Lettera alla Diocesi di Roma del cardinale Vicario, Vallini, ma una parte del Clero è scontento

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Caterina63
00martedì 9 novembre 2010 00:22
DIOCESI DI ROMA




Incontro del Clero Romano 2010

Relazione del Cardinale Vicario





Basilica di San Giovanni, 20 settembre 2010





     Cari Confratelli !

     1. Ci ritroviamo dopo la pausa estiva, che spero vi abbia rinfrancato nel corpo e nello spirito. Riprendiamo il nostro cammino presbiterale ed ecclesiale. L’immagine che spontaneamente mi viene alla mente è quella della scalata, di andare verso l’alto, che, se è faticoso, è tonificante. Quando si va in montagna, ad ogni tornante ci si volta indietro per guardare la strada fatta, magari asciugandosi il sudore, e poter contemplare il panorama con lo sguardo rivolto alla meta. Fuori metafora, mi sembra di poter dire che la Chiesa di Roma è una comunità in cammino, che non si ferma perché la strada è accidentata e in salita, né indietreggia dinanzi alle difficoltà e alle sfide. E’ una Chiesa che, ad ogni tornante, sa fare il punto dell’itinerario per ripartire con maggiore lena. Desidero dare pubblica testimonianza di ciò a voi, cari Confratelli, che siete le guide del popolo cristiano, in un momento storico nel quale il Signore non ci fa mancare le consolazioni e ci chiama a superare nuove prove.

     2. Nell’anno pastorale 2009-2010 abbiamo vissuto intense esperienze spirituali, che ci hanno fatto amare ancora di più il nostro sacerdozio e ringraziare il Signore per il dono ricevuto: l’Anno sacerdotale, il pellegrinaggio ad Ars e a Paray-le-Monial, il Convegno diocesano su Eucarestia e testimonianza della carità, per citarne alcune significative, e tutto l’impegno nei diversi campi di ministero.
     Nell’omelia della Messa conclusiva dell’Anno sacerdotale, l’11 giugno scorso, il Santo Padre ci diceva: con l’Anno sacerdotale “volevamo risvegliare la gioia che Dio ci sia così vicino, e la gratitudine per il fatto che Egli si affidi alla nostra debolezza; che Egli ci conduca e ci sostenga giorno per giorno”. Così è stato e ne ringraziamo il Signore. Ma nell’anno pastorale passato sono avvenuti dei fatti, che ci obbligano a misurare il passo e a non perdere di vista la meta. Vogliamo richiamarli brevemente non per esserne condizionati, ma per metterli a confronto con la bellezza della nostra vita.
     Anzitutto la bufera della pedofilia, che nella stessa omelia il Santo Padre ha descritto così: “Era da aspettarsi che al «nemico» questo nuovo brillare del sacerdozio non sarebbe piaciuto; egli avrebbe preferito vederlo scomparire, perché in fin dei conti Dio fosse spinto fuori del mondo. E così è successo che, proprio in questo anno di gioia per il sacramento del sacerdozio, siano venuti alla luce i peccati di sacerdoti…”. E poi lo scandalo estivo dell’omosessualità.
     Inutile nasconderci che queste vicende ci hanno pesato personalmente e come presbiterio, soprattutto per la ricaduta sulla credibilità e la fiducia nella Chiesa da parte di tante persone. Ma non dobbiamo scoraggiarci, anche se, a mio parere, sarebbe un errore, dinanzi ai “peccati di sacerdoti”, di cui parla il Papa, noi ci sentissimo del tutto fuori. Naturalmente da certi peccati e delitti è certo che siamo fuori: non è neanche il caso di dirlo. Ed è bene sapere – lo affermo con carità e chiarezza insieme - che non c’è posto nel nostro presbiterio per chi si fosse macchiato o si macchiasse di così orribile peccato e delitto o di comportamenti morali altrettanto gravemente peccaminosi, come l’esercizio dell’omosessualità incompatibile con il sacerdozio.

     Ma dobbiamo avere il coraggio di scendere più in profondità per prendere coscienza che avendo ricevuto tanto, dobbiamo corrispondere con altrettanta magnanimità di cuore. Il Papa ha continuato così: “Se l’Anno sacerdotale avesse dovuto essere una glorificazione della nostra personale prestazione umana, sarebbe stato distrutto da queste vicende. Ma si trattava per noi proprio del contrario: diventare grati del dono di Dio, dono che si nasconde «in vasi di creta»”. E nell’omelia del 29 giugno, quasi in continuità con questo pensiero, commentando le letture della festa degli apostoli Pietro e Paolo, il Santo Padre ha affermato: “Se pensiamo ai due millenni di storia della Chiesa,…non sono mai mancate per i cristiani le prove, che in alcuni periodi e luoghi hanno assunto il carattere di vere e proprie persecuzioni. Queste, però,…non costituiscono il pericolo più grave per la Chiesa. Il danno maggiore, infatti, essa lo subisce da ciò che inquina la fede e la vita cristiana dei suoi membri e delle sue comunità, intaccando l’integrità del Corpo mistico, indebolendo la sua capacità di profezia e di testimonianza, appannando la bellezza del suo volto”.

     3. Cari Confratelli, proprio questa duplice dimensione: sapere che siamo destinatari di un dono che ci supera e ci sovrasta ed avere coscienza di essere “vasi di creta”, ci deve mettere sull’avviso che nessuno è indenne da qualche pigrizia, dalla tentazione di adagiarsi nell’abitudine o del sottile compromesso, dal rischio dell’erosione lenta della gioia della vita consacrata a Cristo e dal pericolo di debolezze e fragilità. La grazia della perseveranza non è né ovvia, né scontata, anzi è controcorrente e socialmente improponibile, in una società del provvisorio, dell’esperimento a termine, dove tutto si rimette sempre in discussione. Noi non siamo fuori da questo contesto, noi respiriamo la stessa aria che respirano tutti, ma siamo capaci di profezia e di testimonianza che rende bello il volto della Chiesa, se rimaniamo intimamente uniti a Cristo.
     Certo, segni di fatica e di disagio possiamo avvertirli tutti.

Ad esempio, il sovraccarico di lavoro per le cose da fare ogni giorno previste nel modello pastorale adottato possono avere l’effetto di farci ritrovare in un ingranaggio e in una sorta di burocratizzazione anche degli atti ministeriali più santi, rischiando di viverli in modo ripetitivo e spersonalizzato; o, al contrario, la divisione rigida dei compiti parrocchiali, così da ritrovarci di fatto con molti spazi vuoti che lentamente possono indebolire la convinzione della necessità di un ministero a tempo pieno e far nascere un senso di inutilità.

Così pure la percezione di impotenza in un contesto di indifferenza crescente della gente, che continua a chiedere solo la tradizione dei sacramenti, e la constatazione di esiti spesso deludenti del nostro impegno. Ancora, la scarsa qualità umana dei rapporti con i confratelli o il non sentirli vicini, così che le relazioni si sviluppano prevalentemente in funzione delle attività da svolgere e poco a livello di ascolto reciproco; oppure la percezione di essere poco stimati e più spesso giudicati. Né manca il caso in cui la distanza delle generazioni tra parroco e vicario parrocchiale rende faticosa l’intesa, generando nei giovani la tentazione di chiudersi e di non farsi conoscere. A Roma infine le distanze e il numero di sacerdoti rendono più difficili le relazioni con il centro diocesi, il Cardinale Vicario può essere o è percepito quasi esclusivamente l’autorità distante che decide e non il padre, il fratello, a cui potersi aprire, confidare, sfogare nei momenti più pesanti e sofferti. Forse la cosa va meglio con i Vescovi Ausiliari, per i rapporti più ravvicinati. Tutto ciò e tanto altro può rendere la vita quotidiana poco serena e sottilmente far nascere la domanda: oltre il Signore, chi mi vuole bene? chi mi capisce? di chi mi posso fidare, al di là del padre spirituale e del confessore? In una società in cui la figura del prete perde sempre di più la centralità culturale di una volta, può prendere il sopravvento il disagio esistenziale, la stanchezza, la sfiducia in noi stessi e nella nostra vita. A questo clima psicologico dobbiamo reagire, interpretandolo come un “segno del tempo”, in cui il Signore alla luce della fede, che tutto rischiara, ci parla e ci invita a prendere nuovamente coscienza dell’immensa grazia del sacerdozio e a ridare vigore alla nostra missione nel mondo di oggi.

