"Volete andarvene anche voi?" (Gv. 6, 67)

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Caterina63
00domenica 23 agosto 2009 16:45

Angelus 23 agosto 2009

"VOLETE ANDARVENE ANCHE VOI"?


Cari fratelli e sorelle!

Da alcune domeniche la liturgia propone alla nostra riflessione il capitolo VI del Vangelo di Giovanni, nel quale Gesù si presenta come il "pane della vita disceso dal cielo" ed aggiunge: "se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che darò è la mia carne per la vita del mondo" (Gv. 6,51). Ai giudei che discutono aspramente tra loro chiedendosi: "Come può costui darci la sua carne da mangiare?" (v. 52), Gesù ribadisce "se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita" (v. 53). Oggi, XXI domenica del tempo ordinario, meditiamo la parte conclusiva di questo capitolo, in cui il quarto Evangelista riferisce la reazione della gente e degli stessi discepoli, scandalizzati dalle parole del Signore, al punto che tanti, dopo averlo seguito sino ad allora, esclamano: "Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?" (v. 60). E da quel momento "molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con Lui" (v. 66). Gesù però non attenua le sue affermazioni, anzi si rivolge direttamente ai Dodici dicendo: "Volete andarvene anche voi?" (v. 67).

Questa provocatoria domanda non è diretta soltanto agli ascoltatori di allora, ma raggiunge i credenti e gli uomini di ogni epoca. Anche oggi, non pochi restano "scandalizzati" davanti al paradosso della fede cristiana. L’insegnamento di Gesù sembra "duro", troppo difficile da accogliere e da mettere in pratica. C’è allora chi lo rifiuta e abbandona Cristo; c’è chi cerca di "adattarne" la parola alle mode dei tempi snaturandone il senso e il valore. "Volete andarvene anche voi?".

Quest’inquietante provocazione ci risuona nel cuore ed attende da ciascuno una risposta personale. Gesù infatti non si accontenta di un’appartenenza superficiale e formale, non gli è sufficiente una prima ed entusiastica adesione; occorre, al contrario, prendere parte per tutta la vita "al suo pensare e al suo volere". SeguirLo riempie il cuore di gioia e dà senso pieno alla nostra esistenza, ma comporta difficoltà e rinunce perché molto spesso si deve andare controcorrente.

"Volete andarvene anche voi?". Alla domanda di Gesù, Pietro risponde a nome degli Apostoli: "Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio" (vv. 68-69).

Cari fratelli e sorelle, anche noi possiamo ripetere la risposta di Pietro, consapevoli certo della nostra umana fragilità, ma fiduciosi nella potenza dello Spirito Santo, che si esprime e si manifesta nella comunione con Gesù. La fede è dono di Dio all’uomo ed é, al tempo stesso, libero e totale affidamento dell’uomo a Dio; la fede è docile ascolto della parola del Signore, che è "lampada" per i nostri passi e "luce" sul nostro cammino (cfr Salmo 119, 105). Se apriamo con fiducia il cuore a Cristo, se ci lasciamo conquistare da Lui, possiamo sperimentare anche noi, insieme al santo Curato d’Ars, che "la nostra sola felicità su questa terra è amare Dio e sapere che Lui ci ama".
 
Chiediamo alla Vergine Maria di tenere sempre desta in noi questa fede impregnata di amore, che ha resa Lei, umile fanciulla di Nazaret, Madre di Dio e madre e modello di tutti i credenti.





                     Angelus Papa

il Papa ha tolto anche il gesso

Caterina63
00domenica 10 luglio 2011 23:23

Confessione di fedeltà alla Chiesa

di P. Louis Bourdaloue S.J (1632 -1704).



Grazie eterne vi siano rese, o Signore, d'avermi fatto nascere in grembo alla vostra Chiesa, d'avermi nutrito del pane, voglio dire della dottrina della vostra Chiesa, di questa Chiesa formata del Sangue del Vostro Figlio adorabile, di questa Chiesa Cattolica, Apostolica, Romana, la sola, vera Chiesa; di questa Chiesa, colonna di verità, contro cui tutte le forze d'inferno non hanno mai prevalso, né prevarranno mai.

