5 settembre Benedetto XVI visita Carpineto Romano per venerare Leone XIII

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Caterina63
00venerdì 3 settembre 2010 12:29

                              

Domenica 5 settembre: Visita Pastorale a Carpineto Romano in occasione del 2° centenario della nascita di Papa Leone XIII.





L'anno di Leone XIII. Riflettiamo sull'enciclica "Aeterni Patris" aspettando la visita di Benedetto XVI a Carpineto Romano

pubblicata da Massimo Introvigne il giorno venerdì 3 settembre 2010




Domenica 5 settembre Benedetto XVI sarà a Carpineto Romano per celebrare il bicentenario della nascita di Leone XIII (1810-1903).

Nonostante gli appelli del Papa perché sia ricordato l'"anno di Leone XIII" per il momento, al di là di un paio di convegni per gli addetti ai lavori, non è successo nulla.

L'Italia aspetta con molto maggiore interesse per il 5 settembre il discorso di Gianfranco Fini che quello del Papa su Leone XIII, il che è a suo modo un segno dei tempi (tristi).

Un aspetto fondamentale, già accennato da Benedetto XVI nella "Caritas in veritate", è che il magistero di Leone XIII NON SI RIDUCE all'enciclica Rerum novarum del 1891 sulla questione operaia.
 
Per quanto questa enciclica sia importante, essa non può essere compresa se non nel quadro del complessivo magistero di Leone XIII. «I vecchi politici cattolici – notava nel 1977 il filosofo italiano Augusto Del Noce (1910-1989), nel cui pensiero a sua volta Leone XIII gioca un ruolo essenziale – leggevano la Rerum novarum come se fosse isolabile dall’insieme del Corpus Leonianum [cioè dall'insieme delle encicliche di Leone XIII];  coerentemente i nuovi, portando alle conseguenze ultime il difetto di questa linea, hanno del tutto trascurato di leggerla».
 
L’oblio della Rerum novarum è avvenuto, proseguiva Del Noce, «diciamo pure con ragione, perché scissa dal suo fondamento filosofico, dal contesto delle nove encicliche essenziali, e in particolare dall’Aeterni Patris, è destinata a perdere significato». In realtà. occorre leggere almeno le nove encicliche principali di Leone XIII (che di encicliche ne scrisse ben 86) non in ordine cronologico ma nell’ordine che il Papa stesso ha suggerito nell’enciclica Pervenuti all’anno vigesimo quinto del 19 marzo 1902, pubblicata per il venticinquesimo anniversario della sua elezione a Pontefice.

Nell’enciclica il papa ricorda nell’ordine «le [sue] Encicliche sulla filosofia cristiana [Aeterni Patris, 1879], sulla libertà umana [Libertas, 1888], sul matrimonio cristiano [Arcanum Divinae Sapientiae, 1880], sulla setta dei Massoni [Humanum genus, 1884], sui poteri pubblici [Diuturnum, 1881], sulla costituzione cristiana degli Stati [Immortale Dei, 1885], sul socialismo [Quod apostolici muneris, 1878], sulla questione operaia [Rerum novarum, 1891], sui principali doveri dei cittadini cristiani [Sapientiae Christianae, 1890]».

L'enciclica sulla filosofia è dunque la premessa di tutto il resto. Prendendo sul serio Benedetto XVI, dovremmo dunque iniziare a studiare Leone XIII dalla Aeterni Patris. Secondo Étienne Gilson (1884-1978), forse il maggiore storico della filosofia cattolico nel secolo XX, con questa enciclica «Leone XIII prende posto nella storia della Chiesa come il più grande filosofo cristiano del secolo XIX e uno dei più grandi di tutti i tempi». Tutto il Corpus Leonianum è retto dalla Aeterni Patris, perché prima occorre definire il metodo e poi applicarlo: «i programmi di riforma sociale suppongono effettuata questa prima riforma intellettuale, condizione di tutte le altre».

Per studiare la Aeterni Patris disponiamo ora di una guida importante, un intervento di mons. Mario Pangallo a uno dei (pochi) convegni celebrativi del centenario di Leone XIII, tenuto il 2 marzo 2010 all'Università Lateranense. Trascrivo dunque e invito a studiare il testo di mons. Pangallo che mostra anche il rapporto di Leone XIII con il padre gesuita Luigi Taparelli d'Azeglio (1793-1862), fratello "buono" di Massimo d'Azeglio (1798-1866) ed esponente della scuola contro-rivoluzionaria particolarmente caro ad Alleanza Cattolica.



Segue il testo di mons. Pangallo:

«Prima di diventare Papa, Leone XIII è stato uno dei protagonisti di un movimento rinnovatore della filosofia cristiana iniziato nella prima metà del xix secolo. La compagnia di Gesù, appena ricostituita,l'ordine domenicano e alcuni esponenti del clero secolare e del laicato cattolico, si adoperarono con grande impegno e zelo in Italia e in Europa, per riprendere lo studio di san Tommaso, in un contesto culturale caratterizzato dal razionalismo, dall'empirismo e dall'idealismo; le stesse scuole cattoliche e di formazione dei chierici si servivano di manuali di filosofia ispirati al razionalismo settecentesco o all'eclettismo, non valorizzando, se non in scarsa misura, il patrimonio culturale della patristica e della scolastica.

Proprio dagli studi filosofici doveva prendere avvio il movimento rinnovatore neotomista. Nella seconda metà del xix secolo il movimento fu appoggiato in modo significativo da Pio ix, che desiderava fortemente combattere gli errori del cartesianismo, del tradizionalismo e dell'ontologismo, e per questo incoraggiò e protesse illustri neotomisti come i gesuiti Domenico e Serafino Sordi, Luigi Taparelli d'Azeglio, Carlo Maria Curci, Matteo Liberatore, Giovanni Cornoldi, e altri padri de "La Civiltà Cattolica" e del Collegio romano (oggi Pontificia Università Gregoriana); i domenicani Tommaso Zigliara e Alberto Lepidi; i professori del Seminario romano Pietro Biondi, Francesco Regnani e Ermete Binzecher; gli esponenti della scuola napoletana Gaetano Sanseverino, Nunzio Signoriello, SalvatoreTalamo, e così via.