     4. Un secondo “segno del tempo”, che è diventato tema ricorrente e per effetto delle recenti tristi vicende si evidenzia con maggiore gravità, è l’attuale situazione della fede e della vita ecclesiale. E’ un argomento decisivo, che personalmente sento molto, come tutti voi
[1]. Mi basti solo richiamarlo.
     Al pari di vari paesi di antica tradizione cristiana, anche da noi, dove pure si registrano nuove e promettenti esperienze di vitalità ecclesiale, il tessuto popolare cristiano appare sempre più minacciato dal processo di secolarizzazione della società e con esso l’idea che Dio e la religione da molte persone sono considerate cose del passato, inesorabilmente travolte dalla modernità. Inoltre è sotto gli occhi di tutti che il contesto sociale sempre più plurietnico è divenuto pluriculturale e plurireligioso. Ciò rende problematica la trasmissione della fede e tanti battezzati conducono una vita lontana dalla Chiesa, con convincimenti e comportamenti non ispirati al Vangelo e agli insegnamenti del Magistero. La fede non è più l’humus sociale in cui si viene al mondo, la famiglia molto spesso non è più il luogo in cui si è educati dall’esempio dei genitori, la parrocchia non è più considerata la casa comune nella quale tutti i fedeli si raccolgono la domenica a pregare e a nutrirsi dei sacramenti, le feste religiose non scandiscono più i ritmi della vita civile e le leggi non sono più coerenti con la morale cristiana.

I mezzi di comunicazione poi si impegnano a martellare le debolezze vere o presunte della Chiesa e di alcuni di noi sacerdoti, amplificandole, e a ribadire frequentemente, con sondaggi spesso discutibili, che la religione in Italia è in declino sotto tutti gli aspetti visibili e quantificabili e che assistiamo ad una “eclissi del senso di Dio”. Il Santo Padre ritorna con frequenza sull’argomento per renderci consapevoli della sfida che ci sta davanti. “Il vero problema in questo momento della storia – ha scritto il Papa – è che Dio sparisce dall’orizzonte degli uomini e con lo spegnersi della luce proveniente da Dio l’umanità viene colta dalla mancanza di orientamento, i cui effetti distruttivi ci si manifestano sempre di più. Condurre gli uomini verso Dio, verso il Dio che parla nella Bibbia: questa è la priorità suprema e fondamentale della Chiesa… in questo tempo”
[2]. Nondimeno gli analisti e gli studiosi del fenomeno religioso dicono che è iniziata l’epoca postsecolare e, in effetti, nella nostra società sono presenti molti segni che dicono che l’uomo di oggi sente la nostalgia di Dio.

     5. Questi scenari ci rendono tutti pensosi. Per parte mia, in questo incontro familiare, provo a comunicarvi alcune riflessioni nella prospettiva di un impegno. La piccola esperienza, fatta in questi due anni durante i quali ho potuto incontrare molti di voi, conoscere qualcosa della vostra vita personale, per le confidenze che amabilmente mi fate, e apprezzare il vostro ministero, mi porta a dire che il presbiterio diocesano è ricco di tanti uomini di fede profonda, di comunione, di passione per il Vangelo, di amore alla gente, i quali allungano la schiera dei santi preti romani che ci hanno preceduto. Oggi siamo noi i testimoni primi della gioia della fede, noi i pastori e le guide, noi i responsabili della Chiesa di Roma presente nei quartieri del centro e della periferia della città. L’affetto e la stima che ho per ciascuno di voi, mi spingono ad osare di confidarvi ciò che ho nel cuore, che - a mio parere - può esserci di aiuto per la nostra vita sacerdotale.

     Anzitutto credo che quanto ci capita sia un forte invito ad un sapiente discernimento personale e comunitario per ridare vigore ai fondamentali della vita di ogni sacerdote e per rinnovare la totale fiducia nel Signore, ripetendo con San Paolo: “So in chi ho creduto” (2 Tim. 1, 12). E’ nelle prove che si diventa forti, gettando nel Signore ogni affanno, convinti – come ci ha ricordato il Papa - che non dobbiamo aver paura di nulla “per il fatto che Dio è presente e si occupa di noi…Si prende cura di me…Non sono lasciato solo, smarrito nell’universo… Allora comprendiamo anche che cosa significhi: Dio vuole che noi come sacerdoti, in un piccolo punto della storia, condividiamo le sue preoccupazioni per gli uomini”
[3].

     6. In secondo luogo mi pare importante che ciascuno di noi si impegni a coltivare la reductio ad unum della sua vita. Cosa intendo dire? Una delle condizioni che Gesù chiede ai suoi discepoli è di essere persone armonizzate, di vivere la corrispondenza tra il compito che si svolge e la verità della vita e delle convinzioni. Vi confido, cari Confratelli, che mi fanno sempre molto riflettere le parole severe di Gesù, che troviamo nel vangelo di Matteo (cap. 23, 13-29) rivolte ai maestri della legge e ai farisei e che suonano come un forte ammonimento a noi discepoli affinché ne prendiamo le distanze: “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pulite l’esterno del bicchiere e del piatto, ma all’interno sono pieni di avidità e d’intemperanza… Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che assomigliate a sepolcri imbiancati: all’esterno appaiono belli, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni marciume”. Gesù li chiama insistentemente “ipocriti” (ύποκριταί). Sarebbe sbagliato pensare che Egli abbia voluto esprimere il disprezzo per una categoria di persone, i farisei, che - come è noto – erano i discendenti di quei pii israeliti che avevano mantenuta alta la fede giudaica e la speranza nella venuta del Messia. In realtà Gesù si indirizza contro un atteggiamento particolare dell’uomo, se vogliamo specificare meglio, dell’uomo religioso, tanto che potremmo rileggere il capitolo 23 di Matteo sostituendo alla parola “scribi e farisei” quella di “guide religiose”.

     L’ipocrita è chi non potendosi mostrare come è, recita una parte: “siete come sepolcri imbiancati…”. Il sostantivo ipocrita, da ύποκρίνομαι significa “pretendere”, ma anche “giocare, interpretare un ruolo”, “essere un attore”
[4]. Con quest’ultimo significato è usato in particolare da Matteo. La parola di Gesù è rivolta a quanti ricoprono un ruolo non armonizzato con la propria vita. L’armonizzazione tra ciò che si è e ciò che appare è un cammino sapiente, vale a dire guidato non da una qualunque sapienza di vita, ma dalla sapienza che viene dall’alto - ή σοφία α̉́νωθεν - (Gc 3,15): una sapienza priva di ipocrisia appunto, che tende alla maturazione di un’esistenza riconciliata e armoniosa[5].

     7. Domandiamoci allora: come possiamo favorire il processo della nostra personale armonizzazione? Personalmente sono convinto che per “ravvivare il dono di Dio” (2 Tim. 1, 6) sia indispensabile anzitutto una robusta vita spirituale, in cui ogni mattina sappiamo dare un congruo spazio alla preghiera e alla meditazione della Parola di Dio per mettere a fuoco le ragioni di fede del nostro vivere ed operare. La S. Messa, centro pensato e non scontato della giornata, sia il Mistero grande che nutre nel segreto e ci riempie, rendendoci consapevoli e partecipi con Cristo di prendere su di noi i peccati del mondo (cfr. Ebr. 9, 11-14), rinnovando l’offerta a Dio della nostra vita. La confessione frequente quale esperienza del perdono per i nostri peccati e negligenze e dell’accrescimento del dono dello Spirito Santo, per impegnarci a nostra volta ad essere segni e strumenti di misericordia. Così pure non dobbiamo farci mancare le giornate di ritiro e ogni anno il corso di esercizi spirituali.
 
Tutto ciò, cari Confratelli, rende bella e gioiosa la nostra vita e ci attira a vivere radicalmente il Vangelo. Allora la castità è il segno di una vita interamente donata per amore a Cristo e alla Chiesa e non ci costa custodirla e preservarla da tutto ciò che può inquinarla e minacciarla. L’obbedienza è generosa e libera sottomissione al Signore per la Chiesa del poco che siamo e delle nostre forze per tutto ciò che può tornare utile al Regno di Dio. E la povertà è stile di vita e ricerca di essenzialità, senza pretese, grati alla Chiesa che ci garantisce ciò di cui abbiamo bisogno, mentre tanta gente intorno a noi manca del necessario. Ancora, la gioia di servire: un servizio generoso e rigoroso, senza sbavature o fughe, che sentiamo obbligante anche in tempi e circostanze difficili. Infine, la coscienza chiara e la disponibilità a vivere da discepoli di Gesù, che ci assicura lo Spirito Santo, ma non ci libera dalle croci. Se cresce la nostra santità, anche la credibilità nella Chiesa crescerà.

     Cari Confratelli, ditemi se sbaglio: io sono convinto che la gente oggi si attende di incontrare sacerdoti dalla chiara e forte identità evangelica, uomini di Dio e, per questo, ricchi di umanità, che ispirano fiducia e accoglienza.

