"Francesco! Và e ripara la mia Chiesa" Le croci di un Papa (2)

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Caterina63
00lunedì 12 maggio 2014 12:36
 Dopo il successo del primo thread:

 "Francesco! Và e ripara la mia Chiesa" Le croci di un Papa



apriamo una nuova pagina proseguendo sulla medesima scia di informazione.....




Il Papa mi ha detto che...
di Riccardo Cascioli
12-05-2014 da La Bussola

«Il papa mi ha detto che…» è ormai il tormentone dell’anno: non passa settimana che non ci sia qualcuno – dai cardinali all’ultimo dei fedeli – che non si senta in dovere di comunicare al mondo una frase che papa Francesco avrebbe detto loro durante un’udienza privata o nel corso di una telefonata. 

A volte peraltro sono anche frasi di segno opposto: a un vescovo raccomanda di lottare nel suo paese contro chi vuole distruggere la famiglia e a un altro di considerare normale qualsiasi tipo di unione. In gran parte però sono citazioni che vanno in direzione – diciamo così – “progressista”. 

L’ultimo in ordine di tempo è il cardinale Walter Kasper, di cui abbiamo già parlato nei giorni scorsi,che addirittura ha voluto presentare un Papa che si fa beffe di altri cardinali e delle loro fisse sull’ortodossia. C’è poi il drappello di coloro a cui papa Francesco pare abbia affidato dei compiti particolari che, ovviamente, se ne vantano. In particolare sono già usciti almeno due prelati che dicono di essere stati chiamati per lavorare ad una prossima enciclica su ambiente e povertà (clicca qui e qui), e addirittura ne lasciano intendere i contenuti rivoluzionari per poi affermare che «farà molto rumore». Anche questo è un fatto senza precedenti: ogni Papa, per scrivere un’enciclica chiede aiuto a persone che ritiene esperte, ma finora chi collaborava lo faceva con la massima discrezione, senza vantarsi in pubblico, soprattutto prima che l’enciclica venisse pubblicata. Ora invece sembra che ci sia una gara a chi vanta maggiore prossimità e influenza sul Papa.

Non dovrebbe esserci neanche il bisogno di un ordine vaticano per consigliare il silenzio e la discrezione, ma forse sarà il caso di cominciare a pensarci. Anche perché sono proprio queste frasi citate fuori contesto e per motivi tutti da verificare che fanno notizia e creano opinione.  

Questo mi dà però l’opportunità di tornare sull’argomento dell’editoriale del 24 aprile (“Chi specula sulle telefonate del Papa”) che aveva creato qualche perplessità nei lettori e si era addirittura meritato una lettera aperta al sottoscritto da parte di don Ariel Levi di Gualdo, pubblicata su un altro sito. In quell’editoriale si faceva riferimento al caso della donna argentina, sposata con un divorziato, a cui il Papa avrebbe detto di comunicarsi tranquillamente, magari andando in un’altra parrocchia, e al caso del battesimo – sempre in Argentina – del figlio di due lesbiche con madrina d’eccezione il presidente dell’Argentina Cristina Kirchner. Nell’occasione sottolineavo che si trattava di speculazioni interessate visto che si trattava di telefonate riportate o di episodi che con il Papa direttamente non c’entravano nulla.

L’obiezione che mi veniva mossa è che comunque questo Papa è spesso ambiguo, e in particolare don Ariel mi rimprovera di «parlare della buccia senza andare al nocciolo». E il nocciolo sarebbe, detto in estrema sintesi, che è il Papa a creare confusione e ad essere fonte di equivoci con le sue uscite «ambigue e vaghe».

Personalmente credo invece che la buccia sia sprecare fiumi di inchiostro su “presunte” frasi del Papa, tanto più che poi si ignora quello che il Papa dice veramente esercitando il suo ministero. Nel caso poi della telefonata alla donna argentina, il giorno dopo il portavoce della Santa Sede oltre a ricordare che si tratta di rapporti personali del Papa e quindi non ci sono commenti pubblici, nel caso della telefonata alla donna argentina affermava che «Ciò che è stato diffuso a questo proposito, uscendo dall’ambito proprio dei rapporti personali, e la sua amplificazione mediatica conseguente, non ha conferma di attendibilità ed è fonte di fraintendimenti e confusione. È perciò da evitare di trarre da questa vicenda conseguenze per quanto riguarda l’insegnamento della Chiesa». 

La domanda allora è: posso esprimere giudizi e costruire teorie su una frase attribuita al Papa e che il suo portavoce non solo non conferma ma ne toglie attendibilità alla fonte? E questo vale per tutti i «il Papa mi ha detto che…». La scorsa settimana, ad esempio, anche l’ex segretario di Stato, il cardinale Tarcisio Bertone, a proposito degli attacchi ricevuti per la storia dell’appartamento da 700 mq in cui andrebbe a vivere, ha affermato che papa Francesco non solo non è arrabbiato con lui – come per giorni hanno detto giornali e tv -, ma addirittura gli ha fatto una telefonata di solidarietà per gli attacchi ricevuti. Se usassimo lo stesso metro usato per la donna sposata con un divorziato dovremmo concluderne che il Papa “copre” Bertone, magari sostenere che predica bene (la povertà) ma razzola male (sostenendo cardinali che vivono nel lusso). 

Ma si può perdere tempo così? Correre dietro ai “mi ha detto….”, e ignorare quello che il Papa ha veramente detto in pubblico o nell’esercizio del suo Magistero? Pensiamo semplicemente a questi giorni: il Papa ha parlato alle agenzie dell’Onu, ha parlato ai preti e ha parlato al mondo della scuola. Discorsi importanti, in cui ha anche affermato princìpi importanti come la centralità della famiglia e il valore della vocazione sacerdotale. Eppure, vediamo alcuni cattolici agitarsi per le telefonate riportate da altri. Per me è questo il “parlare della buccia”.

E’ vero che è la grande stampa laica a cogliere ogni volta l’occasione per dare l’impressione che la Chiesa stia sul punto di cambiare la dottrina, e di questo è giusto che tenga conto anche la Santa Sede, ma almeno i preti e i giornalisti cattolici dovrebbero cercare di ristabilire la verità anziché correre dietro aRepubblica e Corsera.

Noi più volte abbiamo ribadito che c’è una differenza tra ciò che è Magistero - e quindi impegna tutti i fedeli a seguirlo - e opinioni personali o interviste o, addirittura, conversazioni riportate su cui si possono avere legittimamente idee diverse o che possono essere facilmente manipolate. Noi intendiamo seguire il Magistero, dare conto di ciò che effettivamente il Papa dice e fa, senza per questo chiudere gli occhi su aspetti che possono anche essere controversi. Il resto lo lasciamo volentieri ad altri.

Ma qui veniamo anche al vero nocciolo della questione: il Papa non ci interessa perché è simpatico o perché è un fine teologo o perché è d’accordo con noi. Il Papa ci interessa perché è il punto d’unità della Chiesa, perché si è cattolici solo in quanto si è uniti al Papa, perché egli è la garanzia di essere nella Tradizione. Non si può avere nei confronti del Papa – di qualsiasi Papa – l’atteggiamento che abbiamo nei confronti del presidente del Consiglio o della Repubblica. Ripeto: si può benissimo criticare o esprimere perplessità, ad esempio, sul modo in cui si sta riformando la Curia o su alcune nomine (ma questo valeva anche per i predecessori), ma è assurda la tendenza a fare l’esame di ogni parola che dice per coglierlo in fallo.

Il nocciolo è dunque che dobbiamo anzitutto decidere cos’è il Papa per noi, e se davvero crediamo che a guidare la Chiesa sia Cristo, come soleva ripetere Benedetto XVI. 







Caterina63
00lunedì 12 maggio 2014 13:00
  apriamo e chiudiamo una parentesi tanto per capire che le croci di un Papa non sono solo quelle di un papa solo, in termini soggettivi, ma che sono problemi più vasti dei quali i Media tacciono oppure ne oscurano volutamente la verità ....


                   



ECCO I RETROSCENA DI QUANDO LA SAPIENZA CENSURO' BENEDETTO XVI

Sei anni fa nell'università fondata nel 1303 da Papa Bonifacio VIII, 67 docenti firmarono una lettera contro il Papa, mentre la stragrande maggioranza degli studenti era favorevole...
 
di Federico Cenci

Il Papa in Ateneo? Non è gradito. Sono passati sei anni da quel 15 gennaio 2008, data in cui la Santa Sede declinò l'invito del rettore dell'Università "La Sapienza" a papa Benedetto XVI affinché, due giorni dopo, inaugurasse l'anno accademico. La scelta di Oltretevere fu dettata dalla percezione che non vi fosse la possibilità di garantire l'ordine pubblico, date le roventi polemiche che erano state suscitate nei giorni prima da nugoli di docenti e studenti.

Apparve paradossale che un luogo deputato al confronto qual è l'università – per giunta "La Sapienza", fondata da Bonifacio VIII nel 1303 – applicasse una censura nei confronti di chi ha un pensiero diverso da quello dominante nelle cerchie dell'intellighenzia laica e progressista. Eppure accadde.
Tuttavia, non si è mai andati a fondo delle dinamiche da cui scaturì la rinuncia del Santo Padre. Almeno fino ad oggi, cioè all'uscita del libro "Sapienza e libertà. Come e perché papa Ratzinger non parlò all'Università di Roma" (Donzelli editore), scritto dal giornalista Pier Luigi De Lauro, con prefazione dell'allora sindaco della Capitale, Walter Veltroni.

Il volume si avvale delle testimonianze di alcuni protagonisti di quella vicenda, come l'allora rettore dell'Università Renato Guarini. Lui stesso spiega che il Papa non avrebbe dovuto tenere una lectio magistralis, come erroneamente riportarono su alcuni organi d'informazione, bensì un discorso al termine della cerimonia d'inaugurazione. Il Senato accademico accolse la proposta, che fu invece osteggiata in un articolo del prof. Marcello Cini, deceduto nel 2012, sul quotidiano Il Manifesto.
L'articolo, che denunciava una presunta ingerenza religiosa del Papa, innescò un vespaio di polemiche, tanto da indurre 67 docenti della facoltà di Fisica a firmare una lettera in cui si chiedeva il ritiro dell'invito.

L'insofferenza verso il Papa contagiò alcune organizzazioni studentesche vicine alla sinistra, le quali attirarono le attenzioni di una stampa evidentemente avida di offrire risonanza alla vicenda.
Secondo Gianluca Senatore, allora rappresentante di un'importante organizzazione di studenti ed oggi presidente di un comitato della Fondazione Roma Sapienza, furono infatti i giornalisti a montare il caso.

Intervistato da ZENIT, Senatore ha ripercorso gli eventi che si susseguirono nella fase più intensa di quei giorni, culminata con l'occupazione del Senato Accademico e del Rettorato.

"In quei giorni - racconta - non si percepiva nessun tipo di agitazione nella Città Universitaria. A parte piccole riunioni in alcune Facoltà, partecipate da pochi studenti, il clima era più che sereno. L'unica agitazione era rappresentata da centinaia di giornalisti e fotografi che si affannavano a fermare gli studenti per i viali dell'Ateneo cercando di carpire un qualsiasi segno di malumore o di disagio per l'arrivo del Papa".
Spesso queste interviste - racconta divertito Senatore -"non sortivano l'effetto desiderato e puntualmente l'intervistatore di turno era costretto a tagliare la serena e inutile dichiarazione della quasi totalità degli studenti intervistati che non aveva la minima idea di quello che stesse accadendo".

Il clamore lo suscitò allora l'occupazione del Senato Accademico, che fu ordita "da non più di 15 studenti", assicura Senatore. "Una volta salite le scale ed entrati nella sala - prosegue il racconto -, qualcuno dalla finestra chiamò i giornalisti, che si catapultarono al primo piano del Rettorato, riempirono la sala e descrissero l'occupazione come un gesto di profondo significato laico". Una descrizione e un clamore, spiega l'ex studente con "molta sincerità", che "non resero giustizia alla verità".

L'ex responsabile dell'organizzazione studentesca, che assicura che "se ce ne fosse stato bisogno avremmo raccolto migliaia di firme a sostegno della visita del Papa", fu anche il relatore del discorso introduttivo all'inaugurazione.

"Espressi - racconta - il dispiacere sentito e profondo della stragrande maggioranza degli studenti, laici e cattolici, credenti e non credenti, perché Benedetto XVI non era lì con noi, perché non era presente all'inaugurazione dell'anno accademico del nostro Ateneo, e non era presente anche a causa di una campagna di disinformazione portata avanti da influenti organi di stampa".

Affermazioni, rivela Senatore, che "ancora oggi, pesano come un macigno: ogni tanto qualche importante giornale scrive qualcosa sul mio conto riportando questa frase come se fosse una cosa che mi marchierà per sempre". Qual è la colpa attribuitagli? "Aver difeso il diritto di parola del Pontefice. Per quanto io potessi essere, in qualche modo, influenzato dalla grande personalità di Cini e di alcuni fisici firmatari dell'appello, fu sicuramente più per modestia che per altro se nel mio discorso la posizione a favore della visita del Pontefice fu così chiara ed inequivocabile".

Anche perché Gianluca Senatore - spiega senza remore - non era certo un sostenitore di Benedetto XV, non avendo letto nulla di lui prima di quell'evento. Iniziò a farlo nei giorni immediatamente successivi. E scoprì qualcosa di inatteso, ossia dei "punti di contatto" tra il pensiero dell'attuale Papa emerito e quello del professor Cini.

"Non so quanti abbiano letto, ad esempio, L'ape e l'architetto o Un paradiso perduto: dall'universo delle leggi naturali al mondo dei processi evolutivi di Marcello Cini e, contestualmente, l'Enciclica Caritas in Veritate di Benedetto XVI", si domanda Senatore. "Basterebbero solo queste letture - prosegue - per capire che non c'è molta differenza nella preoccupazione di entrambi gli autori per la terribile deriva che la tecnica e la scienza hanno intrapreso nell'ultimo mezzo secolo".

Affinità che trovano riscontro anche nel famoso discorso fatto da Benedetto XVI a Regensburg. "Lo stesso discorso - ricorda Senatore - che Marcello Cini contesta e cita nella lettera pubblicata su Il Manifesto: in questa il fisico fa riferimento alla pericolosa intenzione, manifestata in più occasioni da Benedetto XVI, di aprire un dialogo tra fede e ragione".

"È evidente - prosegue l'ex studente - che le affermazioni di Cini nulla hanno a che vedere con la laicità, ma provengono da sentimenti ideologici quasi insuperabili. Ecco perché se avessimo prestato più attenzione alle posizioni di entrambi, probabilmente si sarebbe subito capito che non si trattava di difendere la laicità delle istituzioni, ma piuttosto di difendere il primato della scienza su ogni altro potere. La scienza dei fisici e della grande tradizione, il sapere delle scienze naturali, quelle stesse scienze alle quali il professor Ratzinger aveva rivolto l'invito, nel discorso di Regensburg, a servirsi anche delle altre scienze e discipline, come ad esempio la filosofia o in modo differente la teologia".

Purtroppo però, nessuno si degnò di "prestare più attenzione", privilegiando invece il pregiudizio e la censura. La visita di Benedetto XVI saltò, generando tuttavia un effetto contrario rispetto alle intenzioni dei contestatori. Gianluca Senatore nutrì da quel giorno un sempre maggior interesse verso il Pontefice, tanto da arrivare oggi a dire: "A mio modestissimo parere Ratzinger ha rappresentato uno dei momenti più interessanti della tradizione culturale della Chiesa di Roma negli ultimi secoli".

Nota di BastaBugie: ecco il link al discorso integrale che Benedetto XVI avrebbe pronunciato alla Sapienza da noi prontamente rilanciato il 18 gennaio 2008. E' un testo molto bello e profondo, da meditare e approfondire (di livello alto e quindi adeguato all'ambiente universitario nel quale doveva essere pronunciato)
http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=1302

 
Titolo originale: Ecco come si arrivò alla censura di Benedetto XVI alla Sapienza
Fonte: Zenit, 12/04/2014

Caterina63
00lunedì 12 maggio 2014 21:39

Politica e “furbizia cristiana”

Il Papa civetta con l’eresia e consente ai laicisti di amarlo troppo
29 marzo 2014 - ore 06:59

Se possiamo permetterci, il Papa callejero civetta con l’eresia, magari con la buona intenzione di svalutare la cattiva politica e corrotta, e predicare con smalto secondo il percorso liturgico.
Disse infatti in San Pietro due giorni fa, a un’orda di politicanti in gramaglie, che la salvezza viene solo da Dio, e va bene, eppoi: solo dalla fede, sola fide.

Profumo di Lutero, verrebbe da dire con rispetto e una punta di preoccupazione, scorgendo inoltre una flagrante contraddizione con l’affermazione di Bergoglio che delega alla libertà della coscienza, fede o non fede, la redenzione personale.
Poi aggiunse cose, mutuate dalla cosiddetta teologia del popolo o da una sua enfatizzazione, che svalutano la politica più che la politica corrotta, dimenticandone appunto la caritatevole dimensione di opera umana, opera sociale, intesa a una funzione o unzione (onction démocratique la chiamava il grande e corrotto politico François Mitterrand) di autorità e di guida che era molto a cuore anche alla chiesa primitiva, e allo stesso Paolo di Tarso.

Va bene, siamo sul filo del paradosso, che è poi l’essenza del cristianesimo. Ma quell’insistenza sui dottori della legge, sui sadducei e sui farisei biblicamente intesi in blocco come classe dirigente deicida, chiusa al popolo, chiusa nelle ideologie, che opera nell’interesse esclusivo di gruppo, di partito e delle conseguenti lotte interne, compone un ritratto che sembra fatto apposta per sollecitare la solita risposta demagogica e populista dei guru di Repubblica (infatti Ezio Mauro, il direttore, si è esaltato).

