29 giugno 1951-2016 Benedetto XVI 65 Anni di Sacerdozio

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Caterina63
00venerdì 10 giugno 2016 18:18
[SM=g1740717] [SM=g1740720] 29 giugno 1951, Joseph Ratzinger diventa Sacerdote... e nessuno può negargli il riconoscimento di un santo sacerdozio coltivato nel tempo, amato e pienamente vissuto fino ad appassionarlo per la Liturgia.

Non riteniamo un caso che il Signore l'abbia voluto come Sommo Pontefice anche per rimettere a posto la questione della Messa nel rito antico, ingiustamente (come dirà anche lui) emarginata e messa fuori gioco. Un abuso, quello di proibire il rito di sempre della Messa, che lui ritenne opportuno ripristinare, ed anche per questo, Benedetto XVI, ha pagato di persona.

Con questo video desideriamo onorare il suo Sacerdozio e il Ministero santamente portato avanti in questi benedetti 65 anni, di cui ben otto da Sommo Pontefice, ed anzi "ancora Papa", seppur in una situazione che solo la storia potrà chiarire.

E noi lo ringraziamo con la preghiera e con l'affetto, offrendovi 200 foto circa di questo Pontificato nel quale Dio ci ha donato il più grande Dottore della Chiesa dei nostri tempi.

Intorno al minuto 3:26 la voce di Benedetto XVI pronuncia parole di pace e benedizione; e dal minuto 6:00 la benedizione liturgica papale cantata, di cui sentiamo profondamente la mancanza.
Auguri Santo Padre, Benedetto XVI e grazie per tutto.

gloria.tv/video/hbQcJbS8T4xW3UGFLWi7otipF











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Caterina63
00martedì 28 giugno 2016 11:20

  Joseph Ratzinger 65 anni dopo

"E così sul sacerdozio cattolico si abbatté la furia della critica protestante". Nell'anniversario dell'ordinazione sacerdotale del futuro Benedetto XVI, il cardinale Müller racconta la sua indomita resistenza all'offensiva dei seguaci di Lutero 

di Sandro Magister




ROMA, 28 giugno 2016 – "Nel momento in cui l’anziano arcivescovo impose le sue mani su di me, un uccellino – forse un’allodola – si levò dall’altare maggiore della cattedrale e intonò un piccolo canto gioioso. Per me fu come se una voce dall’alto mi dicesse: va bene così, sei sulla strada giusta".

Nell'autobiografia di Joseph Ratzinger c'è anche questo ricordo della sua ordinazione al sacerdozio, avvenuta 65 anni fa, il 29 giugno 1951, festa dei santi Pietro e Paolo, nel duomo di Frisinga per mano del cardinale Michael von Faulhaber.

A festeggiare la ricorrenza col papa emerito, nella Sala Clementina, c'è oggi anche papa Francesco.

Nell'occasione, è offerto a Ratzinger un volume che raccoglie 43 sue omelie, con una prefazione dello stesso Francesco, anticipata alcuni giorni fa da "la Repubblica" e da "L'Osservatore Romano":

> "Ogni volta che leggo le opere di Joseph Ratzinger…"

Il volume è edito contemporaneamente in sei lingue: in Italia da Cantagalli, negli Stati Uniti da Ignatius Press, in Germania da Herder, in Francia da Parole et Silence, in Spagna da Biblioteca de Autores Cristianos, in Polonia dall'Università Cattolica di Lublino.

Il brano che segue è tratto dall'introduzione al volume, scritta dal cardinale Gerhard L. Müller, prefetto della congregazione per la dottrina della fede e curatore dell'opera omnia di Ratzinger.

Nell'anniversario dell'ordinazione sacerdotale del futuro Benedetto XVI, il cardinale racconta la sua indomita resistenza all'offensiva dei seguaci di Lutero.