     8. In questo cammino spirituale ci è di grande aiuto la testimonianza, il sostegno e l’incoraggiamento degli altri confratelli, particolarmente del presbiterio parrocchiale. La vita comune è una grande opportunità di bene e un segno di testimonianza. In una società che tende a frammentare sempre di più la vita delle persone e fa fatica a custodire quella di famiglia (non si mangia neanche più insieme), il presbiterio parrocchiale testimonia la bellezza della comunione fraterna vissuta felicemente insieme, accomunati dallo stesso ideale sacerdotale.
     Aiutiamoci a curare molto la vita in canonica, dove nessuno debba sentirsi ospite, in un clima familiare, fatto di attenzioni e di condivisione, e che favorisca la confidenza reciproca, aprendola nelle forme opportune a occasioni di incontro e di amicizia anche ai confratelli che vivono nell’ambito della parrocchia. In tante parrocchie tutto ciò, grazie a Dio, è tradizione serena e costruttiva, ma non mancano quelle in cui la vita in canonica è faticosa, poco partecipata, talvolta sopportata.

La verità è che ognuno di noi è fatto in un modo, ha il suo carattere e la convivenza fa emergere i punti deboli, che si possono superare a poco a poco, a condizione di essere magnanimi e di accettarci reciprocamente, sottolineando del confratello gli aspetti positivi prima di quelli che ci distinguono e ci pesano. Ai parroci, primi responsabili del presbiterio parrocchiale, mi permetto di chiedere di avere molto a cuore la vita di ciascun confratello e quella comune. Non dimentichiamo poi che in molte parrocchie sono presenti giovani sacerdoti studenti a quali dobbiamo offrire un ambiente di alto profilo sacerdotale e di testimonianza gioiosa, che la Chiesa di Roma è tenuta a dare a tutti.

     A questo fine è in preparazione una “Regola di vita”, che - come sapete - il Consiglio presbiterale diocesano ha deciso di scrivere quale frutto dell’Anno sacerdotale. Si tratta di un piccolo strumento per ricordare i punti fermi del nostro essere preti e di esserlo a Roma e che speriamo potrà esserci di aiuto. Avrà l’intento di ridestare aspirazioni e tensione ideale. Contiamo di poterla concludere al più presto.

     9. Una parola vorrei dire riguardo alla distanza dalla fede e dalla vita ecclesiale di tante persone anche battezzate. La coscienza della vocazione missionaria della Chiesa e l’urgenza per l’oggi è chiara a tutti noi. A questo tema radicale il Santo Padre ha dedicato la sua omelia lo scorso 28 giugno, nel corso dei Primi Vespri dei nostri Patroni, nella Basilica di San Paolo. Ricordando i Servi di Dio Paolo VI, che nel 1974 convocò un’assemblea del Sinodo dei Vescovi sul tema dell’evangelizzazione nel mondo contemporaneo e pubblicò l’Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi (1975), e Giovanni Paolo II che alla “nuova evangelizzazione” ha dedicato tutto il pontificato, Papa Benedetto XVI ha ribadito che la sfida della “nuova evangelizzazione” oggi interpella la Chiesa, perché se l’evange-lizzazione non è nuova nei contenuti, deve essere nuova “nello slancio interiore, …nella ricerca di modalità che corrispondano … ai tempi e alle situazioni; [ed] è necessaria anche in Paesi che hanno già ricevuto l’annuncio del Vangelo”.

     Tutti siamo ben convinti di questa necessità, e non solo per le circostanze storiche, ma perché si tratta di qualcosa che definisce l’essenza stessa della Chiesa
[6]. Ma la domanda è: come fare questo nuovo annuncio di Gesù Cristo? Come ricominciare a parlare di Dio a tanti lontani? E’ stato giustamente detto: “Dio non può farsi noto attraverso la gabbia di acciaio della razionalità strumentale” (V. Possenti). Nè basta imparare un metodo di comunicazione dei contenuti della fede. Ne siamo ben convinti tutti.
     Se guardiamo alla primitiva storia apostolica e alle grandi figure di evangelizzatori, mi pare di trovare almeno due costanti: l’essere testimoni di ciò che avevano “visto, sentito, toccato del Verbo della vita”
[7], e l’aver preso sul serio il mandato di Gesù: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura”[8].

     Dunque l’annuncio della fede a chi è lontano o ridestarla in chi l’ha smarrita ha un imprescindibile presupposto, vale a dire che l’annunciatore sia un vero testimone, portatore di un’esperienza umana da cui traspaiano luce e significato trascendenti intorno alle grandi questioni della vita e della morte, dell’amore e degli affetti, del bene e del male, della giustizia e della pace, dell’essere padri, madri e figli, cittadini e fedeli, che rende credibili e affidabili, perché veri amici di Dio e lo fanno sentire vicino. Fanno sempre riflettere queste parole di H. Urs von Balthasar, più che mai attuali: “Il popolo cristiano… oggi cerca con la lanterna uomini da cui si irradi qualcosa della luce e della vicinanza dell’origine. Di modernità vuote di istinto religioso è sazio da gran tempo”
[9]. Se la fede è viva e autentica si irradia nell’audacia della Parola, nella dedizione generosa della carità, nella profezia evangelica della vita. Non abbiamo bisogno di altro che della libertà e della forza della nostra testimonianza. A mio parere, il travaglio di oggi non è il segno dell’agonia e della morte della fede, ma del suo rinnovamento e sviluppo.

     Ritorniamo allora a quanto si diceva prima di noi sacerdoti, ma allargandolo ai diaconi, ai consacrati, ai laici, ai genitori, ai catechisti, agli educatori, ai giovani. Oggi è tempo di umile e coraggiosa testimonianza della luce e della gioia della fede, che è capace di penetrare i cuori solo se è frutto di un processo sereno e voluto di continua “conversione interiore”.

     10. Il nostro ministero, in secondo luogo, ci chiede di dare un posto di rilievo all’ “andare verso gli altri” e non solo di accoglierli quando vengono da noi. “Andare”, certo, è anzitutto un atteggiamento spirituale che rivela apertura del cuore, disponibilità, voglia di servire; ma ha anche – per così dire – una “valenza fisica”, che allarga l’impegno ad andare fisicamente oltre i nostri abituali ambienti per attrarre al Vangelo quanti più uomini, donne e giovani possibile, dedicando ad essi tempo e intelligenza. E’ una scelta pastorale non nuova. Questo fu il senso della Missione cittadina in preparazione del Grande Giubileo del 2000, durante la quale tutte le componenti ecclesiali misero in pratica la felice espressione di Giovanni Paolo II: “Parrocchia, cerca te stessa e trova te stessa fuori di te stessa”, vale a dire nei luoghi dove la gente vive. Fu un indirizzo pastorale che mirò a dare forma permanente alla missione, caratterizzando in senso più decisamente missionario le attività delle parrocchie e di ogni altra realtà ecclesiale.

     Mi rendo conto che non è semplice né facile modificare la prassi consolidata di un ministero pastorale rivolto a chi frequenta più o meno assiduamente la parrocchia, che si reputa o è considerato credente. Il ministero è così centrato sulla preparazione e celebrazione dei sacramenti, sul culto e l’attenzione ai poveri, con altre iniziative lodevoli. Ma il fatto da cui non possiamo prescindere è che negli ultimi decenni la situazione della fede a Roma è molto cambiata e la prospettiva missionaria della pastorale deve assumere una nuova e decisiva centralità nella pratica quotidiana. Quanto mai attuale al riguardo l’ammonimento di S. Paolo ai Romani: “Come potranno invocar[e il Signore] senza aver prima creduto in lui? E come potranno credere, senza averne sentito parlare? E come potranno sentirne parlare senza uno che lo annunzi?”
[10]. Dopo dieci anni dobbiamo rilanciare lo spirito della Missione cittadina, ben sapendo che l’attuale contesto socio-culturale costituisce una sfida impegnativa, a cui forse non siamo preparati.

     C’è anzitutto un problema di linguaggio: la gente rifiuta le formule prefabbricate; nella maggioranza delle persone poi non solo non si può presupporre la fede, ma neanche l’istinto e le categorie religiose; oggi inoltre è in crisi il concetto di paternità e si rifiuta a priori l’autorità, per cui ha facile accoglienza il relativismo se non teorico, almeno pratico: è vero quello che penso io, è vero oggi e domani può cambiare; a livello psicologico poi, tutto è incerto e le appartenenze fanno paura, particolarmente quelle stabili; davanti al gigante della globalizzazione e ad una tecnologia inarrestabile, ci si sente confusi, schiacciati, anonimi e si diventa apatici. Nondimeno, paradossalmente disarma e apre all’ascolto il parlare semplice, comprensibile, percepito come vero, che tocca il cuore, che narra una storia di vita. Questo può suscitare il bisogno. Questa può essere la via del Vangelo. E questo, mi pare, deve essere il modo di porsi in ogni atto pastorale e verso tutti.

     Qualcuno si domanda se nei processi di trasformazione della pastorale, non si sia finiti per modificarne solo gli aspetti organizzativi, impauriti dalla novità e dalla fatica di mettersi continuamente in discussione. Dinanzi alla fame di Dio, spesso implicita, invece di offrire pane fresco, forse ci si è accontentati di merendine preconfezionate. A ben vedere, lo scopo ultimo della verifica pastorale è proprio questo: dare un nuovo slancio e un soffio vitale al nostro ministero, ripetendo con San Paolo: “Annunciare il Vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo !” ( 1 Cor. 9, 16).