I politici colà riuniti avranno anche il cuore indurito, poggiano con troppa facilità sul basto del popolo che soffre, d’accordo, ma l’idea che sostituiscano indegnamente una corrotta teologia pastorale del dovere alla predicazione di pura fede, e che lavorino nel campo della disciplina e delle inibizioni o libertà civili più che in quello dell’amore, sembra un modo francamente un po’ bislacco di raccordarsi con le pulsioni primitive dell’opinione pubblica.
I giornali e le tv, fulcro della Nuova Ignoranza, poco o punto dotta, sono andati per le spicce, inseguendo la loro stessa golosità di lode e di sintonia con l’istinto della folla barabbesca: il Papa come Grillo.

Non arriveremmo mai a tanta scemenza.
Quelle stesse cose le aveva dette in due omelie del novembre scorso (l’8 e l’11 di quel mese), in quel caso rivolgendosi anche ai manager delle aziende e soprattutto ai preti. Di passaggio, aveva bollato l’inganno, l’ipocrisia da sepolcri imbiancati dei corrotti, distinti dagli umili peccatori in forza di una loro vocazione maligna, proponendo un riscatto metodologico: la “furbizia cristiana” (astuti come serpenti, puri come colombe). Si possono fare le cose “anche alla svelta”, diceva questo straordinario gesuita, ma è un dono di grazia che va chiesto al Signore, sennò si ricade nella mondanità “che piace tanto al demonio”. Diciamolo alla svelta, allora: Francesco piace troppo, e per le ragioni sbagliate, in specie ai laici inconcussi.

© - FOGLIO QUOTIDIANO Giuliano Ferrara







Caterina63
00giovedì 22 maggio 2014 20:12
  Papa Francesco ha scomunicato la fondatrice di “Noi siamo Chiesa”. Celebrava Messa in casa con il marito

quando è troppo è troppo... anche per Papa Francesco ....


Maggio 22, 2014 Redazione

Il vescovo di Innsbruck ha consegnato personalmente il decreto a Martha e Gert Heizer, che però lo hanno respinto. I due officiavano l’Eucarestia senza preti per sfidare la Chiesa sul sacerdozio femminile

Papa Francesco ha scomunicato Martha Heizer, co-fondatrice e presidente di “Wir sind Kirche” (Noi siamo Chiesa), una delle organizzazioni cattoliche più critiche verso la Chiesa e il suo magistero.

Il caso Heizer era scoppiato nel 2011, quando la donna, insegnante di religione a Innsbruck, in Austria, decise di sfidare il Vaticano sulla questione del sacerdozio femminile annunciando la sua intenzione di celebrare l’Eucarestia nella sua casa di Absam, piccolo comune nei pressi del capoluogo tirolese.

In seguito la signora 67enne cominciò effettivamente a officiare regolarmente la Messa insieme al marito Gert (anche lui scomunicato), davanti ad altri fedeli e in assenza di sacerdoti, e la Congregazione per la dottrina della fede istituì la commissione che adesso ha stabilito la scomunica. La pratica teorizzata e realizzata dalla teologa, infatti, profanando il sacramento dell’Eucarestia rientra per la Chiesa tra i “delicta graviora”, al pari della pedofilia e dei crimini contro la Penitenza.

«SIAMO INDIGNATI». Come ha riportato per primo il Tiroler Tageszeitung, ieri sera il vescovo di Innsbruck Manfred Scheuer ha voluto consegnare personalmente il decreto di Roma a Marta e Gert Heizer, ma la coppia lo ha respinto.
Questa mattina poi i due hanno divulgato un comunicato in cui si dicono scioccati per la scelta della Chiesa.
«Ci indigna profondamente il fatto di ritrovarci nella stessa categoria dei preti colpevoli di abusi. Ma siamo amareggiati soprattutto perché non conosciamo un solo caso in cui un colpevole di abusi sia stato scomunicato. (…) Non abbiamo accettato il decreto, ma al contrario lo abbiamo respinto. Non abbiamo mai accettato il processo nella sua struttura e conseguentemente non accettiamo neanche la condanna. Continueremo a impegnarci con maggior forza per la riforma della Chiesa cattolica. Proprio questo modo di procedere mostra con quanta urgenza essa abbia bisogno di un rinnovamento».

IL GRUPPO. Il movimento “Wir sind Kirche”, oggi uno dei più numerosi e sicuramente tra i più attivi in Europa nel promuovere modifiche in senso progressista della dottrina cattolica, nacque intorno a un piccolo gruppo di cattolici di Innsbruck capitanato da Thomas Plankesteiner e appunto da Martha Heizer – ricorda Giacomo Galeazzi per il Vatican Insider – che nell’aprile del 1995 pubblicò un “Appello dal popolo di Dio” rivolto alla gerarchia della Chiesa per chiedere proprio l’introduzione del sacerdozio femminile, oltre a una maggiore democrazia, all’abolizione del celibato dei preti e all’adeguamento della morale sessuale ai costumi moderni.
Il testo raccolse moltissime adesioni in tutto il continente ma soprattutto in Austria e in Germania (rispettivamente 505 mila e 1,8 milioni di firme).



Leggi di Più: Papa Francesco scomunica la fondatrice di "Wir sin Kirche" | Tempi.it 




Caterina63
00mercoledì 3 dicembre 2014 19:34

   di Marco Tosatti 3 dic 2014





C’è una bella storia – anzi, più storie – su papa Francesco e santa Teresa di Lisieux al confine fra naturale e soprannaturale, raccontate da Austen Ivereigh nel suo libro “Tempo di misericordia” e che hanno per protagonista sempre una rosa bianca.  

Di questa santa papa Bergoglio è devoto (nella famosa borsa che portò in viaggio c’era oltre al breviario e al diario, un libro su Teresa); quando divenne arcivescovo a Buenos Aires pose sulla scrivania insieme a immagini di San Giuseppe e della Vergine, una della santa. Scrive Ivereigh: “Bergoglio aveva un’intensa devozione per la santa carmelitana Teresa, ed era intimo delle suore carmelitane di Buenos Aires, nel potere della cui preghiera aveva grande fiducia”.  

Nei suoi viaggi a Roma l’arcivescovo si fermava spesso a pregare in una chiesetta francescana vicino al Vaticano, chiamata “la Nunziatina” davanti alla statua di santa Teresa. “Quando ho un problema – Ivereigh cita la biografia di Rubin e Ambrogetti – chiedo alla santa non di risolverlo, ma di prenderlo in mano e di aiutarmi ad accettarlo, ec ome segnale ricevo quasi sempre una rosa bianca”. Racconta Ivereigh che una volta sulla soglia della sacrestia una donna sconosciuta gli aveva consegnato tre rose bianche, dopo che aveva affidato un problema alla santa.  

“I suoi collaboratori dicono che questo accadeva spesso. Bergoglio trovava sovente una rosa bianca sulla scrivania, che era stata lasciata sulla porta per lui da una persona sconosciuta, e diceva: <Ah, vedo che santa Teresita è stata qui>”. Un giorno, in cui doveva compiere qualche cosa di molto faticoso fisicamente, alla festa di San Cayetano, e non riusciva quasi a camminare, a un certo punto del percorso stava per cedere, quando apparve davanti a lui un uomo molto alto, che teneva la mano nell’impermeabile come Napoleone. Poi con mossa rapidissima estrasse la mano e offrì una rosa bianca a Bergoglio, che lo benedisse. “Stavo per accompagnare Bergoglio all’auto – racconta il suo collaboratore – quando mi disse: >no, no, non capisci? Questo è il messaggio che aspettavo. Adesso andrà tutto bene>. Mi diede la rosa e in quel momento alzai gli occhi a guardare l’omone, ma era sparito”. Il cardinale aggiunse: >E’ la presenza di santa Teresita. Di’ alla nostra macchina di aspettare al campo di calcio del Vélez. Ce la faremo>.  

Una presenza che secondo Ivereigh è continuata a Santa Marta, il “residence” dei cardinali riuniti in Conclave. Il 12 marzo 2013, quando tutti gli elettori presero possesso nelle loro stanze, il cardinale Bergoglio entrò nella sua, la 207, e trovò sul letto una rosa bianca. Ivereigh afferma che “Francesco parlò della rosa a un amico argentino”. 



Diritti individuali e bene comune nei discorsi di Francesco

 

Papa Francesco con una coppia di sposi - OSS_ROM

 

04/12/2014 

Nell’ultimo mese Papa Francesco ha pronunciato importanti discorsi. Tra le tante tematiche affrontate una in particolare ritorna in 5 interventi tenuti in meno di 10 giorni: la questione dei diritti individuali. Ripercorriamo alcune riflessioni in questo servizio di Sergio Centofanti:

Nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium (24 novembre 2013), Papa Francesco sottolinea con forza che “deplorevolmente persino i diritti umani possono essere utilizzati come giustificazione di una difesa esacerbata dei diritti individuali” che si trasformano in legge del più forte laddove sono calpestati i diritti dei più deboli, siano essi persone, famiglie, popoli o Stati. La Chiesa fa propria “l’opzione per gli ultimi, per quelli che la società scarta e getta via”.

Sull’argomento, il Papa è tornato alcuni giorni fa più volte: il 25 novembre scorso, intervenendo al Parlamento europeo, ha invitato a “non cadere in alcuni equivoci che possono nascere da un fraintendimento del concetto di diritti umani e da un loro paradossale abuso. Vi è infatti  - ha affermato - la tendenza verso una rivendicazione sempre più ampia di diritti individuali, sono tentato di dire individualistici” – ha aggiunto a braccio – che sono staccati dai doveri e dal bene comune. Infatti – spiega – “al concetto di diritto non sembra più associato quello altrettanto essenziale e complementare di dovere, così che si finisce per affermare i diritti del singolo senza tenere conto che ogni essere umano è legato a un contesto sociale, in cui i suoi diritti e doveri sono connessi a quelli degli altri e al bene comune della società stessa”. Così – conclude - “se il diritto di ciascuno non è armonicamente ordinato al bene più grande, finisce per concepirsi senza limitazioni e dunque per diventare sorgente di conflitti e di violenze”.

Intervenendo lo stesso giorno al Consiglio d’Europa, Papa Francesco ha ricordato che quando “ciascuno diventa misura di sé stesso e del proprio agire”, slegato dagli altri, apre “la strada dell'affermazione soggettivistica dei diritti, così che al concetto di diritto umano, che ha di per sé valenza universale, si sostituisce l'idea di diritto individualista. Ciò porta ad essere sostanzialmente incuranti degli altri e a favorire quella globalizzazione dell'indifferenza che nasce dall'egoismo”. “Un tale individualismo rende umanamente poveri e culturalmente sterili”. “Dall'individualismo indifferente nasce il culto dell'opulenza, cui corrisponde la cultura dello scarto nella quale siamo immersi”.

E infatti, parlando alla Fao il 20 novembre, ha affermato: “Oggi si parla molto di diritti, dimenticando spesso i doveri; forse ci siamo preoccupati troppo poco di quanti soffrono la fame”. E così, “mentre si parla di nuovi diritti, l’affamato è lì, all’angolo della strada, e chiede diritto di cittadinanza, chiede di essere considerato nella sua condizione, di ricevere una sana alimentazione di base. Ci chiede dignità, non elemosina”.

Nei Paesi occidentali, la rivendicazione dei diritti individuali rischia di attaccare il diritto all’obiezione di coscienza sui temi etici fondamentali. E Papa Francesco, ampliando il discorso nell’incontro con i Medici cattolici, il 15 novembre, ha ricordato che “il pensiero dominante propone a volte una ‘falsa compassione’: quella che ritiene sia un aiuto alla donna favorire l’aborto, un atto di dignità procurare l’eutanasia, una conquista scientifica ‘produrre’ un figlio considerato come un diritto invece di accoglierlo come dono; o usare vite umane come cavie di laboratorio per salvarne presumibilmente altre”.  Ed esorta i medici a “scelte coraggiose e controcorrente che, in particolari circostanze, possono giungere all’obiezione di coscienza”.

I diritti individuali mettono in pericolo i diritti dei bambini, di quanti non hanno voce perché sono piccoli: di questo si è parlato il 17 novembre scorso in Vaticano durante l’importante Convegno sulla complementarietà uomo-donna. Francesco ha sottolineato che la “rivoluzione nei costumi e nella morale ha spesso sventolato la bandiera della libertà – fra virgolette – ma in realtà ha portato devastazione spirituale e materiale a innumerevoli esseri umani, specialmente ai più vulnerabili”. In particolare, ha ribadito che “i bambini hanno il diritto di crescere in una famiglia, con un papà e una mamma, capaci di creare un ambiente idoneo al loro sviluppo e alla loro maturazione affettiva”. “La famiglia – spiega - è un fatto antropologico … non possiamo qualificarla con concetti di natura ideologica che soltanto hanno forza in un momento della storia, e poi cadono. Non si può parlare oggi di famiglia conservatrice o famiglia progressista: la famiglia è famiglia”.

Al di là di questi 5 discorsi tenuti in poco più di una settimana, di famiglia Francesco aveva parlato in modo molto intenso anche al movimento diSchoenstatt, il 25 ottobre: la famiglia e il matrimonio – aveva detto – non sono stati mai “tanto attaccati” come al giorno d’oggi. La famiglia non è una forma di “associazione”. “C’è una crisi della famiglia, crisi perché la bastonano da tutte le parti e la lasciano molto ferita!".

Di fronte ai diritti individuali, a rischio sono anche i diritti dei genitori, in particolare nel settore delicatissimo dell’educazione. Uno dei discorsi più forti su questo argomento, Papa Francesco lo ha rivolto l’11 aprile scorso al Bice, l’Ufficio internazionale cattolico dell’infanzia: occorre “sostenere – ha detto - il diritto dei genitori all’educazione morale e religiosa dei propri figli. E a questo proposito vorrei manifestare il mio rifiuto per ogni tipo di sperimentazione educativa con i bambini. Con i bambini e i giovani non si può sperimentare. Non sono cavie da laboratorio! Gli orrori della manipolazione educativa che abbiamo vissuto nelle grandi dittature genocide del secolo XX non sono spariti; conservano la loro attualità sotto vesti diverse e proposte che, con pretesa di modernità, spingono i bambini e i giovani a camminare sulla strada dittatoriale del ‘pensiero unico’. Mi diceva, poco più di una settimana fa, un grande educatore: ‘A volte, non si sa se con questi progetti - riferendosi a progetti concreti di educazione - si mandi un bambino a scuola o in un campo di rieducazione’”.

Infine, di diritti e “dittatura del relativismo” Francesco aveva parlato al Corpo Diplomatico il 22 marzo 2013, sottolineando come oggi possa essere messa “in pericolo la convivenza tra gli uomini”. “Non vi può essere pace vera se ciascuno è la misura di se stesso, se ciascuno può rivendicare sempre e solo il proprio diritto, senza curarsi allo stesso tempo del bene degli altri, di tutti”.





Caterina63
00lunedì 22 dicembre 2014 10:58
  Chiesa povera? Aumenterebbero anche i poveri
di Rino Cammilleri
21-12-2014
da la nuova bussola

 

 

Come tutti ricorderanno, l’esordio di papa Francesco fu: «Sogno una Chiesa povera per i poveri». Qualcuno parlò di “rivoluzione” e di “nuovo stile” con entusiasmo, qualcun altro arricciò il naso e trovò che si trattava solo della prima delle uscite a braccio definite “demagogiche” se non peggio del nuovo Papa. Tuttavia, un dato di fatto è certo: il suo predecessore, parlando da perfetto teologo (e, dunque, da pontefice old style) si provocò contro una levata di scudi di docenti laicisti alla Sapienza di Roma e, col famoso (e impeccabile) discorso di Ratisbona, alcuni pogrom islamisti anticristiani. 

Quanto sia, invece, popolare Francesco, anche tra i laicisti più incallitiè sotto gli occhi di tutti. Francesco ha fatto breccia perfino a Repubblica, il che è tutto dire, con un divieto tacito di criticare il Papa che percorre l’intero schieramento mondano. E vedrete che, prima o poi, quelli della Sapienza che hanno chiuso la porta in faccia a Benedetto XVI inviteranno con applausi Francesco. Questo, tuttavia, non cambia il progetto di quanti, per puro odio ideologico, sognano di cancellare la Chiesa cattolica dalla faccia della terra. Solo che, adesso, l’”effetto Francesco” li costringe a operare sottotraccia. Una delle loro ultime trovate, come ha dettagliato qui Introvigne, è tirar fuori in sede europea la questione dell’Imu per rovinare economicamente il nemico storico. Non torneremo sull’argomento, bensì diremo qualcosa su un odio che, quando porta scientemente al suicidio, va al di là dell’ideologia ed è per forza di natura soprannaturale. 

Ricordate la storiella di quello che si evirò per fare un dispetto alla moglie? O, per restare più terra terra, rammentiamo quel che diceva l’economista Carlo Cipolla: uno che procura un danno a se stesso ma un vantaggio agli altri è un eroe; uno che procura un vantaggio a se stesso ma un danno agli altri è un bandito; uno che procura un vantaggio a se e agli altri è un benemerito; uno che procura un danno a sé e agli altri è un imbecille. Se poi lo fa apposta, allora per lui ci vuole l’esorcista. 

