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Nuovo Regolamento per i Centri Missionari Diocesani approvato dalla CEI

Ultimo Aggiornamento: 01/12/2012 23:22
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Schema di Regolamento per i Centri Missionari Diocesani


E' stato approvato dalla Presidenza della CEI il 13 giugno scorso


ROMA, giovedì, 19 luglio 2012 (ZENIT.org).- Riprendiamo il nuovo Schema di Regolamento per i Centri Missionari Diocesani. Il documento, che è stato approvato dalla Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) lo scorso 13 giugno, sostituisce il precedente Statuto per i Centri Missionari Diocesani del 1969. Il nuovo testo è tratto dal sito della CEI.

***

Costituzione

1. Nella Diocesi di … è costituito, all’interno della Curia diocesana, il Centro Missionario Diocesano (1) con lo scopo di promuovere, sostenere e coordinare, anche in collaborazione con altri uffici, enti e organismi, la pastorale missionaria sul territorio e nel mondo.

Natura e finalità

2. Il Centro Missionario Diocesano:

a. è lo strumento principale di cui il Vescovo, primo responsabile della vita missionaria della Chiesa particolare, si serve per promuovere, dirigere e coordinare l’attività missionaria;

b. agisce in stretta collaborazione con gli altri settori pastorali nell’elaborazione e attuazione del piano pastorale della Diocesi, specialmente per ciò che attiene all’animazione missionaria, all’annuncio del Vangelo, all’educazione dei giovani alla mondialità, alla proposta di nuovi stili di vita ispirati al Vangelo, alla diffusione di una cultura attenta alle questioni della pace, della giustizia, della solidarietà internazionale, della salvaguardia del creato;

c. include la Direzione diocesana delle Pontificie Opere Missionarie, che contribuiscono alla pastorale missionaria per il loro carattere universale e per il loro specifico sostegno alla missione ad gentes.

Compiti

3. Spetta al Centro Missionario Diocesano:

a. predisporre e realizzare, insieme agli Istituti di vita consacrata, alle Società di vita apostolica e agli altri Organismi missionari presenti in Diocesi, percorsi di animazione e formazione per far riscoprire e vivere l’impegno missionario come realtà costitutiva della Chiesa e vocazione naturale di ogni cristiano;

b. coordinare le iniziative e, per il tramite dell’Economato diocesano, le raccolte di offerte a carattere missionario promosse nell’ambito della Diocesi, dandone puntuale resoconto alla comunità ecclesiale locale;

c. promuovere e organizzare, in particolare, la partecipazione della comunità ecclesiale locale alle collette missionarie a carattere universale, con particolare riguardo alla raccolta di offerte in occasione della Giornata missionaria mondiale e della Giornata missionaria dei ragazzi;

d. promuovere la cooperazione con le altre Chiese del mondo mediante iniziative di reciproco ascolto, scambio di personale apostolico e collaborazione in progetti di evangelizzazione e di sviluppo;

e. mantenere i rapporti tra la comunità locale e i missionari da essa inviati, sostenendoli durante la permanenza all’estero e valorizzandone l’esperienza al rientro;

f. accogliere e valorizzare la presenza del personale apostolico proveniente da altre Chiese, accompagnandone l’inserimento nel contesto diocesano;

g. sensibilizzare i fedeli ai bisogni delle Chiese più povere e alle iniziative di solidarietà in loro favore;

h. curare i rapporti con gli altri Centri Missionari Diocesani della propria Regione.

Direttore

4. Il Direttore del Centro Missionario Diocesano:

a. viene scelto e nominato dal Vescovo tra persone dotate della necessaria sensibilità e competenza;

b. è Direttore Diocesano delle Pontificie Opere Missionarie;

c. è il referente degli uffici e organismi missionari nazionali e la sua nomina è comunicata alla Direzione della Fondazione Missio;

d. rappresenta il Centro Missionario Diocesano nelle sedi opportune;

e. a giudizio del Vescovo diocesano, costituisce l’équipe del Centro Missionario Diocesano, ne nomina i membri d’accordo con il Vescovo, la presiede e ne coordina il lavoro;

f. partecipa alle riunioni della Commissione Missionaria Regionale e tiene i collegamenti con il Presidente e il Segretario della stessa;

g. vigila affinché le offerte raccolte per un determinato scopo siano impiegate rispettandone la destinazione.