     11. Ritorno allora alla domanda: posti questi presupposti, come pro-cedere? come riparlare di Dio a chi mostra disponibilità, rinnovando l’esperienza del funzionario etiope che si rivolse al diacono Filippo
[11]?
     Le strade sono tante, anzi forse sarebbe più giusto dire che c’è una strada per ogni persona. Dal Concilio in avanti sono nate tante esperienze e metodi di evangelizzazione: di molti non se ne parla più, ne sono nati dei nuovi e tanti si sono perfezionati. Anche a Roma abbiamo varie e fruttuose esperienze. Il Papa l’anno scorso ci incoraggiò a rivitalizzare o suscitare i Gruppi di ascolto del Vangelo nelle case e nei diversi ambienti di vita e di istituire o potenziare in parrocchia la Lectio divina settimanale. Desidero ringraziare tutti i sacerdoti, particolarmente i parroci, che hanno dato seguito a queste indicazioni. La Lectio divina è iniziata in tante parrocchie e anche i Gruppi del Vangelo nelle case stanno cominciando a rinascere.

     Chiedo a voi se può giovare raccogliere quanto c’è di buono e di sperimentato e proporlo, così che ogni parroco possa valutare quali metodi si addicano di più alla sua comunità. L’Ufficio Catechistico del Vicariato può fare questo servizio. Ma ritengo che la condizione previa si quella di essere convinti che non possiamo più accontentarci dell’esistente. Da più parti poi è stato chiesto di dar vita ad una vera “scuola per evangelizzatori”, aperta a sacerdoti e laici, che partendo dai requisiti interiori indispensabili per annunciare Gesù Cristo faccia conoscere e sperimentare i diversi metodi di evangelizzazione. Sarei lieto di conoscere il vostro pensiero al riguardo.

     12. In questa direzione – come è facile comprendere - va anche tutto l’impegno per migliorare la celebrazione dell’Eucarestia, da cui scaturisce intrinsecamente la testimonianza della carità.
     Entrando in Basilica avete ricevuto una lettera, nella quale ho raccolto i principali punti di impegno, maturati nel Convegno diocesano del giugno scorso, a cui vorremmo gradualmente dare attuazione a partire da questo anno pastorale. Una specie di promemoria, che spero possa aiutare.

Tre sono i sussidi che il Vicariato sta predisponendo, come già annunciato con la lettera circolare inviata a luglio scorso:
     -
un piccolo “Catechismo eucaristico” per promuovere la conoscenza della fede nell’Eucarestia;
     - un corso per la formazione dei Gruppi liturgici;
     - un corso di formazione per gli operatori della Caritas parrocchiale.


Le due ultime iniziative si svolgeranno nelle Prefetture, con calendari che in questi giorni si stanno definendo.

     Confido che da oggi ogni parrocchia si ponga alacremente al lavoro per migliorare la pastorale eucaristica e quella della carità.
     Non avremo altri impegni riguardanti la verifica, se non quello di raccogliere i dati dell’iniziazione cristiana, a cui dedicheremo il convegno diocesano 2011. Di questo semplice lavoro di rilevazione dei dati, sulla base di schede che sono in preparazione e riceverete a casa, ci occuperemo nei mesi di gennaio e febbraio 2011.

     13. Infine, desidero toccare brevemente un ultimo punto di grande urgenza: la pastorale vocazionale al presbiterato. Non devo spendere molte parole per dire che il numero dei seminaristi dei nostri cinque seminari è insufficiente a fronteggiare le esigenze pastorali di oggi.
     Nella citata omelia dell’11 giugno, il Santo Padre ci ha detto che l’Anno sacerdotale con il risveglio della gioia del nostro sacerdozio, aveva anche lo scopo di “mostrare nuovamente ai giovani che questa vocazione, questa comunione di servizio per Dio e con Dio, esiste – anzi, che Dio è in attesa del nostro «sì». Insieme alla Chiesa volevamo nuovamente far notare che questa vocazione la dobbiamo chiedere a Dio”.
     
Su questo argomento della pastorale vocazione desidererei che si aprisse un grande dibattito. Certo, se dovessimo fidarci solo delle nostre forze, saremmo votati al fallimento, tenendo conto che molti elementi militano contro di noi: la cultura dominante e invasiva acristiana, se non anticristiana, la crisi delle famiglie, il bassissimo tasso di natalità, l’allontanamento della maggioranza dei ragazzi e dei giovani dopo la cresima, le proposte violente che essi ricevono ogni giorno dai mezzi di comunicazione, la schiavitù di internet, la fragilità delle nuove generazioni, il ritardo nella maturazione psicologica e la paura di scelte serie e impegnative, le controtestimonianze di noi sacerdoti, i nostri linguaggi che non riescono a sintonizzarsi con la cultura giovanile, ecc. Sarebbe giusto domandarsi: se tutto questo è vero, perché i giovani dovrebbero farsi preti?

     Ma in questo campo abbiamo alcune certezze. La prima: Gesù ci invita alla preghiera costante
[12]. Dobbiamo credere nella potenza della preghiera. Non ha detto il Signore, nella parabola dell’amico importuno, che la preghiera è certamente efficace quando è insistente?[13] Cari Confratelli, oggi mi permetto di chiedervi qualcosa di più di un rinnovato generico invito a pregare per questo scopo. E’ necessario un impegno esplicito, convinto, fiducioso e operativo. Chiedo che in ogni parrocchia il primo giovedì del mese – o altro giorno ritenuto più idoneo - noi sacerdoti con la gente adoriamo il Signore e gli chiediamo tutti insieme di donare a noi preti e ai giovani che Egli vuole una sovrabbondante effusione di Spirito Santo, perché coloro che il Signore chiama, grazie alla nostra preghiera, rispondano con coraggio. Se in tutte le Chiese di Roma si eleverà questa unanime supplica, dobbiamo essere certi che le vocazioni necessarie arriveranno.

     La seconda certezza ci viene da queste altre parole di Gesù: “Andate… proclamate il Vangelo… Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano” (Mc. 16, 15. 20). Dobbiamo credere nella potenza del Signore che agisce con noi e compie miracoli, mettendoci a servizio dei giovani. Guardando i piccoli gruppi giovanili presenti nelle nostre parrocchie, desidero incoraggiarvi a dedicare più tempo ai giovani, far sentire che vogliamo loro bene, che i loro problemi ci interessano, che il tema dell’amore umano, che essi sentono molto, non è un tabù, ma è centrale nella vita cristiana. So che oggi non è facile lavorare con i giovani, è faticoso, è necessario tanto equilibrio, ma non possiamo abbandonarli a loro stessi. Dobbiamo avere il coraggio di proporre a loro mete cristiane alte, itinerari spirituali impegnativi e la stessa vocazione sacerdotale, laddove ci accorgiamo che lo Spirito Santo lavora nei loro cuori. Superiamo il pudore e la timidezza. Non abbiamo paura di proporre ai giovani e agli adolescenti – nelle forme e nei modi dovuti - di seguire Cristo nella via del sacerdozio. La confessione e la direzione spirituale sono momenti formativi preziosi, insieme a esperienze spirituali e di servizio, particolarmente rivolte ai poveri. Vi domando: come possiamo aiutarci in questo ambito della pastorale così importante?

     Una parola particolare desidero dire a proposito del Seminario Minore. E’ diffusa l’idea che questa comunità formativa abbia fatto il suo tempo e che non sia più la strada da proporre agli adolescenti. Qualcuno addirittura, anche sulla stampa cattolica, ne propone l’abolizione. I motivi sarebbero che in questa fase della vita, certamente molto delicata, il seminario non sarebbe un ambiente genuino, capace di offrire relazioni forti e di accompagnare nella formazione di una vera identità personale. Solo la famiglia resterebbe l’ambiente idoneo. Io resto di parere contrario. Mi domando che conoscenza hanno del seminario minore di oggi i sostenitori di queste idee. Perché negare ad adolescenti, toccati dalla grazia, di poter sperimentare liberamente, sostenuti dalla vicinanza della parrocchia e della famiglia, nella quale ritornano tutte le settimane, un percorso formativo di accompagnamento e di discernimento, nel quale vita cristiana, formazione culturale, gruppo giovanile, diano a loro un aiuto per progettare il futuro? Perché spegnere il sogno del sacerdozio in chi ne mostra l’inclinazione? Il seminario minore non è il seminario dell’ordinazione, ma quello che accompagna a capire il progetto di Dio. Al riguardo, non manca qualche buon frutto. Dobbiamo credere che il Signore può chiamare a seguirlo anche da giovanissimi, come è avvenuto felicemente nella vita di molti di noi.