Molteplici furono i documenti e gli interventi ufficiali di Pio ix, che incontrarono l'entusiasta accoglienza da parte di illustri esponenti della cultura cattolica, tra cui i fratelli Gioacchino e Giuseppe Pecci. Giuseppe Pecci, entrato nella compagnia di Gesù nel 1824, professore di filosofia nel Collegio romano e successivamente nel Seminario di Perugia, fu nominato da Pio ix professore alla Sapienza di Roma, per i suoi meriti negli studi tomistici che egli aveva intrapreso e approfondito su influsso del padre Serafino Sordi, conosciuto a Modena nel 1830. L'altro Pecci, Gioacchino, il futuro Leone XIII, arcivescovo di Perugia dal 1846 e divenuto cardinale nel 1853, imparò ad apprezzare il tomismo al Collegio romano, quando era studente negli anni 1825-1828, ed era rettore magnifico padre Taparelli d'Azeglio, che gli procurò la nomina di ripetitore di filosofia nel Collegio germanico.

Lo stesso Pecci, divenuto Papa Leone XIII, volle ricordare, nella prima udienza concessa al Collegio germanico, gli studi fatti nel Collegio romano sotto la guida di padre Taparelli. Già da arcivescovo di Perugia, Papa Pecci aveva fondato nel 1872 un'Accademia Tomistica, avvalendosi della collaborazione del fratello Giuseppe, dei consigli di padre Sordi, del contributo del padre Joseph Kleutgen e del padre Cornoldi; quest'ultimo, che nel 1874 aveva promosso l'Accademia filosofica-medica di san Tommaso, fu chiamato a Roma da Leone XIII per dare impulso alla nuova accademia e al rinnovamento tomistico.

Al momento della sua elezione a Successore di Pietro, nel 1878, Papa Pecci si circondò dei più validi tomisti dell'epoca e, dopo appena un anno e mezzo dall'inizio del pontificato, il 4 agosto 1879, pubblicò l'enciclica Aeterni Patris, che fu seguita da altri importanti documenti, tra cui la lettera Iampridem, indirizzata il 15 ottobre 1879 al cardinale Antonio De Luca, prefetto della Sacra Congregazione degli Studi, nella quale manifestava il proposito di fondare la Pontificia Accademia di san Tommaso; l'accademia fu inaugurata effettivamente l'8 maggio 1880, e ne furono presidenti i cardinali Giuseppe Pecci e Tommaso Zigliara. Nella preparazione dell'Aeterni Patris Leone XIII aveva un suo preciso concetto di filosofia cristiana, anche se nell'enciclica l'espressione "filosofia cristiana" non compare mai. Il Papa usa esplicitamente questa espressione nella già menzionata lettera Iampridem al cardinale De Luca.

Nell'Aeterni Patris è comunque chiaro che tra filosofia e intellectus fidei l'armonia è perfetta. Afferma il Papa:  "(San Tommaso) distinse accuratamente, come si conviene, la ragione dalla fede; ma stringendo l'una e l'altra in amichevole consorzio, conservò interi i diritti di entrambe e intatta la loro dignità" (86). Nello spirito dell'enciclica leoniana, si può parlare di quattro funzioni della filosofia a servizio della teologia cristiana:  propedeutica, pedagogica, critica e apologetica.

La filosofia, infatti, si qualifica come cristiana  principalmente  sotto  quattro aspetti:  in quanto dimostra i praeambula fidei - per esempio l'esistenza di Dio, l'immortalità dell'anima, l'esistenza della legge morale naturale; in quanto fornisce alla teologia la forma "scientifica", ovvero le leggi logiche e i sistemi di argomentazione; in quanto aiuta la teologia ad approfondire il significato delle formulazioni delle verità di fede nel senso della famosa formula agostiniana e anselmiana intellectus quaerens fidem, fides quaerens intellectum; in quanto difende la fede da eventuali attacchi, di natura filosofica, portati contro di essa - per esempio dallo scetticismo, dal relativismo, dall'edonismo, e così via.

Da parte sua la fede cristiana eleva l'intelletto in cui viene infusa, potenziandone la capacità di penetrare nella natura delle cose; arricchisce anche contenutisticamente la ragione, facendole conoscere verità soprannaturali al di fuori della sua portata; la aiuta a liberarsi da eventuali errori nell'ambito delle verità naturali, secondo l'insegnamento del concilio Vaticano i, citato da Leone XIII:  Fides rationem ab erroribus liberat et tuetur eamque multiplici cognitione instruit (67). Secondo il Papa la fede cristiana nulla toglie alla dignità e all'autonomia della ricerca scientifica e filosofica, ma indica alla ragione la giusta direzione e la giusta meta, lasciando poi alla libera ricerca il compito di trovare le vie più rapide e adeguate per incamminarsi verso di essa e per raggiungerla.

Le caratteristiche della filosofia cristiana secondo Leone XIII sono allora essenzialmente quattro:  è immutabile nelle verità fondamentali, ma si aggiorna continuamente nel dialogo con le diverse culture; ha una sua fisionomia e identità, storica e teoretica, ma è anche aperta ad approfondire temi nuovi ed accogliere nuovi suggerimenti provenienti da altre correnti di pensiero, secondo la celebre formula dell'Aeterni PatrisVetera novis augere et perficere; ha il compito di unificare il sapere e le stesse scienze, pur nel rispetto dello statuto epistemologico di ognuna; questione oggi più che mai attuale - basti pensare, per esempio, all'ultimo Husserl. A tal proposito leggiamo nell'enciclica:  "Tutte le discipline umane devono sperare di progredire e attendersi moltissimi aiuti da questo rinnovamento della filosofia che noi ci siamo proposti:  infatti le scienze e le arti liberali hanno sempre tratto dalla filosofia, come da scienza moderatrice di tutte, la saggia norma e il retto modo di procedere, e dalla stessa, come dalla sorgente universale della vita, hanno attinto lo spirito che alimenta" (103).