L’équipe

5. L’équipe del Centro Missionario Diocesano, laddove costituita:

a. è l’organo operativo del Centro Missionario Diocesano ed affianca il Direttore anche nei compiti di segreteria;

b. è composta da quanti a diverso titolo vi collaborano stabilmente, preferibilmente scelti tra persone che siano aperte e interessate alla missione o che abbiano vissuto un’esperienza missionaria diretta, nominati a norma dell’art. 4, lettera e;

c. può avvalersi di una commissione (o consulta), composta dai rappresentanti degli animatori missionari parrocchiali e delle realtà missionarie presenti in Diocesi, luogo di comunione, di studio, di consultazione e di elaborazione di proposte missionarie.

Il Segretario

6. Il Direttore può essere coadiuvato da un Segretario, da lui scelto d’accordo con il Vescovo all’interno dell’équipe.

Mezzi economici

7. Il Centro Missionario Diocesano, attenendosi alle determinazioni contenute nell’Istruzione in materia amministrativa, in particolare nei nn. 32, 89 e 90, della Conferenza Episcopale Italiana del 1° settembre 2005, trae i mezzi economici necessari al suo funzionamento:

a. dai fondi previsti nel bilancio della Diocesi per gli uffici e le attività pastorali;

b. da offerte, contributi e oblazioni di enti e persone;

c. dalla trattenuta del 7% sulle offerte raccolte in occasione della Giornata missionaria mondiale e della Giornata missionaria dei ragazzi.

Rendicontazione

8. È compito del Centro Missionario Diocesano presentare all’Economato puntuale rendicontazione dell’attività svolta.

Rapporti con la Fondazione Missio

9. Il Centro Missionario Diocesano opera in sinergia con la Fondazione Missio, costituita dalla Conferenza Episcopale Italiana al fine di sostenere e promuovere la dimensione missionaria della comunità ecclesiale italiana.

Rapporti con la Commissione Missionaria Regionale

10. Il Centro Missionario Diocesano trova nella Commissione Missionaria Regionale il luogo di coordinamento con gli altri Centri Missionari Diocesani, gli Istituti di vita consacrata, le Società di vita apostolica e gli Organismi missionari operanti nella regione per attuare i programmi elaborati in ambito nazionale e per realizzare specifiche iniziative a livello regionale.

*

NOTE

(1) Nel rispetto della storia locale, il Centro Missionario Diocesano può essere denominato Ufficio Missionario Diocesano o con altra titolazione analoga.




[SM=g1740733]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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01/12/2012 23:22
 
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[SM=g1740733]  ATTENZIONE..... è uscito il Motu Proprio del Papa il quale deve essere letto ed applicato insieme al Documento della CEI sopra....


LETTERA APOSTOLICA
IN FORMA DI MOTU PROPRIO

DE CARITATE MINISTRANDA

DEL SOMMO PONTEFICE
BENEDETTO XVI

SUL SERVIZIO DELLA CARITÀ

 

Proemio

«L'intima natura della Chiesa si esprime in un triplice compito: annuncio della Parola di Dio (kerygma-martyria), celebrazione dei Sacramenti (leiturgia), servizio della carità (diakonia). Sono compiti che si presuppongono a vicenda e non possono essere separati l’uno dall’altro» (Lett. enc. Deus caritas est, 25).

Anche il servizio della carità è una dimensione costitutiva della missione della Chiesa ed è espressione irrinunciabile della sua stessa essenza (cfr ibidem); tutti i fedeli hanno il diritto ed il dovere di impegnarsi personalmente per vivere il comandamento nuovo che Cristo ci ha lasciato (cfr Gv 15,12), offrendo all’uomo contemporaneo non solo aiuto materiale, ma anche ristoro e cura dell’anima (cfr Lett. enc. Deus caritas est, 28). All’esercizio della diakonia della carità la Chiesa è chiamata anche a livello comunitario, dalle piccole comunità locali alle Chiese particolari, fino alla Chiesa universale; per questo c’è bisogno anche di un’«organizzazione quale presupposto per un servizio comunitario ordinato» (cfr ibid., 20), organizzazione articolata pure mediante espressioni istituzionali.