     Infine, raccomando a tutte le parrocchie, alle associazione e movimenti, ai centri giovanili e di pastorale universitaria, agli insegnanti di religione e alle scuole cattoliche di collaborare con i nostri Seminari Maggiore e Minore e di partecipare e sostenere le iniziative vocazionali proposte.

     14. Cari Confratelli, dinanzi alle sfide che siamo chiamati ad affrontare rimaniamo sereni, come si addice ai discepoli del Signore Risorto, fiduciosi nella presenza del suo Spirito, che cammina con noi e sostiene la responsabilità del ministero che ci accomuna. Alle nostre comunità occorre un soffio potente dello Spirito Santo, che provochi un forte richiamo alla santità di tutti: vescovi, sacerdoti, diaconi, consacrati e laici. Diversamente la fatica della verifica, i convegni e gli orientamenti che ne derivano, non apporteranno i frutti sperati. Questa è la fraterna esortazione che mi permetto di rivolgervi all’inizio del nuovo anno pastorale, che affido alla protezione di Maria, Salus populi romani.



_________________

  
[1] Cfr. Le mie relazioni ai Convegni diocesani 2009 e 2010.
  
[2] Benedetto XVI, Lettera all’episcopato mondiale circa la remissione della scomunica ai vescovi scismatici della fraternità Sacerdotale S. Pio X, 10 marzo 2009.
  
[3] Omelia, 11 giugno, cit.
  
[4] Questo è il significato del termine, ad esempio, negli autori greci Aristofane, Senofonte, Platone.
  
[5] E’ una sapienza – aggiunge l’apostolo S. Giacomo - “incontaminata, … pacifica, benevola, docile, ricolma di misericordia e di buoni frutti, … priva di ipocrisia” ( Gc. 3, 17).
  
[6] Cfr. At, 1, 8; Concilio Vaticano II, Decr. Ad gentes, n. 2: “La Chiesa per sua natura è missionaria”.
  
[7] 1 Gv. 1, 1.
  
[8] Mt. 28, 19; Mc. 16, 15; At. 1, 8.
  
[9] Con occhi semplici, Brescia, 1970, p.4.
[10] Rm. 10, 14.
[11] Cfr. At. 8, 26-38.
[12] Mt. 9, 36: “Pregate il Signore della messe, perché mandi operai nella sua messe”.
[13] Lc. 11, 9: “Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto”.

Caterina63
00martedì 9 novembre 2010 00:32

Lettera ai Parroci per l'attuazione
del Convegno Diocesano 2010


Vicariato di Roma


Ai Reverendi Parroci
e ai Sacerdoti tutti
della Diocesi di Roma


     Carissimo,

     adempiendo ad un decisione del Consiglio Episcopale, che ha ritenuto opportuno che dopo il Convegno diocesano del 15-17 giugno scorsi venissero trasmessi sinteticamente ai Parroci e a tutti i Sacerdoti gli orientamenti emersi, con questa mia lettera mi premuro di farti conoscere i principali punti di impegno che gradualmente vorremmo mettere in pratica.

      Desidero anzitutto esprimere l’impressione fortemente positiva, già manifestata al Convegno, che questa nostra verifica pastorale ha messo in moto tante energie e sta promuovendo una maturazione della coscienza ecclesiale. Tutto ciò ci rende più consapevoli del tanto bene che c’è e di promuoverne lo sviluppo. Vogliamo guardare avanti con fiducia, spronarci reciprocamente, fare sempre più affidamento sui laici che sentono di essere con noi “Chiesa viva”. Confido che tutte le parrocchie condividano gli obiettivi e le tappe della verifica pastorale, così da partecipare attivamente al lavoro comune.

     E’ apparso chiaro dal Convegno che l’impegno più grande da affrontare è quella della formazione, sia dei collaboratori pastorali che dei fedeli. Siamo coscienti che le persone disponibili non sono sufficienti e molte di esse forse hanno bisogno di una preparazione più solida. Questa obbiettiva difficoltà, che talvolta potrebbe indurre il Parroco a pensare: faccio quello che posso e con la forze che ho, non deve scoraggiarci. E’ vero che il contesto culturale in cui operiamo è divenuto più complesso e talvolta impervio all’azione pastorale, ma è altrettanto certo, e più che certo, che la missione è prima di tutto opera del Signore, dal quale attingiamo la forza (cf. 2 Tim, 2, 1), soprattutto quando siamo afflitti da varie prove.

     Questi i punti di attenzione che, raccolti sinteticamente dalla mia relazione al Convegno, ti prego di prendere a cuore tra i tuoi impegni pastorali.

     1. Impronta missionaria alla pastorale parrocchiale.
Sul presupposto che non c’è edificazione progressiva e consolidamento della vita cristiana personale e comunitaria senza l’accoglienza nel cuore della Parola di Dio e la sua crescente assimilazione che apre alla fede e trasforma la vita, ribadisco l’indirizzo già dato l’anno passato di rivitalizzare o suscitare i Gruppi di ascolto del Vangelo nelle case e nei diversi ambienti di vita e di istituire o potenziare in parrocchia la Lectio divina settimanale. Come pure incoraggio a valorizzare l’azione missionaria delle associazioni e dei movimenti ecclesiali presenti in parrocchia.

     2. L’Eucarestia, cuore della Chiesa.
Dobbiamo formare i fedeli alla fede eucaristica, attraverso una catechesi sistematica e valorizzando gli itinerari ordinari per le varie fasce di età, non esclusi gli adulti e le famiglie, e altre iniziative: ad es. corsi di esercizi spirituali, settimane eucaristiche e la stessa adorazione eucaristica settimanale.
     Per quelli poi che vengono in chiesa solo la domenica, sarebbe bene dedicare a questo scopo ogni anno, per un periodo di almeno un mese, 15 minuti prima della Messa, oppure utilizzare le omelie di un mese, o dei tempi forti dell’anno liturgico, a partire dai testi biblici del giorno.
     Confido di poter mettere a disposizione di tutti entro poche settimane un piccolo “Catechismo eucaristico”, preparato per noi dal Padre Scicolone, benedettino.

     3. L’Eucarestia celebrata.
Massima attenzione va data poi alla celebrazione dell’Eucarestia, soprattutto la domenica. Una grande responsabilità, al riguardo, l’abbiamo anzitutto noi sacerdoti, animando l’assemblea con l’intensità della nostra fede esemplare.

     4. Le celebrazioni domenicali dell’Eucarestia avvengano con il massimo decoro, evitando l’errore del ritualismo e assicurando le condizioni più efficaci.

Ne richiamo alcune che sembrano indispensabili:

     a) ogni celebrazione sia una vera esperienza di preghiera, educando pazientemente i fedeli al senso del sacro, alla consapevolezza che per entrare nel mistero c’è bisogno di silenzio, raccoglimento, concentrazione su ciò che avviene. E’ molto opportuno che, almeno 5 minuti prima dell’inizio della celebrazione, vi sia una guida che con parole opportune susciti il raccoglimento; oppure che l’organo con una musica adatta prepari l’assemblea, o anche si reciti qualche preghiera introduttiva, ecc. Siano assicurati poi i tempi di silenzio previsti come momenti di interiorizzazione: all’atto penitenziale, dopo la liturgia della parola, dopo la comunione.

     b) Il popolo sia educato a sentirsi protagonista della preghiera attraverso le azioni che gli competono: i gesti, il canto, la preghiera universale, il rito delle offerte, la processione alla comunione, ecc.

     c) Speciale cura si abbia alla liturgia della Parola. Si ribadisca di continuo che la comunità radunata per celebrare i divini misteri è “una comunità in ascolto”. La proclamazione della Parola di Dio non può essere affidata al primo che capita. Deve essere proclamata da chi è in grado di farlo bene, perché l’assemblea riconosca che quella Parola ha una forza intrinseca.

     d) Mi permetto di invitare tutti i sacerdoti a curare molto l’omelia. La decisiva importanza di essa per i frutti della celebrazione non sfugge a nessuno.

     e) Anche il canto, soprattutto nelle celebrazioni dell’Eucaristica domenicale, ha una funzione importante. Auspico che in ogni parrocchia vi sia un coro degno, affidato alla guida di una persona competente, impegnando – se necessario - anche un pò delle risorse del bilancio parrocchiale.

     f) Il gruppo liturgico. Al Convegno il Santo Padre ci ha detto: “Esorto tutti a curare al meglio, anche attraverso appositi gruppi liturgici, la preparazione e la celebrazione dell’Eucarestia”. Ci vogliono buoni collaboratori: lettori, accoliti, ministranti, cantori, animatori liturgici. Preziosa è anche la collaborazione delle Suore e di altre consacrate. L’Ufficio liturgico del Vicariato offre un corso nelle prefetture, secondo un calendario concordato.

     g) Non ci si stanchi di inculcare nei fedeli la puntualità, confidando che quanto più essi percepiranno nella celebrazione la presenza viva del Signore risorto, tanto più crescerà, di domenica in domenica, il bisogno di esserci sempre e fin dall’inizio.

     h) Sarebbe opportuna una riflessione sul numero delle Messe, tenendo conto sia di quelle celebrate nelle chiese e parrocchie vicine, sia dell’intervallo dell’orario di inizio tra una celebrazione e l’altra, che dovrebbe essere almeno di un’ora e mezza.