Tornando alla frase di esordio di Bergoglio, che vuol dire, nei fatti, «Chiesa povera per i poveri»? 
É uno sha-la-la piangi con me, come cantavano i Rokes?
Che aiuto può dare al povero uno più povero di lui? Parafrasando il Vangelo, due ciechi finiscono in un fosso e due poveri muoiono di fame.
È chiaro che il Papa intendeva “vicinanza” ai poveri (tra i quali ci sono anche gli impoveriti spiritualmente, che sono anche di più) e, perciò, aiuto concreto. Ora, mettiamo pure da parte l’aspetto spirituale, che poi è anche l’unico motivo per cui la Chiesa fa quel che fa. E proviamo a immaginare che il sogno di certuni si realizzi e la Chiesa sparisca. Chi dovrebbe gestire, sfamare, recuperare, accogliere l’enorme massa di poveri, clochard, tossici, drop-out ed emarginati che lo Stato si ritroverebbe sulle spalle? I cattolici lo fanno gratis et amore Dei. Lo Stato non avrebbe le risorse, né per stipendiare chi dovrebbe farlo né i milioni di poliziotti necessari a reprimere le rivolte continue che ne scaturirebbero

Sul risparmio che lo Stato realizza grazie all’esistenza delle scuole cattoliche questo quotidiano si èpiù volte espresso ed è inutile tornarci sopra. Il turismo: senza la Chiesa, e le chiese, crediamo davvero che gli stranieri calerebbero in massa per ammirare i grattacieli delle banche o i palazzi delle prefetture? Senza l’arte dei secoli cristiani, quanti accorrerebbero da ogni dove per visitare i musei con le opere di Cattelan? Senza il Papa a Roma, senza le grandi cerimonie di canonizzazione, senza le udienze, i pellegrinaggi ai grandi santuari italiani, senza la Cappella Sistina e i Musei Vaticani, quanto diminuirebbe il flusso turistico, voce fondamentale (e tra breve anche la sola) dell’economia italiana? E se preti e clero sparissero, chi si occuperebbe di manutenere in efficienza tutta questa roba? Lo Stato? Ma se non è nemmeno capace di manutenere la sola Pompei! 

Insomma, non facciamola tanto lunga: la Chiesa dà allo Stato italiano molto –molto!- più di quel che riceve con l’8 per mille. E, nel servizio che offre, nessuno è in grado di sostituirla. Dovesse pensarci lo Stato, per prima cosa dovrebbe abolire i finanziamenti eterni e milionari a Radio Radicale, perché già adesso non c’è più trippa per gatti, figurarsi se sparisse la Chiesa. Ecco perché chi sogna la rovina economica di quest’ultima non fa che preparare la sua (e poi quella altrui). Per quanto riguarda i beaux gestes, li si può certo fare, giusto per mostrare buona volontà, come quando il beato Paolo VI vendette la tiara pontificia.

Il ricavato andò ai poveri e l’oggetto in un museo di Washington. Risultato (concreto): i poveri mangiarono un giorno. E l’indomani riebbero fame. La tiara, prima visibile gratuitamente a tutti, ora se vuoi vederla devi prendere l’aereo e pagare l’ingresso al museo. Ma chi odia Cristo e i suoi a prescindere si comporta come l’ultimo elencato da Carlo Cipolla. L’indefesso impegno per amare Cristo produce i Santi, che fanno il bene di se stessi e degli altri. L’indefesso e insonne impegno per odiarLo è un boomerang. Non è l’amore a essere cieco, è l’odio. 






Caterina63
00lunedì 22 dicembre 2014 12:12
  Approfondimento della dottrina? No, è tradimento
di mons. Antonio Livi21-12-2014
http://www.lanuovabq.it/it/articoli-approfondimento-della-dottrina-no-e-tradimento-11288.htm 

La adultera

Il termine che si sente ripetere in questi giorni, anche dopo l'intervista di papa Francesco a La Nación, è quello della necessità di un adeguato "approfondimento" della dottrina. È la tesi di Gianni Gennari (sul Corriere della Sera) a proposito dell'auspicata “retromarcia” del Magistero sui metodi naturali: grandi cambiamenti, ma che sarebbero solo “approfondimenti” della dottrina dell’Humanae vitae. Per analogia questo schema interpretativo viene applicato alla questione “sinodale”, quella della comunione per i divorziati che si sono sposati civilmente. Peraltro questa tesi è sposata anche da Andrea Tornielli (La Stampa), che già tempo fa parlava di “approfondimenti” in riferimento alla nuova dottrina conciliare sulla libertà religiosa.

Vedendo il ricorso a questa etichetta che i media stanno applicando ai progetti di riforma della dottrina sui sacramenti (il Matrimonio, la Penitenza e l’Eucaristia)  mi sono reso conto ancora una volta di quanto sarebbe auspicabile che i giornalisti si limitassero a informare sull’attualità degli eventi ecclesiali senza continuare a confondere le idee ai cattolici con le loro interpretazioni sociopolitiche (vedi quanto ho scritto recentemente sull’Isola di Patmos). 

Qualsiasi etichetta apposta ai fatti della Chiesa, anche se appare giornalisticamente efficace, non aiuta affatto a capire di che cosa si tratta. L’etichetta è una pretesa di interpretazione facile e rapida, “prêt-à-porter”, ma l’effetto sull’opinione pubblica è negativo, non solo per l’inevitabile superficialità di questo genere di interpretazione ma anche e soprattutto per il messaggio che indirettamente veicola. L’«approfondimento», etichetta dalla quale sono partito, non è un’eccezione alla regola: il messaggio che con essa viene veicolato è che la Chiesa cattolica, sotto il pontificato di papa Francesco, procede rapidamente verso un mutamento sostanziale della sua dottrina morale, e di conseguenza procede ineluttabilmente verso un mutamento radicale della sua prassi pastorale, con il plauso di tutti, credenti e non credenti. 

Quelli che sono etichettati come “approfondimenti” sono dunque, nelle intenzioni di chi le sponsorizza, dei mutamenti sostanziali della dottrina fin qui insegnata dal Magistero, e andrebbero pertanto etichettati piuttosto come  “rottura” con la Tradizione. Si tratta infatti di “piccoli passi” nella direzione di una normativa che andrebbe a rivoluzionare la  struttura stessa della disciplina ecclesiastica, a tal punto che – se effettivamente fossero adottati dall’autorità ecclesiastica – comporterebbero una riforma radicale della dottrina: ma non nel senso indicato da Benedetto XVI («riforma nella continuità del medesimo soggetto Chiesa») ma nel senso che papa Ratzinger considerava inaccettabile, ossia di  una vera e propria “rottura” con la Tradizione, ossia con la dottrina del Magistero, dal Concilio di Trento al Vaticano II, dall’enciclica Casti connubii di Pio XI all’esortazione apostolica Familiaris consortio di Giovanni Paolo II. 

Certo, abbiamo sentito in occasione della prima fase del Sinodo dei vescovi sulla famiglia, non pochi teologi e alti prelati auspicare il superamento (cioè l’abolizione) degli insegnamenti di Paolo VI (Humanae vitae) e di Giovanni Paolo II (Familaris consortio), e poi abbiamo sentito, nella medesima occasione, altri teologi e altri prelati che hanno fatto notare che questi cambiamenti  sono in contraddizione, non con dettagli senza importanza, ma con il significato essenziale, profondo, del messaggio trasmesso dalla Chiesa in quei documenti. 

Chi scava in profondità, con la ragione teologica, per scoprire quel messaggio nella sua essenza di verità rivelata, si rende conto che una proposta che risulti in netta contraddizione con esso non è che la sua negazione. Insomma, una rivoluzione, una rottura, non certamente uno dei tanti modi con cui può avvenire ed avviene di fatto che la Chiesa progredisca nella comprensione della verità rivelata, secondo la formula, teologicamente perfetta, di una «evoluzione omogenea del dogma». «Omogenea» è quell’evoluzione che porta a una dottrina che rientra nel medesimo “genere”, ossia non propone una dottrina di altro genere, bensì la medesima dottrina arricchita di  modifiche accidentali, con applicazioni pastorali. Insomma, una rottura non può essere chiamata «approfondimento».

Il termine «approfondimento» è usato dai “vaticanisti”, nella loro proverbiale sudditanza psicologica al linguaggio di volta in volta prevalente nella cultura di massa, perché è il termine che si usa per i commenti e i dibattiti al margine di una notizia. Se i fatti sono separati dalle opinioni, le opinioni sono l’«approfondimento». Che così si chiama perché si ripromette di approfondire il significato di una situazione di attualità o di un fatto di cronaca, senza però l’intenzione di annullarlo. Nessun approfondimento riguardo alla “mafia capitale” finisce col negare che ci sia stata un’inchiesta della magistratura  e di conseguenza uno scandalo e delle gravi ripercussioni politiche. Approfondire vuol dire andare in profondità, e andando in profondità si trova  il “nucleo aletico” di un evento o di una teoria, che è ciò che nel corso dell’analisi resta tale e quale. 

Se invece cambia, non si può più parlare di «approfondimento»: si deve parlare di “rivoluzione scientifica” (Thomas Kuhn). Applicando questo criterio epistemico alle discussioni in atto in ambito ecclesiale, non si può etichettare come «approfondimento» la proposta di una riforma sostanziale, che piace a chi patrocina l’avvento della nuova “Chiesa universale” di stampo “ecumenico” e “umanistico” dove siano recepite le istanze dello scisma di Oriente e della riforma luterana.

Queste mie distinzioni possono sembrare cavilli o bizantinismi astratti di fronte a questioni così vitali e coinvolgenti come l’accesso dei cattolici divorziati alla Comunione o l’uso dei contraccettivi nel matrimonio tra fedeli. Ma – dico io –  se un giornalista o un lettore di giornali non ama addentrarsi in questa problematica teologica, si occupi di altro: nessuno gli chiede di avere un  parere personale in merito alle polemiche di scuola tra teologi o in merito alle nomine e alle destituzioni di alti ecclesiastici. Se si tratta di un non credente, si disinteressi di questi problemi interni della Chiesa. Se invece è credente, si interessi solo di quello che la Chiesa insegna in queste e nelle altre materie, senza preoccuparsi di interpretare le intenzioni segrete del Papa o di giudicare se al Sinodo dei vescovi abbiano ragione i conservatori o i progressisti. 

Nessuno vorrà seguire il mio consiglio; ma allora, se uno intende entrare nel merito di questi problemi, l’unico criterio serio di valutazione è quello teologico, non certamente quello socio-politico, che va bene solo per la cronaca di altro genere: finanziaria, parlamentare, giudiziaria. E il criterio di valutazione deve esser fornito da persone competenti, le cui considerazioni vanno analizzate con pazienza e con l’intenzione di capire nozioni complesse, legate a premesse teoriche non immediatamente intuibili e a una massa enorme di dati storici. Se si farà questo sforzo, la prima cosa che si comprenderà è che ogni vero approfondimento della dottrina rivelata è una migliore comprensione della sua trascendenza rispetto alle vicissitudini storico-culturali.     

Detto questo, aggiungo che l’intenzione implicita di chi parla di “approfondimenti” è di far giungere all’opinione pubblica cattolica il messaggio di una nuova pastorale che dovrebbe prescindere dal dogma: non solo ignorando nei fatti ma anche proclamandone indirettamente l’inutilità o peggio ancora la funzione negativa, di “freno” alle novità che sarebbero suggerite dallo Spirito Santo. 

E qui colgo l’occasione per ripetere ancora una volta che questo anti-dogmatismo non è, alla fonte, soltanto un atteggiamento irrazionale, superficiale e incoerente: è molto peggio, è qualcosa di estremamente  pernicioso per la vita di fede della comunità cristiana, perché nasce da un progetto teoricamente ben strutturato che mira decisamente ad attuare nella Chiesa quelle riforme che da anni Hans Küng e i suoi discepoli (Enzo Bianchi) hanno teorizzato come necessarie al “cammino” della Chiesa nella storia e hanno profetizzato come di imminente realizzazione. 

Queste riforme, che sono ben altro che un mero “approfondimento”, snaturerebbero la Chiesa di Cristo, facendole rinnegare quella coscienza di sé come «sacramento universale di salvezza», non tanto per gli adattamenti della sua azione pastorale alle necessità contingenti (adattamenti che peraltro sono necessari, tant’è che ci sono sempre stati) quanto per il carisma dell’infallibilità (che le consente di custodire e interpretare secondo la “mente di Cristo stesso” la verità rivelata) e per la promessa dell’indefettibilità (grazie alla quale essa è sempre stata e sarà sempre santa, cattolica e apostolica, capace di amministrare il sacramenti della grazia).

In conclusione, io trovo alquanto ipocrita l’uso dell’etichetta dell’approfondimento per propagandare  una riforma della Chiesa che finisca per  abolire i fondamenti dogmatici della sua fede e della sua disciplina. Perché – come ho spiegato a più riprese – non esiste una prassi che non si richiami, almeno implicitamente, a una teoria, ossia a dei principi regolatori dell’azione, a delle mete da raggiungere in quanto considerate in sé positive, apportatrici di progresso e di felicità. 

L’antidogmatismo non è altro che la retorica ipocrita di chi, mentre nega al dogma la sua funzione di orientamento della coscienza religiosa, opera in vista di determinati mutamenti della Chiesa che ritiene necessari per la realizzazione della sua utopia politico-religiosa. Il dogma cattolico, che è la verità rivelata da Dio in Cristo, viene messo da parte non perché lo si considera una teoria astratta dalla quale non possa derivare una prassi “aggiornata” ma perché si è scelta una teoria diversa, anzi opposta, in base alla quale si vuole favorire una prassi riformatrice o rivoluzionaria. Insomma, ci si dichiara nemici del dogma come tale, ma in realtà si è sostenitori fanatici di un diverso dogma. 

Se  uno ascolta tante voci di segno progressista e riformatore, noterà che alcuni, i teologi più ascoltati, hanno il coraggio di parlare chiaramente di questi principi dogmatici, riconducibili allo storicismo, declinato in chiave dialettica secondo lo schema hegeliano del «superamento mediante la negazione» (Aufhebung) del quale ho già parlato in varie occasione (vedi quello che ho scritto su Hans Kung e la sua ecclesiologia). Ma tanti mediocri discepoli e timidi accoliti di questi opinion makers ecclesiali non hanno il coraggio e la capacità intellettuale di dichiarare a quale sistema ideologico e a quali principi dogmatici si ispirano nel proporre certe mutazioni della prassi pastorale come necessarie al progresso della Chiesa nel tempo che sitiamo vivendo. Ecco che allora viene fuori l’insulso discorso della pastorale che, pur rispettando a parole la dottrina, la contraddice nei fatti. E questa contraddizione la presenta ipocritamente come «approfondimento». 






Caterina63
00venerdì 10 aprile 2015 20:32

La Francia dei politici ideologizzati, contro la Chiesa

IL CASO
 

Lungo silenzio della Santa Sede dopo che il governo francese ha proposto come proprio ambasciatore in Vaticano un gay dichiarato. La stampa francese parla di rifiuto da parte del Papa, con relative polemiche. Ma questo sarebbe in accordo con il Catechismo della Chiesa e con la necessità di non avallare le rivendicazioni della lobby gay.

di Lorenzo Bertocchi e Tommaso Scandroglio

Laurent Stefanini

Il 5 gennaio scorso il Consiglio dei Ministri lo aveva nominato per divenire Ambasciatore di Francia presso la Santa Sede, ma su quel nome il Vaticano ha risposto con un grande silenzio. Anzi, ad ascoltare i rumors che arrivano dalla stampa d'oltralpe sembra che ci sia stato un vero e proprio rifiuto. Fatto sta che il suo predecessore, Bruno Jouvert, ha fatto bagagli e burattini il primo marzo, ma dopo più di un mese i sacri palazzi non hanno ancora fatto sapere se accetteranno o meno la nomina.

Il diplomatico scelto dal governo Hollande è Laurent Stefanini, 55 anni, già conosciuto all'interno dei sacri palazzi: dal 2001 al 2005, infatti, è stato primo consigliere dell’Ambasciata presso la Santa Sede. Un curriculum di tutto rispetto, a cui va aggiunto che Stefanini è apertamente gay. Per questo la sua candidatura, proposta dal laicissimo governo Hollande, è stata definita “provocatoria”. Mentre vari siti e associazioni del mondo LGBT hanno già fatto partire la litania sull'omofobia della Santa Sede.

Eppure il cardinale di Parigi, André Vingt-Trois, nel Concistoro di febbraio avrebbe consegnato una lettera al Papa per sostenere la candidatura Stefanini, e lo stesso avrebbe fatto il cardinale camerlengo Jean-Louis Tauran. Insomma una cordata pro-Stefanini esiste anche in seno alla Chiesa, però non sembra aver ottenuto nulla. Secondo alcuni sarebbe proprio il Papa ad aver preso la ferma decisione di non accettare la proposta francese.

Già in un’altra occasione il Vaticano aveva rifiutato la candidatura di ambasciatore proposta dal governo francese: eravamo tra il 2007 e il 2008 all'epoca del governo Sarkozy e con papa Benedetto XVI. In quel caso il candidato era Kuhn-Delforge, un gay convivente in una unione registrata secondo i PACS previsti dalla normativa francese. Il quotidiano francese le JDD sottolinea che per uscire dall'impasse della candidatura Stefanini sarebbe già in circolazione una terna di nuovi nomi da sottoporre al Vaticano.

Contro questa candidatura si era mosso anche Ludovine de la Rochere, presidente della Manif pour Tous, che ai primi di febbraio era intervenuto direttamente con il Nunzio Apostolico per fargli sapere della contrarietà del suo movimento rispetto a questa proposta del governo francese.

Questa la cronaca. Intanto si sprecano i commenti su questo presunto rifiuto che verrebbe direttamente da parte del Papa del “chi sono io per giudicare” i gay. «Se una persona è gay – disse Francesco sull'aereo di ritorno da Rio - e cerca il Signore e ha buona volontà, ma chi sono io per giudicarla? Il Catechismo della Chiesa Cattolica spiega in modo tanto bello questo...». Il primo punto da sottolineare è il richiamo al Catechismo: infatti basta leggerlo per capire cosa pensa la Chiesa sul tema, e Francesco ha sempre detto di essere in tutto «un figlio della Chiesa». 

Ma, forse, una chiave di lettura per comprendere la questione dell'ambasciatore francese, può venire dalla frase successiva di quella risposta del Papa. Anzi, è bene ricordare anche la domanda che fece la giornalista Ilza Scamparini: «Come Sua Santità intende affrontare tutta la questione della lobby gay?», chiese con un certo ardire. «Il problema - rispose il Papa - non è avere questa tendenza, no, dobbiamo essere fratelli (...) Il problema è fare lobby di questa tendenza: lobby di avari, lobby di politici, lobby dei massoni, tante lobby. Questo è il problema più grave per me».