Ecco, Dio mio, l'elezione che v'è piaciuto fare, di me fra tanti altri che avete lasciati nelle tenebre dell'infedeltà e dell'errore; ed ecco ciò che io devo riguardare come un segno di predestinazione, di cui non posso esaltarvi abbastanza. Ma Voi avete fatto ancora di più, o Signore: nel collocarmi in seno alla vostra Chiesa, m'avete anche dato un religioso e pio affetto per questa santa Madre, per suoi interessi, per il suo onore, per la sua stabilità, per il suo ingrandimento. Perché se io mi trovo così sensibile quale sono e quale mi vanto d'essere a tutto ciò che la tocca, a tutto ciò che può indebolire la sua autorità; a tutto ciò che può manomettere i suoi diritti, siete Voi, Dio mio, che m'avete inspirato questi sentimenti, i quali io annovero fra le vostre grazie più segnalate.

Ohimeh! Fra gli stessi figli che la Chiesa ha educati, ha tante volte ammessi ai suoi divini misteri, per i quali ha impiegato tutti i suoi tesori, ne vediamo purtroppo di quelli che la trattano con estrema indifferenza, e potrei aggiungere, col massimo disprezzo.

Gente sempre decisa a farsi beffe delle sue pratiche, a censurare la condotta dei suoi ministri, a prendersi giuoco delle sue discordie, dei suoi scandali, delle sue afflizioni e delle sue perdite! Ed ella è nostra madre! Per me, Dio mio, quantunque il più indegno del suoi figli, oso dirlo, e non perderò niente dell'umiltà, della bassa stima di me stesso, che mi convengono, nel rendermi innanzi a Voi e alla vostra gloria questa testimonianza, che tutto ciò che parte dalla vostra Chiesa mi è e mi sarà sempre rispettabile, sempre degno di venerazione, sempre prezioso e sacro; che tutto ciò che l'offende, mi ferisce nella parte più viva del mio cuore, e che nelle sue prove e nei suoi dolori nulla vi è che io non soffra con essa.

Sì, o Signore, lo dico ancora una volta, in questa confessione che io faccio alla vostra presenza e che sono pronto a fare in presenza del mondo intero, provo una grandissima consolazione. Ah! Dio mio; non permettete mai che io abbia a perdere questo spirito di sottomissione e di docilità verso la Chiesa, che è il primo carattere dei vostri eletti. Voi ce l'avete predetto, o Signore, che in tutti i tempi vi sarebbero contraddizioni, scismi, contese, e io vedo ai giorni nostri molti tumulti e inquietudini, intendo molti discorsi e ragionamenti.

Ma in mezzo a tante questioni che dividono gli spiriti io mi rivolgo all'oracolo, io consulto la Chiesa e m'arresto a ciò che essa m'insegna:, dopo che essa ha parlato, io mi sottometto e taccio.

Quindi, Dio mio, io levo tutte le difficoltà; quindi la mia fede diventa più pura, più ferma, più sicura e più tranquilla. In mezzo alle tempeste e alle burrasche, io mi getto nella barca di Pietro e, tutta battuta come essa è dai flutti, vi assaporo la dolcezza d'una calma la più profonda. Passo attraverso gli scogli e non ho paura: perché io so non esservi là per me né scogli né naufragi da temere.

Me fortunato, o Dio mio, se dopo una vita conforme ai divini insegnamenti e alle norme di questa santa Chiesa, dove ho avuto la felice sorte di esser educato e adottato tra i vostri figli, meriterò un giorno di partecipare alla beatitudine dei vostri eletti!

Così sia.

