A TE QUINDICENNE E AI TUOI GENITORI educazione cristianaalla purezza

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Caterina63
00lunedì 1 luglio 2013 11:01

[SM=g1740771]  invitandovi a leggere anche i seguenti link importanti: La psicologia degli adolescenti spiegata alle mamme e ai papà - educazione cristiana

Incoraggiare i giovani a tirare fuori il meglio di sè...

proseguiamo ora con un altro opuscolo importante ed interessante...

[SM=g1740758]  A TE QUINDICENNE E AI TUOI GENITORI


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Per una educazione cristianaalla purezza Di Padre Giorgio Hoornaert S.J.

Presentazione dell'editore

Giunto all'età di ottantacinque anni, dopo sessant'anni di Sacerdozio trascorsi quasi tutti in mezzo ai giovani, sento il dovere di ripresentare loro un capolavoro della letteratura educativa mondiale, il libro di Padre Giorgio Hoornaert S.J., pubblicato in Italia novant'anni fa col titolo: «A coloro che hanno vent'anni, col sottotitolo: per la tattica di un combattimento».

Quando ero giovane ho avuto la grazia di po­terlo leggere e, divenuto Prete, l'ho usato nelle conferenze ai giovani e nella direzione spirituale, con frutti che solo Gesù conosce.

Finché il libro fu edito dalla S.E.I.- la Casa editrice fondata da Don Bosco - ne facevo dono ai giovani che me lo chiedevano fino a quando, cessata la sua pubblicazione, mi arrangiavo a batterne a macchina, sulla mia vecchia Olivetti, alcuni estratti per loro.

Ora, col permesso della prima Editrice, ho pensato di ripubblicarlo al posto di manoscrit­to non commerciabile perché anche i giovani d'oggi possano trarne quel vantaggio spirituale che avevo visto fiorire in tante anime e per tanti anni.

Il libro fu scritto dall'Hoornaert nei primi anni del secolo scorso: da allora il mondo è cam­biato (in meglio o in peggio?) ed anche i giovani sono cambiati. Per questo ho creduto giusto mutare il titolo in «A te quindicenne (e ai tuoi Genitori): Per una educazione cristiana alla pu­rezza».

Inoltre ho creduto bene aggiungere alcuni paragrafi che toccassero i nuovi problemi educa­tivi sorti in questi anni, come la droga, le disco­teche, la televisione, internet, ecc.

Mi preme avvisare il lettore che molte citazioni di scrittori, medici ed educatori riferite dal­l'Hoornaert, sono legate ai suoi tempi e al mondo francofono. Le ho tuttavia riprodotte intatte per­ché conservano ancor oggi il loro valore didattico ed anche scientifico.

Ho voluto inoltre conservare, per quanto pos­sibile in una traduzione, lo stile letterario - insuperabile - dell'Autore.

Oltre che ai giovani, questo libro è indirizzato ai loro Genitori, per i quali sarà luce e guida nella educazione cristiana dei loro figli.

Io penso che il Signore Gesù e la Sua Madre Immacolata siano contenti di questo lavoro, (portato avanti di notte, non su una vecchia Olivetti, ma su un moderno computer Machin­tosh! e confido che lo renderanno prezioso per tante anime giovanili che hanno iniziato da poco il loro cammino su questa terra, dirette verso la mèta della loro e della nostra esistenza: l'incon­tro beatificante ed eterno con Gesù, nostro unico Amore e nostro unico Salvatore.

Pessano, 2 Gennaio 2009

Festa liturgica del Santissimo Nome di Gesù Don Massimo Astrua

 

Presentazione dell’autore Padre Giorgio Hoornaert S.J

Scrivo specialmente per voi, giovani.

Voi avete il dono della giovinezza: siete dun­que ricchi d'una ricchezza maravigliosa; possiate voi valorizzare questo tesoro! I vostri cuori battono rapidamente e battono forte.

I vostri occhi brillano; brillano talmente, che viene la voglia di domandarsi come mai non vi abbiano già bruciati, dopo tanti anni da quando es­si fiammeggiano così, d'una fiamma viva e dritta. Le vostre anime nuove palpitano di desideri. Voi siete tanto generosi!

Voi siete tanto deboli!

Le vostre anime sono fatte di cristallo, ma d'un cristallo cosi fragile!

Dopo tanti anni che io vi vedo da vicino, gio­vani cari, ho potuto raccogliere molte confidenze e studiare questa che è la più interessante fra tutte le cose: il cuore d'un giovane.

Come i rabdomanti con la loro verga scopro­no una sorgente d'acqua dove nessuno avrebbe sospettato, così, io lo so, basta gettare qualche colpo di sonda nelle vostre anime, per scoprirvi la sorgente zampillante dell'entusiasmo.

Credo di comprendervi. Ho assistito molto da vicino alle vostre intime lotte; ho conosciuto le

vostre serate di vertigine, le vostre cadute e i vostri rialzi.

Si, i vostri rialzi! Perchè uno può rialzarsi. Vicino agli immacolati ci sono anche i peni­tenti e le penitenti. Ammiriamo san Giovanni Evangelista, ma anche sant'Agostino, santa Ma­ria Maddalena, la peccatrice di Màgdala, da cui Gesù cacciò sette demoni, e che diventò la gran­de santa del Nuovo Testamento.

 

Vi sono due specie d'innocenze: le innocenze mai perdute, e sono queste le più belle; e le inno­cenze riconquistate. Queste ultime, alle volte, sono più toccanti e più umili.

