“Actuosa participatio” “partecipazione attiva” dei fedeli al culto E IL PROBLEMA DELLE CONCELEBRAZIONI

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
Caterina63
00sabato 10 ottobre 2009 13:57
“Actuosa participatio” “partecipazione attiva” dei fedeli al culto.

Come ricordato in quest’ultimo testo, il concilio Vaticano II ha in più riprese richiesto una “actuosa participatio”, una “partecipazione attiva” dei fedeli al culto. Come si sa, questo è stato di solito interpretato nel senso di una condanna al preteso ruolo “passivo” a cui la liturgia tradizionale avrebbe relegato i fedeli. La frase sopra citata, “Non c'è proprio nulla di «attivo» nell'ascoltare, nell'intuire, nel commuoversi?”, rivela chiaramente il pensiero del Papa in merito. Più notevoli ancora, e in parte sorprendenti, sono le righe che leggiamo in “Introduzione allo spirito della liturgia” a p. 167: “In che cosa consiste, però, questa partecipazione attiva? Che cosa bisogna fare? Purtroppo questa espressione è stata molto presto fraintesa e ridotta al suo significato esteriore, quello della necessità di un agire comune, quasi si trattasse di far entrare concretamente in azione il numero maggiore di persone possibile il più spesso possibile.

La parola «partecipazione» rinvia, però, a un’azione principale, a cui tutti devono avere parte”. Quale sarà dunque in realtà questa “actio”, questa azione a cui tutta l’assemblea è chiamata, ora come sempre, a partecipare? Come accenna il Papa, si sa che di solito si è dato a questa domanda la risposta pratica di moltiplicare e distribuire a quante più persone possibile i servizi paraliturgici durante la celebrazione: vi è chi accende le candele e chi le spegne, chi bada all’acqua e chi al vino, chi legge il profeta e chi l’epistola, chi canta il salmo e chi il Gloria; la preghiera dei fedeli deve vedersi alternare una persona diversa per ogni invocazione, e la processione dell’offertorio deve a volte somigliare a un corteo. Non così per il Papa. Continua il testo citato: “Con il termine «actio», riferito alla liturgia, si intende nelle fonti il canone eucaristico.

La vera azione liturgica, il vero atto liturgico, è la oratio: la grande preghiera, che costituisce il nucleo della celebrazione liturgica e che proprio per questo, nel suo insieme, è stata chiamata dai Padri con il termine oratio. […] Questa oratio – la solenne preghiera eucaristica, il «canone» - è davvero più che un discorso, è actio nel senso più alto del temine. In essa accade, infatti, che l’actio umana (così come è stata sinora esercitata dai sacerdoti nelle diverse religioni) passa in secondo piano e lascia spazio all’actio divina, all’agire di Dio. […] Ma come possiamo noi avere parte a questa azione? […] noi dobbiamo pregare perché (il sacrificio del Logos) diventi il nostro sacrificio, perché noi stessi, come abbiamo detto, veniamo trasformati nel Logos e diveniamo così vero corpo di Cristo: è di questo che si tratta”.

Qui, all’interno della fornace ardente che è il centro stesso della fede cristiana, siamo realmente a miglia di distanza dalle interpretazioni sociologiche banalizzanti di cui si diceva. E infatti prosegue il Papa: “La comparsa quasi teatrale di attori diversi, cui è dato oggi di assistere soprattutto nella preparazione delle offerte, passa molto semplicemente a lato dell’essenziale. Se le singole azioni esteriori (che di per sé non sono molte e che vengono artificiosamente accresciute di numero) diventano l’essenziale della liturgia e questa stessa viene degradata in un generico agire, allora viene misconosciuto il vero teodramma della liturgia, che viene anzi ridotto a parodia”.

QUI IL TESTO INTEGRALE DI
Davide Ventura sul tema “Papa Benedetto XVI e la liturgia - Importanza e centralità della liturgia", intervenendo il 22 febbraio scorso a Bologna

Ora, da messainlatino:

Vera e falsa partecipazione attiva, e liturgia gregoriana.

Uno dei mali peggiori che affliggono oggi la prassi liturgica cattolica in occidente è lo stravolgimento del concetto di partecipazione attiva.

È in nome di questo fraintendimento che vengono commessi tanti abusi al limite del sopportabile [1] in molte celebrazioni, quali danze, invenzioni momentanee del celebrante, monizioni ex abundantia cordis ad ogni piè sospinto, gestualità scatenata, cambiamenti di testi blindati dalle rubriche, e chi più ne ha più ne metta...

Se quanto ho descritto si può chiamare la fenomenologia del suddetto errato concetto di partecipazione attiva, il Card. Ratzinger - molto più formaliter - lo dipingeva nel seguente modo:
“... il Concilio ci ha richiamato molto energicamente alla memoria che la liturgia, nel linguaggio della Chiesa, significa «actio», un'azione, e perciò si ha la «partecipatio actuosa», l'attiva partecipazione di tutti i fedeli. Ma è sorta qui spesso l'impressione, in misura più o meno rilevante, che la liturgia debba essere fatta dalla comunità, perché sia opera veramente sua; e ciò ha portato, per dirla in parole povere, alla conseguenza che si cominciò a misurarne il successo dal suo valore di intrattenimento. Essa dovrebbe avere una forma molto avvincente per strappare dal ghetto anche i profani e portarli nella comunità; ma in questo ci è capitato qualche cosa di strano: proprio così ne andò perduto il fascino interiore che le è caratteristico. Questo non deriva infatti da ciò che noi facciamo, ma dal fatto che qui accade qualche cosa che noi tutti assieme non possiamo proprio fare. Questo ha creato lungo i secoli alla liturgia una sua posizione, per cui qui opera un potere che nessuno può conferire a se stesso, per cui accade in realtà l'assolutamente Altro, e l'assolutamente Altro giunge fino a noi.” [2].
Il fedele che è legato all’antico rito, oltre al danno, deve subire anche la beffa: infatti uno dei principali argomenti sulla bocca e nella penna di chi critica la liturgia gregoriana è proprio l’evocazione della partecipazione attiva, che - stando a costoro – prima del Concilio - non c’era e ora finalmente c’è, anche se, naturalmente, c’è ancora tanta strada da fare.

Provate a spiegare - a simili interlocutori - che chi ama la liturgia gregoriana ritiene fondamentale la partecipazione attiva, e che colui che è affezionato alla forma antica del rito romano non è uno che dice “finalmente non ho capito”!.

Niente da fare: gli avversari della nuova ed autentica primavera liturgica auspicata da Benedetto XVI, si considerano dialetticamente vincitori una volta che abbiano proferito quella che per loro è ormai quasi una parola magica: "partecipazione attiva"!; più soddisfatti – ogni volta che la pronunciano – di uno che in un colpo solo abbia fatto scopa, settebello e primiera.

Eppure la preoccupazione che ci fosse una partecipazione attiva al culto liturgico da parte dei fedeli viene esternata almeno a partire dal magistero di San Pio X, al quale non si possono certo imputare i moderni abusi liturgici. Così si esprimeva l’ultimo Pontefice canonizzato:

“Essendo infatti Nostro vivissimo desiderio che il vero spirito cristiano rifiorisca per ogni modo e si mantenga nei fedeli tutti, è necessario provvedere prima di ogni altra cosa alla santità e dignità del tempio, dove appunto i fedeli si radunano per attingere tale spirito dalla sua prima e indispensabile fonte, che è la partecipazione attiva ai sacrosanti misteri e alla preghiera pubblica e solenne della Chiesa [3].
Quello che qui chi chiediamo è: come si è passati dalle sollecitudini del santo parroco divenuto Papa agli abusi al limite del sopportabile?

Per rispondere adeguatamente a questa domanda, si ha necessità di sdoppiarla: in primo luogo bisogna chiedersi qual è la differenza tra partecipazione attiva nel senso in cui la intendeva San Pio X, e quindi anche i Papi successivi, nonché i testi del Vaticano II (ermeneutica della continuità!), e nel senso moderno distorto.

In secondo luogo dovremmo chiederci il perché di questa vera e propria equivocità di due concetti diametralmente opposti; che cosa cioè ha permesso che il termine che designa una cosa sacrosanta – appunto la nostra partecipazione attiva - servisse a veicolare un drammatico stravolgimento della lex orandi della Chiesa.

In questo articolo, mi limiterò a cercare di rispondere alla prima domanda, riservandomi, a Dio piacendo, di completare in seguito queste riflessioni.

In che cosa dunque differisce il nuovo errato concetto di partecipazione attiva dall’antico? La risposta è semplice: oggi si è persa l’idea di chi sia l’Attore principale della liturgia: l’Io penso sopra tutto di Kant, in religione diventa “Io mi faccio la mia religione, io mi faccio la mia morale, io mi faccio al mia liturgia, io agisco, io penso, io faccio, io canto, io mi dimeno, io, io, io…”. Il contrario esatto di “Lui deve crescere; io, invece, diminuire”[4], oppure il contrario di quanto la maestra delle novizie diceva a Santa Margherita Maria Alacoque: “Va' a metterti di fronte al Signore come una tela in attesa del pittore “[5].

Già Pio XII, nel 1956, considerando come attorno allo sviluppo del movimento liturgico, pur ritenuto globalmente ancora positivo, cominciavano a germogliare gravi errori - tutt’altro che sedati anche dopo l’Enciclica Mediator Dei (20-11-1947) - ripropose un adeguato concetto di partecipazione attiva.

Riporto ora, commentandoli, alcuni passi del discorso “Vous Nous avez demandé”[6]:
“Se si confronta lo stato presente del movimento liturgico con quello di trent'anni or sono, si deve riconoscere che esso ha compiuto un progresso innegabile sia in estensione che in profondità. L'interesse dimostrato per la liturgia, le attuazioni pratiche e la partecipazione attiva dei fedeli hanno raggiunto uno sviluppo, che ben difficilmente si sarebbe potuto prevedere a quel tempo. L'impulso principale, tanto in materia dottrinale quanto nelle applicazioni pratiche, provenne dalla Gerarchia e, in particolare, dal Nostro santo Predecessore Pio X, che, col suo Motu Proprio Abhinc duos annos del 23 ottobre 1913 impresse al movimento liturgico uno slancio decisivo. Il popolo credente accolse quelle direttive con riconoscenza e si mostrò pronto a corrispondervi; i liturgisti si posero all'opera con zelo, e ben presto fiorirono iniziative interessanti e feconde, anche se talvolta alcune deviazioni richiesero un raddrizzamento da parte dell'Autorità ecclesiastica”.
Pio XII dice ai liturgisti: il vero movimento liturgico è quello che è stato promosso dalla gerarchia, in particolare San Pio X, e tra i suoi frutti c’è stato lo sviluppo della partecipazione attiva; tuttavia non sono mancati errori.