 


Caterina63
00domenica 23 ottobre 2011 16:54

Il Cristianesimo è Cristo

 

del cardinal Giacomo Biffi,

da Il Timone (11/2009)

Premesse

1. Che cos’è il cristianesimo? Questa è una domanda che, presto o tardi, con maggiore o minore consapevolezza, tutti finiscono col porsi. Il più delle volte, le risposte che si ascoltano cominciano con le parole: Secondo me. “Secondo me” sono le parole giuste per cominciare a rispondere a chi ci chiede: Qual è la canzone più bella? Qual è la ricetta migliore per cucinare gli asparagi? Qual è la squadra di calcio più forte? Ma alla questione che cosa sia il cristianesimo cominciare a rispondere con queste parole è il segno certo che la risposta sarà sbagliata.

 

Una risposta “soggettiva” non conta niente e non serve a nessuno: bisogna arrivare a capire che cosa sia il cristianesimo in se stesso, come di fatto è, qual è la sua vera natura.

 

2. Per rispondere correttamente alla questione è necessario capire bene come il cristianesimo si è presentato al momento della sua origine, quando si è affacciato alla ribalta della storia. In altre parole: dobbiamo ricordare che cosa sono andati in giro a dire gli apostoli a tutti e in tutto il mondo, all’indomani dell’evento che si è realizzato nella Pasqua dell’anno 30. Essi hanno obbedito al preciso comando ricevuto da Gesù Risorto: «Andate ad annunciare a tutti una “bella notizia”» (cf Mc 16,15). “Bella e buona notizia”, è l’esatta traduzione della parola greca “evangelo”.

 

Dare una notizia significa proclamare che è avvenuto un fatto. Qual è questo fatto? Gesù di Nazaret, un uomo morto dissanguato in croce, è ritornato alla vita e oggi è vivo, vivo per sempre in tutto il suo essere (corporeo e spirituale).

 

Egli ha dunque sconfitto la morte (che era la “signora”, implacabile dominatrice di tutti); perciò adesso il “Signore” è lui. Ed essendo il Signore di tutti può salvare e portare con lui nel Regno eterno tutti quelli che con la fede si aggrappano a lui. Questa è la “bella e buona notizia”; questo è il Vangelo; questo è la sostanza del cristianesimo.

 

3. Come si vede, gli apostoli non sono andati in giro a proporre una “religione nuova”: sono andati in giro a proporre un “avvenimento” rivoluzionario e unico. Ed è un avvenimento che si riassume e si identifica in una persona: la persona di Cristo. Il cristianesimo è dunque Cristo: «Gli annunciò Cristo», è detto di Filippo quando converte al cristianesimo l’etiope, ministro della regina Candace (cf At 8,35). In conclusione, il cristianesimo – e solo il cristianesimo tra le varie forme che rapportano l’uomo a Dio – primariamente e per sé non è una religione: è un fatto che si identifica con una persona: la persona di Gesù di Nazaret, crocifisso e risorto, figlio di Maria e Unigenito del Padre, Redentore dell’intera famiglia umana, rinnovatore di tutto.

 

Gesù è il “contenuto” del cristianesimo

Il cristianesimo è un fenomeno singolare in tutta la storia religiosa dell’umanità; è un caso inedito nell’avvicendamento delle scuole di pensiero e nel susseguirsi delle dottrine. La singolarità è questa: Gesù di Nazaret non è solo il fondatore, il promotore, il teorico del cristianesimo: è anche il suo contenuto. Senza dubbio la Chiesa, già nell’epoca apostolica, possiede un suo patrimonio di princìpi, di convinzioni, di idee. Ma tale patrimonio non è percepito come adeguatamente distinto da colui che ha detto di sé: «Io sono la verità» (Gv 14,6); frase che è tra le più stupefacenti e provocatorie che siano mai state proferite da labbra umane.

 

Senza dubbio la comunità dei credenti è animata dallo spirito di solidarietà e dall’amore verso i fratelli. Ma è motivata in questo dalla consapevolezza che il destinatario ultimo delle sue generose attenzioni è Cristo: «L’avete fatto a me» (cf Mt 25,40). Senza dubbio c’è in essa l’intensa autocoscienza di essere una «comunione» di gente che cerca di avere «un cuor solo e un’anima sola» (cf At 4,32). Ma questo intimo nesso tra i battezzati è prezioso e caro perché non è altra cosa dal “Cristo totale”: cioè la Chiesa, che «è il suo corpo e la sua pienezza» (cf Ef 1,22-23). Senza dubbio il Nuovo Israele ha una sua prassi rituale. Ma è una liturgia che, soprattutto nel suo vertice eucaristico, s’identifica con la presenza sacerdotale e sacrificale del Salvatore.