È generatrice di civiltà, perché tutela la dignità della persona umana e afferma il primato del diritto naturale su ogni ordinamento giuridico positivo; e anche questo è un tema di scottante attualità. Si può dire, in sintesi, che per Leone XIII la filosofia cristiana:  a) "storicamente" è stata iniziata dai Padri e perfezionata soprattutto da san Tommaso per protendersi nei secoli; b) "strutturalmente" è una ricerca di stretto procedimento razionale, svolta in perpetuo accordo con la fede; c) "funzionalmente" eleva il tempio della teologia e nel suo interno si rinvigorisce accettando dati rivelati che sottopone a indagine razionale e si immunizza dagli errori guardando alla stella polare della fede; d) "vitalmente" è in continuo sviluppo, essendo per natura una ricerca progressiva della verità naturale incarnata nelle cose.

Con l'Aeterni Patris Leone XIII può dunque essere considerato uno dei più grandi promotori del movimento di ripresa del tomismo, muovendosi su due versanti:  la denuncia della valanga dei nuovi errori che nei tempi moderni particolarmente si è scagliata contro le basi della fede; l'incoraggiamento a riprendere, con urgenza, la filosofia cristiana. Per illustrare la ricchezza della filosofia maturata nella tradizione culturale cristiana, l'enciclica ripercorre rapidamente il cammino storico della patristica e della scolastica, seguendo uno schema ripreso dal quarto capitolo dell'enciclica Fides et ratio di Giovanni Paolo ii. È interessante notare la continuità affermata da Leone XIII tra patristica e scolastica:  il che si oppone ad erronee riletture della storia del cristianesimo secondo le quali la scolastica rappresenta una decadenza rispetto alla patristica; il pregiudizio, evidentemente infondato, è purtroppo oggi assai diffuso, e condiziona il modo di proporre il pensiero cristiano nell'insegnamento filosofico e teologico.

La maggior parte dell'Aeterni Patris è dedicata a celebrare la grandezza e la perenne novità della filosofia tomista (cfr. Fides et ratio, 43-44); secondo Leone XIII "la via maestra per ritrovare la verità perduta è il ritorno alla filosofia di s. Tommaso". Questo "ritorno" non ha il significato di pedissequa ripetizione delle dottrine tomistiche - che tuttavia bisognerebbe conoscere in modo approfondito - quanto il significato squisitamente teoretico di "ritorno al fondamento", ovvero di recupero delle istanze più profonde e autentiche del pensiero metafisico e della filosofia dell'Atto d'essere, in cui si illumina la Verità del mondo e dell'uomo (cfr. Fides et ratio, 83 e 97).

I suggerimenti di Leone XIII per una feconda riscoperta del tomismo sono: 
1) reinterpretare le grandi questioni della filosofia speculativa e pratica ad mentem Thomae, preoccupandosi di giungere a una corretta comprensione del pensiero del Dottore Angelico;
2) studiare san Tommaso nelle sue fonti. Circa il primo suggerimento, scrive Leone XIII nell'Aeterni Patris:  "Vivamente vi esortiamo a rimettere in uso la sacra dottrina di san Tommaso e di diffonderla il più ampiamente possibile, a tutela e onore della fede cattolica, per il bene della società, per l'incremento di tutte le scienze. Diciamo la dottrina di san Tommaso; infatti se dai filosofi scolastici qualcosa è insegnato con poca considerazione, se ve n'è qualcun'altra che non si accordi pienamente con gli insegnamenti certi dei tempi più recenti, o se ve n'è qualcuna non meritevole di essere accettata, non intendiamo che sia proposta al nostro tempo perché la segua" (106).
 
Circa il secondo suggerimento:  "E per non trovarsi ad attingere la dottrina supposta invece di quella genuina, né la corrotta invece della sincera, provvedete che la sapienza di san Tommaso sia scoperta dalle sue stesse fonti, o per lo meno da quei rivi, che usciti dalla stessa fonte, scorrono ancora puri e limpidissimi, secondo il sicuro e concorde giudizio dei dotti. Da quei ruscelli poi, che pur si dicono sgorgati da là, ma di fatto sono cresciuti in acque estranee per niente salutari, procurate di tenere lontani gli animi dei giovani" (108). Ignorare o, di più, contrastare queste indicazioni, guidati dalla convinzione che non c'è bisogno di un solido riferimento a una ben precisa filosofia dell'essere e dell'uomo come quella di san Tommaso, perché c'è del buono in tante altre filosofie di ispirazione cristiana, comporta il rischio di un insano eclettismo, apertamente rifiutato da Giovanni Paolo ii nella Fides et ratio (86).

Altro è valorizzare contributi filosofici oggettivamente arricchenti "il patrimonio filosofico perennemente valido" (cfr. Optatam totius 15), inserendoli in esso in modo armonico, coerente e sistematico, altro è ridurre la filosofia ad un insieme di scuole in ognuna delle quali si può trovare qualcosa di valido, senza alcuna prospettiva teoreticamente stutturata, con grave danno per la formazione filosofica e teologica dei giovani. Considerando l'attuale dilagare del cosiddetto "pensiero debole", si direbbe che Leone XIII sia stato buon profeta. In modo superficiale, e con pregiudizi soprattutto di matrice storicista o esistenzialista, molti considerano il neotomismo come filosofia datata e tramontata, senza però portare, a giudizio di chi scrive, ragioni veramente valide dal punto di vista speculativo.

Leone XIII sembra essere stato buon profeta anche nell'intravedere la sempre maggiore importanza del dialogo tra la filosofia cristiana e le scienze moderne; egli scrive infatti a tale riguardo:  "Per lo stesso motivo anche le scienze fisiche, che attualmente sono molto in auge e, per le loro numerose e splendide scoperte, suscitano dovunque singolare ammirazione, non solo non subiranno alcun danno dalla restaurata filosofia degli antichi, ma anzi ne trarranno grande vantaggio. Infatti per studiarle con frutto e per approfondirle non basta la sola osservazione dei fatti e la sola considerazione della natura, ma una volta che i fatti siano sicuri è necessario sollevarsi più in alto e darsi da fare con sollecitudine per conoscere la natura delle cose, per investigare le leggi a cui obbediscono e i principi da cui nasce il loro ordine, l'unità nella verità e la mutua affinità nella diversità.