Il silenzio di Francesco dunque pare indicare il timore in Vaticano che un ambasciatore omosessuale non porti solo le ambasciate del proprio governo ma anche quelle del mondo gay. Da una parte c’è sicuramente l’esigenza che il ruolo di ambasciatore sia ricoperto da una persona di specchiata virtù e dirittura morale. E su questo il Catechismo della Chiesa Cattolica, che vale ben di più di tutti i trattati internazionali messi insieme, parla chiaro in merito a chi asseconda le proprie pulsioni omosessuali. Su altro versante – ed è il versante più importante – accettare come ambasciatore un funzionario che approva la propria condizione omosessuale significherebbe per la Santa Sede avallare indirettamente l’omosessualità e le rivendicazioni delle lobby gay. 

Gli affari privati di Stefanini giustamente acquisterebbero una dimensione pubblica. In questo caso l’ambasciator eccome se porterebbe pena. Mutatis mutandis proviamo a pensare ad un ambasciatore che avesse espresso opinioni velatamente xenofobe. Non solo il giorno dopo il suo governo gli avrebbe dato un calcio nelle terga, ma di certo anche il paese ospitante lo avrebbe imbarcato sul primo volo di linea in classe economica. Ma in questo caso, all’opposto, sarebbe la Santa Sede ad essere “razzista” nei confronti di Stefanini se non accettasse la sua nomina.

Questa vicenda diplomatica è buon microscopio per capire quali sono le cose importanti di cui dovrebbe essere fatta la politica, anche quella sovranazionale. L’omosessualità, come l’educazione, la tutela della vita, la famiglia, la libertà di espressione e religiosa, sono le questioni cruciali del vivere insieme. Non far entrare in Vaticano Laurent Stefanini significa non solo ribadire a livello internazionale un “No” deciso all’omosessualità, alla teoria del gender, ai “matrimoni” gay, ma anche e soprattutto un “Sì” alla famiglia, ai ruoli maschili e femminili e alla tutela dei bambini. Questo è il linguaggio diplomatico che il battezzato – cittadino della Chiesa cattolica – si aspetta che venga usato da chi sta ai piani alti in Vaticano.





AGGIORNAMENTO: Le Figarò - vedi qui - ha pubblicato un chiaro e presunto - al momento - NO del Papa alla scelta dell'ambasciatore....

"Ambasciatore Gay scelto dalla Francia per rappresentare il Vaticano è stato ricevuto Sabato dal Papa stesso, che ha confermato il suo rifiuto di approvare la sua candidatura, assicura l'imminente domani settimanale satirico Le Canard Enchaîné.
Una fonte vicina alla situazione ha confermato l'incontro tra il Papa e il diplomatico Laurent Stefanini, senza specificarne il contenuto.
Secondo il settimanale satirico francese, che ha rivelato l'opposizione della Santa Sede per la nomina di Laurent Stefanini come Ambasciatore di Francia in Vaticano, Papa Francesco ricevette "molto tranquillamente" Sabato diplomatico assunto gay cattolico convinto.
Il papa ha detto che "non hanno nulla contro di lui, ma al contrario aveva goduto né il matrimonio né per tutti i metodi di all'Eliseo che hanno tentato di forzare la mano", scrive Le Canard.
Il 15 aprile, il portavoce del governo francese Stephane Le Foll aveva indicato che la scelta di Laurent Stefanini rimasta "la proposta della Francia."
Parigi e il Vaticano sono impegnati da tre mesi in un accogliente showdown sulla scelta del nuovo Ambasciatore di Francia presso la Santa Sede. Nominato all'inizio di gennaio dal presidente François Hollande, Laurent Stefanini ha  atteso invano per la certificazione da parte della Santa Sede, un silenzio che equivale a un ripudio.
Secondo Le Canard Enchaîné, il presidente francese è ora alla ricerca di un nuovo candidato".

 
 

«Nulla di personale, ma il Papa non ha gradito né il sostegno alla legge del 2013 sulle nozze gay né il tentativo dell’Eliseo di forzargli la mano». Secondo il settimanale satirico francese Le Canard Enchainé in edicola oggi, sarebbe questo il senso della posizione espressa da papa Francesco in un incontro personale avuto sabato scorso in Vaticano con Laurent Stefanini, l’ambasciatore con tendenze omosessuali che il presidente francese Hollande aveva designato già nel gennaio scorso per occupare la sede diplomatica francese presso la Santa Sede.

Secondo le anticipazioni fornite dall’agenzia France Press, l’incontro sarebbe avvenuto «in modo molto discreto». E si può comprendere il desiderio di papa Francesco di spiegare la posizione negativa assunta riguardo alla sua nomina in Vaticano, che – come La Nuova BQ ha scritto nei giorni scorsi (vedi link in fondo all'articolo) – non è una mancanza di rispetto della persona ma una reazione alla chiara provocazione lanciata dal presidente francese.

L’incontro in Vaticano, secondo la France Presse, è stato anche confermato da una fonte vicina al dossier, ma senza rivelarne i contenuti. Ieri sera, comunque, un portavoce dell’Eliseo ha mantenuto ferma la posizione del presidente, affermando che Parigi «si aspetta una risposta positiva e rapida». Le Canard Enchainé - settimanale che per primo aveva fatto uscire nei giorni scorsi la storia del rifiuto della Santa Sede per Stefanini – afferma invece che l’Eliseo sta già cercando un nuovo nome da proporre.

Come aveva scritto nei giorni scorsi La Nuova BQ l’aver lasciato trapelare alla stampa la situazione di stallo tra Parigi e Vaticano sul nome di Stefanini, aveva posto la Santa Sede in ulteriore imbarazzo; un suo cedimento avrebbe avuto conseguenze gravi non solo per il prestigio diplomatico della Santa Sede, ma soprattutto per il Magistero della Chiesa, dato che il gesto sarebbe stato interpretato come uno sdoganamento dell’omosessualità come dato naturale. Da parte dell’Eliseo si è trattato di quel «metodo per tentare di forzare la mano», cosa che papa Francesco proprio non deve aver gradito. 

Ora, se tutto verrà confermato, ci si può aspettare dure reazioni da parte delle associazioni LGBT e dai settori più laicisti dell’Europarlamento, che già nei giorni scorsi avevano fatto sentire la loro voce. Ma ora è più che mai fondamentale che la Santa Sede non ceda a ricatti.

- AMBASCIATORE GAY IN VATICANO? NON SI PUO',
  di Lorenzo Bertocchi e Tommaso Scandroglio

AMBASCIATORE GAY, LA SANTA SEDE NON PUO' CEDERE,
di Riccardo Cascioli

- SE BRUXELLES FA PRESSIONI PER L'AMBASCIATORE GAY
di Riccardo Cascioli

 
 
 
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IL CASO
Francia e i cristiani di Oriente
 

Polemiche per l'azienda di trasporto parigina che aveva rifiutato l'affissione di manifesti in favore dei cristiani perseguitati. E anche l'Osservatore Romano scende in campo pubblicando la traduzione di un duro articolo di un intellettuale francese che non risparmia neanche l'arcivescovo di Parigi.

di Matteo Matzuzzi

Il manifesto censurato dalla Ratp

Il giorno dopo la decisione della Ratp, l’azienda di trasporto pubblico parigina che aveva in un primo momento deciso di vietare l’affissione di duecentocinquanta manifesti in favore dei cristiani perseguitati (la parola “cristiano” violava, a loro dire, il principio di neutralità) sui muri del metrò della Ville Lumiere, salvo poi far marcia indietro tra imbarazzi e polemiche, anche l’Osservatore Romano prende posizione. Non direttamente, ma attraverso la pubblicazione “quasi per intero” di un articolo apparso sull’edizione francese del magazineSlate a firma di Henri Tincq. 

L’autore è scrittore e collaboratore in questioni religiose dei quotidiani Croix e Monde. La Francia, scrive Tincq, «è malata della sua laicità. L’altro giorno è stato un consigliere socialista a staccare un crocifisso al Consiglio generale dell’Alto Reno. Poco dopo, in un seggio elettorale di Tolosa, a un rabbino è stato ingiunto di togliersi la kippah mentre si accingeva a compiere il suo dovere elettorale. Oggi sono alcuni oscuri censori della Ratp a decidere, di loro iniziativa, di cancellare la scritta 'a favore dei cristiani d’oriente’ sui manifesti della metropolitana che annunciano un concerto del gruppo Les Pretres, voluto da monsignor Jean-Michel di Falco Léandri». 

Pare infatti che solo la minaccia di un’azione giudiziaria d’urgenza promossa dal Coordinamento dei cristiani d’oriente in pericolo abbia fatto recedere dalla decisione – in un primo momento perentoria – dell’azienda di trasporti di non permettere l’affissione di quei cartelli. Dopo l’intervento via Twitter del premier socialista Manuel Valls alla vigilia di Pasqua, che garantiva sostegno senza se e senza ma a quei cristiani esiliati, uccisi e decapitati di cui avrebbe parlato il Papa all’Urbi et Orbi e successivamente al Regina Coeli di lunedì, era stata trovata una mediazione dai contorni ridicoli: ferma restando la rimozione di ogni accenno ai cristiani, sui manifesti sarebbe comparso il nome de L’Oeuvre d’Orient, che del concerto di beneficenza è l’ente organizzatore.
«Così i cristiani d’Oriente, da mesi oggetto di un movimento di empatia a livello mondiale, sono censurati in Francia. Una popolazione che è costretta all’esodo da decenni, in Libano, in Palestina, in Siria, ridotta a trecentomila persone dopo le due guerre in Iraq e che, ancora oggi, viene umiliata, maltrattata, discriminata, ridotta in schiavitù, cacciata dai suoi villaggi, dalle sue terre ancestrali, dalle sue case dalle milizie jihadiste dell’Is», osserva Slate.fr. 

È solo l’ultimo episodio del trionfo del culto della sacra laicità nella Francia un tempo cattolicissima e oggi in prima fila nella campagna per debellare ogni segno visibile e tangibile che alle radici cristiane possa in qualche modo rimandare. Eliminazione dei presepi dai luoghi pubblici, proposte per zittire le campane delle chiese e per rimuovere dal gonfalone della bandiera della città di Tolosa la croce occitana, ordinanze per togliere dai parchi pubblici le statue della Vergine Maria.
Nei giorni scorsi, poi, è stato presentato il progetto per cambiare nome a tutti i comuni, villaggi e cittadine che siano dedicati a un Santo cattolico.
Adesso si assiste a un salto ulteriore, visto che si invoca la neutralità quando sgherri fondamentalisti al soldo del cosiddetto califfo cacciano di casa coloro che sono da loro considerati eretici (cristiani, musulmani non in linea con il verbo di al Baghdadi, yazidi e altre minoranze locali), li ammazzano, li crocifiggono e magari danno loro fuoco. 

«In questi tempi, a nome di una cosiddetta ‘neutralità’ e del principio laico di separazione tra religione e servizio pubblico, la Ratp decide di censurare una semplice scritta ‘cristiani d’Oriente’ apposta sul manifesto. Come se la parola ‘cristiani’ bruciasse ancora le labbra di alcuni. Come se i cristiani d’oriente fossero gli ‘attori’ di un conflitto armato in Medio oriente, mentre ne sono le vittime», scrive Tincq, che aggiunge: «In nessun altro Paese vicino ci si tappa il naso in Francia come quando si menzione una confessione religiosa. La storia della Francia è attraversata da odi triti e ritriti tra clericali e liberi pensatori, da fiumi di letteratura e da lotte religiose il cui vigore polemico a volte riemerge ancora oggi». 

Infine – e l’Osservatore Romano lascia la frase scritta dall’autore e pubblicata su Slate – Henri Tincq muove un rilievo all’arcivescovo parigino, cardinale André Vingt-Trois, che l’anno scorso aveva sminuito la profanazione del Sacro Cuore negando che ci fosse dietro le scritte blasfeme dipinte sulla facciata della basilica qualche motivazione anti-religiosa: «Non è semplicemente ‘un errore’, quello appena commesso dalla Ratp, come ha detto con molta indulgenza l’arcivescovo di Parigi. L’episodio della scritta censurata sui manifesti è eredità di un laicismo superato, stretto, dogmatico, che riemerge grazie a una ripresa degli integralismi».




LAICITA' FORZATA
 

La laicissima Francia, quella della libertà e del Je suis Charlie,  vuole mettere mette al bando santi e beati, ameno dai paradisi della toponomastica. L’obiettivo è l'eliminazione di tutti i riferimenti alla cristianità dai Comuni francesi, sono quasi 5000, che nel loro nome hanno il termine “saint”, santo, o “sainte”.

di Luigi Santambrogio


La laicissima Francia, quella del Je suis Charlie, della tolleranza e del “vivre ensemble” multiculturale, vuole mettere mette al bando santi e beati, ameno dai paradisi della toponomastica. L’obiettivo è l'eliminazione di tutti i riferimenti alla cristianità dai Comuni francesi, sono quasi 5000, che nel loro nome hanno il termine “saint”, santo, o “sainte”. Dovranno essere sbattezzati perché con il loro toponimo insultano «tutta una categoria di popolazione». Non è chiaro se la ghigliottina della censura anticristiana si estenderà anche ai nomi della vie cittadine, dei quartieri, dei ponti, degli aeroporti e delle stazioni ferroviarie. A chiedere lo “sbattezzo” è il gruppo di riflessione “Laïcité et République moderne” e curato dal deputato socialista Yann Galut, leader del collettivo “La Gauche forte”, e dalla senatrice ecologista Esther Benbassa, alla guida del microscopico ma influente partito “Pari(s) du Vivre-Ensemble”. Insieme hanno firmato un rapporto e lo hanno inviato al premier socialista Valls. 

A dare l’incredibile notizia è il settimanale Minute (www.minute-hebdo.fr/) giornale di riferimento della destra religiosa, diretto per anni da Patrick Buisson, il consigliere ombra di Sarkozy nel 2012. Il rapporto si intitola in maniera deliberatamente ambigua «Rivedere la toponimia della Francia alla luce del vivre-ensemble», e nelle intenzioni dei curatori dovrebbe rappresentare il primo atto della «lotta contro l’apartheid territoriale, sociale, etnico», evocata dallo stesso Valls nel gennaio scorso. I curatori parlano inizialmente di una non precisata “categoria di popolazione” che potrebbe sentirsi a disagio e svillaneggiata dalla cristianità dei nomi di alcuni Comuni.
Quale?
L’enigma viene svelato poco più avanti: «Una frazione crescente della popolazione di origine musulmana è scossa dalle appellazioni toponimiche che rappresentano un'epoca arcaica dove l'identità della Francia, tutt'altro che plurale, si definiva esclusivamente sotto il segno di una cristianità trionfante e totalitaria». Da qui l’imperativo politico e civile: «rilaicizzare profondamente la République», tramite la soppressione di questi «appellativi discriminanti». Una fraseologia, commenta ironico il settimanale, che lascia pensare che i redattori del rapporto «abbiano studiato dagli anticlericali più che dai curati». 

Tutto chiaro, no? Per non urtare la comunità musulmana francese e in nome del sacro “vivre-ensemble”, i neogiacobini del governo mirano insomma a curare i paeselli della Francia profonda da quella che a quanto pare considerano come una malattia mortale: la cristianità e la sua cultura millenaria. “Rilaicizzare” fa rima con rieducare: le menti e le coscienze certo, ma anche i ricordi e i segni materiali di una storia millenaria, cambiando nomi alle città e ai luoghi, come fecero con Leningrado, Stalingrado, Hô-Chi-Minh-Ville  e altri esempi delle più feroci dittature. A quanto ammonta il costo dell’operazione “sbattezzo”?  
È sempre il settimanale Minute a svelarlo: 3,4 miliardi di euro, tra spese dirette e indirette. La riforma è presentata come “audace” all’interno del rapporto, e come riporta Minute rinvia apertamente all’epoca della Rivoluzione francese, quando la Convenzione condusse una vera e propria caccia alle denominazioni che non erano considerate “rivoluzionariamente corrette”.
Tremila comuni furono allora rinominati, detersi dal loro germe cristiano: Saint-Quentin divenne Egalité-sur-Somme, Saint-Caprais si trasformò in Thémistocle, Saint-Michel-de-Rivière mutò in Esprit-des-Lois. E oggi sono quasi 5.000 le città che perderebbero le loro radici cristiane.  3 927 cominciano per “Saint“ (10,7 % dei comuni francesi. Il santo più diffuso è Saint-Martin (222 comuni), poi Saint-Jean (170) e Saint-Pierre (155). Altri 471 comuni hanno il termine “Saint“ all’interno del loro nome, 334 cominciano per “Sainte“ (0,9 %), e Saintes. La santa più diffusa è Sainte-Marie (40), seguita da Sainte-Colombe (27) e Sainte-Croix (25).

Quando in Vandea vennero proibiti i presepi, i cattolici si mobilitarono al grido di “Touche pas à ma crèche” (non toccatemi il presepe), adesso forse lo faranno con un non meno nobile: “Giù le mani dai santissimi”.
E non solo da quelli, verrebbe da aggiungere. Infatti, mentre i nuovi giacobini si preparano a tagliare di nuovo la testa ai santi cristiani, come ai tempi del Terrore, c’è da registrare anche il Rapporto 2014 dell'Observatoire de la cristianophobie, struttura che recensisce ogni anno attacchi  cristianofobi: atti di vandalismo contro i luoghi di culto cristiani, delle profanazioni, degli incendi e degli attacchi informatici. Testimonianze dirette ed episodi raccontati dalla stampa dicono che sull'intero territorio nazionale ne sono stati registrati 186 atti, numero che fa dei cristiani la comunità più perseguitata di Francia. Ma di questo, la laicissima République non si cura, tanto questi cristiani mica andranno per ritorsione ad assaltare moschee o giornali satirici. La ghigliottina cade sempre sulle solite teste.
 