Continuiamo la lettura:

“Il movimento liturgico è in tal modo apparso come un segno delle disposizioni provvidenziali di Dio riguardo al tempo presente, come un passaggio dello Spirito Santo nella sua Chiesa, per avvicinare sempre più gli uomini ai misteri della fede e alle ricchezze della grazia, che hanno la loro sorgente nella partecipazione attiva dei fedeli alla vita liturgica”.
Pio XII può quindi dire che il movimento liturgico, come promosso dalla gerarchia, e senza gli errori corretti dal Magistero, è positivo, in quanto promuove la partecipazione attiva dei fedeli alla vita liturgica.

Ma che cos’è questa partecipazione attiva?

La risposta a questa domanda viene offerta nella II parte dello stesso discorso, intitolata “La liturgia e il Signore”:
“La liturgia della Messa ha come scopo di esprimere sensibilmente la grandezza del mistero che vi si compie, e gli sforzi attuali tendono a farvi partecipare i fedeli nel modo più attivo ed intelligente possibile. Benché questo intento sia giustificato, v'è pericolo di provocare una diminuzione della riverenza, se vien distolta l'attenzione dall'azione principale, per rivolgerla alla magnificenza di altre cerimonie. Qual è quest'azione principale del sacrificio eucaristico? Noi ne abbiamo parlato espressamente nell'Allocuzione del 2 novembre 1954. Noi riferivamo in primo luogo l'insegnamento del Concilio di Trento: «In divino hoc sacrificio, quod in Missa peragitur, idem ille Christus continetur et incruente immolatur, qui in ara crucis semel se ipsum cruente obtulit... Una enim eademque est hostia, idem nunc offerens sacerdotum ministerio, qui se ipsum tunc in cruce obtulit, sola offerendi ratione diversa (Conc. Trid., Sess. XXII, cap. 2)»”.
Commentiamo ora questo brano:

Giusti tutti gli sforzi che tendono a fare partecipare i fedeli nel modo più attivo ed intelligente... Ma… attenzione! - dice il Papa - , non si perda ciò che è principale, cioè la partecipazione all’Azione di Cristo!

Da un lato rimpiangiamo un po’ i pericoli di 50 anni fa: essere distolti dal cuore dell’azione liturgica dalla magnificenza delle cerimonie; oggi i pericoli sono i tanti ben peggiori abusi, aventi un comune denominatore: l’azione dell’assemblea viene a prevalere sull’azione di Cristo, sulla sua Immolazione Sacramentale, sul suo offrirsi: è a questa offerta che dobbiamo più che attivamente partecipare.

L’azione esterna, il fare, l’agire, non sono un valore assoluto, ma lo sono in tanto quanto ci permettono di unirci al Santo Sacrificio, tanto quanto ci permettono di essere quella gocciolina di acqua che il Sacerdote mette nel vino: questo gesto esprime come tutta la nostra vita viene sussunta nello stesso Sacrifico di Cristo, quel Sacrificio che realmente si riattualizza sull’Altare.

Le risposte dell’Ordinario della Messa gregoriana sono tutte risposte mistagogiche, non risposte tanto per dire o fare qualcosa: sono risposte pertinenti a chi accetta di essere offerto, di chi risponde al Sacerdote che agisce in Persona Christi e nel contempo come pontifex (i continui “Dominus Vobiscum”); non sono atti di chi usurpa il ruolo di protagonista.

E adesso vediamo come il Card Ratzinger ribadisce sostanzialmente, - dopo il concilio Vaticano II e alla luce anche del Catechismo della Chiesa Cattolica - , quanto diceva Pio XII:
“Il concilio Vaticano II ci ha proposto come pensiero guida della celebrazione liturgica l'espressione participatio actuosa, partecipazione attiva di tutti all'Opus Dei, al culto divino. Ciò a buon diritto: il Catechismo della Chiesa Cattolica, difatti, sottolinea che l'espressione riguarda il servizio comune, si riferisce, cioè, a tutto il popolo santo di Dio (cfr. CCC 1069). In che cosa consiste, però, questa partecipazione attiva? Che cosa bisogna fare? Purtroppo questa espressione è stata molto presto fraintesa e ridotta al suo significato esteriore, quello della necessità di un agire comune, quasi si trattasse di far entrare concretamente in azione il numero maggiore di persone possibile il più spesso possibile. La parola «partecipazione» rinvia, però, a un'azione principale, a cui tutti devono avere parte. Se, dunque, si vuole scoprire di quale agire si tratta, si deve prima di tutto accertare quale sia questa «actio» centrale, a cui devono avere parte tutti i membri della comunità” [7] .

E qual’ è l’azione della liturgia
“La vera azione della liturgia, a cui noi tutti dobbiamo avere parte, è azione di Dio stesso” [8].
Esaminiamo ora alcuni testi del Vaticano II:

“Perciò ogni celebrazione liturgica, in quanto opera di Cristo sacerdote e del suo corpo, che è la Chiesa, è azione sacra per eccellenza, e nessun'altra azione della Chiesa ne uguaglia l'efficacia allo stesso titolo e allo stesso grado”[9] .
“Per promuovere la partecipazione attiva, si curino le acclamazioni del popolo, le risposte, la salmodia, la antifone, i canti nonché le azioni e i gesti e l'atteggiamento del corpo. Si osservi anche, a tempo debito, il sacro silenzio”[10].
Niente contro il Concilio nel Messale del 1962, niente secondo il Concilio in tanti abusi. Ancora una volta sono anti-conciliari gli abusi, e – al contrario – è veramente secondo un’ermeneutica della continuità quanto il Santo Padre sta facendo.

Alla luce di quanto sopra, vengono buone le parole di San Leonardo da Porto Maurizio, per rispondere a chi disprezza coloro che partecipano alla S. Messa in silenzio, come sarebbero stati in silenzio a piedi della Croce (dove realmente si trova ognuno che partecipa a una S. Messa):

“Il primo modo di ascoltare la santa Messa è di coloro, i quali col libretto alla mano accompagnano con somma attenzione tutte le azioni del sacerdote: recitano ad ognuna di esse un'orazione vocale, che trovano descritta in quel libro, ed in questo modo passano tutta la Messa leggendo, e non vi è dubbio, che se alla lettura va accoppiata la considerazione di quei santi misteri, è un modo molto eccellente per assistere al santo sacrificio, ed è altresì di gran frutto. Ma perché porta seco una somma soggezione, dovendo chi assiste attendere a tutte quelle sacre cerimonie che fa il sacerdote, e poi ritornare con l'occhio al libro per leggere l'orazione corrispondente a quel mistero, riesce in pratica non poco faticoso, e credo che pochi perseverino e durino molto tempo a servirsi di questo metodo, benché utilissimo, stante la debolezza della nostra mente, che facilmente si stracca in dover riflettere sulla diversità di tante azioni che sull'altare si fanno dal sacerdote. Con tutto ciò chi se ne trova bene, e ne ricava il suo profitto spirituale, seguiti pure, perché ad una industria sì laboriosa non mancherà un competente premio appresso Dio.
Il secondo modo di ascoltare la santa Messa è di quelli, i quali non si servono dei libretti, né leggono cosa alcuna in tempo del divin sacrificio, ma fissano l'occhio mentale avvivato dalla fede in Gesù crocefisso, ed appoggiati all'albero della croce ne raccolgono i frutti d'una dolce contemplazione, passando tutto quel tempo in un devoto raccoglimento interiore, con trattenersi mentalmente a considerare quei sacri misteri della passione di Gesù, che non solo si rappresentano, ma misticamente si operano in quel santo sacrificio. Certo è, che questi, tenendo raccolte le potenze in Dio, vengono ad esercitare atti eroici di fede, di speranza, di carità, e d'altre virtù, e non v'è dubbio essere questo modo di ascoltar la Messa assai più perfetto del primo, ed anche più dolce e più soave, conforme l'esperimentò un buon religioso laico (Henr. in Inquis.), il quale soleva dire, che in ascoltare la Messa egli non leggeva che tre sole lettere. La prima era nera, cioè la considerazione dei suoi peccati, che cagionava in lui confusione e pentimento; e questa meditava dal principio della Messa sino all'offertorio. La seconda era rossa, cioè la meditazione della passione di Gesù, considerando quel preziosissimo sangue che Gesù sparse per noi sul Calvario, soffrendo sì acerba morte; ed in questa si tratteneva sino alla comunione. La terza era bianca, perché mentre il sacerdote si comunicava, egli si univa mentalmente col suo Gesù sacramentato, facendo la comunione spirituale, dopo la quale se ne rimaneva tutto assorto in Dio nella considerazione della gloria che sperava per frutto di quel divin sacrificio. Questa semplice persona ascoltava la Messa con molta perfezione, e vorrei che tutti imparassero da lui una sì alta sapienza” [11]
Che la Madonna Santa ci aiuti tutti a ben partecipare al Santo Sacrificio del Suo Divin Figlio.

Don Alfredo M. Morselli, 9 -10-2009

[1] Benedetto XVI, Lettera ai vescovi in occasione della pubblicazione del Motu Proprio Summorum Pontificum.

[2] Joseph Ratzinger, La festa della fede. Saggi di teologia liturgica, Milano: Jaca Book, 1984, pp. 139-140.

[3] Motu proprio “Tra le sollecitudini”, 22-11-1903.


[4] Gv 3, 20.

[5] “Quando pregai la maestra delle novizie di insegnarmi l'orazione, di cui la mia anima era molto desiderosa, lei si rifiutò di credere che, essendo entrata in religione all'età di ventitré anni, non sapessi ancora farla. Dopo che glielo ebbi assicurato, mi disse per la prima volta: «Va' a metterti di fronte al Signore come una tela in attesa del pittore»”; Autobiografia, 30.

[6] Discorso ai partecipanti al 1° Congresso internazionale di Liturgia Pastorale”, del 22 settembre 1956: la traduzione è presa da: Insegnamenti Pontifici, vol VIII, Roma: Pia Società San Paolo, 1959/2, pp. 354-374, passim.

[7] Joseph Ratzinger, Introduzione alla Spirito della Liturgia, Cinisello Balsamo: San Paolo, 2001, p.167.

