Caro lyvan,
tu dici
Allora io faccio un'ipotesi: poichè il corpo è energia pesante e lo spirito potrebbe essere un tipo di energia estremamente sublimata, non sarebbe ipotizzabile che, quando un individuo raggiunge il massimo grado di purezza e consapevolezza la stessa energia pesante che costituisce il corpo fisico si sublimi al punto di fondersi con lo spirito in un'unico tipo di energia? Questo potrebbe tra l'altro spiegare anche l'assunzione di Maria e forse potrebbe anche farci intuire cosa
si intende per trasfigurazione, e cadrebbe il problema da te posto circa la dissociazione che ci sarebbe stata tra corpo e spirito in Elia.
si tratta di una ipotesi paradossale per cercare di trovare la compatibilità tra la tesi reincarnazionista e quella della fede nell'unica vita terrena di ciascun corpo. Il problema a mio modesto parere non può essere risolto solo forzando un singolo caso come ad esempio questo. Ma va inquadrato nel complesso dell'insegnamento della Chiesa. Questa ipotesi, cioè potrebbe essere discussa solo se le implicazioni che reca con se non comportasse una serie di conclusioni opposte alle definizioni del magistero che rispecchiano la fede della Chiesa. Quello che ora deve valere non può essere una ipotesi o tante ipotesi basate su testi non chiari, la cui esegesi stringente porta comunque a conclusioni ben diverse da quelle reincarnazioniste, ma al testo chiaro in cui si afferma:
Eb 9,27 E come è stabilito per gli uomini che muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio...
Questa espressione è vincolante per la nostra fede tanto più che non è diversamente interpretabile da come appare esplicitamente; infatti
Il Concilio ecumenico Vaticano II, parla - citando Eb 9,27- dell'«unico corso di questa vita terrestre»:
«Siccome poi non conosciamo il giorno ne l'ora, bisogna, come ci avvisa il Signore, che vegliamo assiduamente, affinchè, finito l'unico corso della nostra vita terrena (cfr. Eb 9,27), meritiamo di entrare con Lui nel banchetto nuziale ed essere annoverati fra i beati (cfr. Mt 25,31-46), ne ci si comandi, come a servi cattivi e pigri (cfr. Mt 25,26), di andare al fuoco eterno (Mt 25,41), nelle tenebre esteriori dove "ci sarà il pianto e lo stridore dei denti" (Mt 22,13 e 25,30) ».
Dagli atti del Concilio ricaviamo che l'inciso fu aggiunto al testo conciliare e approvato con una precisa intenzione anti-reincarnazionista.
Se guardiamo poi le cose con un pò di attenzione, dobbiamo constatare che la reincarnazione è esclusa dal magistero costante della Chiesa cattolica, anche solenne e definitorio, in modo implicito, perché risultano condannati punti di dottrina che sono assolutamente solidali con la teoria della reincarnazione, sotto qualunque forma la si voglia concepire.
Così non si può sostenere la reincarnazione senza sostenere anche la preesistenza delle anime, che è stata esplicitamente condannata dalla Chiesa durante il Sinodo di Costantinopoli del 553 e nel Concilio di Braga del 561.
Non si può sostenere la reincarnazione senza ammettere che il giudizio non segue sempre e immediatamente la morte. Ora, la Chiesa ha definito solennemente che alla morte segue sempre immediatamente il giudizio e le anime vanno subito (mox), a seconda delle colpe e dei meriti, in purgatorio, all'inferno o in paradiso.
Chi sostiene la reincarnazione deve necessariamente professare una antropologia in cui l' anima intrattiene con il corpo un legame accidentale, mentre la Chiesa ha definito che l'anima è la forma del corpo, cioè il legame dell'anima con il corpo è essenziale.
Chi sostiene la reincarnazione deve ritenere che la resurrezione dei corpi non avviene per riassunzione del proprio corpo, ma - nella migliore delle ipotesi ( II reincarnazionismo tende almeno a una concezione della salvezza di natura radicalmente spiritualista: il cammino della perfezione attraverso i corpi ha come meta definitiva uno stato non più corporeo La presenza nel corpo e infatti una pena e una punizione) -di un altro corpo, mentre il magistero insiste a parlare di «proprio» corpo, di identità reale fra il corpo terreno e il corpo glorioso.