È meraviglioso vedere quanta forza e quanta luce possa portare la filosofia scolastica a questo tipo di investigazioni, purché insegnata saggiamente" (104). Concludendo, penso che il merito dell'Aeterni Patris sia di aver posto un "pensatore essenziale" come san Tommaso al centro dell'attenzione della cultura cattolica, stimolandola a riprendere le grandi questioni teoretiche di fondo, senza disperdersi nelle dispute di scuola e senza limitarsi alla ripetizione dei manuali, che pure hanno la loro utilità. Per Leone XIII Tommaso, è il "pensatore essenziale" in cui la filosofia cristiana ha trovato la sua massima, anche se non esclusiva, espressione (cfr. Fides et ratio 57-59).

Purtroppo l'appello del grande pontefice oggi non sembra compiutamente accolto:  un po' alla volta la cultura cattolica rischia di tornare nell'eclettismo precedente l'Aeterni Patris; per timore di essere accusati di voler ridurre la filosofia cristiana al solo tomismo, si propongono itinerari di formazione intellettuale privi di una vera e propria linea di pensiero e incapaci di costruire un sapere sistematico, a cui, anzi, si è piuttosto ostili, perché si è convinti che sapere "sistematico" e sapere "problematico" siano totalmente incompatibili. Ora l'insegnamento della migliore scolastica è proprio quello di unire sistematicità e problematicità; in fondo le sistematiche Summae erano un insieme ordinato di quaestiones disputatae.

Additando san Tommaso quale "maestro" nella formazione teologica (così il concilio Vaticano ii in Optatam totius 16), la Chiesa non ha inteso imporre un ritorno indietro o un'autorità che coartasse la creatività, ma ha inteso presentare una attuazione incomparabile della creatività del pensiero, la quale, attingendo alle ultime radici dell'essere e dello spirito, è in grado più di qualsiasi altra di riportare la coscienza umana sul suo itinerario essenziale, aperto alla rivelazione divina. E se il pensiero moderno non riesce a uscire dall'immanentismo se non mediante proposte irrazionalistiche o fideistiche, il messaggio di Leone XIII nella Aeterni Patris ha il valore, sempre presente, di un monito e di un incoraggiamento.

(L'Osservatore Romano - 1-2 marzo 2010)»


Caterina63
00venerdì 3 settembre 2010 12:32
Caterina63
00sabato 4 settembre 2010 19:49
Domenica 5 settembre Benedetto XVI in visita a Carpineto Romano
per onorare la memoria di Leone XIII nel secondo centenario della nascita

La continuità di una missione
al servizio della Chiesa e dell'umanità


di Lorenzo Loppa
Vescovo di Anagni-Alatri

La visita di Benedetto XVI a Carpineto Romano in occasione del bicentenario della nascita di Leone XIII era un sogno coltivato in segreto da tante persone. Dunque dal primo momento dell'annuncio dell'arrivo del Papa, dato sia nella cattedrale di Anagni sia a Carpineto il giorno dell'Immacolata dello scorso anno, gioia ed entusiasmo, sorpresa e soddisfazione hanno fatto da sfondo al cammino della diocesi di Anagni-Alatri e, soprattutto, alla vita del piccolo centro ai piedi dei Monti Lepini che ha dato i natali al "Papa delle cose nuove".

La visita apostolica di Benedetto XVI è una grazia straordinaria e un dono inatteso a cui non solo Carpineto, ma tutta la diocesi si è preparata con fervore, impegno e amore. Momenti di preghiera, celebrazioni, convegni e altre iniziative stanno offrendo spessore all'"Anno leoniano" che ho avuto modo di indire all'inizio della Quaresima di quest'anno proprio per celebrare il bicentenario della nascita di Papa Pecci.

Nella ormai tradizionale lettera di inizio di Quaresima del 17 febbraio scorso così mi rivolgevo alla diocesi:  "La Quaresima di quest'anno ci regala anche il ii centenario della nascita di Leone XIII, il Papa "delle cose nuove", nostro grande conterraneo, che ebbe i natali il 2 marzo 1810 a Carpineto Romano.

Per tale occasione abbiamo ricevuto un dono straordinario, in quanto Benedetto XVI ha benevolmente disposto di visitare Carpineto il 5 settembre di quest'anno. È vero, la visita del Papa sarà limitata solo alla cittadina lepina, ma Benedetto XVI a Carpineto incontrerà tutta la nostra diocesi. Allora dobbiamo preparare bene questo evento. Tutte le iniziative, le proposte e i percorsi diocesani è opportuno che convergano verso tale appuntamento. Sicuramente ci darà una mano l'Anno leoniano che indico fin da questo momento e che si distenderà dal 2 marzo 2010 al 2 marzo 2011. Un anno che prevede una serie di iniziative volte a riscoprire, per apprezzarne il significato attuale, la figura di Leone XIII, il suo servizio alla Chiesa nella Sede di Pietro, il suo ricco magistero su molti contenuti della vita cristiana e, soprattutto, in ordine alla formazione del clero; all'educazione dei giovani, con la responsabilità primaria della famiglia; all'annuncio del Vangelo, che deve diventare lievito per una società umana da plasmare nella carità e nella verità, da costruire nell'amore che prende luce dalla ragione e dalla fede".

La visita del Papa segna il vertice di quest'anno dedicato al ricordo di Leone XIII, all'approfondimento dei suoi insegnamenti e alla riscoperta del suo straordinario servizio alla Chiesa e all'umanità.

La piccola comunità di Carpineto vide nascere tra i suoi figli Vincenzo, Gioacchino, Raffaele, Luigi Pecci che il 20 febbraio 1878, a poco meno di sessantotto anni, venne chiamato al ministero petrino con il nome di Leone XIII. Il disegno di Dio e da sua Provvidenza, come per ogni stagione della storia, seppero garantire alla Chiesa, in un momento particolarmente tormentato e difficile, una guida sicura ed illuminata. Papa Leone fu un pastore che si studiò di andare incontro al "nuovo" che avanzava e alla modernità che bussava alla porta senza pronunciare condanne, con fermezza di principi, con chiarezza di pensiero e, soprattutto, con una buona dose di mansuetudine verso la società del suo tempo.

