"Le fesserie della mezza cultura" Di Adriano ,nostro fratello in Cristo

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Vilucchio.
00giovedì 15 aprile 2010 11:28
Caterina63
00giovedì 15 aprile 2010 13:00
[SM=g1740722] ottima segnalazione carissima...

anzi ne approfitto per segnalare anche questo Editoriale dell'amico Adriano:

Un malato di SLA riflette per noi sulla morte di Eluana (IMPERDIBILE)


Nell'editoriale segnalato da Vilucchio, così lo introduce Adriano:


Cesarina Vighy, malata di SLA di 73 anni, è la vincitrice del Premio Campiello Opera Prima e finalista del Premio Strega con il suo romanzo d’esordio “L’ultima estate”, fortemente autobiografico.


Dal suo libro è stato tratto una sorta di decalogo laico, che vorrebbe essere un vademecum per i neo-malati di SLA ma che, a mio parere, se effettivamente applicato, avrebbe come unico risultato quello di precipitarli in una bieca depressione.

In questo decalogo, infatti, non c’è alcuno spazio per la speranza, né per l’amore, ma solo per l’ego del malato.

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vi consiglio di leggerlo attentamente anche se lungo, perchè ci troviamo davanti, davvero, a due persone certamente sensibili al problema perchè entrambe colpite dalla malattia e di conseguenza è una esperienza che stanno vivendo sulla propria pelle, ma al tempo stesso ci viene indicato da uno LA CORRETTA INTERPRETAZIONE della sofferenza, mentre dall'altra ci giunge l'incomprensione....


vi segnalo il passo, uno dei tanti, che mi ha colpito di più:

La scrittrice nichilista scrive:


III. Se credete in qualche dio, tenetevelo stretto.
Può darsi che serva, all'inizio o alla fine, soprattutto se non vi fate troppe domande di tipo razionale.
Pregatelo invece, o bestemmiatelo; ringraziatelo o maleditelo: servirà, forse, a tenere aperti i canali di comunicazione.

IV. Se non credete in niente, meglio così: un pensiero di meno.
Molti osservatori professionali riferiscono che muoiono meglio gli atei.

V. Seguite l'istinto. Nessuno vi conosce meglio di voi.

I più vi diranno: «Accetta, accetta». Il che vuol dire continuare a vedere gli amici, il cui respiro di sollievo vi pare di sentire davvero appena escono da casa vostra, e a parlare con loro finché la vostra voce non sarà diventata un mal intellegibile gracchiare. Tanto loro sono tenuti a mostrare pietas, voi coraggio mentre, nel profondo delle viscere, loro sono assaliti dalla paura, voi dall'invidia.
Non chiamo “accettare” ciò che si è costretti con la forza a prendere
.

Ci sono anche quelli del «lotta, lotta», quelli che nei necrologi scrivono sempre: «Dopo aver lottato a lungo con la malattia... è morto ieri l'amico di sempre XY...». Non ci badate; questa concezione muscolare non farà altro che diminuire le vostre forze, già scarse, per quando arriverà in grande stile la famosa “faticabilità” che non consiste, come anch'io credevo, nel non poter più trascinarsi appresso i borsoni del supermercato gonfi di spesa ma nell'impossibilità di sollevare con una mano il supplemento illustrato di un giornale.
Tra queste due scuole di pensiero, io personalmente ho scelto orgogliosamente una terza via, peraltro sconsigliata e criticata da tutti. Assecondando la mia misantropia e aiutata da una naturale capacità a star sola, mi sono chiusa in casa, non rispondo al telefono, rifiuto ogni visita, comunico soltanto per iscritto.



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le risponde Adriano, anch'egli colpito dalla malattia:

Cesarina Vighy scrive molto bene. Il suo stile ricorda parecchio (pure troppo, a dire il vero) quello di un’altra brava scrittrice, Oriana Fallaci, dalla quale sembra mutuare non solo l’altezzosità intellettuale, ma anche piccoli vezzi stilistici, come quello di scrivere sempre la parola “dio” rigorosamente con la d minuscola.
La Vighy si definisce “una mangiapreti”. Non posso che sorridere di tenerezza verso chi continua ad attribuirsi questo anacronistico termine: in una società in cui i sacerdoti hanno ormai perso il compito di guide morali e spirituali a vantaggio di attori, calciatori, politici e veline, non vi è alcuna originalità a fare i mangiapreti, basta omologarsi alla vulgata corrente. Così il sedicente mangiapreti finisce solo per somigliare ad uno che vada in giro portando al collo un cartello con scritto: “Attenti a me, ché sono un duro”.
Ma torniamo al decalogo.



(..)

III. Se credete in qualche dio, tenetevelo stretto.

Può darsi che serva, all'inizio o alla fine, soprattutto se non vi fate troppe domande di tipo razionale.
Pregatelo invece, o bestemmiatelo; ringraziatelo o maleditelo: servirà, forse, a tenere aperti i canali di comunicazione.