     5. Le celebrazioni dell’Eucarestia del Cammino Neocatecumenale. In molte parrocchie è presente il Cammino Neocatecumenale, che nell’itinerario formativo prevede la celebrazione dell’Eucarestia il sabato sera. Gli Statuti del Cammino Neocatecumenale, (art. 13 § 1 e 2) concedono che l’Eucarestia venga celebrata “nella piccola comunità [perché i neocatecumeni siano] iniziati gradualmente alla piena, consapevole e attiva partecipazione ai divini misteri”. Questa prassi talvolta è motivo di incomprensione e di divisione. Affido al Parroco e ai Responsabili del Cammino Neocatecumenale di valutare con apertura di cuore e spirito ecclesiale le reciproche esigenze, concedendo o limitando il numero delle celebrazioni, tenendo conto del bene spirituale delle piccole comunità come dell’intera comunità parrocchiale. Della cosa ne ho parlato con il Signor Kiko Arguello, Iniziatore del Cammino, che si è detto d’accordo.

     6. Celebrazione dell’Eucarestia e divorziati risposati. Come è noto, i fedeli che vivono in una condizione irregolare non possono accostarsi alla comunione sacramentale. Nei confronti di questi fratelli e sorelle dobbiamo mostrare particolare cura e accoglienza, facendo comprendere a loro che essi sono desiderati e che “la partecipazione alla Santa Messa rimane necessaria, valida, significativa e fruttuosa”. Naturalmente essi vanno accompagnati, perché coltivino “il desiderio della piena unione con Cristo con la pratica, ad esempio, della comunione spirituale” (Esort. Apost. Sacramentun caritatis, n. 55) ed incoraggiati a prendere parte alle iniziative di carità della comunità.

     7. Alcune norme liturgiche in materia di celebrazione dell’Eucarestia. Negli incontri con i nuovi Parroci è stato chiesto di ricordare alcune norme riguardanti la celebrazione di SS. Messe.

     a) S. Messa “pro populo”. I parroci hanno il dovere di coscienza di applicare una S. Messa per la comunità parrocchiale ogni domenica e nelle feste di precetto. Chi ne è legittimamente impedito, applichi negli stessi giorni attraverso un altro sacerdote, oppure personalmente in giorni diversi (cf. Can. 534 - §1).

     b) Ricordo del nome. Il desiderio dei fedeli che siano menzionati i nomi dei defunti, per i quali è chiesta l’applicazione della Santa Messa, può essere soddisfatto prima dell’inizio della celebrazione o nella preghiera dei fedeli. Si eviti di farlo al memento dei morti, salvo nel caso della Messa esequiale (cfr. Decreto del Card. Camillo Ruini, del 3 maggio 1991, n. 5).

     c) Messe binate. Il sacerdote che celebra più Messe nello stesso giorno per necessità pastorali, deve applicare ciascuna di esse secondo l'intenzione per la quale è stata data l'offerta e può tenere per sé l'offerta di una sola Messa, consegnando le altre all’Ufficio Amministrativo del Vicariato per i Seminarti della Diocesi di Roma (cfr. can. 951 §1; Decreto del Card. Camillo Ruini, del 3 maggio 1991, n. 6).

     d) Abbondanza di intenzioni di Messe. Se vengono richieste celebrazioni di Messe in numero maggiore di quante possono essere celebrate, è buona cosa - se possibile - consegnarle in Vicariato perché siano inviate ai nostri sacerdoti fidei donum o date ai confratelli di Roma che ne sono sprovvisti, come segno di fraternità sacerdotale e di condivisione.

     e) Messe collettive. Per disposizione della Santa Sede è concesso, non piú di due volte per settimana e con il consenso previo degli offerenti, di soddisfare più intenzioni con una sola S. Messa, celebrata secondo un'intenzione «collettiva». La somma delle offerte eccedente l’intenzione abituale, che può essere trattenuta dal celebrante, deve essere consegnata all’Ordinario, che la destinerà a finalità diocesane (cfr. Decreto della Congregazione per il Clero, 22 febbraio 1991). Con Decreto dell’Em.mo Card. Camillo Ruini, del 3 maggio 1991, n. 3, tale somma è destinata alla costruzione delle nuove chiese. Poiché si è diffusa la prassi di celebrare più di due volte per settimana secondo un’intenzione «collettiva», chiedo ai Prefetti di voler riflettere sull’argomento con i confratelli Parroci di ciascuna Prefettura e di portare le proposte al Consiglio dei Prefetti per una soluzione condivisa del problema.

     7. L’Eucaristia adorata. “Davanti al Santissimo Sacramento – ci ha ricordato il Papa - sperimentiamo in modo del tutto particolare quel «rimanere» in Gesù che Egli stesso, nel Vangelo di Giovanni, pone come condizione per portare molto frutto”. L’adorazione eucaristica è, grazie a Dio, già molto diffusa. Invito le parrocchie a prevederla almeno ogni settimana.

     E’ importante educare i fedeli, fin da bambini, a compiere i gesti di adorazione, oggi per lo più poco praticati, come lo stare in ginocchio al momento della consacrazione e la genuflessione davanti al SS. Sacramento.

     8. La domenica, giorno del Signore e dell’uomo. Oggi purtroppo la “santificazione della domenica” è diventata più difficile. Nondimeno non possiamo rinunciare ad indurre un’inversione di tendenza, con piccole scelte, che nel tempo potranno portare frutti. Ne elenco alcune: motivare e incoraggiare stili di vita alternativi al consumismo; difendere la domenica come “il giorno della famiglia”, del riposo e della carità; promuovere giornate comunitarie distensive e formative, riscoprendo e godendo le bellezze del creato.

     9. Dall’Eucarestia celebrata all’Eucarestia vissuta: la testimonianza della carità. Rinvio alla mia relazione al Convegno, nella quale ho cercato di motivare che la testimonianza della carità nasce intrinsecamente dall’Eucarestia. Insieme alle numerose e fiorenti attività caritative, è necessario un impegno maggiore nella formazione alla testimonianza della carità.

     La Caritas parrocchiale, istituzionalmente preposta ad una azione pedagogica, curi che insieme ai servizi caritativi siano promosse iniziative di animazione e di formazione. A tale scopo la Caritas diocesana offrirà itinerari specifici di formazione.

     10. Si promuovano centri culturali per la promozione della carità, sia quella intellettuale, impegnando particolarmente le Cappellanie universitarie, che di formazione alle tematiche di dottrina sociale cristiana.

     11. Il Centro di pastorale sanitaria continui nel promuovere negli ospedali, case di cura e per anziani la testimonianza della carità con programmi formativi adeguati, con particolare attenzione alle associazioni di volontariato.

     Caro Confratello,
     ti prego di leggere questa mia lettera al Consiglio pastorale parrocchiale o analogo organismo, perché siano individuate le migliori forme di esecuzione dei diversi contenuti.
     Grazie fin da ora per quanto nella tua comunità gradualmente potrà essere realizzato. Ripeto ancora una volta: guardiamo avanti con fiducia, contando sull’aiuto del Buon Pastore e di Maria, Madre dei sacerdoti, Salus populi romani.

     Con affetto fraterno

Dal Laterano, 20 settembre 2010


AGOSTINO CARD. VALLINI

                                                                    

Caterina63
00venerdì 30 settembre 2011 12:45

I parroci di Roma contro il Cardinal Vicario, Vallini

Lettera dei parroci romani contro Vallini. «Autoritarismo impressionante»
di Franca Giansoldati, de Il Messaggero

ROMA - Il corvo in Vaticano è tornato a colpire, solo che stavolta la missiva arrivata quattro giorni fa a tutti i capi dicastero d’Oltretevere non è anonima ma siglata: «I sacerdoti di Roma». Anche Papa Ratzinger l’ha ricevuta sulla sua scrivania essendo lui stesso il primo destinatario («Santità, questa è una lettera aperta e non di quelle che circolano in curia in queste settimane»).

La sua copia rispetto a quella arrivata a cardinali e arcivescovi sembra avere a corredo le firme di chi contesta l’operato svolto sino ad oggi dal cardinale Agostino Vallini, vicario della diocesi capitolina. Si tratta di due pagine scritte al computer, suddivise in otto paragrafi in cui traspare insofferenza, delusione e per certi versi esasperazione per un clima venato da «autoritarismo impressionante».
Il porporato - già prefetto del Tribunale della Segnatura Apostolica, scelto dal pontefice a sostituire Camillo Ruini nel 2008 - è accusato di manifestare «comportamenti degni di un maresciallo dei carabinieri, non di un vescovo» [non si offendano i sottoufficiali dell'Arma, n.d.r.].