 

Insomma, come dice sant’Ambrogio: «Cristo è tutto per noi» (De virginitate 99: «Omnia Christus est nobis»).

 

La “pazzia” cristiana Questa dedizione totalizzante nei confronti di un uomo sarebbe scandalosa e intollerabile (e particolarmente lo sarebbe stata per gente educata nel più rigoroso ebraismo monoteistico), se a quest’uomo non si dovessero riconoscere i segni inequivocabili della divinità.

 

La prima comunità – illuminata dall’effusione pentecostale – ha ripensato e accolto con docilità i molti «loghia» (i “detti”) di Gesù su questo argomento, e in special modo quelli conservati nella catechesi giovannea: «Chi ha visto me, ha visto il Padre» (Gv 14,9). «lo sono nel Padre e il Padre è in me» (Gv 14,11). «lo e il Padre siamo una cosa sola» (Gv 10,30). E così ha potuto conoscere chi sia nella sua piena verità il suo Signore.

 

Chi non arriva ad accogliere questo segreto della personalità di Gesù, non può che ritenere assurdo il fatto cristiano e del tutto irragionevole la nostra fede. Per usare una ruvida parola di Paolo: «Noi siamo pazzi a causa di Cristo» (1 Cor 4,10). Ed è ovvio: «l’uomo naturale (cioè lasciato alle sole sue forze conoscitive) non comprende le cose dello Spirito; esse sono follia per lui» (1 Cor 2,14).

 

A quanti invece condividono la prospettiva apostolica, Gesù s’impone come la chiave interpretativa dell’universo: sia della creazione sia del mondo increato. Come si esprime quasi ossessivamente Pascal: «Non soltanto non conosciamo Dio se non per mezzo di Cristo, ma non conosciamo nemmeno noi stessi se non per mezzo di Cristo. Non conosciamo la vita, non conosciamo la morte, se non per mezzo di Cristo. All’infuori di Cristo, noi non sappiamo né che cos’è la nostra vita né che cos’è la nostra morte né che cos’è Dio né che cosa siamo noi stessi» (Pensieri, n.729).

 

Un travisamento pericoloso

Il cristianesimo dunque è Cristo: accoglierlo nella sua realtà autentica e piena – una realtà che eccede ogni nostra misura e ogni naturale intelligibilità – significa anche raggiungere finalmente il «senso» sia della nostra esistenza sia della totalità delle cose. È un’adesione elementare e culturalmente sobria, proposta a tutti gli uomini anche ai più semplici; ma è al tempo stesso un’adesione ardua, esigente, continuamente insidiata.

 

Un’insidia particolarmente perniciosa, diffusa non poco nella cristianità dei nostri giorni, è quella di risolvere l’annuncio dell’evento pasquale e l’assenso integro e vitale al suo Protagonista in un’offerta di convinzioni, d’impulsi generosi, di «valori». Ma la donazione al Figlio di Dio crocifisso e risorto non è «traducibile» in una serie, sia pure lodevole, di buoni propositi e di buone ispirazioni, omologabili con la mentalità dominante.

 

I battezzati – onerati, proprio in virtù del loro battesimo, della fatica di dare consenso e testimonianza a colui che solo è il Signore (ed è entrato come unico Salvatore nella nostra storia) – sono tentati oggi più che mai di alleviare il loro gravoso impegno scambiandolo surrettiziamente con l’impegno meno gravoso (e «politicamente corretto») di propugnare i «valori», e quindi di propagandare piuttosto la pace, la solidarietà, l’apertura verso tutti, il dialogo ad ogni costo, la difesa della natura, ecc.

