l'analisi comparativa delle religioni.

Nelle conclusioni, egli si discostava significativamente tanto dall'esegesi ebraica consolidata quanto dai dogmi della Chiesa cattolica. Sottolineava fortemente la somiglianza della predicazione di Gesù con l'ebraismo, postulava una stesura originaria dei Vangeli in ebraico e aramaico, negava che il termine nazareno derivasse da Nazaret – un argomento, questo, usato da quanti sostenevano la non storicità di Gesù – e faceva derivare l'eucaristia da un'evoluzione del "seder" pasquale ebraico.

Inoltre nel testo sembrava apparire fra le righe un riconoscimento della messianicità di Cristo. Ci sarebbe certamente stato di che suscitare le reazioni opposte di ebrei e cattolici. Tuttavia, queste reazioni non vi furono. Secondo il curatore del libro, Latorre, il mondo cattolico non aveva intenzione di attirare l'attenzione su un volume "di così difficile decifrazione e inquadramento", in un momento in cui la crisi modernista si era da poco ricomposta e in cui il clima antisemita rendeva pericoloso ogni dibattito su temi così scottanti.

La Chiesa preferì così passare sotto silenzio o quasi il volume (se si eccettuano le recensioni sostanzialmente positive da parte dei gesuiti de "La Civiltà Cattolica"), rinunciando perfino a utilizzare in chiave apologetica un testo in cui un illustre rabbino sembrava adombrare la messianicità di Cristo.

Quanto alla mancanza di obiezioni da parte ebraica, il contesto storico in cui apparve il libro, quello delle leggi razziali del 1938, non spingeva a sollevare questioni tanto delicate, soprattutto nei mesi cruciali fra 1938 e 1939 in cui nella Chiesa non mancava chi, come padre Agostino Gemelli, sembrava auspicare un incontro tra le dottrine razziste e la Chiesa cattolica.

Il volume fu invece molto apprezzato dal mondo accademico italiano e straniero. Entusiastica fu, nel novembre del 1938, la recensione di Ernesto Buonaiuti su "Ricerche Religiose".

Al di là delle questioni strettamente esegetiche, il volume pone allo sguardo del lettore di oggi numerose questioni strettamente storiche e ci rimanda numerosi interrogativi sulla vicenda di Israel/Eugenio Zolli e sulla natura stessa della sua conversione.

La sua conversione fu certamente frutto di una scelta meditata, l'esito di un percorso lungo e difficile, ma fu anche una conversione che si limitò a spostare accenti ed enfasi, ma non sembrò cambiare sostanzialmente la qualità del suo discorso di base: un'analisi rigorosamente critica dei testi biblici, che lo sollevava al di sopra di ogni ortodossia, che lo portava ad accentuare i legami storici fra ebraismo rabbinico e cristianesimo e a cogliere nella figura dell'ebreo Gesù la chiave di questo complesso momento di passaggio e trasformazione.

"Il Nazareno" appartiene alla fase ebraica dei lavori di studioso di Zolli, ma i cambiamenti introdotti dalla conversione nei suoi lavori critici successivi sono stati assai scarsi, e motivati forse solo da ragioni di obbedienza e prudenza.

Fra Wissenschaft giudaica e modernismo cristiano si dipanava così il percorso religioso e scientifico, due momenti indissolubilmente intrecciati, dell'opera di Zolli.

Una figura di confine che gli ebrei, giustamente feriti dalla sua defezione, non capirono, e che la Chiesa nel dopoguerra, in un momento ancora distante anni luce dalle aperture ebraico-cristiane, preferì lasciare in disparte.

"Il Nazareno" è il frutto più alto di questo essere sul limite, fra le diverse ortodossie.

__________


Il libro:

Eugenio Zolli, "Il Nazareno. Studi di esegesi neotestamentaria alla luce dell'aramaico e del pensiero rabbinico", a cura di Alberto Latorre, San Paolo, Milano, 2009, pagine 618, euro 42,00.

__________


Il giornale della Santa Sede su cui è uscita, il 20 febbraio, la recensione di Anna Foa del libro di Zolli:

> L'Osservatore Romano

__________


Su questi temi, in www.chiesa:

> Focus su EBREI

__________
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.987
Sesso: Femminile
12/02/2011 12:58
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

Il secondo volume scritto dal Papa su Gesù uscirà l'11 marzo.

Il libro sarà edito dalla Lev ma distribuito da Rizzoli (Tornielli)

Benedetto XVI riscrive la passione di Gesù

di Andrea Tornielli

Esce il prossimo 11 marzo il secondo libro del Papa dedicato alla vita del Nazareno e incentrato sulla sua morte e resurrezione. Trecentomila copie solo per la versione italiana, ma il Pontefice sta già lavorando a un terzo saggio

La Libreria Editrice Vati­cana ha già mandato in stam­pa trecentomila copie della versione italiana del
nuovo li­b­ro di Benedetto XVI dedica­to alla vita di Gesù. Il volu­me, in libreria dall’11 marzo, uscirà contemporaneamen­te in vari Paesi (in Germania per i tipi di Herder, negli Sta­ti Uniti di Ignatius Press) e rappresenta la naturale con­tinuazione del primo volu­me, «Gesù di Nazaret» , usci­to nell’aprile 2007 e pubblica­to in italia da Rizzoli: in dieci capitoli, per un totale di 446 pagine, Joseph Ratzinger ha presentato la prima parte della vita di Cristo spiegan­do che il Gesù dei Vangeli è il vero Gesù, quello storico, che ha calcato la terra di Pale­stina duemila anni fa.
Il Pa­pa, che scrive e pubblica que­sti­libri non come atti di magi­stero, nel primo volume ave­va detto esplicitamente: «Ognuno è libero di contraddirmi».

Questo secondo volu­me, edito dalla Lev e distribu­ito da Rizzoli, sarà incentra­to sulla fase finale della vita di Cristo, la sua passione, morte e resurrezione, nu­cleo fondante e iniziale degli stessi racconti evangelici. Il libro di Benedetto XVI sarà presentato ufficialmente in Sala Stampa vaticana il po­meriggio del 10 marzo, dal cardinale Marc Ouellet, Pre­fetto della Congregazione dei vescovi. È prevista anche la presenza di una personali­tà laica (alla presentazione nel 2007 in Vaticano, insie­me al cardinale Cristoph Schö nborn e al pastore valdese Daniele Garrone intervenne il filosofo Massimo Caccia­ri), ma sul suo nome non c’è ancora certezza, anche se au­torevoli indiscrezioni parla­no della possibilità che si trat­ti di Claudio Magris.

Con questo libro, Benedet­to XVI raggiunge quota tre in cinque anni di pontificato: ol­tre al primo e al secondo de­dicati alla vita del Nazareno, infatti, lo scorso novembre ha visto la luce anche il libro intervista con il giornalista te­desco Peter Seewald, frutto di una settimana di colloqui avvenuti l’estate scorsa a Ca­stel Gandolfo. Libro diventa­to subito best-seller, e ap­prezzato per la semplicità con cui Ratzinger, senza sot­trarsi ad alcuna domanda, ha parlato delle questioni più spinose, dallo scandalo della pedofilia alle polemi­che sul discorso di Ratisbo­na.

Ma il Papa, che da tempo desiderava portare a termi­ne queste fatiche, non si fer­ma e sta già lavorando a un terzo saggio su Gesù,dedica­to­questa volta ai Vangeli del­l’infanzia, i testi di Matteo e Luca, che descrivono l’an­nunciazione e la nascita di Cristo.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.987
Sesso: Femminile
02/03/2011 16:42
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

Libro del Papa "Gesù di Nazaret": anticipati alla stampa alcuni capitoli (Radio Vaticana)

Libro del Papa "Gesù di Nazaret": anticipati alla stampa alcuni capitoli

Cresce l’attesa in tutto il mondo per il prossimo arrivo nelle librerie della seconda parte del libro di Benedetto XVI dedicata a “Gesù di Nazaret”. Il volume, edito nella versione italiana dalla Libreria Editrice Vaticana, giunge a quattro anni dalla prima parte pubblicata nel 2007 dalla Rizzoli, riprendendo il racconto della vita di Gesù. L’opera sarà presentata giovedì 10 marzo nella Sala Stampa vaticana dal cardinale Marc Oullet e dal prof. Claudio Magris, ma già oggi sono state distribuite alla stampa alcune anticipazioni del libro. Il servizio di Roberta Gisotti.

Il racconto della vita di Gesù riprende laddove il teologo Joseph Ratzinger lo aveva interrotto nel primo volume: un percorso iniziato dal Battesimo nel Giordano fino alla Trasfigurazione sul Tabor per arrivare nel secondo libro alla Passione, alla morte e alla Resurrezione di Cristo. Prosegue il viaggio di Benedetto XVI sulle orme di Gesù per ricoprirne ancora una volta l’umanità e la divinità e comprenderne la Verità. 380 le pagine del libro nella versione italiana, nove i capitoli, oltre una premessa, un epilogo sulle prospettive e una ricca bibliografia.

Dall’ingresso in Gerusalemme alla fine del Tempio, alla profezia e l’apocalisse nel discorso escatologico di Gesù, si arriva al terzo capitolo dedicato alla lavanda dei piedi, dove troviamo anche “Il mistero del traditore”. “Gesù in quell’ora - scrive il Papa – si è caricato del tradimento di tutti i tempi, della sofferenza che viene in ogni tempo dall’essere traditi, sopportando così fino in fondo le miserie della storia”. Mentre “chi rompe l’amicizia con Gesù, chi si scrolla di dosso il suo ‘dolce giogo’, non giunge alla libertà, non diventa libero, ma diventa schiavo di altre potenze”; così Giuda che pure compie un primo passo verso la conversione : ‘ho peccato’ dice ai suoi commilitoni, cerca di salvare Gesù e ridà il denaro, dopo il tradimento “non riesce più a credere ad un perdono. Il suo pentimento diventa disperazione”.
 
Ma un pentimento – spiega il teologo – che non riesce più a sperare, ma vede solo il proprio buio, è distruttivo e non è un vero pentimento”, che porta in sé “la certezza della speranza – una certezza che nasce dalla fede nella potenza maggiore della Luce fattasi carne in Gesù”. Nel quarto capitolo il Papa parla della Preghiera sacerdotale di Gesù per poi soffermarsi sull’Ultima Cena ed approfondire il tema controverso della datazione nei Vangeli sinottici e nel Vangelo di Giovanni. “Una cosa è evidente – osserva il Papa - nell’intera tradizione: l’essenziale di questa cena di congedo non è stata l’antica Pasqua, ma la novità che Gesù ha realizzato in questo contesto: anche se questo convito di Gesù con i Dodici non è stata una cena pasquale secondo le prescrizioni rituali del giudaismo, in retrospettiva si è resa evidente la connessione interiore con la morte e resurrezione di Gesù: era la Pasqua di Gesù”.

Il libro prosegue con i capitoli del “Getsemani” e de “Il processo a Gesù”, che si chiude con “Gesù davanti a Pilato” che alla domanda: ‘Dunque tu sei re?’, risponde ‘Tu lo dici: io sono re’. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza di verità”. Ma che cos’è la verità?, s’interroga il teologo Ratzinger. “Pilato ha accantonato questa domanda come irrisolvibile e, per il suo compito impraticabile”. “Anche oggi – rileva il Papa -nella disputa politica come nella discussione circa la formazione del diritto, per lo più si prova fastidio per essa. Ma senza la verità l’uomo non coglie il senso della vita, lascia, in fin dei conti, il campo ai più forti.” Alla fine vinse in Pilato “l’interpretazione pragmatica del diritto” la verità sacrificata alla forza pacificante del diritto. La pace per Pilato fu “più importante della giustizia” ma “che la pace, in ultima analisi, non può essere stabilita contro la verità, doveva manifestarsi più tardi” conclude il Papa. Si arriva quindi al racconto della Passione, alla Crocefissione e deposizione di Gesù nel sepolcro e al capitolo ultimo sulla Resurrezione dalla morte e sul suo significato storico, per concludere la narrazione sulle prospettive riassunte nelle parole “E’ salito al cielo, siede alla destra del Padre e di nuovo verrà nella gloria”. 


Radio Vaticana


******************************************


"Il mistero del traditore" (Da "Gesù di Nazaret" di J. Ratzinger-Benedetto XVI, secondo volume)

"GESU' DI NAZARET" DI JOSEPH RATZINGER-BENEDETTO XVI (SECONDO VOLUME): LO SPECIALE DEL BLOG

Riceviamo e con grande piacere e gratitudine pubblichiamo:

Il mistero del traditore

La pericope della lavanda dei piedi ci mette difronte a due differenti forme di reazione dell’uomo a questo dono: Giuda e Pietro.
Subito dopo aver accennato all’esempio, Gesù comincia a parlare del caso di Giuda.
Giovanni ci riferisce, al riguardo, che Gesù fu profondamente turbato e dichiarò: «In verità, in verità io vi dico: uno di voi mi tradirà» (13, 21).

Tre volte Giovanni parla del «turbamento» ovvero della «commozione» di Gesù: presso il sepolcro di Lazzaro (cfr 11,33.38); la «Domenica delle Palme» dopo la parola sul chicco di grano morto, in una scena che richiama da vicino l’ora del Monte degli ulivi (cfr 12,24-27); e infine qui. Sono momenti in cui Gesù incontra la maestà della morte ed è toccato dal potere delle tenebre – un potere che è suo compito combattere e vincere.
Ritorneremo a questa «commozione» dell’anima di Gesù, quando rifletteremo sulla notte del Monte degli ulivi.

Torniamo al nostro testo.
L’annuncio del tradimento suscita comprensibilmente agitazione e, al contempo, curiosità tra i discepoli.
«Uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù.
Simon Pietro gli fece cenno di informarsi chi fosse quello di cui parlava.
Ed egli, chinandosi sul petto di Gesù, gli disse: “Signore,chi è?”
Rispose Gesù: “È colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò”» (13,23ss).
Per la comprensione di questo testo bisogna anzitutto tener conto del fatto che per la cena pasquale era prescritto lo stare adagiati a tavola.

Charles K. Barrett spiega il versetto appena citato così: «I partecipanti ad una cena stavano sdraiati sulla loro sinistra; il braccio sinistro serviva a sostenere il corpo; quello destro era libero per essere usato.
Il discepolo alla destra di Gesù aveva quindi il suo capo immediatamente davanti a Gesù, e si poteva conseguentemente dire che era adagiatopresso il suo petto. Ovviamente era in grado di parlare in confidenza con Gesù, ma il suo non era il posto d’onore più alto; questo era situato a sinistra dell’ospitante.
Il posto occupato dal discepolo amato era nondimeno il posto di un intimo amico»; Barrett fa notare in questo contesto che esiste una descrizione parallela in Plinio (p. 437).

Così come è qui riportata, la risposta di Gesù è totalmente chiara.
Ma l’evangelista ci fa sapere che, tuttavia, i discepoli non capirono a chi si riferiva.
Possiamo quindi supporre che Giovanni, ripensando all’evento, abbia dato alla risposta una evidenza che essa per i presenti, sul momento, non aveva.
Il versetto 18 ci mette sulla giusta traccia.
Qui Gesù dice: «Deve compiersi la Scrittura: Colui che mangia il mio pane, ha alzato contro di meil suo calcagno» (cfr Sal 41,10; Sal 55,14).

È questo lo stile caratteristico del parlare di Gesù: con parole della Scrittura Egli allude al suo destino, inserendolo allo stesso tempo nella logica di Dio, nella logica della storia della salvezza.
Successivamente tali parole diventano totalmente trasparenti; si rende chiaro che la Scrittura descrive veramente il suo cammino – ma sul momento rimane l’enigma.
Inizialmente se ne arguisce soltanto che colui che tradirà Gesù è uno deicommensali; diventa evidente che il Signore deve subire sino alla fine e fin nei particolari il destino di sofferenza del giusto, un destino che appare in molteplici modi soprattutto nei Salmi.
Gesù deve sperimentare l’incomprensione, l’infedeltà fino all’interno del cerchio più intimo degli amici e così«compiere la Scrittura».
Egli si rivela come il vero soggetto dei Salmi, come il «Davide», dal quale essi provengono e mediante il quale acquistano senso.
Giovanni, scegliendo al posto dell’espressione usata nella Bibbia greca per «mangiare» la parola trogein con cui Gesù nel suo grande discorso sul pane indica il «mangiare» il suo corpo e sangue, cioè il ricevere il Sacramento eucaristico (cfr Gv 6,54-58), ha aggiunto una nuova dimensione alla parola del Salmo ripresa da Gesù come profezia sul proprio cammino.

Così la parola del Salmo getta anticipatamente la sua ombra sulla Chiesa che celebra l’Eucaristia, nel tempo dell’evangelista come in tutti i tempi: con il tradimento di Giuda la sofferenza per la slealtà non è finita.
«Anche l’amico in cui confidavo, che con me divideva il pane, contro di me alza il suo piede» (Sal 41,10).
La rottura dell’amicizia giunge fin nella comunità sacramentale della Chiesa, dove sempre di nuovo ci sono persone che prendono «il suo pane» e lo tradiscono.
La sofferenza di Gesù, la sua agonia, perdura sino alla fine del mondo, ha scritto Pascal in base a tali considerazioni (cfr Pensées, VII 553).

Possiamo esprimerlo anche dal punto di vista opposto: Gesù in quell’ora si è caricato del tradimento ditutti i tempi, della sofferenza che viene in ognitempo dall’essere traditi, sopportando così fino infondo le miserie della storia.
Giovanni non ci dà alcuna interpretazione psico-logica dell’agire di Giuda; l’unico punto di riferimento che ci offre è l’accenno al fatto che Giuda, come tesoriere del gruppo dei discepoli, avrebbe sottratto il loro denaro (cfr 12,6).
Quanto al contesto che ci interessa, l’evangelista dice soltanto laconicamente: «Allora, dopo quel boccone, satanaentrò in lui» (13,27).

Ciò che a Giuda è accaduto per Giovanni non è più psicologicamente spiegabile. È finito sotto il dominio di qualcun altro: chi rompe l’amicizia con Gesù, chi si scrolla di dosso il suo «dolce giogo», non giunge alla libertà, non diventa libero, ma diventa invece schiavo di altre potenze – o piuttosto: il fatto che egli tradisce questa amicizia deriva ormai dall’intervento di un altro potere, alquale si è aperto.
Tuttavia, la luce che, provenendo da Gesù, eracaduta nell’anima di Giuda, non si era spenta deltutto.
C’è un primo passo verso la conversione:«Ho peccato», dice ai suoi committenti. Cerca disalvare Gesù e ridà il denaro (cfr Mt 27, 3ss).
Tutto ciò che di puro e di grande aveva ricevuto da Ge-sù, rimaneva iscritto nella sua anima – non poteva dimenticarlo.

La seconda sua tragedia – dopo il tradimento – è che non riesce più a credere ad un perdono. Il suo pentimento diventa disperazione. Egli vede ormai solo se stesso e le sue tenebre, non vede più la luce di Gesù – quella luce che può illuminare esuperare anche le tenebre. Ci fa così vedere il modo errato del pentimento: un pentimento che nonriesce più a sperare, ma vede ormai solo il proprio buio, è distruttivo e non è un vero pentimento.
Fa parte del giusto pentimento la certezza della speranza – una certezza che nasce dalla fede nella potenza maggiore della Luce fattasi carne in Gesù.
Giovanni conclude il brano su Giuda in mododrammatico con le parole: «Egli, preso il boccone, subito uscì.
Ed era notte» (13,30).

Giuda esce fuori– in un senso più profondo. Entra nella notte, vavia dalla luce verso il buio; il «potere delle tenebre» lo ha afferrato (cfr Gv 3,19; Lc 22, 53).

 - Libreria Editrice Vaticana

(Pag. 78-82)
[Modificato da Caterina63 02/03/2011 16:44]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.987
Sesso: Femminile
02/03/2011 18:34
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

In anteprima alcuni brani del libro del Papa

Ecce homo


Che cos'è la verità? Non soltanto Pilato ha accantonato questa domanda come irrisolvibile e, per il suo compito, impraticabile. Anche oggi, nella disputa politica come nella discussione circa la formazione del diritto, per lo più si prova fastidio per essa. Ma senza la verità l'uomo non coglie il senso della sua vita, lascia, in fin dei conti, il campo ai più forti. "Redenzione" nel senso pieno della parola può consistere solo nel fatto che la verità diventi riconoscibile. Ed essa diventa riconoscibile in Gesù Cristo. In lui Dio è entrato nel mondo, e ha con ciò innalzato il criterio della verità in mezzo alla storia.

***

Il compimento della Pasqua

Il libro del Papa Gesù di Nazaret. Dall'ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione, verrà presentato il prossimo 10 marzo. La Libreria Editrice Vaticana, d'intesa con Herder che ha curato l'edizione principe dell'opera, ne anticipa alcuni brani. L'opera uscirà in contemporanea inizialmente in sette lingue: tedesco, italiano, inglese, spagnolo, francese, portoghese e polacco. Pubblichiamo stralci dal primo punto del quarto capitolo intitolato "L'Ultima Cena".

Giovanni bada con premura a non presentare l'ultima cena come cena pasquale. Al contrario: le autorità giudaiche che portano Gesù davanti al tribunale di Pilato evitano di entrare nel pretorio "per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua" (18, 28). La Pasqua comincia quindi solo alla sera; durante il processo si ha la cena pasquale ancora davanti; processo e crocifissione avvengono nel giorno prima della Pasqua, nella "Parascève", non nella festa stessa. La Pasqua in quell'anno si estende dunque dalla sera del venerdì fino alla sera del sabato e non dalla sera del giovedì fino alla sera del venerdì.

Per il resto, lo svolgimento degli eventi rimane lo stesso. Giovedì sera l'ultima cena di Gesù con i discepoli, che però non è una cena pasquale; venerdì (vigilia della festa e non la festa stessa): il processo e l'esecuzione capitale; sabato: il riposo del sepolcro; domenica: la risurrezione. Con questa cronologia, Gesù muore nel momento, in cui nel tempio vengono immolati gli agnelli pasquali. Egli muore come l'Agnello vero che negli agnelli era solo preannunciato.

Questa coincidenza teologicamente importante, che Gesù muoia contemporaneamente con l'immolazione degli agnelli pasquali, ha indotto molti studiosi a liquidare la versione giovannea come cronologia teologica. Giovanni avrebbe cambiato la cronologia per creare questa connessione teologica che, tuttavia, nel Vangelo non viene manifestata esplicitamente. Oggi, però, si vede sempre più chiaramente che la cronologia giovannea è storicamente più probabile di quella sinottica. Poiché - come s'è detto - processo ed esecuzione capitale nel giorno di festa sembrano poco immaginabili.
D'altra parte, l'ultima cena di Gesù appare così strettamente legata alla tradizione della Pasqua che la negazione del suo carattere pasquale risulta problematica.

Per questo già da sempre sono stati fatti dei tentativi di conciliare le due cronologie tra loro. Il tentativo più importante - e in molti particolari affascinante - di giungere ad una compatibilità tra le due tradizioni proviene dalla studiosa francese Annie Jaubert, che fin dal 1953 ha sviluppato la sua tesi in una serie di pubblicazioni. Non dobbiamo qui entrare nei dettagli di tale proposta; limitiamoci all'essenziale. In questo modo la tradizione sinottica e quella giovannea appaiono ugualmente giuste sulla base della differenza tra due calendari diversi.

La studiosa francese fa notare che le cronologie tramandate (nei sinottici e in Giovanni) devono mettere insieme una serie di avvenimenti nello spazio stretto di poche ore: l'interrogatorio davanti al sinedrio, il trasferimento davanti a Pilato, il sogno della moglie di Pilato, l'invio ad Erode, il ritorno da Pilato, la flagellazione, la condanna a morte, la via crucis e la crocifissione.
Collocare tutto questo nell'ambito di poche ore sembra - secondo Jaubert - quasi impossibile. Rispetto a ciò la sua soluzione offre uno spazio temporale che va dalla notte tra martedì e mercoledì fino al mattino del venerdì. In quel contesto la studiosa mostra che in Marco per i giorni "Domenica delle palme", lunedì e martedì c'è una precisa sequenza degli avvenimenti, ma che poi egli salta direttamente alla cena pasquale. Secondo la datazione tramandata resterebbero quindi due giorni su cui non viene riferito nulla. Infine Jaubert ricorda che in questo modo il progetto delle autorità giudaiche, di uccidere Gesù puntualmente ancora prima della festa, avrebbe potuto funzionare. Pilato, tuttavia, con la sua titubanza avrebbe poi rimandato la crocifissione fino al venerdì.

Contro il cambio della data dell'ultima cena dal giovedì al martedì parla, però, l'antica tradizione del giovedì, che comunque incontriamo chiaramente già nel II secolo. Ma a ciò la signora Jaubert obietta citando il secondo testo su cui si basa la sua tesi: si tratta della cosiddetta Didascalia degli Apostoli, uno scritto dell'inizio del III secolo, che fissa la data della cena di Gesù al martedì.
La studiosa cerca di dimostrare che quel libro avrebbe accolto una vecchia tradizione, le cui tracce sarebbero ritrovabili anche in altri testi. A questo bisogna, però, rispondere che le tracce della tradizione, manifestate in questo modo, sono troppo deboli per poter convincere. L'altra difficoltà consiste nel fatto che l'uso da parte di Gesù di un calendario diffuso principalmente in Qumran è poco verosimile.

Per le grandi feste, Gesù si recava al tempio. Anche se ne ha predetto la fine e l'ha confermata con un drammatico atto simbolico, Egli ha seguito il calendario giudaico delle festività, come dimostra soprattutto il Vangelo di Giovanni. Certo, si potrà consentire con la studiosa francese sul fatto che il Calendario dei Giubilei non era strettamente limitato a Qumran e agli Esseni.
Ma ciò non basta per poterlo far valere per la Pasqua di Gesù. Così si spiega perché la tesi di Annie Jaubert, a prima vista affascinante, dalla maggioranza degli esegeti venga rifiutata.
Io l'ho illustrata in modo così particolareggiato, perché essa lascia immaginare qualcosa della molteplicità e complessità del mondo giudaico al tempo di Gesù - un mondo che noi, nonostante tutto l'ampliamento delle nostre conoscenze delle fonti, possiamo ricostruire solo in modo insufficiente.

Non disconoscerei, quindi, a questa tesi ogni probabilità, benché in considerazione dei suoi problemi non sia possibile semplicemente accoglierla.
Che cosa dobbiamo dunque dire? La valutazione più accurata di tutte le soluzioni finora escogitate l'ho trovata nel libro su Gesù di John P. Meier, che alla fine del suo primo volume ha esposto un ampio studio sulla cronologia della vita di Gesù.
Egli giunge al risultato che bisogna scegliere tra la cronologia sinottica e quella giovannea e dimostra, in base all'insieme delle fonti, che la decisione deve essere in favore di Giovanni.
Giovanni ha ragione: al momento del processo di Gesù davanti a Pilato, le autorità giudaiche non avevano ancora mangiato la Pasqua e per questo dovevano mantenersi ancora cultualmente pure. Egli ha ragione: la crocifissione non è avvenuta nel giorno della festa, ma nella sua vigilia. Ciò significa che Gesù è morto nell'ora in cui nel tempio venivano immolati gli agnelli pasquali. Che i cristiani in ciò vedessero in seguito più di un puro caso, che riconoscessero Gesù come il vero Agnello, che proprio così trovassero il rito degli agnelli portato al suo vero significato - tutto ciò è poi solo normale.

Rimane la domanda: Ma perché allora i sinottici hanno parlato di una cena pasquale? Su che cosa si basa questa linea della tradizione? Una risposta veramente convincente a questa domanda non la può dare neppure Meier. Ne fa tuttavia il tentativo - come molti altri esegeti - per mezzo della critica redazionale e letteraria. Cerca di dimostrare che i brani di Marco, 14, 1a e 14, 12-16 (gli unici passi in cui presso Marco si parla della Pasqua) sarebbero stati inseriti successivamente.
Nel racconto vero e proprio dell'ultima cena non si menzionerebbe la Pasqua.
Questa operazione - per quanto molti nomi importanti la sostengano - è artificiale. Rimane però giusta l'indicazione di Meier che cioè, nella narrazione della cena stessa presso i sinottici, il rituale pasquale appare tanto poco quanto presso Giovanni.

Così, pur con qualche riserva, si potrà aderire all'affermazione: "L'intera tradizione giovannea (...) concorda pienamente con quella originaria dei sinottici per quanto riguarda il carattere della cena come non appartenente alla Pasqua" (A Marginal Jew, I, p. 398).
Ma allora, che cosa è stata veramente l'ultima cena di Gesù? E come si è giunti alla concezione sicuramente molto antica del suo carattere pasquale?

La risposta di Meier è sorprendentemente semplice e sotto molti aspetti convincente. Gesù era consapevole della sua morte imminente. Egli sapeva che non avrebbe più potuto mangiare la Pasqua. In questa chiara consapevolezza invitò i suoi ad un'ultima cena di carattere molto particolare, una cena che non apparteneva a nessun determinato rito giudaico, ma era il suo congedo, in cui Egli dava qualcosa di nuovo, donava se stesso come il vero Agnello, istituendo così la sua Pasqua.
In tutti i Vangeli sinottici fanno parte di questa cena la profezia di Gesù sulla sua morte e quella sulla sua risurrezione. In Luca essa ha una forma particolarmente solenne e misteriosa: "Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, poiché io vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio" (22, 15 s).

La parola rimane equivoca: può significare che Gesù, per un'ultima volta, mangia l'abituale Pasqua con i suoi. Ma può anche significare che non la mangia più, ma s'incammina verso la Pasqua nuova.
Una cosa è evidente nell'intera tradizione: l'essenziale di questa cena di congedo non è stata l'antica Pasqua, ma la novità che Gesù ha realizzato in questo contesto. Anche se questo convivio di Gesù con i Dodici non è stata una cena pasquale secondo le prescrizioni rituali del giudaismo, in retrospettiva si è resa evidente la connessione interiore dell'insieme con la morte e risurrezione di Gesù: era la Pasqua di Gesù. E in questo senso Egli ha celebrato la Pasqua e non l'ha celebrata: i riti antichi non potevano essere praticati; quando venne il loro momento, Gesù era già morto. Ma Egli aveva donato se stesso e così aveva celebrato con essi veramente la Pasqua. In questo modo l'antico non era stato negato, ma solo così portato al suo senso pieno.

La prima testimonianza di questa visione unificante del nuovo e dell'antico, che realizza la nuova interpretazione della cena di Gesù in rapporto alla Pasqua nel contesto della sua morte e risurrezione, si trova in Paolo In 1 Corinzi, 5, 7: "Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete azzimi. E infatti Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato!" (cfr. Meier A Marginal Jew, p. 429 ss). Come in Marco, 14, 1 si susseguono qui il primo giorno degli Azzimi e la Pasqua, ma il senso rituale di allora è trasformato in un significato cristologico ed esistenziale. Gli "azzimi" devono ora essere costituiti dai cristiani stessi, liberati dal lievito del peccato. L'Agnello immolato, però, è Cristo.

In ciò Paolo concorda perfettamente con la descrizione giovannea degli avvenimenti. Per lui, morte e risurrezione di Cristo sono diventate così la Pasqua che perdura. In base a ciò si può capire come l'ultima cena di Gesù, che non era solo un preannuncio, ma nei Doni eucaristici comprendeva anche un'anticipazione di croce e risurrezione, ben presto venisse considerata come Pasqua - come la sua Pasqua. E lo era veramente.

***

E Giuda entrò nella notte

Dal quarto punto del terzo capitolo intitolato "La lavanda dei piedi".

La pericope della lavanda dei piedi ci mette di fronte a due differenti forme di reazione dell'uomo a questo dono: Giuda e Pietro. Subito dopo aver accennato all'esempio, Gesù comincia a parlare del caso di Giuda. Giovanni ci riferisce, al riguardo, che Gesù fu profondamente turbato e dichiarò: "In verità, in verità io vi dico: uno di voi mi tradirà" (13, 21).

Tre volte Giovanni parla del "turbamento" ovvero della "commozione" di Gesù: presso il sepolcro di Lazzaro (cfr. 11, 33. 38); la "Domenica delle Palme" dopo la parola sul chicco di grano morto, in una scena che richiama da vicino l'ora del Monte degli ulivi (cfr. 12, 24-27); e infine qui. Sono momenti in cui Gesù incontra la maestà della morte ed è toccato dal potere delle tenebre - un potere che è suo compito combattere e vincere.