A proposito di questa diakonia della carità, nella Lettera enciclica Deus caritas est segnalavo che «alla struttura episcopale della Chiesa […] corrisponde il fatto che, nelle Chiese particolari, i Vescovi quali successori degli Apostoli portino la prima responsabilità della realizzazione» del servizio della carità (n. 32), e notavo che «il Codice di Diritto Canonico, nei canoni riguardanti il ministero episcopale, non tratta espressamente della carità come di uno specifico ambito dell'attività episcopale» (ibidem). Anche se «il Direttorio per il ministero pastorale dei Vescovi ha approfondito più concretamente il dovere della carità come compito intrinseco della Chiesa intera e del Vescovo nella sua Diocesi» (ibidem), rimaneva comunque il bisogno di colmare la suddetta lacuna normativa in modo da esprimere adeguatamente, nell'ordinamento canonico, l'essenzialità del servizio della Carità nella Chiesa ed il suo rapporto costitutivo con il ministero episcopale, tratteggiando i profili giuridici che tale servizio comporta nella Chiesa, soprattutto se esercitato in maniera organizzata e col sostegno esplicito dei Pastori.

In tale prospettiva, perciò, col presente Motu Proprio intendo fornire un quadro normativo organico che serva meglio ad ordinare, nei loro tratti generali, le diverse forme ecclesiali organizzate del servizio della carità, che è strettamente collegata alla natura diaconale della Chiesa e del ministero episcopale.

E’ importante, comunque, tenere presente che «l’azione pratica resta insufficiente se in essa non si rende percepibile l’amore per l’uomo, un amore che si nutre dell’incontro con Cristo» (ibid., 34). Pertanto, nell’attività caritativa, le tante organizzazioni cattoliche non devono limitarsi ad una mera raccolta o distribuzione di fondi, ma devono sempre avere una speciale attenzione per la persona che è nel bisogno e svolgere, altresì, una preziosa funzione pedagogica nella comunità cristiana, favorendo l’educazione alla condivisione, al rispetto e all’amore secondo la logica del Vangelo di Cristo. L’attività caritativa della Chiesa, infatti, a tutti i livelli, deve evitare il rischio di dissolversi nella comune organizzazione assistenziale, divenendone una semplice variante (cfr ibid., 31).

Le iniziative organizzate che, nel settore della carità, vengono promosse dai fedeli nei vari luoghi sono molto differenti tra di loro e richiedono un’appropriata gestione. In modo particolare, si è sviluppata a livello parrocchiale, diocesano, nazionale ed internazionale l'attività della «Caritas», istituzione promossa dalla Gerarchia ecclesiastica, che si è giustamente guadagnata l’apprezzamento e la fiducia dei fedeli e di tante altre persone in tutto il mondo per la generosa e coerente testimonianza di fede, come pure per la concretezza nel venire incontro alle richieste dei bisognosi. Accanto a quest'ampia iniziativa, sostenuta ufficialmente dall'autorità della Chiesa, nei vari luoghi sono sorte molteplici altre iniziative, scaturite dal libero impegno di fedeli che, in forme differenti, vogliono contribuire col proprio sforzo a testimoniare concretamente la carità verso i bisognosi. Le une e le altre sono iniziative diverse per origine e per regime giuridico, pur esprimendo egualmente sensibilità e desiderio di rispondere ad un medesimo richiamo.

La Chiesa in quanto istituzione non può dirsi estranea alle iniziative promosse in modo organizzato, libera espressione della sollecitudine dei battezzati per le persone ed i popoli bisognosi. Perciò i Pastori le accolgano sempre come manifestazione della partecipazione di tutti alla missione della Chiesa, rispettando le caratteristiche e l’autonomia di governo che, secondo la loro natura, competono a ciascuna di esse quali manifestazione della libertà dei battezzati.

Accanto ad esse, l’autorità ecclesiastica ha promosso, di propria iniziativa, opere specifiche, attraverso le quali provvede istituzionalmente ad incanalare le elargizioni dei fedeli, secondo forme giuridiche e operative adeguate che consentano di arrivare più efficacemente a risolvere i concreti bisogni.