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Eccolo qua, il nichilismo sarcastico di chi teme che credere sia un segno di debolezza. Il leit-motiv tutto laicista secondo il quale la fede e la ragione non possono convivere.

Per i protestanti, forse, per i quali la ragione è la prostituta del diavolo (Lutero). Non certo per i cattolici, che da sempre rifiutano ogni forma di cieco fideismo, facendo propria la massima di S.Agostino: “Credo per capire, capisco per credere”.

Per i cattolici la fede deve sempre essere ragionevole, e la ragione aperta alla comprensione dei misteri della fede. Il cristianesimo non si basa sui dogmi, si basa sulla testimonianza, ed è dalle testimonianze attendibili che derivano i dogmi, secondo un processo assolutamente razionale.

Perché nella sezione dell’Apologetica cattolica io insisto tanto sulla storicità dei Vangeli?

Perché c’é chi vuole trasformarli in libri di catechismo, racconti allegorici, disquisizioni teologiche, mentre non sono altro che resoconti fedeli di eventi realmente accaduti, testimonianze di persone che c’erano ed hanno visto, e spesso hanno preferito farsi uccidere piuttosto che negare l’evidenza di ciò a cui hanno assistito.

Giovanni apre il suo Vangelo con le parole: “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria” (Gv 1, 14) e lo chiude affermando: “Questo è il discepolo che rende testimonianza su questi fatti e li ha scritti; e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera” (Gv 21, 24).

Nella sua Prima Lettera è ancora più esplicito: “Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita (poiché la vita si è fatta visibile, noi l’abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunciamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi), quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi” (1Gv 1, 1-4).

Cosa c’è di più ragionevole, per chi non era presente, che ascoltare i testimoni, vagliarne l’affidabilità, e sulla base dei fatti fondare la propria fede? E’ per questo che la fede non può essere irrazionale: perché si basa su testimonianze, su fatti, su evidenze, non su elucubrazioni e voli pindarici. La fede non è filosofia.

Ed è per questo che io vi dico: se credete in un Dio, chiamatelo vicino a voi, perché è l’unico che può dare un senso a quanto vi sta accadendo.
Come il ladrone, non vergognatevi a chiedergli “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”. Sarà solo allora che capirete che per tutto questo tempo Lui è sempre stato lì, crocifisso al vostro fianco, in attesa di potervi dire: “Sarai con me nel Paradiso”.

Se poi in Dio non ci credete, non importa, cercatelo lo stesso. Il Padre è alla continua ricerca di adoratori in Spirito e Verità, e chi meglio di voi può esser degno di lui, prendendo la propria croce e seguendolo?

Come disse San Pio da Pietralcina ad un suo interlocutore che si professava miscredente: “Non è importante che tu creda in Dio, è importante che Dio creda in te”.

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IV. Se non credete in niente, meglio così: un pensiero di meno.
Molti osservatori professionali riferiscono che muoiono meglio gli atei.


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Qui non si capisce bene quali siano gli “osservatori professionali” a cui la Vighy fa riferimento. L’unico a cui ho sentito dire qualcosa del genere è l’oncologo Umberto Veronesi, sulla cui lucidità mentale non metterei la mano sul fuoco, viste alcune recenti uscite quantomeno bizzarre, tipo:

 

Dopo aver generato i doverosi figli e averli allevati, il suo (dell’uomo, ndr) compito è finito, occupa spazio destinato ad altri, per cui bisognerebbe che le persone a cinquanta o sessant’anni sparissero” (Veronesi, La libertà della vita, Edizioni Cortina Raffaello, 2006, pag.39).

 

"La clonazione è in realtà il metodo migliore di riproduzione della specie umana, perché il desiderio sessuale cesserebbe così di essere uno dei maggiori elementi di competizione e nessuno sarebbe più ossessionato dalla ricerca del partner. Nascerebbe così una società quasi felice, in cui ognuno vivrebbe quell’ansia di bisessualità che è profondamente radicata in noi, e avremmo davanti a noi il Paradiso terrestre". (Veronesi, La libertà della vita, Edizioni Cortina Raffaello, 2006, pag. 83).

 

Rimbambimento senile a parte, gli osservatori professionali, in realtà, riferiscono l’opposto di quanto crede la Vighy.

Per esempio, uno studio del Dipartimento di psichiatria dell’Università del Manitoba, eseguito da Daniel Rasic su un campione di 37.000 persone e pubblicato sul Journal of Affective Disorders, evidenzia che chi non crede in Dio ha il doppio delle probabilità di diventare suicida. Secondo Tim Wall, direttore esecutivo dell’Associazione canadese per la prevenzione dei suicidi, le persone religiose tendono a trovare sia un senso di appartenenza che un significato alla loro vita nella fede: “Sono persone che hanno un collegamento con il mondo intorno a loro e hanno una sensazione di significato nella loro vita. E questi sono fattori particolarmente potenti che contribuiscono alla salute mentale globale della gente”.

