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Si è chiuso l'Anno Sacerdotale ma attenzione resta il Sacerdozio, il Sacerdote, la sua vocazione e missione

Ultimo Aggiornamento: 29/10/2010 23:38
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A colloquio con l'arcivescovo Piacenza sulla conclusione dell'Anno sacerdotale

La santità dei preti
per rinnovare la Chiesa e il mondo



di Mario Ponzi


Tre giorni di fraternità, di riflessione e di preghiera per un unico grande "cenacolo sacerdotale":  si concluderà così fra tre settimane l'anno speciale che Benedetto XVI ha voluto dedicare ai preti. A parlarne in questa intervista al nostro giornale è l'arcivescovo Mauro Piacenza, segretario della Congregazione per il Clero, che illustra il programma delle giornate conclusive - il 9, il 10 e l'11 giugno prossimi - e traccia un primo bilancio di questi dodici mesi vissuti in ascolto dello Spirito con lo sguardo rivolto a Cristo.

Sono ormai prossime le celebrazioni conclusive dell'Anno sacerdotale. L'imminenza della solennità della Pentecoste può favorire la riflessione sul ruolo dello Spirito nella vita della Chiesa e dei sacerdoti?

Innanzi alle tante cose "da fare" mi pare doveroso, soprattutto in questo tempo liturgico che corre verso la Pentecoste, ricordare una realtà semplice quanto fondamentale, ma troppo dimenticata, una realtà che si conosce, ma che poi, di fatto, viene spesso obliata, quando si elaborano i cosiddetti "piani pastorali" e quando si "organizza":  lo Spirito Santo! Ciò che l'anima è per il corpo, lo Spirito Santo è per la Chiesa e per ogni cristiano. Ecco la sorgente interiore di tutto il dinamismo missionario.

Si può affermare che sia stata una lungimirante intuizione di Benedetto XVI quella di convocare l'Anno sacerdotale?

Il Papa è pastore supremo e universale della Chiesa, e certamente gode di una particolare assistenza dello Spirito nell'esercizio del suo alto ministero. Assistenza che è sostenuta e implorata dall'incessante preghiera dei fedeli per lui. L'Anno sacerdotale nasce da una ricorrenza storica ben precisa, il centocinquantesimo anniversario della nascita al cielo del curato d'Ars, e proprio per indicare un'autentica realizzazione del modello sacerdotale, il Papa ha indetto questo anno speciale, capace di indicare la via a ogni sacerdote, richiamando ai valori essenziali del sacramento dell'ordine in un momento in cui la santità più che mai si mostra con evidenza come l'unica reale possibilità di rinnovamento per la Chiesa e per il mondo.

Un anno che dal punto di vista mediatico resterà segnato dalle tensioni e dalla crisi vissuta dalla Chiesa a causa dello scandalo degli abusi sessuali.

La Chiesa è un corpo vivo, e come in ogni corpo si hanno tensioni dinamiche, che permettono la vita e il movimento, e tensioni patologiche, che possono frenare e perfino paralizzare. Le tensioni - penso per esempio, andando agli albori della storia della Chiesa, a quelle nate dalla problematica sull'imporre o meno la legge ai neofiti pagani - si sono sempre risolte quando la Chiesa stessa si è messa in piena sintonia con lo Spirito:  "abbiamo deciso lo Spirito Santo e noi". Anche le moderne non poche tensioni, che tanto fanno soffrire le persone di buona volontà, possono armonizzarsi nell'unità della fede e dell'amore solo nel Signore. Sarebbe bene cercare di vedere cosa lo Spirito suggerisce con maggiore insistenza.

Per i sacerdoti che attualmente si trovano a vivere in condizioni difficili o in crisi che cosa è stato fatto in questo Anno sacerdotale?

Abbiamo affidato ai vescovi diocesani la sollecitudine verso tutti i sacerdoti:  ovviamente se taluni sono in condizioni più fragili, a essi vanno cure particolarmente sollecite, così come farebbe ogni padre con i propri figli. I vescovi diocesani conoscono i loro sacerdoti, le loro situazioni personali e dunque sono in grado di agire con una maggiore consapevolezza per il vero bene loro e dell'intera comunità. Cosciente di questa situazione la Congregazione, nelle varie occasioni di incontro e di corrispondenza con i presuli, non manca mai di trattare del rapporto anche personale con i singoli sacerdoti. È un rapporto prioritario nel governo pastorale, perché curando massimamente seminario e presbiterio si curano poi tutte le componenti della diocesi.

Della sofferenza della Chiesa il Papa ha parlato durante il suo recente viaggio in Portogallo. L'ha riferita ai misteri di Fátima, ma soprattutto ne ha individuato la fonte al suo interno.

Si è trattato di un fatto eccezionale, di una cosa che mi ha toccato profondamente. Parlando della sofferenza della Chiesa il Papa mostrava di sentirla, di viverla molto profondamente. Lo si capiva dalla sua stessa espressione. Nella Chiesa le sofferenze più gravi vengono dal di dentro, è vero. Vengono dal tradimento di chi ci è più vicino, di chi sentiamo amico, anzi fratello. E questo fa soffrire molto di più. Del resto la Chiesa è abituata a difendersi dagli attacchi esterni; sul suo corpo sociale ha sopportato tutte le persecuzioni possibili e immaginabili, a cominciare dalla Passione di Gesù. Ricordiamo il parallelismo fra corpo fisico e corpo mistico di Gesù. Le persecuzioni che nascono dal di dentro certamente sono più dure da accettare. Possono nascere all'interno di ogni famiglia quando il padre o la madre o il figlio tradiscono l'amore e la fiducia degli altri membri.

Si parla da più parti di un'identità nuova per il sacerdote del terzo millennio. Ma non sarebbe meglio parlare di rinnovamento?

Certamente, l'identità non può cambiare perché è scolpita in Cristo buon Pastore. L'unico vero "innovatore" nella Chiesa è lo Spirito Santo. Anzitutto lo Spirito guida nella Verità tutta intera. La Verità "intera". Ognuno di noi, da sé, non ne ha che qualche piccolo frammento; e per giunta è tentato di identificare questa piccola verità "personale" con la Verità totale. Allora queste pretese "verità" rischiano di urtare le une contro le altre, e nascono le tensioni e le divisioni, nasce lo scompiglio scandaloso dei palleggiamenti, delle reciproche accuse, delle necessità di chiarimenti e lo spettacolo diviene miserando. Sono così rare la larghezza di vedute, la lucidità di giudizio, e insieme la capacità di comporre nel dialogo costruttivo le visioni parziali di ciascuno, diverse ma non opposte. Ci vuole tanta umiltà e amore per la Verità tutta intera, per la sinfonia della verità. Ma chi ci darà il senso della totalità? Solo lo Spirito del Signore che, non solo illumina la Verità totale, ma affratella nella comunione. Solo in lui si possono comporre le tensioni che travagliano la Chiesa nella fase del suo pellegrinaggio terreno.

Come si può risolvere, secondo lei, il confronto tra il sacerdote, uomo radicato in Cristo e, nello stesso tempo, immerso in una cultura molto distante dalle categorie del sacro?

Vivendo il paolino:  "Non sono più io che vivo ma Cristo vive in me!" e il giovanneo:  "Lui deve crescere e io invece diminuire". Vivendo la memoria permanente di Cristo, ogni tensione è risolta. "Lo Spirito vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto". È come la memoria vivente della Chiesa, un divino "istinto" di verità. Gesù colloca costantemente questa azione rivelatrice sulla linea del "ricordo". I cristiani, e tra essi soprattutto i sacerdoti, sono chiamati a vivere nella perenne memoria, viva e attuale, della persona, delle parole e delle opere del Maestro:  memoria meditativa, impregnata d'amore. Gli apostoli sono stati i primi a impegnarsi per questa via:  lo hanno fatto alla luce dell'evento pasquale e sotto la guida dello Spirito, obbedendo al comando del Signore:  "Fate questo in memoria di me".

Nel recente convegno alla Lateranense, lei ha insistito sull'ermeneutica della continuità sacerdotale che presuppone la coscienza dell'appartenenza all'unico sacerdozio di Cristo, dalla quale dipende sia l'efficacia del ministero sacerdotale sia la sua spiritualità. Lei stesso però ha riconosciuto che tale categoria non è sufficientemente compresa, né adeguatamente applicata. Cosa significa?

