francesco lampedusaE come – mosso dalla sua “scientifica” istintività – voleva partecipare un tempo alla partita Roma-Lazio, con tutta la guerriglia urbana che ogni volta ne consegue, nella quale puntualmente ci scappa il morto, senza rendersi conto dei rischi ai quali avrebbe sottoposto se stesso, migliaia di persone, la città, le forze dell’ordine e gli stessi suoi uomini della scorta, – alla stessa maniera Papa Francesco ha ragionato annunciando d’improvviso il suo estemporaneo viaggio nell’isoletta di Lampedusa. Per la gioia di terzomondisti, fotografi e anime belle, nonché dei vendoliani, ossia i seguaci dell’antesignano del vendolismo, la buonanima del vescovo Tonino Bello, l’introduttore della bandiera arcobaleno nelle chiese italiane.

Il prefetto della repubblica competente in quella martoriata terra non ha avuto la forza del prefetto di Roma per opporre, a quest’altra trovata mediatica del papa Argentino, un“no!”, come pure era politicamente opportuno per la pubblica sicurezza non solo dell’isola, non solo dell’Italia, ma pure degli aspiranti clandestini. E se non lui avrebbe dovuto farlo il ministro degli interni: ma come si fa ad avere tanto coraggio?

Probabilmente Francesco non si è reso conto di tutti risvolti politici che questo viaggio-lampo avrà, e non è la prima volta che sottovaluta certi “gesti”, o forse li valuta e gli stanno bene. A lui. Ci va, a quanto dice, perché terra di “emergenze umanitarie”. Certo. Intanto però, in violazione delle leggi italiane, santifica fra le righe esattamente il fenomeno che tanto lo addolora: l’immigrazione. È giusto. Ma quando è clandestina bisogna andarci coi piedi di piombo. Perché si rischia non solo di sdoganarla, ma di incoraggiarla e incrementarla, e subliminalmente è questo il messaggio che passa. E che arriverà dritto dritto nell’Africa nera, agli occhi e alle orecchie prima ancora degli aspiranti clandestini dei loro traghettatori, ossia i criminali commercianti di carne umana che non esitano un secondo, se lo reputano opportuno a gettare uomini, bambini, donne incinte in mare e darsela a gambe. In questi ultimi anni è avvenuto migliaia di volte e migliaia di migliaia galleggiano sulle acque procellose di Lampedusa; e se non sono stati gettati in mare, sono stati trasportati alla meta dalle “carrette del mare” non solo in condizioni bestiali, ma in fin di vita. Dopo avergli prosciugato le tasche.
papamobile
A questo aggiungici il martirio quotidiano degli abitanti dell’isola, la cui vita è stata resa impossibile da ormai un decennio di “stato d’assedio” permanente, da parte dei clandestini e delle forze dell’ordine. Che non so quale reazione tributeranno al sicuro richiamo alla “solidarietà” dettata dal sentimentalismo che ha ispirato questa improvvida visita a uso e consumo delle telecamere, ancora una volta.

E aggiungiamo di più: molti di quei clandestini che arrivano, e che si moltiplicheranno in seguito al viaggio del papa, non potendo il Paese digerire tale flusso immigratorio ridistribuendolo come forza lavoro, finiranno, come già son finiti, a ingrossare la criminalità organizzata, il lavoro clandestino e soprattutto lo spaccio di stupefacenti (basta girare la sera intorno a Termini, per Firenze, Perugia, per rendersi conto di che colossale giro di droga gestiscono gli africani immigrati clandestini). E naturalmente la prostituzione: persino nelle cittadine di provincia oggi si vede una cosa mai vista prima in periferia: sotto la luce del sole decine di prostitute africane in attesa di clienti. Spettacolo che un tempo era riservato alle sole grandi città. Spacciatori, lavoratori in nero, prostitute che invadono l’Italia, tutti quanti sono passati da Lampedusa. E la maggior parte di loro ancora delinque nel paese senza avere il permesso di soggiorno, né lo cerca: altrimenti sarebbero costretti a trovarsi un lavoro onesto e proprio perciò assai meno redditizio.

Ma poi questo papa, proveniente dalla terra fatta in gran parte di immigrati, come è l’Argentina, figlio esso stesso di immigrati italiani, ne immagina una tipologia che non esiste più. Perché le ragioni profonde di questa immigrazione africana clandestina sono del tutto lontane dai motivi che spinsero gli italiani a cercare “fortuna” in Argentina. Anzitutto non è vero che cercassero “fortuna”: cercavano un posto dove non morire di fame loro, e campare la famiglia, lavorando duramente; e siccome l’Italia sabauda e liberale era l’ultimo posto dove poter ottenere queste pur basilari cose, straziandosi il cuore, partivano.

Per buona parte dell’immigrazione clandestina odierna, così non è. Ormai è accertato che nei loro villaggi e città in Africa hanno non solo da vivere e mangiare ma anche da lavorare, e ci sarebbe bisogno di loro; ma tuttavia si decinono alla partenza verso Lampedusa in base a chimere tutte “materialistiche”, “occidentali”: la ricerca di una “vita all’occidentale” dicono, che immaginano facile, godibile, ricca, anarchica e consumistica, tutti i privilegi materiali che avremmo noialtri. Vale a dire, se vogliamo stare all’ambito cattolico e musulmano – che sono le fedi che in maggioranza i clandestini professano, semmai ne professano una – , tutti quegli eccessi che sia il cristianesimo, sia l’islamismo, sia la stessa predicazione di Francesco condannano.
Ancora una volta: cui prodest?

Ai primi tempi di questo pontificato, disorientato da tutte queste stravaganti trovate quotidiane, stavo lamentandomene con uno scrittore cattolico.
Chiacchierando del più e del meno, gli avevo raccontato con un sorriso di una “trovata” di Francesco, che non si è mai saputo se fosse vera o fosse un diceria agiografica dei suoi laudatores:
Il papa esce dalla porta e vede una guardia svizzera in piedi“. “Da quanto tempo è qui?”. Da tutta la nottata. Allora il papa rientra nel suo studio, prende una sedia, una merendina e gliele porta, poi aggiunge: “Se serve niente, bussi, io sto qui”. Come diceva Caltagirone al tuttofare di Andreotti, “che te serve gnente a Fra’?”. E naturalmente hanno trovato il modo di sbandierare la cosa ai quattro venti, come ogni stravaganza che s’inventa ogni giorno. Alcuni dicono “populismo”, altri “captaptio benevolentiae”, altri “esibizionismo scientifico”, le anime belle ci vedono “tanta umiltà”, un mio amico prete che all’inizio era entusiasta adesso ammette che “mi fa venire in mente il personaggio dell’Anticristo di Solovev”. Personalmente, vedo le cose per così come sono: ridicole. E mi fa sorridere. Senza contare che quella guardia svizzera lì d’ora in poi, se si vuol sedere durante il suo servizio, si sentirà ben in diritto di mandare a quel paese il suo capitano che eventualmente lo richiamasse all’ordine».

Mi rispose l’antico scrittore cattolico, rassegnato: «Mi dicono comunque che anche nel Sudamerica finto, come l’Argentina (tutti immigrati che sognano di tornare in Europa) funziona così, con ‘ste chitarrate svenevoli al cuore, i sentimenti, le emozioni… Non a caso i preti sono tutti chiamati padrecitos… ».

Dalla ragione e sentimento viene il sospetto si stia rapidamente passando alla irrazionalità e sentimentalismo. Con qualche schitarrata di sottofondo dalla Pampa che s’è trasferita a Roma. E prossima a sbarcare in tour estivo a Lampedusa. Auguri tanti agli abitanti.