Se poi non vogliamo allontanarci troppo dalla realtà dei malati di SLA, la pubblicazione dei ricercatori dell’Università di Lancaster O’Brien e Clark D., “SPIRITUALITY AND FAITH: MEANS FOR COPING WITH THE EFFECTS OF ALS/MND”, riconosce alla spiritualità ed alla fede personale un ruolo importante nella sopportazione dei disagi della malattia, nella resistenza agli stress che essa comporta e nell’adattamento dell’individuo alla convivenza con il male.

E poi, parliamoci chiaro, avete mai sentito di qualcuno che sia diventato ateo in punto di morte?


***

V. Seguite l'istinto. Nessuno vi conosce meglio di voi.

I più vi diranno: «Accetta, accetta». .....



***

Seguire il proprio istinto non è sempre la migliore delle soluzioni. Seguendo il loro istinto, migliaia di lemming, durante le migrazioni, si gettano da dirupi o nelle gelide acque artiche alla ricerca di nuovi territori da colonizzare, lasciandoci la pelle.

Storicamente, alcune della maggiori catastrofi dell’umanità sono state causate da gente che agiva per istinto.

Noi, fortunatamente, abbiamo un cervello ed un cuore: usateli entrambi.

 

“Siamo quello che vogliamo essere, abbiamo un potere grandissimo nella nostra mente e nel nostro cuore, solo vivendo relazioni vere, scegliendo ogni giorno il coraggio di lottare, la vita, anche la più disperata può cambiare.” (Luca Pulino)

 

Cesarina Vighy crede che accettare la malattia significhi rassegnarsi ad essa e fare ottusamente finta che tutto vada bene, che tutto sia come “prima”. Al contrario, accettare la malattia significa accettare innanzitutto la quotidiana lotta che essa ci impone, che non è una lotta fisica, ma una lotta mentale.

Accettazione e lotta non sono due modalità diverse di affrontare la SLA, ma le due facce della stessa moneta: l’una implica l’altra.

Una delle massime più celebri del professor Scoglio, buonanima allenatore del Genoa, è:

 
“Tutte le mattine devo alzarmi odiando qualcuno”.
 

Ecco, io tutte le mattine devo alzarmi odiando la SLA. La mia preghierina del mattino è: “Buongiorno, Bastarda. Oggi farò questo, questo e quest’altro, e tu non me lo impedirai”.

La mia preghierina della sera, invece, é: “Buonanotte, Stronza. Sono ancora qui”.

Soprattutto, resistete alla tentazione di credere che l’universo ruoti attorno a voi: il mondo continuerà a girare anche quando voi non ci sarete più. E’ per questo che è importante non perdere contatto con il mondo. Oggi la tecnologia ci offre molti strumenti per comunicare: telefono, sms, internet. Esistono, usateli.

La malattia produrrà una drastica ma salutare selezione naturale degli amici: alla fine resteranno soltanto quelli che vi vogliono davvero bene. Ma non è un male, perché sono solo questi che contano. Forse proveranno per voi pena, forse proveranno compassione, ma solo perché vi vogliono bene, e vorrebbero che voi steste meglio.

La Vighy ritiene che l’unico sentimento che si possa provare per loro è l’invidia. Le rispondo nuovamente con le parole del mio amico Luca Pulino:

 
“Stasera festeggerò con quaranta miei amici a casa mia, è l'ultima festa del 2009, nel 2010 ne seguiranno molte altre, perché vedere gli altri stare insieme e ridere è per me una gioia grandissima, bisogna allenarsi a gioire delle gioie altrui e ascoltare le tristezze degli altri per trasformarle in un pensiero di ottimismo.”
 

Non seppellitevi prima del tempo, non rintanatevi in voi stessi, non fareste altro che alimentare la depressione vostra e dei vostri cari. Non sprecate quello che resta della vostra vita...

(...)

Siamo giunti quasi alla fine di questa lunga dissertazione, con la quale spero di non avervi annoiato. Nelle ultime righe la Vighy intravede con lucidità l’insensatezza di voler normare con una disposizione di legge persino la morte, intuendo come sia la natura umana, con la sua adattabilità alle situazioni più estreme, a voler spostare il limite ultimo sempre un poco più in là.

Così preferisco soffermarmi un attimo sulla domanda retorica:

 
Ma in fondo che ci importa di quello che accade dopo?

****

Cara Cesarina, ci importa più di ogni altra cosa. E’ qui che sta la differenza tra il senso ed il non-senso della nostra esistenza, tra la Vita ed il Nulla. Ti pare poco?

A me pare Tutto, invece.

Al punto che davvero, a volte, mi viene da chiedermi:

 

“Ma in fondo, che mi importa di quello che accade prima?”


LEGGETELO INTEGRALMENTE....



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