Tuttavia, nella misura in cui dette attività siano promosse dalla Gerarchia stessa, oppure siano esplicitamente sostenute dall'autorità dei Pastori, occorre garantire che la loro gestione sia realizzata in accordo con le esigenze dell'insegnamento della Chiesa e con le intenzioni dei fedeli, e che rispettino anche le legittime norme date dall'autorità civile. Davanti a queste esigenze, si rendeva necessario determinare nel diritto della Chiesa alcune norme essenziali, ispirate ai criteri generali della disciplina canonica, che rendessero esplicite in questo settore di attività le responsabilità giuridiche assunte in materia dai vari soggetti implicati, delineando, in modo particolare, la posizione di autorità e di coordinamento al riguardo che spetta al Vescovo diocesano. Dette norme dovevano avere, tuttavia, sufficiente ampiezza per comprendere l’apprezzabile varietà di istituzioni di ispirazione cattolica, che come tali operano in questo settore, sia quelle nate su impulso dalla stessa Gerarchia, sia quelle sorte dall’iniziativa diretta dei fedeli, ma accolte ed incoraggiate dai Pastori del luogo. Pur essendo necessario stabilire norme a questo riguardo, occorreva però tener conto di quanto richiesto dalla giustizia e dalla responsabilità che i Pastori assumono di fronte ai fedeli, nel rispetto della legittima autonomia di ogni ente.

Parte dispositiva

Di conseguenza, su proposta del Cardinale Presidente del Pontificio Consiglio «Cor Unum», sentito il parere del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, stabilisco e decreto quanto segue:

Art. 1

§ 1. I fedeli hanno il diritto di associarsi e d'istituire organismi che mettano in atto specifici servizi di carità, soprattutto in favore dei poveri e dei sofferenti. Nella misura in cui risultino collegati al servizio di carità dei Pastori della Chiesa e/o intendano avvalersi per tale motivo del contributo dei fedeli, devono sottoporre i propri Statuti all'approvazione della competente autorità ecclesiastica ed osservare le norme che seguono.

§ 2. Negli stessi termini, è anche diritto dei fedeli costituire fondazioni per finanziare concrete iniziative caritative, secondo le norme dei cann. 1303 CIC e 1047 CCEO. Se questo tipo di fondazioni rispondesse alle caratteristiche indicate nel § 1 andranno anche osservate, congrua congruis referendo, le disposizioni della presente legge.

§ 3. Oltre ad osservare la legislazione canonica, le iniziative collettive di carità a cui fa riferimento il presente Motu Proprio sono tenute a seguire nella propria attività i principi cattolici e non possono accettare impegni che in qualche misura possano condizionare l'osservanza dei suddetti principi.

§ 4. Gli organismi e le fondazioni promossi con fini di carità dagli Istituti di vita consacrata e Società di vita apostolica sono tenuti all'osservanza delle presenti norme ed in essi deve anche seguirsi quanto stabilito dai cann. 312 § 2 CIC e 575 § 2 CCEO.

Art. 2

§ 1. Negli Statuti di ciascun organismo caritativo a cui fa riferimento l'articolo precedente, oltre alle cariche istituzionali ed alle strutture di governo secondo il can. 95 § 1 CIC, saranno espressi anche i principi ispiratori e le finalità dell'iniziativa, le modalità di gestione dei fondi, il profilo dei propri operatori, nonché i rapporti e le informazioni da presentare all'autorità ecclesiastica competente.

§ 2. Un organismo caritativo può usare la denominazione di "cattolico" solo con il consenso scritto dell'autorità competente, come indicato dal can. 300 CIC.

§ 3. Gli organismi promossi dai fedeli ai fini della carità possono avere un Assistente ecclesiastico nominato a norma degli Statuti, secondo i cann. 324 § 2 e 317 CIC.

§ 4. Allo stesso tempo, l'autorità ecclesiastica tenga presente il dovere di regolare l'esercizio dei diritti dei fedeli secondo i cann. 223 § 2 CIC e 26 § 3 CCEO, onde venga evitato il moltiplicarsi delle iniziative di servizio di carità a detrimento dell'operatività e dell'efficacia rispetto ai fini che si propongono.

Art. 3

§ 1. Agli effetti degli articoli precedenti, s'intende per autorità competente, nei rispettivi livelli, quella indicata dai cann. 312 CIC e 575 CCEO.

§ 2. Trattandosi di organismi non approvati a livello nazionale, anche se operanti in varie diocesi, per autorità competente si intende il Vescovo diocesano del luogo dove l'ente abbia la sua sede principale. In ogni caso, l'organizzazione ha il dovere di informare i Vescovi delle altre diocesi ove operasse, e di rispettare le loro indicazioni riguardanti le attività delle varie entità caritative presenti in diocesi.