Caterina63
00giovedì 7 maggio 2015 15:26

  Diario Vaticano / Il passo doppio del papa argentino


Perfettamente aderente alla tradizione quando parla di aborto, divorzio, omosessualità. Ma anche aperto a cambiamenti nella dottrina e nella prassi. Un'antologia che accresce il mistero 

di Sandro Magister




CITTÀ DEL VATICANO, 17 marzo 2015 – Tra le molte cose che papa Francesco dice ve ne sono alcune che non guadagnano quasi mai le prime pagine dei giornali. E se talvolta ci riescono vengono subito spazzate via da altri titoli di segno opposto e vincente.

È ciò che accade ogni volta in cui egli parla da "figlio della Chiesa" – come ama definirsi – e da fedele testimone della tradizione su questioni tipo la contraccezione, l'aborto, il divorzio, il matrimonio omosessuale, l'ideologia del "gender", l'eutanasia.

Su tali questioni papa Francesco non tace affatto. E quando ne parla, molto più spesso di quanto si creda, non si distacca di un millimetro da quanto dissero prima di lui Paolo VI, Giovanni Paolo II o Benedetto XVI.

Eppure, nell'opinione dominante, sia laica che cattolica, questo papa passa per colui che innova, che cambia i paradigmi, che rompe con i dogmi del passato, anche e soprattutto sulle questioni di vita e di morte che furono la croce dei suoi predecessori.

Più sotto è riportata in ordine cronologico un'antologia degli interventi di papa Jorge Mario Bergoglio sulle questioni sopra indicate, dalla fine del sinodo dello scorso ottobre a oggi.

Sono ventuno interventi in meno di cinque mesi. Alcuni molto polemici con lo "spirito del tempo". Tutti perfettamente in linea con la dottrina tradizionale della Chiesa. L'ultimo getta molta acqua sul fuoco anche riguardo alle aspettative di cambiamento in campo matrimoniale, aspettative definite da papa Francesco "desmesuradas", smisurate.

La novità di questo pontificato è che accanto a queste riaffermazioni della dottrina di sempre esso dà libero corso a dottrine e pratiche pastorali di segno diverso e talora opposto.

Un'altra novità non meno importante è che questa discordia di voci è prodotta dall'interno stesso della gerarchia cattolica e persino da altre parole dello stesso papa assunte ad emblema del cambiamento, a partire da quel "Chi sono io per giudicare?" che è ormai diventato universalmente il marchio identificativo di questo pontificato.

Avviene così che un cardinale del peso di Reinhard Marx dica tranquillamente in una recente conferenza stampa, a nome della Chiesa tedesca e a proposito della comunione ai divorziati risposati:

"Noi non siamo una filiale di Roma. Ogni conferenza episcopale è responsabile per la pastorale all'interno della propria sfera. Non possiamo aspettare fino a quando un sinodo ci dirà come dobbiamo comportarci qui sul matrimonio e la pastorale familiare".

Avviene che un arcivescovo come l'italiano Giuseppe Casale arrivi ad ammettere l'aborto, come ha fatto in un'intervista a "Il Regno" sulla riforma della Chiesa "nella linea di papa Francesco":

"Per l'inizio della vita dobbiamo approfondire quando c'è vita umana, la persona, senza attestarci su posizioni preconcette, perché la scienza potrebbe aprirci prospettive nuove".

Avviene che il mutamento di paradigma nel giudizio della Chiesa sull'omosessualità sia già di fatto largamente acquisito e volto in positivo, visto il numero senza precedenti di ecclesiastici omosessuali che occupano in curia posti di rilievo e a contatto ravvicinato col papa.

Anche per questo fanno tanta impressione gli interventi di Francesco riprodotti qui di seguito, tutti così "tradizionali".

È qui l'enigma di questo pontificato. Descritto così da padre Federico Lombardi sulla rivista dei gesuiti "Popoli":

"Quello di Francesco non è un disegno organico alternativo, è piuttosto un mettere in moto una realtà complessa come la Chiesa. È una Chiesa in cammino. Lui non impone la sua visione e il suo modo di agire. Chiede e ascolta i diversi pareri. Non sa dove si andrà: si affida allo Spirito Santo".

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PAPA FRANCESCO SU ABORTO, DIVORZIO, CONTRACCEZIONE, EUTANASIA, OMOSESSUALITÀ

Tutti i suoi interventi dopo il sinodo dello scorso ottobre



1. Dalla risposta a una domanda durante l'incontro con il movimento apostolico Schoenstatt, 25 ottobre 2014:

Penso che la famiglia cristiana, la famiglia, il matrimonio, non siano mai stati tanto attaccati come in questo momento. Attaccati direttamente o attaccati di fatto. Può essere che mi sbagli, gli studiosi della Chiesa ce lo potranno dire. Ma che la famiglia sia colpita, e che la famiglia venga imbastardita… Si può chiamare famiglia tutto? No. Quante famiglie sono ferite, quanti matrimoni rotti, quanto relativismo nella concezione del sacramento del matrimonio! In questo momento, da un punto di vista sociologico e dal punto di vista dei valori umani, come del sacramento cattolico, del sacramento cristiano, c’è una crisi della famiglia, crisi perché la bastonano da tutte le parti e la lasciano molto ferita!

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2. Dal discorso all’associazione dei medici cattolici Italiani, 15 novembre 2014:

Il pensiero dominante propone a volte una "falsa compassione": quella che ritiene sia un aiuto alla donna favorire l’aborto, un atto di dignità procurare l’eutanasia, una conquista scientifica "produrre" un figlio considerato come un diritto invece di accoglierlo come dono; o usare vite umane come cavie di laboratorio per salvarne presumibilmente altre. […] La fedeltà al Vangelo della vita e al rispetto di essa come dono di Dio, a volte richiede scelte coraggiose e controcorrente che, in particolari circostanze, possono giungere all’obiezione di coscienza. E a tante conseguenze sociali che tale fedeltà comporta. Noi stiamo vivendo un tempo di sperimentazioni con la vita, ma uno sperimentare male. Fare figli invece di accoglierli come dono. Giocare con la vita.

Siate attenti, perché questo è un peccato contro il Creatore: contro Dio Creatore, che ha creato le cose così. Tante volte nella mia vita di sacerdote ho sentito obiezioni. "Ma, dimmi, perché la Chiesa si oppone all’aborto? È un problema religioso?" – "No, no, non è un problema religioso". – "È un problema filosofico?" – "No, non è un problema filosofico. È un problema scientifico, perché lì c’è una vita umana e non è lecito fare fuori una vita umana per risolvere un problema". – "Ma no, il pensiero moderno…" – "Ma senti, nel pensiero antico e nel pensiero moderno, la parola uccidere significa lo stesso!".

Lo stesso vale per l’eutanasia. Tutti sappiamo che con tanti anziani, in questa cultura dello scarto, si fa questa eutanasia nascosta. Ma, anche c’è l’altra. E questo è dire a Dio: "No, la fine della vita la faccio io, come io voglio". Peccato contro Dio Creatore. Pensate bene a questo.

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3. Dal discorso al colloquio internazionale sulla complementarietà tra uomo e donna promosso dalla congregazione per la dottrina della fede, 17 novembre 2014:

Occorre insistere sui pilastri fondamentali che reggono una nazione: i suoi beni immateriali. La famiglia rimane al fondamento della convivenza e la garanzia contro lo sfaldamento sociale. I bambini hanno il diritto di crescere in una famiglia, con un papà e una mamma, capaci di creare un ambiente idoneo al loro sviluppo e alla loro maturazione affettiva. Per questa ragione, nell’esortazione apostolica "Evangelii gaudium", ho posto l’accento sul contributo "indispensabile" del matrimonio alla società, contributo che "supera il livello dell’emotività e delle necessità contingenti della coppia". […]

In questi giorni, mentre rifletterete sulla complementarietà tra uomo e donna, vi esorto a dare risalto a un’altra verità riguardante il matrimonio: che cioè l’impegno definitivo nei confronti della solidarietà, della fedeltà e dell’amore fecondo risponde ai desideri più profondi del cuore umano. Pensiamo soprattutto ai giovani che rappresentano il futuro: è importante che essi non si lascino coinvolgere dalla mentalità dannosa del provvisorio e siano rivoluzionari per il coraggio di cercare un amore forte e duraturo, cioè di andare controcorrente: si deve fare questo.

Su questo vorrei dire una cosa: non dobbiamo cadere nella trappola di essere qualificati con concetti ideologici. La famiglia è un fatto antropologico, e conseguentemente un fatto sociale, di cultura, ecc. Noi non possiamo qualificarla con concetti di natura ideologica, che hanno forza soltanto in un momento della storia, e poi decadono. Non si può parlare oggi di famiglia conservatrice o famiglia progressista: la famiglia è famiglia! Non lasciatevi qualificare da questo o da altri concetti di natura ideologica. La famiglia ha una forza in sé.

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4. Dal discorso al parlamento europeo di Strasburgo, 25 novembre 2014:

Da più parti si ricava un’impressione generale di stanchezza e di invecchiamento, di un’Europa nonna e non più fertile e vivace. […] Si constata con rammarico un prevalere delle questioni tecniche ed economiche al centro del dibattito politico, a scapito di un autentico orientamento antropologico. L’essere umano rischia di essere ridotto a semplice ingranaggio di un meccanismo che lo tratta alla stregua di un bene di consumo da utilizzare, così che – lo notiamo purtroppo spesso – quando la vita non è funzionale a tale meccanismo viene scartata senza troppe remore, come nel caso dei malati, dei malati terminali, degli anziani abbandonati e senza cura, o dei bambini uccisi prima di nascere.

È il grande equivoco che avviene quando prevale l’assolutizzazione della tecnica, che finisce per realizzare una confusione fra fini e mezzi. Risultato inevitabile della cultura dello scarto e del consumismo esasperato. Al contrario, affermare la dignità della persona significa riconoscere la preziosità della vita umana, che ci è donata gratuitamente e non può perciò essere oggetto di scambio o di smercio.

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5. Dal messaggio ai partecipanti al Festival della famiglia di Riva del Garda, 5 dicembre 2014:

Il preoccupante andamento demografico richiede, da parte di tutti i soggetti interessati, una straordinaria e coraggiosa strategia in favore delle famiglie. Da qui può iniziare anche un rilancio economico per il Paese.

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6. Dal messaggio "urbi et orbi" nella solennità del Natale, 25 dicembre 2014:

Il mio pensiero va a tutti i bambini oggi uccisi e maltrattati, sia a quelli che lo sono prima di vedere la luce, privati dell’amore generoso dei loro genitori e seppelliti nell’egoismo di una cultura che non ama la vita; sia a quei bambini sfollati a motivo delle guerre e delle persecuzioni, abusati e sfruttati sotto i nostri occhi e il nostro silenzio complice; e ai bambini massacrati sotto i bombardamenti, anche là dove il figlio di Dio è nato. Ancora oggi il loro silenzio impotente grida sotto la spada di tanti Erode. Sopra il loro sangue campeggia oggi l’ombra degli attuali Erode. Davvero tante lacrime ci sono in questo Natale insieme alle lacrime di Gesù Bambino!

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7. Dal discorso all'associazione italiana delle famiglie numerose, 28 dicembre 2014:

Cari genitori, vi sono grato per l’esempio di amore alla vita, che voi custodite dal concepimento alla fine naturale, pur con tutte le difficoltà e i pesi della vita, e che purtroppo le pubbliche istituzioni non sempre vi aiutano a portare. Giustamente voi ricordate che la costituzione Italiana, all’articolo 31, chiede un particolare riguardo per le famiglie numerose; ma questo non trova adeguato riscontro nei fatti. Resta nelle parole. Auspico quindi, anche pensando alla bassa natalità che da tempo si registra in Italia, una maggiore attenzione della politica e degli amministratori pubblici, ad ogni livello, al fine di dare il sostegno previsto a queste famiglie. Ogni famiglia è cellula della società, ma la famiglia numerosa è una cellula più ricca, più vitale, e lo Stato ha tutto l’interesse a investire su di essa!

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8. Dal messaggio per la XXIII giornata mondiale del malato, reso pubblico il 30 dicembre 2014:

Chiediamo con viva fede allo Spirito Santo che ci doni la grazia di comprendere il valore dell’accompagnamento, tante volte silenzioso, che ci porta a dedicare tempo a queste sorelle e a questi fratelli, i quali, grazie alla nostra vicinanza e al nostro affetto, si sentono più amati e confortati. Quale grande menzogna invece si nasconde dietro certe espressioni che insistono tanto sulla "qualità della vita", per indurre a credere che le vite gravemente affette da malattia non sarebbero degne di essere vissute!

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9. Dal discorso ai membri del corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, 12 gennaio 2015:

La famiglia stessa è non di rado fatta oggetto di scarto, a causa di una sempre più diffusa cultura individualista ed egoista che rescinde i legami e tende a favorire il drammatico fenomeno della denatalità, nonché di legislazioni che privilegiano diverse forme di convivenza piuttosto che sostenere adeguatamente la famiglia per il bene di tutta la società.

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10. Dal discorso alle autorità e al corpo diplomatico nel palazzo presidenziale di Manila, 16 gennaio 2015:

Le famiglie hanno un’indispensabile missione nella società. È nella famiglia che i bambini vengono cresciuti nei valori sani, negli alti ideali e nella sincera attenzione agli altri. Ma come tutti i doni di Dio, la famiglia può anche essere sfigurata e distrutta. Essa ha bisogno del nostro appoggio. Sappiamo quanto sia difficile oggi per le nostre democrazie preservare e difendere tali valori umani fondamentali, come il rispetto per l’inviolabile dignità di ogni persona umana, il rispetto dei diritti di libertà di coscienza e di religione, il rispetto per l’inalienabile diritto alla vita, a partire da quella dei bimbi non ancora nati fino quella degli anziani e dei malati. Per questa ragione, famiglie e comunità locali devono essere incoraggiate e assistite nei loro sforzi di trasmettere ai nostri giovani i valori e la visione capaci di aiutare a promuovere una cultura di onestà – tale da onorare bontà, sincerità, fedeltà e solidarietà, come solide basi e collante morale che mantenga unita la società.

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11. Dal discorso alle famiglie nel “Mall of Asia Arena” di Manila, 16 gennaio 2015:

Stiamo attenti alle nuove colonizzazioni ideologiche che cercano di distruggere la famiglia. Non nascono dal sogno, dalla preghiera, dall’incontro con Dio, dalla missione che Dio ci dà, vengono da fuori e per questo dico che sono colonizzazioni. […] Così come i nostri popoli, in un momento della loro storia, arrivarono alla maturità di dire "no" a qualsiasi colonizzazione politica, come famiglie dobbiamo essere molto molto sagaci, molto abili, molto forti, per dire "no" a qualsiasi tentativo di colonizzazione ideologica della famiglia, e chiedere a san Giuseppe, che è amico dell’Angelo, che ci mandi l’ispirazione di sapere quando possiamo dire "sì" e quando dobbiamo dire "no".

I pesi che gravano sulla vita della famiglia oggi sono molti. […] Mentre fin troppe persone vivono in estrema povertà, altri vengono catturati dal materialismo e da stili di vita che annullano la vita familiare e le più fondamentali esigenze della morale cristiana. Queste sono le colonizzazioni ideologiche. La famiglia è anche minacciata dai crescenti tentativi da parte di alcuni per ridefinire la stessa istituzione del matrimonio mediante il relativismo, la cultura dell’effimero, una mancanza di apertura alla vita.

Penso al Beato Paolo VI. In un momento in cui si poneva il problema della crescita demografica, ebbe il coraggio di difendere l’apertura alla vita nella famiglia. Lui conosceva le difficoltà che c’erano in ogni famiglia, per questo nella sua enciclica "Humanae vitae" era molto misericordioso verso i casi particolari, e chiese ai confessori che fossero molto misericordiosi e comprensivi con i casi particolari. Però lui guardò anche oltre: guardò i popoli della terra, e vide questa minaccia della distruzione della famiglia per la mancanza dei figli. Paolo VI era coraggioso, era un buon pastore e mise in guardia le sue pecore dai lupi in arrivo. Che dal cielo ci benedica. […]

Ogni minaccia alla famiglia è una minaccia alla società stessa. Il futuro dell’umanità, come ha detto spesso san Giovanni Paolo II, passa attraverso la famiglia. Dunque, custodite le vostre famiglie! Proteggete le vostre famiglie! Vedete in esse il più grande tesoro della vostra nazione e nutritele sempre con la preghiera e la grazia dei sacramenti. Le famiglie avranno sempre le loro prove, non hanno bisogno che gliene aggiungiate altre! Invece, siate esempi di amore, perdono e attenzione. Siate santuari di rispetto per la vita, proclamando la sacralità di ogni vita umana dal concepimento fino alla morte naturale. Che grande dono sarebbe per la società se ogni famiglia cristiana vivesse pienamente la sua nobile vocazione!

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12. Dall'omelia della messa nel Rizal Park di Manila, 18 gennaio 2015:

Quando il Cristo Bambino venne in questo mondo, la sua stessa vita si trovò minacciata da un re corrotto. Gesù stesso si trovò nella necessità di venire protetto. Egli ha avuto un protettore sulla terra: san Giuseppe. Ha avuto una famiglia qui sulla terra: la santa famiglia di Nazaret. In tal modo egli ci ricorda l’importanza di proteggere le nostre famiglie e quella più grande famiglia che è la Chiesa, la famiglia di Dio, e il mondo, la nostra famiglia umana. Oggi purtroppo la famiglia ha bisogno di essere protetta da attacchi insidiosi e da programmi contrari a tutto quanto noi riteniamo vero e sacro, a tutto ciò che nella nostra cultura è più nobile e bello.

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13. Dalla conferenza stampa sul volo di ritorno dalle Filippine a Roma, 19 gennaio 2015:

D. – Nell’incontro che ha avuto con le famiglie ha parlato della "colonizzazione ideologica". Ci potrebbe spiegare un po’ meglio il concetto? Poi si è riferito a papa Paolo VI, parlando dei casi particolari che sono importanti nella pastorale delle famiglie. Ci può fare alcuni esempi e magari dire anche se c’è bisogno di aprire le strade, di allargare il corridoio di questi casi particolari?