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Sacerdozio cattolico e tentazione protestante

di Gerhard L. Müller


Il Concilio Vaticano II cercò di riaprire una nuova strada verso l’autentica comprensione dell’identità del sacerdozio. Perché mai si giunse allora, all’indomani del Concilio, a una sua crisi d’identità paragonabile storicamente solo con le conseguenze della Riforma protestante del XVI secolo?

Penso alla crisi della dottrina del sacerdozio avvenuta durante la Riforma protestante, una crisi a livello dogmatico, con cui il sacerdote è stato ridotto a un mero rappresentante della comunità, mediante una eliminazione della differenza essenziale fra il sacerdozio ordinato e quello comune di tutti i fedeli. E poi alla crisi esistenziale e spirituale, avvenuta nella seconda metà del XX secolo, esplosa cronologicamente dopo il Concilio Vaticano II – ma certo non a causa del Concilio – e delle cui conseguenze noi oggi ancora soffriamo.

Joseph Ratzinger evidenzia con grande acume che, laddove viene meno il fondamento dogmatico del sacerdozio cattolico, non solo si esaurisce la fonte alla quale si può efficacemente abbeverare una vita alla sequela di Cristo, ma viene meno anche la motivazione che introduce sia a una ragionevole comprensione della rinuncia al matrimonio per il regno dei cieli (cfr. Mt 19, 12), sia del celibato quale segno escatologico del mondo di Dio che verrà, segno da vivere con la forza dello Spirito Santo, in letizia e certezza.

Se la relazione simbolica che appartiene alla natura del sacramento viene oscurata, il celibato sacerdotale diviene il relitto di un passato ostile alla corporeità e viene additato e combattuto come l’unica causa della penuria di sacerdoti. Non da ultimo, scompare poi anche l’evidenza, per il magistero e la prassi della Chiesa, che il sacramento dell’Ordine debba essere amministrato solo a uomini. Un ufficio concepito in termini funzionali, nella Chiesa, si espone al sospetto di legittimare un dominio, che invece dovrebbe essere fondato e limitato in senso democratico.

La crisi del sacerdozio nel mondo occidentale, negli ultimi decenni, è anche il risultato di un radicale disorientamento dell’identità cristiana di fronte a una filosofia che trasferisce all’interno del mondo il senso più profondo e il fine ultimo della storia e di ogni esistenza umana, privandolo così dell’orizzonte trascendente e della prospettiva escatologica.

Attendere tutto da Dio e fondare tutta la propria vita su Dio, che in Cristo ci ha donato tutto: questa e solo questa può essere la logica di una scelta di vita che, nella completa donazione di sé, si pone in cammino alla sequela di Gesù, partecipando alla sua missione di Salvatore del mondo, missione che egli compie nella sofferenza e nella croce, e che Egli ha ineludibilmente rivelato attraverso la sua Risurrezione dai morti.

Ma, alla radice di questa crisi del sacerdozio, bisogna rilevare anche dei fattori intra-ecclesiali. Come mostra nei suoi primi interventi, Joseph Ratzinger possiede fin dall’inizio una viva sensibilità nel percepire da subito quelle scosse con cui si annunciava il terremoto: e ciò soprattutto nell’apertura, da parte di tanti ambiti cattolici, all’esegesi protestante in voga negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso.

Spesso, da parte cattolica, non ci si è resi conto delle visioni pregiudiziali che soggiacevano all’esegesi scaturita dalla Riforma. E così sulla Chiesa cattolica (e ortodossa) si è abbattuta la furia della critica al sacerdozio ministeriale, nella presunzione che questo non avesse un fondamento biblico.

Il sacerdozio sacramentale, tutto riferito al sacrificio eucaristico – così come era stato affermato al Concilio di Trento –, a prima vista non sembrava essere biblicamente fondato, sia dal punto di vista terminologico, sia per quel che riguarda le particolari prerogative del sacerdote rispetto ai laici, specialmente per ciò che attiene al potere di consacrare. La critica radicale al culto – e con essa il superamento, a cui si mirava, di un sacerdozio che limitasse la pretesa funzione di mediazione – sembrò far perdere terreno a una mediazione sacerdotale nella Chiesa.