Art. 4

§ 1. Il Vescovo diocesano (cfr can. 134 § 3 CIC e can. 987 CCEO) esercita la propria sollecitudine pastorale per il servizio della carità nella Chiesa particolare a lui affidata in qualità di Pastore, guida e primo responsabile di tale servizio.

§ 2. Il Vescovo diocesano favorisce e sostiene iniziative ed opere di servizio al prossimo nella propria Chiesa particolare, e suscita nei fedeli il fervore della carità operosa come espressione di vita cristiana e di partecipazione alla missione della Chiesa, come segnalato dai cann. 215 e 222 CIC e 25 e 18 CCEO.

§ 3. Spetta al rispettivo Vescovo diocesano vigilare affinché nell'attività e nella gestione di questi organismi siano sempre osservate le norme del diritto universale e particolare della Chiesa, nonché le volontà dei fedeli che avessero fatto donazioni o lasciti per queste specifiche finalità (cfr cann. 1300 CIC e 1044 CCEO).

Art. 5

Il Vescovo diocesano assicuri alla Chiesa il diritto di esercitare il servizio della carità, e curi che i fedeli e le istituzioni sottoposte alla sua vigilanza osservino la legittima legislazione civile in materia.

Art. 6

E' compito del Vescovo diocesano, come indicato dai cann. 394 § 1 CIC e 203 § 1 CCEO, coordinare nella propria circoscrizione le diverse opere di servizio di carità, sia quelle promosse dalla Gerarchia stessa, sia quelle rispondenti all'iniziativa dei fedeli, fatta salva l'autonomia che loro competesse secondo gli Statuti di ciascuna. In particolare, curi che le loro attività mantengano vivo lo spirito evangelico.

Art. 7

§ 1. Le entità di cui all'art. 1 § 1 sono tenute a selezionare i propri operatori tra persone che condividano, o almeno rispettino, l'identità cattolica di queste opere.

§ 2. Per garantire la testimonianza evangelica nel servizio della carità, il Vescovo diocesano curi che quanti operano nella pastorale caritativa della Chiesa, accanto alla dovuta competenza professionale, diano esempio di vita cristiana e testimonino una formazione del cuore che documenti una fede all'opera nella carità. A tale scopo provveda alla loro formazione anche in ambito teologico e pastorale, con specifici curricula concertati con i dirigenti dei vari organismi e con adeguate offerte di vita spirituale.

Art.8

Ove fosse necessario per numero e varietà di iniziative, il Vescovo diocesano stabilisca nella Chiesa a lui affidata un ufficio che a nome suo orienti e coordini il servizio della carità.

Art. 9

§ 1. Il Vescovo favorisca la creazione, in ogni parrocchia della sua circoscrizione, d'un servizio di «Caritas» parrocchiale o analogo, che promuova anche un’azione pedagogica nell’ambito dell’intera comunità per educare allo spirito di condivisione e di autentica carità. Qualora risultasse opportuno, tale servizio sarà costituito in comune per varie parrocchie dello stesso territorio.

§ 2. Al Vescovo ed al parroco rispettivo spetta assicurare che, nell'ambito della parrocchia, insieme alla «Caritas» possano coesistere e svilupparsi altre iniziative di carità, sotto il coordinamento generale del parroco, tenendo conto tuttavia di quanto indicato nell'art. 2 § 4.

§ 3. E' dovere del Vescovo diocesano e dei rispettivi parroci evitare che in questa materia i fedeli possano essere indotti in errore o in malintesi, sicché dovranno impedire che attraverso le strutture parrocchiali o diocesane vengano pubblicizzate iniziative che, pur presentandosi con finalità di carità, proponessero scelte o metodi contrari all'insegnamento della Chiesa.

Art. 10

§ 1. Al Vescovo spetta la vigilanza sui beni ecclesiastici degli organismi caritativi soggetti alla sua autorità.

§ 2. E' dovere del Vescovo diocesano assicurarsi che i proventi delle collette svolte ai sensi dei cann. 1265 e 1266 CIC, e cann. 1014 e 1015 CCEO, vengano destinati alle finalità per cui siano stati raccolti [cann. 1267 CIC, 1016 CCEO).