[8] Ibidem, p. 169.

[9] Sacrosanctum Concilium, 7.

[10] Ibidem, 30.

[11] San Leonardo da Porto Maurizio, Il Tesoro nascosto, Torino: Giacinto Marietti, 1840, cap. II, §§ 4-5


Caterina63
00lunedì 7 marzo 2011 15:21

La prima condizione dell’evangelizzazione è l’adorazione

                      


Intervista a monsignor Dominique Rey, Vescovo di Fréjus-Toulon (Francia)


di Gisèle Plantec

ROMA, lunedì, 7 marzo 2011 (ZENIT.org).- Dal 20 al 24 giugno si terrà a Roma il Convegno internazionale sull’adorazione eucaristica, su iniziativa di monsignor Dominique Rey, Vescovo di Fréjus-Toulon, con la partecipazione, tra gli altri, di sei Cardinali.

In questa intervista rilasciata a ZENIT, monsignor Rey spiega l’importanza dell’adorazione eucaristia per la Chiesa di oggi e dei frutti che si attendono per la Chiesa da questo incontro senza precedenti nella Città eterna.

La Chiesa si sta mobilitando intensamente per preparare questo Convegno internazionale sull’adorazione eucaristica
. Qual è la sua importanza e quali sono le aspettative per questo convegno?

Monsignor Rey: Questo convegno si inquadra perfettamente nell'opera portata avanti da Papa Benedetto XVI che, sulle orme di Giovanni Paolo II, intende promuovere una nuova presa di coscienza sull’urgenza missionaria con cui si confronta, oggi più che mai, la Chiesa. Il tema del convegno “Dall’adorazione all’evangelizzazione” sottolinea che questo nuovo impulso missionario si deve radicare nella vita ecclesiale ed eucaristica. La prima condizione dell’evangelizzazione è l’adorazione. Purtroppo alcune proposte missionarie di oggi si presentano più come marketing o promozione commerciale che come testimonianza di fede. Il rischio è quello di una distorsione del metodo di evangelizzazione.

È la prima volta che a Roma si svolge un incontro su questo tema. E la partecipazione di numerosi Cardinali, Vescovi e testimoni che operano nel campo come evangelizzatori e adoratori, evidenzia l’interesse suscitato dall’argomento. Questo congresso vuole dare un’anima e una spiritualità a questa nuova evangelizzazione così necessaria per il rinnovamento della Chiesa e per l’irradiazione del messaggio evangelico.

Perché è importante l’adorazione? Chi è chiamato, secondo lei, all’adorazione?

Monsignor Rey: L’adorazione eucaristica costituisce un prolungamento della celebrazione eucaristica. Il credente accoglie l’offerta di Cristo che si dà al Padre per la salvezza di tutti. Adorare il Santissimo Sacramento significa entrare in contemplazione di Gesù Eucaristia. Significa accettare, al contempo, come dirà l’apostolo Paolo, di offrire la nostra stessa vita in sacrificio per partecipare alla salvezza di Cristo.

L’adorazione è un gesto di riconoscimento, nel contemplare fino a che punto Cristo ci ama, facendosi alimento, ed è anche un gesto personale in cui anche noi possiamo entrare, in Lui e per Lui, in questa opera di salvezza.

Ogni cristiano è chiamato, in virtù della sua consacrazione battesimale, a diventare adoratore in spirito e verità. Ricordo la frase della filosofa Simone Weil che usava dire dopo la sua conversione: “Finalmente ho scoperto qualcuno davanti a cui mettermi in ginocchio”. Nell’Apocalisse scopriamo che la gloria celeste consisterà nel giubilo e nell’adorazione. Se inizio ad adorare oggi, mi preparo ad entrare nella pienezza della mia condizione filiale di quando contemplerò il volto di Dio. Ogni uomo è fatto per adorare, ovvero per riconoscere la signoria di Cristo e, in questo gesto di donazione di se stessi, che implica l’adorazione, donarsi totalmente e definitivamente a Lui.

Il convegno è organizzato dai Missionari della Santissima Eucaristia, una nuova comunità che lei ha fondato nella sua diocesi nel 2007. Qual è la missione di questa comunità nella Chiesa di oggi?

Monsignor Rey: Questa associazione di chierici di diritto diocesano è chiamata, sotto la mia vigilanza, a sviluppare nella Chiesa l’adorazione eucaristica nel cuore della vita parrocchiale. Questa associazione organizza missioni eucaristiche in collaborazione con le diocesi e i sacerdoti che ricorrono ai suoi servizi non solo per sviluppare un’autentica devozione eucaristica, ma anche per far entrare le comunità cristiane in uno spirito missionario, in un nuovo impulso pastorale. I parrocchiani sono chiamati ad avvicendarsi, giorno e notte, nell’adorazione del Santissimo Sacramento esposto. Per questo occorre fornire loro una catechesi eucaristica.

I Missionari del Santissimo Sacramento sono presenti negli Stati Uniti e in Italia, anche se la loro sede centrale si trova a Sanary (Var, Francia). Vanno di parrocchia in parrocchia, diffondendo e promuovendo l’insegnamento del Magistero e di autori spirituali, sul valore dell’adorazione eucaristica.

A chi si rivolge questo convegno? Cosa vuole proporre in concreto?

Monsignor Rey: Il convegno è rivolto a tutti coloro che nella Chiesa sono già sensibili all’importanza dell’adorazione eucaristica, ma più in generale a tutti i pastori, consacrati e laici che desiderino approfondire il senso dell’Eucaristia, nella sua dimensione liturgica, di sacrificio, sociale, e nel legame tra adorazione e celebrazione. Le giornate saranno costellate dalle celebrazioni eucaristiche, in forma ordinaria e straordinaria, nonché dalle altre funzioni liturgiche. Vi saranno momenti di adorazione del Santissimo Sacramento.

Gli insegnamenti principali saranno offerti al mattino. Si prevedono anche momenti di interscambio, in cui saranno affrontati temi più concreti. Il convegno si concluderà con la processione eucaristica della solennità del Corpus Domini, presieduta dal Santo Padre Benedetto XVI.

L’adorazione eucaristica ha avuto un ruolo nella sua vocazione personale o nel suo ministero di sacerdote e Vescovo?

Monsignor Rey: Ho scoperto con maggiore intensità l’adorazione eucaristica quando ero rettore del santuario di Paray le Monial. Essendo membro della Comunità Emmanuel e stando accanto al suo fondatore, Pierre Goursat, che era un fervente adoratore del Santissimo Sacramento, ho sperimentato fino a che punto questa preghiera dava forza alla mia vita spirituale e sacerdotale. Ogni fecondità cristiana è sacrificale. Trova la sua origine nel gesto che Cristo compie nella sua Pasqua e che l’Eucaristia attualizza in ogni celebrazione.

Nell’adorazione eucaristica fissiamo il nostro sguardo su questo gesto infinito di amore, che la Chiesa non manca di riprendere in ogni messa. Ho potuto constatare i molti frutti spirituali e missionari dell’adorazione eucaristica nel contesto delle diverse responsabilità ministeriali che ho assunto. Per questo motivo ho preso l’iniziativa di presentare al cardinale Antonio Cañizares Llovera, prefetto della Congregazione per il Culto divino, questo progetto ed ho chiesto ai Missionari della Santissima Eucaristia di occuparsi dell’organizzazione.

Per maggiori informazioni:
http://www.adoratio2011.com


Gli Oratori dell'Incontro:

Cardinale Antonio Cañizares Llovera , Prefetto della Congregazione per il Culto Divino , «l’Adorazione Eucaristica come cuore della vita diocesana».

Cardinale Malcolm Ranjith , arcivescovo di Colombo, Sri Lanka, ex segretario della Congregazione per il Culto Divino , «Sollevamento di obiezioni all’ Adorazione Eucaristica».

Cardinale Peter Turkson , presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace , «Adorazione come fondamento della giustizia sociale».

Cardinale Raymond Burke , Prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica «L’importanza dell’ Adorazione del Santissimo Sacramento nella formazione e nella vita dei sacerdoti».

Il cardinale Francis Arinze , Prefetto emerito della Congregazione per il Culto Divino , celebrante e predicatore alla Messa, Martedì 21 Giugno .

Cardinale Mauro Piacenza , Prefetto della Congregazione per il Clero , celebrante e predicatore alla Messa, Mercoledì 22 Giugno .

Vescovo Giovanni D’Ercole , vescovo ausiliare de L’Aquila, Italia , “ L’ Adorazione Eucaristica come esperienza pastorale e di vita".

Vescovo Athanasius Schneider , Vescovo Ausiliare di Karaganda, Kazakistan «L’Adorazione della santa Eucaristia nella Sacra Liturgia».
 
Vescovo D. José Ignacio Munilla , vescovo di San Sebastian, Spagna «Adorazione Eucaristica e Sacre Scritture».

Vescovo Dominique Rey , Vescovo di Fréjus-Toulon, Francia , «L’ Adorazione della santa Eucaristia e la Nuova Evangelizzazione».

Mons. Guido Marini , Maestro delle Cerimonie Pontificie, Città del Vaticano , «Celebrare la festa del Corpus Domini».

P. Nicolas Nicolas Buttet , fondatore della «Fraternità Eucharistein» , «Eucaristia, Adorazione e guarigione».

P. Mark Kirby , priore del monastero benedettino Diocesano di Nostra Signora del Cenacolo a Tulsa, Oklahoma, USA , «Spiritualità eucaristica».

P. Florian Racine , Fondatore dei Missionari della Santissima Eucaristia, Fréjus-Toulon, Francia , «I frutti spirituali e le grazie derivanti dall’ Adorazione Eucaristica nelle Parrocchie».

Madre Adela Galindo, fondatrice delle Serve del Cuore trafitto di Gesù e Maria, Florida, USA , «Amare Gesù nell’Eucaristia con Maria: fondamento della vita religiosa.»

Sr. Joseph , Missionarie della Carità, Roma , «Dall’ Adorare Cristo nell’Eucaristia al servirLo nei poveri».



La conferenza si concluderà con la celebrazione di Papa Benedetto XVI della solennità del Corpus Domini nella Basilica di San Giovanni in Laterano seguita dalla processione eucaristica che terminerà nella Basilica di Santa Maria Maggiore .