La Riforma attaccò il sacerdozio sacramentale perché, si sosteneva, avrebbe messo in discussione l’unicità del sommo sacerdozio di Cristo (in base alla Lettera agli Ebrei) e avrebbe emarginato il sacerdozio universale di tutti i fedeli (secondo 1 Pt 2, 5). A questa critica si unì infine la moderna idea di autonomia del soggetto, con la prassi individualista che ne deriva, la quale guarda con sospetto a qualunque esercizio dell’autorità.

Quale visione teologica ne scaturì?

Da un lato si osservava che Gesù, da un punto di vista sociologico-religioso, non era un sacerdote con funzioni cultuali e dunque – per usare una formulazione anacronistica – era un laico.

Dall’altro, sulla base del fatto che nel Nuovo Testamento, per i servizi e i ministeri, non viene addotta alcuna terminologia sacrale bensì denominazioni ritenute profane, sembrò che si potesse considerare dimostrata come inadeguata la trasformazione – nella Chiesa delle origini, a partire dal III secolo – di coloro che svolgevano mere “funzioni” all’interno della comunità, in detentori impropri di un nuovo sacerdozio cultuale.

Joseph Ratzinger sottopone, a sua volta, a un puntuale esame critico, la critica storica improntata alla teologia protestante e lo fa distinguendo i pregiudizi filosofici e teologici dall’uso del metodo storico. In tal modo, egli riesce a mostrare che con le acquisizioni della moderna esegesi biblica e una precisa analisi dello sviluppo storico-dogmatico si può giungere in modo assai fondato alle affermazioni dogmatiche prodotte soprattutto nei Concili di Firenze, di Trento e del Vaticano II.

Ciò che Gesù significa per il rapporto di tutti gli uomini e dell’intera creazione con Dio – dunque il riconoscimento di Cristo come Redentore e universale Mediatore di salvezza, sviluppato nella Lettera agli Ebrei per mezzo della categoria di “Sommo Sacerdote” (Archiereus) – non è mai dipeso, come condizione, dalla sua appartenenza al sacerdozio levitico.

Il fondamento dell’essere e della missione di Gesù risiede piuttosto nella sua provenienza dal Padre, da quella casa e da quel tempio in cui egli dimora e deve stare (cfr. Lc 2, 49). È la divinità del Verbo che fa di Gesù, nella natura umana che egli ha assunto, l’unico e vero Maestro, Pastore, Sacerdote, Mediatore e Redentore.

Egli rende partecipi di questa sua consacrazione e missione mediante la chiamata dei Dodici. Da essi sorge la cerchia degli apostoli che fondano la missione della Chiesa nella storia come dimensione essenziale alla natura ecclesiale. Essi trasmettono il loro potere ai capi e pastori della Chiesa universale e particolare, i quali operano a livello locale e sovra-locale.

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Preghiera fattore decisivo

 

Anticipiamo la prefazione di Papa Francesco a un’antologia di testi del suo predecessore sul sacerdozio, Insegnare e imparare l’amore di Dio (Siena, Cantagalli, 2016,  euro 19) raccolti in occasione del sessantacinquesimo anniversario di ordinazione sacerdotale di Benedetto XVI.

Ogni volta che leggo le opere di Joseph Ratzinger / Benedetto XVI mi diviene sempre più chiaro che egli ha fatto e fa «teologia in ginocchio»: in ginocchio perché, prima ancora che essere un grandissimo teologo e maestro della fede, si vede che è un uomo che veramente crede, che veramente prega; si vede che è un uomo che impersona la santità, un uomo di pace, un uomo di Dio. E così egli incarna esemplarmente il cuore di tutto l’agire sacerdotale: quel profondo radicamento in Dio senza il quale tutta la capacità organizzativa possibile e tutta la presunta superiorità intellettuale, tutto il denaro e il potere risultano inutili; egli incarna quel costante rapporto con il Signore Gesù senza il quale non è più vero niente, tutto diventa routine, i sacerdoti quasi stipendiati, i vescovi burocrati e la Chiesa non Chiesa di Cristo, ma un prodotto nostro, una ong in fin dei conti superflua.