Benedetto XVI viene a Carpineto per onorare la memoria di Leone XIII, per aiutarci ad apprezzare di più il suo servizio alla Chiesa come successore di Pietro in tempi difficili e il suo importante magistero in ordine ai temi attuali della vita cristiana. Verrà a confermarci nella fede, a rendere più solida la nostra speranza e più vivace la nostra testimonianza a Cristo Risorto, Signore della storia e speranza del mondo. Il Pontefice incontrerà una diocesi piccola, ma vivace nelle sue 56 parrocchie e tre foranie, Anagni-Alatri-Fiuggi; nelle sue comunità religiose maschili e femminili - tra le quali tre i monasteri:  delle Carmelitane di Carpineto, delle Clarisse di Anagni e delle Benedettine dell'Adorazione perpetua di Alatri -; nelle sue Confraternite, più di quaranta, e nelle altre aggregazioni, tra cui l'Azione Cattolica presente in più di metà delle parrocchie.

La diocesi è ricca di una fede antica. Nonostante il diffondersi del secolarismo essa conserva delle buone radici nel cuore della gente, specialmente nelle zone ancora segnate da forti tradizioni religiose. Accanto ad una religiosità caratterizzata da un andamento di tipo devozionale, in molte parrocchie ci sono tante persone in ricerca, che esprimono una coscienza battesimale abbastanza solida. Sono cristiani, uomini e donne, disponibili a crescere nella fede e a coinvolgersi con responsabilità in un cammino comunitario.

Tra le forme di devozione popolare, merita una robusta sottolineatura quella alla Santissima Trinità nel santuario di Vallepietra che, dal 1° maggio al 2 novembre di ogni anno, è meta di un grandissimo numero di pellegrini, circa 400.000.

Tanta gente e tanta devozione costituiscono un'ottima occasione di evangelizzazione. Una menzione particolare merita la presenza ad Anagni del Pontificio Collegio Leoniano, fondato da Leone XIII stesso. Si tratta del seminario regionale delle diocesi suburbicarie e del Lazio Sud, tredici Chiese particolari. Un'istituzione dalla ricca tradizione che veicola sul territorio un patrimonio prezioso di ricchezze spirituali, competenze teologiche ed energie pastorali. La diocesi è impegnata in un cammino di rinnovamento pastorale in sintonia con le altre diocesi italiane.
 
La presenza e la parola del Papa ci metterà in grado di rispondere meglio, e con più autenticità evangelica, alle sfide che "il mondo che cambia" ci propone e, soprattutto, alla sfida educativa per la formazione cristiana delle nuove generazioni. Comunicare la fede agli uomini e alle donne di domani, educare al Vangelo e alla vita buona ragazzi e giovani è il più sicuro investimento per il futuro. Ho chiamato più volte l'educazione "il capolavoro della speranza", perché chi vi pone mano lavora per il futuro senza trascurare il presente. Chi educa custodisce nel cuore una grande fiducia nella bontà della vita.

Chi educa compie un capolavoro, perché collabora all'opera della creazione e plasma con Dio l'umana esistenza. Per porre mente e cuore a questa difficile impresa occorrono adulti titolari di autorevolezza, competenza, coerenza. E questo sia tra i pastori che tra i fedeli. Tutti - famiglie, catechisti, insegnanti, guide delle comunità ecclesiali - dalla visita del successore di Pietro attingeremo sicuramente coraggio ed entusiasmo per l'avventura educativa.

Ho già ricordato come da alcuni mesi ci stiamo preparando all'incontro con Benedetto XVI soprattutto con le iniziative proposte nell'ambito dell'Anno leoniano. Ma la preparazione più bella e più importante è quella spirituale. È importante che tutti, pastori e fedeli, imbocchiamo decisamente la strada della conversione e del rinnovamento della vita con l'ascolto cordiale della Parola; con la preghiera e la celebrazione della riconciliazione e dell'Eucaristia; con un'esistenza coerente con il Vangelo, in cui la qualità e la bellezza della testimonianza esercitino un fascino contagioso per tutti, ma, in modo particolare, per i ragazzi e i giovani cui sarà dedicato in maniera peculiare il prossimo segmento decennale del cammino di tutte le Chiese che sono in Italia.



(©L'Osservatore Romano - 5 settembre 2010)

Caterina63
00sabato 4 settembre 2010 19:52

Le campane di Papa Pecci


di Gualtiero Bassetti
Arcivescovo di Perugia-Città della Pieve

Dal suo Leone vigile, generoso e arguto, il gregge perugino non s'è, in fondo, mai separato; né lui da loro. Lo si constata risalendo, non solo nella storia e nella tradizione, ma anche lungo il corso del Tevere:  da più d'un campanile della diocesi, si sente ancora la Leona o la Leonia diffondere il caratteristico rintocco limpido e solenne, riservato alle grandi occasioni.

Era di solito la campana maggiore:  la intitolavano dal nome del "loro Papa" le singole parrocchie, per gratitudine e fierezza, quando veniva installata o fusa, perché si trattava, quasi sempre, di un dono suo.

Al tempo di Gioacchino Pecci, vescovo di Perugia dal 1846, e dal 1878 papa Leone XIII, in diocesi fu tutto un fiorire di ricognizioni, restauri e ricostruzioni, sia degli edifici sacri sia del tessuto delle comunità - opera già iniziata, specialmente quest'ultima, dal rigoroso episcopato del ternano Carlo Filesio Cittadini. Dal canto suo, Gioacchino Pecci aveva conosciuto Perugia come delegato pontificio all'inizio degli anni quaranta, dedicandole una particolare cura anche dal punto di vista sociale e urbanistico nonostante il breve lasso di tempo; quando ne divenne il pastore, la ritrovò con gioia e ne approfondì volentieri la conoscenza, sia in termini affettivi sia canonici, da uomo colto e aperto qual era, reso più attento dall'esperienza internazionale.

La visitò più volte accuratamente nelle oltre centocinquanta parrocchie, coinvolgendo in ciò numerosi membri del clero diocesano - che in tal modo intendeva educare e valorizzare e ai quali in seguito affidò incarichi nella Chiesa universale:  da Giulio Boschi a Gabriele Boccali, da Luigi Rotelli a Francesco Satolli. Ne fanno fede le dense visite pastorali, sostenute da un nutrito carteggio. Pecci fu atteso con una reverenza screziata di affetto e corrispondente alla sua fama dai più stretti collaboratori, anche laici, con i quali instaurò da subito un fecondo rapporto di stima e fiducia:  a cominciare da Lorenzo Silvestrini, erede di una dinastia di cancellieri che avrebbe dato ulteriori notai alla curia. Tutto ciò fa sentire anche a me, vescovo di questa stessa Chiesa, l'onore, la dolcezza e la responsabilità di quell'abbraccio, lo stesso del defensor civitatis sant'Ercolano che - raffigurato dal Maestro di Montelabate - stringe idealmente al cuore la città.