 

Ovviamente non s’intende qui colpevolizzare o ritenere inutile la giusta attenzione ai «valori». Solidarietà, pace, natura, comprensione tra i popoli, ecc., possono diventare nel non cristiano le occasioni concrete di un approccio iniziale e informale a Cristo e al suo mistero. E nel cristiano questi stessi «valori» possono offrire preziosi stimoli a una totale e appassionata resa del suo mondo interiore al Signore di tutto e al Salvatore di tutti.

 

Ma se il battezzato – per amore di attenzione e rispetto verso gli «altri», oltre che per sollecitudine di dialogo e di buon vicinato con tutti – quasi senza avvedersene stempera sostanzialmente il fatto salvifico e la realtà dell’unico Redentore nell’esaltazione di questi traguardi nobili ma secondari e nel ricercare il loro conseguimento, allora pone a repentaglio la sua connessione personale col Figlio di Dio crocifisso e risorto, e consuma a poco a poco il peccato di apostasia.

 

L’ammonimento profetico di Solovev

Colui che è stato provvidenzialmente inviato a metterci in guardia da questo travisamento è stato il pensatore russo Vladimir S. Solovev. Egli nel suo ultimo scritto – a pochi mesi dalla sua morte, avvenuta nel luglio 1900 – ha tratteggiato così la figura dell’Anticristo (un personaggio emblematico, antitesi perfetta dell’unico Salvatore) che secondo lui comparirà sulla scena della vicenda umana alla fine del secolo XX.

 

L’Anticristo – come egli lo descrive – appartiene evidentemente alla schiera dei «sapienti» e degli «intelligenti». È, dice Solovev, un esperto biblista. Di più, è un asceta e un «convinto spiritualista», e dà «altissime dimostrazioni di moderazione, di disinteresse e di attiva beneficenza». In particolare è un illuminato e attivo pacifista. Noi oggi lo diremmo anche un ecologista e un animalista: «Pieno di compassione, non solo amico degli uomini ma anche amico degli animali». Soprattutto l’Anticristo si dimostra un eccellente ecumenista, capace di dialogare «con parole piene di dolcezza, saggezza ed eloquenza». Ha però un’invincibile antipatia nei confronti della persona di Cristo. È addirittura dominato da una morbosa insofferenza verso il fatto che Gesù sia risorto e sia oggi vivo, tanto che va istericamente ripetendo: «Lui non è tra i vivi e non lo sarà mai.

 

Non è risorto, non è risorto, non è risorto! È marcito, è marcito nel sepolcro...». In sintesi potremmo dire: ciò che più specificamente connota la posizione dell’Anticristo è di aver sostituito all’identificazione del cristianesimo con la persona del Salvatore glorificato (che è prospettiva fondamentale e irrinunciabile fin dai tempi apostolici) l’identificazione del cristianesimo con quei «valori» che, pur se provengono da una matrice evangelica, sono però anche facilmente esitabili sui mercati mondani.

 

Un improrogabile esame di coscienza

Mette conto d’interrogarci se per caso qualcosa della «ideologia dell’Anticristo» non abbia cominciato a diffondersi anche tra noi. Essa è una totale distorsione della verità, ma può essere seducente. Se lasciamo prevalere la “ideologia dell’Anticristo”, il dialogo con i “lontani” – non inciampando mai in un Maestro che pretende di essere unico né in un uomo che è ritornato alla vita e continua a essere realmente e corporalmente vivo – si fa meno irto e più spedito; e la nostra possibilità di uscire dal nostro isolamento e di essere accolti negli ambienti culturalmente emergenti, nei circoli socialmente progrediti, nelle redazioni dei giornali e dei telegiornali, diventa facile e senza problemi. Ma Gesù ci ha dichiarato (ed è una delle sue frasi che tendiamo a dimenticare): «lo non sono venuto a portare pace, ma una spada. Sono venuto infatti a separare...» (Mt 10,34-35). E di lui è stato detto per divina ispirazione (ed è anche questa una frase biblica oggi un po’ censurata) che è «segno di contraddizione, perché siano svelati i pensieri di molti cuori» (Lc 2,34-35).