Caterina63
00lunedì 30 maggio 2011 16:14
[SM=g1740733]Leggendo alcuni commenti nel web e ascoltando, parlando con le persone, mi sento spesso dire, del Rito, della Funzione, della Liturgia, che essa DEVE TROVARE IL GUSTO DELLA GENTE, altrimenti i fedeli se ne vanno..... altri parlano di funzioni che dovrebbero, nella LORO SOBRIETA' ED ELEGANZA,  catturare così il PIACERE DEI FEDELI....

Insomma, c'è molta contraddizione nel pensare della gente e c'è molta confusione, perfino del paradosso perchè, infatti, se si pretende l'actuosa participatio....come si fa a parlare di FEDELI CHE GUARDANO E ASCOLTANO? questo paradosso ci fa comprendere che tale participatio era autentica ancor prima del Concilio....

che significa poi una celebrazione liturgica "sobria ed ELEGANTE"? Embarassed  
un rito deve essere SACRAMENTALE- SACRAMENTO non recitato....e non deve "piacere" ma essere PARTECIPATO in quella actuosa autentica che deve spingermi  A PIEGARE LE GINOCCHIA e ad entrare NEL SENSO DEL SOPRANNATURALE....  
se chi CELEBRA, compresi i cantori, i lettori, i diaconi ecc... non mi porta a questa REALTA' DEL SOPRANNATURALE, ma piuttosto mi lascia  AD UNA PARTECIPAZIONE DI UN EVENTO DEL MOMENTO, il Rito, quella Liturgia, viene vanificata, sprecata... resta superfilcialmente UN "BEL, DISCRETO, SOBRIO, ELEGANTE"  (o i termini contrari a chi non è piaciuto) MOMENTO....  
 
Quando la Vergine Maria ricevette il Divino Messaggero, Egli fu talmente CONVINCENTE  da permettere a Maria di LASCIARSI PLASMARE DALLO SPIRITO SANTO.... L'Arcangelo non si preoccupò minimamente DELLE MODE DEL MOMENTO....non si preoccupò DI PIACERE O DI ESSERE ELEGANTE, SOBRIO.....MA TRASMISE IL MESSAGGIO COSì COME LO AVEVA RICEVUTO....  
 
Oggi non ci si preoccupa più di TRASMETTERE IL MESSAGGIO così come deve essere TRAMANDATO, ma si cerca COMPIACIMENTO, NOVITA', PIACERE, ESIBIZIONISMO.... e i frutti li vediamo: NON si riesce ad INCARNARE IN NOI QUEL MESSAGGIO....perchè il nostro "si" è spesso LEGATO, SCHIAVIZZATO AL CIO' CHE PIACE... al proprio EGO, un "si" IMBRIGLIATO AI SI DEI POTENTI, o meglio "pre-potenti" DI TURNO.... se devo infatti PREOCCUPARMI della partecipazione attiva di conciliare memoria....come faro' A MORIRE A ME STESSA E AD ESSERE ANCELLA PORTATRICE DELLA PAROLA TRASMESSA?  
 
La funzione religiosa CATTOLICA NON E' MAI SOBRIA....perchè al suo interno ABBIAMO IL DIO VIVO E VERO che come accadde a Maria, DEVE INFONDERMI QUEL SACRO TIMORE che è uno dei Sette DONI dello Spirito Santo...  
 
La funzione religiosa CATTOLICA NON E' MAI ELEGANTE... perchè semmai deve trasmettermi UN SENSO PARADISIACO....deve aprirmi i CIELI sopra gli Altari, aprirmi i Cieli sopra il Coro che canta  E CHE SI UNISCE AL CORO DEGLI ANGELI E DEI SANTI....  
qui non c'entra l'eleganza... non siamo ad una sfilata di moda....  
 
Mi chiedo quanto ci sia rimasto dell'identità superbamente CATTOLICA
!



Una persona ha poi detto:


Santa ragione!!!!!  
Non so cosa altro dire se non che tutto è legato al CUORE.


vale il detto che con le migliori intenzioni l'uomo ha capeggiato le peggiori devastazioni....  
 
tutto è legato al CUORE, ma se un CUORE E' MALATO ha bisogno del medico...e se anche non è malato NON vive di vita propria, NON VIVE DI EMOZIONI e certe emozioni come anche certe brutte notizie, possono ucciderlo....  
un cuore umano, come era anche quello della Beata Vergine Maria, aveva bisogno di QUALCUNO E DI QUALCOSA per trionfare nel modo giusto.... solo il Cuore DIVINO di Gesù non necessita di altri o di altro....  
Un cuore ha bisogno di essere costantemente NUTRITO.... se un alveolo o una coronaria o una vena si ostruisce, il cuore soffre e in certi casi cessa la sua funzione.... i suoi BATTITI DIPENDONO DA TANTI ALTRI FATTORI....  
 
è come per le note musicali, sono solo 7 eppure quante armonie L'UOMO  sa trarne...ma anche rumori molesti, musiche assordanti...  
CHIASSO, RUMORI ma non armonie....  
non siamo la religione dello spettacolo, della teatralità, dello Yoga, della respirazione autogena....dell'autocompiacimento, DELLE EMOZIONI, delle sensazioni afrodisiache o degli abbracci COMUNICATIVI..... DELLE FIBRILLAZIONI CARDIACHE....dei sentimentalismi, DELL'AMORE LIBERO, del volemose bene purchè se magna....e quant'altro...  
 
Sulla Croce Cristo riceve l'aceto... la Madre è tenuta prima lontana.... il suo Cuore divino viene squarciato.... 

la vita stessa di Maria Santissima è tutta una RINUNCIA alle emozioni del SUO CUORE UMANO il quale sarà raggiunto anch'esso da una spada di dolore....  
santa Caterina da Siena insegna che un cuore umano incapace di fare spazio AL CUORE DIVINO, non ha la possibilità di percepire che cosa sia IL SUO BATTITO e si ferma alle emozioni umane e terrene, quelle che accontentano un momento, ma che non fanno crescere...  
quelle emozioni, diceva san Padre Pio che sono "TUTTA VANITA'" ...
a un penitente che gli diceva di voler "imparare a volare" gli rispose:
 "IMPARA A CAMMINARE perchè Dio ti ha dato i piedi e NON le ali!"  
Wink



Caterina63
00lunedì 11 luglio 2011 23:21

La concelebrazione: quante S. Messe?

di Don Alfredo M. Morselli






di Don Alfredo M. Morselli

1. La posta in gioco.
San Pio da Petrelcina diceva che il mondo potrebbe stare anche senza sole, ma non senza la santa Messa.

Ma è proprio vero quanto diceva il grande santo cappuccino?
Se la Santa Messa è la rinnovazione incruenta dell’unica Sacrificio di Gesù Cristo, non è forse sufficiente alla salvezza del mondo questo stesso Sacrificio perfetto compiuto una volta per tutte?
Ha forse senso la terribile riduzione di K. Rahner, secondo il quale l’unico fattore che, nella Messa, potrebbe arricchire la Chiesa, è la più intensa preghiera e devozione che la Messa è in grado di provocare; e in ciò - sempre secondo il celebre teologo - sarebbe da ricercare il principio in base al quale la Chiesa dovrebbe trovare «la vera norma per la regolazione della frequenza delle Messe» [1]?
La buona dottrina cattolica ci dice, al contrario, che ciò che è stato conquistato da Gesù Cristo una volta per tutte deve essere elargito alla Chiesa - e tramite questa a tutta la povera umanità - nel tempo e nello spazio.
È per questo che il santo profeta Malachia aveva preannunziato un’oblazione monda che sarebbe stata offerta al buon Dio in ogni luogo: in omni loco sacrificatur et offertur nomini meo oblatio munda (Ml 1,11).

Ogni uomo, molte volte nella sua vita, deve adorare e ringraziare Dio per tutti i suoi benefici, e non può farlo se non unendosi all’Adorazione e al Ringraziamento che Gesù Cristo ha realizzato nel suo sacrifico supremo.
Ogni uomo deve, più volte ogni giorno chiedere perdono e ogni altra grazia; e non può farlo se non unendosi realmente alla Propiziazione e all’Impetrazione del Sommo ed Eterno Sacerdote.

Così spiega S. Tommaso:

“… ogni nostra azione raggiunge la sua perfezione attraverso Gesù Cristo; e pertanto, quando in un giorno capita di dover ricordare i vari benefici di Dio, per i quali a Dio stesso bisogna render grazie, o anche di dover impetrare da Dio più grazie, per la salvezza dei vivi e dei defunti: [allora] è necessario che la Messa sia celebrata molte volte nella Chiesa, se si può; né – per i suddetti motivi – ne consegue che si debba talvolta smettere” [2].

Inoltre, ad ogni peccato dell’uomo, il demonio acquista sempre più potere, a tal punto da poter essere chiamato “principe di questo mondo” (Gv 12,31) e “dio di questo secolo” (2 Cor 4,4). Ne consegue che molte volte deve ri-scoccare quell’”ora” in cui il principe di questo mondo viene “cacciato fuori” (Gv 12,31). E quest’ora scocca nuovamente, puntualissima ed efficacissima, ogni volta che il Sacrifico è rinnovato sui candidi altari.
Se dunque l’applicazione all’umanità dei frutti della Redenzione e la cacciata di satana dal mondo si realizza soprattutto con la continua celebrazione, in ogni luogo e in ogni ora, del Santo Sacrifico della Messa [3], è chiaro che è importante sapere se la Concelebrazione è una Messa sola, oppure se vengono celebrate tante Messe quanti sono i concelebranti.
Se fosse vero primo caso, la concelebrazione - a tutti i costi e sistematica, specialmente nelle comunità religiose e nei seminari, occluderebbe lentamente - quoad nos - quella divina sorgente di Acqua e Sangue che zampilla ad ogni S. Messa e a cui l’umanità è invitata ad attingere continuamente e con gioia.


2. I pronunciamenti del magistero
Talvolta, per suffragare la tesi secondo cui si celebrano tante Messe quanti sono i concelebranti, si citano alcune parole di Pio XII: “tante sono le azioni di Cristo, Sommo Sacerdote, quanti sono i sacerdoti celebranti” [4]

Ma bisogna tenere presente che questa affermazione è contenuta in una risposta ad hominem, contro la tesi erronea secondo la quale l’azione un sacerdote che celebra la Messa equivale a quella di un sacerdote che vi assiste: e questo significa che ogni azione di un celebrante – a differenza di chi assiste – è una vera azione di Cristo: in questo senso ogni azione di ogni concelebrante è "azione di Cristo". Ma non si intende specificare qui se le azioni di Cristo siano numericamente distinte quanto lo sono le azioni dei celebranti.