Lo scontento serpeggia all’interno del clero diocesano e forse, vista l’iniziativa, non da ieri. In curia non si parla d’altro. Gli autori della lettera si rammaricano di non poter avere colloqui sereni col proprio superiore per colpa di un «clima di sospetto su tutto e su tutti» che col tempo si è venuto a creare. Morale: il palazzo del Laterano viene dipinto non come un luogo di dialogo ma un «luogo infelice dove non ci si fida più di nessuno e si è costretti al silenzio».

Affermazioni pesanti come macigni tenendo conto che un pastore d’anime dovrebbe avere come tratto distintivo l’umanità, la comprensione, l’affetto paterno. Stando alle testimonianze condensate nel j’accuse, il carattere sanguigno del cardinale davanti ai problemi che via via si presentano spesso lo trasformano. Scoppi d’ira e urla (come sarebbe accaduto anche due domeniche fa in una parrocchia romana periferica, davanti ai fedeli). A farne le spese anche i collaboratori diocesani: «Un altro capitolo doloroso è il rapporto con noi sacerdoti. Ci eravamo illusi - si legge - di avere un giorno della settimana a nostra disposizione per essere ricevuti senza appuntamento. Oggi abbiamo persino paura di avvicinarci a quell’ufficio. Siamo visti con sospetto, giudicati e rimproverati senza poterci difendere e ricattati con la minaccia di lasciarci senza stipendio».

Ma perché tra i parroci romani si è accumulata tanta ostilità nei confronti del cardinale vicario, uomo di fiducia di Papa Ratzinger, tanto da prendere carta e penna per scrivere una lettera aperta al Vescovo di Roma? A Vallini viene attribuita una fermezza eccessiva nel portare avanti una azione di pulizia interna, per espellere dalla diocesi le mele marce, i sacerdoti gay. La durezza con la quale si è mosso senza guardare in faccia nessuno avrebbe esacerbato molti animi? Ci sarebbero stati parroci spostati in modo repentino e senza troppe spiegazioni, senza motivi reali. «E’ ossessionato dal sospetto di omosessualità, come se i casi rari accaduti in diocesi debbano compromettere la rettitudine dell’intero presbiterio».

A fronte di un clima poco sereno alcuni sacerdoti avrebbero scelto «la via dell’esilio volontario, per sfuggire alle intemperanze, andandosi a incardinare altrove; altri pensano di farlo in un prossimo futuro». Al cardinale Vallini viene poi contestata la scelta di alcuni collaboratori poco preparati, scarsamente attenti al rigore liturgico. Tutto da dimostrare ma il bilancio descritto nella missiva che non ha precedenti non è di certo dei più favorevoli.

«Dopo tre anni la diocesi non sa ancora dove andare. Potevamo capire che il primo anno era dedicato alla revisione ma adesso manca completamente un progetto pastorale di largo respiro per orientare il lavoro delle parrocchie e il nostro impegno di sacerdoti».

La lettera di questi parroci che si nascondono dietro la firma «i sacerdoti di Roma» ha fatto subito il giro dei Sacri Palazzi, agitando ulteriormente le acque dopo la brutta lettera (anonima) di minacce rivolte al cardinale Bertone per il modo in cui avrebbe affrontato un complicato garbuglio gestionale al Governatorato, un centro nevralgico di potere e interessi economici teatro di scontri tra due diversi modi di vedere le cose, compresa una sana ventata di pulizia che, evidentemente, a tutti non è risultata gradita.

fonte: il Messaggero, Giovedì 29 Settembre 2011

A
questo malcontento noi aggiungiamo un altro motivo: le frequentazioni (troppe!!) del Cardinal Vicario del Seminario NC, dove le mettiamo???

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Lettera dei sacerdoti romani sul Card. Vicario

Visto che su Messa in Latino e altri blog, anche esteri, si commenta molto questa lettera, mi decido a pubblicarla, perché chi è interessato possa rendersi conto del contenuto al di là delle critiche e, soprattutto, notare l'estrema serietà e correttezza usata nell'espressione delle difficoltà rappresentate. Posso confermare, per esperienza personale, il degrado della pastorale diocesana - anche a causa della progressiva inesorabile neocatecumenizzazione delle parrocchie - con effetti di grande disagio e sofferenza per i fedeli.


Santità,
Questa è una lettera aperta non una lettera anonima di quelle che circolano in Curia in queste settimane. Il contenuto è condiviso dalla grande maggioranza dei sacerdoti di Roma, la sua Diocesi.

Abbiamo conosciuto l'amabilità del Cardinale Ugo Poletti e in seguito l'intelligenza del Cardinale Camillo Ruini. Oggi siamo naufraghi dell'una e dell'altra.

Con quale criterio ci avete mandato l'attuale Cardinale Vicario? All'annuncio della sua nomina, nonostante le pessime notizie ricevute dal clero di Napoli e di Albano, eravamo ben disposti. Dopo tre anni ci permetta di esprimerle il nostro sfogo sincero e doveroso. Siamo molto amareggiati ma non rassegnati. La recente morte di crepacuore di un giovane sacerdote ci ha convinti a esporle alcuni fatti, tra i tanti, che sono ormai l'agire quotidiano del Cardinale Vicario.
  1. L'autoritarismo del Cardinale Vallini è impressionante. Solo come esempio, nel presentare ai capi ufficio del Vicariato il nuovo Segretario Generale ha detto con piglio militare: "Per quanto riguarda il Segretario Generale, non è più come in passato; adesso chi governa sono
    solo io." Nel presentare il nuovo Rettore del Seminario Maggiore ha detto: "Mi rendo conto che Don Concetto è un po' debole come Rettore, ma alle spalle ci sono io che intervengo." Nell'uno e nell'altro caso i due tra i più stretti collaboratori sono stati esautorati e delegittimati davanti a tutto il clero. Il Segretario Generale non ha alcuna autorità ed è impaurito di ogni azione che compie per le imprevedibili reazioni coleriche del Vicario; si può immaginare cosa sarà per il seminario.

  2. Un capitolo estremamente doloroso è quello delle vocazioni. In questi tre anni il seminario si è completamente svuotato per la sua testardaggine di accogliere solo i nativi di Roma, privando la diocesi della sua vocazione universale. A Roma infatti giungono tanti giovani da ogni parte d'Italia per gli studi universitari; è naturale che maturino vocazioni sacerdotali, ma il Cardinale Vallini non ne vuole sapere. Come se non bastasse ha mandato via da Roma tutti i sacerdoti non incardinati, anche quelli che erano stati inviati con il pieno consenso dei loro vescovi.
    Bravi sacerdoti dediti alla pastorale e agli studi, con il solo difetto di non essere di Roma. Il loro contributo veniva dato nelle parrocchie, negli ospedali e nelle cappellanie. Oggi la Diocesi si ritrova molto più povera di preti e senza vocazioni. Con questo suo criterio dovrebbero lasciare Roma i tre quarti dei sacerdoti, tutti i vescovi ausiliari e, se permette, lo stesso Cardinale Vicario. Nel 2010 sono entrati in seminario solo tre seminaristi e lo stesso avverrà quest'anno. Per il futuro, non sarà certamente un sacerdote del Cammino neocatecumenale a risolvere i problemi vocazionali.

  3. Se questi sono i criteri per le vocazioni perché dovremmo avere come Vicegerente un suo amico intimo che viene da Napoli? Il Cardinale non manca di strategie quando vuole. Per Monsignor lannone ha telefonato a tutti i vescovi del Lazio perché presentassero al Nunzio il nome del suo beniamino per il trasferimento da vescovo ausiliare di Napoli alla diocesi di Sora. Adesso lo vuole come Vicegerente. La fama di Mons. lannone ormai è giunta anche a noi. E' a totale digiuno della conoscenza di Roma e del clero romano. E' una brutta copia di Vallini: stesso autoritarismo e stessa ossessione per il sesso. Ci domandiamo se Roma è diventata una provincia di Napoli.

  4. Dopo tre anni la Diocesi non sa ancora dove andare. Potevamo capire che il primo anno era dedicato alla revisione ma adesso manca completamente un progetto pastorale di largo respiro per orientare il lavoro delle parrocchie e il nostro impegno di sacerdoti. Il Cardinale Vallini però non è all'altezza. Manca di spessore intellettuale e culturale per elaborare un progetto pastorale; inoltre, non ha nemmeno l'umiltà per riconoscere il suo limite e affidarsi a collaboratori in grado di farlo. Da alcuni atteggiamenti purtroppo sembra riservare un'invidia viscerale nei confronti di sacerdoti ben preparati che erano stati destinati a incarichi accademici o di impegno culturale.
    L'emarginazione di Don Marco Frisina è soltanto l'esempio più eclatante.