 

Conclusione

È necessario e urgente tornare alla piena e pungente consapevolezza della centralità di Cristo, se vogliamo serbare intatta ed efficace la nostra identità. Don Divo Barsotti ha una parola tremenda, di attualità incontestabile: «Oggi nelle comunità cristiane Gesù Cristo è una scusa per parlare d’altro».

 

Non deve essere più così: Gesù Cristo nella sua piena verità – di Crocifisso Risorto, di Figlio consustanziale del Padre, di unico Signore dell’universo, della storia e dei cuori – deve ritornare al centro di ogni nostro primario interesse e di ogni esperienza ecclesiale, e deve essere altresì l’ispiratore determinante ed efficace di ogni nostro impegno culturale, solidaristico e sociale.

 


Caterina63
00domenica 26 agosto 2012 22:17

Il Papa: Gesù sapeva che anche tra i dodici Apostoli c’era uno che non credeva: Giuda. Anche Giuda avrebbe potuto andarsene, come fecero molti discepoli; anzi, avrebbe forse dovuto andarsene, se fosse stato onesto. Invece rimase con Gesù. Rimase non per fede, non per amore, ma con il segreto proposito di vendicarsi del Maestro. Perché? Perché Giuda si sentiva tradito da Gesù, e decise che a sua volta lo avrebbe tradito


ANGELUS: AUDIO INTEGRALE DI RADIO VATICANA

Vedi anche:

Il Papa: Anche tra i 12 Apostoli c'era uno che non credeva: Giuda (AsiaNews)

Benedetto XVI all’Angelus: la falsità è il marchio del diavolo e bisogna prima credere per conoscere (R.V.)

Il Papa: la fede precede la conoscenza di Dio. La falsità è il marchio di Giuda (Izzo)


LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS, 26.08.2012


Alle ore 12 di oggi il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia al balcone del Cortile interno del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo e recita l’Angelus insieme ai fedeli e ai pellegrini presenti. Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:


PRIMA DELL’ANGELUS


Cari fratelli e sorelle!


Nelle scorse domeniche abbiamo meditato il discorso sul «pane della vita», che Gesù pronunciò nella sinagoga di Cafarnao dopo aver sfamato migliaia di persone con cinque pani e due pesci. Oggi, il Vangelo presenta la reazione dei discepoli a quel discorso, una reazione che fu Cristo stesso, consapevolmente, a provocare.

Anzitutto, l’evangelista Giovanni – che era presente insieme agli altri Apostoli – riferisce che «da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui» (Gv 6,66). Perché? Perché non credettero alle parole di Gesù che diceva: Io sono il pane vivo disceso dal cielo, chi mangia la mia carne e beve il mio sangue vivrà in eterno (cfr Gv 6,51.54), veramente parole inaccettabili, per loro incomprensibili. Questa rivelazione rimaneva per loro incomprensibile, come ho detto, perché la intendevano in senso solo materiale, mentre in quelle parole era preannunciato il mistero pasquale di Gesù, in cui Egli avrebbe donato se stesso per la salvezza del mondo.

Vedendo che molti dei suoi discepoli se ne andavano, Gesù si rivolse agli Apostoli dicendo: «Volete andarvene anche voi?» (Gv 6,67). Come in altri casi, è Pietro a rispondere a nome dei Dodici: «Signore, da chi andremo? - anche noi possiamo ripetere «Da chi andremo?» - Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio» (Gv 6,68-69). Su questo passo abbiamo un bellissimo commento di Sant’Agostino, che dice: «Vedete come Pietro, per grazia di Dio, per ispirazione dello Spirito Santo, ha capito? Perché ha capito? Perché ha creduto. Tu hai parole di vita eterna. Tu ci dai la vita eterna offrendoci il tuo corpo risorto e il tuo sangue, te stesso. E noi abbiamo creduto e conosciuto. Non dice: abbiamo conosciuto e creduto, ma abbiamo creduto e poi conosciuto. Abbiamo creduto per poter conoscere; se, infatti, avessimo voluto conoscere prima di credere, non saremmo riusciti né a conoscere né a credere. Che cosa abbiamo creduto e che cosa abbiamo conosciuto? Che tu sei il Cristo Figlio di Dio, cioè che tu sei la stessa vita eterna, e nella carne e nel sangue ci dai ciò che tu stesso sei» (Commento al Vangelo di Giovanni, 27, 9).