R. – La colonizzazione ideologica: dirò soltanto un esempio, che ho visto io. Vent’anni fa, nel 1995, una ministro dell’istruzione pubblica aveva chiesto un grosso prestito per la costruzione di scuole per i poveri. Le hanno dato il prestito a condizione che nelle scuole ci fosse un libro per i bambini di un certo grado di scuola. Era un libro di scuola, un libro preparato bene didatticamente, dove si insegnava la teoria del "gender". Questa donna aveva bisogno dei soldi del prestito, ma quella era la condizione. Furba, ha detto di sì e ha fatto fare anche un altro libro e li ha dati tutti e due, e così è riuscita… Questa è la colonizzazione ideologica: entrano in un popolo con un’idea che non ha niente a che fare col popolo; […] e colonizzano il popolo con un’idea che cambia o vuol cambiare una mentalità o una struttura. Durante il sinodo i vescovi africani si lamentavano di questo, che è lo stesso che per certi prestiti si impongano certe condizioni. […] Ma non è una novità questa. Lo stesso hanno fatto le dittature del secolo scorso. Sono entrate con la loro dottrina. Pensate ai Balilla, pensate alla Gioventù Hitleriana... Hanno colonizzato il popolo, volevano farlo. Ma quanta sofferenza! I popoli non devono perdere la libertà. Il popolo ha la sua cultura, la sua storia. […] Queste sono le colonizzazioni ideologiche. C’è un libro […] scritto nel 1907 a Londra. […] Si chiama "Lord of the World". L’autore è Benson, vi consiglio di leggerlo. Leggendolo capirete bene quello che voglio dire con colonizzazione ideologica. Questa è la prima domanda.

La seconda: che volevo dire di Paolo VI? È certo che l’apertura alla vita è condizione del sacramento del matrimonio. Un uomo non può dare il sacramento alla donna e la donna darlo all’uomo se non sono d’accordo su questo punto, di essere aperti alla vita. A tal punto che, se si può provare che questo o questa si è sposato con l’intenzione di non essere aperto alla vita, quel matrimonio è nullo. […] Paolo VI ha studiato questo con una commissione, come fare per aiutare tanti casi, tanti problemi, problemi importanti che fanno l’amore della famiglia. Problemi di tutti i giorni. Tanti, tanti… Ma c’era qualcosa di più. Il rifiuto di Paolo VI non era rivolto ai problemi personali, sui quali dirà poi ai confessori di essere misericordiosi e capire le situazioni e perdonare o essere misericordiosi, comprensivi. Lui guardava al neo-malthusianismo universale che era in corso. E come si riconosce questo neo-malthusianismo? È il meno dell’1 per cento di natalità in Italia, lo stesso in Spagna. Quel neo-malthusianismo che cercava un controllo dell’umanità da parte delle potenze. Questo non significa che il cristiano deve fare figli in serie. Io ho rimproverato alcuni mesi fa una donna in una parrocchia perché era incinta dell’ottavo dopo sette cesarei. "Ma lei vuole lasciare sette orfani?". Questo è tentare Dio. Si parla di paternità responsabile. Quella è la strada: la paternità responsabile. Ma quello che io volevo dire era che Paolo VI non ha avuto una visione arretrata, chiusa. No, è stato un profeta, che con questo ci ha detto: guardatevi dal neo-malthusianismo che è in arrivo. Questo volevo dire. […]

D. – La maggioranza dei filippini pensa che la crescita enorme della popolazione è una delle ragioni più importanti della povertà enorme del paese, e nella media una donna nelle filippine partorisce più di tre bambini nella sua vita, e la posizione cattolica nei riguardi della contraccezione sembra essere una delle poche questioni su cui un grande numero della gente nelle Filippine non sia d’accordo con la Chiesa. Che cosa ne pensa?

R. – Io credo che il numero di tre per famiglia, che lei menziona, secondo quello che dicono i tecnici, è importante per mantenere la popolazione. Tre per coppia. Quando si scende sotto questo livello, accade l’altro estremo, come ad esempio in Italia, dove ho sentito – non so se è vero – che nel 2024 non ci saranno i soldi per pagare i pensionati. Il calo della popolazione. Per questo la parola-chiave per rispondere è quella che usa la Chiesa sempre, anch’io: è “paternità responsabile”. Come si fa questo? Col dialogo. Ogni persona, col suo pastore, deve cercare come fare questa paternità responsabile. Quell’esempio che ho menzionato poco fa, di quella donna che aspettava l’ottavo e ne aveva sette nati col cesareo: questa è una irresponsabilità. “No, io confido in Dio”. “Ma guarda, Dio ti dà i mezzi, sii responsabile”. Alcuni credono che – scusatemi la parola – per essere buoni cattolici dobbiamo essere come conigli. No. Paternità responsabile. Questo è chiaro e per questo nella Chiesa ci sono i gruppi matrimoniali, ci sono gli esperti in questo, ci sono i pastori, e si cerca. E io conosco tante e tante soluzioni lecite che hanno aiutato per questo. Ma ha fatto bene a dirmelo. È anche curiosa un’altra cosa, che non ha niente a che vedere ma che è in relazione con questo. Per la gente più povera un figlio è un tesoro. È vero, si dev’essere anche qui prudenti. Ma per loro un figlio è un tesoro. Dio sa come aiutarli. Forse alcuni non sono prudenti in questo, è vero. Paternità responsabile. Ma bisogna guardare anche la generosità di quel papà e di quella mamma che vedono in ogni figlio un tesoro.

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14. Dall'udienza generale di mercoledì 21 gennaio 2015:

Le famiglie sane sono essenziali alla vita della società. Dà consolazione e speranza vedere tante famiglie numerose che accolgono i figli come un vero dono di Dio. Loro sanno che ogni figlio è una benedizione. Ho sentito dire da alcuni che le famiglie con molti figli e la nascita di tanti bambini sono tra le cause della povertà. Mi pare un’opinione semplicistica. Posso dire, possiamo dire tutti, che la causa principale della povertà è un sistema economico che ha tolto la persona dal centro e vi ha posto il dio denaro; un sistema economico che esclude, esclude sempre: esclude i bambini, gli anziani, i giovani, i senza lavoro, e che crea la cultura dello scarto che viviamo. Ci siamo abituati a vedere persone scartate. Questo è il motivo principale della povertà, non le famiglie numerose. […] Occorre anche difendere la famiglia dalle nuove colonizzazioni ideologiche, che attentano alla sua identità e alla sua missione.

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15. Tweet alla marcia pro-life di Washington del 22 gennaio 2015:

Ogni vita è un dono.

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16. Dal discorso ai vescovi della Lituania in visita "ad limina", 2 febbraio 2015:

In questo periodo tutta la Chiesa è impegnata in un cammino di riflessione sulla famiglia, sulla sua bellezza, sul suo valore, e sulle sfide che è chiamata ad affrontare nel nostro tempo. Incoraggio anche voi, come pastori, a dare il vostro contributo in questa grande opera di discernimento, e soprattutto a curare la pastorale familiare, così che i coniugi sentano la vicinanza della comunità cristiana e siano aiutati a "non conformarsi alla mentalità di questo mondo ma a rinnovarsi continuamente nello spirito del Vangelo" (cfr. Romani 12, 2). Infatti, anche il vostro paese, che ormai è entrato a pieno titolo nell’Unione Europea, è esposto all’influsso di ideologie che vorrebbero introdurre elementi di destabilizzazione delle famiglie, frutto di un mal compreso senso della libertà personale. Le secolari tradizioni lituane al riguardo vi aiuteranno a rispondere, secondo la ragione e secondo la fede, a tali sfide.

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17. Dal discorso al simposio delle conferenze episcopali di Africa e Madagascar, 7 febbraio 2015:

In Africa il futuro è nelle mani dei giovani, ed essi oggi sono chiamati a difendersi da nuove e spregiudicate forme di colonizzazione quali il successo, la ricchezza, il potere a tutti i costi, ma anche il fondamentalismo e l’uso distorto della religione, e ideologie nuove che distruggono l’identità delle persone e delle famiglie.

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18. Dall'udienza generale di mercoledì 11 febbraio 2015:

Una società avara di generazione, che non ama circondarsi di figli, che li considera soprattutto una preoccupazione, un peso, un rischio, è una società depressa. Pensiamo a tante società che conosciamo qui in Europa: sono società depresse, perché non vogliono i figli, non hanno i figli, il livello di nascita non arriva all’uno percento. Perché? Ognuno di noi pensi e risponda. Se una famiglia generosa di figli viene guardata come se fosse un peso, c’è qualcosa che non va! La generazione dei figli dev’essere responsabile, come insegna anche l’enciclica "Humanae vitae" del beato papa Paolo VI, ma avere più figli non può diventare automaticamente una scelta irresponsabile. Non avere figli è una scelta egoistica. La vita ringiovanisce e acquista energie moltiplicandosi: si arricchisce, non si impoverisce!

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19. Dall'udienza generale di mercoledì 4 marzo 2015:

In Occidente, gli studiosi presentano il secolo attuale come il secolo dell’invecchiamento: i figli diminuiscono, i vecchi aumentano. Questo sbilanciamento ci interpella, anzi, è una grande sfida per la società contemporanea. Eppure una cultura del profitto insiste nel far apparire i vecchi come un peso, una "zavorra". Non solo non producono, pensa questa cultura, ma sono un onere: insomma, qual è il risultato di pensare così? Vanno scartati. È brutto vedere gli anziani scartati, è una cosa brutta, è peccato! Non si osa dirlo apertamente, ma lo si fa! C’è qualcosa di vile in questa assuefazione alla cultura dello scarto. Ma noi siamo abituati a scartare gente. […] Fragili siamo un po’ tutti, i vecchi. Alcuni, però, sono particolarmente deboli, molti sono soli, e segnati dalla malattia. Alcuni dipendono da cure indispensabili e dall’attenzione degli altri. Faremo per questo un passo indietro? Li abbandoneremo al loro destino? Una società senza prossimità, dove la gratuità e l’affetto senza contropartita – anche fra estranei – vanno scomparendo, è una società perversa. La Chiesa, fedele alla Parola di Dio, non può tollerare queste degenerazioni.

> Testo integrale

*

20. Dal discorso alla pontificia accademia per la vita, 5 marzo 2015:

"Onorare" oggi potrebbe essere tradotto pure come il dovere di avere estremo rispetto e prendersi cura di chi, per la sua condizione fisica o sociale, potrebbe essere lasciato morire o "fatto morire". Tutta la medicina ha un ruolo speciale all’interno della società come testimone dell’onore che si deve alla persona anziana e ad ogni essere umano. Evidenza ed efficienza non possono essere gli unici criteri a governare l’agire dei medici, né lo sono le regole dei sistemi sanitari e il profitto economico. Uno Stato non può pensare di guadagnare con la medicina. Al contrario, non vi è dovere più importante per una società di quello di custodire la persona umana.

> Testo integrale

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21. Dall'intervista a Valentina Alazraki per l’emittente messicana Televisa, realizzata il 6 marzo 2015, trasmessa la sera del 12, tradotta e pubblicata su "L’Osservatore Romano" datato 14 marzo:

D. – Cosa aspetta dal sinodo? Crede che si siano create troppe aspettative tra le coppie che soffrono, tra i divorziati risposati, tra gli omosessuali, più in là rispetto a dove lei pensa di arrivare? I divorziati risposati potranno fare la comunione? E come sarà grande l’accettazione del mondo degli omosessuali?

R. – Credo che ci sono aspettative smisurate. […] La famiglia è in crisi. Come integrare nella vita della Chiesa le famiglie "replay"? Cioè quelle di seconda unione che a volte risultano fenomenali, mentre le prime un insuccesso. Come reintegrarle? Che vadano in chiesa. Allora semplificano e dicono: "Ah, daranno la comunione ai divorziati". Con questo non si risolve nulla. Quello che la Chiesa vuole è che tu ti integri nella vita della Chiesa. Però ci sono alcuni che dicono: "No, io voglio fare la comunione e basta". Una coccarda, una onorificenza. No. Ti devi reintegrare. Ci sono sette cose che, secondo il diritto attuale, le persone in seconde unioni non possono fare. Non me le ricordo tutte, però una è essere padrino di battesimo. Perché? E che testimonianza potrà dare al figlioccio? Quella di dire: "Guarda caro, nella mia vita mi sono sbagliato. Ora sono in questa situazione. Sono cattolico. I principi sono questi. Io faccio questo e ti accompagno". Una vera testimonianza. […] Se credono, anche se vivono in una situazione definita irregolare e la riconoscono e l’accettano e sanno quello che la Chiesa pensa di questa condizione, non è un impedimento. Quando parliamo di integrare intendiamo tutto questo. E dopo di accompagnare i processi interiori. […] Inoltre, abbiamo un problema molto serio che è quello della colonizzazione ideologica sulla famiglia. Per questo ne ho parlato nelle Filippine perché è un problema molto serio. Gli africani si lamentano molto di questo. E anche in America latina. E a me è successo una volta. Sono stato testimone di un caso di questo tipo con una ministro dell’educazione riguardo l’insegnamento della teoria del “gender” che è una cosa che sta atomizzando la famiglia. Questa colonizzazione ideologica distrugge la famiglia. Per questo credo che dal sinodo usciranno cose molto chiare, molto rapide, che aiuteranno in questa crisi familiare che è totale.

> Testo integrale in italiano

> In spagnolo

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A proposito della generale rimozione del magistero pro-life di papa Francesco, si può notare che il parlamento europeo di Strasburgo, lo stesso che il 25 novembre 2014 aveva salutato con applausi scroscianti il discorso del papa (vedi sopra) in difesa della vita umana e contro la "cultura dello scarto" che fa strage di "bambini uccisi prima di nascere", ha approvato a larghissima maggioranza e con il voto favorevole di non pochi cattolici, il 10 e il 12 marzo di quest'anno, due risoluzioni a sostegno del "diritto" all'aborto, oltre che del riconoscimento del matrimonio e delle unioni tra persone dello stesso sesso.

Per i dettagli delle due votazioni:

> L'europarlamento dice sì all'aborto

> Strasburgo. Cattolici "à la carte"

 



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17.3.2015 




Caterina63
00sabato 9 maggio 2015 11:20
Monsignor Luigi Negri
 

«C'è un cedimento totale a una mentalità estranea al cattolicesimo, anche perché si è lasciato che fossero media laicisti a definire l'immagine della Chiesa». «Oggi c'è una povertà culturale che è anche peggiore di quella materiale». «La persecuzione di tanti cristiani ci ricorda che la posta in gioco è l'adesione a Cristo che ci mette in condizione di poter essere eliminati da un momento all'altro». Così monsignor Luigi Negri, che rilegge i suoi dieci anni da vescovo.

di Riccardo Cascioli

«Un fenomeno gravissimo caratterizza la Chiesa del nostro tempo: il cedimento totale alla mentalità catto-laicista, anche perché stiamo accettando che siano i mass media laicisti a definire l’immagine della Chiesa, del prete, di una autentica pastoralità». Non fa sconti alla verità monsignor Luigi Negri, neanche in questi giorni di festa che lo vedranno chiudere questa sera con una solenne messa pontificale nella cattedrale di Ferrara, i festeggiamenti per il X anniversario della sua ordinazione episcopale. Dieci anni sono un soffio, ma se guardiamo indietro non possiamo non riconoscere che molto è cambiato in questi dieci anni: nella Chiesa, in Italia, nel mondo. 

Monsignor Negri, lei è stato nominato vescovo di San Marino-Montefeltro il 17 marzo del 2005, una delle ultime nomine di san Giovanni Paolo II, morto appena 16 giorni dopo. In questi dieci anni ha perciò conosciuto ben tre Papi. Potrebbe dirci il tratto essenziale di ciascuno dei tre? Cominciamo da san Giovanni Paolo II.
San Giovanni Paolo II è stato uno dei più grandi evangelizzatori nella storia della Chiesa moderna e contemporanea. Con lui ho avuto la percezione lucidissima che si apriva una fase nuova nel rapporto tra Chiesa e mondo. Voglio ricordare lo straordinario intervento che fece nell’ottobre 1980 al convegno su Evangelizzazione e ateismo in cui disse che bisognava riportare Cristo a contatto del cuore dell’uomo, che usciva distrutto ma non annichilito dalla vicenda moderna e contemporanea. Capii allora che bisognava aprire un dialogo non con le ideologie o con i sistemi politici e culturali, ma con quella realtà umana che precede qualsiasi opzione, consapevole o inconsapevole. San Giovanni Paolo II ha svolto in maniera mirabile questo compito. Ho sempre avuto la percezione che parlasse al livello del cuore dell’uomo, e per questo non si attardasse né in premesse né in conseguenze. Al contrario, andava al fondo della questione, che così valorizza ogni premessa e arriva alle conseguenze. Fermarsi alle premesse o correre alle conseguenze è una proposta assolutamente perdente, dal punto di vista di ciò che la Chiesa deve desiderare: che la gente venga investita dall’annunzio di Cristo presente. Vorrei al proposito ricordare due definizioni che di lui sono state date e che condivido pienamente. Ho in mente il breve messaggio del cardinale Stanislaw Dziwisz in risposta alle mie condoglianze: «Quest’uomo ha insegnato ai cristiani ad essere cristiani e agli uomini di questo tempo ad essere uomini». E George Weigel ha riconosciuto che è stato uno dei pochi uomini a cui è stato dato di cambiare il corso della storia. 