Il sacerdote è colui che «incarna la presenza di Cristo, testimoniandone la presenza salvifica», scrive in questo senso Benedetto XVI nella lettera d’indizione dell’Anno sacerdotale. Leggendo questo volume, si vede chiaramente come egli stesso, in sessantacinque anni di sacerdozio che oggi celebriamo, abbia vissuto e viva, abbia testimoniato e testimoni esemplarmente questa essenza dell’agire sacerdotale.

Il cardinale Gerhard Ludwig Müller ha autorevolmente affermato che l’opera teologica di Joseph Ratzinger prima, e di Benedetto XVI poi, lo mette tra la schiera dei grandissimi teologi sul soglio di Pietro; come, ad esempio, papa Leone Magno, santo e dottore della Chiesa.

Rinunciando all’esercizio attivo del ministero petrino, Benedetto XVI ha ora deciso di dedicarsi totalmente al servizio della preghiera: «Il Signore mi chiama a “salire sul monte”, a dedicarmi ancora di più alla preghiera e alla meditazione. Ma questo non significa abbandonare la Chiesa, anzi, se Dio mi chiede questo è proprio perché io possa continuare a servirla con la stessa dedizione e lo stesso amore con cui ho cercato di farlo fino ad ora», ha detto nell’ultimo, commovente Angelus da lui recitato. Da questo punto di vista, alla giusta considerazione del Prefetto della Dottrina della Fede, vorrei aggiungere che forse è proprio oggi, da Papa emerito, che egli ci impartisce nel modo più evidente una tra le sue più grandi lezioni di «teologia in ginocchio».

Perché e forse soprattutto dal monastero Mater Ecclesiae, nel quale si è ritirato, che Benedetto XVI continua a testimoniare in modo ancor più luminoso il «fattore decisivo», quell’intimo nucleo del ministero sacerdotale che i diaconi, i sacerdoti e i vescovi mai devono dimenticare: e cioè che il primo e più importante servizio non è la gestione degli «affari correnti», ma pregare per gli altri, senza interruzione, anima e corpo, proprio come fa il Papa emerito oggi: costantemente immerso in Dio, con il cuore sempre rivolto a lui, come un amante che ogni momento pensa all’amato, qualsiasi cosa faccia.

Così, Sua Santità Benedetto XVI, con la sua testimonianza, ci mostra quale e il vero pregare: non l’occupazione di alcune persone ritenute particolarmente devote e magari considerate poco adatte a risolvere problemi pratici; quel «fare» che invece i più «attivi» credono sia l’elemento decisivo del nostro servizio sacerdotale, relegando così di fatto la preghiera al «tempo libero». E pregare non è nemmeno semplicemente una buona pratica per mettersi un po’ in pace la coscienza, o solo un mezzo devoto per ottenere da Dio quello che in un dato momento crediamo ci serva.
No. La preghiera, ci dice in questo libro e ci testimonia Benedetto XVI, è il fattore decisivo: e una intercessione di cui la Chiesa e il mondo — e tanto più in questo momento di vero e proprio cambio d’epoca — hanno bisogno più che mai, come il pane, più del pane. Perché pregare è affidare la Chiesa a Dio, nella consapevolezza che la Chiesa non è nostra, ma sua, e che proprio per questo egli non la abbandonerà; perché pregare significa affidare il mondo e l’umanità a Dio; la preghiera è la chiave che apre il cuore di Dio, è l’unica che riesce a ricondurre Dio sempre di nuovo in questo nostro mondo, e insieme l’unica che riesce a ricondurre sempre di nuovo gli uomini e il mondo a Lui, come il figliol prodigo a suo padre che, pieno d’amore per lui, non attende altro che poterlo riabbracciare. Benedetto non dimentica che la preghiera è il primo compito del vescovo (Atti degli apostoli, 6, 4).