"Ermeneutica della continuità sacerdotale" è un'espressione provvidenzialmente utilizzata dal Papa nella sua allocuzione agli oltre cinquecento partecipanti al menzionato convegno. Credo che, data anche la contiguità terminologica, debba necessariamente essere interpretata alla luce dell'ermeneutica della continuità ecclesiale, che il Papa ha indicato come unica possibile interpretazione corretta del concilio ecumenico Vaticano II, nel discorso rivolto alla Curia romana il 22 dicembre 2005. Non esistono sacerdoti pre e post conciliari, così come non esiste una Chiesa pre e post conciliare. C'è l'unica Chiesa di Cristo, con l'unico sacerdozio di Cristo partecipato a quelli che egli chiama in ogni epoca e circostanza. Il modello è sempre il Signore e l'immedesimazione totale con la chiamata da lui rivolta, come ha vissuto e insegnato san Giovanni Maria Vianney.

È in questo contesto di "continuità" che si inserisce la questione del celibato, tanto discusso in questo momento?

Cristo rimase per tutta la vita nello stato di verginità, a significare la sua totale dedizione al servizio di Dio e degli uomini. In lui lo stato di verginità si unisce in piena armonia nella sua missione di mediatore tra il Cielo e la terra, e di eterno sacerdote. Il Figlio di Dio ha assunto un corpo umano e si è consegnato totalmente al Padre, dandogli l'amore totale ed esclusivo del proprio cuore. Non basta dire che Cristo e la sua vita furono verginali, la verginità non è qualcosa di aggiunto all'esistenza terrena di Cristo, ma appartiene alla sua stessa essenza. Cristo è la verginità stessa e quindi ne è il modello. Il Salvatore predisse che in terra non sarebbero mancati i testimoni della sua verginità. Certamente esistono molteplici ragioni di convenienza del celibato, sia sotto il profilo storico e biblico, sia sotto quello spirituale e pastorale, tuttavia fondamentale è aderire alla fonte di tutto:  Cristo stesso.

Cosa si prevede per la conclusione dell'Anno sacerdotale? Ci sono molte attese per il discorso del Papa, soprattutto si attendono interventi sulla questione che più ha dominato la scena mediatica in questo anno.

Ci sarà una tre giorni che culminerà nella solennità del sacratissimo Cuore di Gesù. Nel primo giorno, il 9 giugno, dedicato alla conversione e alla missione dei sacerdoti, ci troveremo nella basilica di San Paolo fuori le Mura, dove, sull'esempio dell'apostolo delle genti, mediteremo sulla dimensione di conversione permanente della vita sacerdotale e sul legame tra santità ed efficacia della missione. La Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica, chiama tutti i suoi figli a continua conversione, rimanendo assolutamente santa nella sua personalità teologica, poiché essa è il Corpo di Cristo e la Sposa del Signore, continuamente santificata e rinnovata dal suo Sposo, quindi sempre giovane e sempre vergine. La Chiesa è ontologicamente santa, i suoi figli sono chiamati a diventarlo. Il secondo giorno, il 10 giugno, era inizialmente previsto nella basilica papale di Santa Maria Maggiore, ma il grande numero di sacerdoti già prenotati - fino a ora circa settemila - non può essere contenuto nella prima delle basiliche mariane della cristianità, quindi saremo ancora a San Paolo. L'intento è quello di trovarci come in un rinnovato cenacolo, come gli apostoli attorno alla beata Vergine Maria, in attesa e in ascolto dello Spirito. La Chiesa ha sempre bisogno di rinnovare la comunione affettiva ed effettiva, e nessuno come la Madre celeste è in grado di custodire tale communio che è dono dello Spirito Santo. Infine nella grande veglia della sera e nella messa conclusiva di venerdì 11, ci stringeremo affettuosamente attorno a Pietro e ascolteremo la sua autorevole parola che, certamente, saprà dilatare gli orizzonti e mostrare quanto ampio e di grande respiro sia, e debba essere, il vivere e l'operare della Chiesa e dei sacerdoti, in ogni circostanza, per il vero bene delle anime e per la salvezza del mondo.


(©L'Osservatore Romano - 19 maggio 2010)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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22/05/2010 11:05
 
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[SM=g1740733] Si sta procedendo alle iniziative per la chiusura dell'Anno Sacerdotale e per giugno si prevede un grande incontro di tutti i Sacerdoti con il Santo Padre...

Non dimentichiamo pertanto che tale chiusura dell'Anno non chiude tuttavia il discorso, al contrario, proprio dalla chiusura dell'Anno si APRE IL RINNOVAMENTO DEL SACERDOTE... [SM=g1740721]

Dedicato ai Sacerdoti perchè tornino a celebrare con dignità Liturgica la Santa Messa. [SM=g1740753]
Sulle note di "Sciogliamo un lieto cantico d'amore"





[SM=g1740738]


Ecce sacerdos magnus
qui in diebus
suis placuit Dco et incentus est
iustus et inventus est iustus,
Ecce sacerdos magnus
qui in diebus suis placuit Deo
et inventus est iustus.


Tratto dal fascicolo del CD "The Priests"
che spiega così il brano:

"Si tratta di un pezzo musicale di Edward Elgar che può andare a testa alta sia nella parte ecclesiastica che nella controparte orchestrale laica...
Una traduzione approssimativa del testo sarebbe: - Contemplate il Grande Sacerdote, che nei suoi giorni ha servito il Signore, e che è stato appena trovato".
Il testo proviene dalla Liturgia delle Ore, che è recitato ad intervalli regolari ogni giorno dal Clero e dalle Comunità religiose di tutto il mondo.
Di solito la si canta all'ordinazione di un Vescovo nella sua Cattedrale
".

Quando la bella musica si fonde con le immagini per dire un Grazie a TUTTI i Sacerdoti del mondo per la loro Vocazione e per il loro "Fiat" al nostro servizio....e supplicare il Padrone della Messe perchè mandi Operai, e ci doni sempre santi sacerdoti dai quali proviene anche la nostra santità di laici...

Un Grazie al Santo Padre Benedetto XVI per questo Anno Sacerdotale, una vera perla di Grazia!



[SM=g1740717] [SM=g1740720] [SM=g1740750] [SM=g1740752]

[SM=g1740738]




[SM=g1740717] [SM=g1740720] [SM=g1740750] [SM=g1740752]

[Modificato da Caterina63 22/05/2010 11:07]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Attesi migliaia di preti e religiosi per la chiusura

Il Papa
dell'Anno sacerdotale


di José-Maria Gil Tamayo
Segretario della Commissione Episcopale di Spagna
dei Mezzi di Comunicazione Sociale


Sta per chiudersi l'Anno sacerdotale e a Roma, attorno a Papa Benedetto XVI, si riuniranno da tutto il mondo migliaia di sacerdoti, per esprimere al Successore di Pietro la comunione e l'affetto per la sua persona e al mondo la gioia del ministero sacerdotale nella Chiesa.

È importante partecipare numerosi a questo appuntamento romano in un momento come quello attuale in cui, a causa delle innegabili e dolorose infedeltà di una minoranza di sacerdoti, gli sguardi delle stesse fila ecclesiali e dell'opinione pubblica si volgono al clero.

I preti sono interrogati sulla loro coerenza con l'alta missione evangelica chiamati a compiere, che una moltitudine immensa di pastori della Chiesa ha testimoniato eroicamente nel corso della storia e continua a testimoniare nel presente.

Oltre alle ragioni teologiche ed ecclesiali, le difficili circostanze hanno reso ancora più opportuna la necessità di sottolineare la grandezza del ministero dei sacerdoti e di farlo mediante la celebrazione dell'Anno sacerdotale. Così ha voluto Papa Benedetto XVI, che nella lettera di indizione ne ha indicato l'obiettivo:  "Contribuire e promuovere l'impegno d'interiore rinnovamento di tutti i sacerdoti per una loro più forte ed incisiva testimonianza evangelica nel mondo di oggi".

Anche se si tratta di realtà spirituali non comprovabili a prima vista, l'Anno è servito non solo perché i cristiani contemplassero il dono del sacerdozio alla Chiesa e il clero prendesse piena coscienza della santità di vita a cui è chiamato, ma anche per percepire con più chiarezza nel comportamento semplice e discreto dello stesso Benedetto XVI la sua vita esemplare di sacerdote e la ricchezza del suo magistero sul ministero ordinato.