  5. Un altro capitolo doloroso è il rapporto con noi sacerdoti. Ci eravamo illusi di un giorno della settimana a nostra disposizione per essere ricevuti senza appuntamento. Oggi abbiamo perfino paura di avvicinarci a quell'ufficio. Siamo visti tutti con sospetto, giudicati e rimproverati senza poterci difendere e ricattati con la minaccia di lasciarci senza stipendio. Su ognuno di noi grava l'ipoteca messa dai suoi due fidatissimi consiglieri che non ci conoscono. E' risaputo quante volte ormai le urla del Vicario oltrepassano il suo ufficio quando riceve qualche povero confratello anche tra i più anziani. I suoi scatti d'ira sono sempre più frequenti, salta perfino sulla poltrona e giunge addirittura ad avere la bava alla bocca per la violenza delle reazioni. E' ossessionato dal sospetto di omosessualità come se i rari casi accaduti in diocesi devono compromettere la rettitudine dell'intero presbiterio. Potrà sembrare incredibile, ma quando entra nelle parrocchie per la prima volta e
    incontra i sacerdoti e il consiglio pastorale le sue uniche espressioni sono quelle del rimprovero, del sospetto e della minaccia. Molti sacerdoti sono stati umiliati con trasferimenti immotivati e repentini senza alcuna giustificazione. Ormai diversi tra di noi per sfuggire alle sue intemperanze hanno scelto di incardinarsi altrove e alcuni pensano seriamente di farlo nel prossimo futuro. Altri non trovando in lui la dovuta paternità hanno abbandonato il sacerdozio. Comportamenti degni di un maresciallo dei carabinieri non di un vescovo.

  6. Ci aspettavamo un Vicario sincero e riscontriamo l'ipocrisia e la falsità dei suoi comportamenti dietro un sorriso degno delle iene. Quando ti prende la mano per stringerla sul petto, tipico delle suore, allora è il segno che vuole una confidenza su qualcuno, vera forma di spionaggio, e per questo dobbiamo stare attenti a non compromettere i confratelli. Abbiamo imparato ben presto che quanto il Vicario ti dice davanti raramente corrisponde a ciò che pensa e dice alle spalle. Un comportamento dagli effetti devastanti nel rapporto tra noi e lui e tra tutto il clero. Prevale il clima di sospetto su tutto e su tutti che rende la diocesi un luogo infelice dove non ci fidiamo più di nessuno e siamo costretti al silenzio.

  7. Questo clima si riflette anche tra i vescovi ausiliari. Il terrore è tale che non è consentita alcuna critica anche quando motivata. Manca il confronto e il dialogo soprattutto nella nomina dei parroci e nei trasferimenti. Siamo lasciati soli a noi stessi. Succede perfino che i vescovi ausiliari ci consigliano di non parlare e di non contrastare il Vicario per evitare le sue imprevedibili e talvolta violente relazioni.

  8. Data la sua ossessione molti di noi si domandano cosa faccia di nuovo a Roma Monsignor Brandolini, nominato dal Cardinale Vallini Vicario capitolare di San Giovanni. Santità, Lei ricorderà Mons. Brandolini perché dalle pagine di La Repubblica ha espresso il suo profondo disappunto nei suoi confronti per il Motu proprio Summorum Pontificum che lui vedeva come un attacco frontale all'opera riformatrice del suo maestro e mentore Mons. Bugnini. Però Mons. Brandolini ha favorito in tutti i modi la nomina di Mons. lannone a suo successore a Sora e adesso è uomo di fiducia del Vicario. Per questo il Cardinale Vallini non sente e non vede quanto succede con lo stuolo di giovani accoliti della Basilica. Le voci corrono veloci ma se toccano Mons. Brandolini si fermano alla soglia dell'ufficio del Vicario.
Santità, Sappiamo che non accadrà nulla. Noi continueremo ad impegnarci nel nostro lavoro pastorale. Roma ha una lunga storia e saprà superare anche questo disastro. Noi però siamo moralmente obbligati a farlo sapere. Ci permetta di dirle che non meritiamo questo momento di terrore, di sfiducia e di decadenza.

I Sacerdoti di Roma



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Embarassed  faccio un pò di distinguo perchè immagino che pure il giornale che ha riportato la notizia abbia ESTRAPOLATO alcune voci dalla Lettera, omettendone magari altre forse più interessanti di queste....  
 
Io, cari Sacerdoti, non mi preoccuperei affatto della SEVERITA'.... Totò insegna ironicamente, e manco tanto, che nella vita di ognuno c'è un CAPORALE.... qui ci si immagina la severità come un "maresciallo", il punto non è la severità di un superiore, guai se non lo fosse, ma su che cosa è severo, che cosa impone? che cosa manipola? L'articolo NON lo dice, prende solo quale spunto qua e la, carica la dose sull'alone dei sospetti di pedofilia, ma.... ciò che manca qui è il CUORE DEL CONTENUTO della lettera.... Wink  
 
Mi preoccupa quella frase:  
A fronte di un clima poco sereno alcuni sacerdoti avrebbero scelto «la via dell’esilio volontario, per sfuggire alle intemperanze, andandosi a incardinare altrove; altri pensano di farlo in un prossimo futuro». Al cardinale Vallini viene poi contestata la scelta di alcuni collaboratori poco preparati, scarsamente attenti al rigore liturgico. Tutto da dimostrare ma il bilancio descritto nella missiva che non ha precedenti non è di certo dei più favorevoli.  
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Embarassed Eminenza cardinale Vallini.... circolano voci, e Dio non voglia che siano vere, che fin dai tempi di Ruini ed oggi con lei, si voglia IMPORRE ALLE PARROCCHIE IL MODELLO NEOCATECUMENALE (mi perdoni la Redazione, ma questo riferimento è indispensabile se volete raccontare la VERITA'...) e che a fronte di ciò si sta IMPONENDO AL CLERO DI ROMA un rigore, mascherato dal dovere dell'obbedienza, senza precedenti affinchè il modello catechetico kikiano prenda il sopravvento... se ciò corrispondesse al vero, e Dio non voglia, si comprenderebbero anche diversi punti della Lettera di protesta.... ma a NOI comuni mortali, e fedeli di un piccolo gregge sempre più schiacciato, umiliato, esiliato ai margini delle parrocchie perchè non aderenti a Kiko, restano tante domande senza risposte, gliene rammento qualcuna:  
 
1) è vero o no che si continua a parlare dei Redemptoris Mater come MODELLI DISTACCATI dal Seminario Romano PONTIFICIO, a tal punto che le ORDINAZIONI, a parte quelle che fate fare al Papa e che sono COMUNI a tutti i presbiteri, avvengono in modo SEPARATO E CON IL RITO KIKIANO? non dica di no, ci sono le prove....  
 
2) è vero o no che si IMPONE NELLE PARROCCHIE UNA PASTORALE che, disattesa dai catechisti kikiani, finisce per DIVIDERE LE COMUNITA' e di conseguenza Lei stesso manifesta continuamente una partigianeria di preferenza verso il modello kikiano?  
 
3) è vero o no che nelle SUE LETTERE PASTORALI non vi è alcuna promozione AL COMPENDIO DEL CATECHISMO CATTOLICO AUSPICATO, SUPPLICATO DAL PONTEFICE quale STRUMENTO DI EVANGELIZZAZIONE E DI CATECHESI UGUALE PER TUTTI? non dica di no, ci sono le prove....  
 
e potremmo continuare....  
ma stiamo sempre lì, se il Papa TACE chiunque si sente in dovere di attribuire al Pontefice ciò che non ha detto e ciò che non vuole... salvo poi ignorare e tacere su ciò che il Papa invece dice e chiede venga fatto....  
 
Se i termini sono anche questi, ma che l'articolo non dispiega, non posso che essere solidale con questi Sacerdoti firmatari l'appello.... perchè il problema, ripeto, non è nella severità del superiore, ma l'argomento sul quale egli è severo, sul cosa si vuole imporre, e sui progetti futuri che si vogliono applicare, IMPONENDOLI, con una partigianeria verso un modello extracattolico senza precedenti nella storia della Chiesa di Roma.... IGNORANDO IL FATTO CHE IL PAPA NEL VOLERE E CREARE UNA PARROCCHIA ROMANA DEDITA ALL'APPLICAZIONE CATECHETICA CON IL RITO ANTICO, non ha fatto altro che spingere la nostra attenzione verso l'autentica e sana TRADIZIONE VIVA DELLA CHIESA, invitando a più interventi "DI GUARDARE A ROMA QUALE MODELLO DA SEGUIRE" indicando nell'espressione "Roma" non in quanto Vallini e Curia, ma ROMA IN QUANTO PIETRO....  
 
Santità, ci rammenta santa Caterina da Siena: NON PIU' TACERE!!! LA CHIESA SI AVVILISCE PER IL TROPPO TACERE!....



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