E così il pregare veramente va mano nella mano con la consapevolezza che, senza la preghiera, ben presto il mondo non solo perde l’orientamento ma anche l’autentica fonte della vita: «Perché senza il legame con Dio siamo come satelliti che hanno perso la loro orbita e precipitano come impazziti nel vuoto, non solo disgregando se stessi ma minacciando anche gli altri», scrive Joseph Ratzinger, offrendoci una delle tante, stupende immagine disseminate in questo libro.

Cari confratelli! Io mi permetto di dire che se qualcuno di voi dovesse mai avere dei dubbi sul centro del proprio ministero, sul suo senso, sulla sua utilità, se dovesse mai avere dei dubbi su cosa veramente gli uomini si attendono da noi, mediti profondamente le pagine che ci vengono offerte: perché essi si attendono da noi soprattutto quello che in questo libro troverete descritto e testimoniato: che portiamo loro Gesù Cristo e che li conduciamo a lui, all’acqua fresca e viva, della quale hanno sete più di ogni altra cosa, che solo Lui può donare e che nessun surrogato mai potrà rimpiazzare; che li conduciamo alla felicità piena e vera quando più nulla li soddisfa, che li conduciamo a realizzare quel loro più intimo sogno che nessun potere potrà mai promettergli ed esaudire!

Non è un caso che l’iniziativa di questo volume — insieme a quella di dare vita molto opportunamente a una collana di libri tematici del pensiero di Joseph Ratzinger / Benedetto XVI — sia partita da un laico, il professore Pierluca Azzaro, e da un sacerdote, il reverendo padre Carlos Granados. A loro va il mio cordiale ringraziamento, augurio e sostegno per l’importante progetto, insieme al reverendo don Giuseppe Costa, direttore della Libreria Editrice Vaticana che pubblica l’opera omnia di Joseph Ratzinger.
Non e un caso, dicevo, perché il volume che oggi presento e rivolto in egual misura ai sacerdoti e ai fedeli laici; come magistralmente testimonia, tra le tante, questa pagina del libro che offro a religiosi e laici come un ultimo, accorato invito alla lettura: «Casualmente in questi giorni ho letto il racconto che il grande scrittore francese Julien Green fa della sua conversione. Scrive che nel periodo tra le due guerre egli viveva proprio come vive un uomo di oggi: si permetteva tutto quello che voleva, era incatenato ai piaceri contrari a Dio così che, da un lato, ne aveva bisogno per rendersi la vita sopportabile, ma, dall’altro, trovava insopportabile proprio quella stessa vita. Cerca vie d’uscita, allaccia rapporti. Va dal grande teologo Henri Bremond, ma la conversazione resta sul piano accademico, sottigliezze teoriche che non lo aiutano.
Instaura un rapporto con i due grandi filosofi, i coniugi Jacques e Raïssa Maritain. Raïssa Maritain gli indica un domenicano polacco. Lui lo incontra e gli descrive ancora questa sua vita lacerata. Il sacerdote gli dice: “E lei, è d’accordo a vivere così?”. “No, naturalmente no!”, risponde. “Dunque vuole vivere in modo diverso; è pentito?”. “Sì!” fa Green. E poi accade qualcosa di inaspettato. Il sacerdote gli dice: “Si inginocchi! Ego te absolvo a peccatis tuis — ti assolvo”. Scrive Julien Green: “Allora mi accorsi che in fondo avevo sempre atteso questo momento, avevo sempre atteso qualcuno che mi dicesse: inginocchiati, ti assolvo. Andai a casa: non ero un altro, no, ero finalmente ridiventato me stesso”» (Joseph Ratzinger, Opera omnia, 12, p. 781).