Questa interpretazione è avvalorata dalla spiegazione di questo testo fatta dallo stesso Pio XII due anni più tardi, nella allocuzione “Vous Nous avez demandé” [5], dove il Pontefice afferma che, “nel caso di una concelebrazione nel senso vero e proprio della parola, Cristo, invece di agire per il tramite di un solo ministro, agisce per mezzo di più (“Dans le cas d'une concélébration au sens propre du mot, le Christ, au lieu d'agir par un seul ministre, agit par plusieurs”).
Si tratta dunque di un'unica azione di Cristo [6] (quindi di una sola S. Messa), pur essendo tutte e singole le azioni dei concelebranti ciascuna vera azione di Cristo, ma non numericamente-sacramentalmente distinte dall’unica celebrazione e l’una dalle altre.

Il magistero conciliare e post-conciliare non tratta ex professo la questione; possiamo trovare tuttavia alcune affermazioni in linea con quanto abbiamo sostenuto.

1) Decreto Ecclesiae semper [7]:

“in questo modo di celebrare la Messa vari sacerdoti, in virtù del medesimo sacerdozio e in persona del sommo sacerdote, agiscono contemporaneamente con una sola volontà e una sola voce, e nello stesso tempo compiono e offrono l’unico sacrificio con un unico atto sacramentale, e insieme vi partecipano” (unicum Sacrificium unico actu sacramentali simul conficiunt et offerunt, idem simul participant) [8].
2) Nella dichiarazione In celebratione Missae [9] sulla concelebrazione, è contenuta l’espressone «un unico rendimento di grazie intorno allo stesso altare»[10].


3. Le ragioni teologiche

Mi limito a riportare alcuni argomenti di San Tommaso d’Aquino:

a) visto che gli atti sono specificati dal loro oggetto, si desume che la S. Messa concelebrata sia una, a partire dal fine oggettivo (finis operis) dell’atto sacramentale, che è un’unica consacrazione (quindi un’unica azione sacramentale) …

b) … ma si desume anche dall’intenzione dei concelebranti (finis operantis); a quell’unica azione sacramentale deve essere rivolta l’intenzione di tutti: cioè tutti i concelebranti devono voler celebrare quell’unica Messa.

Ed ecco i testi dell’Aquinate che ho cercato di riassumere e spiegare subito sopra.


“Poiché l’intenzione del ministro è richiesta per la perfetta celebrazione dei sacramenti, pertanto, avendo tutti l’intenzione di compiere un’unica consacrazione, non vi è qui se non un’unica consacrazione”[11]

“Né si reiterano le consacrazioni sopra una medesima Ostia, perché … l’intenzione di tutti deve vertere al medesimo momento della consacrazione”[12].

4. Un esempio chiarificatore.

Ma come è possibile che ogni sacerdote concelebrante celebri veramente una S. Messa e la concelebrazione sia un’unica S. Messa? L’analogia con la celebrazione delle nozze può rendere più facile la comprensione dei concetti espressi precedentemente: ciascun coniuge si sposa, ma si tratta di un unico identico matrimonio.


4. Conclusioni
Senza voler negare il grande valore della Concelebrazione, in quelle particolari occasioni in cui questa è raccomandata dal Magistero della Chiesa, ci sono validissime ragioni per ritenere che la Concelebrazione sia un’unica S. Messa.

Ma il mondo ha bisogno di S. Messe!

Allora, l’abitudine di concelebrare sempre e in ogni caso, anche quando si potrebbe celebrare da soli, costituisce una calamità che trascende le più grandi disgrazie che si sono verificate sulla terra (terremoti, guerre, tsunami, epidemie, catastrofi nucleari etc.): il clero stesso diminuisce, quoad nos, la portata del flusso di grazie che sgorgano dalla S. Messa, per la salvezza degli uomini.


--------------------------------------------------------------------------------

[1] Cf. K: Rahner, Die vielen Messen und das eine Opfer, Freiburg 1951, p. 76s, cit. in Rudolf Michael Schmitz, La concelebrazione eucaristica, in Mons. A. Piolanti, Il Mistero Eucaristico, Vaticano: Libreria Editrice Vaticana, 1989/3, pp. 501-520.

[2] “…omnis nostra actio per Christum perfici debet; et ideo, quando in una die occurrunt vel diversa Dei beneficia commemoranda, de quibus sunt gratiae Deo reddendae, vel etiam plura a Deo impetranda pro salute vivorum et mortuorum; oportet quod pluries Missa in Ecclesia celebretur, si adsit facultas; nec ex hoc sequitur quod aliquando debeat intermitti”; Super Sent., lib. 4 d. 13 q. 1 a. 2 qc. 3 ad 3.


[3] “… passio Christi … prout in nos ejus effectus provenit, quotidie debet repraesentari, quia ejus effectus in nobis continuus est, et sic repraesentatur in hoc sacramento”; Super Sent., lib. 4 d. 13 q. 1 a. 2 qc. 3 ad 1.

[4] Pio XII, Allocuzione Ai rappresentanti del Sacro Collegio e dell’Episcopato, del 2-11-1954, trad. it. da Atti e discorsi di Pio XII, Roma: Ed. Paoline, 1954, p. 373. Tra coloro che si servono di questo testo per sostenere l’ipotesi delle tante Messe quanti sono i concelebranti, recentemente anche Dom Basile Valuet: cf. «Pourquoi je ne suis pas d'accord avec Gherardini, de Mattei, Rhonheimer», nota 18, in Liberté religieuse. L'Église avait-elle raison même quand elle la condamnait?, tinyurl.com/658eeoa, visitato il 9-7-2011.

[5] Pio XII, Allocuzione “Vous Nous avez demandé” en conclusion des travaux du 1er congrès international
de liturgie pastorale d'Assise le 22 septembre 1956: trad. it. da Atti e discorsi di Pio XII, Roma: Ed. Paoline, 1957, p. 168.

[6] Con “azione di Cristo” si intende qui la “actio ipsius Christi per sacerdotem ipsius personam sustinentem et gerentem” (la azione di Cristo stesso per mezzo del sacerdote che lo rappresenta).

[7] Sacra Congregatio Rituum, Decretum generale Ecclesiae semper, 7-3-1965; AAS 57 (1965) 410-412.

[8] EV II, 386.

[9] Sacra Congregatio Rituum, Declaratio In celebratione Missae de concelabratione, 7-8-1972: AAS 64 (1972), 561-563.
[10] EV IV, 1743.

[11] “Ad primum ergo dicendum, quod quia intentio requiritur ad perfectionem sacramentorum, ideo, cum omnes habeant intentionem unam consecrationem faciendi, non est ibi nisi una tantum consecratio “; (Super Sent., lib. 4 d. 13 q. 1 a. 2 qc. 2 ad 1).

[12] “Nec per hoc iteratur consecratio super eandem hostiam, quia … omnium intentio debet ferri ad idem instans consecrationis”; S. Th. III, q. 82 a. 2 co.

***************


Andrea Carradori
Interessantissimo argomento di cui ringrazio il Reverendo don Alfredo M. Morselli.  
Ricordo che alcuni Sacerdoti al riguardo della concelebrazione esprimevano alcuni fondati dubbi.  
Il miracolo della Transustanzazione avviene pronunciando la formula consacratoria sopra il Pane ed il Vino.  
Se il concelebrante si trova distante dall'Altare come fa a consacrare le Specie che, anche se per pochi millesimi di secondo, sono già stati consacrati dal celebrante principale ?  
Scusate se non mi sono espresso sufficientemente bene.  
L'osservazione che ho posto non vuole mancare di rispetto alle chiare norme espresse anche nel documento conciliare "Sacrosantum Concilium" che è stato firmato da tutti i Padri Conciliari.


************

LDCaterina63
Embarassed  se può interessare, proprio di recente ho acquistato di Mons. Nicola Giampietro  
La concelebrazione eucaristica e la comunione sotto le due specie nella storia liturgica  con  prefazione del Card. Antonio Canizares Llovera, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplia dei Sacramenti -  di Fede&cultura.....  
lo sto leggendo e lo sto trovando molto interessante....ergo ringraziando Don Alfredo ne approfitto per chiedergli un parere anche su questo libro, se lo conosce.....  
 
I dubbi espressi da Andrea Carradori, sono anch'essi qui riportati...ed è lo stesso dilemma che denunciava Benedetto XVI sulla "validità" addirittura di alcune Messe delle GMG DEI PRIMI ANNI.... Wink  
 
Nella Prefazione, Canizares, specifica il PROBLEMA attuale della comprensione della CONCELEBRAZIONE, DEGLI ABUSI.... e perfino il dubbio della vailidtà di alcune concelebrazioni.... addirittura spiega:  
"Lo stare INTORNO ALL'ALTARE - circum altare stare possint, etsi omnes mensam altaris immediate non tangunt - sembra una delle condizioni perchè vi sia la celebrazione SACRAMENTALE e non appena cerimoniale, dunque E' UNA CONDIZIONE DI VALIDITA'...  
Quanto il numero dei concelebranti, ESSO ANDREBBE RIPRISTINATO, per lo stesso motivo, lo - stare attorno all'altare -, quale condizione di validità. Questo, tra l'altro, è il vero motivo per evitare grandi concelebrazioni... (...) S'IMPONE UN RIDIMENSIONAMENTO DELLA FREQUENZA DELLA CONCELEBRAZIONE...."  
 
Interessante che prima il cardinale Prefetto del Culto, spiega:  
 
" inoltre è particolarmente decisivo - perchè la natura della celebrazione SIA SACRAMENTALE E NON CELEBRATIVA - il fatto che le parole consacratorie DI TUTTI I CONCELEBRANTI, VANNO PRONUNZIATE SUL PANE E SUL VINO - NON BASTA AVERE L'INTENZIONE E LA VOLONTA' DI FARE SUE LE PAROLE E L'AZIONE DEL CELEBRANTE. I CONCELEBRANTI devono essistessi dire sul pane e sul vino - Quasto è il mio corpo; questo è il mio sangue - altrimenti la loro concelebrazione  si riduce AD UNA PURA CERIMONIA....."  
 