Infine, Gesù sapeva che anche tra i dodici Apostoli c’era uno che non credeva: Giuda. Anche Giuda avrebbe potuto andarsene, come fecero molti discepoli; anzi, avrebbe forse dovuto andarsene, se fosse stato onesto. Invece rimase con Gesù. Rimase non per fede, non per amore, ma con il segreto proposito di vendicarsi del Maestro. Perché? Perché Giuda si sentiva tradito da Gesù, e decise che a sua volta lo avrebbe tradito.
Giuda era uno zelota, e voleva un Messia vincente, che guidasse una rivolta contro i Romani. Gesù aveva deluso queste attese.

Il problema è che Giuda non se ne andò, e la sua colpa più grave fu la falsità, che è il marchio del diavolo. Per questo Gesù disse ai Dodici: «Uno di voi è un diavolo!» (Gv 6,70). Preghiamo la Vergine Maria, che ci aiuti a credere in Gesù, come san Pietro, e ad essere sempre sinceri con Lui e con tutti.

DOPO L’ANGELUS



Infine, saluto con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare le Religiose del Santo Volto, alle quali auguro ogni bene per il loro Capitolo Generale: lo Spirito Santo vi illumini e vi guidi. Accolgo con gioia la comunità del Seminario Minore di Verona. Cari ragazzi, il prossimo anno sia per ciascuno ricco di frutti nell’amicizia con il Signore Gesù. Saluto i fedeli di Mozzate, per i quali benedico una simbolica fiaccola, come pure quelli di Occhieppo Superiore, Acquapendente, Nardò, e il folto gruppo dalla Diocesi di Lodi. Rivolgo fervidi auguri ai Religiosi Salesiani che celebrano 50 anni di Professione Perpetua, tra i quali il Parroco di Castel Gandolfo.
A tutti auguro una buona domenica.

Caterina63
00sabato 6 ottobre 2012 22:22
[SM=g1740733] [SM=g1740717] [SM=g1740720] Al rifiuto di considerare Gesù "Carne da mangiare e Sangue salutare da bere" occorre unire anche un certo rifiuto costante nella storia del cristianesimo, DELLA CROCE, DELLA SOFFERENZA, DELLA CROCIFISSIONE....
In questo nostro tempo poi il discorso della e sulla sofferenza sta divento talmente scomodo che la società risponde con l'eutanasia....

Ma, imporre una pastorale esclusivamente sulla Risurrezione è sbagliato e sta storpiando la sana dottrina....
In tutti i Vangeli la Passione di Gesù occupa una parte centrale, ed è chiaro che un motivo c'è...
Ascoltiamo questa bellissima catechesi... [SM=g1740722]


12PORTE - 20 settembre 2012: Non poche volte il mondo cattolico viene accusato di dare troppo spazio nella sua spiritualità e nella sua predicazione al tema della croce e della passione di Cristo.
Si dovrebbe presentare – si dice – un volto più sorridente e meno cupo, annunciando piuttosto la risurrezione di Cristo.
Ma quando la risurrezione viene tanto enfatizzata da nascondere la croce, inevitabilmente questa solo una metafora, un messaggio di speranza, non un fatto accaduto realmente e che illumina ogni momento della nostra vita.