Caterina63
00martedì 28 giugno 2016 16:06
[SM=g1740717] [SM=g1740720] Discorso di Benedetto XVI nel 65esimo anniversario della sua ordinazione sacerdotale - Roma 28 giugno 2016


Santo Padre, cari fratelli,
65 anni fa, un fratello ordinato con me ha deciso di scrivere sulla immaginetta di ricordo della prima Messa soltanto, eccetto il nome e le date, una parola, in greco: “Eucharistómen” ( Ευχαριστούμεν ), convinto che con questa parola, nelle sue tante dimensioni, è già detto tutto quanto si possa dire in questo momento. “Eucharistómen” dice un grazie umano, grazie a tutti. Grazie soprattutto a Lei, Santo Padre!
La Sua bontà, dal primo momento dell’elezione, in ogni momento della mia vita qui, mi colpisce, mi porta realmente, interiormente. Più che nei Giardini Vaticani, con la loro bellezza, la Sua bontà è il luogo dove abito: mi sento protetto. Grazie anche della parola di ringraziamento, di tutto. E speriamo che Lei potrà andare avanti con noi tutti su questa via della Misericordia Divina, mostrando la strada di Gesù, verso Gesù, verso Dio.
Grazie pure a Lei, Eminenza [Cardinale Sodano], per le Sue parole che hanno veramente toccato il cuore: “Cor ad cor loquitur”. Lei ha reso presente sia l’ora della mia ordinazione sacerdotale, sia anche la mia visita nel 2006 a Freising, dove ho rivissuto questo. Posso solo dire che così, con queste parole, Lei ha interpretato l’essenziale della mia visione del sacerdozio, del mio operare. Le sono grato per il legame di amicizia che fino adesso continua da tanto tempo, da tetto a tetto [si riferisce alle loro abitazioni che sono in linea d’aria vicine]: è quasi presente e tangibile.
Grazie, Cardinale Müller, per il Suo lavoro che fa per la presentazione dei miei testi sul sacerdozio, nei quali cerco di aiutare anche i confratelli a entrare sempre di nuovo nel mistero in cui il Signore si dà nelle nostre mani.
“Eucharistómen”: in quel momento l’amico Berger voleva accennare non solo alla dimensione del ringraziamento umano, ma naturalmente alla parola più profonda che si nasconde, che appare nella Liturgia, nella Scrittura, nelle parole “gratias agens benedixit fregit deditque”. “Eucharistómen” ci rimanda a quella realtà di ringraziamento, a quella nuova dimensione che Cristo ha dato. Lui ha trasformato in ringraziamento, e così in benedizione, la croce, la sofferenza, tutto il male del mondo. E così fondamentalmente ha transustanziato la vita e il mondo e ci ha dato e ci dà ogni giorno il Pane della vera vita, che supera il mondo grazie alla forza del Suo amore.
Alla fine, vogliamo inserirci in questo “grazie” del Signore, e così ricevere realmente la novità della vita e aiutare per la transustanziazione del mondo: che sia un mondo non di morte, ma di vita; un mondo nel quale l’amore ha vinto la morte.
Grazie a tutti voi. Il Signore ci benedica tutti.
Grazie, Santo Padre.

www.youtube.com/watch?v=8tWli4is0pI

www.youtube.com/watch?v=o1GMxl-3qLo







[SM=g1740738]

Caterina63
00venerdì 1 luglio 2016 21:38
"Il sacerdote deve credere, prima di tutto"
di Joseph Ratzinger*

29-06-2016
Un giovanissimo padre Joseph Ratzinger

Per gentile concessione dell'editore Cantagalli pubblichiamo uno stralcio dal libro “Insegnare e imparare l'amore di Dio”, appena pubblicato in 5 lingue, che raccoglie 43 omelie tenute da Joseph Ratzinger sul tema del sacerdozio. Offriamo ai lettori della Nuova BQ un passo da un omelia del 1979 pronunciata a Monaco

"Nella Lettera scritta ai sacerdoti di tutto il mondo in occasione del Giovedì Santo, il Santo Padre parla di un uso diffusosi in molti luoghi al di là della cortina di ferro, lì dove la persecuzione ha del tutto eliminato la presenza dei sacerdoti. Tramite amici ero venuto a conoscenza già diversi anni fa di fatti simili. Lì talvolta avviene che le persone si riuniscono in una chiesa abbandonata, ovvero, se non ve ne è rimasta alcuna, in un cimitero, nel luogo dove è seppellito un sacerdote.