Con il suo esempio, in modo pudico e attraverso parole e gesti che, quasi come confidenze ne rivelano timidamente la sua intimità, il Papa ha lasciato trasparire in molte occasioni, in particolare dinanzi a sacerdoti e seminaristi, il suo amore personale per il sacerdozio che considera il fatto più importante accaduto nella sua vita, restata "posseduta" dal sacramento, in definitiva da Cristo che nel giorno dell'ordinazione ha affidato al futuro Papa il difficile compito di renderlo presente fra gli uomini.

Così Joseph Ratzinger - come lui stesso riferisce nella sua autobiografia Aus meinen Leben. Enrinnerungen 1927-1977 - ha constatato che dopo aver ricevuto l'ordinazione sacerdotale e poi, con gli anni, quella episcopale, gli altri lo trattavano in modo diverso, con sacra venerazione. Si doveva al sacramento, afferma. È proprio la chiave sacramentale e misterica, di trasformazione - di consacrazione - per la missione, a definire e a determinare l'essere e la vita del sacerdote, il suo compito nella Chiesa e nel mondo, come spiega lo stesso Papa Ratzinger.

È proprio questa immagine del sacerdote, d'identificazione sacramentale con Cristo che lo isola e lo destina, di ricettore personale del dono di Dio e, allo stesso tempo, di amministratore e non di padrone nella Chiesa, che Benedetto XVI plasmerà nella sua visione teologica e nel suo magistero, intensificato quest'anno, approfittando di ogni atto papale per trarre conseguenze spirituali e pratiche sull'essere e sulla missione del sacerdote:  pastore, apostolo, maestro e liturgo.
 
Le parole e i gesti del Papa, anche di governo fermo e saggio, sono stati quest'anno, con Giovanni Maria Vianney, il santo Curato d'Ars, come referente esemplare, una chiamata permanente alla meravigliosa, grave e alta responsabilità che il sacerdozio comporta, e allo stesso tempo un incoraggiamento a viverlo per gli stessi sacerdoti, sorretti da tutti i fedeli.

L'Anno sacerdotale, che poteva apparire all'inizio un evento celebrativo fra i tanti nel succedersi delle ricorrenze ecclesiali, si è dimostrato invece una grazia felice e necessaria per tutta la Chiesa. In particolare per le migliaia di sacerdoti che si prodigano ovunque con gioia, nella fedeltà amorevole a Cristo e alla Chiesa, al servizio di Dio e di tutti gli uomini.



(©L'Osservatore Romano - 2 giugno 2010)


                                   

Fraternamente CaterinaLD

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Sodalizio “Amicizia Sacerdotale Summorum Pontificum

Martedì 8 giugno 2010 nella Casa Bonus Pastor, via Aurelia 208 in Roma si terrà l'Incontro dei sacerdoti del Sodalizio "Amicizia Sacerdotale Summorum Pontificum".

Questo il programma:
Ore 9,00: Accoglienza. Ore 9,30: Ora Terza.
Ore 10,00: Meditazione di Don Pierangelo Rigon sul tema: "Vita sacerdotale e Liturgia".
Ore 10,45: Presentazione del Sodalizio sacerdotale A.S.S.P. (per i nuovi)
Ore 11,45: Comunicazioni per l'Incontro Internazionale dei Sacerdoti col Santo Padre.
Ore 12,00: Angelus e S. Rosario-
Ore 12,15: Incontro dei delegati regionali e Istituzione del Direttivo di ASSP.
Ore 13,30: Pranzo e saluti. info: 340.9481716 (Don Camillo).

(A questo incontro sono invitati anche i seminaristi/religiosi; i sacerdoti che vorranno celebrare la S. Messa potranno farlo nella Basilica di San Pietro dalle ore 7,00 alle ore 8,30 presentandosi in Sacrestia)

FINALITA’ di A.S.S.P. (Approvazione:Roma, 8 febbraio 2010)
1. Amore alla SS. Eucaristia, alla Beatissima Vergine Maria, al Papa.
2. Docile obbedienza e perfetta comunione col Sommo Pontefice, Vicario di Cristo, Successore dell’Apostolo San Pietro e Pastore della Chiesa Universale.
3. Conoscere, amare, celebrare, diffondere la Sacra Liturgia latino-gregoriana, in particolare la Santa Messa Tradizionale e il Breviarium Romanum.
4. Studiare e diffondere la dottrina cattolica così come insegnata dal Magistero della Santa Madre Chiesa, in particolare del Romano Pontefice.
5. Riconoscere e seguire nell’insegnamento della dottrina cattolica, San Tommaso d’Aquino come maestro (cf. O.T. 16).
6. Approfondire la conoscenza della teologia e della spiritualità mariana e coltivare una sana, profonda e tenera devozione alla SS. Madre di Dio, con la recita assidua del S. Rosario.
7. Devozione all’abito ecclesiastico e religioso come segno di consacrazione a Dio e testimonianza al mondo.
8. Impegnarsi a pregare e a favorire le vocazioni sacerdotali e religiose.
9. Ricercare una vera amicizia tra sacerdoti al fine di sostenersi vicendevolmente, collaborando in spirito di carità nell’esercizio del ministero sacerdotale.
10. Impegnarsi a celebrare almeno una Santa Messa ogni mese per i sacerdoti vivi e defunti, quelli più in difficoltà e quelli più abbandonati in Purgatorio.
N.B. Gli obiettivi del Sodalizio saranno perseguiti con l’organizzazione di esercizi spirituali, convegni, giornate di studio di teologia e liturgia, pellegrinaggi.

Info: www.giovanietradizione.org 


Fraternamente CaterinaLD

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06/06/2010 00:27
 
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LETTERA A TUTTI I SACERDOTI

IDI - 477/Dicembre ‘09
www.op.org


LETTERA A TUTTI I SACERDOTI

Bogotá, 7 ottobre 2009

Festa della Madonna del Rosario

Molto amati Sacerdoti nei Cuori di Gesù e di Maria,
In quest’Anno Sacerdotale ricevete il nostro saluto fraterno accompagnato dalla nostra
preghiera per la vostra santificazione e le vostre intenzioni e anche per le vostre differenti
responsabilità e apostolati nei diversi contintenti, paesi e isole del mondo dove state estendendo
il Regno di Dio.
Vi inviamo le nostre più sincere felicitazioni per questo Dono ineffabile dell’ORDINE
SACERDOTALE con il quale lo stesso Signore Gesù vi ha arricchito per il bene dell’umanità,
principalmente per noi cristiani. Non vi sono parole per lodare la Vocazione al Sacerdozio,
tanto sublime! Avere cura della vocazione è un dovere sacro a cui siamo stati chiamati!
L’Apostolo e voi stesi ci dite bene, quando ci ascoltate e consigliate, che è un tesoro portato
in vasi di argilla.

Cari Sacerdoti, ringraziamo infinitamente Dio per Voi, per le vostre vite dedicate al servizio,
alla cura pastorale delle persone, per ascoltare, consigliare, animare, orientare, e, più
importante, per perdonare i peccati, celebrare e distribuire ogni giorno il Corpo e il Sangue
del Signore.

Vi amiamo come ciò che vi è di più caro nella Chiesa e per lo questo ci dispiacciono le
vostre cadute per diversi motivi e gli scandali che sorgono a causa della vostra fragilità di
esseri umani.

Chiediamo al Signore che i nostri Sacerdoti siano rivestiti con la corazza della santità e
non siano dannati per il peccato e le correnti mondane, e perché siano sempre di più, in
numero e in santità.

Il nostro fratello, san Ludovico Bertran, in uno dei suoi Sermoni esortava i Sacerdoti a
prendere come modello l’angelo. Con lui vi diciamo: «Angelo deve essere il Sacerdote.

Cos’ha l’angelo? Tra le altre cose: sta sempre davanti a Dio in atteggiamento di obbedienza.
Il sacerdote dovrebbe vivere in modo da essere sempre pronto a fare senza alcun
impedimento ciò che gli chiede Dio... Angelo dovrebbe essere. Cos’ha l’angelo? Dà da
mangiare a coloro che hanno fame» e continua spiegando il passaggio del Profeta Elia; più
avanti dice: «Sacerdote, in te ha Dio ha posto come un angelo, che vedendo il peccatore
svenuto, lo soccorre. Dagli acqua. Consolalo con la Parola di Dio. Fratello, non svenire, che
Dio sarà con te. Guarda che il cielo non si guadagna se non con la forza. Questa è l’acqua.