Comunque la CONCELEBRAZIONE in quanto tale sembra cosa antica.... la sua gestazione va dal I secolo all'XI quando, con tale termine, si riconosceva la cosìddetta MESSA PONTIFICALE celebrata dal Vescovo con la partecipazione di tutto il suo PRESBYTERIUM, coadiuvato dai presbiteri e dai ministri, ognuno secondo il proprio ruolo e ciò accadeva nei giorni più solenni dell'anno: il vescovo veniva CIRCONDATO DAI SUOI PRETI  e diaconi e con la partecipazione di tutto il popolo...  
sant'Ireneo racconta che san Policarpo, venuto a Roma per discutere con il Papa sulla questione della Pasqua, fu invitato da Papa Aniceto a CONCELEBRARE con lui....  
"tutti però, consacravano un solo calice...."  
L'Ordo IV del VIII secolo, osserva che il Papa usava concelebrare coi "suoi" preti cardinali a Pasqua, Pentecoste, san Pietro, Natale, Epifania, Ascensione, Sabato Santo e nella seconda Festa di Pasqua....  
 
Grazie per questi approfondimenti....


*******







Caterina63
00venerdì 2 settembre 2011 20:27

Alla Messa non si “partecipa”. E non si deve “capire”.

mag 22, 2011 by

  

ALLA MESSA NON SI “PARTECIPA”

 

E NON SI DEVE “CAPIRE”

 

Il silenzio e la solitudine intorno al Golgota intorno all’altare 

di Antonio Margheriti Mastino

 

QUEL VECCHIO CHE SI SENTIVA GIOVANE DAVANTI AL SUO DIO

 

Salirò all’altare di Dio,

a Dio che allieta la mia giovinezza …

irraggia la tua luce e la tua verità,

esse mi guidino e mi conducano al tuo santo monte, 

e ai tuoi tabernacoli.

Ti loderò sulla mia cetra, o Dio, Dio mio;

Perchè sei triste, anima mia?

Perchè mi turbi?

E ancora: “Nello stesso modo, dopo aver cenato, prese anche questo glorioso calice nelle sue sante e venerabili mani… Questo è il Calice del mio Sangue, della nuova ed eterna allenza: mistero di fede: che per voi e per molti sarà sparso…

Il canone antico è di una bellezza che ferisce anche tradotto in italiano, ti fa venire voglia davvero di salire tu sull’altare ad avere il privilegio di rivolgerti con queste parole sublimi ed eterne all’Onnipotente. Ripetere tu ciò che nei secoli hanno ripetuto tutti i santi sacerdoti, i martiri, i confessori, i mistici, i dottori della chiesa, i pontefici salendo sull’altare del Sacrificio Supremo. Ripetere ciò che tutti i nostri avi hanno udito per secoli, confermadoli nella fede.

 E’ bello divagare, è umano. Adesso per esempio mi balenano davanti agli occhi due episodi. Uno antico e l’altro moderno; uno fa ridere e l’altro piangere, giusto per rispettare il copione della tv generalista. Si sa che la testa della medusa di tutte le eresie moderniste è quel fenomeno chiamato giansenismo, che cominciò velenosamente a fluttuare nella chiesa già dal Seicento. Quel che venne dopo ne furono soltanto i tentacoli pieni di tossine. I giansenisti una cosa l’avevano capita bene: colpire la liturgia significava aprire il vaso di pandora, cavare via la pietra angolare: tutto il Santo Edificio sarebbe venuto giù collassando fulmineo . Ebbene, nel ’700 l’eresia giansenista era entrata nel vivo e si tenne a proposito un “conciliabolo” di prelati infedeli a Pistoia, appunto il “Conciliabolo di Pistoia”. Che approvò motu proprio diverse riforme illecite, fra cui l’introduzione del volgare anche nella liturgia. Allora un prete filo-giansenista iniziò la sua prima messa in italiano (peraltro sbagliando la traduzione) così:

PRETE:”Mi introduco all’altare di Dio“.
FEDELE RISPONDE:(livornese e toscanaccio maledetto): “Oh tu te basta che un t’introduci ‘a nel mi (c)ulo!!”.

Il popolo quello vero, non quello “sociologico” di cui discettano con sufficienza i teologi modaioli, è sempre reazionario.

L’esempio moderno è meno mordace, ma più struggente. E riguarda la commozione di un giornalista che in piena sarabanda creativa post-conciliare, assiste per caso a una messa antica celebrata quasi clandestinamente da un vecchio e malato francescano. Ne rimase sconvolto: fu l’incontro col Mistero: ne fu convertito. Era il 1969, mentre molti, applauditi da un mondo allora avvelenato di ideologie, celebravano la loro apostasia, un uomo ritornava alla fede davanti alla celebrazione di una messa antica, che era diventata la cosa più bandita della storia della chiesa, dai suoi uomini stessi. Lasciamo a lui la parola, ad Antonello Cannarozzo, parole che mi hanno commosso:

<<La mia “conversione” alla Messa in latino, avvenne più di trent’anni fa quando, come autentici congiurati, alcuni amici mi portarono in un piccolo oratorio nella chiesa di san Girolamo della Carità, qui a Roma, dove un anziano francescano, padre Coccia, davanti a pochissimi fedeli, celebrava l’antico rito. Rimasi subito colpito dall’atmosfera di mistico silenzio, di partecipazione dei presenti e dalla frase pronunciata dal vecchio sacerdote all’inizio della liturgia, “…et  introìbo ad altare Dei: ad Deum qui laetificat juventutem meam”. Quell’uomo stanco e malato per il mondo, davanti all’altare del suo Signore diventava giovane.
Un atto di fede enorme ed un significato metafisico che mi fece capovolgere in pochi minuti tutto il mio bagaglio mentale, le mie idee, le mie certezze e da quel momento, ogni domenica ed ogni festa religiosa, per quanto mi è stato possibile, sono stato presente alla liturgia di sempre nella ricerca, anche per me, oggi alla soglia dei sessant’anni, di essere sempre “giovane” davanti al Signore>>

 

IL SILENZIO E LA SOLITUDINE DELL’ALTARE

Superata la commozione, torniamo a noi. Posso io ogni volta, davanti un bambino dell’asilo che si crede un gigante spirituale, e che discetta della “comprensione” (di tutto quanto ti passa sotto gli occhi nel Tempio) quale primo e unico definitivo dogma, infallibile e incancellabile come il peccato originale, tirare fuori la “barzelletta” di Sant’Agostino? Del bambino (che poi si scoprì essere un angelo) che sulla spiaggia cerca di mettere con una conchiglia nella buchetta che ha scavato nella sabbia l’immensità dell’acqua del mare? E che quindi, morale della favola, solo un pazzo e un cretino può credere che la sua piccola testolina di… rapa, può contenere da sola l’infinito, indicibile, incontenibile, eterno MISTERO? Mistero di Dio, Mistero di fede!

 Ci sono due aspetti in particolare che ci rendono il senso profondo della messa di sempre: il silenzio e la solitudine. L’altare, prima e durante e dopo il Sacrificio, è avvolto dal silenzio. E dalla solitudine, del celebrante, “Alter Christus”. Ma come, si dirà, la Pasqua e dunque la celebrazione sono “anche un trionfo!”. Certo, sì. Ma è anche il perpetuarsi della passione e morte di Cristo. Che si svolgono nel silenzio, nella solitudine, nel tradimento, nel rinnegamento, nella fuga dei discepoli. Nell’ultima cena Cristo è tradito e venduto da Giuda; nell’Orto degli Ulivi, nella notte che precede il supplizio Cristo è lasciato solo a sudare sangue mentre i discepoli s’addormentano invece di pregare con lui; Pietro nella stessa notte lo rinnega tre volte; nessuno cerca di salvarlo, nessuno gli si offre a sorreggere per un po’ la sua croce (il Cireneo ne è costretto). Nessuno sembra più conoscerlo o riconoscerlo.

Cristo in un attimo di dolore veramente umano, grida a squarciagola al suo Dio, al Padre, il baratro di sventura e solitudine in cui sprofonda inerte. La “solitudine”. La stessa solitudine che in quel momento sull’altare del Sacrificio Supremo, nuovo Golgota, dove davvero e di nuovo irrompe la Passione di Cristo, sperimenta il sacerdote, “Alter Christus”. Il sacerdote è solo sull’altare. E a questa solitudine si aggiunge l’ombra propria della solitudine: il “silenzio”. Sulla collina desolata del Golgota, e prima, nell’Orto, e dopo ancora, nel sepolcro, Cristo è solo e nel silenzio. Il silenzio della sua obbedienza, del calice dell’amarezza, del sudore sanguinolento. È il silenzio dell’impotenza, che per un attimo sembra persino di Dio. “Padre mio, perchè mi hai abbandonato?”. Il “silenzio” di Dio, in quel frangente, sembra quasi l’inabissarsi della Divinità. Ma è anche l’impotenza e la desolazione che deriva dal primo ed eterno “sì” in obbedienza di Maria, accettando questo Figlio che non era per lei: “Stabat Mater Dolorosa…”, sotto la croce. E quel silenzio tremendo che avverte sul letto di morte anche la piccola enorme Teresina di Lisieux, quando si lamenta, in quel momento estremo dell’agonia, della “non presenza di Dio”.

 Silenzio. Come stettero zitti i discepoli, Maria, chi volle bene al Cristo uomo e già Messia, tutti quanti: tacquero, si nascosero, impotenti per obbedienza e per viltà, persino impietriti dal dolore e dalla confusione, o perchè in definitiva così “dovevano” andare le cose… tutti stettero in silenzio. ASSISTETTERO SOLTANTO, alla passione e morte del figlio di Dio. La stessa ragione per cui alla messa del Sacrificio, i fedeli NON DEVONO PARTECIPARE, MA ASSISTERE. In silenzio. Il silenzio che ammanta il sacerdote mentre compie il Sacrificio di Cristo. E di se stesso.

Ma allora la Resurrezione? E’ un trionfo. Ma è un trionfo vissuto nel nascondimento, da un Dio senza arroganza. Avviene ancora una volta nel silenzio e nella solitudine. Dentro un sepolcro di pietre, di notte, assenti tutti, tranne i soldati chiamati a vegliare l’esterno dell’avello. Alla stessa maniera, nel silenzioso, quasi segreto e oscuro, formulare del sacerdote “Alter Christus” sull’altare del Sacrificio, avverrà la Resurrezione. Nel silenzio e nella solitudine.

Ecco spiegato il perchè e il come si sta, si assiste al Santo Sacrificio della Messa. La Messa di sempre. Lontana dal clamore e dal chiasso, dalla frenesia e dalle sindromi di protagonismo, dai microfoni mal regolati gracchianti e stordenti, dal profluvio di fraseologia frigida e dai battimano della messa riformata in stile anni ’70, gli anni più stancamente declamatori, populistici, inutili mai vissuti sulla faccia della terra.