Mettono sull’altare, o sulla tomba, la stola e recitano insieme le preghiere della liturgia eucaristica. Al momento che corrisponde alla transustanziazione, scende un profondo silenzio, interrotto alle volte dal pianto. Il Papa, rivolgendosi a noi sacerdoti, aggiunge: "Cari fratelli, se a volte qualcuno di voi ha dei dubbi sul proprio ministero, se ha delle incertezze sul senso di esso, se pensa che sia socialmente infruttuoso o addirittura inutile, rifletta su questo. Rifletta su quanto ardentemente quegli uomini desiderano udire le parole che solo le labbra di un sacerdote possono efficacemente pronunciare.

Su quanto vivamente desiderano ricevere il Corpo del Signore; su quanto ansiosamente attendono che qualcuno possa dire loro: “Io ti assolvo dai tuoi peccati!” In questa “Eucaristia di desiderio” – nella quale gli uomini, nella loro solitudine, si protendono nella preghiera verso il Signore, a cui, nel loro desiderio vanno incontro e così sono in comunione con la Santa Chiesa e perciò con Lui stesso – in questa “Eucaristia di desiderio” avviene la testimonianza della Chiesa viva, la testimonianza della nascosta vicinanza del Signore e la testimonianza di ciò che significa il sacerdozio.

Davanti a questa umiltà della fede, come appare angusta la soluzione di alcuni teologi secondo i quali, in caso di necessità, chiunque potrebbe pronunciare le parole della consacrazione. In una simile “Eucaristia di desiderio” c’è certamente molta più presenza del Signore che in un’arbitrarietà che pretende fare anche di Cristo e della Chiesa un prodotto nostro. Nessun uomo può avere l’audacia di usare a suo piacimento l’io di Cristo come fosse l’io suo proprio senza bestemmiarlo. Nessuno, da sé, può dire: “Questo è il mio corpo”; “Questo è il mio sangue”; “Ti assolvo dai tuoi peccati”.

Eppure di queste parole abbiamo bisogno come del pane quotidiano. E dove esse non vengono più pronunciate, il pane quotidiano diviene insipido e le conquiste sociali vuote. È questo il dono più profondo e insieme più entusiasmante del ministero sacerdotale, quello che solo il Signore stesso può dare: il dono di riferire le sue parole non solo come parole del passato, ma di parlare con il suo io qui e ora, di agire in persona Christi; di rappresentare la persona di Cristo, com’è detto nella liturgia. In fin dei conti, da qui è possibile desumere tutta l’essenza dell’agire sacerdotale e il compito della vita sacerdotale.

E non c’è dubbio che queste parole rimangono efficaci anche quando un sacerdote le contraddice con la sua vita, proprio perché dipendono dall’io di Gesù Cristo e non da quello dell’uomo. Non è l’uomo a rimettere i peccati, ma Lui. Non è reso presente il corpo di questo o di quello, ma il Suo. Ma allo stesso tempo è chiaro che noi non possiamo proferire tali parole senza che esse reclamino la nostra stessa vita, senza che esse esigano la nostra profonda corrispondenza a quello che diciamo.

Perché se interiormente vivessimo in modo contrario a quello che rappresentiamo, dobbiamo essere condannati. Colui che può pronunciare con la sua bocca l’io di Gesù Cristo, innanzitutto perciò deve crederci. Il sacerdote deve essere in primo luogo un credente. È questo il cuore di tutto il suo agire, e se questo manca, più niente è vero. Certo, può continuare una certa attività di routine, ma le viene a mancare l’essenziale, la Chiesa diviene un’associazione per il tempo libero, e diviene superflua. 

*Benedetto XVI Pontefice emerito della Chiesa Cattolica





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