Dagli il pane cotto sulla brace. Dagli quel Pane del Cielo. Dagli il Santissimo Sacramento cotto
sulla brace e sul fuoco dell’amore».
Con tutto rispetto, tenete sempre presente la vostra dignità tanto eccelsa di poter
Celebrare l’Eucaristia come la prima, l’unica e l’ultima convertendo il pane e il vino nel
Corpo e nel Sangue Santissimi di Cristo, nemmeno gli angeli hanno un privilegio tanto
grande! Voi siete Cristo! Che ogni giorno la possiate celebrare con fedeltà, non smettete di
celebrarla, è il primo e principale compito del vostro Ministero, non smettete di celebrare i
Sacramenti perché ci private della Grazia che Dio ci chiede di donare a molti per mezzo di
VOI. Che niente vi separi dall’amore di Cristo... come dice l’Apostolo. In una parola, fate
quello che il Maestro con tutto l’amore del suo Cuore vi ordinò quella sera del Giovedì
Santo: «FATE QUESTO IN MEMORIA DI ME».

Non abbandonate la Preghiera personale con Gesù nel Tabernacolo né di giorno né di
notte, né nella gioia, né nel dolore, né nel frastuono, né nelle difficoltà per quanto sembri a
volte vivere. Non vi dimenticate di Gesù Eucaristia né nelle tentazioni, né nelle lotte, né nelle
crisi, né nelle aridità... La Santissima Vergine Madre del Sommo ed Eterno Sacerdote accorrerà
per prima in vostro aiuto – nessuno la sa più di Voi – Lei vi aiuterà senza dubitare, senza
perdere tempo. É la nostra Mamma e sa con precisione ciò di cui ciascuno dei suoi figli ha
bisogno. Il dialogo con Lei è di amore, di tenerezza, di riposo, di fiducia, per liberare grazie a
Lei tutti i vostri affanni e angustie. Dopo il colloquio con Lei sarete totalmente rafforzati e con
nuove energie per seguire il Maestro, anche quando costa sangue.
Un Sacerdote che studia soltanto, lavora e predica ma non prega, che cosa può portare
alle anime? Voi siete il sale della terra e la luce del mondo... Per questo motivo il rapporto
intimo con il Signore è fondamentale lungo tutta la nostra vita, molto di più per coloro che
sono stati chiamati ad essere un altro Cristo sulla Terra.

Siete stati chiamati a prendere come l’Apostolo, l’identità dei discepoli e dei missionari che
portano la parola e i Sacramenti in ogni dove, come lui, con la sua vita, le sue opere, i suoi
viaggi, le sue fatiche, le sue lettere dando viva testimonianza senza risparmiare niente per il
Regno.

Voi siete gli UNTI del Signore e Lui vi ama come le pupille dei suoi occhi. Anche noi vi
amiamo in Dio e per Dio, vi accompagniamo con la nostra preghiera semplice e fiduciosa in
Dio Nostro Padre per intercessione di Maria e di suo Figlio Gesù Cristo al quale sia la Gloria,
l’Onore e la Potenza.

Comunità delle Monache dell’Ordine dei Predicatori,
Monastero di Sant’Agnese.
Bogotá, Colombia
ORIGINALE: SPAGNOLO


 

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(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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08/06/2010 19:52
 
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Verso la conclusione dell'Anno sacerdotale

Il prete e le sfide pastorali


"L'Anno sacerdotale è stato veramente una preziosa grazia per la Chiesa. Dobbiamo ringraziare molto Dio per le tante iniziative in favore del bene spirituale dei presbiteri e del loro ministero che sono state realizzate dappertutto in quest'anno, che adesso si sta per concludere. Tuttavia, conclusione non significa termine ma nuovo inizio, con nuovo ardore e con nuove energie spirituali per i sacerdoti e per la Chiesa nel suo insieme". Con queste parole il cardinale Cláudio Hummes, prefetto della Congregazione per il Clero, ha tracciato un primo sintetico bilancio dell'Anno sacerdotale che si concluderà il 10 giugno prossimo. L'occasione è stata la messa celebrata al termine del convegno organizzato, nel pomeriggio di martedì 8, presso il Pontificio Ateneo Regina Apostolorum, dal titolo "A immagine del Buon Pastore". Tra i relatori il cardinale prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Antonio Cañizares Llovera, e l'arcivescovo presidente della Pontificia Accademia per la Vita, del cui testo, sul tema "Sfide pastorali odierne nella vita di un sacerdote", presentiamo di seguito ampi stralci.

di Rino Fisichella

Quando si parla di sfide pastorali, normalmente, si pensa ad affrontare quanto il mondo pone dinanzi a noi come una provocazione. Questo è vero solo in parte. Le prime sfide che siamo chiamati a comprendere e a cui è necessario dare una risposta provengono direttamente all'interno della Chiesa e del nostro essere sacerdoti. Solo nella misura in cui saremo capaci di accettare e fare nostre queste sfide, solo allora saremo anche in grado di vedere come reali le sfide che il mondo pone e che la cultura di oggi rende sempre più manifeste come espressioni di grandi cambiamenti che richiedono il nostro apporto.

La prima sfida, quindi, è nell'ordine della verifica del nostro essere sacerdoti nel mondo di oggi per comprendere a pieno la portata della vocazione di cui siamo stati fatti oggetto. Il sacerdozio, infatti, non è una conquista umana o un diritto individuale, come molti oggi pensano, ma dono che Dio compie a quanti ha deciso di chiamare per restare con lui nel servizio alla sua Chiesa. Perdere di vista questa dimensione vocazionale equivarrebbe a equivocare tutto e fare del sacerdote un impiegato e non un uomo che svolge un ministero nel segno della piena gratuità. Accogliere questa considerazione permette di mettere in relazione il sacerdote, in primo luogo, con la realtà che lo pone in essere:  l'eucaristia.

La vera sfida consiste proprio nel comprendere noi stessi in relazione al mistero che celebriamo e che fa di ognuno di noi un sacerdote di Cristo. L'eucaristia permane come un dono inestinguibile che è stato fatto alla Chiesa e a ognuno di noi singolarmente; per questo è dovuto il rispetto e la devozione, senza mai pretendere che possiamo gestire il mistero di cui siamo servi come fossimo dei padroni. Tutto il nostro ministero deve essere caratterizzato dal mettere in primo piano non noi stessi e le nostre opinioni, ma Gesù Cristo. Se nell'azione liturgica - che è l'elemento peculiare del nostro ministero - noi diventassimo i protagonisti, contraddiremmo la nostra stessa identità sacerdotale e renderemmo vano il nostro ministero. Noi siamo "servi" e la nostra opera può essere efficace nella misura in cui rimanda a Cristo e noi veniamo percepiti come docili strumenti nelle sue mani per collaborare con lui alla salvezza.

Vivere del mistero eucaristico porta ad accogliere un'altra sfida, soprattutto se confrontata con il profondo individualismo del mondo contemporaneo, quella della communio che siamo chiamati a vivere tra noi. Formare l'unum presbyterium intorno al vescovo, per vivere di un amore vero e reale che sull'esempio del Maestro si realizza in una donazione piena e totale di sé a tutti, senza nulla chiedere in cambio. Lasciare tutto per vivere insieme al Maestro in un amore celibe che sa riconoscere quanti sono nel bisogno e nella solitudine per andare a tutti incontro. Ma questa comunione che siamo chiamati a vivere ci riporta di nuovo al tema precedente; è, in prima istanza, comunione con il "Corpo di Cristo".

La "vita", per usare il termine pregnante dell'evangelista Giovanni (1 Giovanni, 1, 2), si è fatta visibile e ora è posta nelle nostre mani nel segno del pane eucaristico; noi sacerdoti diveniamo per questo capaci di atti che superano la nostra stessa esistenza personale, perché agiamo in persona Christi. In altre parole, deve essere forte in noi la convinzione di esserci "rivestiti di Cristo", e per questo capaci di uno stile di vita nuovo che rende evidente a tutti che viviamo per un Altro e lo vogliamo rendere visibile in noi.