 

 

IL MISTERO SACRIFICATO ALLA COMUNICAZIONE. FINTA.

Talora dove è stata celebrata la Messa gregoriana per la prima volta, ho avuto nettissima l’impressione che i molti presenti, fra curiosi e interessati, si siano accostati a questo culto divino, altamente spirituale, drammatico, con lo stesso animo con cui si accostavano alla maggiore liberalità (e pure licenza) della messa riformata. Non ci si può assistere alla Messa gregoriana come si assiste alla messa riformata. E’ successo in qualche prima Messa antica in qualche provincia del Sud.

Io sinceramente mi sono scandalizzato. Ho visto roba che mai e poi mai, nemmeno per un secondo, ho osservata a Roma durante le messe gregoriane. Ma solo nelle messe ordinarie. Sbadigli no, ma parlucchiare in continuo anche durante i momenti salienti del rito, questo sì, anche al cellulare; ma è il meno peggio. Infatti una cosa regolarmente registrata nella messa ordinaria, ma mai a Roma in quella antica: gente, uomini specialmente, che non risponde alle preghiere liturgiche le volte (poche, nella messa antica) che è richiesto, figurarsi se si batte il petto al “Confiteor”; che non si inginocchia mai (è previsto molteplici volte nel rito antico), manco a spezzargli le gambe, nemmeno durante la consacrazione. Mentre alla Trinità a Roma (chiesa dei cattolici che celebrano solo in rito antico) ho visto con i miei occhi gente inginocchiata ovunque, tutti nessuno escluso, anche sul pavimento per chi non aveva il banco, almeno durante la consacrazione; qualcuno si è spinto fino all’eccesso di osare prostrarsi con la fronte a terra, senza che nessuno, del resto, trovasse ridicola la cosa.

Due cose sono certe. La prima cosa che si è smarrita nel più dei casi, negli ultimi tempi, è proprio l’educazione al Culto Divino. E all’Essenziale. A forza di annacquare l’ufficio sacro e lo stesso messaggio cristiano, si è annegato il senso del sacro, del divino, del Mistero nella liturgia. Tutto è stanchezza e sbadiglio, ogni cosa scontata. Si è sacrificato il “significato” alla “comunicazione”; il simbolo evocativo ed esoterico al gesto amicale e sdrammatizzante; l’insondabile al “comprensibile”. Insomma si è umanizzato tutto, come se il culto fosse diretto agli uomini e non ascendente verso Dio solo.

Il “Comprensibile”. Ma la stessa maestà di Dio è solo in minima parte svelata e “comprensibile”: volendo “capire” tutto, non si capisce più niente, ed è così che si sminuisce e stempera all’orizzonte la divinità, il cui mistero, ci spiegava Agostino, mai per intero la nostra mente avrà tanta capienza per accoglierlo totalmente.

La stessa Messa del Sacrificio supremo è diventata la messa della parola, degli sproloqui “sociali”, quando non proprio socialisti, dal pulpito: prova ne sia il fatto che spesso, nella messa riformata, le omelie durano anche 35 minuti, la consacrazione anche solo 2 minuti. Si è smarrito il senso delle cose importanti, non si conosce più cosa è al centro e cosa accanto o sotto; si sono rovesciate anzi le posizioni. Nella Messa antica, il centro era e resta il Sacrificio. L’omelia può esserci o no, e se c’è dura 5 minuti, e non va oltre le Scritture del giorno.

L’altra cosa chiara, è che occorre davvero ricominciare anche con gli ottantenni il catechismo da capo, dalla prima elementare, ma quello vero, duro, scandaloso, che spacca le pietre e gli uomini. Bisogna ricapitolare tutto, reinsegnare tutto, perchè tutto è andato smarrito nella nostra memoria di cattolici romani. A volte crediamo che siano la chiesa, la dottrina, il deposito della fede ad essere mutati. E non ci accorgiamo invece che qualcuno ha fatto un foro nel nostro cranio da cui son colati via secoli di sapienza cristiana. E siamo noi che non riconosciamo più Cristo nel culto, che abbiamo dimenticato chi era, cosa ha detto veramente, cosa è la Messa. Con questo abbiamo scordato pure chi siamo e chi erano i nostri padri, e cosa per due millenni ha legato una generazione all’altra: la Pietà.

Nella Messa come Sacrificio restiamo legati alla memoria della preghiera di chi ci ha preceduti nella vita terrena, di coloro che per secoli hanno adorato Dio in quel solo modo; abbiamo perduto anche la memoria dei santi e dei martiri, che si sono santificati in essa e per essa si sono sacrificati. La comunione dei santi. Abbiamo smarrito l’idea di Messa come irruzione del Divino ora e subito sull’altare. Abbiamo scordato il Dio potente, eterno e quotidiano. Occorre ricatechizzare. Quando di nuovo qualcuno risulterà scandalizzato dal messaggio di frattura di Cristo, allora vorrà dire che il seme è stato un’altra volta gettato nella terra. Presto darà frutto. Riempendo di germogli intere distese aride come la morte del culto nel cuore dell’uomo.

 Che a dirla tutta, qua il problema non è manco più la liturgia antica e la liturgia nuova, perchè ormai è un dato che la liturgia nuova, come corpo omogeneo, non esiste più. Semmai ci sono tantissime liturgie, a secondo della nazione, della regione, della sensibilità del vescovo, dell’ideologia del parroco, dall’ignoranza tirannica dei gruppi laicali sindacalizzati, a secondo dell’umore, del tempo, del telegiornale della giorno, dell’età dei presenti, a secondo di tutto meno che di Dio. E talora si ha l’impressione che per liturgia “riformata”, molti intendano quel termine proprio nel senso di riforma luterana. Qui c’è la liturgia di sempre, quella gregoriana, contro il tutto e il nulla, contro l’arcipelago creativo semper reformando est, dove la liturgia oltre ad essere sempre in fieri è anche l’ultimo pensiero del clero socialmente utile.

 

 

 LA GENTE NON DEVE CAPIRE, MA ADORARE

LA GENTE NON DEVE PARTECIPARE, MA ASSISTERE

 Dopo una prima messa gregoriana, un signore piuttosto informato, di sicuro tradizionalista, comizia a un gruppo di fedeli un po’ smarriti: spiega loro cose che dovrebbero essere normali da almeno 1.300 anni, ma che dalle facce inebetite dalla novità della scoperta dell’acqua calda, ti rendi conto non lo sono più. Questo rigoroso cattolico è preciso, spiega ineccepibilmente e con passione e mimica tutta meridionale l’evento Sacrificio della Messa. Soprattutto, si sofferma sulla figura del sacerdote rivolto di spalle, quale Alter Christus. “Il sacedote è rivolto di spalle ai fedeli, perchè pone il cuore e l’attenzione ad Oriente, verso Dio. Ha quasi quasi il compito, quale mediator Dei, di introdurre, guidandolo, il popolo alle sue spalle verso la Divinità… Sia mai si pensasse che il sacerdote si deve rivolgere al popolo durante la messa come fosse il destinatario delle formule… come di fatto sembra avvenire nella messa nuova”. A quel punto interviene un suo interlocutore, con la barba e l’aria un po’ sofferta da insegnate ulivista, che non lo contraddice, ma introduce un concetto pericoloso, che nasce più dall’ignoranza che non da influenze protestanti. Dice: “Ma se vogliamo il prete e il popolo sono un tutt’uno, sono un unico popolo di Dio che condivide e concelebra il culto… c’è come un sacerdozio di tutto il popolo di Dio”. Lo dice inconsapevolmente, ed eccettuata la logica del sacerdozio d’ogni cattolico col battesimo (che nulla ha a che fare con la Messa del Sacrificio), introduce concetti che prima ancora d’essere protestanti e luterani, demoliscono e rendono inutile, uno spreco, la figura del sacerdote consacrato.

Due anziane signore: “La messa in latino [sic!] è bella, ma io non scambierei la messa in italiano con niente. La gente deve capire quello che si dice, e qui io non capisco. Io non ci ritornerò più a questa messa!”. Volevo domandare cosa veramente capiscono della formulazione italianissima della messa anni ’70. Se veramente capiscono quella asettica talora sospetta fraseologia che nasce non da secoli di sapienza cristiana, ma dalle nebbie delle menti di teologi luterani senza più speranza cristiana, e come dimostreranno di lì a poco con veri dubbi di fede.

La “gente deve capire”, dice. No, la gente non deve “capire” una mazza durante la messa. La gente deve stare zitta e ferma. La gente non deve “partecipare” o addirittura “concelebrare”. La gente in chiesa non è “gente” ma fedeli! E questi fedeli devono solo ASSISTERE. E assistendo muti, devono solo adorare. E’ la ragione per cui, nella messa antica, era consentito al fedele, nelle parti orali del rito che spettano solo all’Alter Christi, di recitare silenziosamente il rosario. Zitto, il fedele ASSISTE: anzitutto perchè le formule di consacrazione che il sacerdote recita, “submissa voce”, sono scambiate solo fra il Mediator Dei, che solo si carica il peso del popolo fedele (ecco anche uno dei significati del manipolo) e Dio, anzi fra l’Alter Christus e Dio. Solo, il sacerdote solo, perchè solo Gesù parla e istituisce l’eucarestia nell’ultima cena. Solo vive il terrore, la passione, la morte e la resurrezione. Solo, perchè solo a ciascuno dei discepoli, singolarmente, concede dopo la sua morte che vince la morte, d’essere Alter Christus, davanti l’altare di ogni ultima mistica cena e di immolazione.

Capire”, mi si dice. Non si può capire, non si deve osare capire. Il cuore soltanto deve comprendere essendo in quei momenti rivolto a Dio, “coram Deo”. O comunque vi si deve partecipare (visto che insistete!) con tutti e cinque i sensi, non solo con il cervello. Chi assiste al Sacrificio Supremo non deve “capire”, deve anzi restare ammutolito e fermo, ASSISTERE inerte, sbigottito, col tumulto nel cuore. Deve credere e adorare. Si ASSISTE soltanto: perchè neppure alle ore di passione di Cristo, alcuno “partecipò”; neanche davanti al Golgota in diretta, allora, nessuno del tutto capì; neppure trascorsi gli eventi ancora “capirono” e anzi la loro fede vacillò di più. Il terrore prese lo stesso posto della “comprensione”. Neppure Pietro capì di cosa sino ad allora si era parlato, cosa veramente Cristo aveva detto. Nessuno capì, popolo di peccatori, umanità decadente senza cognizione della propria redenzione.