Una missione a cui ha dato un grosso contributo l’amicizia con chi poi gli è succeduto: Benedetto XVI. 
Benedetto ha aperto una stagione che ha fatto riscoprire il fascino della ragione, come sfida, come cammino verso il mistero. E senza nessuna tentazione di nostalgia ci ha fatto sentire la grandezza della grande civiltà cattolica, della grande civiltà occidentale che - come disse a Regensburg – nasce dal coinvolgimento di movimenti perenni, che tali rimangono: il domandare greco, il profetismo ebraico, la fede cattolica e la libertà di coscienza moderna. Ha aperto orizzonti di incontro con l’uomo di oggi proprio in forza della sua straordinaria capacità di parlare della ragione e della fede, oltre ad avere dato quel contributo fondamentale alla ripresa di identità dell’avvenimento cristiano con la dichiarazione Dominus Iesus, firmata da Giovanni Paolo II ma che porta il segno indelebile del grande magistero di Benedetto XVI. Mi auguro davvero che la Chiesa a un certo punto riconosca la grandezza intellettuale e la grandezza del suo magistero conferendogli il titolo di dottore della Chiesa.

Da due anni c’è papa Francesco; ancora presto per un bilancio ma non c’è dubbio che la strada di questo pontificato sia ben marcata
Francesco ha aperto una prospettiva nuova in cui mi addentro, gradualmente, maturando con lui le prospettive di una rinnovata apertura missionaria, che è quello a cui sono stato formato da 50 anni di convivenza con quel grande teorico della missione e testimone della missione che è stato don Luigi Giussani.

A proposito di don Giussani. Abbiamo da poco ricordato i dieci anni della sua morte, non ha fatto in tempo a gioire dell’ordinazione episcopale di uno dei suoi amici della prima ora. 
Ho potuto svolgere la missione di vescovo soltanto perché don Giussani mi ha insegnato ad amare la Chiesa come mio padre e mia madre. Quelle pochissime volte che me ne ha accennato, era evidente che per lui la mia nomina episcopale era un desiderio vivo del suo cuore, che allora io non sapevo valutare. Per lui era la grande conferma della verità del movimento di Comunione e Liberazione. In uno degli ultimi incontri mi disse: se ti faranno vescovo ricordati che sarà un grande messaggio del Papa a tutta la Chiesa. Perché tu nella tua vita, come insegnante e come prete, non hai avuto altro che la sequela del movimento. E l’aver seguito fino in fondo il movimento secondo il papa ti abilita a diventare il capo di una Chiesa.

E come questo si è riflesso nel suo modo di essere vescovo?
In questi dieci anni, di cui i primi sette a San Marino-Montefeltro, ho sentito il compito eccezionale di far nascere e rinascere continuamente il popolo cristiano. Perché il vescovo deve fare questo. Il vescovo che rende presente Cristo nella sua comunità deve generare il popolo nella Parola e nei sacramenti e rigenerarlo soprattutto attraverso il ministero del giudizio e della misericordia - perché nella Confessione c’è anche un giudizio non solo la misericordia –. E poi dare la consapevolezza gioiosa di avere un’identità nuova, irriducibile a qualsiasi identità umana e storica, una coscienza nuova di sé e della realtà, un ethos della vita che non si riduce a nessuna forma di sfruttamento, ma vive la carità come incondizionata apertura alla vita di ciascuno. Per il mio temperamento non sarei mai stato capace di abbracciare così il popolo, la sua vita e il suo destino, se non fossi vissuto per 50 anni con un uomo che ha fatto dell’amore a Cristo e alla Chiesa la sua unica ragione di vita.

San Marino e Ferrara, due realtà diverse ma anche con punti in comune. Dall’incontro con questa gente, cosa emerge quale priorità per la Chiesa?
Farsi carico della grande povertà non soltanto materiale ma umana, culturale, spirituale. L’ho detto più volte ai responsabili di diverse iniziative e strutture caritative, che pure sono grandi ed esemplari. A Ferrara tutte le nostre risorse sono spese per questa terribile povertà materiale che ha dissolto la tranquillità e il benessere di tante famiglie. Ma dobbiamo anche essere molto chiari: nonostante tanta retorica sui poveri e sulla povertà, questo problema non sarà mai risolto, meno che mai sarà risolto dalla Chiesa. Lo ha detto lo stesso Gesù: «I poveri li avrete sempre con voi, me non avrete sempre». 

E dando un contributo quotidiano, nel soccorrere chi vive nella povertà, dobbiamo chiederci: noi ci facciamo carico della povertà culturale? Povertà culturale che è figlia di un vuoto esistenziale, di un vuoto di coscienza, di umanità, di capacità di amore, di capacità di sacrificio. Se non stiamo attenti rischiamo di ridurci soltanto al tentativo di aiutare la povertà materiale, di condividere una concezione materialistica della vita. Io penso che sarebbe terribile non avere aperto il cuore ad amare l’umanità di oggi in tutte le condizioni, secondo tutti gli aspetti, secondo tutte le sfide che riceviamo. Ma si può fare questo se al centro c’è l’amore a Cristo. Si ama i poveri perché si ama Cristo, si investe l’umanità di oggi - povera o ricca che sia - dell’annuncio unico: il Signore Gesù Cristo è il redentore dell’uomo e della storia, il centro del cosmo e della storia. 

Povertà culturale. Il rapporto tra fede e cultura è stato al centro della riflessione di don Giussani e di Giovanni Paolo II. 
C’è una frase di san Giovanni Paolo II che ha confermato e dilatato il magistero di Giussani su fede e cultura: «La fede che non diventa cultura non è stata veramente accolta, pienamente vissuta, umanamente ripensata». Da questo punto di vista c’è una gravissimo disagio che io percepisco. L’irruzione nel contesto della cultura cattolica di una sorta di catto-laicismo. Un cattolicesimo che tenta di convivere con il laicismo come forma sostanzialmente di rifiuto della tradizione cristiana, della presenza cristiana. Esempio; la storia della Chiesa. È letta e interpretata quasi universalmente anche nel mondo cattolico, come una storia di cui liberarsi. Più piena di ombri ed errori, di colpe e incomprensioni, che di luci. Si tratta di un irrealismo totale, si salvano a malapena i santi, ma secondo una accezione moralistica e pietista che non è un onore ai santi, ma la dimostrazione della meschinità intellettuale con cui si pensa la storia della Chiesa.

Può fare qualche esempio?
Da qualche anno durante la messa prego ogni giorno per Antoine Eleonore Leon Leclerc de Juinier, che è stato vescovo di Parigi dal 1782 fino a quando per non piegarsi a Napoleone si dimise da arcivescovo. Andò all’assemblea costituente quando questa decretò la confisca di tutti i beni della Chiesa. Questo vescovo disse una cosa semplicissima: prendetevi pure tutti i soldi, avete l’arroganza di farlo e il diritto vostro ve ne dà la possibilità. Ma io vi anticipo quel che accadrà: nel giro di qualche mese vi dividerete fra voi tutti questi soldi a bassissimo prezzo e i poveri resteranno senza nessuna risorsa perché da secoli la Chiesa francese ha usato i suoi soldi, i suoi beni, per una cosa sola: rendere meno aspra la povertà dei poveri. C’è oggi qualcuno anche a livello ecclesiastico che non solo conosce questa cosa, ma si sentirebbe così in sintonia profonda con quest’uomo, perché in lui si è espressa una coscienza autentica e critica della storia della Chiesa? Non è accettabile che ecclesiastici, uomini di cultura cattolici, abbiano in partenza davanti alla Chiesa e alla sua storia un atteggiamento distruttivo. Salvando a malapena la Chiesa di oggi, come se la chiesa di oggi fosse nata o nascesse improvvisamente senza nessuna connessione vitale, esistenziale, con il flusso della tradizione, che comincia da Gesù e dei suoi amici e arriva inesorabilmente fino a noi oggi.

In altre occasioni lei ha parlato di catto-laicismo…
Non è pensabile, non è più sopportabile, che i media anticattolici, laicisti, siano stati messi in condizioni di entrare così massicciamente e grevemente nella vita della Chiesa da fissare loro l’immagine dei preti di prima categoria, da contrapporre al povero clero che ha vissuto l’esistenza secondo le circostanze concrete della propria vita, obbedendo ai propri pastori e cercando di incrementare la vita del popolo che guidavano. È una posizione suicida accettare che il modello della vita ecclesiale sia formulato secondo la posizione di coloro che fino ad adesso – e ancora adesso – vogliono la distruzione della Chiesa. 

In dieci anni tante cose sono cambiate nel mondo, oggi la persecuzione dei cristiani è un fenomeno senza precedenti:
Da quando ho fatto mettere sul frontone del palazzo episcopale il segno del Nazareno, quasi ogni giorno centinaia di turisti, si fermano, chiedono, la maggior parte non sa neanche cosa significhi. Comunque questa persecuzione ci ricorda che noi viviamo dentro un confronto escatologico fra la cultura della vita – l’avvenimento di Cristo -  e la cultura della morte, che è il nulla, che diventa l’alternativa a Dio.

Queste sono le proporzioni dello scontro in cui viviamo, dobbiamo essere consapevoli che la dimensione del martirio morde il nostro quotidiano. Dobbiamo sapere che quello che è in gioco - anche nelle piccole comunità del Montefeltro o della campagna ferrarese – è un’adesione a Cristo che ci mette di fronte al mondo come gente che può essere eliminata da un momento all’altro.

E in Italia da tanti anni si parla di emergenza educativa…
Oggi l’emergenza educativa dimostra che si è perduto tempo perché non si è avuto il coraggio di affrontare la necessità di far diventare la Chiesa come aveva chiesto papa Giovanni Paolo II nella Novo Millennio ineunte: Ambiti di scuola di comunione, quindi di cultura. Adesso il gender è una lebbra che si sta diffondendo nei cuori e in questo ha perfettamente ragione papa Francesco. La questione dell’emergenza educativa è arrivata a livelli tali che o ci svegliamo adesso o non ci svegliamo più, ovvero siamo morti.







Caterina63
00giovedì 11 giugno 2015 10:23

  IL QUI PRO QUO seguite il fatto.... (il caso Medjugorie e le parole del Papa cliccare qui del 9 giugno)

Stiamo sempre lì, a tirare l'acqua ognuno per il proprio mulino 
Cascioli oggi 11 giugno per difendere la sua visione su Medjugorje scrive un bell'articolo su LaBussola...l'articolo è buono ma.... dice per due volte (per difendere Medjugorje) una cosa sbagliata, o meglio, sconfessata dal Papa stesso....

scrive:
"Nelle omelie a Santa Marta il Papa parla a braccio, va a ruota libera, e ormai sappiamo che ama usare espressioni molto colloquiali o delle immagini evocative, che avranno sì il dono dell’immediatezza ma che si prestano anche a facili fraintendimenti ed equivoci. 
Ormai gli incidenti di questo genere non si contano, e poco vale che tutti dovrebbero sapere che conferenze stampa e omelie a Santa Marta non costituiscono magistero né possono essere considerate canali per annunciare decisioni ufficiali...."

dice dunque che:
"tutti dovrebbero sapere che conferenze stampa e omelie a Santa Marta non costituiscono magistero"

e cita anche padre Lombardi:
"Il portavoce vaticano padre Lombardi già a suo tempo disse che non avrebbe mai commentato le omelie di Santa Marta, proprio perché non rappresentano posizioni ufficiali o Magistero..."

   ma è il Papa che smentisce e afferma l'esatto contrario:

Dicembre 2014, così riportava Radio Vaticana:

Dopo 21 mesi di pontificato Papa Francesco concede un’altra intervista. 
Una lunga intervista, 50 minuti, al quotidiano argentino La Nacion, la giornalista è Elisabetta Piquè che con il pontefice ha un rapporto di lunga data.
e sulla questione del valore del pensiero del Papa e del magistero dice:

UNA BARCA SENZA TIMONE?
... ma «fino a quando non si chiede all’interessato: “Hai detto questo?”, mantengo il dubbio fraterno. Però, generalmente è perché non leggono le cose. 
Uno una volta mi ha detto: “Sì questo discernimento è una cosa buona, ma abbiamo bisogno di cose più chiare”. 
E io gli ho detto: “Guarda, ho scritto un’enciclica, è vero, a quattro mani, e un esortazione apostolica. 
Continuamente sto facendo dichiarazioni, omelie, e questo è magistero. 
Lì c’è quello che penso, non quello che i media dicono che io penso. Vai qui e lo trovi in modo molto chiaro....»

   e dunque...?
le omelie del mattino e i suoi interventi sono "quello che penso; questo è magistero...."
il punto è sempre quello dell'INTERPRETAZIONE
nelle sue parole, ben interpretate c'è il pensiero di Papa Francesco e il suo magistero, e NON quello che dicendo viene poi riportato, stravolto, dai Media... ma in quelle omelie e in ciò che dice c'è il suo pensiero e il suo MAGISTERO....
lo ha detto lui!
Se si interpretasse di meno ciò che dice e lo si leggesse CON IL CATECHISMO ALLA MANO, Papa Francesco sarebbe più comprensibile, è più comprensibile.... il fatto è che NESSUNO ha studiato il Catechismo, specialmente quello pubblicato da Giovanni Paolo II.... è più facile ed invitante avanzare con interpretazioni di ciò che il Papa dice, anzichè studiarsi 500 pagine di Catechismo   





 

C'è chi lascia la chiesa a causa di Papa Francesco

 

di Camillo Langone | 09 Settembre 2015 

 

 

Sono sempre più numerosi gli amici, anche persone all'apparenza religiosamente più salde di Magdi Allam, che disgustate da Papa Francesco mi comunicano di voler lasciare la Chiesa, verso le mete più svariate: l'ortodossia, l'anglicanesimo, il nulla (non che l'anglicanesimo differisca molto dal nulla...).
Quindi torna utile Thibon, filosofo-contadino francese, in Italia poco tradotto, che mi è un po' meno sconosciuto da quando Nicola Tomasso gli ha dedicato “Il realismo dell'incarnazione. Introduzione a Gustave Thibon” (Tabula Fati).

Thibon nel bel mezzo del Novecento scrisse: “Nelle epoche classiche, le istituzioni morali, politiche o religiose superavano e sorreggevano gli uomini che le rappresentavano. La monarchia era più del re, il sacerdozio più del prete, il matrimonio più degli sposi. Tale fatto rendeva possibile a volte disprezzare un re o un papa senza che il principio della monarchia o della potestà pontificia venisse infirmato. Si pensi alle invettive d'una santa quale Caterina da Siena contro il clero del tempo, a un grande cattolico come Dante che apostrofa all'inferno il papa regnante! Oggi, come in tutti i periodi di decadenza, assistiamo al fenomeno inverso: le istituzioni non sono tollerate e amate che nell'individuo”.

Oggi 2015 troppe persone amano oppure odiano la Chiesa sulla base dei propri sentimenti verso il Papa attuale e questo è un atteggiamento superdecadente. Che i tradizionalisti se ne rendano conto e facciano come me che sono superclassico: le uniche personalità religiose verso le quali nutro sentimenti si chiamano Maria e Gesù.





sottolineamo soltanto che ciò accadeva all'inverso da parte chi odiava Benedetto XVI.... oppure oggi ama Francesco perchè non sopportava Benedetto... come la rigiri si tratta sempre di stoltezza....





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IL PAPA PIÙ (O MENO) AMATO DAGLI ITALIANI

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Un atteggiamento diffuso: apprezzare il Papa, ma senza avvertire il bisogno di ascoltarlo, dato che dice sempre le stesse quattro cosette semplici semplici.

di Satiricus

Relativamente ai dati della Prefettura, secondo cui l’affluenza alle udienze pontificie sarebbe miseramente in calo, così tuona Barile: “Considero di una gravità inaudita, l’incompletezza e la parzialità dei dati della Prefettura della Casa Pontificia, secondo cui è in calo l’affluenza di fedeli alle Udienze Generali di Papa Francesco”.

486208100Poche righe per consolare il vaticanista: i critici di Francesco – tra cui si pone il sottoscritto – non hanno per scopo di far passare il Papa come un “isolato” e nemmeno insinuare una “freddezza” verso di lui.

Le cifre peraltro sembrerebbero plausibili in quanto coerenti con un atteggiamento diffuso: apprezzare il Papa, ma senza avvertire il bisogno di ascoltarlo, dato che dice sempre le stesse quattro cosette semplici semplici. Questa l’idea che va crescendo, giusta o errata che sia rispetto ai fatti.

Piuttosto direi che la soddisfazione per nulla mascherata, che io stesso ho provato, nasce da un altro nobile sdegno, quello che si oppone a coloro che, fin dall’inizio del pontificato franceschiano, ne hanno esaltato la popolarità a danno – ascoltare bene – non della popolarità rivale, ma del Magistero stesso di Benedetto XVI.

Francesco, il Papa di cui si lodano anche gli errori; Benedetto XVI, il Papa di cui si ignorano i documenti canonici.

È per amore alla completezza della proposta ecclesiale, ed è per sottrarre il delicato fatto cattolico alle tifoserie da stadio, che a me non è dispiaciuto il report della Prefettura. Poi, se si vuole, possiamo interpretarne meglio i numeri. Ma, a questo punto, porrei un diverso quesito e duplice. Il primo: come mai questo massiccio spostamento di affluenze (da quelle munite di biglietto a quelle prive)? Mi interesserebbe una lettura sociologica seria.

Il secondo – che forse si collega al primo -: si potrebbe misurare il rapporto tra presenza fisica alle udienze e grado di assimilazione spirituale e crescita cristiana del popolo? Detto sinteticamente: se il flop delle udienze di Francesco mi piaceva in quanto smacco al criterio valutativo da stadio del suo pontificato (vince il Papa con più share), va ammesso che il vero superamento di tale criterio idiota può avvenire solo su un altro campo, cioè nella valutazione dell’incremento effettivo della fede del Popolo di Dio. Di questo non ci dirà la stampa, né la Prefettura, ma la storia.

A conti fatti, standomi a cuore la Chiesa e non i pontefici, spero che le udienze siano (o tornino ad essere) strapiene, e strapiene di gente che si vuole realmente convertire.