E tutto il territorio. Proprio durante le visite alla diocesi, il vescovo Pecci si rese conto delle condizioni in cui versava la maggior parte delle chiese, soprattutto del contado, bisognose di essere ricostruite, del tutto o in parte; e provvide, incoraggiando e stimolando le parrocchie stesse a "crescere", oltre a non far mancare il proprio contributo anche da Papa. Ecco perché si parla oggi delle "chiese leonine".

Le visite però non gli servirono solo a verificare le condizioni degli edifici. Lo si sarebbe capito, a livello macroscopico, dalla Rerum novarum e da molte altre encicliche, che hanno radici perugine; e dalla rivalutazione della pietà popolare, nelle forme mariane e nella devozione al Sacro Cuore di Gesù e ai santi, a cominciare da san Giuseppe, proposto come modello per i padri di famiglia e i lavoratori. La sopravvivenza in diocesi di un colorito ricordo di Pecci, anche a livello aneddotico, rivela la simpatia popolare, la quale, non essendo mai "dovuta", è chiaro segnale di penetrazione. Dopo l'elezione a Papa, vi fu un flusso praticamente continuo in Vaticano per incontri, pellegrinaggi, udienze:  tra giubilei e anniversari, i perugini non  si  lasciarono  sfuggire  un'occasione.

Tutto ciò narra con calore - si direbbe complicità - "Il Paese". Il settimanale era stato fondato nel 1876 dal "pupillo" del vescovo Pecci, don Geremia Brunelli. Pupillo, ecco in che senso:  nominato professore in seminario, una volta gli capitò di recarsi in aula con lieve ritardo, per trovare lo stesso Pecci seduto a far lezione al posto suo. Il seminario:  questo sì era considerato dal vescovo la "pupilla" dei suoi occhi. Lo stesso Brunelli, in una biografia mista a ricordi, ne narra la riforma - con l'accento posto sul versante scientifico e sulla letteratura italiana classica e contemporanea - e i metodi, che si condivano di prossimità costante, fatta anche di certami poetici e gite in barca sul lago Trasimeno.

Lo stesso Pecci si occupava della formazione culturale e spirituale dei suoi chierici, che voleva perfettamente allenati a mediare la dottrina della Chiesa presso tutte le classi sociali, dalle più sofisticate alle più umili. E forse proprio gli umili continuarono più assiduamente a seguirlo:  affezionati a Papa Pecci, certo; ma, tramite lui, al Papa. Iniziative come quelle del parroco di Ponte Pattoli, che fondò il circolo giovanile "Leone XIII" (poi confluito nell'Azione Cattolica) e lottò perché fosse applicata la dottrina sociale della Rerum novarum, e la lapide posta dal parroco di Tisciano a una edicola mariana con il monito di Benedetto xv contro la guerra come "inutile strage", proprio per il loro situarsi ai margini del territorio sono segni di una diffusa e durevole matrice ecclesiale.
 
Nel 1903, la morte del Papa fu per molti perugini un lutto dolorosissimo, nonostante la tarda età del grande "simbolo". Tale era infatti divenuto. E proprio per questo, il rapporto tra la peruginità e il papato inaugurò con Pecci una nuova stagione, che non si chiuse con la morte di lui. "Il Paese" continuò a seguire fedelmente il Papa, che adesso era Pio X, e così fece, negli anni seguenti, il Bollettino Ecclesiastico. attraverso quelle pagine umili, all'inizio povere anche riguardo alla qualità della carta, che scorrono sotto i nostri occhi, oggi, due conflitti mondiali e le crisi culturali e ideologiche del Novecento.

L'arcivescovo Giovanni Battista Rosa, che del "Papa Sarto" era figlio spirituale, fu vescovo di Perugia nel difficile ventennio fascista, applicando più che mai in quel momento delicatissimo la guida di Pio XI e Pio XII (presso i quali continuarono i pellegrinaggi perugini iniziati con Papa Leone); e così fece a maggior ragione, durante la guerra e dopo, Mario Vianello (1943-1955), ancora ricordato per le iniziative a favore delle popolazioni, e in particolare per il salvataggio di tanti ebrei, in stretto collegamento con la Santa Sede. Raffaele Baratta (1959-1968) partecipò al Concilio e ne iniziò l'applicazione, che proseguì con il suo successore, Ferdinando Lambruschini (1968-1981).

Pochi sanno che fu di quest'ultimo l'idea di invitare il Papa a Perugia:  ma l'attentato a Giovanni Paolo II impose una dilazione, e l'arcivescovo, che aveva pregato tanto per il Pontefice offrendo al Signore la propria vita, si spense in effetti di lì a poco. Ad accogliere il Santo Padre, il 26 ottobre 1986, c'era monsignor Cesare Pagani, altra grande figura, che si prodigò con lucidità e concretezza per la diocesi senza risparmio, morendovi nel 1988. Tutto questo per me è molto più che storia.

Quando sono stato nominato arcivescovo di Perugia dal Santo Padre Benedetto XVI, ho ricevuto in dono da parte della diocesi, anche a mo' di presentazione, il libro di Amilcare Conti Giovanni Paolo II in Umbria, edito nel 2005, che ripercorre i numerosi viaggi del Pontefice nella nostra regione, con particolare riguardo a Perugia la quale, anche per il suo servizio metropolitano, ne è il cuore. L'ho gradito, forse come Pecci gradì il lavoro del suo cancelliere, perché ci ho letto non solo la storia tra Perugia e "un" Papa, ma, al di là dei singoli protagonisti, quello che a un anno di distanza constato con i miei occhi:  l'amore della Chiesa perugina per "il" Papa, il suo desiderio inesausto di compattezza e la sua fierezza di sentirsi parte integrante e dinamica della Chiesa universale. Credo sia questa - insieme alle campane - l'eredità più duratura di Papa Leone XIII.