A partire da qui emergono altre sfide, questa volta a livello culturale, che richiedono una preparazione corrispondente per non apparire come incapaci nel saper dare una risposta agli uomini del nostro tempo. L'icona dei discepoli di Emmaus può essere significativa. L'evangelista accenna al fatto che stavano discutendo di quanto era accaduto in quei giorni durante i quali la loro speranza nel compimento della promessa antica sembrava svanita. L'avvicinarsi di Gesù non destò particolare stupore; all'epoca era normale che i viandanti si accostassero per compiere il tragitto insieme e così scambiare qualche chiacchiera per rendere meno faticoso il cammino.

I loro occhi, tuttavia, erano incapaci di riconoscere il Risorto e la domanda che questi pone loro su quanto stessero discutendo provoca nei discepoli la reazione conosciuta:  "Tu solo sei così forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto in questi giorni?" (Luca, 24, 18). L'espressione può essere facilmente applicabile a quanto si assiste spesso anche ai nostri giorni. La stessa domanda si potrebbe fare a tanti sacerdoti per chiedere loro se realmente sono consapevoli di quanto sta accadendo in questo frangente della storia nella quale siamo chiamati a svolgere il ministero in nome della Chiesa. Figli del nostro tempo, condividiamo le stesse aspirazioni e spesso le medesime forme di indifferenza. È necessario, per questo, avere una conoscenza profonda del proprio tempo e dei movimenti culturali che ne determinano gli stili di vita. Una cosa è costantemente verificabile nei duemila anni del cristianesimo:  l'attenzione permanente che la comunità cristiana ha avuto nei confronti del tempo in cui viveva e del contesto culturale in cui veniva a inserirsi.

Una lettura dei testi degli apologeti, dei Padri della Chiesa e dei vari maestri e santi che si sono succeduti nel corso di questi duemila anni mostrerebbe con estrema facilità l'attenzione al mondo circostante e il desiderio di inserirsi in esso per comprenderlo e orientarlo alla verità del Vangelo. Alla base di questa attenzione vi era la convinzione che nessuna forma d'evangelizzazione sarebbe stata efficace se la Parola di Dio non fosse entrata nella vita delle persone, nel loro modo di pensare e d'agire per chiamarle alla conversione.

Ritengo che una prima considerazione verta sul tema del profondo "cambiamento culturale" che stiamo vivendo. A livello d'analisi dei movimenti culturali sappiamo cosa stiamo lasciando alle nostre spalle, ma non sappiamo ancora con chiarezza verso dove stiamo andando. Se il passato si lascia descrivere con qualche sicurezza, anche se non senza difficoltà, il futuro, invece, rimane ancora avvolto nell'oscurità dell'ipotetico. Si conclude l'epoca della modernità che fino a oggi, nonostante tutto, non riusciamo ancora a definire con contorni chiari e stiamo andando verso la postmodernità, che già dal suo nascere porta con sé l'ambiguità del concetto proprio per avere assunto un termine che manca ancora di chiarezza.

Ciò a cui stiamo assistendo, di fatto, è un cambiamento epocale che parte dalla trasformazione dei concetti paradigmatici su cui si è costruita un'intera civiltà per millenni. Si dovrebbe riflettere, infatti, sul cambiamento progressivo - che sembra possedere, purtroppo, i tratti dell'inarrestabilità - di alcuni concetti quali:  natura, uomo, diritto, giustizia, verità, bellezza, legge... e dobbiamo aggiungere anche quello di "dio".

Perso il suo antico referente con l'intangibilità della natura, diventata ormai un laboratorio aperto a ogni forma di sperimentazione, l'uomo contemporaneo ha cambiato il suo modo di porsi dinanzi a essa, modificandone il concetto stesso. La natura viene sempre più interpretata come pura materia manipolabile, soggetta alla sola determinazione e volontà del ricercatore; essa non suscita più timore ma curiosità. La stessa cosa è per gli altri concetti a cui si è fatto riferimento. Se l'uomo stesso è soggetto alla manipolazione genetica e la sperimentazione sulla cellula umana continuerà con l'attuale rincorsa non solo nella giusta ricerca di evitare e poter debellare diverse patologie, ma in una clonazione o selezione eugenetica che già si applica sull'embrione, quale definizione dell'uomo daremo nei prossimi decenni?

Il moltiplicarsi delle richieste di nuovi diritti individuali che si vogliono imporre alla società, anche contro la stessa legge naturale, a cosa condurrà nella comprensione del diritto e per conseguenza, della famiglia, della sessualità e della società? Non è escluso da questo processo neppure il concetto per noi intangibile di Dio. In un contesto come quello attuale spesso segnato da un confuso confronto con le religioni a cui, a volte, è sotteso un inevitabile sincretismo, a quale idea di "dio" si farà riferimento nel prossimo futuro?

Un'ulteriore sfida che ritengo debba essere presa in considerazione riguarda il grande tema della verità. Un ministro della Chiesa dovrebbe sempre avere sotto gli occhi l'espressione Romano Guardini:  "Chi parla dica ciò che è, e come lo vede e lo intende. Dunque, che esprima anche con la parola quanto egli reca nel suo intimo. Può essere difficile in alcune circostanze, può provocare fastidi, danni e pericoli; ma la coscienza ci ricorda che la verità obbliga; che essa ha qualcosa di incondizionato, che possiede altezza". La quaestio de veritate non è un trattato di altri tempi né un reperto archeologico da lasciare nei magazzini per la rincorsa a un politically correct che impone di evitare ogni chiarezza - sia essa di carattere teologico o dottrinale - e per appiattire il tutto nella superficialità dei luoghi comuni o dei sentimenti maggiormente diffusi.

La verità permane certamente come una quaestio che chiede d'essere sottoposta al vaglio della ragione per portare ancora una ricchezza di sapienza all'interno del vivere personale e sociale. Un primo interrogativo a cui dare risposta, in ogni caso, può essere formulato così:  è proprio necessario, in questi tempi, parlare di verità? Di fatto facciamo esperienza di un tempo di povertà, di disagio, di mancanza di fiducia nella possibilità di accedere alla verità e, a farne le spese è in primo luogo la religione. Sempre meno troviamo forme tese a mostrare la fede come la risposta definitiva alla domanda di senso, mentre si moltiplicano le forme per evidenziare la non assurdità della fede; di rado vediamo presentare la fede come una radicale novità di vita che richiede la conversione, mentre ci si adagia sul fatto di un cristianesimo anonimo che tutti contiene senza nessuno disturbare; insomma, si preferisce sottacere le differenze, lasciare in ombra i conflitti, smussare gli spigoli. In breve, si ha paura di misurarsi fino in fondo con il problema della verità.

La paura per la verità pervade spesso i nostri ragionamenti, obbligandoci a una sorta di strabismo:  nella sfera privata conveniamo sulla crisi del tempo presente, mentre in pubblico si preferisce vestire gli abiti più opportuni della tolleranza. Senza verità, però, la vita sarebbe relegata in uno spazio effimero e il rischio di un sopruso del violento sul debole sarebbe sempre all'erta. La verità si inserisce per sua stessa natura all'interno di uno spazio di umanizzazione che crea progresso e permette lo svolgimento coerente dell'esistenza personale. Se anche il sacerdote, malauguratamente, perdesse la passione per la verità, allora la sua azione pastorale come la sua predicazione sarebbero condannate all'insignificanza.



(©L'Osservatore Romano - 9 giugno 2010)

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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08/06/2010 19:56
 
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uindicimila preti con il Papa alla veglia di giovedì e alla messa di venerdì

La chiusura dell'Anno sacerdotale
con il calice del curato d'Ars


Benedetto XVI celebrerà la messa di chiusura dell'Anno sacerdotale - in programma venerdì mattina, 11 giugno, in piazza San Pietro - con il calice usato da san Giovanni Maria Vianney, che si conserva nella parrocchia del curato d'Ars.

Lo riferisce il maestro delle Celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice, monsignor Guido Marini, anticipando che sarà l'eucaristia con il maggior numero di concelebranti - ne sono attesi quindicimila - mai avvenuta a Roma.

A motivo della straordinarietà della circostanza, la celebrazione, prevede anche altre particolarità. Anzitutto il rito dell'aspersione con l'acqua benedetta, come atto penitenziale:  quattro cardinali concelebranti si uniranno al Papa per aspergere l'assemblea. Si è pensato a questo rito - spiega monsignor Marini - considerando la solennità del Sacro Cuore e il riferimento al sangue e all'acqua sgorgati dal cuore del Signore per la salvezza del mondo, ma anche per riprendere il tema della purificazione, sul quale in diverse circostanze il Pontefice è ritornato di recente.