Ritorneremo a questa "commozione" dell'anima di Gesù, quando rifletteremo sulla notte del Monte degli ulivi. Torniamo al nostro testo. L'annuncio del tradimento suscita comprensibilmente agitazione e, al contempo, curiosità tra i discepoli. "Uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù. Simon Pietro gli fece cenno di informarsi chi fosse quello di cui parlava. Ed egli, chinandosi sul petto di Gesù, gli disse: "Signore, chi è?''. Rispose Gesù: "È colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò''" (13, 23 ss). Per la comprensione di questo testo bisogna anzitutto tener conto del fatto che per la cena pasquale era prescritto lo stare adagiati a tavola.

Charles K. Barrett spiega il versetto appena citato così: "I partecipanti ad una cena stavano sdraiati sulla loro sinistra; il braccio sinistro serviva a sostenere il corpo; quello destro era libero per essere usato. Il discepolo alla destra di Gesù aveva quindi il suo capo immediatamente davanti a Gesù, e si poteva conseguentemente dire che era adagiato presso il suo petto. Ovviamente era in grado di parlare in confidenza con Gesù, ma il suo non era il posto d'onore più alto; questo era situato a sinistra dell'ospitante. Il posto occupato dal discepolo amato era nondimeno il posto di un intimo amico"; Barrett fa notare in questo contesto che esiste una descrizione parallela in Plinio (p. 437).
Così come è qui riportata, la risposta di Gesù è totalmente chiara. Ma l'evangelista ci fa sapere che, tuttavia, i discepoli non capirono a chi si riferiva.

Possiamo quindi supporre che Giovanni, ripensando all'evento, abbia dato alla risposta una evidenza che essa per i presenti, sul momento, non aveva. Il versetto 18 ci mette sulla giusta traccia. Qui Gesù dice: "Deve compiersi la Scrittura: Colui che mangia il mio pane, ha alzato contro di me il suo calcagno" (cfr. Salmi, 41, 10; 55, 14).

È questo lo stile caratteristico del parlare di Gesù: con parole della Scrittura Egli allude al suo destino, inserendolo allo stesso tempo nella logica di Dio, nella logica della storia della salvezza. Successivamente tali parole diventano totalmente trasparenti; si rende chiaro che la Scrittura descrive veramente il suo cammino - ma sul momento rimane l'enigma. Inizialmente se ne arguisce soltanto che colui che tradirà Gesù è uno dei commensali; diventa evidente che il Signore deve subire sino alla fine e fin nei particolari il destino di sofferenza del giusto, un destino che appare in molteplici modi soprattutto nei Salmi. Gesù deve sperimentare l'incomprensione, l'infedeltà fino all'interno del cerchio più intimo degli amici e così "compiere la Scrittura". Egli si rivela come il vero soggetto dei Salmi, come il "Davide", dal quale essi provengono e mediante il quale acquistano senso.

Giovanni, scegliendo al posto dell'espressione usata nella Bibbia greca per "mangiare" la parola tro-gein con cui Gesù nel suo grande discorso sul pane indica il "mangiare" il suo corpo e sangue, cioè il ricevere il Sacramento eucaristico (cfr. Giovanni, 6, 54-58), ha aggiunto una nuova dimensione alla parola del Salmo ripresa da Gesù come profezia sul proprio cammino.
Così la parola del Salmo getta anticipatamente la sua ombra sulla Chiesa che celebra l'Eucaristia, nel tempo dell'evangelista come in tutti i tempi: con il tradimento di Giuda la sofferenza per la slealtà non è finita. "Anche l'amico in cui confidavo, che con me divideva il pane, contro di me alza il suo piede" (Salmi, 41, 10). La rottura dell'amicizia giunge fin nella comunità sacramentale della Chiesa, dove sempre di nuovo ci sono persone che prendono "il suo pane" e lo tradiscono. La sofferenza di Gesù, la sua agonia, perdura sino alla fine del mondo, ha scritto Pascal in base a tali considerazioni (cfr. Pensées, VII, 553). Possiamo esprimerlo anche dal punto di vista opposto: Gesù in quell'ora si è caricato del tradimento di tutti i tempi, della sofferenza che viene in ogni tempo dall'essere traditi, sopportando così fino in fondo le miserie della storia.

Giovanni non ci dà alcuna interpretazione psicologica dell'agire di Giuda; l'unico punto di riferimento che ci offre è l'accenno al fatto che Giuda, come tesoriere del gruppo dei discepoli, avrebbe sottratto il loro denaro (cfr. 12, 6).

Quanto al contesto che ci interessa, l'evangelista dice soltanto laconicamente: "Allora, dopo quel boccone, satana entrò in lui" (13, 27). Ciò che a Giuda è accaduto per Giovanni non è più psicologicamente spiegabile. È finito sotto il dominio di qualcun altro: chi rompe l'amicizia con Gesù, chi si scrolla di dosso il suo "dolce giogo", non giunge alla libertà, non diventa libero, ma diventa invece schiavo di altre potenze - o piuttosto: il fatto che egli tradisce questa amicizia deriva ormai dall'intervento di un altro potere, al quale si è aperto.
Tuttavia, la luce che, provenendo da Gesù, era caduta nell'anima di Giuda, non si era spenta del tutto. C'è un primo passo verso la conversione: "Ho peccato", dice ai suoi committenti. Cerca di salvare Gesù e ridà il denaro (cfr. Matteo, 27, 3 ss). Tutto ciò che di puro e di grande aveva ricevuto da Gesù, rimaneva iscritto nella sua anima - non poteva dimenticarlo.

La seconda sua tragedia - dopo il tradimento - è che non riesce più a credere a un perdono. Il suo pentimento diventa disperazione. Egli vede ormai solo se stesso e le sue tenebre, non vede più la luce di Gesù - quella luce che può illuminare e superare anche le tenebre. Ci fa così vedere il modo errato del pentimento: un pentimento che non riesce più a sperare, ma vede ormai solo il proprio buio, è distruttivo e non è un vero pentimento.
Fa parte del giusto pentimento la certezza della speranza - una certezza che nasce dalla fede nella potenza maggiore della Luce fattasi carne in Gesù. Giovanni conclude il brano su Giuda in modo drammatico con le parole: "Egli, preso il boccone, subito uscì. Ed era notte" (13, 30).

Giuda esce fuori - in un senso più profondo. Entra nella notte, va via dalla luce verso il buio; il "potere delle tenebre" lo ha afferrato (cfr. Giovanni, 3, 19; Luca, 22, 53).



(©L'Osservatore Romano - 3 marzo 2011)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.987
Sesso: Femminile
03/03/2011 09:25
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

Si riaccendono le polemiche.... ecco l'ennesima strumentalizzazione alle parole del Pontefice:


"Papa Benedetto ha dichiarato inequivocabilmente che il popolo ebraico non era - e quindi non è - responsabile della morte di Gesù"



si tratta del secondo volume, in uscita, del libro di Benedetto XVI sul Gesù di Nazareth...

Sarebbe AUSPICABILE, ora.... che i tanti VATICANISTI in giro per il web, pronti a lanciare anatemi contro il mondo Tradizionale....siano altrettanto solleciti per spiegare a questi MEDIA e titoloni di giornali che la notizia, buttata così facendola apparire come una RISCRITTURA (dice Repubblica, sic!) dei Vangeli... è il solito FALSO....e la solita MANIPOLAZIONE alle parole del Papa...

la questione del "deicidio" fu già chiarita AL CONCILIO DI TRENTO....

598 La Chiesa, nel magistero della sua fede e nella testimonianza dei suoi santi, non ha mai dimenticato che « ogni singolo peccatore è realmente causa e strumento delle [...] sofferenze » del divino Redentore. (434) Tenendo conto del fatto che i nostri peccati offendono Cristo stesso, (435) la Chiesa non esita ad imputare ai cristiani la responsabilità più grave nel supplizio di Gesù, responsabilità che troppo spesso essi hanno fatto ricadere unicamente sugli Ebrei:

« È chiaro che più gravemente colpevoli sono coloro che più spesso ricadono nel peccato. Se infatti le nostre colpe hanno condotto Cristo al supplizio della croce, coloro che si immergono nell'iniquità crocifiggono nuovamente, per quanto sta in loro, il Figlio di Dio e lo scherniscono con un delitto ben più grave in loro che non negli Ebrei. Questi infatti – afferma san Paolo – se lo avessero conosciuto, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria (1 Cor 2,8). Noi cristiani, invece, pur confessando di conoscerlo, di fatto lo rinneghiamo con le nostre opere e leviamo contro di lui le nostre mani violente e peccatrici ». (436)..........

..........

Queste parole del Catechismo Cattolico CHE RICHIAMANO L'ESPRESSIONE USATA DALLO STESSO CONCILIO DI TRENTO.. .ci rammentano la storia del nostro passato...passato in cui la Chiesa ha dovuto, pian piano, camminare con gli uomini di ogni tempo nel bene come nel male, nella buona e nella cattiva sorte.....

Si legge spesso in particolare il cosiddetto "deicidio" ( cioè solo gli ebrei sarebbero responsabili della morte di Cristo ).
Qui si confondono le opinioni di certi teologi con la dottrina autentica della Chiesa.
La dottrina della Chiesa ha sempre detto che Gesù è stato ucciso dai nostri peccati: vedi catechismo di Trento


Studiamo ancora il Concilio di Trento.... Benedetto XVI non fa altro che ripartire da li...

GESU' E' STATO UCCISO DAI NOSTRI PECCATI

Scrive il Catechismo di Trento(1546): " In Gesù Cristo Nostro Signore si verificò questo di speciale: che morì quando volle morire e sostenne una morte non già provocata dalla violenza altrui, ma una morte volontaria, di cui aveva egli stesso fissato il luogo e il tempo. Aveva scritto infatti Isaia: è
stato sacrificato perché lo ha voluto ( Isa LIII,7 ).

E il Signore stesso disse di sé prima della passione: Io do la mia vita per riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie; ma io la do da me stesso e sono padrone di darla, e padrone di riprenderla ( Giov., X, 17,18 ).(...)

Chi indaghi la ragione per la quale il Figlio di Dio affrontò la più acerba delle passioni, troverà che, oltre la colpa ereditaria dei progenitori, essa deve riscontrarsi principalmente nei peccati commessi dagli uomini dall'origine del mondo sino ad oggi, e negli altri che saranno commessi fino alla fine del mondo. Soffrendo e morendo, il Figlio di Dio nostro salvatore mirò appunto a redimere ed annullare le colpe di tutte le età, dando al Padre soddisfazione cumulativa e copiosa.



e infine ancora:

Per meglio valutarne
l'importanza, si rifletta che non solamente Gesù Cristo soffrì per i peccatori, ma che in realtà i peccatori furono cagione e ministri di tutte le pene subìte. Scrivendo agli Ebrei, l'Apostolo ci ammonisce precisamente:
pensate a Colui che tollerò tanta ostilità dai peccatori, e l'animo vostro non si abbatterà nello scoraggiamento. ( Ebr.XII,3 ).

Più strettamente sono avvinti da questa colpa coloro, che più di frequente cadono in peccato. Perché se i nostri peccati trassero Gesù Cristo Nostro
Signore al supplizio della Croce, coloro che si tuffano più ignominiosamente nell'iniquità, di nuovo, per quanto è da loro, crocifiggono in sé il Figlio
di Dio e lo disprezzano ( ib. VI, 6 ).
Delitto ben più grave in noi che negli Ebrei.
Questi, secondo la tesimonianza dell'Apostolo, se avessero conosciuto il Re della gloria, non l'avrebbero giammai crocifisso ( I Cor.II,8 ); mentre noi, pur facendo professione di conoscerlo, lo rinneghiamo con i fatti, e quasi sembriamo alzar le mani violente contro di Lui ".
( Catechismo Tridentino, catechismo ad uso dei parroci, pubblicato dal Papa
S. Pio V per decreto del Concilio di Trento, trad. italiana a cura del P. Tito S. Centi, O.P., ed. Cantagalli Siena 1981, p. 79 e pp.82-83 ).



ordunque.... siano solleciti questi vaticanisti dalla penna solerte contro un certo tradizionalismo "nuovo" perchè è naturale che se nessuno parlerà, si alzeranno loro a dire che IL CONCILIO DI TRENTO LO AVEVA GIA' CHIARITO, ma detto da loro sembrerà l'ennesimo attacco al Papa, mentre il Papa non ha fatto altro che riportare la fede di Trento ai giorni nostri...



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.987
Sesso: Femminile
03/03/2011 19:04
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

"Gesù davanti a Pilato" (Da "Gesù di Nazaret" di J. Ratzinger-Benedetto XVI, secondo volume)

Antonio Ciseri, "Ecce Homo"
"GESU' DI NAZARET" DI JOSEPH RATZINGER-BENEDETTO XVI (SECONDO VOLUME): LO SPECIALE DEL BLOG

Riceviamo e con grande piacere e gratitudine pubblichiamo:

GESÙ DAVANTI A PILATO

L’interrogatorio di Gesù davanti al sinedrio si era concluso così come Caifa se l’era aspettato: Gesù era stato dichiarato colpevole di bestemmia, un reato per il quale era prevista la pena di morte.
Ma siccome il potere di infliggere la pena capitale era riservato ai Romani, il processo doveva essere trasferito davanti a Pilato e con ciò doveva entrare in primo piano l’aspetto politico della sentenza di colpevolezza.

Gesù si era dichiarato Messia, aveva quindi preteso per sé la dignità regale, anche se in modo del tutto particolare.
La rivendicazione della regalità messianica era un reato politico, che dalla giustizia romana doveva essere punito.
Con il canto del gallo era sorto il giorno.
Il governatore romano usava sedere in giudizio nelle prime ore del mattino.
Così Gesù viene dai suoi accusatori condotto al pretorio e presentato a Pilato come malfattore meritevole di morte.
È il giorno della «Parasceve» per la festa di Pasqua: nel pomeriggio vengono immolati gli agnelli per il banchetto serale.
Per questo è esigita la purezza rituale; i sacerdoti accusatori non possono quindi mettere piede nel pretorio pagano e trattano con il governatore romano davanti all’edificio.

Giovanni che ci trasmette tale notizia (cfr 18,28s) lascia con ciò trasparire la contraddizione tra l’osservanza corretta delle prescrizioni cultuali di purezza e la questione della vera, interiore purezza dell’uomo: agli accusatori non viene in mente che non l’entrare nella casa pagana sia ciò che inquina, ma l’intimo sentimento del cuore.
Al tempo stesso l’evangelista sottolinea con ciò che la cena pasquale non ha ancora avuto luogo e che l’immolazione degli agnelli deve ancora avvenire.

Nella descrizione dell’andamento del processo i quattro Vangeli concordano in tutti i punti essenziali.
Giovanni è l’unico che riferisce il colloquio tra Gesù e Pilato, in cui la questione circa la regalità di Gesù, circa il motivo della sua morte, viene scandagliata in tutta la sua profondità (cfr 18,33-38).
Il problema del valore storico di tale tradizione è – ovviamente – discusso tra gli esegeti. Mentre Charles H. Dodd ed anche Raymond E. Brownla valutano in senso positivo, Charles K. Barretts’ esprime in senso estremamente critico: «Le integrazioni e le modifiche che Giovanni fa non suscitano fiducia nella sua affidabilità storica» (op cit.,p. 511).
Sicuramente nessuno s’aspetta che Giovanni voglia offrire qualcosa come un verbale del processo. Si può però certamente supporre che egli sappia interpretare con grande esattezza la questione centrale di cui si trattava e che ci ponga quindi davanti alla verità essenziale di tale processo.
Così anche Barrett dice che «Giovanni con massima sagacia ha individuato la chiave interpretativa per la storia della passione nella regalità di Gesù e ha messo in risalto il suo significato forse più chiaramente di qualunque altro autore neotestamentario» (p. 512).

Ma domandiamoci anzitutto: chi erano precisamente gli accusatori?
Chi ha insistito per la condanna di Gesù a morte?
Nelle risposte dei Vangeli vi sono differenze su cui dobbiamo riflettere.
Secondo Giovanni, essi sono semplicemente i «Giudei».
Ma questa espressione, in Giovanni, non indica affatto – come il lettore moderno forse tende ad interpretare – il popolo d’Israele come tale, ancor meno essa ha un carattere «razzista».
In definitiva, Giovanni stesso, per quanto riguarda la nazionalità, era Israelita, ugualmente come Gesù e tutti i suoi.
L’intera comunità primitiva era composta da Israeliti.
In Giovanni tale espressione ha un significato preciso e rigorosamente limitato: egli designa con essa l’aristocrazia del tempio.
Così nel quarto Vangelo il cerchio degli accusatori che perseguono la morte di Gesù è descritto con precisione e chiaramente delimitato: si tratta, appunto, dell’aristocrazia del tempio – ma anch’essa non senza eccezione, come lascia capire l’accenno a Nicodèmo (cfr 7,50ss).
In Marco, nel contesto dell’amnistia pasquale (Barabba o Gesù), il cerchio degli accusatori appare allargato: compare l’«ochlos» ed opta per il rilascio di Barabba. «Ochlos» significa innanzitutto semplicemente una quantità di gente, la «massa».
Non di rado la parola ha un sapore negativo nel senso di «plebaglia».
In ogni caso con ciò non è indicato «il popolo» degli Ebrei come tale.

Nell’amnistia pasquale (che, in realtà, non conosciamo da altre fonti, ma della quale tuttavia non v’è ragione di dubitare) il popolo – come al solito in simili amnistie – ha il diritto di fare una proposta manifestata per «acclamazione»: l’acclamazione del popolo ha in questo caso un carattere giuridico (cfr Pesch, Markusevangelium II, p. 466).
Per quanto riguarda questa «massa», si tratta di fatto dei sostenitori di Barabba, mobilitati per l’amnistia; come rivoltoso contro il potere romano, questi poteva naturalmente contare su un certo numero di simpatizzanti.
Erano quindi presenti i seguaci di Barabba, la «massa», mentre gli aderenti a Gesù per paura rimanevano nascosti, e in questo modo la voce del popolo su cui il diritto romano contava era presentata in modo unilaterale.
Così in Marco accanto ai «Giudei», cioè agli autorevolicircoli sacerdotali, compare, sì, l’ochlos, il gruppo dei sostenitori di Barabba, non però il popolo ebreo come tale.
Un’amplificazione dell’ochlos di Marco, fatale nelle sue conseguenze, si trova in Matteo (27,25), che parla invece di «tutto il popolo», attribuendo adesso la richiesta della crocifissione di Gesù.
Con questo, Matteo sicuramente non esprime un fatto storico: come avrebbe potuto essere presente in tale momento tutto il popolo e chiedere la morte diGesù?
La realtà storica appare in modo sicuramente corretto in Giovanni e in Marco.

Il vero gruppo degli accusatori sono i circoli contemporanei del tempio e, nel contesto dell’amnistia pasquale, si associa ad essi la «massa» dei sostenitori di Barabba.

Si può forse in ciò dare ragione a Joachim Gnilka, secondo cui Matteo – andando oltre i fatti storici – ha voluto formulare un’eziologia teologica, con cui spiegarsi il terribile destino di Israele nella guerra giudeo-romana, nella quale vennero tolti al popolo la Terra, la città e il tempio (cfr Matthäusevangelium II, p. 459).
In tale contesto Matteo pensa forse alle parole di Gesù nelle quali Egli predice la fine del tempio: «Gerusalemme, Gerusalemme, tu che uccidi i profeti e lapidi quelli che sono mandati a te, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una chioccia raccoglie i suoi pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto!
Ecco, la vostra casa è lasciata a voi deserta…» (Mt23, 37s; cfr in Gnilka l’intero paragrafo Gerichts-worte pp. 295-308).
A proposito di queste parole bisogna – come indicato già nella riflessione sul discorso escatologico di Gesù – ricordare l’intima analogia tra ilmessaggio del profeta Geremia e quello di Gesù.
Geremia annuncia – contro l’accecamento dei circoli dominanti d’allora – la distruzione del tempio e l’esilio di Israele.

Ma parla anche di una «nuova alleanza»: il castigo non è l’ultima parola; esso serve alla guarigione.
Analogamente Gesù annuncia la «casa deserta» e dona già fin d’ora la nuova alleanza « nel suo sangue»: in ultima analisi si tratta di guarigione, non di distruzione e ripudio
.
Se secondo Matteo «tutto il popolo» avrebbe detto: «Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli» (27,25), il cristiano ricorderà che il sangue di Gesù parla un’altra lingua rispetto a quello di Abele (cfr Eb 12,24): non chiede vendetta e punizione, ma è riconciliazione.
Non viene versato contro qualcuno, ma è sangue versato per molti, per tutti.
«Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio…
È lui [Gesù] che Dio ha stabilito apertamente come strumento di espiazione … nel suo sangue», dice Paolo (Rm 3,23.25).
Come in base alla fede bisogna leggere in modo totalmente nuovo l’affermazione di Caifa circa la necessità della morte di Gesù, così deve farsi anche con la parola di Matteo sul sangue: letta nella prospettiva della fede, essa significa che tutti noi abbiamo bisogno della forza purificatrice dell’amore, e tale forza è il suo sangue.
Non è maledizione, ma redenzione,salvezza.

Soltanto in base alla teologia dell’ultimacena e della croce presente nell’intero Nuovo Testamento la parola di Matteo circa il sangue acquisisce il suo senso corretto.
Passiamo dagli accusatori al giudice: il governatore romano Ponzio Pilato.
Mentre Giuseppe Flavio ed in modo particolare Filone d’Alessandria tracciano di lui un’immagine del tutto negativa, egli appare in altre testimonianze come risoluto, pragmatico e realistico. Si dice spesso che i Vangeli, in base ad una tendenza filo-romana motivata politicamente, lo avrebbero presentato in modo sempre più positivo, caricando progressivamente sugli Ebrei la responsabilità per la morte di Gesù.
A sostegno di una tale tendenza, però, non c’era alcuna ragione nella situazione storica degli evangelisti: quando furono redatti i Vangeli, la persecuzione di Nerone aveva ormai mostrato il lato crudele dello Stato romano e tutta l’arbitrarietà del potere imperiale.
Se possiamo datare l’Apocalisse più o meno al periodo in cui fu composto il Vangelo di Giovanni, diventa evidente che il quarto Vangelo non si è formato in un contesto che avrebbe dato motivo ad un’impostazione filo-romana.

L’immagine di Pilato nei Vangeli ci mostra il prefetto romano molto realisticamente come un uomo che sapeva intervenire in modo brutale, se questo gli sembrava opportuno per l’ordine pubblico. Ma egli sapeva anche che Roma doveva il suo dominio sul mondo non da ultimo alla tolleranza di fronte a divinità straniere e alla forza pacificatrice del diritto romano.
Così egli ci si presenta nel processo a Gesù.
L’accusa secondo cui Gesù si sarebbe dichiarato re dei Giudei era pesante.
È vero che Roma poteva effettivamente riconoscere dei re regionali – come Erode –, ma essi dovevano essere legittimati da Roma ed ottenere da Roma la descrizione e la delimitazione dei loro diritti di sovranità.
Un re senza tale legittimazione era un ribelle che minacciava la pax romana e di conseguenza si rendeva reo di morte.
Ma Pilato sapeva che da Gesù non era sorto un movimento rivoluzionario. Dopo tutto ciò che egli aveva sentito, Gesù deve essergli sembrato un esaltato religioso, che forse violava ordinamenti giudaici riguardanti il diritto e la fede, ma ciò non gli interessava. Su ciò dovevano giudicare i Giudei stessi.
Sotto l’aspetto degli ordinamenti romani concernenti la giurisdizione e il potere, che rientravano nella sua competenza, non c’era nulla di serio contro Gesù.
A questo punto dobbiamo passare dalle considerazioni sulla persona di Pilato al processo stesso.
In Giovanni 18,34s è detto chiaramente che presso Pilato, in base alle informazioni in suo possesso, non c’era nulla contro Gesù.
All’autorità romana non era giunta alcuna notizia su qualcosa che in qualche modo avrebbe potuto minacciare la pace legale.
L’accusa proveniva dagli stessi connazionali di Gesù, dall’autorità del tempio.

Doveva stupire Pilato che i connazionali di Gesù si presentassero davanti a lui come difensori di Roma, dal momento che le sue personali conoscenze non gli avevano dato l’impressione che un intervento fosse necessario.
Ma nell’interrogatorio, ecco all’improvviso un momento che suscita eccitazione: la dichiarazione di Gesù.
Alla domanda di Pilato: «Dunque tu sei re?», Egli risponde: «Tu lo dici: io sono re.
Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità.
Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce» (Gv18,37).
Già prima Gesù aveva detto: «La mia regalità [il mio regno] non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù» (18,36).
Questa « confessione » di Gesù mette Pilato davanti ad una strana situazione: l’accusato rivendica regalità e regno (basileía).
Ma sottolineala totale diversità di questa regalità, e ciò con l’annotazione concreta che per il giudice romano deve essere decisiva: nessuno combatte per questa regalità.
Se il potere, e precisamente il potere militare, è caratteristico per la regalità e il regno– niente di ciò si trova in Gesù.
Per questo non esiste neanche una minaccia per gli ordinamenti romani.
Questo regno è non violento.
Non dispone di alcuna legione.

Con queste parole, Gesù ha creato un concetto assolutamente nuovo di regalità e di regno mettendo Pilato, il rappresentante del classico potere terreno, di fronte ad esso.
Che cosa deve pensare Pi-lato, che cosa dobbiamo pensare noi di tale con-cetto di regno e di regalità? È una cosa irreale, una fantasticheria della quale ci si può disinteressare?
O forse in qualche modo ci riguarda?
Accanto alla chiara delimitazione del concetto di regno (nessuno combatte, impotenza terrena), Gesù ha introdotto un concetto positivo, per rendere accessibile l’essenza e il carattere particolare del potere di questa regalità: la verità. Pilato, nell’ulteriore sviluppo dell’interrogatorio, ha messo in gioco un altro termine che proviene dal suo mondo e viene normalmente collegato con il termine «regno»: il potere – l’autorità (exousía).
Il dominio richiede un potere, addirittura lo definisce. Gesù invece qualifica come essenza della sua regalità la testimonianza alla verità.
La verità è forse una categoria politica? Oppure il «regno» di Gesù non ha niente a che fare con la politica?
A quale ordine allora esso appartiene? Se Gesù basa il suo concetto di regalità e di regno sulla verità come categoria fondamentale, molto comprensibilmente il pragmatico Pilato chiede: «Che cos’è la verità?» (18,38).
È la domanda che pone anche la moderna dottrina dello Stato: può la politica assumere la verità come categoria per la sua struttura?

O deve lasciare la verità, come dimensione inaccessibile, alla soggettività e invece cercare di riuscire a stabilirela pace e la giustizia con gli strumenti disponibili nell’ambito del potere? Vista l’impossibilità di un consenso sulla verità, la politica puntando su di essa non si rende forse strumento di certe tradizioni che, in realtà, non sono che forme di conservazione del potere?
Ma, dall’altra parte – che cosa succede se la verità non conta nulla?
Quale giustizia allora sarà possibile?
Non devono forse esserci criteri comuniche garantiscano veramente la giustizia per tutti –criteri sottratti all’arbitrarietà delle opinioni mutevoli ed alle concentrazioni del potere? Non è forse vero che le grandi dittature sono vissute in virtù della menzogna ideologica e che soltanto la verità poté portare la liberazione?
Che cos’è la verità? La domanda del pragmatico, posta superficialmente con un certo scetticismo, è una domanda molto seria, nella quale effettivamente è in gioco il destino dell’umanità. Che cosa è, dunque, la verità? Possiamo riconoscerla? Può essa entrare, come criterio, nel nostro pensare e volere, nella vita sia del singolo che in quella della comunità?

La definizione classica formulata dalla filosofia scolastica qualifica la verità come «adaequatio intellectus et rei – corrispondenza tra intelletto e realtà» (Tommaso d’Aquino, S. theol. I q 21 a 2 c).
Se la ragione di una persona rispecchia una cosa così come essa è in se stessa, allora la persona ha trovato la verità. Ma solo un piccolo settore di ciò che esiste realmente – non la verità nella sua grandezza ed interezza.
Con un’altra affermazione di san Tommaso ci avviciniamo già di più alle intenzioni di Gesù: «La verità è nell’intelletto di Dio in senso vero e proprio e in primo luogo (proprie et primo); nell’intelletto umano, invece, essa è in senso vero e proprio, e derivato (proprie quidem et secundario)» (De verit. q 1 a4 c).
E così s’arriva infine alla formula lapidaria: Dio è «ipsa summa et prima veritas – la stessa somma e prima verità» (S. theol. I q 16 a 5 c).
Con questa formula siamo vicini a ciò che Gesù intende dire quando parla della verità, per dare testimonianza alla quale è venuto nel mondo. Verità ed opinione errata, verità e menzogna nel mondo sono continuamente mescolate in modo quasi inestricabile.

La verità in tutta la sua grandezza e purezza non appare. Il mondo è «vero» nella misura in cui rispecchia Dio, il senso della creazione, la Ragione eterna da cui è scaturito. E diventa tanto più vero quanto più si avvicina a Dio. L’uomo diventa vero, diventa se stesso se diventa conforme a Dio. Allora egli raggiunge la sua vera natura.
Dio è la realtà che dona l’essere e il senso.
«Dare testimonianza alla verità» significa mettere in risalto Dio e la sua volontà di fronte agli interessi del mondo e alle sue potenze.
Dio è la misura dell’essere.
In questo senso, la verità è il vero «re» che a tutte le cose dà la loro luce e la loro grandezza.
Possiamo anche dire che dare testimo-nianza alla verità significa: partendo da Dio, dalla Ragione creatrice, rendere la creazione decifrabile e la sua verità accessibile in modo tale che essa possa costituire la misura e il criterio orientativo nel mondo dell’uomo – che ai grandi e ai potenti si faccia incontro il potere della verità, il diritto comune, il diritto della verità.
Diciamolo pure: la non-redenzione del mondo consiste, appunto, nella non-decifrabilità della creazione, nella non-riconoscibilità della verità, una situazione che poi conduce inevitabilmente al dominio del pragmatismo, e in questo modo fasì che il potere dei forti diventi il dio di questomondo.A questo punto, come uomini moderni, si ètentati di dire: « Grazie alla scienza, per noi lacreazione è diventata decifrabile».
Di fatto, dicead esempio Francis S. Collins, che ha diretto loHuman Genome Project, con lieto stupore: «Il linguaggio di Dio era stato decifrato» (The Languageof God, p. 99).

Sì davvero, nella grandiosa matematica della creazione, che oggi possiamo leggere nel codice genetico dell’uomo, percepiamo il linguaggio di Dio. Ma purtroppo non il linguaggio intero.
La verità funzionale sull’uomo è diventata visibile.
Ma la verità su lui stesso – su chi egli sia, di dove venga, per quale scopo esista, che cosa sia il bene o il male – quella, purtroppo, non si può leggere in tal modo.
Con la crescente conoscenza della verità funzionale sembra piuttosto andare di paripasso una crescente cecità per «la verità» stessa per la domanda su ciò che è la nostra vera realtà e ciò che è il nostro vero scopo.
Che cos’è la verità? Non soltanto Pilato ha accantonato questa domanda come irrisolvibile e,per il suo compito, impraticabile.
Anche oggi, nel-la disputa politica come nella discussione circa la formazione del diritto, per lo più si prova fastidio per essa. Ma senza la verità l’uomo non coglie il senso della sua vita, lascia, in fin dei conti, il campo ai più forti.
«Redenzione» nel senso pieno della parola può consistere solo nel fatto che la verità
diventi riconoscibile.

Ed essa diventa riconoscibile, se Dio diventa riconoscibile. Egli diventa riconoscibile in Gesù Cristo. In Lui Dio è entrato nel mondo, ed ha con ciò innalzato il criterio della verità in mezzo alla storia. La verità esternamente èimpotente nel mondo; come Cristo, secondo i cri-teri del mondo, è senza potere: Egli non possiede alcuna legione. Viene crocifisso.

Ma proprio così, nella totale mancanza di potere, Egli è potente, esolo così la verità diviene sempre nuova menteuna potenza.Nel colloquio tra Gesù e Pilato si tratta della regalità di Gesù e quindi della regalità, del «regno» diDio. Proprio nel colloquio di Gesù con Pilato sirende evidente che non esiste alcuna rottura tra l’annuncio di Gesù in Galilea – il regno di Dio – e isuoi discorsi in Gerusalemme.
Il centro del messaggio fino alla croce – fino all’iscrizione sulla croce – è il regno di Dio, la nuova regalità che Gesù rappresenta.
Il centro di ciò è, però, la verità. La regalità annunciata da Gesù nelle parabole e, infine, in modo del tutto aperto davanti al giudice terreno è, appunto, la regalità della verità.
L’erezione di questa regalità quale vera liberazione dell’uomo è ciò che interessa.
Al contempo, diventa evidente che tra la focalizzazione pre-pasquale sul regno di Dio e quella post-pasquale sulla fede in Gesù Cristo come Figlio di Dio non c’è alcuna contraddizione.
In Cristo, Dio è entrato nel mondo, la verità.
La cristologia è l’annuncio diventato concreto del regno di Dio.