(©L'Osservatore Romano - 5 settembre 2010)

Caterina63
00domenica 5 settembre 2010 14:46
OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Largo dei Monti Lepini
Domenica, 5 settembre 2010

Cari fratelli e sorelle!

Prima di tutto, permettetemi di esprimere la gioia di trovarmi in mezzo a voi a Carpineto Romano, sulle orme dei miei amati predecessori Paolo VI e Giovanni Paolo II! E lieta è anche la circostanza che mi ha chiamato qui: il bicentenario della nascita del Papa Leone XIII, Vincenzo Gioacchino Pecci, avvenuta il 2 marzo 1810 in questo bel paese. Vi ringrazio tutti per la vostra accoglienza! In particolare, saluto con riconoscenza il Vescovo di Anagni-Alatri, Mons. Lorenzo Loppa, e il Sindaco di Carpineto, che mi hanno dato il benvenuto all’inizio della celebrazione, come pure le altre Autorità presenti. Un pensiero speciale rivolgo ai giovani, in particolare a quanti hanno compiuto il pellegrinaggio diocesano. La mia visita, purtroppo, è molto breve e tutta concentrata in questa celebrazione eucaristica; ma qui noi troviamo tutto: la Parola e il Pane di vita, che nutrono la fede, la speranza e la carità; e rinnoviamo il vincolo di comunione che fa di noi l’unica Chiesa del Signore Gesù Cristo.

Abbiamo ascoltato la Parola di Dio, ed è spontaneo accoglierla, in questa circostanza, ripensando alla figura del Papa Leone XIII e all’eredità che ci ha lasciato.

Il tema principale che emerge dalle letture bibliche è quello del primato di Dio e di Cristo. Nel brano evangelico, tratto da san Luca, Gesù stesso dichiara con franchezza tre condizioni necessarie per essere suoi discepoli: amare Lui più di ogni altra persona e più della stessa vita; portare la propria croce e andare dietro a Lui; rinunciare a tutti i propri averi. Gesù vede una grande folla che lo segue insieme ai suoi discepoli, e con tutti vuole essere chiaro: seguire Lui è impegnativo, non può dipendere da entusiasmi e opportunismi; dev’essere una decisione ponderata, presa dopo essersi domandati in coscienza: chi è Gesù per me? È veramente “il Signore”, occupa il primo posto, come il Sole intorno al quale ruotano tutti i pianeti?

E la prima lettura, dal Libro della Sapienza, ci suggerisce indirettamente il motivo di questo primato assoluto di Gesù Cristo: in Lui trovano risposta le domande dell’uomo di ogni tempo che cerca la verità su Dio e su se stesso. Dio è al di là della nostra portata, e i suoi disegni sono imperscrutabili. Ma Egli stesso ha voluto rivelarsi, nella creazione e soprattutto nella storia della salvezza, finché in Cristo ha pienamente manifestato se stesso e la sua volontà. Pur rimanendo sempre vero che “Dio, nessuno lo ha mai visto” (Gv 1,18), ora noi conosciamo il suo “nome”, il suo “volto”, e anche il suo volere, perché ce li ha rivelati Gesù, che è la Sapienza di Dio fattasi uomo. “Così – scrive l’Autore sacro della prima Lettura – gli uomini furono istruiti in ciò che ti è gradito e furono salvati per mezzo della sapienza” (Sap 9,18).

Questo richiamo fondamentale della Parola di Dio fa pensare a due aspetti della vita e del ministero del vostro venerato Concittadino che oggi commemoriamo, il Sommo Pontefice Leone XIII. Anzitutto, va sottolineato che egli fu uomo di grande fede e di profonda devozione. Questo rimane sempre la base di tutto, per ogni cristiano, compreso il Papa. Senza la preghiera, cioè senza l’unione interiore con Dio, non possiamo far nulla, come disse chiaramente Gesù ai suoi discepoli durante l’Ultima Cena (cfr Gv 15,5).

Le parole e gli atti di Papa Pecci lasciavano trasparire la sua intima religiosità; e questo ha trovato rispondenza anche nel suo Magistero: tra le sue numerosissime Encicliche e Lettere Apostoliche, come il filo in una collana, vi sono quelle di carattere propriamente spirituale, dedicate soprattutto all’incremento della devozione mariana, specialmente mediante il santo Rosario.
Si tratta di una vera e propria “catechesi”, che scandisce dall’inizio alla fine i 25 anni del suo Pontificato. Ma troviamo anche i Documenti su Cristo Redentore, sullo Spirito Santo, sulla consacrazione al Sacro Cuore, sulla devozione a san Giuseppe, su san Francesco d’Assisi.
Alla Famiglia francescana Leone XIII fu particolarmente legato, ed egli stesso appartenne al Terz’Ordine. Tutti questi diversi elementi mi piace considerarli come sfaccettature di un’unica realtà: l’amore di Dio e di Cristo, a cui nulla assolutamente va anteposto. E questa sua prima e principale qualità Vincenzo Gioacchino Pecci la assimilò qui, nel suo Paese natale, dai suoi genitori, dalla sua parrocchia.

Ma vi è anche un secondo aspetto, che deriva sempre dal primato di Dio e di Cristo e si riscontra nell’azione pubblica di ogni Pastore della Chiesa, in particolare di ogni Sommo Pontefice, con le caratteristiche proprie della personalità di ciascuno. Direi che proprio il concetto di “sapienza cristiana”, già emerso a partire dalla prima lettura e dal Vangelo, ci offre la sintesi di questa impostazione secondo Leone XIII – non a caso è anche l’incipit di una sua Enciclica. Ogni Pastore è chiamato a trasmettere al Popolo di Dio non delle verità astratte, ma una “sapienza”, cioè un messaggio che coniuga fede e vita, verità e realtà concreta. Il Papa Leone XIII, con l’assistenza dello Spirito Santo, è capace di fare questo in un periodo storico tra i più difficili per la Chiesa, rimanendo fedele alla tradizione e, al tempo stesso, misurandosi con le grandi questioni aperte. E vi riuscì proprio sulla base della “sapienza cristiana”, fondata sulle Sacre Scritture, sull’immenso patrimonio teologico e spirituale della Chiesa Cattolica e anche sulla solida e limpida filosofia di san Tommaso d’Aquino, che egli apprezzò in sommo grado e promosse in tutta la Chiesa.