§ 3. In particolare, il Vescovo diocesano deve evitare che gli organismi di carità che gli sono soggetti siano finanziati da enti o istituzioni che perseguono fini in contrasto con la dottrina della Chiesa.
Parimenti, per non dare scandalo ai fedeli, il Vescovo diocesano deve evitare che organismi caritativi accettino contributi per iniziative che, nella finalità o nei mezzi per raggiungerle, non corrispondano alla dottrina della Chiesa.

§ 4. In modo particolare, il Vescovo curi che la gestione delle iniziative da lui dipendenti sia testimonianza di sobrietà cristiana. A tale scopo vigilerà affinché stipendi e spese di gestione, pur rispondendo alle esigenze della giustizia ed ai necessari profili professionali, siano debitamente proporzionate ad analoghe spese della propria Curia diocesana.

§ 5. Per consentire che l'autorità ecclesiastica di cui all'art. 3 § 1 possa esercitare il suo dovere di vigilanza, le entità menzionate nell'art. 1 § 1 sono tenute a presentare all’Ordinario competente il rendiconto annuale, nel modo indicato dallo stesso Ordinario.

Art. 11

Il Vescovo diocesano è tenuto, se necessario, a rendere pubblico ai propri fedeli il fatto che l'attività d'un determinato organismo di carità non risponda più alle esigenze dell'insegnamento della Chiesa, proibendo allora l'uso del nome "cattolico" ed adottando i provvedimenti pertinenti ove si profilassero responsabilità personali.

Art. 12

§ 1. II Vescovo diocesano favorisca l'azione nazionale ed internazionale degli organismi di servizio della carità sottoposti alla sua cura, in particolare la cooperazione con le circoscrizioni ecclesiastiche più povere analogamente a quanto stabilito dai cann. 1274 § 3 CIC e 1021 § 3 CCEO.

§ 2. La sollecitudine pastorale per le opere di carità, a seconda delle circostanze di tempo e di luogo, può essere esplicata congiuntamente da vari Vescovi viciniori nei riguardi di più Chiese insieme, a norma del diritto. Se si trattasse di ambito internazionale, sia consultato preventivamente il competente Dicastero della Santa Sede. E’ opportuno, inoltre, che, per iniziative di carità a livello nazionale, sia consultato da parte del Vescovo l’ufficio relativo della Conferenza Episcopale.

Art. 13

Resta sempre integro il diritto dell'autorità ecclesiastica del luogo di dare il suo assenso alle iniziative di organismi cattolici da svolgere nell'ambito della sua competenza, nel rispetto della normativa canonica e dell'identità propria dei singoli organismi, ed è suo dovere di Pastore vigilare perché le attività realizzate nella propria diocesi si svolgano conformemente alla disciplina ecclesiastica, proibendole o adottando eventualmente i provvedimenti necessari se non la rispettassero.

Art. 14

Dove sia opportuno, il Vescovo promuova le iniziative di servizio della carità in collaborazione con altre Chiese o Comunità ecclesiali, fatte salve le peculiarità proprie di ciascuno.

Art. 15

§ 1. II Pontificio Consiglio «Cor Unum» ha il compito di promuovere l'applicazione di questa normativa e di vigilare affinché sia applicata a tutti i livelli, ferma restando la competenza del Pontificio Consiglio per i Laici sulle associazioni di fedeli, prevista dall'art 133 della Cost. ap. Pastor Bonus, e quella propria della Sezione per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato e fatte salve le competenze generali degli altri Dicasteri e Organismi della Curia Romana. In particolare il Pontificio Consiglio «Cor Unum» curi che il servizio della carità delle istituzioni cattoliche in ambito internazionale si svolga sempre in comunione con le rispettive Chiese particolari.

§ 2. Al Pontificio Consiglio «Cor Unum» compete parimenti l'erezione canonica di organismi di servizio di carità a livello internazionale, assumendo successivamente i compiti disciplinari e di promozione che corrispondano in diritto.

Tutto ciò che ho deliberato con questa Lettera apostolica in forma di Motu Proprio, ordino che sia osservato in tutte le sue parti, nonostante qualsiasi cosa contraria, anche se degna di particolare menzione, e stabilisco che venga promulgato mediante la pubblicazione sul quotidiano «L'Osservatore Romano», ed entri in vigore il giorno 10 dicembre 2012.

Dato a Roma, presso San Pietro, l’11 Novembre 2012, ottavo Anno del Pontificato.

 

BENEDICTUS PP. XVI

[Modificato da Caterina63 01/12/2012 23:22]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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