Per Pilato dopo l’interrogatorio è chiaro ciò che, in linea di principio, egli sapeva già prima. Questo Gesù non è un rivoluzionario politico, il suo messaggio e il suo comportamento non costituiscono un pericolo per il dominio romano. Se abbia contravvenuto alla Torà, a lui che è romano non interessa.
Sembra però che Pilato abbia provato anche un certo timore superstizioso di fronte a questa figura strana. Certo, Pilato era uno scettico. Ma come uomo dell’antichità, egli tuttavia non escludeva che dèi o in ogni caso esseri simili agli dèi potessero comparire sotto l’aspetto di esseri umani. Giovanni dice che i « Giudei » accusavano Gesù di farsi Figlio di Dio, e aggiunge: «All’udire queste parole, Pilato ebbe ancor più paura» (19,8).
Penso che si debba tener conto di questa paura in Pilato: c’era forse veramente qualcosa di divino in quest’uomo?
Condannandolo si metteva forse contro una potenza divina?
Doveva forse aspettarsi l’ira di tali potenze? Penso che il suo atteggiamento in questo processo non si spieghi soltanto in ragione di un certo impegno per la giustizia, ma proprio anche in base a queste idee.
Ovviamente gli accusatori se ne rendono conto ed oppongono ora ad una paura un’altra paura.
Alla paura superstiziosa per una possibile presenza divina, essi oppongono la paura molto concreta di restare privo del favore dell’imperatore, di perdere la posizione e di precipitare così in una situazione senza sostegno.

L’affermazione: «Se liberi costui, non sei amico di Cesare» (Gv 19,12), è una minaccia.
Alla fine, la preoccupazione per la carriera è più forte della paura di fronte alle potenze divine.
Ma prima della decisione finale vi è ancora un intermezzo drammatico e doloroso in tre atti, che almeno brevemente dobbiamo considerare.
Il primo atto consiste nel fatto che Pilato presenta Gesù come candidato per l’amnistia pasquale, cercando in questo modo di liberarlo. Con questo, però, si espone ad una situazione fatale. Chi viene proposto come candidato per l’amnistia è di per sé già condannato. Soltanto così l’amnistia ha un senso. Se alla folla spetta il diritto d’acclamazione, allora dopo il suo pronunciamento è da considerare come condannato colui che essa non ha scelto.
In questo senso, nella proposta per la liberazione attraverso l’amnistia è tacitamente inclusa già una condanna.
Sul confronto tra Gesù e Barabba come anche sul significato teologico di tale alternativa ho scritto in modo dettagliato già nella Prima Parte di quest’opera (cfr pp. 63s).
Basta quindi ricordare qui brevemente soltanto l’essenziale.
Giovanni qualifica Barabba, secondo le nostre traduzioni, semplicemente un «brigante» (18,40). Ma nel contesto politico di allora la parola greca da lui usata aveva assunto anche il significato di «terrorista», ovvero di « combattente della resistenza».
Che questo fosse il significato inteso diventa evidente nel racconto di Marco: «Un tale, chiamato Barabba, si trovava in carcere insieme ai ribelli che nella rivolta avevano commesso un omicidio» (15,7).
Barabba («figlio del padre») è una specie di figura messianica; nella proposta dell’amnistia pasquale due interpretazioni della speranza messianica stanno di fronte l’una all’altra.
Secondo la legge romana si tratta di due delinquenti accusati dello stesso delitto – sono rivoltosi contro la pax romana.

È chiaro che Pilato preferisce l’«esaltato» non violento, che era Gesù ai suoi occhi.
Ma le categorie della folla ed anche dell’autorità del tempio sono diverse. Se l’aristocrazia del tempio come massimo arriva alla frase: «Non abbiamo altro re che Cesare» (Gv 19,15), ciò è solo apparentemente una rinuncia alla speranza messianica di Israele: questo re noi non lo vogliamo. Essi desiderano un altro genere di soluzione del problema.

L’umanità si troverà sempre nuovamente davanti a tale alternativa: dire «sì» a quel Dio che opera soltanto con il potere della verità e dell’amore o contare sul concreto, su ciò che è a portata di mano, sulla violenza.
I seguaci di Gesù non sono presenti nel luogo del giudizio, sono assenti per paura.
Ma essi mancano anche perché non si propongono come massa. La loro voce si farà sentire a Pentecoste nella predica di Pietro, che allora «trafiggerà il cuore» di quegli uomini che in precedenza si erano decisi in favore di Barabba.

Alla domanda: «Che cosa dobbiamo fare, fratelli? » ricevono la risposta: «Convertitevi» – rinnovate e trasformate il vostro modo di pensare, il vostro essere (cfr At 2,37s).

È questo il grido che, di fronte alla scena di Barabbae a tutte le sue riedizioni, deve squarciarci il cuore e portarci alla svolta della vita.
Il secondo atto, Giovanni lo sintetizza laconicamente nella frase: « Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare» (19,1).
La flagellazione era la punizione che, nel diritto penale romano,veniva inflitta come castigo concomitante la condanna a morte (cfr Hengel/Schwemer, p. 609).
In Giovanni essa appare invece come un atto postodurante l’interrogatorio – un provvedimento cheil prefetto, in virtù del suo potere di polizia, eraautorizzato a prendere.

Era una punizione estremamente barbara; il condannato «veniva picchiato da più aguzzini finché questi si stancavano e la carne del delinquente pendeva giù in brandelli sanguinanti» (Blinzler, p. 321). Rudolf Pesch commenta: «Il fatto che Simone il Cireneo debba portare per Gesù la traversa della croce e che Gesù muoia così presto viene forse con ragione collegato con la tortura della flagellazione, durante la quale altri delinquenti già morivano» (Markuse-vangelium II, p. 467).
Il terzo atto è l’incoronazione di spine.
I soldati si prendono gioco in modo crudele di Gesù. Sanno che Egli pretende di essere re. Ma ora si trova nelle loro mani, ed è loro piacere umiliarlo, dimostrare in Lui la loro forza, forse anche scaricare su di Lui, in modo sostitutivo, la loro rabbia contro i grandi. Rivestono Lui – uomo colpito e ferito in tutto il corpo – con i segni caricaturali della maestà imperiale: il mantello scarlatto, la corona di spine intrecciate e lo scettro di canna.

Gli rendono omaggio: «Salve, re dei Giudei!»; il loro omaggio consiste in ceffoni con cui manifestano ancora una volta tutto il loro disprezzo nei suoi confronti (cfrMt 27,28ss; Mc 15,17ss; Gv 19,2s).
La storia delle religioni conosce la figura del re-caricatura – affine al fenomeno del « capro espiatorio».
Su di lui si scarica tutto ciò che angustia gli uomini: in questo modo s’intende allontanare tutto ciò dal mondo.
Senza saperlo, i soldati compiono quanto in quei riti e in quelle usanze non poteva realizzarsi: «Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noisiamo stati guariti» (Is 53,5). In questa apparenza caricaturale Gesù viene condotto da Pilato, e Pilato lo presenta alla folla – all’umanità:
Ecce homo – Ecco l’uomo! (Gv 19,5). Probabilmente il giudice romano è sconvolto dalla figura percossa e schernita di questo misterioso accusato.
Egli conta sulla compassione di coloro che lo vedono.

«Ecce homo» – questa parola acquisisce spontaneamente una profondità che va al di là del momento.
In Gesù appare l’essere umano come tale.
In Lui si manifesta la miseria di tutti i colpiti e rovinati. Nella sua miseria si rispecchia la disumanità del potere umano, che schiaccia così l’impotente. In Lui si rispecchia ciò che chiamiamo «peccato »: ciò che l’uomo diventa quando volge le spalle a Dio e prende autonomamente in mano il governo del mondo.
Ma è vero anche l’altro aspetto: a Gesù non può essere tolta la sua intima dignità. Resta presente in Lui il Dio nascosto. Anche l’uomo percosso ed umiliato rimane immagine di Dio. Da quando Gesù si è lasciato percuotere, proprio i feriti e i percossi sono immagine del Dio che ha voluto soffrire per noi.
Così, nel mezzo della sua passione, Gesù è immagine di speranza: Dio sta dalla parte dei sofferenti.
Alla fine Pilato si pone sul seggio del giudice.
Dice ancora una volta: « Ecco il vostro re! » (Gv19,14).
Poi pronuncia la sentenza a morte.
Certo – la grande verità, di cui aveva parlato Gesù, gli è rimasta inaccessibile; la verità concreta di questo caso, però, Pilato la conosceva bene. Sapeva che questo Gesù non era un delinquente politico e che la regalità rivendicata da Lui non costituiva alcun pericolo politico – sapeva quindi cheera da prosciogliere.
Come prefetto egli rappresentava il diritto romano su cui si basava la pax romana – la pace del-l’impero che abbracciava il mondo.

Questa pace, da una parte, era assicurata mediante la potenza militare di Roma. Ma con la potenza militare, da sola, non si può stabilire nessuna pace. La pace si fonda sulla giustizia. La forza di Roma era il suo sistema giuridico, l’ordine giuridico, sul quale gli uomini potevano contare.
Pilato – lo ripetiamo – conosceva la verità di cui si trattava in questo caso e sapeva quindi che cosa la giustizia richiedeva da lui.
Ma alla fine vinse in lui l’interpretazione pragmatica del diritto: più importante della verità del caso è la forza pacificante del diritto, questo fu forse il suo pensiero e così si giustificò davanti a se stesso. Un’assoluzione dell’innocente poteva recare danno non solo a lui personalmente – il timore per questo fu certamente un motivo determinante per il suo agire –, ma poteva anche provocare ulteriori dispiaceri e disordini che, proprio nei giorni della Pasqua, erano da evitare.
La pace fu in questo caso per lui più importante della giustizia. Doveva passare in seconda linea non soltanto la grande ed inaccessibile verità, ma anche quella concreta del caso: credette di adempiere in questo modo il vero senso del diritto – la sua funzione pacificatrice. Così forse calmò la sua coscienza. Per il momento tutto sembrò andar bene. Gerusalemme rimase tranquilla. Il fatto, però, che la pace, in ultima analisi, non può essere stabilita contro la verità, doveva manifestarsi più tardi.

 2011 - Libreria Editrice Vaticana

(Pag. 206-225)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.987
Sesso: Femminile
03/03/2011 19:15
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

"La data dell'Ultima Cena" (Da "Gesù di Nazaret" di J. Ratzinger-Benedetto XVI, secondo volume)

"GESU' DI NAZARET" DI JOSEPH RATZINGER-BENEDETTO XVI (SECONDO VOLUME): LO SPECIALE DEL BLOG

Riceviamo e con grande piacere e gratitudine pubblichiamo:

1. LA DATA DELL’ULTIMA CENA

Il problema della datazione dell’ultima cena di Gesù si fonda sul contrasto in questa materia tra i Vangeli sinottici, da una parte, e il Vangelo di Giovanni, dall’altra.
Marco, che Matteo e Luca essenzialmente seguono, offre al riguardo una datazione precisa.
«Il primo giorno degli Azzimi, quando si immolava la Pasqua, i suoi discepoli gli dissero: “Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?”…
Venuta la sera, egli arrivò con i Dodici» (Mc 14,12.17).

La sera del primo giorno degli Azzimi, in cui nel tempio venivano immolati gli agnelli pasquali, è la vigilia della Pasqua.
Secondo la cronologia dei sinottici si tratta di un giovedì.
Dopo il tramonto iniziava la Pasqua, e allora veniva consumata la cena pasquale – da Gesù con i suoi discepoli, come da tutti i pellegrini venuti a Gerusalemme.
Nella notte tra giovedì e venerdì – sempre secondo la cronologia sinottica – Gesù venne arrestato e portato davanti al tribunale, al mattino del venerdì da Pilato venne condannato a morte e successivamente «verso l’ora terza» (ca.le nove del mattino) crocifisso.
La morte di Gesù è datata all’ora nona (ca. le ore 15). «Venuta ormai la sera, poiché era la Parascève, cioè la vigilia del sabato, Giuseppe d’Arimatea … con coraggio andò da Pilato e chiese il corpo di Gesù » (Mc15,42s).
La sepoltura doveva avvenire ancora prima del tramonto, perché poi iniziava il sabato.
Il sabato è il giorno del riposo sepolcrale di Gesù.
La risurrezione ha luogo il mattino del «primo giorno della settimana», la domenica.
Questa cronologia è compromessa dal problema che il processo e la crocifissione di Gesù sarebbero avvenuti nella festa della Pasqua, che in quell’anno cadeva di venerdì.
È vero che molti studiosi hanno cercato di dimostrare che il processo e la crocifissione erano compatibili con le prescrizioni della Pasqua.
Nonostante tutta l’erudizione sembra però problematico che in quella festa molto importante per i Giudei, il processo davanti a Pilato e la crocifissione fossero ammissibili e possibili.
Del resto, a questa ipotesi è di ostacolo anche una notizia riportata da Marco.
Egli ci dice che due giorni prima della festa degli Azzimi, i sommi sacerdoti e gli scribi cercavano il modo di impadronirsi di Gesù con inganno per ucciderlo, ma al riguardo dichiaravano: «Non durante la festa, perché non vi sia una rivolta del popolo »(14,1s).
Secondo la cronologia sinottica, però, l’esecuzione capitale di Gesù, di fatto, avrebbe avuto luogo proprio nel giorno stesso della festa.

Rivolgiamoci ora alla cronologia giovannea.

Giovanni bada con premura a non presentare l’ultima cena come cena pasquale.
Al contrario: le autorità giudaiche che portano Gesù davanti al tribunale di Pilato evitano di entrare nel pretorio «per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua» (18,28).

La Pasqua comincia quindi solo alla sera; durante il processo si ha la cena pasquale ancora davanti; processo e crocifissione avvengono nel giorno prima della Pasqua, nella « Parascève », non nella festa stessa.
La Pasqua in quell’anno si estende dunque dalla sera del venerdì fino alla sera del sabato e non dalla sera del giovedì fino alla sera del venerdì.
Per il resto, lo svolgimento degli eventi rimane lo stesso.

Giovedì sera l’ultima cena di Gesù con i discepoli, che però non è una cena pasquale;
venerdì – vigilia della festa e non la festa stessa –: il processo e l’esecuzione capitale;
sabato: il riposo del sepolcro;
domenica: la risurrezione.

Con questa cronologia, Gesù muore nel momento, in cui nel tempio vengono immolati gli agnelli pasquali.
Egli muore come l’Agnello vero che negli agnelli era solo preannunciato.
Questa coincidenza teologicamente importante, che Gesù muoia contemporaneamente con l’immolazione degli agnelli pasquali, ha indotto molti studiosi a liquidare la versione giovannea come cronologia teologica.
Giovanni avrebbe cambiato la cronologia per creare questa connessione teologica che, tuttavia, nel Vangelo non viene manifestata esplicitamente.
Oggi, però, si vede sempre più chiaramente che la cronologia giovannea è storicamente più probabile di quella sinottica.
Poiché – come s’è detto – processo ed esecuzione capitale nel giorno di festa sembrano poco immaginabili.
D’altra parte, l’ultima cena di Gesù appare così strettamente legata alla tradizione della Pasqua che la negazione del suo carattere pasquale risulta problematica.
Per questo già da sempre sono stati fatti dei tentativi di conciliare le due cronologie tra loro.

Il tentativo più importante – e in molti particolari affascinante – di giungere ad una compatibilità tra le due tradizioni proviene dalla studiosa francese Annie Jaubert, che fin dal 1953 ha sviluppato la sua tesi in una serie di pubblicazioni.
Non dobbiamo qui entrare nei dettagli di tale proposta; limitiamoci all’essenziale.
La signora Jaubert si basa soprattutto su due testi antichi che sembrano guidare ad una soluzione del problema.

C’è innanzitutto l’indicazione di un antico calendario sacerdotale, tramandato nel Libro dei Giubilei, che è stato redatto in lingua ebraica nella seconda metà del II secolo avanti Cristo.
Questo calendario non prende in considerazione la rivoluzione della luna e prevede un anno di 364 giorni, diviso in quattro stagioni di tre mesi, dei quali due hanno 30 giorni e uno ne ha 31.
Con sempre 91 giorni, ogni trimestre comprende esattamente 13 settimane e ogni anno quindi esattamente 52 settimane.
Di conseguenza, le feste liturgiche di ogni anno cadono sempre nello stesso giorno della settimana.
Ciò significa, per quanto concerne la Pasqua, che il 15 di Nisan è sempre un mercoledì e che la cena pasquale viene consumata dopo il tramonto alla sera di martedì.
Jaubert sostiene che Gesù avrebbe celebrato la Pasqua secondo questo calendario, cioè martedì sera, e sarebbe stato arrestato nella notte di mercoledì.

Con ciò la studiosa vede risolti due problemi: da una parte, Gesù avrebbe celebrato una vera cena pasquale, come riferiscono i sinottici; dall’altra, Giovanni avrebbe ragione in quanto le autorità giudaiche, che si attenevano al loro calendario, avrebbero celebrato la Pasqua solo dopo il processo di Gesù e quindi Egli sarebbe stato giustiziato nella vigilia della vera Pasqua e non nella festa stessa.
In questo modo la tradizione sinottica e quella giovannea appaiono ugualmente giuste sulla base della differenza tra due calendari diversi.

Il secondo vantaggio sottolineato da Annie Jaubert mostra allo stesso tempo il punto debole di questo tentativo di trovare una soluzione.
La studiosa francese fa notare che le cronologie tramandate (nei sinottici e in Giovanni) devono mettere insieme una serie di avvenimenti nello spazio stretto di poche ore: l’interrogatorio davanti al sinedrio, il trasferimento davanti a Pilato, il sogno della moglie di Pilato, l’invio ad Erode, il ritorno da Pilato, la flagellazione, la condanna a morte, la via crucis e la crocifissione.
Collocare tutto questo nell’ambito di poche ore sembra – secondo Jaubert – quasi impossibile. Rispetto a ciò la sua soluzione offre uno spazio temporale che va dalla notte tra martedì e mercoledì fino al mattino del venerdì.
In quel contesto la studiosa mostra che in Marco per i giorni «Domenica delle palme», lunedì e martedì c’è una precisa sequenza degli avvenimenti, ma che poi egli salta direttamente alla cena pasquale.
Secondo la datazione tramandata resterebbero quindi due giorni su cui non viene riferito nulla.
Infine Jaubert ricorda che in questo modo il progetto delle autorità giudaiche, di uccidere Gesù puntualmente ancora prima della festa, avrebbe potuto funzionare.
Pilato, tuttavia, con la sua titubanza avrebbe poi rimandato la crocifissione fino al venerdì.
Contro il cambio della data dell’ultima cena dal giovedì al martedì parla, però, l’antica tradizione del giovedì, che comunque incontriamo chiaramente già nel II secolo.

Ma a ciò la signora Jaubert obietta citando il secondo testo su cui si basa la sua tesi: si tratta della cosiddetta Didascalia degli Apostoli, uno scritto dell’inizio del III secolo, che fissa la data della cena di Gesù al martedì.
La studiosa cerca di dimostrare che quel libro avrebbe accolto una vecchia tradizione, le cui tracce sarebbero ritrovabili anche in altri testi.
A questo bisogna, però, rispondere che le tracce della tradizione, manifestate in questo modo, sono troppo deboli per poter convincere.
L’altra difficoltà consiste nel fatto che l’uso da parte di Gesù di un calendario diffuso principalmente in Qumran è poco verosimile.
Per le grandi feste, Gesù si recava al tempio.

Anche se ne ha predetto la fine e l’ha confermata con un drammatico atto simbolico, Egli ha seguito il calendario giudaico delle festività, come dimostra soprattutto il Vangelo di Giovanni.
Certo, si potrà consentire con la studiosa francese sul fatto che il Calendario dei Giubilei non era strettamente limitato a Qumran ed agli Esseni.
Ma ciò non basta per poterlo far valere per la Pasqua di Gesù.
Così si spiega perché la tesi di Annie Jaubert, a prima vista affascinante, dalla maggioranza degli esegeti venga rifiutata.
Io l’ho illustrata in modo così particolareggiato ,perché essa lascia immaginare qualcosa della molteplicità e complessità del mondo giudaico al tempo di Gesù – un mondo che noi, nonostante tutto l’ampliamento delle nostre conoscenze delle fonti, possiamo ricostruire solo in modo insufficiente.
Non disconoscerei, quindi, a questa tesi ogni probabilità, benché in considerazione dei suoi problemi non sia possibile semplicemente accoglierla.

Che cosa dobbiamo dunque dire? La valutazione più accurata di tutte le soluzioni finora escogitate l’ho trovata nel libro su Gesù di John P. Meier, che alla fine del suo primo volume ha esposto un ampio studio sulla cronologia della vita di Gesù.
Egli giunge al risultato che bisogna scegliere tra la cronologia sinottica e quella giovannea e dimostra, in base all’insieme delle fonti, che la decisione deve essere in favore di Giovanni.

Giovanni ha ragione: al momento del processo di Gesù davanti a Pilato, le autorità giudaiche non avevano ancora mangiato la Pasqua e per questo dovevano mantenersi ancora cultualmente pure.
Egli ha ragione: la crocifissione non è avvenuta nel giorno della festa, ma nella sua vigilia. Ciò significa che Gesù è morto nell’ora in cui nel tempio venivano immolati gli agnelli pasquali.

Che i cristiani in ciò vedessero in seguito più di un puro caso, che riconoscessero Gesù come il vero Agnello, che proprio così trovassero il rito degli agnelli portato al suo vero significato – tutto ciò è poi solo normale.
Rimane la domanda: Ma perché allora i sinottici hanno parlato di una cena pasquale?
Su che cosa si basa questa linea della tradizione?
Una risposta veramente convincente a questa domanda non la può dare neppure Meier. Ne fa tuttavia il tentativo – come molti altri esegeti – per mezzo della critica redazionale e letteraria.
Cerca di dimostrare che i brani di Mc 14,1a e 14,12-16 – gli unici passi in cui presso Marco si parla della Pasqua – sarebbero stati inseriti successivamente.
Nel racconto vero e proprio dell’ultima cena non si menzionerebbe la Pasqua.
Questa operazione – per quanto molti nomi importanti la sostengano – è artificiale.
Rimane però giusta l’indicazione di Meier che cioè, nella narrazione della cena stessa presso i sinottici, il rituale pasquale appare tanto poco quanto presso Giovanni.

Così, pur con qualche riserva, si potrà aderire all’affermazione: «L’intera tradizione giovannea … concorda pienamente con quella originaria dei sinottici per quanto riguarda il carattere della cena come non appartenente alla Pasqua» (A Mar-ginal Jew I, p. 398).

Ma allora, che cosa è stata veramente l’ultima cena di Gesù?
E come si è giunti alla concezione sicuramente molto antica del suo carattere pasquale?

La risposta di Meier è sorprendentemente semplice e sotto molti aspetti convincente. Gesù era consapevole della sua morte imminente.
Egli sapeva che non avrebbe più potuto mangiare la Pasqua.

In questa chiara consapevolezza invitò i suoi ad un’ultima cena di carattere molto particolare, una cena che non apparteneva a nessun determinato rito giudaico, ma era il suo congedo,in cui Egli dava qualcosa di nuovo, donava se stesso come il vero Agnello, istituendo così la sua Pasqua.
In tutti i Vangeli sinottici fanno parte di questa cena la profezia di Gesù sulla sua morte e quella sulla sua risurrezione.


In Luca essa ha una forma particolarmente solenne e misteriosa: «Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, poiché io vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel regnodi Dio» (22,15s).

La parola rimane equivoca: può significare che Gesù, per un’ultima volta, mangia l’abituale Pasqua con i suoi. Ma può anche significare che non la mangia più, ma s’incammina verso la Pasqua nuova.
Una cosa è evidente nell’intera tradizione: l’essenziale di questa cena di congedo non è stata l’antica Pasqua, ma la novità che Gesù ha realizzato in questo contesto.
Anche se questo convivio di Gesù con i Dodici non è stata una cena pasquale secondo le prescrizioni rituali del giudaismo, in retrospettiva si è resa evidente la connessione interiore dell’insieme con la morte e risurrezione di Gesù: era la Pasqua di Gesù.

E in questo senso Egli ha celebrato la Pasqua e non l’ha celebrata: i riti antichi non potevano essere praticati; quando venne il loro momento, Gesù era già morto.
Ma Egli aveva donato se stesso e così aveva celebrato con essi veramente la Pasqua.
In questo modo l’antico non era stato negato, ma solo così portato al suo senso pieno.
La prima testimonianza di questa visione unificante del nuovo e dell’antico, che realizza la nuova interpretazione della cena di Gesù in rapporto alla Pasqua nel contesto della sua morte e risurrezione, si trova in Paolo in 1 Corinzi 5,7: «Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete azzimi.
E infatti Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato!» (cfr Meier, A Marginal Jew I, p.429s). Come in Marco 14,1 si susseguono qui il pri-mo giorno degli Azzimi e la Pasqua, ma il sensorituale di allora è trasformato in un significato cri-stologico ed esistenziale. Gli «azzimi» devono oraessere costituiti dai cristiani stessi, liberati dal lie-vito del peccato. L’Agnello immolato, però, è Cristo.
In ciò Paolo concorda perfettamente con la de-scrizione giovannea degli avvenimenti. Per lui,morte e risurrezione di Cristo sono diventate così la Pasqua che perdura.
In base a ciò si può capire come l’ultima cena di Gesù, che non era solo un preannuncio, ma nei Doni eucaristici comprendeva anche un’anticipazione di croce e risurrezione, ben presto venisse considerata come Pasqua – come la sua Pasqua. E lo era veramente.

 2011 - Libreria Editrice Vaticana

(Pag. 122-132)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.987
Sesso: Femminile
03/03/2011 19:21
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

"Il mistero del traditore" (Da "Gesù di Nazaret" di J. Ratzinger-Benedetto XVI, secondo volume)

Caravaggio, "Il bacio di Giuda"
"GESU' DI NAZARET" DI JOSEPH RATZINGER-BENEDETTO XVI (SECONDO VOLUME): LO SPECIALE DEL BLOG

Riceviamo e con grande piacere e gratitudine pubblichiamo:

Il mistero del traditore

La pericope della lavanda dei piedi ci mette difronte a due differenti forme di reazione dell’uomo a questo dono: Giuda e Pietro.
Subito dopo aver accennato all’esempio, Gesù comincia a parlare del caso di Giuda.
Giovanni ci riferisce, al riguardo, che Gesù fu profondamente turbato e dichiarò: «In verità, in verità io vi dico: uno di voi mi tradirà» (13, 21).

Tre volte Giovanni parla del «turbamento» ovvero della «commozione» di Gesù: presso il sepolcro di Lazzaro (cfr 11,33.38); la «Domenica delle Palme» dopo la parola sul chicco di grano morto, in una scena che richiama da vicino l’ora del Monte degli ulivi (cfr 12,24-27); e infine qui. Sono momenti in cui Gesù incontra la maestà della morte ed è toccato dal potere delle tenebre – un potere che è suo compito combattere e vincere.

Ritorneremo a questa «commozione» dell’anima di Gesù, quando rifletteremo sulla notte del Monte degli ulivi.
Torniamo al nostro testo.
L’annuncio del tradimento suscita comprensibilmente agitazione e, al contempo, curiosità tra i discepoli.
«Uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù.
Simon Pietro gli fece cenno di informarsi chi fosse quello di cui parlava.
Ed egli, chinandosi sul petto di Gesù, gli disse: “Signore,chi è?”
Rispose Gesù: “È colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò”» (13,23ss).
Per la comprensione di questo testo bisogna anzitutto tener conto del fatto che per la cena pasquale era prescritto lo stare adagiati a tavola.

Charles K. Barrett spiega il versetto appena citato così: «I partecipanti ad una cena stavano sdraiati sulla loro sinistra; il braccio sinistro serviva a sostenere il corpo; quello destro era libero per essere usato.
Il discepolo alla destra di Gesù aveva quindi il suo capo immediatamente davanti a Gesù, e si poteva conseguentemente dire che era adagiatopresso il suo petto. Ovviamente era in grado di parlare in confidenza con Gesù, ma il suo non era il posto d’onore più alto; questo era situato a sinistra dell’ospitante.
Il posto occupato dal discepolo amato era nondimeno il posto di un intimo amico»; Barrett fa notare in questo contesto che esiste una descrizione parallela in Plinio (p. 437).

Così come è qui riportata, la risposta di Gesù è totalmente chiara.
Ma l’evangelista ci fa sapere che, tuttavia, i discepoli non capirono a chi si riferiva.
Possiamo quindi supporre che Giovanni, ripensando all’evento, abbia dato alla risposta una evidenza che essa per i presenti, sul momento, non aveva.
Il versetto 18 ci mette sulla giusta traccia.
Qui Gesù dice: «Deve compiersi la Scrittura: Colui che mangia il mio pane, ha alzato contro di meil suo calcagno» (cfr Sal 41,10; Sal 55,14).
È questo lo stile caratteristico del parlare di Gesù: con parole della Scrittura Egli allude al suo destino, inserendolo allo stesso tempo nella logica di Dio, nella logica della storia della salvezza.
Successivamente tali parole diventano totalmente trasparenti; si rende chiaro che la Scrittura descrive veramente il suo cammino – ma sul momento rimane l’enigma.
Inizialmente se ne arguisce soltanto che colui che tradirà Gesù è uno deicommensali; diventa evidente che il Signore deve subire sino alla fine e fin nei particolari il destino di sofferenza del giusto, un destino che appare in molteplici modi soprattutto nei Salmi.

Gesù deve sperimentare l’incomprensione, l’infedeltà fino all’interno del cerchio più intimo degli amici e così«compiere la Scrittura».
Egli si rivela come il vero soggetto dei Salmi, come il «Davide», dal quale essi provengono e mediante il quale acquistano senso.
Giovanni, scegliendo al posto dell’espressione usata nella Bibbia greca per «mangiare» la parola trogein con cui Gesù nel suo grande discorso sul pane indica il «mangiare» il suo corpo e sangue, cioè il ricevere il Sacramento eucaristico (cfr Gv 6,54-58), ha aggiunto una nuova dimensione alla parola del Salmo ripresa da Gesù come profezia sul proprio cammino.
Così la parola del Salmo getta anticipatamente la sua ombra sulla Chiesa che celebra l’Eucaristia, nel tempo dell’evangelista come in tutti i tempi: con il tradimento di Giuda la sofferenza per la slealtà non è finita.
«Anche l’amico in cui confidavo, che con me divideva il pane, contro di me alza il suo piede» (Sal 41,10).
La rottura dell’amicizia giunge fin nella comunità sacramentale della Chiesa, dove sempre di nuovo ci sono persone che prendono «il suo pane» e lo tradiscono.

La sofferenza di Gesù, la sua agonia, perdura sino alla fine del mondo, ha scritto Pascal in base a tali considerazioni (cfr Pensées, VII 553).
Possiamo esprimerlo anche dal punto di vista opposto: Gesù in quell’ora si è caricato del tradimento ditutti i tempi, della sofferenza che viene in ognitempo dall’essere traditi, sopportando così fino infondo le miserie della storia.
Giovanni non ci dà alcuna interpretazione psico-logica dell’agire di Giuda; l’unico punto di riferimento che ci offre è l’accenno al fatto che Giuda, come tesoriere del gruppo dei discepoli, avrebbe sottratto il loro denaro (cfr 12,6).
Quanto al contesto che ci interessa, l’evangelista dice soltanto laconicamente: «Allora, dopo quel boccone, satanaentrò in lui» (13,27).

Ciò che a Giuda è accaduto per Giovanni non è più psicologicamente spiegabile. È finito sotto il dominio di qualcun altro: chi rompe l’amicizia con Gesù, chi si scrolla di dosso il suo «dolce giogo», non giunge alla libertà, non diventa libero, ma diventa invece schiavo di altre potenze – o piuttosto: il fatto che egli tradisce questa amicizia deriva ormai dall’intervento di un altro potere, alquale si è aperto.
Tuttavia, la luce che, provenendo da Gesù, eracaduta nell’anima di Giuda, non si era spenta deltutto.
C’è un primo passo verso la conversione:«Ho peccato», dice ai suoi committenti. Cerca disalvare Gesù e ridà il denaro (cfr Mt 27, 3ss).
Tutto ciò che di puro e di grande aveva ricevuto da Ge-sù, rimaneva iscritto nella sua anima – non poteva dimenticarlo.