A questo punto, dopo aver considerato il fondamento, cioè la fede e la vita spirituale, e quindi il quadro generale del messaggio di Leone XIII, posso accennare al suo magistero sociale, reso celeberrimo e intramontabile dall’Enciclica Rerum novarum, ma ricco di molteplici altri interventi che costituiscono un corpo organico, il primo nucleo della dottrina sociale della Chiesa.

Prendiamo spunto dalla Lettera a Filemone di san Paolo, che felicemente la Liturgia ci fa leggere proprio oggi. E’ il testo più breve di tutto l’epistolario paolino. Durante un periodo di prigionia, l’Apostolo ha trasmesso la fede a Onesimo, uno schiavo originario di Colossi fuggito dal padrone Filemone, ricco abitante di quella città, diventato cristiano insieme ai suoi familiari grazie alla predicazione di Paolo. Ora l’Apostolo scrive a Filemone invitandolo ad accogliere Onesimo non più come schiavo, ma come fratello in Cristo. La nuova fraternità cristiana supera la separazione tra schiavi e liberi, e innesca nella storia un principio di promozione della persona che porterà all’abolizione della schiavitù, ma anche ad oltrepassare altre barriere che tuttora esistono. Il Papa Leone XIII dedicò proprio al tema della schiavitù l’Enciclica Catholicae Ecclesiae, del 1890.

Da questa particolare esperienza di san Paolo con Onesimo, può partire un’ampia riflessione sulla spinta di promozione umana apportata dal Cristianesimo nel cammino della civiltà, e anche sul metodo e lo stile di tale apporto, conformi alle immagini evangeliche del seme e del lievito: all’interno della realtà storica i cristiani, agendo come singoli cittadini, o in forma associata, costituiscono una forza benefica e pacifica di cambiamento profondo, favorendo lo sviluppo delle potenzialità interne alla realtà stessa. E’ questa la forma di presenza e di azione nel mondo proposta dalla dottrina sociale della Chiesa, che punta sempre alla maturazione delle coscienze quale condizione di valide e durature trasformazioni.

Dobbiamo ora domandarci: qual era il contesto in cui nacque, due secoli fa, colui che sarebbe diventato, 68 anni dopo, il Papa Leone XIII?
L’Europa risentiva allora della grande tempesta Napoleonica, seguita alla Rivoluzione Francese. La Chiesa e numerose espressioni della cultura cristiana erano messe radicalmente in discussione (si pensi, ad esempio, al fatto di contare gli anni non più dalla nascita di Cristo, ma dall’inizio della nuova era rivoluzionaria, o di togliere i nomi dei Santi dal calendario, dalle vie, dai villaggi…).

Le popolazioni delle campagne non erano certo favorevoli a questi stravolgimenti, e rimanevano legate alle tradizioni religiose. La vita quotidiana era dura e difficile: le condizioni sanitarie e alimentari molto carenti. Intanto, si andava sviluppando l’industria e con essa il movimento operaio, sempre più organizzato politicamente. Il magistero della Chiesa, al suo livello più alto, fu sospinto e aiutato dalle riflessioni e dalle esperienze locali ad elaborare una lettura complessiva e prospettica della nuova società e del suo bene comune. Così, quando, nel 1878, fu eletto al soglio pontificio, Leone XIII si sentì chiamato a portarla a compimento, alla luce delle sue ampie conoscenze di respiro internazionale, ma anche di tante iniziative realizzate “sul campo” da parte di comunità cristiane e uomini e donne della Chiesa.

Furono infatti decine e decine di Santi e Beati, dalla fine del Settecento agli inizi del Novecento, a cercare e sperimentare, con la fantasia della carità, molteplici strade per attuare il messaggio evangelico all’interno delle nuove realtà sociali. Furono senza dubbio queste iniziative, con i sacrifici e le riflessioni di questi uomini e donne a preparare il terreno della Rerum novarum e degli altri Documenti sociali di Papa Pecci. Già dal tempo in cui era Nunzio Apostolico in Belgio, egli aveva compreso che la questione sociale si poteva affrontare positivamente ed efficacemente con il dialogo e la mediazione. In un’epoca di aspro anticlericalismo e di accese manifestazioni contro il Papa, Leone XIII seppe guidare e sostenere i cattolici sulla via di una partecipazione costruttiva, ricca di contenuti, ferma sui principi e capace di apertura. Subito dopo la Rerum novarum si verificò in Italia e in altri Paesi un’autentica esplosione di iniziative: associazioni, casse rurali e artigiane, giornali,… un vasto “movimento” che ebbe nel servo di Dio Giuseppe Toniolo l’illuminato animatore.

Un Papa molto anziano, ma saggio e lungimirante, poté così introdurre nel XX secolo una Chiesa ringiovanita, con l’atteggiamento giusto per affrontare le nuove sfide. Era un Papa ancora politicamente e fisicamente “prigioniero” in Vaticano, ma in realtà, con il suo Magistero, rappresentava una Chiesa capace di affrontare senza complessi le grandi questioni della contemporaneità.

Cari amici di Carpineto Romano, non abbiamo il tempo di approfondire questi argomenti. L’Eucaristia che stiamo celebrando, il Sacramento dell’Amore, ci richiama all’essenziale: la carità, l’amore di Cristo che rinnova gli uomini e il mondo; questo è l’essenziale, e lo vediamo bene, quasi lo percepiamo nelle espressioni di san Paolo nella Lettera a Filemone.

In quel breve biglietto, infatti, si sente tutta la mitezza e al tempo stesso la potenza rivoluzionaria del Vangelo; si avverte lo stile discreto e insieme irresistibile della carità, che, come ho scritto nella mia Enciclica sociale, Caritas in veritate, è “la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dell’umanità intera” (n. 1). Con gioia e con affetto, vi lascio dunque il comandamento antico e sempre nuovo: amatevi come Cristo ci ha amati, e con questo amore siate sale e luce del mondo. Così sarete fedeli all’eredità del vostro grande e venerato Concittadino, il Papa Leone XIII.
E così sia in tutta la Chiesa!
Amen.


Santa Messa a Carpineto Romano...





































per l'occasione il Papa ha indossato la Croce pettorale appartenuta a Leone XIII


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