In secondo luogo, dopo l'omelia i presbiteri rinnoveranno le promesse sacerdotali, come nel giorno del Giovedì Santo alla messa crismale. Inoltre, al termine della celebrazione, prima della benedizione conclusiva, il Papa rinnoverà l'atto di affidamento e di consacrazione dei sacerdoti alla Vergine Maria, secondo la formula usata in occasione del recente pellegrinaggio a Fátima.
 
L'atto avverrà davanti all'originale della Madonna Salus populi Romani, a motivo del significato particolare che tale immagine mariana ha in Roma. Quarta e ultima particolarità:  un grande arazzo con l'immagine del santo curato d'Ars sarà collocato alla loggia centrale della Basilica. San Giovanni Maria Vianney è stato al centro dell'Anno sacerdotale e in questa occasione sarà proclamato da Benedetto XVI patrono di tutti i presbiteri.

In preparazione alla messa conclusiva, la sera di giovedì 10, con inizio alle 21.30, il Pontefice presiederà la veglia di preghiera, che sarà preceduta da un'ora di meditazioni e riflessioni curata dalla Congregazione per il Clero. Il programma prevede l'arrivo in papamobile di Benedetto XVI, accolto dal canto del Tu es Petrus e dal benvenuto del cardinale Hummes, prefetto del dicastero per il Clero. Il saluto liturgico del Papa con la successiva orazione e la lettura di una pagina evangelica introdurranno le domande da parte di cinque sacerdoti, alle quali si alterneranno le risposte di Benedetto XVI. Al canto del Pater noster seguirà poi la processione con il Santissimo Sacramento, che accederà in piazza dal portone di Bronzo della basilica Vaticana.

Il baldacchino processionale - preceduto da due guardie svizzere - viene retto da otto uomini dell'associazione Santi Pietro e Paolo, mentre dodici studenti universitari portano le torce. Il servizio liturgico è affidato al Pontificio Collegio Scozzese.
Dopo l'esposizione del Santissimo e un momento di adorazione silenziosa, il Papa reciterà la preghiera dell'Anno sacerdotale.

Infine l'inno Tantum ergo precederà la benedizione eucaristica seguita dal canto conclusivo Salve Regina che accompagnerà l'uscita del Pontefice, intorno alle 22.30, attraverso la porta centrale della basilica.

Venerdì mattina, alle 10, la messa, alla quale è prevista una partecipazione significativa anche da parte dei fedeli. Per questo si è disposto che circa quattrocento tra diaconi e sacerdoti, provvedano alla distribuzione della Comunione. In precedenza, dalle ore 9.10 alle ore 9.40, vengono eseguiti canti e brani musicali, al fine di disporre tutti a un clima di raccoglimento e di preghiera. Prima dell'inizio della celebrazione, in varie lingue saranno date indicazioni per aiutare i presenti a una partecipazione il più possibile dignitosa e attenta.

Benedetto XVI entrerà in piazza con la papamobile unendosi alla processione dei cardinali concelebranti e uscirà dalla piazza, al termine della messa, sempre in papamobile. Svolgeranno il servizio liturgico i seminaristi dei rogazionisti del Cuore di Gesù, considerando il loro specifico carisma vocazionale.


(©L'Osservatore Romano - 9 giugno 2010)


SI LEGGA ANCHE QUI

ATTENZIONE: Chiusura dell'Anno Sacerdotale, uniamoci al santo Padre e ai Sacerdoti




[Modificato da Caterina63 09/06/2010 10:55]
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L'udienza generale

Un'anticipazione
della chiusura
dell'Anno sacerdotale


"Lodare il Signore e rinnovare il proprio impegno":  sono queste, nelle intenzioni di Benedetto XVI, le finalità con cui i quindicimila preti convenuti in questi giorni a Roma parteciperanno giovedì sera e venerdì mattina alla chiusura dell'Anno sacerdotale. Se n'è già avuta un'anticipazione nel corso dell'udienza generale di mercoledì 9 giugno, in piazza San Pietro.

Tra i vari gruppi presenti, molti infatti erano i sacerdoti provenienti da ogni parte del mondo. Tra questi, una cinquantina di missionari d'Africa, meglio conosciuti come Padri bianchi.
 
La congregazione ha appena celebrato il ventisettesimo capitolo generale - sul tema "La nostra missione in Africa e al mondo africano" - nel quale è stato eletto superiore il ghanese Richard Baawobr. Scopo dell'istituto è l'annuncio del Vangelo agli uomini dell'Africa, con particolare attenzione ai seguaci dell'islam.
 
Queste priorità sono state ribadite nel corso degli ultimi due capitoli generali, che hanno scelto di privilegiare il dialogo con i musulmani e con le religioni tradizionali africane, e l'impegno a favore della giustizia e della pace. I missionari sono presenti in 21 Paesi del continente e svolgono il loro servizio anche tra gli immigrati africani presenti in Europa e America. I Padri bianchi sono anche a Gerusalemme - secondo la volontà del fondatore, il cardinale Charles-Martial Allemand Lavigerie, allora arcivescovo di Algeri - per essere una presenza orante in quel luogo simbolico e per promuovere il dialogo con le Chiese ortodosse.

Tra i sacerdoti e i seminaristi presenti all'udienza, anche i partecipanti alla Clericus cup, il campionato di calcio riservato ai preti e agli studenti dei seminari provenienti da tutto il mondo. Quest'anno la coppa è stata vinta dai giovani del collegio diocesano Redemptoris Mater di Roma, nella finale del 29 maggio. Il capitano della squadra Davide Tisato ha mostrato a Benedetto XVI il trofeo in argento per la benedizione. Ad accompagnare la trentina di rappresentanti delle sedici squadre che hanno partecipato al torneo, giunto alla quarta edizione, è stato monsignor Claudio Paganini, presidente della Clericus cup. Insieme con i giocatori c'era anche una delegazione del Centro sportivo italiano, organizzatore del torneo.

Sempre nell'ambito dello sport, erano presenti all'udienza circa 500 tra bambini, genitori e animatori sportivi provenienti da tutta Italia per il trofeo Enea, che si svolge al polo universitario La Sapienza di Pomezia dal 9 al 13 giugno. Si tratta di un trofeo nato per promuovere lo sport come valore umano e sociale per una sana crescita dei bambini, in vista di uno scambio e di un arricchimento culturale. Ad accompagnare i piccoli era don Antonio Ugenti, sacerdote paolino cappellano dell'università.

Dal calcio alla corsa per salvare le vite umane. È la "competizione" che sono tenuti a fare ogni giorno i circa 200 operatori, tra medici e infermieri, del servizio di elisoccorso presenti all'udienza. Sono trascorsi ormai trent'anni dal primo intervento con un'eliambulanza:  il servizio, infatti, venne istituito nel 1983 in Campania per opera del fondatore di Ema assistance.

Per l'occasione è stato portato in piazza San Pietro l'elicottero dell'Elitaliana, società laziale concessionaria del servizio medico di emergenza sanitaria, oltre a un'ambulanza di ultima generazione e un mezzo del soccorso alpino e speleologico. A salutare Benedetto XVI erano il direttore sanitario di Ares 118 del Lazio, De Santis, il comandante dell'Elitaliana, Giulivi, e il responsabile della società che gestisce gli elicotteri, Manfred Windisch-Graetz.


(©L'Osservatore Romano - 10 giugno 2010)


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ATTENZIONE: Chiusura dell'Anno Sacerdotale, uniamoci al santo Padre e ai Sacerdoti



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14/06/2010 19:38
 
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All'Angelus Benedetto XVI ricorda il contributo dei sacerdoti al rinnovamento spirituale e sociale
I primi operai
della civiltà dell'amore

I preti sono "i primi operai della civiltà dell'amore". Lo ha detto il Papa all'Angelus di domenica 13 giugno, in piazza San Pietro, ricordando le "giornate indimenticabili" della conclusione dell'Anno sacerdotale e sottolineando il contributo dei presbiteri al rinnovamento spirituale e sociale.