La seconda sua tragedia – dopo il tradimento – è che non riesce più a credere ad un perdono. Il suo pentimento diventa disperazione. Egli vede ormai solo se stesso e le sue tenebre, non vede più la luce di Gesù – quella luce che può illuminare esuperare anche le tenebre. Ci fa così vedere il modo errato del pentimento: un pentimento che nonriesce più a sperare, ma vede ormai solo il proprio buio, è distruttivo e non è un vero pentimento.
Fa parte del giusto pentimento la certezza della speranza – una certezza che nasce dalla fede nella potenza maggiore della Luce fattasi carne in Gesù.
Giovanni conclude il brano su Giuda in mododrammatico con le parole: «Egli, preso il boccone, subito uscì.
Ed era notte» (13,30).
Giuda esce fuori– in un senso più profondo. Entra nella notte, vavia dalla luce verso il buio; il «potere delle tenebre» lo ha afferrato (cfr Gv 3,19; Lc 22, 53).

 - Libreria Editrice Vaticana

(Pag. 78-82)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.987
Sesso: Femminile
04/03/2011 09:46
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

[SM=g1740722]

Benedetto XVI e i responsabili della morte di Gesù.


di don Alfredo Morselli

L’anticipazione di alcuni stralci del nuovo libro di Benedetto XVI su Gesù non mancherà di suscitare polemiche e sciorinamenti di pareri di Perpetua – a cui siamo tristemente abituati. Ed è verosimile che ciò accada soprattutto a motivo delle pagine in cui il Pontefice esprime il suo pensiero circa le responsabilità nella condanna a morte di Nostro Signore Gesù Cristo, e circa le parole della folla, che invoca: “Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli” (Mt 27,25).

Fin troppo facilmente profeta di queste reazioni allergiche (o entusiasmi da parte di progressisti, che esultanti proclameranno cambiamenti e/o rovesciamenti), vorrei qui semplicemente mostrare come Benedetto XVI riprende – né più né meno – la dottrina tradizionale.

Quali sono le tesi del Papa? Sono sostanzialmente due:

1) La responsabilità morale della morte di Gesù è principalmente dei capi e non del popolo ebraico o di tutti gli Ebrei, e l’espressione “i giudei” non deve farci pensare “al popolo d’Israele come tale”.

2) L’invocazione della folla “il suo sangue ricada su di noi” si muta in benedizione.

Per quanto riguarda la I tesi, mi basta riportare alcune parole di San Tommaso:

“Parlando dei giudei bisogna distinguere tra maggiorenti e la gente del popolo. I maggiorenti, che erano detti loro principi, certo lo conobbero, secondo l'autore delle Quaestiones Novi et Veteris Testamenti, come del resto gli stessi demoni riconobbero che egli era il Cristo promesso: "infatti essi vedevano avverarsi in lui tutti i segni predetti dai profeti". Essi però non conobbero la sua divinità: ecco perché l'Apostolo afferma, che "se l'avessero conosciuto, mai avrebbero crocifisso il Signore della gloria".


Si noti però che tale ignoranza non li scusava dal delitto: perché si trattava di un'ignoranza affettata. Essi infatti vedevano i segni evidenti della sua divinità: ma per odio ed invidia verso Cristo li travisavano, e così non vollero credere alle sue affermazioni di essere il Figlio di Dio. Di qui le parole del Signore: "Se io non fossi venuto e non avessi parlato loro, non avrebbero peccato: ma ora non hanno nessuna scusa del loro peccato". E ancora: "Se non avessi compiuto tra loro le opere che nessun altro ha compiuto, non avrebbero peccato". Perciò si possono applicare ad essi le parole di Giobbe: "Essi dissero a Dio: Allontanati da noi, noi non vogliamo conoscere le tue vie".

Il popolo invece, che non conosceva i misteri della Scrittura, non conobbe pienamente né che egli era il Cristo, né che era Figlio di Dio: sebbene alcuni del popolo abbiano creduto in lui. E anche se talora essi sospettarono che fosse il Cristo, per la molteplicità dei segni e per l'efficacia del suo insegnamento, come nota l'evangelista Giovanni, tuttavia poi furono ingannati dai loro capi, al punto di non credere né che era il Figlio di Dio, né che era il Cristo. Di qui le parole di S. Pietro: "So che avete agito per ignoranza, al pari dei vostri capi"; cioè perché sedotti da essi” (S. Th. IIIª q. 47 a. 5 co).

Per quanto riguarda la seconda affermazione, basta citare S. Agostino:

“Risorto che fu il Signore, molti credettero. Non capivano allorché lo crocifiggevano, ma più tardi hanno creduto in lui, ed è stato loro perdonato un così grande delitto. Il sangue del Signore, che essi avevano versato, venne dato in dono agli stessi omicidi, non propriamente deicidi (ut non dicam deicidis); perché, se avessero conosciuto il Signore della gloria, mai lo avrebbero crocifisso. Agli omicidi è stato ora dato in dono il sangue dell'innocente che essi avevano versato: e così lo stesso sangue che essi avevano versato nella loro follia, hanno ora bevuto come grazia. Dite dunque a Dio: quanto sono terribili le tue opere! Perché terribili?Perché si è compiuta la cecità di una parte di Israele affinché entrasse la totalità delle genti. O totalità delle genti, di' a Dio: Quanto sono terribili le tue opere! Erallègrati, ma insieme trema; e non ti gloriare nei confronti dei rami tagliati. Dite a Dio: quanto sono da temere le tue opere!” (Enarr. in Ps. LXV, 5).
.

Conclusione

Oggi il modernismo propina la teoria della duplice via parallela di salvezza per Ebrei e cristiani (secondo la quale gli Ebrei non avrebbero bisogno di Gesù Cristo) e va a braccetto con le assurde pretese di certi esponenti ebrei, ad es. Renzo Gattegna, Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, che si esprimeva in questi termini:

«Al fine di proseguire con le iniziative dedicate alla reciproca comprensione e all’amicizia, un gesto utile, necessario e certamente apprezzato sarebbe una aperta dichiarazione di rinuncia da parte della Chiesa a qualsiasi manifestazione di intento rivolto alla conversione degli ebrei, accompagnata dall’eliminazione di questo auspicio dalla liturgia del Venerdì che precede la Pasqua. Sarebbe un segnale forte e significativo di accettazione di un rapporto impostato sulla pari dignità». («Un futuro di amicizia», Osservatore Romano, 10 novembre 2010, p. 5; articolo pubblicato senza alcun commento di disapprovazione).
La risposta al neo-modernismo non è un antigiudaismo da strapazzo; che fare allora? Non ho ricette, ma sempre Sant’Agostino mi va benissimo:
“Or dunque, voi genti che siete state chiamate, notate bene come nella sua severità Dio abbia reciso certi rami e come voi, per la sua bontà, vi siate state innestate. Voi siete divenute partecipi dell'abbondanza dell'olivo; ma non nutrite pensieri di alterigia, cioè, non vi insuperbite. Perché - dice - non sei tu che porti la radice, ma la radice porta te.
Ancora di più dovete, anzi, spaventarvi, se vedete recisi i rami naturali. I giudei infatti discendono dai patriarchi; sono nati dalla stirpe di Abramo. Che cosa afferma l'Apostolo? Tu forse dici: i rami sono stati spezzati perché io sia innestato. Bene! Per l'incredulità sono stati spezzati. Ma tu, se stai saldo, è per la fede. Non insuperbirti dunque, ma temi! Se infatti Dio non ha risparmiato i rami naturali, neppure te risparmierà. Guarda quindi come certi rami sono stati spezzati e come tu stesso ci sei stato innestato.

"Non insuperbirti contro i rami spezzati, ma piuttosto di' a Dio: Quanto sono da temere le tue opere! Fratelli, se non dobbiamo inorgoglirci guardando i giudei, recisi tanto tempo addietro dalla radice dei patriarchi, ma dobbiamo piuttosto temere e dire a Dio: Quanto sono tremende le tue opere!, quanto meno dobbiamo rallegrarci per le ferite delle recenti scissioni! Un tempo sono stati recisi i giudei, e vi sono state innestate le genti. Dalla pianta così innestata sono stati tagliati via gli eretici; ma neppure contro costoro dobbiamo insuperbire, se non vogliamo meritarci di essere a nostra volta recisi, come gente che prova gusto nell'insultare i recisi. Fratelli miei, comunque sia il vescovo di cui voi udite la voce, noi vi scongiuriamo di stare in guardia! Tutti voi, che siete nella Chiesa, non insultate coloro che ne sono estranei, ma piuttosto pregate affinché anch'essi entrino nella Chiesa. Dio onnipotente può innestarli di nuovo”. (Enarr. in Ps. LXV, 5).

********************************************

ringraziando Don Alfredo per questo arricchimento, aggiungiamo questa riflessione:

del resto furono assai chiare le parole dell'Apostolo Pietro quando parlò a Pentecoste, intriso di Spirito Santo...  
 
La morte di Gesù è un atto di obbedienza al Padre. Giuda, i capi della Sinagoga, Pilato e i carnefici non hanno su Cristo alcun potere tranne quello che Lui stesso vuole concedere e solo quando è venuta l'ora decisa dal Padre.  
Ciò che il Papa fa emergere che compito nostro non è quello di predicare il "carnefice storico" è ovvio che in quanto fu un evento storico c'è anche chi MATERIALMENTE SI PRESTO' ALL'ATTO,  ma a Gesù questo NON INTERESSA.... Smile    
dice santa Caterina da Siena: Nostro Signore non ci diede la santissima la Chiesa per stabilire chi furono gli esecutori MATERIALI della Sua Crocifissione, quanto piuttosto per DIVULGARE IL PERCHE' EGLI SI LASCIO' CROCIFIGGERE, LA POTENZA DI QUEL SANGUE VERSATO...  
 
La Chiesa  annuncia, ed è tenuta ad annunciare, il Cristo che è « via, verità e vita » (Gv 14,6), in cui gli uomini devono trovare la pienezza della vita religiosa e in cui Dio ha riconciliato con se stesso tutte le cose. QUELLA CROCIFISSIONE FU ED E' RICONCILIAZIONE CON OGNI UOMO....iL PAPA LO SPIEGA BENE IN DUE RIGHE NEL MEDESIMO LIBRO NEL CAPITOLO "ECCE HOMO" quando dice:  
 
Ma parla anche di una «nuova alleanza»: il castigo non è l’ultima parola; esso serve alla guarigione.  
Analogamente Gesù annuncia la «casa deserta» e dona già fin d’ora la nuova alleanza « nel suo sangue»: in ultima analisi si tratta di guarigione, non di distruzione e ripudio
.
 

***
 
e lo stesso san Paolo nella Lettera ai Romani cap. 11 lo spiega bene quando dice che le promesse di Dio sono irrevocabili a riguardo anche del Popolo Ebraico il quale NON sarà eternamente condannato, al contrario, anch'Esso RICONOSCERA' IL MESSIA GESU' SIGNORE...e spiega l'apostolo che fino a quel momento essi, la parte di quell'Israele che rifiuta ancora il Messia, ovviamente SONO NOSTRI NEMICI A CAUSA DEL VANGELO.... ma che questo non deve diventare  per noi motivo di CONDANNA...  
 
25 Non voglio infatti che ignoriate, fratelli, questo mistero, perché non siate presuntuosi: l'indurimento di una parte di Israele è in atto fino a che saranno entrate tutte le genti. 26 Allora tutto Israele sarà salvato come sta scritto:  
Da Sion uscirà il liberatore,  
egli toglierà le empietà da Giacobbe.  
27 Sarà questa la mia alleanza con loro  
quando distruggerò i loro peccati.  (Paolo dice che Egli distruggerà i LORO PECCATI, NON IL POPOLO Wink )  
28 Quanto al vangelo, essi sono nemici, per vostro vantaggio; ma quanto alla elezione, sono amati, a causa dei padri, 29 perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili! 30 Come voi un tempo siete stati disobbedienti a Dio e ora avete ottenuto misericordia per la loro disobbedienza, 31 così anch'essi ora sono diventati disobbedienti in vista della misericordia usata verso di voi, perché anch'essi ottengano misericordia. 32 Dio infatti ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per usare a tutti misericordia!




[Modificato da Caterina63 04/03/2011 10:15]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.987
Sesso: Femminile
10/03/2011 00:05
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

A colloquio con l'editore di Benedetto XVI

Dalla matita all'e-book



di GIULIA GALEOTTI

Sette edizioni iniziali per un totale di un milione e duecentomila copie e contratti firmati con ventidue case editrici di tutto il mondo. Sono questi i primi numeri del libro di Benedetto XVI Gesù di Nazaret. Dall'ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione. Il volume viene presentato nel pomeriggio del 10 marzo nella Sala Stampa della Santa Sede. Della sua genesi, dei retroscena che hanno accompagnato la realizzazione e soprattutto della complessa operazione editoriale che sta alla sua base, parliamo con don Giuseppe Costa, direttore della Libreria Editrice Vaticana (Lev).

Nel colloquio dello scorso 20 gennaio con il nostro giornale, lei prevedeva l'uscita del volume per marzo: perfettamente nei tempi per merito di chi?

Il merito è un po' di tutti, ma innanzitutto dell'autore, che lo ha consegnato molto per tempo. Poi c'è stato il lungo lavoro di traduzione nelle diverse lingue, e da febbraio la stampa e un'organizzazione che ha richiesto davvero molto impegno

. Qual è stata la storia editoriale del libro?

Quasi un anno e mezzo fa, monsignor Georg Gänswein mi ha consegnato la pennetta e il cartaceo: il Papa aveva concluso il testo a matita, con la sua inconfondibile grafia minuta, che poi, come sempre, Birgit Wansing ha trascritto al computer.

In Italia, il primo volume fu pubblicato dalla Rizzoli, mentre l'attuale esce con la Lev: un cambiamento non da poco.

Direi proprio di sì. Il libro, stampato dalla Tipografia vaticana, è distribuito dalla Rcs, che con la sua eccellente organizzazione ci ha garantito la distribuzione di trecentomila copie in tre giorni.

Un aspetto non facile deve essere quello delle traduzioni.

In italiano soprattutto non è stato semplice, perché in questi decenni i libri di Joseph Ratzinger sono stati tradotti da diverse mani: la sfida è stata quella di trovare una certa omogeneità di linguaggio. Occorre anche evitare il rischio che la traduzione nelle varie lingue possa non conservare o addirittura tradire il pensiero dell'autore. La fedeltà all'originale è stata assicurata con attenzione e impegno dai traduttori della Segreteria di Stato.

Per il primo volume, vi erano stati problemi di traduzione?

Sì: ad esempio, quella cinese non era impeccabile, e altre non rispondevano al linguaggio teologico.

Vi sono giunte più richieste di traduzioni rispetto al primo volume?


Sì, l'interesse è superiore, e di conseguenza il numero di editori è cresciuto. E siamo solo agli inizi: abbiamo firmato contratti con ventidue editrici in tutto il mondo, ma siamo in trattative con altre.

Come avviene la scelta degli editori?


Quando si sa che il Papa sta lavorando a un libro, da più Paesi arrivano svariate richieste, cosicché gli editori alla fine sono soltanto una parte di quanti si erano fatti avanti. Negli Stati Uniti, a esempio, Ignatius Press ci è sembrato il più adeguato, anche se avevano fatto richiesta editori importanti come Doubleday e Our Sunday Visitor. Per l'edizione in francese, abbiamo scelto Parole et Silence, una casa editrice in crescita, molto impegnata nella diffusione del magistero papale, e in Spagna Encuentro.

Il cambiamento è stato completo...

Quasi completo: non tutti gli editori del primo volume hanno stampato anche il secondo. La scelta è stata dettata da più criteri. Di serietà editoriale e organizzativa, certo, ma anche di affidabilità: abbiamo deciso per editori capaci di promuovere non semplicemente il libro, ma anche il suo contenuto.

Quali sono i numeri previsti?

Il 10 marzo escono sette edizioni - in tedesco, italiano, inglese, francese, spagnolo, portoghese e polacco - per un totale di un milione e duecentomila copie. L'edizione tedesca è partita con centocinquantamila copie, ma Herder ne ha già aggiunte cinquantamila ed è pronta ad altre tirature. L'edizione italiana è già distribuita in trecentomila copie, e ne stiamo ristampando altre centomila. E mentre in Francia sono pronte centomila copie, il Portogallo ha iniziato con ventimila. A fine marzo, poi, arriva l'edizione croata.

È previsto anche l'e-book?

Sì, certo, e in alcune lingue è disponibile anche per il primo volume.

E per il futuro?

Nella prefazione a questo libro il Papa stesso annuncia una terza parte dedicata ai Vangeli dell'infanzia. E vi è l'idea di realizzare per la Lev un'edizione unica dei tre volumi. Siamo convinti che questo nuovo libro di Benedetto XVI sarà un long seller. Come tale andrà adeguatamente promosso attraverso presentazioni, incontri e altre iniziative.

Il volume è dedicato agli ultimi giorni della vita di Gesù. L'uscita in prossimità della Pasqua è un caso?

No, questo è senz'altro il periodo migliore. Lo si poteva anche pubblicare prima, ma vi è stata in novembre l'uscita del libro intervista.

Benedetto XVI è sicuramente una firma che fa risparmiare in pubblicità...

Non solo, ma da editore debbo dire che il Papa ha fatto crescere la Lev perché abbiamo dovuto adeguare strutture e organizzazione, dimostrando capacità che prima non avevamo. Ovviamente il Papa ci sollecita anche sul versante culturale, perché proponiamo saggi a commento delle sue opere e libri che divulgano per il grande pubblico il suo magistero.

Non esiste autore, se non vi è lettore: anche nel caso di Benedetto XVI?

Il Papa si fa leggere sempre, anche nei punti più complessi. Benedetto XVI è un raffinato teologo, e talvolta si addentra anche in aspetti che riguardano il metodo di ricerca, ma chi ha interesse per il racconto della fede, la dimensione spirituale o anche solo la comunicazione umana, trova sempre le sue pagine molto comprensibili. E coinvolgenti.



(©L'Osservatore Romano 10 marzo 2011)
[Modificato da Caterina63 10/03/2011 00:07]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.987
Sesso: Femminile
10/03/2011 16:57
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

"GESU' DI NAZARET" DI JOSEPH RATZINGER-BENEDETTO XVI (SECONDO VOLUME): LO SPECIALE DEL BLOG

Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, "Gesù di Nazareth vol. 2 - Dall'ingresso a Gerusalemme alla Risurrezione", Libreria Editrice Vaticana 2011

PREMESSA

Finalmente posso presentare al pubblico la Seconda Parte del mio libro su Gesù di Nazaret.
Considerata la molteplicità delle reazioni alla
Prima Parte – cosa certamente non sorprendente – costituiva per me un prezioso incoraggiamento il fatto che grandi maestri dell’esegesi come Martin Hengel, nel frattempo purtroppo deceduto, come Peter Stuhlmacher e Franz Mußner mi abbiano esplicitamente confermato nel progetto di procedere nel mio lavoro e di portare a termine l’opera incominciata.
Senza identificarsi con tutti i dettagli del mio libro, essi lo ritenevano dal punto di vista sia contenutistico che metodologico un contributo importante che doveva raggiungere la sua forma completa.

È stato pure motivo di gioia per me il fatto che, nel frattempo, il libro abbia acquistato nella
voluminosa opera Jesus (2008) del teologo protestante Joachim Ringleben, per così dire, un fratello ecumenico. Chi legge i due libri noterà, da una parte, la grande differenza nel modo di
pensare e nelle impostazioni teologiche determinanti, in cui si esprime concretamente la diversa
provenienza confessionale dei due autori
.
Dall’altra, però, si manifesta al tempo stesso la profonda unità nell’essenziale comprensione della persona di Gesù e del suo messaggio.
Pur con approcci teologici differenti, è la stessa fede che agisce, avviene un incontro con lo stesso Signore Gesù.
Spero che ambedue i libri, nella loro diversità e nella loro essenziale sintonia, possano costituire una testimonianza ecumenica che in questa ora, a modo suo, può servire alla comune missione fondamentale dei cristiani.

Con gratitudine prendo anche atto del fatto che la discussione sul metodo e sull’ermeneutica dell’esegesi come pure sull’esegesi quale disciplina storica e al contempo teologica sta diventando più vivace, nonostante non poche resistenze nei confronti di nuovi passi. Di particolare interesse mi pare il libro di Marius Reiser, Bibelkritik und Auslegung der Heiligen Schrift (Critica biblica ed interpretazione della Sacra Scrittura), uscito nel 2007, che raccoglie una serie di saggi pubblicati precedentemente, ne crea un’unità omogenea e offre indicazioni rilevanti per nuove vie dell’esegesi, senza abbandonare ciò che del metodo storico-critico è di importanza permanente.

Una cosa mi sembra ovvia: in 200 anni di lavoro esegetico, l’interpretazione storico-critica ha ormai dato ciò che di essenziale aveva da dare.
Se la esegesi biblica scientifica non vuole esaurirsi in sempre nuove ipotesi diventando teologicamente insignificante, deve fare un passo metodologicamente nuovo e riconoscersi nuovamente come disciplina teologica, senza rinunciare al suo carattere storico.

Deve imparare che l’ermeneutica positivistica da cui essa prende le mosse non è espressione della ragione esclusivamente valida che ha definitivamente trovato se stessa, ma costituisce una determinata specie di ragionevolezza storicamente condizionata, capace di correzione e di integrazioni e bisognosa di esse. Tale esegesi deve riconoscere che un’ermeneutica della fede, sviluppata in modo giusto, è conforme al testo e può congiungersi con un’ermeneutica storica consapevole dei propri limiti per formare un’interezza metodologica.

Naturalmente, questa congiunzione di due generi di ermeneutica molto differenti tra loro è un
compito da realizzare sempre di nuovo. Ma tale congiunzione è possibile, e attraverso di essa le
grandi intuizioni dell’esegesi patristica potranno in un contesto nuovo tornare a portar frutto, come dimostra proprio il libro di Reiser. Non pretendo di asserire che nel mio libro questa congiunzione delle due ermeneutiche sia ormai cosa compiuta fino in fondo. Spero però di aver già fatto un buon passo in tale direzione.

In ultima analisi si tratta di riprendere finalmente i principi metodologici per l’esegesi formulati dal Concilio Vaticano II (in Dei Verbum 12) – un compito finora purtroppo quasi per nulla affrontato.

Forse è utile a questo punto mettere ancora una volta in evidenza l’intenzione orientatrice del mio libro.
Non è necessario, credo, dire espressamente che non ho voluto scrivere una «Vita di Gesù ».

Per quanto riguarda le questioni cronologiche e topografiche della vita di Gesù, esistono opere eccellenti; rimando in particolare a Joachim Gnilka, Jesus von Nazareth. Botschaft und Geschichte e all’opera approfondita di John P. Meier, AMarginal Jew (tre volumi, New York 1991, 1994, 2001).
Un teologo cattolico ha qualificato il mio libro, insieme con il capolavoro di Romano Guardini
Der Herr, come « cristologia dall’alto », non senza mettere in guardia nei confronti dei pericoli ad essa legati. In realtà, non ho tentato di scrivere una cristologia.
Nell’ambito di lingua tedesca abbiamo una serie di importanti cristologie, come quelle di Wolfhart Pannenberg, di Walter Kasper e di Christoph Schönborn, alle quali si deve ora affiancare il grande opus di Karl-Heinz Menke, Jesus ist Gott der Sohn (2008).

Più vicino alla mia intenzione è il raffronto con il trattato teologico sui misteri della vita di Gesù, al quale Tommaso d’Aquino ha dato una forma classica nella sua Somma di teologia (S. Theol. III, qq. 27-59).

Anche se il mio libro ha molti punti di contatto con tale genere di trattazione, è tuttavia collocato in un contesto storico-spirituale diverso, e in base a ciò ha anche un diverso orientamento intrinseco, che condiziona in modo essenziale la struttura del testo.
Nella
premessa alla Prima Parte avevo detto che il mio desiderio era di illustrare « figura e messaggio di Gesù». Forse sarebbe stata cosa buona porre queste due parole – figura e messaggio – come sottotitolo al libro, per chiarirne l’intenzione di fondo. Esagerando un po’, si potrebbe dire che io volevo trovare il Gesù reale, a partire dal quale, soltanto, diventa possibile qualcosa come una « cristologia dal basso ».

Il «Gesù storico », come appare nella corrente principale dell’esegesi critica sulla base dei suoi presupposti ermeneutici, è troppo insignificante nel suo contenuto per aver potuto esercitare una grande efficacia storica; è troppo ambientato nel passato per rendere possibile
un rapporto personale con Lui. Coniugando tra loro le due ermeneutiche di cui ho parlato sopra,
ho cercato di sviluppare uno sguardo sul Gesù dei Vangeli e un ascolto di Lui che potesse diventare un incontro e tuttavia, nell’ascolto in comunione con i discepoli di Gesù di tutti i tempi, giungere anche alla certezza della figura veramente storica di Gesù.

Questo compito era nella Seconda Parte ancora più difficile che non nella Prima, perché solo nella Seconda s’incontrano le parole e gli avvenimenti decisivi della vita di Gesù. Ho cercato di tenermi fuori dalle controversie su molti possibili elementi particolari e di riflettere solo sulle parole e sulle azioni essenziali di Gesù – guidato dall’ermeneutica della fede, ma al contempo tenendo conto responsabilmente della ragione storica, necessariamente contenuta in questa stessa fede.
Anche se naturalmente resteranno sempre dettagli da discutere, spero tuttavia che mi sia stato
dato di avvicinarmi alla figura del nostro Signore in un modo che possa essere utile a tutti i lettori che vogliono incontrare Gesù e credergli
.

In base all’obiettivo di fondo del libro così illustrato, l’obiettivo cioè di comprendere la figura di Gesù, la sua parola e il suo agire, è ovvio che i racconti dell’infanzia non potevano rientrare direttamente nell’intenzione essenziale di quest’opera.
Voglio però tentare di rimanere fedele alla mia promessa (cfr Parte I, p. 20) e presentare su tale argomento ancora un piccolo fascicolo, se per questo mi sarà ancora data la forza.

Roma, nella festa di san Marco, 25 aprile 2010

Joseph Ratzinger

 2010-2011 - Libreria Editrice Vaticana

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.987
Sesso: Femminile
10/03/2011 19:19
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

[SM=g1740722] LA PIU' BELLA E COMPLETA RECENSIONE CHE HO LETTO FINO AD OGGI.....ED E' QUESTA DEL CARDINALE PREFETTO DELLA CONG. DEI VESCOVI!

Nel nuovo volume del Papa presentato nella Sala Stampa della Santa Sede

La ragione permanente
della gioia cristiana



 

Ritorniamo ancora una volta alla conclusione del Vangelo di Luca. Gesù condusse i suoi vicino a Betània, ci viene detto. "Alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo" (24, 50s). Gesù parte benedicendo. Benedicendo se ne va e nella benedizione Egli rimane. Le sue mani restano stese su questo mondo. Le mani benedicenti di Cristo sono come un tetto che ci protegge. Ma sono al contempo un gesto di apertura che squarcia il mondo affinché il cielo penetri in esso e possa diventarvi una presenza. Nel gesto delle mani benedicenti si esprime il rapporto duraturo di Gesù con i suoi discepoli, con il mondo. Nell'andarsene Egli viene per sollevarci al di sopra di noi stessi ed aprire il mondo a Dio. Per questo i discepoli poterono gioire, quando da Betània tornarono a casa. Nella fede sappiamo che Gesù, benedicendo, tiene le sue mani stese su di noi. È questa la ragione permanente della gioia cristiana.
*  *  *

Più di un libro: è una testimonianza commovente, affascinante e liberatrice


di MARC, cardinale, OUELLET

Nonostante sia assai denso, questo libro si legge per intero senza interruzioni. Percorrendone i nove capitoli e le prospettive finali, il lettore è trasportato per sentieri scoscesi verso l'avvincente incontro con Gesù, una figura familiare che si rivela ancor più vicina nella sua umanità come nella sua divinità. Completata la lettura, si vorrebbe proseguire il dialogo, non soltanto con l'autore ma con Colui del quale egli parla. Gesù di Nazaret è più di un libro, è una testimonianza commovente, affascinante, liberatrice. Quanto interesse susciterà tra gli esperti e tra i fedeli!

Oltre l'interesse d'un libro su Gesù, è il libro del Papa che si presenta in umiltà al foro degli esegeti, per confrontarsi con loro sui metodi e sui risultati delle loro ricerche. Lo scopo del Santo Padre è quello di andare con loro più lontano, in stretto rigore scientifico, certo, ma anche nella fede nello Spirito Santo che scandaglia le profondità di Dio nella Sacra Scrittura. In questo foro, gli scambi fecondi predominano di molto sugli accenti critici, e ciò contribuisce a far meglio conoscere e riconoscere l'essenziale contributo degli esegeti.

Non c'è forse da trarre grande speranza da questo riavvicinamento tra l'esegesi rigorosa dei testi biblici e l'interpretazione teologica della Sacra Scrittura? Io non posso fare a meno di scorgere in questo libro l'aurora d'una nuova era dell'esegesi, una promettente era di esegesi teologica.

Il Papa dialoga in primo luogo con l'esegesi tedesca ma non ignora importanti autori che appartengono alle aree linguistiche francofona, anglofona e latina. Eccelle nell'individuare le questioni essenziali e i nodi decisivi, costringendosi a evitare le discussioni sui dettagli e le dispute di scuola che pregiudicherebbero il suo proposito, che è quello di "trovare il Gesù reale", non il "Gesù storico" proprio del filone dominante dell'esegesi critica, ma il "Gesù dei Vangeli" ascoltato in comunione con i discepoli di Gesù d'ogni tempo, e così "giungere anche alla certezza della figura veramente storica di Gesù".

Questa formulazione del suo obiettivo manifesta l'interesse metodologico del libro. Il Papa affronta in modo pratico ed esemplare il complemento teologico auspicato dall'Esortazione Apostolica Verbum Domini per lo sviluppo dell'esegesi. Nulla stimola di più dell'esempio dato e dei risultati ottenuti. Gesù di Nazaret offre una magnifica base per un fruttuoso dialogo non solo tra esegeti, ma anche tra pastori, teologi ed esegeti! Prima di illustrare con alcuni esempi i risultati di questa esegesi di Joseph Ratzinger - Benedetto XVI, aggiungo ancora un'osservazione sul metodo. L'autore si sforza di applicare in maggior profondità i tre criteri d'interpretazione formulati al concilio Vaticano II dalla Costituzione sulla Divina Rivelazione Dei Verbum: tener conto dell'unità della Sacra Scrittura, del complesso della Tradizione della Chiesa e rispettare l'analogia della fede. Come buon pedagogo che ci ha abituati alle sue omelie mistagogiche, degne di san Leone Magno, Benedetto XVI, a partire dalla figura - quanto centrale ed unica - di Gesù, mostra la pienezza di senso che promana dalla Sacra Scrittura "interpretata alla luce dello stesso Spirito mediante il quale è stata scritta" (Dei Verbum, 12).

Anche se l'autore si preclude d'offrire un insegnamento ufficiale della Chiesa, è facile immaginare che la sua autorità scientifica e la ripresa in profondità di certe questioni disputate saranno di grande aiuto per confermare la fede di molti. Serviranno inoltre a far progredire dei dibattiti rimasti insabbiati a motivo dei pregiudizi razionalisti e positivisti che hanno intaccato il prestigio dell'esegesi moderna e contemporanea. Tra la comparsa del primo volume nell'aprile 2007 e quella del secondo in questa Quaresima 2011, un gran numero di eventi felici ma anche di penose esperienze ha segnato la vita della Chiesa e del mondo.

Ci si chiede come il Papa sia riuscito a scrivere quest'opera molto personale e molto impegnativa, di cui l'attualità del tema e l'audacia del progetto balzano agli occhi di chiunque s'interessi al cristianesimo. Come teologo e come pastore, ho la sensazione di vivere un momento storico di grande portata teologica e pastorale. È come se in mezzo alle onde che agitano la barca della Chiesa, Pietro avesse ancora una volta afferrato la mano del Signore che ci viene incontro sulle acque, per salvarci (cfr. Matteo, 14, 22-33).