Come se il cristianesimo fosse una specie di pacca sulle spalle dell’umanità, solo un incoraggiamento sorridente e non piuttosto un fatto incredibile
: …il fatto che l’onnipotente irraggiungibile Dio è realmente entrato nella vita degli uomini, Dio fatto uomo, una volta per sempre, 2000 anni fa, e ha sconfitto ogni male e tutte le nostre paure, rimanendo in mezzo a noi come Signore e Salvatore.
Basterebbe comunque prendere in mano il vangelo di Marco, che è la nostra guida in questo anno liturgico.

Si può notare che il racconto delle ultime ore di vita terrena di Gesù, cioè quello della sua passione e morte, è talmente lungo e dettagliato, rispetto alla mole complessiva del libro intero, che quasi quasi si potrebbe considerare tutta la parte precedente come una specie di introduzione al vero cuore del vangelo, che è appunto la testimonianza della Passione del Signore.
Uno degli aspetti più inquietanti della Passione è quello della solitudine del Signore: tradito e abbandonato dai suoi discepoli e amici; lasciato in balia dei carnefici in una solitudine infinita, fino alle ultime scandalose parole rivolte da Cristo al Padre: Dio mio, mi hai abbandonato!

Questa sofferenza della solitudine di Cristo pervade tutto il racconto evangelico. Ne sono una prova i brani che stiamo leggendo in queste domeniche: la settimana scorsa, abbiamo letto di come Gesù comincia a parlare apertamente del suo destino:
“Il Figlio dell’uomo deve molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare”.

E Pietro, proprio lui che lo aveva appena riconosciuto come il Cristo, il consacrato di Dio, il Salvatore del popolo, gli volta le spalle e lo rimprovera.
Nel brano di questa settimana, il muro tra Cristo e i suoi discepoli si fa ancora più drammatico: mentre sono per la strada, Gesù parla ancora della sua passione, morte e risurrezione.
I discepoli lo ascoltano in silenzio, un silenzio ostile, in verità: non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.
Se uno non capisce, è portato naturalmente a fare domande… a cercare di andare a fondo, soprattutto davanti a un tema così spinoso…
Il mutismo dei discepoli, invece viene da un rifiuto che avevano dentro. Un tema che finché è possibile è meglio evitare…
Il racconto si fa sempre più penoso.

Quasi per esorcizzare le parole del Signore, i discepoli cominciano a confabulare tra di loro, fino a che Gesù non li interrompe… Cercavano di determinare chi fosse tra di loro il più importante, chi avesse la precedenza sugli altri…
La scena finale è da prendere sul serio e da accogliere con molta attenzione.

Sedutosi, dice il vangelo, Gesù chiamò i Dodici… da un punto di vista del racconto è una evidente forzatura, perché la casa di Pietro non era una reggia, ma erano poche piccole stanze.
È il significato spirituale invece che è importantissimo: Gesù siede, perché è il Signore, il Maestro, e torna a chiamare discepoli.
Si ricomincia tutto daccapo, dunque. Ricordino i “Dodici”, gli Apostoli, i capi autorevoli della comunità di essere prima di tutto dei discepoli, dei chiamati, annunciatori di un vangelo che non appartiene loro!

Le parole solenni di Gesù sono accompagnate da un gesto: mette in mezzo un bambino e lo abbraccia.
Per la mentalità di oggi questa è una scenetta deliziosa che riempie di tenerezza.
Ma non dimentichiamo che ai tempi di Gesù la parola paidos che indica i bambini è la stessa che si usava per i servi.
E sullo sfondo ci sono le profezie di Isaia che annunciavano misteriosamente che il Messia sarebbe stato un Servo, che avrebbe preso sulle sue spalle il peccato del popolo.

Abbracciare il bambino, significa accogliere Cristo, il vero Servo di Dio e dell’umanità, il Crocifisso… e accogliere il crocifisso significa accogliere Dio che lo ha mandato.
Il crocifisso, dunque è e resta la massima rivelazione di Dio nella nostra vita.

Gesù è risorto, dunque. È risorto perché ha dato la vita, ha preso sulle sue spalle i nostri peccati, ha sopportato il nostro tradimento e il nostro abbandono e con la sua croce ha vinto il peccato e la morte.
Questa è la fede della Chiesa.

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