Fonte: campariedemaistre.com






Caterina63
00venerdì 28 agosto 2015 17:32
[SM=g1740733] Il portavoce vaticano interviene per smentire l’uso strumentale di una lettera di routine della Segreteria di Stato all’autrice di una serie di libri per bambini

Dichiarazione del Vice Direttore della Sala Stampa, P. Ciro Benedettini, C.P., 28.08.2015
press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2015/08/28/0630/01...

[B0630]

Rispondendo a domande dei giornalisti, il Vice Direttore della Sala Stampa della Santa Sede ha rilasciato questa mattina la seguente dichiarazione:

In risposta ad una lettera al Santo Padre di Francesca Pardi, dai toni educati e rispettosi, la Segreteria di Stato ha accusato ricezione della medesima con uno stile semplice e pastorale, precisando in seguito che si trattava di una risposta privata e quindi non destinata alla pubblicazione (cosa che purtroppo è avvenuta).
In nessun modo la lettera della Segreteria di Stato intende avallare comportamenti e insegnamenti non consoni al Vangelo, anzi auspica “una sempre più proficua attività al servizio delle giovani generazioni e della diffusione degli autentici valori umani e cristiani”. La benedizione del Papa nella chiusa della lettera è alla persona e non a eventuali insegnamenti non in linea con la dottrina della Chiesa sulla teoria del gender, che non è minimamente cambiata, come più volte ha ribadito anche recentemente il Santo Padre. Quindi è del tutto fuori luogo una strumentalizzazione del contenuto della lettera.

[01376-IT.01] [Testo originale: Italiano]

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Aveva scritto al Papa lo scorso 19 giugno lamentandosi degli attacchi subìti negli ultimi anni e sostenendo che alcune associazioni cattoliche attribuivano ai suoi libri contenuti che in realtà non c’erano. Francesca Pardi, fondatrice insieme alla sua compagna Maria Silvia Fiengo della casa editrice per l’infanzia «Lo Stampatello» e autrice di libri «gender» messi al bando dal sindaco di Venezia, ha ricevuto una lettera di risposta dalla Segreteria di Stato a firma dell’assessore, Peter Brian Wells. L’autrice, che aveva accompagnato la missiva al Pontefice al dono di una trentina di libri, ha dato pubblicità alla risposta ricevuta, sostenendo di essere stata incoraggiata da Francesco «ad andare avanti».

In realtà la lettera di risposta corrisponde a un formulario di routine, è stata predisposta dalla Segreteria di Stato ed è una delle sessantamila sulle quali l’assessore Wells appone la sua firma. La missiva vaticana, una decina di righe, dopo aver ringraziato per l’invio dei libri, afferma che «Sua Santità, grato per il delicato gesto e per i sentimenti che lo hanno suggerito, auspica una sempre più proficua attività al servizio delle giovani generazioni e della diffusione degli autentici valori umani e cristiani».

La presentazione della lettera come un avallo dell’attività editoriale della casa editrice e come una quasi benedizione dei contenuti gender, ha provocato la risposta da parte della Sala Stampa Vaticana. Il vicedirettore, padre Ciro Benedettini, ha infatti affermato: «In risposta a una lettera al Santo Padre di Francesca Pardi, dai toni educati e rispettosi, la Segreteria di Stato ha accusato ricezione della medesima con uno stile semplice e pastorale, precisando in seguito che si trattava di una risposta privata e quindi non destinata alla pubblicazione (cosa che purtroppo è avvenuta).
In nessun modo la lettera della Segreteria di Stato intende avallare comportamenti e insegnamenti non consoni al Vangelo, anzi auspica “una sempre più proficua attività al servizio delle giovani generazioni e della diffusione degli autentici valori umani e cristiani”. La benedizione del Papa nella chiusa della lettera è alla persona e non a eventuali insegnamenti non in linea con la dottrina della Chiesa sulla teoria del gender, che non è minimamente cambiata, come più volte ha ribadito anche recentemente il Santo Padre. Quindi è del tutto fuori luogo una strumentalizzazione del contenuto della lettera».

[SM=g1740758] piuttosto

Papa Francesco ha parlato più volte della teoria gender. Lo scorso 15 aprile, durante l’udienza in piazza San Pietro, aveva detto: «Per esempio mi domando, se la cosiddetta teoria del gender non sia anche espressione di una frustrazione e di una rassegnazione, che mira a cancellare la differenza sessuale perché non sa più confrontarsi con essa. Sì, rischiamo di fare un passo indietro». E aveva aggiunto: «La rimozione della differenza è il problema, non la soluzione. Per risolvere i loro problemi di relazione, l’uomo e la donna devono invece parlarsi di più, ascoltarsi di più, conoscersi di più, volersi bene di più. Devono trattarsi con rispetto e cooperare con amicizia. Con queste basi umane, sostenute dalla grazia di Dio, è possibile progettare l’unione matrimoniale e familiare per tutta la vita. Il legame matrimoniale e familiare è una cosa seria, e lo è per tutti, non solo per i credenti».

ecco i video e più chiaro di così non si può [SM=g1740733]

www.youtube.com/watch?t=113&v=8UnOBJIW1gs

www.youtube.com/watch?v=Rl4nudTT-dk

A cura di Redazione Papaboys fonti: Sala Stampa della Santa Sede, Radio Vaticana,









[SM=g1740771]


Caterina63
00mercoledì 9 settembre 2015 17:16

  un saggio  gustoso 

05 settembre 2015

Preti sposati, cornuti e mazziati
 

di Francesco Filipazzi

"Bergoglio si china alla volontà dei tradizionalisti e affossa il Concilio Vaticano II. Ancora chiusure e immobilismo dai pronunciamenti papali sui preti sposati e sul rinnovamento della Chiesa e della teologia in chiave biblica". Non è una barzelletta, ma una dichiarazione vera, rilasciata da un'associazione fondata nel 2003. L'associazione dei preti sposati. 
 
 
Dunque veniamo a sapere che, fra le tante micro associazioni che rivendicano cambiamenti fra i più disparati nel cattolicesimo, c'è un'associazione che rivendica il matrimonio per i preti della Chiesa di Roma. "Sembra talco ma non è", direbbe Pollon. In realtà sapevamo già che esisteva, ma basta una ricerca su internet con le giuste parole chiave per trovare anche rivendicazioni dalle "mogli e amanti dei preti sposati", le quali narrano in maniera lacrimosa le loro difficoltà nell'essere le donne dei preti.

Chiedono al Papa di sciogliere i loro uomini dal vincolo del celibato. "Come in quelle favole in cui alla fine arriva una fata buona a sciogliere l'incantesimo che impedisce al principe di amare e essere amato", spiega la giornalista, forse prendendole un po' in giro, forse no. Il Papa dunque diventa la fata turchina, porta le monetine in cambio di dentini, manda via il Bau Bau dall'armadio, risveglia la ragazza punta dall'arcolaio.  

Ma non è finita. "La cosa peggiore quando stai con un prete-racconta - è che pensi di commettere un peccato", dice una di loro. Ma va?  

Insomma, una baracconata così non si vedeva da un pezzo, dai tempi di Milingo, ma si sa, l'era dei diritti inventati avanza e quindi anche noi vegani che mangiamo la carne abbiamo diritto di cittadinanza

Ciò che merita una risata a parte è però il riferimento al Vaticano II, il concilio di serie B (zona retrocessione che non ha proclamato neanche mezzo dogma), di cui abbiamo parlato recentemente, che a quanto pare "Bergoglio" (non Papa Francesco, usano il cognome) starebbe disattendendo. 

Peccato che il Vaticano II dei preti sposati se ne sia fregato altamente e anzi, nel 1967, dunque dopo il Concilio, Papa Paolo VI abbia scritto un'enciclica molto bella dal titolo "Sacerdotalis Caelibatus" (link), nella quale dice appunto che i preti di Santa Romana Chiesa non si devono sposare. Non citiamo San Paolo, quello della Bibbia, perché avendo scritto prima del Vaticano II è derubricato a gioppino del paese, fatto sta che anche un Papa post conciliare dice le stesse cose.
 
 
"Ma cosa mi dici mai?", direbbe Topo Gigio. Dunque uno che si fa sette anni di seminario e non ha capito che il prete non si sposa, non ha capito un tubo? Uno che vive in Italia e non ha capito che un prete non si sposa deve informarsi meglio? 

Ebbene sì, cari preti sposati, è ora di piantarla di inventarsi rivendicazioni inutili e velleitarie e illogiche. Se volete fare i preti sposati, a quanto pare, quella è la porta. Andate a fare gli anglicani, gli ortodossi, trasferitevi in una chiesa orientale. 

Per pietà, fateci il piacere di non prendervela con la San Pio X almeno, che a quanto pare ha il grave peccato di essere "tradizionalista" e quindi i preti cosiddetti lefebvriani sarebbero peggio dei preti sposati.
Evidentemente nella scala di valori in cui l'immondizia rappresenta il valore più alto, essere preti ligi al proprio dovere, pur non avendo una visione pastorale assimilabile a quella della massa, è molto peggio del voler distruggere la Chiesa con dottrine ridicole. 

Nel mondo alla rovescia certe cose succedono. Fatto sta che dalla San Pio X ci si può confessare con la benedizione papale, con i preti sposati invece, neanche un caffè.  





Torniamo alle cose serie:


              

La crisi della chiesa italiana? "Ragiona secondo il mondo". Parla monsignor Negri

di Matteo Matzuzzi | 10 Settembre 2015 ore

Roma. “Mi rendo conto che quello che sto per dire non è in linea con l’ottimismo imperante, ma la società italiana è contraria alla chiesa”. Mons. Luigi Negri, arcivescovo di Ferrara-Comacchio, è preoccupato. Guarda fuori l’arcivescovado, riflette e “senza scadere nei purtroppo consueti toni da bar”, fa la diagnosi dello stato di salute della chiesa nella nostra società.

“Noto una certa coesione, dentro il mondo ecclesiastico e dei movimenti, sul fatto che non bisogna mettere in crisi l’unità della società. Ma questi non comprendono che l’unità di questa società è l’unità contro la chiesa, e non mettersi contro un’unità che è contro la chiesa, vuol dire di fatto favorire l’attacco alla chiesa”.
E questa, dice “è la prima esperienza intellettuale e morale che si prova quando si accosta il variegato mondo della cristianità italiana”. La situazione, spiega, “è paradossale”: “L’attacco è frontale, e investe le radici stesse non tanto – o soltanto – della fede, ma della società”. Gli esempi sono quelli di cui tanto si discute: “Penso alla questione del gender, della sacralità della vita. Di fronte a questi attacchi è come se il mondo cattolico non dico che guardi da un’altra parte ma peggio: rischia di non accorgersi affatto della pervasività di questo attacco, non vedendo cose che normalmente si vedono a occhio nudo”. C’è anche la responsabilità della chiesa o, almeno, di qualche suo settore, facciamo notare.


“Certo, il fatto che molta chiesa italiana sul gender non abbia detto niente, o quasi, costituisce uno scandalo per i credenti”. Il Papa, però, le parole sul gender le ha dette. Ci sono intere catechesi del mercoledì sul tema. “Mi domando se la cosiddetta teoria del gender non sia espressione di una frustrazione che mira a cancellare la differenza sessuale perché non sa più confrontarsi con essa”, diceva lo scorso aprile, ad esempio.

“E’ vero”, dice l’arcivescovo di Ferrara: “Il Santo Padre è ripetutamente intervenuto sulla questione del gender, ed è stato non soltanto inequivocabile ma ha spinto a una azione sociale. Ora – dice Negri – dobbiamo riconoscere che gli inviti del Santo Padre non dico che siano stati disattesi ma certamente non sono stati un punto di promozione, tranne che per un gruppo di ecclesiastici italiani che parlando alle loro diocesi, e io mi metto fra questi, hanno reso possibile la partecipazione di tanto mondo cattolico a una manifestazione (il 20 giugno) che, anche dal punto di vista sociale, ha avuto il rilievo che conosciamo. Si tratta di chiarire dunque dove sta la ragione di questa grande debolezza”.

Domanda che si è posto anche il cardinale Rylko, a giudizio del quale “la manifestazione di Roma non è stata una manifestazione contro qualcuno, ma ha voluto essere un umile servizio alla grande causa dell’uomo, oggi minacciata da più parti”.
Dove stia, la ragione della debolezza, Negri lo dice subito dopo: “Come dice san Giacomo, la religione pura consiste nel soccorrere i bisognosi ma soprattutto nel non uniformarsi alla mentalità di questo mondo”. Il problema è che “oggi ci troviamo di fronte una cristianità che ragiona secondo il mondo e che non ha la forza di opporre al mondo un’alternativa sul piano della verità della vita. In tal senso ci troviamo di fronte a una crisi culturale della cristianità italiana”.


Il problema è che ormai “i criteri fondamentali di giudizio della realtà sono presi dalla mentalità mondana e ci si rassegna a occupare solo gli spazi che questa società consente, ovvero spazi di spiritualità individuale e di iniziative caritative depotenziate, come ci ricorda Benedetto XVI all’inizio della Caritas in Veritate, quando scrive che “senza verità, la carità scivola nel sentimentalismo”.

Un quadro allarmante, una diagnosi che necessiterebbe di una terapia forte: “Credo davvero che occorra, a tutti i livelli e ciascuno nel suo campo, riproporre il cristianesimo nella sua oggettiva radicalità, per renderlo attuale ovvero un’esperienza pienamente corrispondente alle esigenze dell’uomo d’oggi”.

Si potrebbe obiettare a mons. Negri che – considerato il livello di secolarizzazione che ormai ha permeato anche la società italiana – la terapia delineata appare di non così facile applicazione. Soprattutto, non si vede chi potrebbe metterla in pratica: “Devo dire che a questo livello la delusione più cocente – non solo mia ma di molti ecclesiastici veramente preoccupati per la presenza significativa del cristianesimo nella nostra società – è la sostanziale vanificazione del mondo associativo e laicale: è come se non ci fossero più i movimenti e le associazioni a sostenere il necessario e continuo confronto col mondo. La speciosa giustificazione è che non è più il tempo delle proposte forti che, quando ci sono, vengono additate come crociate. Senza considerare poi il fatto che un minimo di sensibilità storica dovrebbe far vergognare del modo con cui tanto mondo cattolico parla di crociate, fenomeno che non si conosce assolutamente e che viene criminalizzato sulla base di un laicismo insopportabile”.


A ogni modo, dal torpore qualcuno s’è svegliato, andando oltre il caos calmo in cui versa la disorientata Cei di questo ultimo biennio: “Penso in particolare a quando alcuni vescovi hanno parlato con chiarezza, ad esempio nel caso della manifestazione del 20 giugno scorso, e la maggior parte del popolo cattolico ha risposto, totalmente incurante dei dissidi interni alla Conferenza episcopale italiana. Questo ci dice che forse l’aspetto determinante, e l’ho anche scritto più volte, è che l’episcopato di base ha ripreso la sua funzione di guida”.
Sull’associazionismo, l’arcivescovo di Ferrara è drastico: “La sua crisi è gravissima, e per questo la possibilità d’incidenza della chiesa in Italia è compromessa da una sostanziale inerzia di tante realtà cattoliche che fino ad ora erano risultate decisive”.


La conversazione si sposta poi sul dramma dei cristiani perseguitati in vicino e medio oriente. “La terribile esperienza di violenze rende chiaro che l’Isis ha dichiarato esplicitamente guerra al mondo e non conosce regole, quelle regole che sono nate dalla grande civiltà del diritto, soprattutto occidentale. Lì, infatti, si ammazzano donne, bambini, anziani, si stupra, si violenta, si distruggono i grandi monumenti della cultura e dell’arte mondiale”.

E per fermare lo sterminio, bisogna agire. Non ha dubbi, mons. Negri: “La nostra cristianità, a certi livelli di responsabilità culturale e istituzionale, non si è ancora resa conto che forse è il momento di riprendere, con gli opportuni aggiornamenti e con le necessarie articolazioni, quell’idea fondamentale di san Tommaso d’Aquino – fatta propria dalla tradizione della dottrina sociale della chiesa – per cui è tollerabile che esista una forte azione di legittima difesa e di protezione, anche armata se necessario”.

Agire così, però, presuppone una profonda riflessione, “perché per ipotizzare l’idea di una esperienza come questa, comunque eccezionale, bisognerebbe avere dei valori per cui si vive, per cui si lotta e per cui si è disposti a morire. Questo occidente ha tali valori?”, si domanda il presule, prima di toccare la questione che più d’ogni altra sta coinvolgendo l’Europa, con le migliaia di profughi che bussano alle porte dell’Unione:
“E’ un fenomeno di migrazione epocale, certamente già accaduto ma in modo meno marcato in altri momenti della storia dell’occidente, che non si può affrontare senza una cultura adeguata. Non si può ridurre il problema a un banale ‘tutti dentro o tutti fuori’, insopportabile semplificazione di un razzismo incondivisibile, ma neanche a un buonismo che, alla lunga, non è certamente una soluzione. Occorre che l’occidente si renda conto di quello che è in gioco in tutti i suoi aspetti fino alle possibili conseguenze”.


Ma la cultura che domina oggi l’occidente, qual è? “E’ ciò che rimane dell’orrenda crisi delle ideologie moderne contemporanee con la loro presunzione ateistica? E’ una cultura di tipo individualistico, consumistico, che vede la tecnoscienza come la soluzione di tutti i problemi? Questa – dice Negri – non è affatto cultura. E non si può stare di fronte a una massiccia migrazione, come quella che sta avvenendo, se non si hanno ragioni adeguate per vivere e per affrontare correttamente la realtà”.

Questo occidente, invece, “è disposto a vendere tutto, anima compresa; anche perché nella maggior parte dei casi l’occidente non sa neanche più di avere un’anima. Il che significa, a mio parere di pastore, che oggi la grande responsabilità ecclesiale è quella di una nuova radicale evangelizzazione, ovvero di un cammino educativo che riformi il popolo cristiano e che lo metta in grado di assumersi tutte le conseguenti responsabilità culturali, sociali, politiche e caritative”.

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