Detto ciò che riguarda il carattere storico, teologico e pastorale dell'evento, veniamo al contenuto del libro che vorrei riassumere assai a grandi linee attorno ad alcune questioni cruciali. Innanzitutto la questione del fondamento storico del cristianesimo che attraversa i due volumi dell'opera; poi la questione del messianismo di Gesù, seguita da quella dell'espiazione dei peccati da parte del Redentore, che costituisce un problema per molti teologi; allo stesso modo la questione del sacerdozio di Cristo in rapporto alla sua Regalità e al suo Sacrificio che tanta importanza rivestono per la concezione cattolica del sacerdozio e della Santa Eucaristia; da ultimo la questione della risurrezione di Gesù, il suo rapporto alla corporeità ed il suo legame con la fondazione della Chiesa.
Non occorre dire che l'elenco non è esaustivo e molti troveranno altre questioni più interessanti, a esempio il suo commento del discorso escatologico di Gesù o ancora della preghiera sacerdotale in Giovanni, 17. Io identifico le questioni qui esposte come nodi da sciogliere in esegesi come in teologia, allo scopo di ricondurre la fede dei fedeli alla Parola stessa di Dio, compresa in tutta la sua forza e la sua coerenza, nonostante i condizionamenti teologici e culturali che a volte impediscono l'accesso al senso profondo della Scrittura.

La questione del fondamento storico del cristianesimo impegna Joseph Ratzinger fin dagli anni della sua formazione e del suo primo insegnamento, come appare dal suo volume Introduzione al cristianesimo (Einführung in das Christentum), pubblicato oltre quarant'anni or sono, e che ebbe all'epoca un notevole impatto sugli uditori e i lettori. Dal momento che il cristianesimo è la religione del Verbo incarnato nella storia, per la Chiesa è indispensabile stare ai fatti e agli avvenimenti reali, proprio in quanto essi contengono dei "misteri" che la teologia deve approfondire utilizzando chiavi d'interpretazione che appartengono al dominio della fede.

In questo secondo volume che tratta degli avvenimenti centrali della passione, della morte e della risurrezione di Cristo, l'autore confessa che il compito è particolarmente delicato. La sua esegesi interpreta i fatti reali in maniera analoga al trattato su "i misteri della vita di Gesù" di san Tommaso d'Aquino, "guidato dall'ermeneutica della fede, ma tenendo conto nello stesso tempo e responsabilmente della ragione storica, necessariamente contenuta in questa stessa fede" (9).
Sotto questa luce, si comprende l'interesse del Papa per l'esegesi storico-critica ch'egli ben conosce e da cui trae il meglio per approfondire gli avvenimenti dell'Ultima Cena, il significato della preghiera del Getsemani, la cronologia della passione e in particolare le tracce storiche della risurrezione.

Non manca di porre in evidenza di passaggio il difetto d'apertura di un'esegesi esercitata in modo troppo esclusivo secondo la "ragione", ma il suo principale intendimento rimane quello di far luce teologicamente sui fatti del Nuovo Testamento con l'aiuto dell'Antico Testamento e viceversa, in modo analogo ma più rigoroso rispetto all'interpretazione tipologica dei Padri della Chiesa. Il legame del cristianesimo con l'ebraismo appare rafforzato da questa esegesi che si radica nella storia di Israele ripresa nel suo orientamento verso il Cristo. Ecco allora, per esempio, che la preghiera sacerdotale di Gesù, che sembra per eccellenza una meditazione teologica, acquisisce in lui una dimensione del tutto nuova grazie alla sua interpretazione illuminata dalla tradizione ebraica dello Yom Kippur.

Un secondo nodo riguarda il messianismo di Gesù. Certi esegeti moderni hanno fatto di Gesù un rivoluzionario, un maestro di morale, un profeta escatologico, un rabbi idealista, un folle di Dio, un messia in qualche modo a immagine del suo interprete influenzato dalle ideologie dominanti.
L'esposizione di Benedetto XVI su questo punto è diffusa e ben radicata nella tradizione ebraica. Egli s'inserisce nella continuità di questa tradizione che unisce il religioso e il politico, ma sottolineando a qual punto Gesù operi la rottura tra i due domini. Gesù dichiara davanti al Sinedrio d'essere il Messia, ma non senza chiarire la natura esclusivamente religiosa del proprio messianismo. È d'altra parte per questo motivo che è condannato come blasfemo, poiché si è identificato con "il Figlio dell'uomo che viene sulle nubi del cielo".

Il Papa espone con forza e chiarezza le dimensioni regale e sacerdotale di questo messianismo, il cui senso è quello d'instaurare il culto nuovo, l'adorazione in Spirito e in Verità, che coinvolge l'intera esistenza, personale e comunitaria, come un'offerta d'amore per la glorificazione di Dio nella carne. Un terzo nodo da sciogliere riguarda il senso della redenzione e il posto che vi deve o meno occupare l'espiazione dei peccati. Il Papa affronta le obiezioni moderne a questa dottrina tradizionale. Un Dio che esige una espiazione infinita non è forse un Dio crudele la cui immagine è incompatibile con la nostra concezione d'un Dio misericordioso? Come conciliare le nostre moderne mentalità sensibili all'autonomia delle persone con l'idea di un'espiazione vicaria da parte di Cristo? Questi nodi sono particolarmente difficili da sciogliere.

L'autore riprende queste domande più volte, a diversi livelli, e mostra come la misericordia e la giustizia vadano di pari passo nel quadro dell'Alleanza voluta da Dio. Un Dio che perdonasse tutto senza preoccuparsi della risposta che deve dare la sua creatura avrebbe preso sul serio l'Alleanza e soprattutto l'orribile male che avvelena la storia del mondo? Quando si guardano da vicino i testi del Nuovo Testamento, domanda l'autore, non è Dio a prendere su se stesso, nel suo Figlio crocifisso, l'esigenza d'una riparazione e d'una risposta d'amore autentico? "Dio stesso "beve il calice" di tutto ciò che è terribile e ristabilisce così il diritto mediante la grandezza del suo amore che, attraverso la sofferenza, trasforma il buio" (258-259).

Tali questioni sono poste e risolte in un senso che invita alla riflessione e in primo luogo alla conversione. Non si può infatti veder chiaro in tali questioni ultime rimanendo neutrali o a distanza. Occorre investirvi la propria libertà per scoprire il senso profondo dell'Alleanza che giustamente impegna la libertà d'ogni persona. La conclusione del Santo Padre è perentoria: "Il mistero dell'espiazione non dev'essere sacrificato a nessun razionalismo saccente" (267).

Un quarto nodo concerne il Sacerdozio di Cristo. Secondo le categorie ecclesiali del giorno d'oggi, Gesù era un laico investito d'una vocazione profetica. Non apparteneva all'aristocrazia sacerdotale del Tempio e viveva al margine di questa fondamentale istituzione del popolo d'Israele. Questo fatto ha indotto molti interpreti a considerare la figura di Gesù come del tutto estranea e senza alcun rapporto con il sacerdozio. Benedetto XVI corregge quest'interpretazione appoggiandosi saldamente sull'Epistola agli Ebrei che parla diffusamente del Sacerdozio di Cristo, e la cui dottrina ben si armonizza con la teologia di san Giovanni e di san Paolo.

Il Papa risponde ampiamente alle obiezioni storiche e critiche mostrando la coerenza del sacerdozio nuovo di Gesù con il culto nuovo ch'egli è venuto a stabilire sulla terra in obbedienza alla volontà del Padre. Il commento della preghiera sacerdotale di Gesù è d'una grande profondità e conduce il lettore a pascoli che non aveva immaginato.

L'istituzione dell'Eucaristia appare in questo contesto d'una bellezza luminosa che si ripercuote sulla vita della Chiesa come suo fondamento e sua sorgente perenne di pace e di gioia. L'autore si attiene strettamente alle più approfondite analisi storiche ma dipana egli stesso delle aporie come solo un'esegesi teologica può farlo. Si giunge al termine del capitolo sull'Ultima Cena non senza emozione e restandone ammirati. Un ultimo nodo da me considerato riguarda infine la risurrezione, la sua dimensione storica ed escatologica, il suo rapporto alla corporeità e alla Chiesa. Il Santo Padre comincia senza giri di parole: "La fede cristiana sta o cade con la verità della testimonianza secondo cui Cristo è risorto dai morti" (269).

Il Papa insorge contro le elucubrazioni esegetiche che dichiarano compatibili l'annuncio della risurrezione di Cristo e la permanenza del suo cadavere nel sepolcro.
Egli esclude queste assurde teorie osservando che il sepolcro vuoto, anche se non è una prova della risurrezione, di cui nessuno è stato diretto testimone, resta un segno, un presupposto, una traccia lasciata nella storia da un evento trascendente. "Solo un avvenimento reale d'una qualità radicalmente nuova era in grado di rendere possibile l'annuncio apostolico, che non è spiegabile con speculazioni o esperienze interiori, mistiche" (305).

Secondo lui, la risurrezione di Gesù introduce una sorta di "mutazione decisiva", un "salto di qualità" che inaugura "una nuova possibilità d'essere uomo". La paradossale esperienza delle apparizioni rivela che in questa nuova dimensione dell'essere "egli non è legato alle leggi della corporeità, alle leggi dello spazio e del tempo". Gesù vive in pienezza, in un nuovo rapporto con la corporeità reale, ma è libero nei confronti dei vincoli corporei quali noi li conosciamo.

L'importanza storica della risurrezione si manifesta nella testimonianza delle prime comunità che hanno dato vita alla tradizione della domenica come segno identificativo d'appartenenza al Signore. "Per me - dice il Santo Padre - la celebrazione del Giorno del Signore, che fin dall'inizio distingue la comunità cristiana, è una delle prove più forti del fatto che in quel giorno è successa una cosa straordinaria, la scoperta del sepolcro vuoto e l'incontro con il Signore risorto" (288).

Nel capitolo sull'Ultima Cena, il Papa affermava: "Con l'Eucaristia, la Chiesa stessa è stata istituita". Qui aggiunge un'osservazione di grande portata teologica e pastorale: "Il racconto della risurrezione diviene per se stesso ecclesiologia: l'incontro con il Signore risorto è missione e dà alla Chiesa nascente la sua forma" (289). Ogni volta che noi partecipiamo all'Eucaristia domenicale andiamo all'incontro con il Risorto che torna verso di noi, nella speranza che noi rendiamo così testimonianza ch'Egli è vivente e ch'Egli ci fa vivere. Non c'è in tutto questo di che rifondare il senso della messa domenicale e della missione? Dopo aver citato questi nodi senza che mi sia possibile estendermi in modo adeguato sulla loro soluzione, mi preme concludere questa sommaria presentazione facendo un poco più spazio al significato di questa grande opera su Gesù di Nazaret.

È evidente come mediante quest'opera il successore di Pietro si dedichi al suo ministero specifico che è di confermare i suoi fratelli nella fede. Ciò che qui colpisce in sommo grado, è il modo con cui lo fa, in dialogo con gli esperti in campo esegetico, e in vista di alimentare e fortificare la relazione personale dei discepoli con il loro Maestro e Amico, oggi.

Una tal esegesi, teologica quanto al metodo, ma che include la dimensione storica, si riallaccia effettivamente al modo di interpretare dei Padri della Chiesa, senza tuttavia che l'interpretazione s'allontani dal senso letterale e dalla storia concreta per evadere in artificiose allegorie.
Grazie all'esempio che dà e ai risultati che ottiene, questo libro eserciterà una mediazione tra l'esegesi contemporanea e l'esegesi patristica, da un lato, come anche nel necessario dialogo tra esegeti, teologi e pastori, da un altro. In quest'opera vedo un grande invito al dialogo su ciò che è essenziale del cristianesimo, in un mondo in cerca di punti di riferimento, in cui le differenti tradizioni religiose faticano a trasmettere alle nuove generazioni l'eredità della saggezza religiosa dell'umanità.

Dialogo dunque all'interno della Chiesa, dialogo con le altre confessioni cristiane, dialogo con gli Ebrei il cui coinvolgimento storico in quanto popolo nella condanna a morte di Gesù viene una volta di più escluso. Dialogo infine con altre tradizioni religiose sul senso di Dio e dell'uomo che emana dalla figura di Gesù, così propizia alla pace e all'unità del genere umano.

Al termine d'una prima lettura, avendo maggiormente gustato la Verità di cui con umiltà e passione è testimone l'autore, sento il bisogno di dar seguito a questo incontro di Gesù di Nazaret sia con l'invitare altri a leggerlo che riprendendone la lettura una seconda volta come meditazione del tempo liturgico di Quaresima e di Pasqua. Credo che la Chiesa debba rendere grazie a Dio per questo libro storico, per quest'opera cerniera tra due epoche, che inaugura una nuova era dell'esegesi teologica. Questo libro avrà un effetto liberatorio per stimolare l'amore della Sacra Scrittura, per incoraggiare la lectio divina e per aiutare i preti a predicare la Parola di Dio.

Alla fine di questo rapido volo su un'opera che avvicina il lettore al vero volto di Dio in Gesù Cristo, non mi rimane che dire: Grazie, Santo Padre! Consentitemi tuttavia di aggiungere ancora un'ultima parola, una domanda, poiché un simile servizio reso alla Chiesa e al mondo nelle circostanze che si conoscono e con i condizionamenti che si possono intuire, merita più d'una parola o d'un gesto di gratitudine. Il Santo Padre tiene la mano di Gesù sulle onde burrascose e ci tende l'altra mano perché insieme noi non facciano che uno con Lui. Chi afferrerà questa mano tesa che ci trasmette le parole della Vita eterna?



(©L'Osservatore Romano 11 marzo 2011)





                           

Che copertina, ragazze!


[Modificato da Caterina63 11/03/2011 14:35]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.987
Sesso: Femminile
11/03/2011 17:17
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

Breve sintesi del “Gesù di Nazaret” di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI

E' nelle librerie la seconda parte del “
Gesù di Nazaret” di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI. L’opera, che illustra figura e messaggio di Gesù dall’ingresso in Gerusalemme fino alla Risurrezione, è pubblicata dalla Libreria Editrice Vaticana. Il servizio di Sergio Centofanti:

Il Papa ha voluto scrivere quest’opera “in un modo che possa essere utile a tutti i lettori che vogliono incontrare Gesù e credergli”. Il libro inizia dall’ingresso di Gesù in Gerusalemme, come “un re della pace”. Non è un rivoluzionario politico, “non si fonda sulla violenza”. La violenza è “uno strumento preferito dall’anticristo”.

Nel discorso escatologico, Gesù parla della distruzione del tempio e di Gerusalemme, del Giudizio finale e della fine del mondo. “Dio – afferma il Papa - lascia una misura grande – stragrande secondo la nostra impressione – di libertà al male e ai cattivi; ciononostante la storia non gli sfugge dalle mani”. Con Gesù “è superata l’epoca del tempio di pietra”. “E’ iniziato qualcosa di nuovo”. “Gesù stesso ha preso il posto del tempio, è Lui il nuovo tempio”, in Lui “Dio e il mondo sono in contatto”.

Con la lavanda dei piedi Gesù si spoglia del suo splendore divino per purificarci dalla nostra sporcizia. Attua “una svolta radicale” nella storia della religione: davanti a Dio “non sono azioni rituali che purificano”, ma è “la fede che purifica il cuore”. Secondo l’esegesi liberale “Gesù avrebbe sostituito la concezione rituale della purità con quella morale”, ma “allora - nota il Papa - il cristianesimo sarebbe essenzialmente una morale”. “La nuova Legge – invece - è la grazia dello Spirito Santo, non una nuova norma, ma l’interiorità nuova donata dallo stesso Spirito di Dio”. L’essere cristiani è un dono che “si sviluppa nella dinamica del vivere ed agire insieme con questo dono”.

Pietro e Giuda sono due modi diversi di reagire a questo dono. Entrambi lo accolgono, ma poi uno rinnega, l’altro tradisce. Pietro, pentitosi, crede nel perdono. Anche Giuda si pente, ma non “riesce più a credere ad un perdono. Il suo pentimento diventa disperazione”. “In Giuda incontriamo il pericolo che pervade tutti i tempi”, il pericolo che anche chi è stato una volta illuminato, “attraverso una serie di forme apparentemente minute di infedeltà, decada spiritualmente … e non sia più capace di conversione”. Con Giuda, la rottura dell’amicizia con Gesù “giunge fin nella comunità sacramentale della Chiesa, dove sempre di nuovo ci sono persone che prendono ‘il suo pane’ e lo tradiscono”.

Commentando la preghiera sacerdotale di Gesù, il Papa afferma che l’innalzamento del Signore sulla Croce costituisce “il giorno dell’Espiazione del mondo” in cui l’intera storia “trova il suo senso”: quello di riconciliarsi con Dio.

Il Papa affronta quindi la questione della diversa datazione dell’Ultima Cena nei Sinottici e in Giovanni, optando per la versione giovannea: l’Ultima Cena avviene nell'antivigilia della Pasqua e Gesù viene crocifisso non nel giorno della festa, ma nella sua vigilia. “Ciò significa che Gesù è morto nell’ora in cui nel tempio venivano immolati gli agnelli pasquali”: Gesù in quella cena dona se stesso “come il vero Agnello, istituendo così la sua Pasqua”.

Nel Getsèmani Gesù sperimenta “l’abisso del peccato”. Si affida alla volontà del Padre. Pietro è contrario alla croce: un atteggiamento – scrive il Papa - che rispecchia “la tentazione continua dei cristiani, anzi anche della Chiesa: senza la croce arrivare al successo”. Gesù chiede ai discepoli di vegliare, ma invano. “La sonnolenza dei discepoli rimane lungo i secoli l’occasione favorevole per il potere del male”.

Parlando del processo a Gesù, il Papa sottolinea che a volere la sua morte non è stato “il popolo” degli Ebrei come tale, anche perché Gesù e gli stessi discepoli erano ebrei. Ad accusarlo era l’aristocrazia del tempio.

Durante il processo, Pilato chiede: “Che cos’è la verità?”. E come Pilato, in molti oggi accantonano la domanda sulla verità come “irrisolvibile” o “per lo più si prova fastidio per essa. Ma senza la verità – ricorda Benedetto XVI - l’uomo non coglie il senso della vita, lascia … il campo ai più forti” come dimostra la storia di tutte le dittature. La verità “diventa riconoscibile in Gesù Cristo”.

Gesù viene crocifisso: le sue prime parole sono parole di perdono per i crocifissori, perché “non sanno quello che fanno”. Questa richiesta del Signore “rimane una consolazione per tutti i tempi e per tutti gli uomini”, anche se l’ignoranza rivela spesso un’ottusità del cuore e altre volte si mescola con erudizione e conoscenza materiale.

Il buon ladrone “proprio sulla croce ha capito che quest’uomo privo di potere è il vero re”. “Il buon ladrone è … la certezza consolante che la misericordia di Dio può raggiungerci anche nell’ultimo istante; la certezza, anzi, che dopo una vita sbagliata, la preghiera che implora la sua bontà non è vana”.

Nella passione di Gesù, tutto lo sporco del mondo viene a contatto con l’immensamente Puro …Se di solito la cosa impura mediante il contatto contagia ed inquina la cosa pura, qui abbiamo il contrario … lo sporco del mondo viene realmente assorbito, annullato, trasformato mediante il dolore dell’amore infinito”. Così il Papa può affermare che “ il bene è sempre infinitamente più grande di tutta la massa del male, per quanto essa sia terribile”.

Gesù risorge. Senza fede nella risurrezione “la fede cristiana è morta”. “Solo se Gesù è risorto è avvenuto qualcosa di veramente nuovo che cambia il mondo e la situazione dell’uomo”. Non è stato il miracolo di un cadavere rianimato. “La risurrezione di Gesù … è una sorta di ‘mutazione decisiva’ … un salto di qualità … una possibilità che interessa tutti e apre un futuro, un nuovo genere di futuro per gli uomini”. I discepoli, testimoni della risurrezione, furono sopraffatti da una realtà che fino ad allora semplicemente non contemplavano. E “con un coraggio assolutamente nuovo si presentarono davanti al mondo per annunciare: Cristo è veramente risorto”. Nella risurrezione – scrive il Papa – “non può esserci alcun contrasto con ciò che costituisce un chiaro dato scientifico”. Ci viene semplicemente detto che “esiste un’ulteriore dimensione rispetto a quelle che finora conosciamo”. E ciò non è in contrasto con la scienza.

Con Giuda Taddeo il Papa si chiede perché Gesù si sia manifestato solo a pochi e non si sia opposto con tutta la sua potenza ai nemici che lo hanno crocifisso. “E’ proprio del mistero di Dio agire in modo sommesso. Solo pian piano Egli costruisce nella grande storia dell’umanità la sua storia … Di continuo Egli bussa sommessamente alle porte dei nostri cuori e, se gli apriamo, lentamente ci rende capaci di ‘vedere’”. E’ questo lo stile divino: “non sopraffare con la potenza esteriore, ma dare libertà, donare e suscitare amore”.

Nel capitolo conclusivo il Papa descrive la gioia dei discepoli che nonostante l’ascensione di Gesù “non si sentono abbandonati … Sono sicuri che il Risorto … proprio ora è presente in mezzo a loro in una maniera nuova e potente”. Eppure, spesso, i discepoli di Gesù continuano ad aver paura, come gli apostoli sul Lago di Tiberiade durante la tempesta: “Anche oggi – afferma il Papa - la barca della Chiesa, col vento contrario della storia, naviga attraverso l’oceano agitato del tempo. Spesso si ha l’impressione che debba affondare. Ma il Signore è presente e viene nel momento opportuno … è questa – conclude Benedetto XVI - la fiducia dei cristiani, la ragione della nostra gioia”, nell’attesa che Gesù di nuovo verrà nella gloria.

Radio Vaticana


*************************************************

STRALCI DALL'ULTIMO CAPITOLO DEL LIBRO:


La ragione permanente della gioia cristiana

Chiediamoci ora ancora una volta, in modo riassuntivo, di quale genere sia stato l'incontro con il Signore risorto. Sono importanti le seguenti distinzioni: Gesù non è uno che sia ritornato nella normale vita biologica e che poi, secondo le leggi della biologia, debba un giorno nuovamente morire.

Gesù non è un fantasma (uno «spirito»). Ciò significa: non è uno che, in realtà, appartiene al mondo dei morti, anche se può in qualche modo manifestarsi nel mondo della vita.

Gli incontri con il Risorto sono, però, anche una cosa diversa da esperienze mistiche, in cui lo spirito umano viene per un momento sollevato al di sopra di se stesso e percepisce il mondo del divino e dell'eterno, per poi ritornare nell'orizzonte normale della sua esistenza. L'esperienza mistica è un momentaneo superamento dell'ambito dell'anima e delle sue facoltà percettive. Ma non è un incontro con una persona che dall'esterno si avvicina a me. Paolo ha distinto molto chiaramente le sue esperienze mistiche -- come ad esempio la sua elevazione fino al terzo cielo descritta in 2 Corinzi, 12,1-4 -- dall'incontro con il Risorto sulla via di Damasco, che era un avvenimento nella storia, un incontro con una persona vivente.

In base a tutte queste notizie bibliche, che cosa possiamo ora dire veramente sulla peculiare natura della risurrezione di Cristo?

Essa è un evento dentro la storia che, tuttavia, infrange l'ambito della storia e va al di là di essa. Forse possiamo servirci di un linguaggio analogico, che sotto molti aspetti rimane inadeguato, ma può tuttavia aprire un accesso alla comprensione. Potremmo (come abbiamo già fatto anticipatamente nella prima sezione di questo capitolo) considerare la risurrezione quasi come una specie di radicale salto di qualità in cui si dischiude una nuova dimensione della vita, dell'essere uomini.

Anzi, la stessa materia viene trasformata in un nuovo genere di realtà. L'Uomo Gesù appartiene ora proprio anche con lo stesso suo corpo totalmente alla sfera del divino e dell'eterno. D'ora in poi -- dice una volta Tertulliano -- « spirito e sangue «hanno un posto in Dio (cfr. De resurrect. mort., 51, 3: CC lat., ii, 994). Anche se l'uomo, secondo la sua natura, è creato per l'immortalità, esiste solo ora il luogo in cui la sua anima immortale trova lo «spazio», quella «corporeità» in cui l'immortalità acquisisce senso in quanto comunione con Dio e con l'intera umanità riconciliata. Le Lettere di san Paolo dalla prigionia ai Colossesi (cfr. 1, 12-23) e agli Efesini (cfr. 1, 3-23) intendono questo, quando parlano del corpo cosmico di Cristo, indicando con ciò che il corpo trasformato di Cristo è anche il luogo in cui gli uomini entrano nella comunione con Dio e tra loro e così possono vivere definitivamente nella pienezza della vita indistruttibile. Siccome noi stessi non possediamo alcuna esperienza di un tale genere rinnovato e trasformato di materialità e di vita, non dobbiamo meravigliarci che questo vada al di là di ciò che possiamo immaginare.

È essenziale il fatto che con la risurrezione di Gesù non è stato rivitalizzato un qualsiasi singolo morto in un qualche momento, ma nella risurrezione è avvenuto un salto ontologico che tocca l'essere come tale, è stata inaugurata una dimensione che ci interessa tutti e che ha creato per tutti noi un nuovo ambito della vita, dell'essere con Dio.

A partire da lì bisogna anche affrontare la questione circa la risurrezione quale avvenimento storico. Da una parte, dobbiamo dire che l'essenza della risurrezione sta proprio nel fatto che essa infrange la storia e inaugura una nuova dimensione che noi comunemente chiamiamo la dimensione escatologica. La risurrezione dischiude lo spazio nuovo che apre la storia al di là di se stessa e crea il definitivo. In questo senso è vero che la risurrezione non è un avvenimento storico dello stesso genere della nascita o della crocifissione di Gesù. Essa è qualcosa di nuovo, un genere nuovo di evento.

Bisogna, però, al tempo stesso prendere atto del fatto che essa non sta semplicemente al di fuori o al di sopra della storia. Come eruzione dalla storia che la supera, la risurrezione prende tuttavia il suo inizio nella storia stessa e fino a un certo punto le appartiene. Si potrebbe forse esprimere tutto questo così: la risurrezione di Gesù va al di là della storia, ma ha lasciato una sua impronta nella storia. Per questo può essere attestata da testimoni come un evento di una qualità tutta nuova.

Di fatto, l'annuncio apostolico col suo entusiasmo e con la sua audacia è impensabile senza un contatto reale dei testimoni con il fenomeno totalmente nuovo ed inaspettato che li toccava dall'esterno e consisteva nel manifestarsi e nel parlare del Cristo risorto. Solo un avvenimento reale di una qualità radicalmente nuova era in grado di rendere possibile l'annuncio apostolico, che non è spiegabile con speculazioni o esperienze interiori, mistiche. Nella sua audacia e novità, esso prende vita dalla forza impetuosa di un avvenimento che nessuno aveva ideato e che andava al di là di ogni immaginazione.

Alla fine, però, per tutti noi rimane sempre la domanda che Giuda Taddeo rivolse a Gesù nel cenacolo: «Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo?» (Gv, 14, 22). Sì, perché non ti sei opposto con potenza ai tuoi nemici che ti hanno portato sulla croce? -- così vorremmo domandare. Perché non hai con vigore inconfutabile dimostrato loro che tu sei il Vivente, il Signore della vita e della morte? Perché ti sei mostrato solo a un piccolo gruppo di discepoli della cui testimonianza noi dobbiamo ora fidarci?

La domanda riguarda, però, non soltanto la risurrezione, ma l'intero modo in cui Dio si rivela al mondo. Perché solo ad Abramo -- perché non ai potenti del mondo? Perché solo a Israele e non in modo indiscutibile a tutti i popoli della terra?

È proprio del mistero di Dio agire in modo sommesso. Solo pian piano Egli costruisce nella grande storia dell'umanità la sua storia. Diventa uomo ma in modo da poter essere ignorato dai contemporanei, dalle forze autorevoli della storia. Patisce e muore e, come Risorto, vuole arrivare all'umanità soltanto attraverso la fede dei suoi ai quali si manifesta. Di continuo Egli bussa sommessamente alle porte dei nostri cuori e, se gli apriamo, lentamente ci rende capaci di « vedere».

E tuttavia -- non è forse proprio questo lo stile divino? Non sopraffare con la potenza esteriore, ma dare libertà, donare e suscitare amore. E ciò che apparentemente è così piccolo non è forse -- pensandoci bene -- la cosa veramente grande? Non emana forse da Gesù un raggio di luce che cresce lungo i secoli, un raggio che non poteva provenire da nessun semplice essere umano, un raggio mediante il quale entra veramente nel mondo lo splendore della luce di Dio? Avrebbe potuto, l'annuncio degli apostoli, trovar fede ed edificare una comunità universale, se non avesse operato in esso la forza della verità?

Se ascoltiamo i testimoni col cuore attento e ci apriamo ai segni con cui il Signore accredita sempre di nuovo loro e se stesso, allora sappiamo: Egli è veramente risorto. Egli è il Vivente. A Lui ci affidiamo e sappiamo di essere sulla strada giusta. Con Tommaso mettiamo le nostre mani nel costato trafitto di Gesù e professiamo: «Mio Signore e mio Dio!» (Gv, 20, 28).

Possiamo dunque pregare per la venuta di Gesù? Possiamo dire con sincerità: «Marana tha! -- Vieni, Signore Gesù!»? Sì, lo possiamo. Non solo: lo dobbiamo! Chiediamo anticipazioni della sua presenza rinnovatrice del mondo. In momenti di tribolazione personale lo preghiamo: Vieni, Signore Gesù, e accogli la mia vita nella presenza del tuo potere benigno. Gli chiediamo di rendersi vicino a persone che amiamo o per le quali siamo preoccupati. Lo preghiamo di rendersi efficacemente presente nella sua Chiesa.

Ritorniamo ancora una volta alla conclusione del Vangelo di Luca. Gesù condusse i suoi vicino a Betània, ci viene detto. «Alzate le mani, li benedisse.

Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo» (24, 50s). Gesù parte benedicendo.

Benedicendo se ne va e nella benedizione Egli rimane. Le sue mani restano stese su questo mondo. Le mani benedicenti di Cristo sono come un tetto che ci protegge. Ma sono al contempo un gesto di apertura che squarcia il mondo affinché il cielo penetri in esso e possa diventarvi una presenza.

Nel gesto delle mani benedicenti si esprime il rapporto duraturo di Gesù con i suoi discepoli, con il mondo. Nell'andarsene Egli viene per sollevarci al di sopra di noi stessi ed aprire il mondo a Dio. Per questo i discepoli poterono gioire, quando da Betània tornarono a casa. Nella fede sappiamo che Gesù, benedicendo, tiene le sue mani stese su di noi. È questa la ragione permanente della gioia cristiana.

Joseph Ratzinger-Benedetto XVI 

Editrice Vaticana



Buona lettura a tutti!



[Modificato da Caterina63 11/03/2011 17:21]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.987
Sesso: Femminile
14/03/2011 11:59
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

[SM=g1740733] Ottime riflessioni di Massimo Introvigne


Cristo, re del mondo e re della storia. «Gesù di Nazaret. Seconda parte» di Benedetto XVI


Riportiamo di seguito un piccolo estratto (il resto lo potete trovare qui sul sito del Cesnur) – il capitolo dedicato all’Ultima Cena e conseguentemente alla liturgia – del saggio di Massimo Introvigne sull’ultimo libro di Benedetto XVI “Gesù di Nazaret. Seconda parte”.


L’Ultima Cena


Per il Papa, in questo libro, è sempre importante una rivendicazione «della reale storicità degli avvenimenti essenziali. Il messaggio neotestamentario non è soltanto un’idea; per esso è determinante proprio l’essere accaduto nella storia reale di questo mondo: la fede biblica non racconta storie come simboli di verità meta-storiche, ma si fonda sulla storia che è accaduta sulla superficie di questa terra» (p. 119). «Se Gesù non ha dato ai discepoli pane e vino come suo corpo e suo sangue, allora la Celebrazione eucaristica è vuota – una devota finzione, non una realtà che fonda la comunione con Dio e degli uomini tra loro» (pp. 119-120). Utilizzando il metodo proposto all’inizio del volume possiamo essere certi che l’Ultima Cena – cui è dedicato il quinto capitolo (pp. 119-163) – è un evento storico realmente accaduto, e «guardare tranquillamente le ipotesi esegetiche che, da parte loro, troppo spesso si presentano con un pathos di certezza che viene confutato già dal fatto che posizioni contrarie vengono proposte continuamente con lo stesso atteggiamento di certezza scientifica» (p. 121).