Cari fratelli e sorelle!
Si è concluso nei giorni scorsi l'Anno Sacerdotale. Qui a Roma abbiamo vissuto giornate indimenticabili, con la presenza di oltre quindicimila sacerdoti di ogni parte del mondo. Perciò, oggi desidero rendere grazie a Dio per tutti i benefici che da questo Anno sono venuti alla Chiesa universale. Nessuno potrà mai misurarli, ma certamente se ne vedono e ancor più se ne vedranno i frutti.

L'Anno Sacerdotale si è concluso nella solennità del Sacro Cuore di Gesù, che tradizionalmente è la "giornata di santificazione sacerdotale"; questa volta lo è stata in modo del tutto speciale. In effetti, cari amici, il sacerdote è un dono del Cuore di Cristo: un dono per la Chiesa e per il mondo. Dal Cuore del Figlio di Dio, traboccante di carità, scaturiscono tutti i beni della Chiesa, e in modo particolare trae origine la vocazione di quegli uomini che, conquistati dal Signore Gesù, lasciano tutto per dedicarsi interamente al servizio del popolo cristiano, sull'esempio del Buon Pastore. Il sacerdote è plasmato dalla stessa carità di Cristo, quell'amore che spinse Lui a dare la vita per i suoi amici e anche a perdonare i suoi nemici. Per questo i sacerdoti sono i primi operai della civiltà dell'amore.

E qui penso a tante figure di preti, noti e meno noti, alcuni elevati all'onore degli altari, altri il cui ricordo rimane indelebile nei fedeli, magari in una piccola comunità parrocchiale. Come è accaduto ad Ars, il villaggio della Francia dove svolse il suo ministero san Giovanni Maria Vianney. Non c'è bisogno di aggiungere parole a quanto è stato detto su di lui nei mesi scorsi. Ma la sua intercessione ci deve accompagnare ancora di più da ora in avanti. La sua preghiera, il suo "Atto di amore" che tante volte abbiamo recitato durante l'Anno Sacerdotale, continui ad alimentare il nostro colloquio con Dio.

Un'altra figura vorrei ricordare: Don Jerzy Popieluszko, sacerdote e martire, che è stato proclamato Beato proprio domenica scorsa, a Varsavia. Ha esercitato il suo generoso e coraggioso ministero accanto a quanti si impegnavano per la libertà, per la difesa della vita e la sua dignità. Tale sua opera al servizio del bene e della verità era un segno di contraddizione per il regime che governava allora in Polonia. L'amore del Cuore di Cristo lo ha portato a dare la vita, e la sua testimonianza è stata seme di una nuova primavera nella Chiesa e nella società. Se guardiamo alla storia, possiamo osservare quante pagine di autentico rinnovamento spirituale e sociale sono state scritte con l'apporto decisivo di sacerdoti cattolici, animati soltanto dalla passione per il Vangelo e per l'uomo, per la sua vera libertà, religiosa e civile. Quante iniziative di promozione umana integrale sono partite dall'intuizione di un cuore sacerdotale!

Cari fratelli e sorelle, affidiamo al Cuore Immacolato di Maria, di cui ieri abbiamo celebrato la memoria liturgica, tutti i sacerdoti del mondo, perché, con la forza del Vangelo, continuino a costruire in ogni luogo la civiltà dell'amore.



(©L'Osservatore Romano - 14-15 giugno 2010)
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29/10/2010 23:38
 
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La vita religiosa tra auto-secolarizzazione e bisogno di identità rispetto ai laici impegnati

Poderoso intervento, sull'Osservatore Romano, di Mons. Jean-Louis Bruguès, domenicano e vescovo emerito di Angers (Francia) dove - mi dicono le mie fonti locali - era molto apprezzato da clero, popolo e soprattutto dai religiosi; attualmente è segretario della Congr. per l'Educazione Cattolica. Espone nell'articolo la sua visione sui motivi della crisi della vita religiosa attiva.
 


Motivi che sottoscrivo pienamente e riflettono alcune intuizioni ormai diffuse. La colpa della diminuzione e sparizione della vita religiosa è causata da fenomeni interni alla Chiesa.

Il primo è l'auto-secolarizzazione dei religiosi, causata esclusivamente da ideologie abbracciate negli anni '60 e strenuamente portate avanti fino ad oggi, anche se è sotto gli occhi di tutti il totale fallimento dell'esperimento. Come nota Bruguès bisogna però dare atto ai religiosi che hanno percorso questa strada di esser stati, nella maggioranza dei casi, in buona fede, anche se ingannati dallo spirito del tempo e preda della temperie culturale. Il secondo fenomeno è positivo: si tratta della valorizzazione dei laici nella Chiesa post-conciliare. Questa però fa sì che i religiosi (e soprattutto le suore) non abbiano più gli spazi di movimento e di missione che precedentemente erano loro esclusivo appannaggio. La consacrazione religiosa per la vita attiva perde il suo motivo d'essere e crolla l'impianto che negli ultimi 400 anni ha diffuso tale tipo di vita consacrata nella chiesa latina.

Non è un dramma, almeno per noi che facciamo parte degli antichi ordini monastici o mendicanti medievali. Questo si sente molto nelle espressioni tecniche usate dall'autore dell'articolo. La crisi di identità è meno marcata più sono profonde le radice e più il genere di vita è agganciato all'ideale della vita consacrata che è stato, è oggi e sempre sarà l'ideale contemplativo, pur coniugato con la necessaria attività, la quale però - come insegna san Francesco - può essere di qualunque tipo, a seconda del momento storico, del luogo e delle necessità della Chiesa. 

Ma ora andiamo a leggere direttamente il pezzo:

Riscoprire l'essenziale della vocazione per sottrarsi ai condizionamenti della società
Vita religiosa e secolarizzazione

di Jean-Louis Bruguès

Arcivescovo segretario della Congregazione per l'Educazione Cattolica


La vita religiosa si trova oggi sottoposta a notevoli pressioni. In particolare, due tipi di condizionamento mi sembra meritino attenzione.

Il primo riguarda la secolarizzazione. Un fenomeno storico nato in Francia a metà del XVIII secolo, che ha finito per investire tutte le società che volevano entrare nella modernità. Anche l'apertura al mondo, giustamente proclamata dal concilio Vaticano II, è stata interpretata, sotto la pressione delle ideologie del momento, come un passaggio necessario alla secolarizzazione. E di fatto, negli ultimi cinquant'anni, abbiamo assistito a una formidabile iniziativa di auto-secolarizzazione all'interno della Chiesa.

Gli esempi non mancano: i cristiani sono pronti a impegnarsi al servizio della pace, della giustizia e delle cause umanitarie, ma credono ancora alla vita eterna?
Le nostre Chiese hanno messo in atto un immenso sforzo per rinnovare la catechesi, ma questa stessa catechesi parla ancora dell'escatologia, della vita dopo la morte?
Le nostre Chiese si sono impegnate nella maggior parte dei dibattiti etici del momento, ma discutono del peccato, della grazia e delle virtù teologali?
Le nostre Chiese hanno fatto ricorso al meglio del proprio ingegno per migliorare la partecipazione dei fedeli alla liturgia, ma quest'ultima non ha perduto, in gran parte, il senso del sacro, vale a dire quel retrogusto di eternità?
La nostra generazione, forse senza rendersene conto, non ha forse sognato una "Chiesa dei puri", mettendo in guardia contro ogni manifestazione di devozione popolare?

Che fine ha fatto, in tale contesto, quella vita religiosa che era stata presentata, in maniera tradizionale, come un segno escatologico e un'anticipazione del Regno a venire?

Di fatto, religiosi e religiose hanno presto abbandonato l'abito della propria famiglia per vestirsi come tutti gli altri
.

Spesso hanno abbandonato i propri conventi, giudicati troppo vistosi o troppo ricchi, a beneficio di piccole comunità sparse nei villaggi o nei grandi agglomerati urbani. Hanno scelto mestieri profani, si sono impegnati in attività sociali e caritative, oppure si sono messi al servizio di cause umanitarie. Si sono fatti simili agli altri e si sono fusi nella massa, talvolta per formare il lievito della pasta, ma anche, in molti casi, perché tale atteggiamento rispondeva al clima dei tempi.
Non dovremmo sottovalutare i meriti di tale impostazione né i benefici che ne ricava la Chiesa ancora oggi. Quei religiosi e quelle religiose, infatti, si sono fatti più vicini alle persone e, in particolare, ai più svantaggiati, mostrando un volto della Chiesa più umile e più fraterno.