E infatti, fu, quella, notte oscura di tradimenti, di silenzi assordanti, di solitudine, di sudore di sangue, di indifferanza, di fughe, di viltà, di rinnegamento, di peccato e di pentimento, di suicidi. Di impotenza e di oscurità. Di solitudine. Nessuno stette al suo posto, nessuno si fece avanti, nessuno capì davvero. Tommaso volle metterci anche dopo il dito, perchè non aveva capito manco lui. Tutti, i discepoli in primis, e Giovanni e Maria e gli amici di Gesù, chi insomma gli era vicino, nessuno “partecipò”; ognuno invece “assistette”. Inerte, muto, impotente. ASSISTONO. Non “capiscono”, non completamente almeno.

Il Sacrificio stesso fu sì fatto da altri, dagli infedeli, ma paradossalmente sembrò (e così era) che Cristo stesso se ne incaricasse, e difatti egli stesso lo annuncia: quasi un consapevole auto-sacrificio. Sì, perchè Egli accetta consapevolmente, va incontro da solo alla volontà del Padre sapendo qual è. Si carica da solo, sulla viva carne, il peso di una umanità ancora irredenta, del “popolo”, che fin lì non ha “capito”: ha visto e non ha “capito”. Come non potranno “capire” (mai!) veramente il Sacrificio della Messa. È lo stesso motivo della solitudine e del silenzio (submissa voce) del sacerdote sull’altare, dell’Alter Christus che sacrifica se stesso nell’eucarestia. E’ la ragione del Mediator Dei che nella messa di sempre da solo e silenziosamente, si rivolge al Padre, assumendosi da solo il peso del popolo di Dio, che non potrà aiutarlo in alcun modo. Assisteranno soltanto i fedeli, come i discepoli assistettero senza partecipare, alla passione. Col manipolo l’Alter Christus asciugherà il sudore di sangue della lacerante fatica della sequela di Cristo, d’essere Lui fino alla morte e alla morte di croce, sino alla resurrezione silenziosa e segreta, discreta come il Dio dei cristiani, il nostro silenzioso Dio. Tutto è Mistero. Tutto è Grazia.

Per tutte queste cose i fedeli non devono “capire” né “partecipare”. Avranno invece l’obbligo solo di Assistere, stando in silenzio, coram Deo, adoranti, impotenti. Salvi! Ma occorre si affidino cuore e intelletto, tutti, al Mediator Dei, all’Alter Christus. Non tentino di “capire”: non capirebbero comunque. In ognuno di noi c’è sempre un po’ di Giuda il traditore, del Pietro rinnegatore che non aveva capito niente, del Tommaso che non crede se non vede anche se ha assistito al compiersi della profezia. In tutto questo la Messa di sempre è altamente istruttiva, profondamente spirituale, immensamente fedele allo svolgersi dei fatti nei dintorni del Golgota. Perchè è principalmente Sacrificio. Qualità che la declamatoria e chiassosa, logorroica e “svelata” messa anni ’70 non ha più. E anzi, devia il fedele più che indirizzarlo rettamente.

 

Caterina63
00lunedì 26 novembre 2012 18:34
[SM=g1740758]ATTENZIONE.... la pertecipazione del fedele alla Messa non è l'attivismo, ma fondamentalmente L'ASCOLTO.....E IL SILENZIO...

 DISCORSO DEL PAPA ALLE SCHOLAE CANTORUM...... 

DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
AI PARTECIPANTI ALL'INCONTRO PROMOSSO
DALL'ASSOCIAZIONE ITALIANA SANTA CECILIA

 

Aula Paolo VI
Sabato, 10 novembre 2012

 

 

 

Cari fratelli e sorelle!

 

Con grande gioia vi accolgo, in occasione del pellegrinaggio organizzato dall’Associazione Italiana Santa Cecilia, alla quale va anzitutto il mio plauso, con il saluto cordiale al Presidente, che ringrazio per le cortesi parole, e a tutti i collaboratori. Con affetto saluto voi, appartenenti a numerose Scholae Cantorum di ogni parte d’Italia! Sono molto lieto di incontrarvi, e anche di sapere - come è stato ricordato - che domani parteciperete nella Basilica di San Pietro alla celebrazione eucaristica presieduta dal Cardinale Arciprete Angelo Comastri, offrendo naturalmente il servizio della lode con il canto.

 

Questo vostro convegno si colloca intenzionalmente nella ricorrenza del 50° anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II. E con piacere ho visto che l’Associazione Santa Cecilia ha inteso così riproporre alla vostra attenzione l’insegnamento della Costituzione conciliare sulla liturgia, in particolare là dove – nel sesto capitolo – tratta della musica sacra. In tale ricorrenza, come sapete bene, ho voluto per tutta la Chiesa uno speciale Anno della fede, al fine di promuovere l’approfondimento della fede in tutti i battezzati e il comune impegno per la nuova evangelizzazione. Perciò, incontrandovi, vorrei sottolineare brevemente come la musica sacra può, anzitutto, favorire la fede e, inoltre, cooperare alla nuova evangelizzazione.

 

Circa la fede, viene spontaneo pensare alla vicenda personale di Sant’Agostino - uno dei grandi Padri della Chiesa, vissuto tra il IV e il V secolo dopo Cristo - alla cui conversione contribuì certamente e in modo rilevante l’ascolto del canto dei salmi e degli inni, nelle liturgie presiedute da Sant’Ambrogio. Se infatti sempre la fede nasce dall’ascolto della Parola di Dio – un ascolto naturalmente non solo dei sensi, ma che dai sensi passa alla mente ed al cuore – non c’è dubbio che la musica e soprattutto il canto possono conferire alla recita dei salmi e dei cantici biblici maggiore forza comunicativa. Tra i carismi di Sant’Ambrogio vi era proprio quello di una spiccata sensibilità e capacità musicale, ed egli, una volta ordinato Vescovo di Milano, mise questo dono al servizio della fede e dell’evangelizzazione. La testimonianza di Agostino, che in quel tempo era professore a Milano e cercava Dio, cercava la fede, al riguardo è molto significativa.

Nel decimo libro delle Confessioni, della sua Autobiografia, egli scrive: «Quando mi tornano alla mente le lacrime che canti di chiesa mi strapparono ai primordi nella mia fede riconquistata, e alla commozione che ancor oggi suscita in me non il canto, ma le parole cantate, se cantate con voce limpida e la modulazione più conveniente, riconosco di nuovo la grande utilità di questa pratica» (33, 50). L’esperienza degli inni ambrosiani fu talmente forte, che Agostino li portò impressi nella memoria e li citò spesso nelle sue opere; anzi, scrisse un’opera proprio sulla musica, il De Musica.
Egli afferma di non approvare, durante le liturgie cantate, la ricerca del mero piacere sensibile, ma riconosce che la musica e il canto ben fatti possono aiutare ad accogliere la Parola di Dio e a provare una salutare commozione
.

Questa testimonianza di Sant’Agostino ci aiuta a comprendere il fatto che la Costituzione Sacrosanctum Concilium, in linea con la tradizione della Chiesa, insegna che «il canto sacro, unito alle parole, è parte necessaria ed integrante della liturgia solenne» (n. 112). Perché «necessaria ed integrante»? Non certo per motivi puramente estetici, in un senso superficiale, ma perché coopera, proprio per la sua bellezza, a nutrire ed esprimere la fede, e quindi alla gloria di Dio e alla santificazione dei fedeli, che sono il fine della musica sacra (cfr ibid.). Proprio per questo vorrei ringraziarvi per il prezioso servizio che prestate: la musica che eseguite non è un accessorio o solo un abbellimento esteriore della liturgia, ma è essa stessa liturgia. Voi aiutate l’intera Assemblea a lodare Dio, a far scendere nel profondo del cuore la sua Parola: con il canto voi pregate e fate pregare, e partecipate al canto e alla preghiera della liturgia che abbraccia l’intera creazione nel glorificare il Creatore.

 

Il secondo aspetto che propongo alla vostra riflessione è il rapporto tra il canto sacro e la nuova evangelizzazione. La Costituzione conciliare sulla liturgia ricorda l’importanza della musica sacra nella missione ad gentes ed esorta a valorizzare le tradizioni musicali dei popoli (cfr n. 119). Ma anche proprio nei Paesi di antica evangelizzazione, come l’Italia, la musica sacra - con la sua grande tradizione che è propria, che è cultura nostra, occidentale - può avere e di fatto ha un compito rilevante, per favorire la riscoperta di Dio, un rinnovato accostamento al messaggio cristiano e ai misteri della fede.

Pensiamo alla celebre esperienza di Paul Claudel, poeta francese, che si convertì ascoltando il canto del Magnificat durante i Vespri di Natale nella Cattedrale di Notre-Dame a Parigi: «In quel momento – egli scrive – capitò l’evento che domina tutta la mia vita. In un istante il mio cuore fu toccato e io credetti. Credetti con una forza di adesione così grande, con un tale innalzamento di tutto il mio essere, con una convinzione così potente, in una certezza che non lasciava posto a nessuna specie di dubbio che, dopo di allora, nessun ragionamento, nessuna circostanza della mia vita agitata hanno potuto scuotere la mia fede né toccarla».
Ma, senza scomodare personaggi illustri, pensiamo a quante persone sono state toccate nel profondo dell’animo ascoltando musica sacra; e ancora di più a quanti si sono sentiti nuovamente attirati verso Dio dalla bellezza della musica liturgica come Claudel.
E qui, cari amici, voi avete un ruolo importante: impegnatevi a migliorare la qualità del canto liturgico, senza aver timore di recuperare e valorizzare la grande tradizione musicale della Chiesa, che nel gregoriano e nella polifonia ha due delle espressioni più alte, come afferma lo stesso Vaticano II (cfr Sacrosanctum Concilium, 116).

E vorrei sottolineare che la partecipazione attiva dell’intero Popolo di Dio alla liturgia non consiste solo nel parlare, ma anche nell’ascoltare, nell’accogliere con i sensi e con lo spirito la Parola, e questo vale anche per la musica sacra. Voi, che avete il dono del canto, potete far cantare il cuore di tante persone nelle celebrazioni liturgiche.

 

Cari amici, auguro che in Italia la musica liturgica tenda sempre più in alto, per lodare degnamente il Signore e per mostrare come la Chiesa sia il luogo in cui la bellezza è di casa. Grazie ancora a tutti per questo incontro!
Grazie.


Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 10:43.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com