Questo non significa che non rimangano problemi ermeneutici aperti. Il primo e il più discusso dagli esegeti riguarda la data: fu davvero una cena pasquale o no? I tre Vangeli sinottici collocano l’Ultima Cena al giovedì, vigilia della Pasqua che quell’anno cadeva di venerdì. Per san Giovanni l’Ultima Cena accade invece prima della vigilia di Pasqua. Nel giorno della vigilia si celebra il processo, così che Gesù per san Giovanni muore nel momento in cui gli agnelli pasquali sono immolati. «Questa coincidenza teologicamente importante, che Gesù muoia contemporaneamente con l’immolazione degli agnelli pasquali, ha indotto molti studiosi a liquidare la versione giovannea come cronologia teologica. Giovanni avrebbe cambiato la cronologia per creare questa connessione teologica che, tuttavia, nel Vangelo non viene manifestata esplicitamente. Oggi, però, si vede sempre più chiaramente che la cronologia giovannea è storicamente più probabile di quella sinottica» (p. 125). In effetti, è improbabile che un processo complesso come quello di Gesù sia stato celebrato dalle autorità ebraiche e romane nel giorno di festa della Pasqua. E tuttavia l’Ultima Cena sembra proprio una cena pasquale. Come conciliare le due prospettive? Il Papa ricorda i lavori della storica francese Annie Jaubert (1912-1980), secondo cui erano qui all’opera due diversi calendari. I discepoli ne seguivano uno arcaico – adottato dagli Esseni di Qumran – per cui Pasqua cadeva al mercoledì e non al venerdì.

Dunque per loro il giorno dell’Ultima Cena era la vigilia di Pasqua – come ci dicono i sinottici – ma per le autorità, che seguivano il calendario nuovo, non lo era, come lascia intendere san Giovanni. Ma secondo il Papa le tracce, pure esistenti, secondo cui gli apostoli sarebbero stati vetero-calendaristi «sono troppo deboli per poter convincere» (p. 127) totalmente. Il Papa espone la tesi della Jaubert perché la giudica suggestiva e non impossibile. Ma ultimamente preferisce l’interpretazione dello storico statunitense don John Paul Meier, secondo il quale bisogna ultimamente scegliere fra la cronologia sinottica e quella giovannea, e la più probabile delle due è quella di Giovanni. Ma perché allora l’Ultima Cena ha un carattere pasquale? «La risposta di Meier è sorprendentemente semplice e sotto molti aspetti convincente. Gesù era consapevole della sua morte imminente. Egli sapeva che non avrebbe più potuto mangiare la Pasqua. In questa chiara consapevolezza invitò i suoi ad un’ultima cena di carattere molto particolare, una cena che non apparteneva a nessun determinato rito giudaico, ma era il suo congedo, in cui Egli dava qualcosa di nuovo, donava se stesso come il vero Agnello, istituendo così la sua Pasqua» (p. 130). L’Ultima Cena ha un’importanza decisiva nella nostra vita di cristiani perché è il momento dell’istituzione dell’Eucarestia. Di questa abbiamo vari resoconti, di cui il più antico cronologicamente è quello di san Paolo, in quanto «la Prima Lettera ai Corinzi fu scritta nell’anno 56 circa» (p. 132) ed è più antica dei Vangeli.

Le differenze testuali fra le versioni sono interessanti, ma non cruciali. La questione più grave è l’obiezione di molti teologi moderni secondo cui «ci sarebbe una contraddizione irrisolvibile tra il messaggio di Gesù circa il regno di Dio e l’idea della sua morte espiatoria in funzione vicaria» (p. 135). Per il Papa è importante rendersi conto che «la ragione di questo non sta nei dati storici: come abbiamo visto, i testi eucaristici appartengono alla tradizione più antica. In base ai dati storici niente può esservi di più originale che proprio la tradizione della cena. Ma l’idea di un’espiazione è cosa inconcepibile per la sensibilità moderna» (p. 136). In realtà dunque «la discussione è solo apparentemente un dibattito storico» (ibid.): non si crede all’Eucarestia non perché manchino i riferimenti testuali – che sono, al contrario, certissimi – ma perché urta contro il razionalismo moderno. Per capire le parole e i gesti di Gesù occorre dunque «la disponibilità di non semplicemente contrapporre al Nuovo Testamento in modo “critico-razionale” la nostra saccenteria, ma di imparare e di lasciarci guidare: la disponibilità a non travisare i testi secondo i nostri concetti, ma a lasciar purificare ed approfondire i nostri concetti dalla sua parola» (p. 137).A urtare la mentalità moderna non è solo il miracolo del pane e del vino.
 
È l’idea stessa che per salvarci il Figlio di Dio abbia dovuto morire sulla croce. Si sono dunque elaborate spiegazioni secondo cui Dio avrebbe offerto a Israele la fede nel Signore e, se questa offerta non fosse stata rifiutata, si sarebbe entrati subito nel regno messianico di Gesù Cristo senza passare per la croce. «Nel 1929, Erik Peterson [1890-1960], nel suo articolo sulla Chiesa – un articolo che ancora oggi vale assolutamente la pena di leggere – ha sostenuto la tesi che la Chiesa esiste solo sulla base del presupposto “che gli Ebrei come popolo eletto di Dio non hanno accolto la fede nel Signore”. Se avessero accettato Gesù, “il Figlio dell’uomo sarebbe ritornato e il regno messianico, in cui gli Ebrei avrebbero occupato il posto più importante, avrebbe preso inizio” (Theologische Traktate, p. 247). Romano Guardini [1885-1968] nelle sue opere su Gesù ha accolto e modificato questa tesi. Per lui il messaggio di Gesù comincia chiaramente con l’offerta del regno; il “no” di Israele avrebbe suscitato la nuova fase della storia della salvezza, di cui fanno parte morte e risurrezione del Signore e la Chiesa delle genti» (p. 139). Che cosa pensare di queste tesi? Per quanto frutto dell’ingegno di autori illustri e bene intenzionati, secondo il Papa esse non possono essere accolte. Al contrario, il già citato don John Paul Meier – la cui opinione Benedetto XVI approva e fa sua – ha mostrato che una distinzione cronologica è in questo senso impossibile e che la Croce è presente fin dall’inizio. «Non esiste una contraddizione tra il lieto messaggio di Gesù e la sua accettazione della croce quale morte per i molti, al contrario: solo nell’accettazione e trasformazione della morte, il lieto annuncio raggiunge tutta la sua profondità» (p. 142).

***

Dalle interpretazioni di Peterson e di Guardini vanno poi distinte le tesi meramente razionaliste secondo cui l’Eucarestia sarebbe un’invenzione dei primi cristiani. Queste tesi, spiega il Pontefice, sono semplicemente assurde. «L’idea del formarsi dell’Eucaristia nell’ambito della “comunità” è anche dal punto di vista storico assolutamente assurda. Chi avrebbe potuto permettersi di concepire un tale pensiero, di creare una tale realtà? Come avrebbe potuto essere che i primi cristiani – evidentemente già negli anni 30 – accettassero una simile invenzione senza fare obiezioni?» (ibid.).

Quando parlerà della morte di Gesù, il Papa noterà ancora la stessa obiezione. «Sempre di nuovo si dice: Non è forse un Dio crudele colui che richiede un’espiazione infinita? Non è questa un’idea indegna di Dio? Non dobbiamo forse, a difesa della purezza dell’immagine di Dio, rinunciare all’idea di espiazione?» (p. 258). Ma la sporcizia c’è nel mondo, e c’è per colpa nostra, per colpa del peccato degli uomini. «Non può essere semplicemente ignorata, deve essere smaltita. Ora, tuttavia, non è che da un Dio crudele venga richiesto qualcosa di infinito. È proprio il contrario: Dio stesso si pone come luogo di riconciliazione e, nel suo Figlio, prende la sofferenza su di sé. Dio stesso introduce nel mondo come dono la sua infinita purezza. Dio stesso “beve il calice” di tutto ciò che è terribile e ristabilisce così il diritto mediante la grandezza del suo amore, che attraverso la sofferenza trasforma il buio» (pp. 258-259). Ulteriormente approfondito e compreso dalla comunità cristiana attraverso la riflessione sul sacrificio dei martiri, anche oggi «il mistero dell’espiazione non deve essere sacrificato a nessun razionalismo saccente» (p. 267).


Nel capitolo quinto, il Pontefice affronta quindi la dibattuta questione del pro multis, che ha preoccupato soprattutto i liturgisti: il sangue di Gesù Cristo è stato versato «per molti» come risulta da Matteo 26,28 e da Marco 14,24, o «per tutti», come sentiamo dire in Italia nella versione in lingua italiana della formula della consacrazione nella Messa? Il Papa cita il teologo luterano tedesco Joachim Jeremias (1900-1979), il quale «ha cercato di mostrare che la parola “molti” nei racconti sull’istituzione sarebbe un semitismo e che quindi dovrebbe essere letta non a partire dal significato della parola greca, ma in base ai corrispondenti testi veterotestamentarii. Egli cerca di dimostrare che la parola “molti” nell’Antico Testamento significa “la totalità” e quindi in realtà sarebbe da tradurre con “tutti”» (p. 153), sulla base soprattutto di un parallelo con Isaia 53. La tesi di Jeremias, ricorda il Papa, «si è allora presto affermata ed è divenuta una comune convinzione teologica. In base ad essa, nelle parole della consacrazione, il “molti” è stato tradotto in diverse lingue con “tutti”. “Versato per voi e per tutti”, così in vari Paesi i fedeli durante la Celebrazione eucaristica sentono oggi le parole di Gesù» (ibid.).

Senonché, mentre i liturgisti facevano il loro lavoro, «questo consenso tra gli esegeti si è nuovamente frantumato. L’opinione prevalente tende oggi verso la spiegazione che “molti” in Isaia 53 e anche in altri punti, pur significando una totalità, non possa essere semplicemente equiparato con “tutti”» (ibid.). Più recentemente si è affermata la tesi dello storico della liturgia cattolico Joseph Paschler (1893-1979) secondo cui il «versato» si riferisce non al sangue di Gesù Cristo, in effetti versato per tutti, ma al calice, che raggiungerà i «molti» che parteciperanno all’Eucarestia ma non «tutti» gli uomini. Per quanto questa spiegazione, nota il Papa, sia più persuasiva per il Vangelo di Marco che per quello di Matteo, nel contesto generale dei Vangeli e della Chiesa primitiva «si rende sempre più evidente che Egli [Gesù] di fatto è morto per tutti» (p. 156), così com’è chiaro che non tutti accettano o accetteranno la chiamata nella Chiesa.


È certo che Gesù abbia chiesto ai suoi discepoli di ripetere il gesto dell’Ultima Cena: ma «qual è precisamente la cosa che il Signore ha ordinato di ripetere?» (p. 157). Non il banchetto o la cena in quanto tale, ma il sacrificio. A fronte di equivoci o incertezze, questo punto secondo il Papa va sistematicamente ribadito. Il Pontefice cita un’espressione di padre Josef Andreas Jungmann S.J. (1889-1975), che definisce «grande studioso della storia della Celebrazione eucaristica e uno degli architetti della riforma liturgica», secondo cui «ciò che la Chiesa celebra nella Messa non è l’ultima cena, ma ciò che il Signore, durante l’ultima cena, ha istituito ed affidato alla Chiesa: la memoria della sua morte sacrificale (Messe im Gottesvolk, p. 24)» (p. 160). Lo stesso liturgista nota, ricorda il Papa, che nella Chiesa «fino alla Riforma del secolo XVI, per la celebrazione dell’Eucaristia non viene mai usato un nome che significhi “convito” ([ibid.], p. 23, nota 73)» (p. 161). No, la Messa cattolica non è una semplice cena.


*****************************

ATTENZIONE, SEGUIRANNO ALCUNI DIBATTITI CHE RIPORTO DAL BLOG MESSAINLATINO RAGGIUNGIBILE DAL LINK NEL TITOLO DI QUESTO ARGOMENTO...




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.987
Sesso: Femminile
14/03/2011 12:23
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

...dalle ottime riflessioni di Massimo Introvigne sopra riportate dal blog Messainlatino:


Cristo, re del mondo e re della storia. «Gesù di Nazaret. Seconda parte» di Benedetto XVI


vorrei condividervi alcuni dibattiti interessanti che ne sono scaturiti....

Perdonate l'OT e manco tanto....perchè si riallaccia anche volendo al libro in questione:  
 
pare sia sfuggito a molti di APPROFONDIRE E RINGRAZIARE il Papa per la superba e magisteriale LECTIO fatta ai Parroci di Roma venerdì scorso..... io credo che quella Lectio aiuta anche molto a comprendere IL SENSO letterale di interpretazione del testo.... Wink  
vi consiglio, se volete, di approfondirne la lettura
CLICCATE QUI  
 
alcune espressioni del Papa... ma suggerisco la lettura integrale:  
 
- Cerchiamo quindi di capire un po’ quanto dice a noi, in quest’ora.  
Comincio: "Voi sapete come mi sono comportato con voi per tutto questo tempo" (v. 18) e su questo suo comportamento per tutto il tempo, san Paolo dice, alla fine, che "notte e giorno, io non ho cessato… di ammonire ciascuno di voi" (v. 31).  
 
- E servire vuol dire non fare quanto io mi propongo, quanto sarebbe per me la cosa più simpatica; servire vuol dire lasciarmi imporre il peso del Signore, il giogo del Signore; servire vuol dire non andare secondo le mie preferenze, le mie priorità, ma lasciarmi realmente "prendere in servizio" per l’altro.  
 
- E’ importante questo aspetto concreto del servizio, che non scegliamo noi cosa fare, ma siamo servitori di Cristo nella Chiesa e lavoriamo come la Chiesa ci dice, dove la Chiesa ci chiama, e cerchiamo di essere proprio così: servitori che non fanno la propria volontà, ma la volontà del Signore.  
 
- Questo è importante:  
l’Apostolo non predica un Cristianesimo "à la carte", secondo i propri gusti, non predica un Vangelo secondo le proprie idee teologiche preferite; non si sottrae all’impegno di annunciare tutta la volontà di Dio, anche la volontà scomoda, anche i temi che personalmente non piacciono tanto. E’ la nostra missione di annunciare tutta la volontà di Dio, nella sua totalità e ultima semplicità.  
 
- Dobbiamo rispondere e svegliare questa curiosità negli altri: di conoscere veramente tutta la volontà di Dio e di conoscere così come possiamo e come dobbiamo vivere, qual è la strada della nostra vita.  
Quindi dovremmo far conoscere e capire - per quanto possiamo - il contenuto del Credo della Chiesa, dalla creazione fino al ritorno del Signore, al mondo nuovo. La dottrina, la liturgia, la morale, la preghiera - le quattro parti del Catechismo della Chiesa Cattolica - indicano questa totalità della volontà di Dio.  
 
- Va a Gerusalemme per consegnare a quella comunità, alla Chiesa di Gerusalemme, la somma per i poveri raccolta nel mondo dei Gentili.  
E’ quindi un viaggio di carità, ma di più: questa è un’espressione del riconoscimento dell’unità della Chiesa tra ebrei e gentili, è un riconoscimento formale del primato di Gerusalemme in quel tempo, del primato dei primi Apostoli, un riconoscimento dell’unità e dell’universalità della Chiesa.  
 
... CILIEGINA SULLA TORTA? Wink  
 
- Egli dice: "Vedete, Pietro dorme, Giuda è sveglio".  
Questa è una cosa che ci fa pensare: la sonnolenza dei buoni. Papa Pio XI ha detto: "il problema grande del nostro tempo non sono le forze negative, è la sonnolenza dei buoni". "Vegliate": meditiamo questa cosa, e pensiamo che il Signore nell’Orto degli Ulivi per due volte ha detto ai suoi apostoli: "Vegliate!", ed essi dormono. "Vegliate", dice a noi; cerchiamo di non dormire in questo tempo, ma di essere realmente pronti per la volontà di Dio e per la presenza della sua Parola, del suo Regno.

**************************

ospite
Non è del tutto esatto che nella tradizione cattolica non si parli mai di convito;  vedi "O sacrum convivium in quo Christus sumitur, recolitur memoria passionis eius, mens impletur gratia et futurae gloriae nobis pignus datur". Inoltre, data la frequenza. sia nel Vecchio che nel Nuovo Testamento, della cena come metafora del Regno e del suo compimento, sembra difficile non vedere nel banchetto eucaristico (formulazione, questa, più che ortodossamente tridentina) una anticipazione di quello eterno. Infine, Gesù non dice solo "questo è il mio corpo", ma anche "prendete e mangiate", le due affermazioni fanno un tutt'uno: l'oblazione e la partecipazione comunitaria sono così strettamente unite: il pane e il vino diventano corpo e sangue di Cristo perché vengano distribuiti.

************

LDCaterina63
Attento ospite....un conto è parlare del "convito"  in senso Cattolico per altro reso conosciuto dal Concilio di Trento, altra cosa è dire, ereticamente, che la Messa è l'Ultima Cena...  
Il Banchetto c'è, questo è sempre stato insegnato, ma non è una CENA DA OSTERIA e senza IL CALVARIO non avremmo alcun Banchetto... 
la Chiesa parla infatti di SACRO! SACRO CONVITO, il termine  modernista di stampo Protestante "santa" Cena ha soppiantato  quello di SACRA, SACRO, comprendi l'errore? 
I Protestanti dovettero cambiare il nome ALLA SANTA MESSA chiamandola "CENA" perchè avevano lentamente rinunciato AL SACRO, AL SACRAMENTO SACERDOTALE.... ALLA TRANSUSTANZIAZIONE.... 
dal Concilio Vaticano II il termine fu usato PER FAVORIRE LA COMPRENSIONE AI PROTESTANTI IN CHIAVE ECUMENICA E TROVARE UN TERMINE COMUNE, alla Messa, CHE METTESSE D'ACCORDO TUTTI, ma fu un grave errore.... 
si passò  - e parlo per esperienza diretta - dalla Santa Messa, alla "SANTA CENA" per poi passare alla MENSA e il termine Messa, scritto minuscolo e privato del "SANTA" fece venire meno il senso DEL SACRO... 
 
Un Giovedì Santo, durante una celebrazione catechetica ai bambini, il sacerdote spiegava che la Messa ERA L'ULTIMA CENA.... al termine della lezione andai da lui a chiedere chiarimenti e per correggerlo, mi rispose: "QUESTA E' LA PASTORALE, E' ORA DI FINIRLA CON LA MESSA-SACRIFICIO, LA CENA DEL SIGNORE E' GIOIA, E' LA MENSA, SI BALLA E SI CANTA, SI FA FESTA, IL CALVARIO HA LASCIATO IL POSTO ALL'INVITO AL BANCHETTO...." 
avendo egli alzato la voce per dirmi questa lezione, in silenzio mi sono fatta davanti a lui il segno della Croce e me ne sono andata.... era la Pasqua del 1989, ero ad Ancona... 
Due anni dopo la pastorale era ricambiata.... e questa volta si poneva in modo un pò più equilibrato: la Messa era tornata ad essere IL SACRIFICIO, ma nessuno mai disse ufficialmente che quella pastorale fu un grave errore e così chi non potè ricevere la correzione ha continuato a seminare l'errore... 
Il Pane e il Vino vengono Consacrati per essere distribuiti è vero, MA ANCHE PER ESSERE ADORATO... Benedetto XVI in tre interventi ha ricordato le parole di sant'Agostino: NESSUNO PUO' RICEVERE DEGNAMENTE QUELLA EUCARSTIA SE NON VIENE PRIMA ADORATA.... 
e san Padre Pio a chi gli chiedeva cosa fosse la Messa, rispondeva: CHIUDI GLI OCCHI E CONTEMPLA IL CALVARIO, QUESTO E' LA MESSA....TU RICEVI, dicevi, IL CORPO STRAZIATO E PERCOSSO DEL DIO VIVENTE... 
e ammoniva san Tommaso, massimo CANTORE DELL'EUCARESTIA: L'EUCARESTIA NON E' SEMPLICE PANE, IL NOSTRO BANCHETTO E' SACRO, E' LA CROCE, E' IL CALVARIO, E' IL PIO PELLICANO....

**************
ospite
Per Caterina: ma San Paolo dice: "tutte le volte che mangiate di questo pane e bevete di questo calice annunciate la morte del Signore". La stessa riproposizione della oblazione passa attraverso il cibarsi del corpo di Cristo. Si può immaginare una messa in cui almeno il sacerdote non  si comunichi?

************
LDCaterina63
san Paolo dice anche che mangiare  e bere quel PANE in stato di grave peccato, si mangia e beve LA PROPRIA CONDANNA....allora cosa dovremo tradurre che l'Eucarestia si trasforma in VELENO? ovvio che no, non è quel Pane che diventa VELENO, ma il nostro peccato attraverso il quale SACRILEGA QUEL PANE...e poichè quel PANE E' PRODIGIOSAMENTE E MISTERIOSAMENTE UNA PERSONA, Egli lascia che il nostro stato giudichi noi stessi..... insomma, ci AUTO-CONDANNIAMO....  
ora, il Convito e il Sacrificio sono un solo ed unico ATTO del rito, ciò che è accaduto DOPO il Concilio Vaticano II è stato l'errore di far emergere il convito trasformato in MENSA e penalizzando il senso del CALVARIO, del Sacrificio lasciato al margine o addirittura scomparso.... 
Tutti gli estremismi conducono nell'errore, il Concilio di Trento aveva trovato il giusto equilibrio.... 
basta leggersi attentamente la Sacramentum Caritatis di Benedetto XVI  e la Ecclesia de Eucharestia di Giovanni Paolo II per comprendere dove si è sbagliato e come porre riparo...

****************
giberti
  «fino alla Riforma del secolo XVI, per la celebrazione dell’Eucaristia non viene mai usato un nome che significhi “convito” 
Ho qualche dubbio in merito, altrimenti non mi spiegherei una preghiera come "O sacrum convivium" che mi pare frutto genuino zampillato della pietà medioevale e quindi antecendente alla Riforma. La Santa Messa è sacrificio, ma è pure convito di grazia. Tanto è vero che moltissimi altari dedicati al SS Sacramento avevano per pala propro l'Ultima Cena (e non la Crocifissione). 
Naturalmente resta verissimo tutto il resto e specialmente il fatto incontrovertibile che  la Messa cattolica non è una semplice cena

********************

LDCaterina63
ma infatti il problema sta nell'aver tradotto "sacrum convivium" in MENSA....e con la mentalità di oggi.... e di averlo staccato dal Calvario... l'Altare PRIMA di trasformarsi in CONVIVIUM dove appunto il Sacerdote CONSUMA PER PRIMO IL SACRO NUTRIMENTO, E' IL CALVARIO DOVE AVVIENE IL SACRIFICIO INCRUENTO  
il sacerdote arriva e BACIA L'ALTARE, non la Mensa... solo DOPO la Consacrazione quell'altare diventa anche il convivium perchè CRISTO E' RISORTO...diversamente, senza il convivum, sarebbe un rituale per un morto.... 
il quadro dell'Ultima Cena è corretto e giusto che stia anche come Pala d'Altare, ma deve anche esserci IL CROCEFISSO e invece cosa è accaduto? 
che è stato TOLTO il Crocefisso e si è lasciata l'Ultima Cena... questo è l'errore... e Benedetto XVI lo sta correggendo, ma ancora non lo imitano...

**********

ma
MA qui non ci si vuol accorgere che è proprio il Papa che scendendo dalla cattedra e scrivendo dotti libri, in forma brillantemente dialettica su verità di Fede che dovrebbero essere già acquisite da 2000 anni -interne al Depositum inalterabile- e sottoponendo ardue questioni teologiche al dibattito pubblico, invita i fedeli al contraddittorio, cioè a mettersi al suo livello: e allora di che cosa vi scandalizzate , tutti voi che dite: "Vai a fare il Papa" ?  se è lui stesso che dice: "venite intorno a me, dialoghiamo .....non impongo le mie opinioni,  propongo questioni su cui ragionare...." ! invita i dialoganti a mettersi al livello del Papa, lo vedete o no ?   
nel momento in cui egli dice: "Criticatemi pure, discutete con me" facendo capire che questo è il suo desiderio -e il contraddittorio lo gratifica, come dice Caterina, data la sua antica passione di professore DIALOGANTE, che evidentemente è ancora viva e presente in lui- diminuisce l'importanza, il peso e il prestigio INDISCUTIBILE della propria Autorità Magisteriale di Sommo Pontefice : egli stesso depone la veste di Pietro nella funzione di Magister, per assumere quella di un DOTTO DIALOGANTE, condiscendente con le VARIE OPINIONI DEGLI INTERLOCUTORI;  DISCUTE ANZICHE' AMMAESTRARE, come Cristo ha comandato.   
Egli stesso mostra di NON volersi presentare con la veste di Papa infallibile, bensì di professore  di teologia che invita al dibattito, su che cosa ? su questioni di FEDE (e anche DI MORALE v..Luce del mondo) di gravissimo peso, nelle quali egli dovrebbe parlare solo e sempre EX-CATHEDRA.   
Egr. Caterina, lei non si accorge della terribile contraddizione che sta seguendo e propinando anche a noi su questo blog?   
 si rilegga un attimo nell'altro thread, dove ha detto due cose (tra le tante) in palese opposizione tra loro:   
"il Papa, dicendo che questi libri NON sono magistero "infallibile" sta dicendo semplicemente che NON VUOLE PRESENTARSI DA MAESTRO, MA DA INTERLOCUTORE, e lo posso comprendere, essendo egli stato sempre un Professore, forse ritiene più utile presentarsi come uno che OFFRE UNA PAROLA DA SCOPRIRE.... vuole interagire con chi NON crede e si attende ovviamente che "i suoi" lo comprendano...."   
MA che significa interagire ? ? come una sorta di Aristotele moderno che passeggia nel Peripato per discutere con gli allievi ?  e l'oggetto delle discussioni sarebbe il Vangelo -e se sia o no vero alla luce della ragione umana ? ? è giusta, è permessa questa operazione di "riscrittura razionale" del Vangelo fatta da un papa ?   
 e poi lei dice d'altronde:   
".. ...Gesù non ha detto a Pietro: FATTI CONFERMARE DALLE MEMBRA DELLA CHIESA, al contrario è LUI che deve confermare NOI...  " 
appunto! ! è questo che stiamo rilevando con grave preoccupazione: che in tutti questi libri il Papa non sta riconfermando il milardo di fedeli cattolici nelle Verità immutabili della Fede, ma le sta ponendo su un "tavolo" per sottoporle a discussione ! Se Pietro deve come suo essenziale compito -unico, direi- confermare i cattolici nella vera Fede, mi dice come  può farlo con una serie di libri, dei quali lui stesso dice:   
SIETE LIBERI DI CRITICARMI   ?   
Non vede che quell' INVITO AL DIBATTITO non è affatto Magistero, e tantomeno infallibile, proprio perchè lo premette lo stesso autore, che però si presenta col nome di "Benedetto XVI", confondendo così le idee a tutto  il pubblico dei lettori che si chiede:   
"Ma chi è che parla qui, il teologo che invita a discussione, o il Papa che insegna dalla Cattedra di Pietro per RICONFERMARE la Verità eterna?"   
Questo è il grave equivoco favorito dalla pubblicazione di tutti questi libri che non servono a riconfermare il Gregge confuso nella Fede, ma solo ad aumentare dubbi e confusione: il FATTO STESSO che ognuno potrà discutere su quelle cose scritte, (Vangelo e dogmi di Fede fondamentali) a suo piacimento  !


***********************

LDCaterina63
Gentile "ma" 
come al solito rischiamo di complicarci la vita.... ben ammonisce l'apostolo di evitare i discorsi perniciosi....mentre invita alla serena DISCUSSIONE....  
Allora provo a riepilogare ciò che a lei sembrano contraddizioni! 
Lo Spirito Santo guida la Chiesa ATTRAVERSO il Vicario di Cristo che si alterna in ogni tempo da Duemila anni ad oggi.... come ben sappiamo il Signore SI SERVE soprattutto DEL CARATTERE anche delle persone a Lui NON interessano I MODI con i quali la Chiesa porta avanti la Sua Missione, ma interessa LA FEDE E I CONTENUTI... e di questo la Chiesa è custode e non può cambiare, tutto il resto SI... 
Ora, qualcuno ragionevolmente più sopra ha scritto che dopo aver avuto un Papa "buono" un Papa "amletico", ecc... ora abbiamo un Papa PROFESSORE... e che ci sarebbe di male?  
Il Papa ci chiede di interagire e vuole interlocutori....e che cosa c'è di male? 
L'apologetica, la discussione, il DIALOGO, IL CONTRADDITTORIO.... NASCE CON LA CHIESA FIN DAL PRIMO SECOLO, fin da san Paolo nel suo "cortile dei gentili"... prosegue con i santi Padri della Chiesa, assistiamo a GRANDI CONTRADDITTORI FRA SANTI PADRI come san Girolamo e sant'Agostino quando i due ebbero delle divergenze sulla Sacra Scrittura  
così come abbiamo grandi dispute fra santi Padri SUL BATTESIMO SUI LAPSI, SULLA PASQUA.... così come abbiamo avuto discussioni fra santi Dottori quando san Tommaso d'Aquino, all'inizio, non viene subito accettato perchè portava UNA INNOVAZIONE ATTRAVERSO LA SCOLASTICA E USANDO AUTORI NON CATTOLICI...  
san Pio V , Michele Ghilsieri, discuteva e dialogava con il suo AMICO, RABBINO DI ROMA....e prima ancora che egli divenisse Papa....da umile frate domenicano si intratteneva con lui e con lui CONDIVIDEVA IL FATTO CHE GESU' ERA EBREO ed egli SOSTENEVA CON LUI QUELLA COMUNIONE CONDIVISIBILE CHE ERANO I DIECI COMANDAMENTI E LA FEDE DI ABRAMO nonchè, da buon domenicano, amava parlargli di MARIA quale FIGLIA DI SION benvoluta da quel Dio che aveva profetizzato nell'A.T. e che CON AMORE DI MADRE, ATTENDEVA ANCH'ESSA TUTTI GLI ALTRI FIGLI D'ISRAELE ANCORA DISPERSI... questo modo di rapportarsi con l'amico ebreo, senza giudicarlo nella sua fede, ha portato lentamente l'amico Rabbino a convertirsi.... 
e potrei portare ancora molte altre considerazioni, e molti altri aneddoti e storie vere.... 
Ciò che voglio sottolineare è che non è possibile ACCANIRSI continuamente contro il Sommo Pontefice, facendogli le pulci per ogni cosa che dice....  
Il Papa ha tutto il DIRITTO di avanzare con la Chiesa USANDO MODI NUOVI CHE RITIENE OPPORTUNI NEL SUO PONTIFICATO.... 
un'altro Papa farà altro, un'altro Papa farà altro ancora....è così che procede la Chiesa da sempre..... questa smania di volere un Pontefice che faccia e dica, o che avanzi, COME VOGLIAMO NOI, o con ciò che diciamo noi... è un peccato di SUPERBIA pari a quello di Lutero.... 
I due libri del Papa su Gesù di Nazareth NON CONTENGONO ERESIE nè una "nuova dottrina" MA UN MODO NUOVO (e neppure tanto nuovo giacchè sono 2000 anni che si parla di Gesù in mille modi e non vedo perchè debba essere sbagliato l'approccio usato da Benedetto XVI ) PER CONFRONTARSI CON CHI HA DI CRISTO UNA IMMAGINE DIVERSA DA QUELLA DELLA CHIESA.... 
 
Il Papa indirizza soprattutto il secondo volume A QUELLA TEOLOGIA MODERNISTA che ha tentato in questo tempo perfino di negare la Resurrezione di Cristo....Benedetto XVI dimostra, nel testo, che questa teologia è sbagliata...  
così come sottolinea che L'Ultima Cena non è il senso corretto per definire cosa è la MESSA, ma è l'ISTITUZIONE DELLA CHIESA ATTRAVERSO IL MANDATO AUTOREVOLE DEL SACERDOZIO MINISTERIALE che compirà per sempre QUELLE GESTA DI UN CALVARIO INCRUENTO MA VIVO E VERO (memoriale appunto ), accusanto per l'appunto, le tante FALSE DEFINIZIONI DELLA MESSA.... 
Cosa c'è di sbagliato in tutto ciò?

************
LDCaterina63
Ancora, gentile "ma", 
lei riprendendo, estrapolandola, una mi considerazione, mi dice: 
 
e poi lei dice d'altronde:     
".. ...Gesù non ha detto a Pietro: FATTI CONFERMARE DALLE MEMBRA DELLA CHIESA, al contrario è LUI che deve confermare NOI...  "  appunto! ! è questo che stiamo rilevando con grave preoccupazione: che in tutti questi libri il Papa non sta riconfermando il milardo di fedeli cattolici nelle Verità immutabili della Fede, ma le sta ponendo su un "tavolo" per sottoporle a discussione ! Se Pietro deve come suo essenziale compito -unico, direi- confermare i cattolici nella vera Fede, mi dice come  può farlo con una serie di libri, dei quali lui stesso dice:     
SIETE LIBERI DI CRITICARMI   ? 
 