Ciononostante, questa forma di vita religiosa non sembra avere più un futuro, non attira quasi più vocazioni.


La quasi totalità delle congregazioni attive, nate nel XIX secolo o all'inizio del XX, si trovano quindi colpite a morte, e la loro scomparsa è solo una questione di tempo. Le case generalizie e i grandi conventi si sono già trasformati in case di riposo per anziani.
Fra il 1973 e il 1985, 268 congregazioni francesi delle 369 esistenti hanno chiuso il proprio noviziato [cifre da capogiro]. La situazione, da allora, non ha fatto che peggiorare. L'auto-secolarizzazione ha minato alle fondamenta la vita religiosa. La crisi ha colpito soprattutto le forme di vita attiva, meno quelle contemplative, perché la secolarizzazione aveva orientato tutto ciò che è religioso verso la militanza o l'impegno sociale.
Il fatto è che il militante o la persona impegnata nel sociale, oggi, ci tengono a rimanere laici.

Eccoci alla seconda tipologia di pressione esercitata sulla vita religiosa.
Per affrontare la sfida della secolarizzazione, il Concilio ha avuto la geniale intuizione di affidare questa missione ai laici. Coloro che avevano l'avventura di essere gli attori principali della società secolare non erano forse i più appropriati per realizzare tale compito?
Il Vaticano II ha valorizzato - non dico che ha rivalorizzato, poiché una simile impresa non ha mai avuto luogo nel passato - la vocazione dei laici. Tuttavia, proprio la valorizzazione del laicato ha provocato una sorta di schiacciamento della vita religiosa "attiva".
Se quest'ultima, infatti, ha riconosciuto a lungo la propria identificazione con un servizio specifico offerto alla Chiesa e alla società - come l'insegnamento nelle scuole o la cura dei malati negli ospedali - dal momento in cui i laici venivano chiamati a fornire gli stessi servizi e a dedicarsi ad attività simili, la vita religiosa attiva perdeva la sua ragion d'essere. Oggi non è più necessario passare per una consacrazione per fornire gli stessi servizi.

Quando ci troviamo in presenza di una maestra che insegna con passione o di un'infermiera servizievole, desiderose di condurre una vita autenticamente cristiana, potremmo domandarci se la stessa donna, cento o centocinquanta anni fa, non si sarebbe presentata alla porta di una di quelle neonate congregazioni che abbiamo evocato poco fa.

Questo ci porta alla seguente conclusione:

oggi più che mai, la vita religiosa non può essere definita partendo da un "fare", bensì da un modo di essere e da uno stile di vita
. I due rischi che abbiamo appena descritto in forma sintetica e - non ho difficoltà ad ammetterlo - senza troppe sfumature, dell'auto-secolarizzazione e della valorizzazione del laicato, costituiscono un pericolo per la vita religiosa. La loro combinazione ha provocato in quest'ultima una sorta d'implosione.
 
Quindi, la situazione attuale della vita religiosa, soprattutto nelle Chiese occidentali, si presenta in modo paradossale. Da una parte, dopo il Concilio, godiamo dei vantaggi di un importante rinnovamento della teologia della vita religiosa. Dall'altra, abbiamo assistito al crollo di numerose congregazioni, così come a una fioritura di nuove forme di vita religiosa nella prima metà degli anni Settanta.
Questo carattere paradossale c'invita dunque a tornare all'essenziale. A cominciare dal fatto che la vita religiosa è unica nella sua essenza e plurale nelle sue forme.

In altri termini, queste molteplici forme nascono tutte da un tronco comune, quello della vita e della tradizione monastica [indubitabile, precedenza alla consacrazione per la contemplazione]. Di conseguenza, la prima dimensione è mistica: la vita religiosa c'immerge nel mistero della morte e della risurrezione di Cristo. È dunque sbagliato definire un istituto a partire della sua attività
 [spot francescano: qual è il carisma del tuo Ordine san Francesco? Risposta: Non saprei proprio, proviamo a vivere il Vangelo. Può andare?].
Anche se è stato in questo modo che sono state concepite le congregazioni nate nei due secoli scorsi.
Questa chiamata a stare con il Signore viene trasmessa a una singola persona - ogni vocazione è molto personalizzata e non esistono due percorsi che siano veramente simili - invitandola però a unirsi a una comunità specifica.

Alcuni sperimentano una sorta di colpo di fulmine nei confronti di una comunità e non gli viene neanche in mente d'andare a bussare a un'altra porta. Altri, invece, si concedono un lungo tempo di riflessione, durante il quale fanno il giro di molte case e si dedicano a studi comparativi molto accurati.

In ogni epoca ci sono stati matrimoni d'amore e matrimoni di ragione. Quel che è certo, però, è che l'attrazione è sempre legata alla vita comunitaria. Infatti, il codice di diritto canonico definisce quella religiosa come una vita essenzialmente comunitaria [convento= cum-venire, stare insieme]. E questa vita comunitaria è eminentemente spirituale nella misura in cui è lo Spirito Santo che la anima e la porta avanti. Possiamo quindi dedurne che la fede data dallo Spirito rappresenta la chiave di lettura di tutti gli elementi che costituiscono la vita religiosa, a cominciare dai voti e dalla preghiera.

In questo senso, la povertà religiosa non è un concetto sociologico. Non è fatta per dare l'esempio della povertà. La parola stessa non ha fatto la sua comparsa se non in epoca tarda; prima, si parlava di sine proprio [locuzione che si trova nella Regola francescana], oppure di communio, termini molto più suggestivi.
Il voto religioso corrisponde dunque a un atto di fede per mezzo del quale il religioso accetta quel dono dello Spirito che lo impegna a non tenere nulla per sé, al fine di vivere nel modo più intenso possibile la sua comunione con la vita fraterna.

Allo stesso modo, l'obbedienza religiosa non è in primis di natura ascetica o pedagogica. Indubbiamente, presuppone un'ascesi nella misura in cui implica una certa rinuncia alla propria volontà. Presenta, inoltre, una dimensione pedagogica, nella misura in cui mira a educare in noi la libertà dei figli di Dio. La sua natura, però, è essenzialmente mistica: ci fa entrare in un sistema in cui comanda lo Spirito.
 
La fede ci porta ad affermare che il comandamento dato non viene innanzitutto dalla volontà del superiore - anche se porta il marchio della sua psicologia, forse anche della sua patologia - ma dallo Spirito, del quale il superiore è, in un certo senso, il rappresentate visibile. A quel punto, smettiamo di comportarci come singole entità, per diventare un corpo fraterno.

Anche tra l'amore umano e la castità religiosa - che pur possiedono diversi punti in comune - esiste una differenza essenziale. L'amore umano comporta una scelta e una conquista, si presenta come un amore d'esclusione: scegliere una donna specifica comporta rinunciare a tutte le altre.

Ora, contrariamente alle apparenze, che ci portano a sostenere che abbiamo scelto noi di diventare carmelitani o domenicani, la vita religiosa non si sceglie: ci troviamo coinvolti in questa vita sotto l'impulso dello Spirito. Per ognuno di noi, sarebbe impossibile rimanere fedeli alle promesse del nostro battesimo al di fuori della vita religiosa. In quest'ultima, non esiste alcuna conquista né alcuna esclusione: lo Spirito ci rende partecipi di una comunità d'accoglienza in cui tutti debbono imparare a vivere come fratelli.

Infine, è nella fede data dallo Spirito che viviamo la preghiera, non come un'attività come le altre, ovvero solo un'attività in più, né come una minaccia per le diverse attività implicate dallo stile di vita - tutti noi conosciamo bene quella tensione fra il nostro lavoro e il tempo dedicato alla preghiera, che equivale troppo spesso a un tempo residuo. Nel simbolismo monastico il chiostro, ovvero l'apertura allo Spirito, rappresenta il legame fra la chiesa, luogo di preghiera (Opus Dei) e i diversi luoghi di lavoro (opus hominis) ma come una scuola in cui impariamo a diventare un "mendicante del Signore" [come poteva concludere un domenicano?].

(©L'Osservatore Romano - 20 ottobre 2010)


Testo presto da: http://www.cantualeantonianum.com/2010/10/poderoso-intervento-sull-osservatore.html#ixzz13mkvgwiO

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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