Secondo il magistero della Chiesa infatti la resurrezione sarà «nei loro corpi» (Simbolo «Quicumque»), «con i loro corpi» (II concilio Ecumenico di lione, Professione di fede cit, DS 859; e Solenne professione di fede di paolo VI [1968], n° 28, bn-chindion Vaticanum, voi 3, n" 564), «in questa carne, in cui ora viviamo" (Formula detta «Fides Damasi», DS 72), «la risurrezione di questa stessa carne che abbiamo, e non di un'altra» (Professione di fede prescritta ai Valdesi [ 1208], DS 797), «tutti risorgeranno coi corpi di cui ora sono rivestiti» (concilio ecumenico Lateranensis IV [1215], Capitolo «Firrmter» contro gli Albigesi e i Catari, DS 801)
Di recente Giovanni Paolo II ha sintetizzato così questo insegnamento costante della Chiesa cattolica: «La speranza cristiana ci assicura inoltre che l "esilio dal corpo" non durerà e che la nostra felicità presso il Signore raggiungerà la sua pienezza con la risurrezione dei corpi alla fine del mondo. [...] una vera e propria risurrezione dei corpi, con la piena reintegrazione delle singole persone nella nuova vita del cielo, e non una reincarnazione intesa come ritorno alla vita sulla stessa terra, in altri corpi».**
Inoltre come mi è sembrato palese dal tuo messaggio la tesi reincarnazionista finisce con il mettere in discussione anche la possibilità dell'eterna dannazione per coloro che invece dovrebbero essere deputati solo alla purificazione di una nuova esistenza terrena.
Infatti non potrebbe essere ammissibile, come sostenevo anch'io, che Dio permetta ad un'anima di rischiare la perdizione eterna costringendolo a reincarnarsi di nuovo.
Tu infatti dicevi:
Una cosa però sarebbe evidente se l'ipotesi fosse vera: lo spirito non potrebbe mai regredire, al limite potrebbe solo avere delle battute d'arresto, ma mai regredire da un punto di vista strettamente spirituale, diversamente si tratterebbe di involuzione, il che è possibile solo socialmente ma non spiritualmente, e mi spiego: lo spirito è la somma di tutte le esperienze vissute, comprese e fatte proprie, vale a dire che ciò che ha acquisito non potrebbe più perderlo perchè sarebbe parte di se stesso. Queste esperienze verrebbero infatti valutate e macerate nella condizione in cui lo spirito si trova dopo il trapasso ed egli diverrebbe consapevole degli errori commessi, e qui ci sarebbe la sofferenza del rimorso, o di ciò che dovrebbe ancora sperimentare per comprenderli. Quindi Dio darebbe la possibilità di avere queste nuove esperienze e, calandosi nuovamente nella materialità, perderebbe però la consapevolezza delle sue vite precedenti, questo perchè le sue scelte non devono assolutamente essere condizionate. In ogni caso, il bagaglio che lo costituisce e che rappresenta il "sentire", ovvero l'evoluzione dello spirito, non potrà mai regredire. Diciamo poi che, a furia di ripetere la classe, prima o poi dovrà pur capire .
Questa posizione però si scontra con una serie di affermazioni neotestamentarie che invece mettono in guardia continuamente gli uomini circa il pericolo reale di dannarsi, perfino dopo aver ricevuto l'annuncio e il dono della fede, ( quindi anche nel caso di una presunta e inconsapevole esperienza precedente.)
Te ne ricordo qualcuna:
Eb 10,26 Infatti, se pecchiamo volontariamente dopo aver ricevuto la conoscenza della verità, non rimane più alcun sacrificio per i peccati, 27 ma soltanto una terribile attesa del giudizio e la vampa di un fuoco che dovrà divorare i ribelli.
Mt 7,21 Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. 22 Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demòni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome? 23 Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità.
Mt 25,11 Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: Signore, signore, aprici! 12 Ma egli rispose: In verità vi dico: non vi conosco. 13 Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l'ora.
Mi limito a queste citazioni (che valgono anche per dimostrare che la "sola fede" non porta è sufficiente per la salvezza) ma ve ne sono molte altre che ricalcano il pericolo nella vita presente di dannarsi. E se la vita presente, fosse una delle tante comparse sulla terra di un unico soggetto, in ognuna di queste vite, la persona rischierebbe di andare realmente all'inferno. Ma per fortuna il Signore ci assicura in
Eb 9,27:..è stabilito per gli uomini che muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio... e la destinazione si decide nell'unica vita, dell'unico corpo che dovrà risorgere.
Mi pare che al di là delle ipotesi, vi siano molti motivi fondati sulla Scrittura e sul Magistero che dovrebbero dirimere in modo inequivocabile la questione.
Con affetto