********************************* 
 
Ho scritto quella frase proprio per quelli che come lei VORREBBERO CONTINUAMENTE CONFERMARE PIETRO IN CIO' CHE DICE E FA....   le rammento che la prima critica che dovremo fare deve essere rivolta a noi stessi, ossia AUTO-CRITICA, mentre qui assistiamo spesso a processi interminabili contro il Pontefice anzichè cercare di COMPRENDERE cosa il Papa ci sta dicendo.... 
san Giovanni della Croce dice: 
" Alla sera della vita saremmo giudicati sull'Amore di Cristo e ci sarà usato lo stesso metro di giudizio che avremmo usato per giudicare gli altri, soprattutto quel modo con cui avremo giudicato chi ci guida...." 
santa Caterina da Siena che ha avuto a che fare con Pontefici, li riprendeva e li ammoniva, ma non li ha mai giudicati nè ha mai osato dissociarsi da loro.... e a chi usava le sue parole e le sue lettere infuocate per andare contro il Papa, li riprendeva, sostenendo che solo Pietro avrebbe potuto confermarci nella fede e mai il contrario.... l'autorità del Pontefice non veniva mai messa in discussione dai Santi, semmai soffrivano e si sacrificavano per il Papa quando per loro essi sbagliavano, al contrario l'atteggiamento di oggi NON è quello usato dai Santi, ma è l'atteggiamento di Lutero.... e farsi un pò di autocritica, non guasterebbe...


***************
LDCaterina63
Mi rivolgo ancora all'intervento di "ma" 
che al termine dice: 
 
Non vede che quell' INVITO AL DIBATTITO non è affatto Magistero, e tantomeno infallibile, proprio perchè lo premette lo stesso autore, che però si presenta col nome di "Benedetto XVI", confondendo così le idee a tutto  il pubblico dei lettori che si chiede:     
"Ma chi è che parla qui, il teologo che invita a discussione, o il Papa che insegna dalla Cattedra di Pietro per RICONFERMARE la Verità eterna?"     
Questo è il grave equivoco favorito dalla pubblicazione di tutti questi libri che non servono a riconfermare il Gregge confuso nella Fede, ma solo ad aumentare dubbi e confusione: il FATTO STESSO che ognuno potrà discutere su quelle cose scritte, (Vangelo e dogmi di Fede fondamentali) a suo piacimento  ! 
 
************** 
 
Innanzitutto il Papa NON è "sceso" dalla sua Cattedra, semmai la sta usando con un metodo nuovo ma non per questo eretico....  
a prescindere dal fatto che come ho spiegato sono anch'io PERPLESSA a che l'attenzione dei Media si proietti più su di un Libro che NON rivendica alcuna infallibilità, mentre avremmo TUTTO un Magistero infallibile da PROPORRE, resta palese che un conto è restare perplessi e DISCUTERE fino a che punto esso sia opportuno o meno, altra cosa è giudicare l'autotirtà e la credibilità magisteriale del Pontefice medesimo....  
Il Libro, entrambi i libri sul Gesù di Nazareth, NON sono eretici e non contengono "nuove dottrine".... MA APRONO IL DIBATTITO soprattutto rivolgendosi ad un pubblico più vasto e spesso NON cattolico.... e a parte l'opportunità o meno che COME Cattolici possiamo discutere all'infinito, resta palese che i due testi POTREBBERO INVECE AIUTARE MOLTI NON CATTOLICI A SCOPRIRE O RISCOPRIRE L'AUTENTICA PERSONA DI CRISTO.... 
 
Io ho letto due volte il primo volume....ed ho compreso il grande supporto che il Papa ha dato  AI NON CATTOLICI, guidandoli PER MANO ad una comprensione più letterale e storica DEL CRISTO VERBO DIVINO, DIO STESSO... 
Benedetto XVI parte DALLE FONTI STORICHE per guidare il lettore alla comprensione DELLA DOTTRINA DELLA CHIESA SUL CRISTO....  
senza dubbio è UN NUOVO MODO DI APPROCCIARSI, ma non ci vedo nulla di male, al contrario, la Dottrina SUL Cristo viene così SOSTENUTA ed offerta IN TERMINI RAZIONALI dal lavoro del Papa che invita, a chi difende la RAGIONE, a capire che la Chiesa non ha inventato nulla, ma che un Dio ha deciso di RIVELARSI, INCARNANDOSI..... 
 
Io mi chiedo, quanti dei CRITICI ai libri di Ratzinger,  li hanno veramente letti con imparzialità, cercando di COMPRENDERE cosa sta dicendo e in quale modo egli stia cercando di AIUTARE chi difende la RAGIONE, a comprendere che la FEDE non le è di ostacolo e che il Cristo non è un nemico o un fantasma, ma che è PERSONA VIVA E VERA, DIVINA, E' DIO STESSO CHE VUOLE AIUTARE LA RAGIONE STESSA A SCOPRIRLO?


[Modificato da Caterina63 14/03/2011 12:25]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.987
Sesso: Femminile
05/04/2011 22:33
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

Il libro del Papa nella lettura di Mons. Mariano Crociata: Come e perché conoscere Gesù di Nazaret (O.R.)

Come e perché conoscere Gesù di Nazaret

Pubblichiamo quasi integralmente il testo dell'intervento pronunciato il 5 aprile a Milano, nell'Aula Pio XI dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, dal vescovo segretario generale della Conferenza episcopale italiana, in occasione della presentazione del volume di Benedetto XVI Gesù di Nazaret. Dall'ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione.

di mons.MARIANO CROCIATA

Senza voler essere un formale atto di magistero (cfr.
Gesù di Nazaret. Dall'ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione, I, p. 20), la seconda parte del Gesù di Nazaret di Joseph Ratzinger - Benedetto XVI si conferma come una felice e matura sintesi di una lunga e feconda riflessione teologica portata fin dentro l'esercizio del ministero petrino. I criteri che essa presuppone trovano espressione esemplare nell'Intervento del Papa nel corso della XII Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi, il 14 ottobre 2008.

In esso affermava la necessità del metodo storico-critico che riposa sul mistero stesso dell'incarnazione. "Il fatto storico - diceva - è una dimensione costitutiva della fede cristiana. La storia della salvezza non è una mitologia, ma una vera storia ed è perciò da studiare con i metodi della seria ricerca storica". Essa ha di peculiare che si tratta di una storia aperta all'azione divina, la quale
si rende operante nel processo di formazione della stessa sacra Scrittura. Nella sua qualità di parola umana e Parola divina allo stesso tempo, la Bibbia richiede di essere "letta e interpretata con lo stesso Spirito con il quale fu scritta" (Dei Verbum, n. 12), in tal modo "seguendo una regola fondamentale di ogni interpretazione di un testo letterario" (Benedetto XVI, Intervento, cit.).

I tre elementi metodologici che devono guidare l'interpretazione sono, perciò, l'unità di tutta la Scrittura, che dà origine all'esegesi canonica, la viva tradizione della Chiesa, l'analogia della fede ovvero la coerenza organica di tutti i contenuti della fede. L'assenza di qualcuno di questi elementi rende la Scrittura "un libro solo del passato" e vede affermarsi una ermeneutica secolarizzata che si basa sulla "convinzione che il Divino non appare nella storia umana", creando anche "un profondo fossato tra esegesi scientifica e lectio divina" (ib.).

L'opera che presentiamo in linea di principio afferma e realizza il superamento della separazione tra esegesi scientifica ed ermeneutica della fede o interpretazione credente della sacra Scrittura, per pervenire così ad una compiuta esegesi teologica. In questa prospettiva l'Autore si confronta con la più aggiornata ricerca esegetica e teologica contemporanea, ma attinge anche a tutta la tradizione con una particolare attenzione ai Padri della Chiesa.

La ragione di fondo della elaborazione di tale sintesi è da ricercare innanzitutto nell'esigenza di conoscere quello che Benedetto XVI chiama il "Gesù reale" (Gesù di Nazaret, II, p. 8), espressione che si intende bene se la si confronta e la si distingue dalla formula del "Gesù storico", con cui la ricerca si riferisce al Gesù conosciuto in base alle risultanze dell'applicazione ai testi scritturistici del metodo storico-critico. Conoscere il Gesù reale non può prescindere dalla dimensione costitutiva della sua identità e della sua esperienza, e cioè dal suo rapporto personale e unico con Dio, il Padre. Questo rapporto si può discernere solo nella luce della fede; all'infuori di tale prospettiva difficilmente prenderebbe senso; ma, d'altra parte, esso costituisce la dimensione originaria e generativa della persona di Gesù e di tutta la sua vicenda storica, così che il prescinderne precluderebbe irrimediabilmente la possibilità di accedere alla realtà storica dell'uomo di Nazaret. Le riserve che possono essere avanzate, a questo riguardo, si dissolvono di fronte alla considerazione che la fede non si dà senza la ragione, né tanto meno si oppone alla ragione, ma piuttosto costituisce l'orizzonte più vasto entro il quale essa può liberamente e criticamente esercitarsi nella penetrazione del mistero della realtà.

L'altra faccia di questa considerazione riguarda il nostro approccio a Gesù di Nazaret. La domanda su "come" conoscerlo si intreccia con l'altra sul "perché" conoscerlo. Se la fede è condizione imprescindibile della conoscenza della sua realtà storica e personale, allora non può esserci conoscenza di lui senza rapporto con lui, analogamente a come solo la comunione con lui ha permesso ai suoi discepoli di aprire un accesso alla sua realtà e di renderne testimonianza.

Chiunque può conoscere Gesù di Nazaret, ma lo incontra e lo conosce realmente solo chi perviene al segreto sorgivo della sua persona di Figlio eterno del Padre e come tale entra in relazione di fede e di amore con lui, sperimentando "l'intima amicizia con Gesù, da cui tutto dipende" (I, p. 8). Nell'orizzonte della fede la conoscenza storica su Gesù di Nazaret non perde in nulla di onestà intellettuale e di rigore critico, ma si consolida e si allarga all'identità e all'incontro personale che nessuna acribia storiografica da sola potrebbe assicurare.

Uno sguardo al pontificato di Benedetto XVI dall'ottica di questo suo libro, conferma un'intuizione che si è fatta strada fin dalla sua prima enciclica, Deus caritas est. Un messaggio passa attraverso la scelta e lo sviluppo dei temi adottati; messaggio che segnala l'urgenza, per la Chiesa di questo tempo, di ripartire dall'essenziale, dal centro della fede, e dall'intero, dalla salvaguardia e dalla trasmissione dell'integro patrimonio della fede ricevuta; nell'enciclica era Dio amore, qui è Gesù di Nazaret, Figlio eterno e salvatore, di cui questa seconda parte dell'opera mette in luce la centralità del mistero pasquale. A lui siamo invitati a volgere con rinnovata attenzione lo sguardo (Guardare Cristo è il titolo di un corso di esercizi spirituali tenuto da Joseph Ratzinger nel 1986 e successivamente pubblicato da Jaca Book nel 1989), noi vescovi e presbiteri, i credenti tutti, voi cultori di studi in una università cattolica dal riferimento a Cristo fin nella denominazione.
A voi torna come compito il messaggio di quest'opera del Papa: da un pensiero fecondato dalla presenza di Cristo far nascere una cultura e una competenza scientifica capaci di rinnovare l'umano nell'orizzonte del suo ritrovato rapporto con Dio.

Questa seconda parte del Gesù di Nazaret ripercorre gli eventi degli ultimi giorni dell'esistenza terrena di Gesù fino alla risurrezione e all'ascensione seguendo passo passo il filo neotestamentario nei suoi molteplici intrecci interni e con l'Antico Testamento, attraverso una lettura penetrante che dal testo scende dentro gli eventi stessi e il loro significato. Una impressione fin dall'inizio si conferma nel lettore: nei particolari e nell'insieme, il testo scritturistico si illumina di una chiarezza che rende la spiegazione convincente e perfino appagante, perfettamente rispondente alle attese di intelligibilità. È l'effetto che suscita un opus rotundum, un'opera proporzionata e compiuta nella articolazione complessiva, nei contenuti e nella cura dei particolari.
Essa ci chiede innanzitutto di entrare sempre più profondamente nella contemplazione e nella assimilazione del mistero di Cristo, in una conoscenza amorosa e in una relazione d'amore intelligente con Lui così come ci viene presentato. In questo senso le due categorie che vengono introdotte per spiegare la lavanda dei piedi, e cioè sacramentum ed exemplum, assumono un valore paradigmatico in riferimento a tutto l'agire di Gesù Cristo nel suo mistero pasquale.

Ascoltiamo cosa scrive il Papa al riguardo: "Con sacramentum [i Padri] non intendono qui un determinato singolo sacramento, ma l'intero mistero di Cristo - della sua vita e della sua morte - nel quale Egli viene incontro a noi esseri umani, mediante il suo Spirito entra in noi e ci trasforma. Ma proprio perché questo sacramentum veramente "purifica" l'uomo, lo rinnova dal di dentro, esso diventa anche la dinamica di una nuova esistenza. La richiesta di fare ciò che ha fatto Gesù non è un'appendice morale al mistero (...). Questa richiesta deriva dalla dinamica intrinseca del dono, col quale il Signore ci rende uomini nuovi e ci accoglie in ciò che è suo. Questa [è la] dinamica essenziale del dono, per la quale Egli stesso ora opera in noi e il nostro operare diventa una cosa sola con il suo (...): l'agire di Gesù diventa nostro, perché è Lui stesso che agisce in noi" (II, p. 75).

Uno dei riflessi che viene spontaneo cogliere da questo rinnovato sguardo a Cristo è senza dubbio quello che risveglia l'appello alla responsabilità cristiana nel nostro tempo e, in essa, al nostro compito pastorale. Tra altri possibili, provo a evidenziare tre spunti in tal senso.
Innanzitutto la dimensione escatologica della vita cristiana, a partire dalla risurrezione che la dischiude, a proposito della quale leggiamo che "l'essenza della risurrezione sta proprio nel fatto che essa infrange la storia e inaugura una nuova dimensione" (II, p. 304).
L'Ascensione di Gesù comporta che "mediante il battesimo, (...) nella nostra vera esistenza siamo già "lassù" (cfr. Colossesi, 3, 1 ss). Se ci inoltriamo nell'essenza della nostra esistenza cristiana, allora tocchiamo il Risorto: lì siamo pienamente noi stessi" (ibidem, p. 317). Questa condizione nuova conferisce un carattere peculiare all'attesa del ritorno del Signore in questo, che può essere qualificato come "tempo intermedio" (ibidem, p. 319).

"Nella preghiera cristiana per il ritorno di Gesù è sempre contenuta anche l'esperienza della presenza. (...) Egli è adesso presso di noi" (ibidem, p. 320). Anzi bisogna parlare, con san Bernardo, di un adventus medius, di una venuta tra la prima e l'ultima, e quindi di una "escatologia del presente, [...poiché] il tempo intermedio non è vuoto (...). Questa presenza anticipatrice fa senz'altro parte dell'escatologia cristiana, dell'esistenza cristiana" (ibidem, p. 322). Ad essa può essere utilmente collegato il tema del tempo dei pagani come tempo della Chiesa, il cui preannuncio "e il compito da ciò derivante è un punto centrale del messaggio escatologico di Gesù" (ibidem, p. 56).

In un orizzonte escatologico così inteso, che ingloba il tempo dell'esistenza cristiana, si affacciano, tra gli altri, due compiti che il sacramentum e l'exemplum posti dal Cristo rendono possibili e richiedono. Il primo rimanda alla nostra dimensione personale ed emerge nella preghiera di Gesù nel Getsemani. Qui egli fa esperienza di quell'intimo conflitto tra volontà umana e volontà divina che affligge la condizione umana dopo il peccato. Ma egli supera in se stesso tale conflitto poiché la volontà della sua persona divina accoglie in sé la volontà della natura umana. "E questo è possibile senza distruzione dell'elemento essenzialmente umano perché, a partire dalla creazione, la volontà umana è orientata verso quella divina. Nell'aderire alla volontà divina la volontà umana trova il suo compimento e non la sua distruzione" (ibidem, p. 181).
E anche se, dopo il peccato, l'orientamento alla cooperazione si è trasformato in opposizione, Gesù riporta l'uomo alla sua condizione originaria e alla sua grandezza. "L'ostinazione di tutti noi, l'intera opposizione contro Dio è presente e Gesù, lottando, trascina la natura recalcitrante in alto verso la sua vera essenza" (ibidem). La delineazione di un secondo compito scaturisce dal processo di Gesù e dalla motivazione della sua condanna a morte.

Nel processo emerge infatti una preoccupazione politica all'origine del procedimento contro Gesù da parte di un'aristocrazia sacerdotale e dei farisei, congiunti in questa circostanza. Tale preoccupazione mostra, nondimeno, un misconoscimento di ciò che in Gesù era essenziale e nuovo: "Con il suo annuncio Gesù ha realizzato un distacco della dimensione religiosa da quella politica, un distacco che ha cambiato il mondo e che veramente appartiene all'essenza della sua nuova via" (ibidem., p. 191).
Nello svolgimento dei fatti emerge un disegno divino che, oltre le motivazioni che hanno portato alla condanna a morte di Gesù, si compie servendosi di decisioni umane. In questo modo si mostra come solo attraverso la croce poteva avvenire la separazione di politica e fede.
Solo attraverso la perdita veramente assoluta di ogni potere esteriore, attraverso lo spogliamento radicale della croce, la novità diventava realtà. Solo mediante la fede nel Crocifisso, in Colui che è privato di ogni potere terreno e così innalzato, appare anche la nuova comunità, il nuovo modo in cui Dio domina nel mondo (ibidem., p. 193).

Di fronte a Pilato Gesù rivendica la sua regalità, ma secondo un concetto assolutamente nuovo, strutturalmente legato al potere della verità. Dio è misura dell'essere. In questo senso, la verità è il vero "re" che a tutte le cose dà la loro luce e la loro grandezza.

(©L'Osservatore Romano 6 aprile 2011)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.987
Sesso: Femminile
19/05/2011 18:14
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

Ricercatezze editoriali della seconda parte del "Gesù di Nazaret" di Benedetto XVI

Un libro è anche la sua copertina



di SILVANO PETROSINO

Pubblichiamo ampi stralci della relazione tenuta dal direttore dell'Archivio "Julien Ries" dell'Università Cattolica del Sacro Cuore in occasione della presentazione del libro di Joseph Ratzinger - Benedetto XVI Gesù di Nazaret. Dall'ingresso a Gerusalemme fino alla risurrezione.

"Non ho bisogno di dire espressamente che questo libro non è in alcun modo un atto magisteriale, ma è unicamente espressione della mia ricerca personale, del "volto del Signore" (cfr. Salmi, 27,8). Perciò ognuno è libero di contraddirmi". Come scriveva nel 2007, anche nella premessa del volume Gesù di Nazaret.

Dall'ingresso a Gerusalemme fino alla risurrezione Papa Benedetto XVI ha voluto ribadire, in altri termini ma con uguale chiarezza, tale concetto. Anche per questo il riferimento di copertina al nome proprio dell'Autore è da intendersi non solo in relazione al testo prodotto (in verità ogni testo è scritto da un autore, o da un insieme di autori, che ha, o che hanno, un nome proprio), ma anche e soprattutto in relazione al fatto che tale testo intende essere espressione di una "ricerca personale".

In copertina si leggono innanzitutto, in alto, i nomi dell'Autore: Joseph Ratzinger e, al di sotto, Benedetto XVI. In questa edizione della Libreria Editrice Vaticana (Lev) il corpo tipografico del carattere dei due nomi è quasi lo stesso, mentre nella copertina del precedente volume uscito per i tipi della Rizzoli (Milano, 2007) per il nome "Benedetto XVI" fu scelto un carattere decisamente più grande di quello di "Joseph Ratzinger". La scelta della Lev risulta essere più adeguata soprattutto perché coglie con maggior precisione l'esplicita intenzione dell'Autore.

Da questo punto di vista la firma "Joseph Ratzinger" agisce come una sorta di catalizzatore o di sollecitatore di quel confronto personale con il lettore che "Benedetto XVI", se fosse stato posto da solo, avrebbe forse rischiato di inibire.
Vi è poi il titolo: Gesù di Nazaret, con il sottotitolo Dall'ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione. Evidentemente si sarebbero potuti scegliere altri titoli; ad esempio: Il Messia, oppure Il Figlio di Dio. Ratzinger ha invece preferito in un certo senso il meno altisonante Gesù di Nazaret. Questi due tratti paratestuali, il nome/nomi dell'Autore e il titolo, sono chiari riflessi dell'intento profondo all'origine di queste pagine.
Cosa ha voluto scrivere l'Autore? È egli stesso a dichiararlo nella premessa di questo secondo volume: "non ho voluto scrivere una "Vita di Gesù"" (p. 7) e "non ho tentato di scrivere una cristologia" (p. 8). Ma allora cosa?
"Nella premessa alla Prima Parte - scrive Ratzinger riferendosi al volume del 2007 - avevo detto che il mio desiderio era di illustrare "figura e messaggio di Gesù". Forse sarebbe stata cosa buona porre queste due parole - figura e messaggio - come sottotitolo al libro, per chiarirne l'intenzione di fondo. Esagerando un po', si potrebbe dire che io volevo trovare il Gesù reale, a partire dal quale, soltanto, diventa possibile qualcosa come una "cristologia dal basso"" (p. 8).

In verità tale "esagerazione" è il movente stesso e la vera posta in gioco dei due volumi pubblicati. Nel testo del 2007 lo si era scritto con estrema chiarezza: "ho voluto fare il tentativo di presentare il Gesù dei Vangeli come il Gesù reale, come il "Gesù storico" in senso vero e proprio. Io sono convinto, e spero se ne possa rendere conto anche il lettore, che questa figura è molto più logica e dal punto di vista storico anche più comprensibile delle ricostruzioni con le quali ci siamo dovuti confrontare negli ultimi decenni. Io ritengo che proprio questo Gesù - quello dei Vangeli - sia una figura storicamente sensata e convincente" (p. 18).
L'"esagerazione" riguarda, se così mi posso esprimere, il passaggio da "storico" a "reale". In verità non è affatto difficile comprendere in che senso la qualifica di "storico" non necessariamente significhi "vivo, vitale": gran parte degli eventi storici appartengono infatti a un passato, fosse anche glorioso e magnifico, che è inesorabilmente passato, sono eventi storici conclusi, morti. Rispetto a questo "storico" l'Autore avanza l'esigenza del "reale"; oltre allo "storico" egli cerca di procedere verso il "reale".

E infatti che cosa significa parlare di Gesù come di "una figura storicamente sensata e convincente"? Che lo "storico" sia "sensato e convincente" significa ch'esso è ancora, qui e ora, in grado di coinvolgere e trasformare la vita dei singoli, significa ch'esso è esistenzialmente convincente: "Il "Gesù storico", come appare nella corrente principale dell'esegesi critica sulla base dei suoi presupposti ermeneutici, è troppo insignificante nel suo contenuto per aver potuto esercitare una grande efficacia storica; è troppo ambientato nel passato per rendere possibile un rapporto personale con lui" (pp. 8-9). A tale riguardo il lessico utilizzato dall'Autore è significativamente quello dell'"incontro" e del "rapporto personale": "reale" vuol dire "incontrabile", ancora incontrabile nelle concrete condizioni e secondo le determinate misure dell'oggi. Questo tema è più volte ripetuto: "ho cercato di sviluppare uno sguardo sul Gesù dei Vangeli e un ascolto di lui che potesse diventare un incontro spero tuttavia che mi sia stato dato di avvicinarmi alla figura del nostro Signore in un modo che possa essere utile a tutti i lettori che voglio incontrare Gesù e credergli" (p. 9).
Si tratta dunque di sollecitare un incontro, di togliere tutti quegli ostacoli, veri o presunti che siano, che possano impedire un autentico e dunque libero incontro personale. Di Gesù di Nazaret bisogna discutere, non bisogna smettere di discutere, e bisogna discuterne non solo in quanto personaggio storico ma, per l'appunto, soprattutto come una figura reale: ecco perché, scrive l'Autore che è lo stesso Benedetto XVI, "ognuno è libero di contraddirmi".

Mi permetto un'ultima osservazione sulla fascetta che accompagna questa seconda parte della ricerca su Gesù di Nazaret. Dal punto di vista editoriale la scelta di una fascetta è sempre complessa e molto impegnativa, tuttavia in questo caso essa si dimostra una scelta quanto mai opportuna. Si tratta di rendere fin dall'inizio evidente, dal paratesto che precede il testo ma che così ne fa anche parte, quel passaggio "esagerato" da "storico" a "reale" già sottolineato. Se infatti, in quanto personaggio storico Gesù di Nazaret è certamente morto, in quanto figura reale egli è anche risorto, è vivo, dunque ancora oggi personalmente incontrabile. Tra i molti passaggi che si potrebbero citare al riguardo, mi limito a evidenziare solo due punti; commentando la risposta di Gesù al buon ladrone si osserva: "La risposta di Gesù va oltre la richiesta. Al posto di un futuro indeterminato pone il suo "oggi": "Oggi sarai con me nel paradiso" (Luca, 23, 43)" (p. 237). Più oltre l'Autore afferma: "Per questo, nella nostra ricerca sulla figura di Gesù, la resurrezione è il punto decisivo. Se Gesù sia soltanto esistito nel passato o invece esista anche nel presente - ciò dipende dalla risurrezione. Nel "sì" o "no" a questo interrogativo non ci si pronuncia su un singolo avvenimento accanto ad altri, ma sulla figura di Gesù in quanto tale" (p. 270).

La fascetta riporta: "Il Signore è veramente risorto. Egli è il Vivente".



(©L'Osservatore Romano 20 maggio 2011)

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.987
Sesso: Femminile
03/03/2012 22:00
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

PRESENTAZIONE DEL LIBRO "GESÙ DI NAZARET –
DALL'INGRESSO IN GERUSALEMME FINO ALLA RISURREZIONE"
DI JOSEPH RATZINGER - BENEDETTO XVI

LEZIONE PUBBLICA DEL CARD. TARCISIO BERTONE,
SEGRETARIO DI STATO DEL SANTO PADRE

Università degli Studi di Urbino
Mercoledì,16 novembre 2011

 

Magnifico Rettore,
illustri Docenti,
cari studenti,

con il vostro invito, di cui sono vivamente grato, avete voluto che questa Università potesse ospitare una riflessione sull’opera di Benedetto XVI Gesù di Nazaret. A me sembra che ragionare su tale lavoro, proprio qui, corrisponda pienamente al lungo e sapiente magistero di Carlo Bo, che in questa Università ha esercitato il suo servizio come Rettore, ininterrottamente, dal 1947 al 2001.

Saluto, dunque, con particolare stima il Rettore, Professor Stefano Pivato, che con tenacia ha voluto questo incontro, e insieme a Lui rivolgo un deferente pensiero a tutto il Collegio dei Docenti che continua a tenere alto l’onore, in Italia e nel mondo, di questa Università di Urbino che oggi è intitolata a Carlo Bo.

Il vostro invito, mentre accenna esplicitamente alla presentazione della seconda parte del Gesù di Nazaret, uscita nel marzo di quest’anno in contemporanea mondiale, rimanda inevitabilmente alla prima parte, che ha visto la sua pubblicazione nell’aprile del 2007. Entrambi i volumi, lo sappiamo, si sono rivelati un successo editoriale al di là delle aspettative dello stesso Autore. Infatti, se per un momento lasciamo parlare i numeri – che, naturalmente, non dicono il valore di un libro – ce ne rendiamo conto: in soli quattro anni, del primo volume sono stati diffusi più di 3 milioni di copie, in 47 Paesi; e, del secondo, sono già oltre 2 milioni le copie stampate e diffuse in 33 Paesi. Ma noi non siamo qui per analizzare questo aspetto che, per altro, dice qualcosa circa il desiderio e l’attesa dell’uomo contemporaneo di conoscere Gesù e, forse, di giungere ad un rapporto vivo e vitale con Lui.

Ho voluto accennare al primo volume e alla sua ampia diffusione perché vorrei sottolineare come le due parti del Gesù di Nazaret rappresentino un tutt’uno e, proprio per questo, insieme vanno letti, commentati ed, eventualmente, criticati.

Fondamentale unità del due volumi

Parto dunque da questa affermazione, apparentemente ovvia, che fa riferimento alla fondamentale unità dei due volumi. Tale osservazione non è né nuova né solo mia, ma è anticipata dallo stesso Joseph Ratzinger – Benedetto XVI che la esplicita nella premessa del secondo volume[1]. In quelle poche pagine iniziali, infatti, si può leggere che fra le reazioni e gli incoraggiamenti positivi ricevuti dall’Autore dopo la pubblicazione del primo tomo, vi sono state quelle di grandi maestri dell’esegesi. Fra questi l’Autore segnala Martin Hengel, Peter Stuhlmacher e Franz Mußner. Da tutti arriva un invito pressante a continuare il lavoro iniziato con il primo volume. Quale è il motivo di tale sollecitazione affettuosa e insistente? E’ abbastanza evidente a tutti gli studiosi che i due volumi che abbiamo tra le mani hanno obbligato teologi e ricercatori, ma non solo loro, a tornare a discutere sul metodo della teologia, sull’ermeneutica dell’esegesi, sulla stessa esegesi come disciplina storica e sul metodo storico-critico, oltre che sulle nuove scoperte dell’archeologia e dello studio sui papiri. Lo ha testimoniato, fra gli altri, un rinomato studioso di Bibbia in un incontro organizzato dalla Facoltà di teologia San Dámaso di Madrid: “Nella discussione sulle questioni esegetiche concrete Ratzinger ha dimostrato, in modo paradigmatico, un’esegesi critica e insieme teologica svelando in tante occasioni le premesse filosofiche o culturali che limitano la ragione moderna applicata alla Scrittura”[2]. D’altra parte, già nella premessa al primo volume, l’Autore stesso ci aveva resi avvertiti circa la necessità di un tale lavoro per gli esegeti e gli studiosi. Anzi, egli afferma con urgenza quanto sia indispensabile tale nuovo, serio e vigoroso lavoro di ricerca perché, a partire dagli anni cinquanta, vi è stato uno “strappo tra il «Gesù storico» e il «Cristo della fede»”[3] e, aggiunge, “una simile situazione è drammatica per la fede perché rende incerto il suo autentico punto di riferimento: l’intima amicizia con Gesù, da cui tutto dipende, minaccia di annaspare nel vuoto”[4].

Questo delicato, ma fermo obbligare gli studiosi a tornare a discutere, a farsi discepoli loro stessi nella ricerca della verità e a non essere mai sazi dei traguardi raggiunti, fa intuire l’atteggiamento intellettuale di Joseph Ratzinger. E’ un uomo – lo sappiamo – che ha dedicato tutta la sua vita allo studio. Proprio per questo continua a chiedersi anche ora, da Papa, “cosa, dunque, è veramente essenziale?”[5]. Questa ricerca, questa sete di verità, queste domande che affiorano sia nella conversazione privata sia in quella pubblica di Joseph Ratzinger prima e di Benedetto XVI ora, si fanno manifeste nella ricerca del volto di Gesù e si esprimono in modo alto con questi due volumi. E se nell’intervista a Peter Seewald, cui si è accennato poc’anzi, emergeva il bisogno – anche come Vescovo di Roma – di cogliere ciò che è veramente essenziale, in uno dei molti incontri con i suoi ex colleghi docenti il Papa – parlando del lavoro del teologo, prosegue nella sua coraggiosa ricerca affermando che “per essere teologo e per svolgere il servizio per l’Università e, oso dire, per l’umanità - il servizio, quindi, che ci si attende da lui - egli deve andare oltre e domandare: Ma è vero ciò che lì vien detto? E se è vero, ci riguarda? E in che modo ci riguarda? E come possiamo riconoscere che è vero e che ci riguarda?”[6].

Il coinvolgimento personale dell’Autore

Dopo aver richiamato l’unità intrinseca dei due volumi dell’opera, siamo ora in grado di accedere ad una realtà più profonda. E’ quella realtà - potremmo ben dire, quel coinvolgimento - cui Joseph Ratzinger – Benedetto XVI fa delicato cenno nel primo volume, là dove scrive: «Non ho di sicuro bisogno di dire espressamente che questo libro non è in alcun modo un atto magisteriale, ma è unicamente espressione della mia ricerca personale del ‘volto del Signore’»[7]. Qui l’Autore invita il lettore a cogliere, con limpida chiarezza, come Lui stesso si stia mettendo in gioco. Lui vuole veramente cercare “ciò che è vero e ciò che ci riguarda”.

Correttamente, un semiologo ha rilevato che «anche per questo il riferimento di copertina al nome proprio dell’Autore è da intendersi non solo in relazione al testo prodotto, ma anche e soprattutto in relazione al fatto che tale testo intende essere espressione di una ‘ricerca personale’»[8]. L’Autore, il Papa, non teme di coinvolgersi nella fatica e nella gioia della ricerca. E’ ben consapevole che “la contemporanea ricerca sul Gesù storico sembra aver smarrito il volto autentico del Signore, riducendolo a una oscura figura del passato, del quale niente si potrebbe affermare con certezza, se non che fu, al massimo, un moralista, un rivoluzionario o un predicatore”[9]. Ed è proprio per questo che parlando dell’immenso bisogno che vi è della ricerca del volto di Cristo oggi, non si può non tenere conto e non rilevare con un certo dolore ciò che un po’ troppo spesso hanno insegnato e diffuso alcuni teologi. E’ interessante ricordare, a questo proposito, ciò che lo stesso Papa ebbe a dire ai sacerdoti a conclusione dell’anno sacerdotale: «C’è una teologia che viene dall’arroganza della ragione, che vuole dominare tutto, fa passare Dio da soggetto a oggetto che noi studiamo, mentre dovrebbe essere soggetto che ci parla e ci guida. C’è realmente questo abuso della teologia, che è arroganza della ragione e non nutre la fede, ma oscura la presenza di Dio nel mondo. Poi, c’è una teologia che vuole conoscere di più per amore dell’amato, è stimolata dall’amore e guidata dall’amore, vuole conoscere di più l’amato. E questa è la vera teologia, che viene dall’amore di Dio, di Cristo e vuole entrare più profondamente in comunione con Cristo. In realtà, le tentazioni, oggi, sono grandi; soprattutto, si impone la cosiddetta “visione moderna del mondo” (Bultmann, “modernes Weltbild”), che diventa il criterio di quanto sarebbe possibile o impossibile. E così, proprio con questo criterio che tutto è come sempre, che tutti gli avvenimenti storici sono dello stesso genere, si esclude proprio la novità del Vangelo, si esclude l’irruzione di Dio, la vera novità che è la gioia della nostra fede»[10].

Il fondamento storico dei Vangeli

Al passo del coinvolgimento personale di Benedetto XVI nella ricerca, segue nell’itinerario culturale un nuovo, importante passo, quello cioè di mettere in luce in modo essenziale, decisivo, il fondamento storico del cristianesimo stesso: il Vangelo ha a che fare con la storia.

Forse è proprio a partire da tali ordini di pensieri che, in un suo pregevole testo, il Cardinale Amato può annotare che “il volume Gesù di Nazaret di Joseph Ratzinger – Benedetto XVI si inserisce in questo contesto. Seguendo la ruota del tempo, si pone nello sviluppo più armonico della ricerca storico-critica contemporanea”[11] e, avverte, “contiene due importanti premesse per lo studio della cristologia cattolica: una premessa metodologica e una contenutistica”[12]. Si può quindi affermare quanto Benedetto XVIVerbum Domini cheinnanzitutto è necessario riconoscere il beneficio derivato nella vita della Chiesa dall’esegesi storico-critica e dagli altri metodi di analisi del testo sviluppati nei tempi recenti. Per la visione cattolica della sacra Scrittura l’attenzione a questi metodi è imprescindibile ed è legata al realismo dell’incarnazione: «Questa necessità è la conseguenza del principio cristiano formulato nel Vangelo secondo Giovanni 1, 14: Verbum caro factum est. Il fatto storico è una dimensione costitutiva della fede cristiana. La storia della salvezza non è una mitologia, ma una vera storia ed è perciò da studiare con i metodi della seria ricerca storica» (Intervento nella XIV Congregazione Generale del Sinodo,14 ottobre 2008). Pertanto, lo studio della Bibbia esige la conoscenza e l’uso appropriato di questi metodi di indagine. Se è vero che questa sensibilità nell’ambito degli studi si è sviluppata più intensamente nell’epoca moderna, benché non dappertutto in modo uguale, tuttavia, nella sana tradizione ecclesiale, vi è sempre stato amore per lo studio della «lettera». Basti qui ricordare la cultura monastica, cui dobbiamo ultimamente il fondamento della cultura europea, alla cui radice sta l’interesse per la parola. Il desiderio di Dio include l’amore per la parola in tutte le sue dimensioni: «poiché nella Parola biblica Dio è in cammino verso di noi e noi verso di Lui, bisogna imparare a penetrare nel segreto della lingua, a comprenderla nella sua struttura e nel suo modo di esprimersi. Così, proprio a causa della ricerca di Dio, diventano importanti le scienze profane che ci indicano le vie verso la lingua» (Discorso agli uomini di cultura al «Collège des Bernardins» di Parigi, 12 settembre 2008)[13]. ha esplicitato nella recente Esortazione Apostolica Postsinodale

L’opera che oggi esaminiamo dimostra proprio questo. Infatti, le numerose e pertinenti citazioni di autori con i quali Joseph Ratzinger – Benedetto XVI si confronta nei due volumi - in modo vero e diretto, mettendo in evidenza sia le posizioni condivise, come anche i motivi di perplessità o, a volte, di aperto e documentato dissenso - dimostrano non solo quanto accurato e faticoso sia stato il lavoro scientifico al quale il Papa non si è sottratto – usando, scrive, “tutti i momenti liberi per portare avanti il libro”[14] –, ma soprattutto l’impegno intellettuale per rispondere a livello scientifico e dopo aver ascoltato “gli altri saperi” ad una domanda esigente per l’uomo contemporaneo: “è vero ciò in cui crediamo oppure no? Nella teologia è in gioco la questione circa la verità; essa è il suo fondamento ultimo ed essenziale”[15]. E che tale preoccupazione “circa la verità” sia il cuore dei due volumi lo rileva acutamente uno studioso ebraico, Giorgio Israel. E’ certamente significativo rileggere oggi il suo commento al volume uscito nel marzo di quest’anno. Il professor Israel, infatti, sostiene che esiste “una minaccia che oggi ha molti volti, tra cui quello di un riduzionismo scientista che svilisce la ricchezza della ragione umana”[16] e a tale scopo fa proprio il lucido pensiero di Joseph Ratzinger – Benedetto XVI il quale scrive: «Con la crescente conoscenza della verità funzionale sembra piuttosto andare di pari passo la crescente cecità per “la verità” stessa, per la domanda su ciò che è la nostra vera realtà e ciò che è il nostro vero scopo»[17].

L’opera di Joseph Ratzinger – Benedetto XVI è una netta dichiarazione della propria fiducia nei Vangeli. Lo afferma chiaramente già nella premessa al primo volume, dopo aver fornito al lettore le necessarie indicazioni metodologiche: “Per la mia presentazione di Gesù questo significa anzitutto che io ho fiducia nei Vangeli”[18]. Forse questa affermazione potrebbe sembrare fuori luogo se non addirittura scoraggiante per un lettore ipercritico. Eppure l’Autore ce la offre con semplicità. Per Lui, dopo aver letto molto, studiato il possibile e valutato tutto con grande discernimento diventa fondamentale partire da lì, dai Vangeli. Ancora, dunque, Vangelo e storia si incontrano. E’ decisivo esprimere quella fiducia semplice nei Vangeli, quella fiducia che tutti noi abbiamo imparato ad avere nel testo biblico ascoltato in Chiesa o letto accanto ai nostri anziani fin da quando eravamo bambini, allora per nulla sofisticati o sospettosi come lo siamo oggi.

Un frutto maturo della teologia cattolica

Se è vero e si può pienamente condividere ciò che hanno scritto alcuni giornali, e cioè che questo più che un libro è una testimonianza commovente, affascinante e liberatrice sulla figura di Gesù, bisogna aggiungere subito qualcos’altro. Il Papa è un teologo e questi sono due affascinanti volumi di teologia. Detto in questo modo per noi può suonare un po’ strano, perché noi siamo figli del nostro tempo. Non siamo più abituati a pensare alla teologia come qualcosa di commovente, o di affascinante, o di liberante. In realtà, nessuno di noi ha dimenticato il testo più alto e ammirato della letteratura italiana: La Divina Commedia. Ebbene, che cos’è il capolavoro di Dante se non un’opera teologica scritta in forma poetica?

Ecco, questi due volumi su Gesù – ed è l’altra osservazione che vorrei fare in questa sede – sono un frutto maturo della teologia cattolica, cioè di quella teologia che, come ha detto alla presentazione dello scorso marzo il Cardinale Ouellet, sa tener conto “dell’unità della Sacra Scrittura, del complesso della Tradizione della Chiesa e rispetta l’analogia della fede”[19]. Sono testi nei quali non solo il cattolico si sente “a casa”, ma il lettore che vuole conoscere e confrontarsi con la fede e la dottrina cattolica lo può fare con rigore e onestà intellettuale.

Il compito della Cristologia

Qui, se mi permettete, visto che ne abbiamo accennato poco fa, vorrei continuare e dire alcune parole sulla teologia, anzi, più precisamente sulla Cristologia perché è di questo che si scrive ampiamente nei due volumi di cui discutiamo. Si potrebbe sinteticamente affermare che la Cristologia ha come compito quello di annunciare la fede – quella espressa nel simbolo niceno-costantopolitano del 381 – e poi di renderla comprensibile all’uomo d’oggi.

Allora, che cos’è la Cristologia se non il cercare di dire – oggi – una parola “vera” su Gesù? E come fare a scoprire chi è Gesù e dire una parola vera su di Lui? Vediamo bene che su Gesù la storia non è tenera. Anzi, fra tutti i personaggi della storia Lui è quello su cui più si va investigando; addirittura qualcuno mette ancora in dubbio la sua esistenza.

Certo, questa continua contestazione ha anche un risvolto positivo, perché svela indirettamente quanto Gesù sia importante; evidenzia per lo meno che di fronte a Lui è difficile rimanere indifferenti. Ma è anche vero che la contestazione rende il credente e l’uomo in ricerca esposti ad un esame continuo. Per il credente non c’è un attimo di tregua. Ecco, la Cristologia è quella mano tesa che cerca di accompagnare il credente e l’uomo che cerca con sincerità ad affrontare questo “esame su Gesù”, per offrire loro la possibilità di arrivare ad una risposta ragionevole, motivata e storicamente attendibile per sostenere la fede in Lui.

Il primo passo che la Cristologia compie è dunque quello di ascoltare la Sacra Scrittura e di farla diventare l’anima di ogni successivo discorso. E qui, in questi due volumi, si ha la prova (e la mole) di questo lavoro fatto in modo eccellente.

Il secondo passo che la Cristologia compie, poi, è quello di far riferimento ai Padri della Chiesa, ai grandi teologi e anche alla Liturgia perché, quest’ultima, è il modo concreto e storico con il quale si è espressa la fede della Chiesa e prendendo forma di preghiera pubblica nel fluire lento del tempo e dei secoli. Basterebbe rileggere con attenzione il capitolo 4 del secondo volume, così come lo stesso capitolo 4 del primo, per rendersi personalmente conto di come i Padri e i teologi e la stessa riflessione rabbinica sono la trama su cui tutto il discorso è costruito.

Infine, il terzo passo compiuto dalla Cristologia – passo che non è di poco conto, assolutamente – è quello di mettersi in costante dialogo con la cultura del proprio tempo. Da qui scaturisce l’attenzione, ad esempio, per il secolarismo o per il pluralismo religioso, per il relativismo o la postmodernità. Sono gli ambiti concreti, i luoghi e le parole dove si offre alla Parola di Dio la possibilità di essere accolta, ascoltata, amata. Ma sono anche gli ambiti più difficili perché possono portare al tradimento della Parola dimenticando e facendo drammaticamente dimenticare “la realtà vitale, la presenza di Dio, la sua presenza tra di noi, il suo parlare oggi, non solo nel passato”[20].

Alcuni tratti del secondo volume “Gesù di Nazaret – Dall’ingresso a Gerusalemme fino alla risurrezione”

A questo punto mi sembra importante addentrarci nel testo del secondo volume che, come sappiamo, esplora il Gesù storico dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione. Vorrei solo rimandare, a modo di esempio, alla ricerca sul contrasto tra i Vangeli sinottici, da una parte, e il Vangelo di Giovanni dall’altra, sulla datazione dell’Ultima Cena, che occupa l’intero capitolo 5. Si tratta di una ricerca molto interessante che dimostra una certa convergenza e compatibilità fra le due narrazioni. Essa arriva alla conclusione che in realtà la morte espiatrice di Gesù, nuovo agnello pasquale, si è consumata nel medesimo momento in cui venivano immolati gli agnelli pasquali.

L’Autore si chiede che cosa possiamo aspettarci dalla ricerca storica e che cosa invece dobbiamo lasciare alla fede nel momento in cui la certezza ha raggiunto i suoi limiti[21], e risponde: Cito “Dal punto di vista teologico c’è da dire che, se la storicità delle parole e degli avvenimenti essenziali potesse essere dimostrata impossibile in modo veramente scientifico, la fede avrebbe perso il suo fondamento. D’altra parte, come già detto, a motivo della natura stessa della conoscenza storica non ci si possono aspettare prove di certezza assoluta su ogni particolare. E’ pertanto importante per noi appurare se le convinzioni di fondo della fede siano storicamente possibili e credibili anche di fronte alla serietà delle attuali conoscenze esegetiche. Molti particolari dunque possono rimanere aperti. Ma il factum est” del Prologo di Giovanni (1,14) vale come categoria cristiana fondamentale non soltanto per l’incarnazione come tale, ma deve essere rivendicato anche per l’ultima cena, la croce e la risurrezione: l’incarnazione di Gesù è ordinata al sacrificio di se stesso per gli uomini e questo alla risurrezione, altrimenti il cristianesimo non sarebbe vero. Possiamo guardare la verità di questo “factum est” – come s’è detto – non nella maniera dell’assoluta certezza storica, ma riconoscerne la serietà leggendo in modo giusto la Scrittura come tale”[22]. Fine della citazione.

Se già questo passaggio ci ha aperto uno scorcio interessante, non di meno si può fare lo stesso discorso per il capitolo 9 del secondo volume sulla risurrezione di Gesù dalla morte.

Cito: “Nella nostra ricerca sulla figura di Gesù, la risurrezione è il punto decisivo. Se Gesù sia soltanto esistito nel passato o invece esista anche nel presente – ciò dipende dalla risurrezione. Nel “si” o “no” a questo interrogativo non ci si pronuncia su di un singolo avvenimento accanto ad altri, ma sulla figura di Gesù come tale. E’ perciò necessario ascoltare con particolare attenzione la testimonianza sulla risurrezione offerta nel Nuovo Testamento. Ma dobbiamo allora, come prima cosa, constatare che questa testimonianza, considerata dal punto di vista storico, si presenta a noi in una forma particolarmente complessa, così da sollevare molte domande. Che cosa è lì successo? Ciò chiaramente, per i testimoni che avevano incontrato il Risorto, non era facile da esprimere. Si erano trovati davanti ad un fenomeno per essi totalmente nuovo, poiché oltrepassava l’orizzonte delle loro esperienze. Per quanto la realtà dell’accaduto li coinvolgesse fortemente e li spingesse a darne testimonianza – essa era totalmente inusuale. San Marco ci racconta che i discepoli, scendendo dal monte della trasfigurazione, riflettevano preoccupati sulla parola di Gesù secondo cui il Figlio dell’uomo sarebbe “risorto dai morti”. E si domandavano l’un l’altro che cosa volesse dire “risorgere dai morti” (9,9s). E di fatto: in che cosa ciò consiste? I discepoli non lo sapevano e dovevano impararlo solo dall’incontro con la realtà”[23].

Dopo aver esaminato i racconti evangelici di alcuni miracoli di cadaveri rianimati come il giovane di Nain (cfr Lc 7,11-17), la figlia di Giairo (cfr Mc 5,22-24.35-43 e par.) o di Lazzaro (cfr Gv 11,1-44), che dopo un tempo più o meno breve ritornarono nella loro vita di prima per poi più tardi, a un certo punto, morire definitivamente, l’Autore prosegue la riflessione: “Le testimonianze neotestamentarie non lasciano alcun dubbio che nella “risurrezione del Figlio dell’uomo” sia avvenuto qualcosa di totalmente diverso. La risurrezione di Gesù è stata l’insorgere verso un genere di vita totalmente nuovo, verso una vita non più soggetta alla legge del morire e del divenire, ma posta al di là di ciò – una vita che ha inaugurato una nuova dimensione dell’essere uomini. Per questo la risurrezione di Gesù non è un avvenimento singolare, che noi potremmo trascurare e che apparterrebbe solamente al passato, ma è una sorta di “mutazione decisiva” (per usare analogicamente questa parola, pur equivoca), un salto di qualità. Nella risurrezione di Gesù è stata raggiunta una nuova possibilità di essere uomo, una possibilità che interessa tutti e apre un futuro, un nuovo genere di futuro per gli uomini”[24]. Fine della citazione.

A che traguardi conduce il lettore Joseph Ratzinger – Benedetto XVI con questi due volumi? «Esagerando un po’ – risponde l’Autore stesso – si potrebbe dire che io volevo trovare il Gesù reale, a partire dal quale, soltanto, diventa possibile qualcosa come una “cristologia dal basso”»[25]. Ecco, solo incontrando il “Gesù reale” succede che «la Chiesa “prosegue il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio”, annunziando la passione e la morte del Signore fino a che egli venga…dal Signore risuscitato trae la forza per vincere con pazienza e amore le afflizioni e le difficoltà, che le vengono sia dal di dentro che dal di fuori»[26].

Al credente che, pur godendo della luce della fede in Cristo, sperimenta di vivere immerso fra le oscure potenze di forze nemiche, rimane la domanda che Giuda Taddeo rivolse a Gesù nel cenacolo: “Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo? (GV 14,22). Ebbene, anche questa domanda trova sapiente risposta nel volume che stiamo analizzando.

Cito: “E’ proprio del mistero di Dio agire in modo sommesso. Solo pian piano Egli costruisce nella grande storia dell’umanità la sua storia. Diventa uomo ma in modo da poter essere ignorato dai contemporanei, dalle forze autorevoli della storia. Patisce e muore e, come Risorto, vuole arrivare all’umanità soltanto attraverso la fede dei suoi ai quali si manifesta. Di continuo Egli bussa sommessamente alle porte dei nostri cuori e, se gli apriamo, lentamente ci rende capaci di “vedere”. E tuttavia – non è forse proprio questo lo stile divino? Non sopraffare con la potenza esteriore, ma dare libertà, donare e suscitare amore. E ciò che apparentemente è così piccolo non è forse – pensandoci bene – la cosa veramente grande? Non emana forse da Gesù un raggio di luce che cresce lungo i secoli, un raggio che non poteva provenire da nessun semplice essere umano, un raggio mediante il quale entra veramente nel mondo lo splendore della luce di Dio? Avrebbe potuto, l’annuncio degli apostoli, trovare fede ed edificare una comunità universale, se non avesse operato in esso la forza della verità?”[27]

Conclusione

E’ interessante, a questo punto, notare - come sigillo a questo nostro incontro, di cui ancora ringrazio sinceramente - come tutto il camino di fede che la Chiesa ha fatto nel tempo e continua a percorrere oggi è un cammino che nasce proprio a partire dall’incontro con una Persona reale, vera e vivente, una persona che “benedicendo se ne va e nella benedizione Egli rimane. Le sue mani restano stese su questo mondo. Le mani benedicenti di Cristo sono come un tetto che ci protegge”[28].

E di queste “mani benedicenti” che ci proteggono Benedetto XVI vuol essere un testimone serio, credibile, competente, innamorato.


[1] Cf. Joseph Ratzinger – Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2011, p. 5.

[2] I. Carbajosa, Ratzinger nell’arena, ne L’Osservatore Romano, 29 aprile 2011, pag. 4.

[3] Cf. Joseph Ratzinger – Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, Rizzoli, Milano 2007, p. 7.

[4] Ibidem, p. 8.

[5] Cf. P. Seewald – Benedetto XVI, Luce del mondo, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2010, p. 200.

[6] Cf. Benedetto XVI, Incontro con il Collegio dei Docenti delle Facoltà di Teologia Cattolica di Tübingen, 21 marzo 2007.

[7] Joseph Ratzinger – Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, Rizzoli, Milano 2007, p. 20.

[8] Cf. S. Petrosino, Un libro è anche la sua copertina, ne “L’Osservatore Romano” 20 maggio 2011, pag. 4.

[9] A. Amato, Gesù, identità del cristianesimo. Conoscenza ed esperienza, Libreria Editrice Vaticana, 2008, p.11.

[10] Cf. Benedetto XVI, Colloquio del Santo Padre con i sacerdoti, Città del Vaticano, 10 giugno 2010.

[11] Cf. A. Amato, vol. cit., Libreria Editrice Vaticana, 2008, p.16.

[12] Ibidem, p. 16

[13] Benedetto XVI, Esortazione Apostolica Postsinodale Verbum Domini, 30 settembre 2010, n. 32.

[14] Cf. Joseph Ratzinger – Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, Rizzoli, Milano 2007, p. 20.

[15] Cf. Benedetto XVI, Discorso al Conferimento del “Premio Ratzinger”, 30 giugno 2011.

[16] Cf. G. Israel, In dialogo guardando la stessa verità, ne L’Osservatore Romano, 27 maggio 2011, pag. 5.

[17] Ibidem

[18] Cf. Joseph Ratzinger – Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, Rizzoli, Milano 2007, p. 17.

[19] Cf. M. Ouellet, Conferenza stampa di presentazione del volume di Gesù di Nazaret, 10 marzo 2011.

[20] Cf. Benedetto XVI, Colloquio del Santo Padre con i sacerdoti, Città del Vaticano, 10 giugno 2010.

[21] Cf Joseph Ratzinger – Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2011, p. 120.

[22] Ibidem, pp. 120-121.

[23] Ibidem, pp. 270-271.

[24] Ibidem, pp. 271-272.

[25] Ibidem, p. 8.

[26] Cf. Benedetto XVI, La porta della fede, Libreria Editrice Vaticana, 2011, n. 6.

[27] Joseph Ratzinger – Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2011, pp. 306-307.

[28] Ibidem, p. 324.

 

[SM=g1740738] 


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.987
Sesso: Femminile
29/06/2012 19:21
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

[SM=g1740733] Vi offriamo l'opportunità di meditare un passo dal libro del santo Padre Benedetto XVI, "Gesù di Nazareth", il secondo volume, nel quale egli affronta, con brevi parole ma pensieri profondi, il quadro di Maria ai piedi della Croce, e l'affidamento della Madre al discepolo. Un grazie alla Libreria Editrice Vaticana, per aver avuto la lodevole iniziativa di offrire ai fedeli la versione del testo in forma audio e che consigliamo a tutti di ricevere ed ascoltare, quasi usandolo come "Esercizi spirituali".

www.gloria.tv/?media=305750


Movimento Domenicano del Rosario
www.sulrosario.org
info@sulrosario.org


[SM=g1740717]

[SM=g1740750] [SM=g1740752]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.987
Sesso: Femminile
16/07/2012 13:48
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

Le carmelitane scalze di Noto sul libro del Papa «Gesù di Nazaret. Dall'ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione» (O.R.)


Le carmelitane scalze di Noto sul libro del Papa «Gesù di Nazaret. Dall'ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione»


Per leggere la realtà con gli occhi del cuore


Dal monastero siciliano Regina Ecclesiae Netinae a Noto, in provincia di Siracusa, dove dodici monache carmelitane scalze, nel silenzio, nella preghiera contemplativa, offrono il loro servizio attivo alla Chiesa e al mondo, ci giunge una testimonianza sulla «grazia diffusa nella comunità» per la lettura del libro Gesù di Nazaret. Dall'ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione di Joseph Ratzinger - Benedetto XVI.
Pubblichiamo, qui di seguito, il testo.


Quanta grazia ha diffuso nella nostra comunità di carmelitane scalze la lettura del volume Gesù di Nazaret. Dall'ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione. E quanto fervore.
È stato letto dapprima in refettorio e sin da questa prima sommaria conoscenza ha afferrato la nostra attenzione. Durante i pasti abbiamo percepito il gran bene ivi contenuto, senza poterlo cogliere come volevamo. Tante cose ci sono sfuggite; restava in ciascuna di noi un vivo desiderio di rileggere a solo il libro per poterne ricavare più vantaggio, anche per la nostra orazione mentale giornaliera e per la nostra vita concreta.
Quando poi dal refettorio passavamo in ricreazione, l'argomento principale verteva, con entusiasmo contagioso, su ciò che avevamo udito dalla lettura di Gesù di Nazaret. Qualcuna più “fortunata”, suscitando il “rimpianto” delle altre, ha potuto averlo tra le prime e meditarlo nel silenzio della cella.
Una novizia ha detto: «È da tanto tempo che io lo chiedo, ma ancora non mi è arrivato. Pazienza». Altri sguardi assecondavano questa battuta.

Pensiamo che per suscitare tanto bene questa nuova fatica del Papa abbia richiesto, durante la gestazione, un clima di silenzio e di raccoglimento; perché è proprio vero che le opere più eccelse germogliano nel silenzio della preghiera contemplativa. Come nel silenzio e nella preghiera della Casa di Nazaret si è realizzata la più grande opera dell'umanità: l'incarnazione del Verbo, che ha cambiato il volto della storia, dirottandola verso il Padre. E così è e sarà sino alla fine del tempo presente.
La lettura, meditata, ci ha aperto spiragli di beatitudine e ci ha fatto penetrare più addentro nella verità di Cristo Dio. In quell' 'emet che significa “verità”, vista quale autenticità di una relazione sussistente al di là di ogni ostacolo e tribolazione della vita presente, e include anche il termine di fedeltà che mai viene meno.
È, questa, la verità della buona novella che Gesù ha disseminato lungo il percorso della sua terrenità, prima attraverso segni, prodigi e miracoli, poi subendo la passione e la morte, culmine del suo insegnamento che sfocia nella risurrezione.

Questa medesima verità --'emet -- ci è stata irradiata alla lettura del prezioso volume di Benedetto XVI, che ci espone gli ultimi e intensissimi giorni trascorsi da Gesù sulla terra.
Stile attraente, chiarezza, profondità e semplicità caratterizzano il periodare del Papa: i fatti narrati, rivissuti da noi, ridiventano attuali e, passando davanti al nostro sguardo attento, ci coinvolgono e ci fanno percepire lo spessore di una vita attraversata dall'amore di Dio.
«Chi fa la verità viene alla luce e appariranno le sue opere di figlio di Dio». Gesù di Nazaret è proprio un'«opera del fedele figlio di Dio», qual è Benedetto XVI.
Nei fatti narrati abbiamo scoperto qualcosa di nuovo che trasmette bellezza e luce: intuizioni geniali, che lasciano spazio a ulteriori approfondimenti, interessanti collegamenti, sparsi qua e là nelle pagine e che ciascuna approfondirà personalmente per un bene comune.
La chiave fondamentale che ci spalanca alla comprensione dell'opera è la fede in Cristo, nella quale ci siamo sentite confermate. La fede salda, infatti, ha insita la forza di trasformare cuore e mente e di rivolgerli dalla parte di Dio.

Coinvolte nell'esistenza umano-divina di Cristo, che fruttifica in opere di bene e rende interiormente liberi, partecipiamo della vita divina per i meriti di Gesù che vive e agisce nella nostra umanità a Lui donata. È, questa, l'inabitazione di cui parla il Vangelo: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Giovanni, 14, 23). Ciò significa praticamente instaurare una relazione sempre più avvertita, assidua e profonda con Gesù Dio, che ci porta a pregustare la Sua stessa vita eterna, nonostante l'imperversare della zizzania che vorrebbe soffocare le opere di bene. Ma il male non prevarrà e l'ultima parola sarà di Cristo: «Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno» (Matteo, 24, 35). Sottolineiamo qualche passo del libro che ci ha particolarmente colpito: «Lo spezzare il pane per tutti è la funzione del padre di famiglia, che con questo atto in qualche maniera rappresenta Dio Padre che, mediante la fertilità della terra, distribuisce a tutti il necessario per la vita» (p. 147). Ciò richiama alla nostra mente famiglie profondamente cristiane dei nostri giorni, conosciute da noi: durante i pasti principali godono dell'intimità familiare. Genitori e figli sono seduti intorno alla tavola; il capofamiglia distribuisce a ciascuno il pane da lui guadagnato, richiesto con una formula insegnata dalla madre: «Papà, per piacere, mi dai una fettina di pane?». Il padre, prontamente, taglia la fetta e la porge con un sorriso riconoscente. La sera, prima della cena, in quelle famiglie, si recita il rosario.

Altre parti del libro hanno attirato il nostro interesse di contemplative. Ne segnaliamo due. L'“ultima solitudo”, sperimentata da Gesù e dai mistici, è altissima preghiera, è collocarsi nel vivo scenario della passione, è cioè segno della lontananza da Dio e insieme dell'estrema vicinanza. Essa culmina nel grido di Gesù, lo stesso grido dell'uomo di oggi tormentato dall'assenza di Dio. Gesù soffre per noi e la sua passione si unisce al patire di ogni fratello che, seguendo Gesù, riceve la capacità di trasformare la sofferenza dall'interno: nell'abbraccio della croce si nasconde e germina già in lui l'assunzione alla gloria.
Sul Monte degli ulivi il Figlio sente l'estrema resistenza della natura umana che si pone contro Dio e prega: «Non la mia, ma la tua volontà». Rimettendosi alla volontà del Padre, «Gesù riporta la volontà naturale dell'uomo dall'opposizione alla sinergia e ristabilisce così l'uomo nella sua grandezza» (p. 181). Grazie a questo doloroso “sì” del Figlio al Padre, pronunciato nell'agonia, ogni uomo ritrova la sua vera identità: figlio di Dio nel Figlio.

I fatti narrati dal Papa circa la risurrezione di Gesù, ci fanno “intuire” qualcosa di indicibile a parole umane. Gesù appare ai discepoli: con un corpo che è lo stesso suo corpo eppure è un corpo diverso, tanto che i discepoli non lo riconoscono subito. Quando dalla barca Giovanni dice a Pietro: «È il Signore!», il suo è un «riconoscere dal di dentro» (p. 295). Ed è proprio questo l'atteggiamento di uno sguardo profondo di fede, maturato nell'unione con Gesù: riconoscere gli eventi dal di dentro, andare oltre la visibilità esteriore. Ciò ci permette di penetrare nel mistero e di “vedere” dall'interno la novità della nuova esistenza della grazia.
Il Padre porta a compimento il suo disegno di salvezza con la risurrezione di Gesù, punto focale dell''emet del Vangelo. In essa, in parte già ora, è inclusa la risurrezione di ogni figlio del Padre. La vita ha vinto la morte e Cristo risorto diventa il centro della nostra fede, della nostra storia e della nostra gioia.

L'opera Gesù di Nazaret racchiude un'enorme ricchezza per un più fecondo donarci all'altro, sacramentalmente. E ancora sprigiona una tale carica di fede vissuta da essere una felice preparazione per l'Anno della fede, ci rivela in Benedetto XVI un ispirato profeta per il nostro tempo.

(maria cecilia del volto santo)



(L'Osservatore Romano 15 luglio 2012)


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.987
Sesso: Femminile
02/08/2012 21:54
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

[SM=g1740771] Il terzo volume di "Gesù di Nazareth" di Benedetto XVI


Conclusa in questi giorni la stesura dell'opera, si procede ora alle traduzioni nelle diverse lingue


CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 2 agosto 2012 (ZENIT.org) - Il Santo Padre Benedetto XVI ha concluso, in questi giorni, la stesura del terzo volume dell'opera Gesù di Nazaret, dedicato ai racconti dell'Infanzia di Gesù (Die Kindheitsgeschichten). Tale volume costituisce il completamento dei due precedenti.

Si sta procedendo ora alle traduzioni nelle varie lingue, che saranno condotte direttamente sull’originale tedesco.

Si auspica che la pubblicazione del libro avvenga in modo contemporaneo nelle lingue di maggiore diffusione; essa richiederà un congruo spazio di tempo per una traduzione accurata di un testo importante e atteso.




[SM=g1740722] Apriremo un nuovo thread appena uscirà il libro.....

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Nuova Discussione
Rispondi

Feed | Forum | Bacheca | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 15:15. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com