Vicino al giovane che viene a dire con una santa allegria: «Non sono caduto!» s'incontra, alle volte, il giovane che si mette prima in ginoc­chio e poi si getta nelle braccia del confessore.

Povero caro amico! Il Salvatore misericordio­so, Colui che sa di quale argilla è impastata la nostra natura, non si stanca mai di perdonare, da venti secoli, a tutti quei figli prodighi che ven­gono da paesi lontani in cui si muore di fame; a quei figlioli che volgono i passi verso la dolce dimora in cui si trova il festino di gioia, la veste bianca, l'anello della riconciliazione, la dolce dimora in cui uno può gettarsi sul cuore magni­fico del padre che tutto dimentica.

Sperduto, fuori di strada, tu sei fatalmente triste. Ritorna! Nella casa paterna, tu sarai necessariamente felice.

Persevera! Trionfa dei tuoi appetiti inferiori. Sarai allora ricompensato da quella fierezza che consiste nel sentirsi il cuore battere liberamente e fieramente nel petto.

Tu vai mormorando: «Ma com'è dura questa lotta contro se stesso, senza che vi sia un testi­mone di ciò che succede nel campo chiuso del mio cuore! ».

Errore! Tu hai una turba d'invisibili testimo­ni: il tuo Dio, il tuo angelo custode, i tuoi cari morti, tutti gli eletti formano per te una galleria celeste. Tu non li vedi, ma essi ti vedono.

In paragone d'un simile pubblico che cos'è quello che contemplava, tempo fa, nella città di Jersey, la lotta mondiale Carpentier-Dempsey? E che cos'è mai una furia di pugni in confronto del nobilissimo duello che tu combatti, tu, contro il vizio, che vorrebbe rubarti il cuore?

Richiama, dunque, il pensiero e la sicurezza della vittoria contro il vizio impuro.

E poichè i nostri avversari non si stancano mai d'inventare nuove provocazioni al vizio, noi non dobbiamo mai stancarci di dare a noi e agli altri nuovi incoraggiamenti alla virtù.

Poichè essi sfruttano sempre da capo le mede­sime tesi empie e immorali, ripetiamo anche noi sempre da capo l'ideale programma del Maestro: Beati i puri di cuore!

I cieli e la terra passeranno; ma questa divina parola non passerà. La immutabile dottrina del

Signore resterà come un'ancora sicura in mezzo alle mutevoli teorie e alle fluttuazioni umane: Beati i puri di cuore!

Padre Giorgio Hoornaert S. J.

[SM=g1740733]

Caterina63
00lunedì 1 luglio 2013 11:05


LO STATO DI GUERRA

La lotta di tutti


L'idea centrale di questo libro si riassume in queste parole: la purezza è una prodezza!

Noi pensiamo alla virtù come a un combatti­mento e per questo citeremo spesso sant'Ignazio di Lojola.

Egli fu un capitano e conservò sempre del capitano l'anima guerresca. La famiglia religiosa da lui fondata, la Compagnia di Gesù, è un ordi­ne militare, poichè la parola Compagnia ha un senso guerresco.

Egli scrisse «Gli Esercizi spirituali» e li pre­sentò come una scuola di guerra.


Giovani! Voi comprendete che Dio ora vi chia­ma ad un combattimento: il combattimento della virtù.

Non fatevi però illusioni: la guerra per la virtù è talmente aspra che molti giovani, i quali furono intrepidi in quella combattuta per difen­dere la Patria, diventano timidi ed anche vigliac­chi in questa.

Ci vuole spesso più eroismo per far guerra contro se stessi che non contro un nemico ester­no.

In più questa guerra è una guerra più lunga. Oh, mio Dio! quanto è duro dover incomin­ciare sempre da capo la lotta tormentosa, qual­che volta tale da far impazzire!

Perfino i periodi di pace sono soltanto una tregua e devono restare una pace armata: «Se vuoi la pace, prepara la guerra! ».

L'armistizio sarà firmato soltanto in Cielo!


Certi disertori, stanchi di combattere, gettano via le armi. Tu non li devi imitare.

Resta sotto il peso della corazza fino al giorno del santo congedo. Sì, fino al termine!

Sii buon cavaliere! Cavaliere tu lo sei, anche se non porti la coraz­za, l'elmo ed il pennacchio.

Come l'abito non fa il monaco, così la corazza non fa il cavaliere. Sotto la corazza d'acciaio si può nascondere un cuore vigliacco, mentre sotto un morbido vestito può battere un cuore grande. Il pennacchio! Per averlo bisogna indossare l'elmo. Tu l'hai nel cuore.

È meglio. Seta?

Prepara l'anima tua alla lotta. La purezza è uno stato di guerra. Per lo meno questa è la legge normale.

Una volta per tutte ti dico che in materia di purezza dobbiamo stare in guardia contro le affermazioni assolute, le quali tendono a sempli­ficare, ma non già a precisare. Le realtà umane, in via ordinaria, non sono tagliate nettamente, ma offrono delle sfumature.

Le formule invariabili valgono in matematica, ma valgono poco nel campo morale.

Pertanto, tenendo conto delle eccezioni che entrano quasi sempre in un'affermazione assolu­ta, tanto più quando si tratta d'un argomento così delicato com'è il nostro, affermiamo che, in generale, la vittoria della purezza si ottiene con la punta della spada.

«Non son venuto, disse il divino Maestro, a portare la pace, ma la spada».

A molti cristiani si possono applicare le paro­le che S. Paolo diceva sui peccatori non ancora convertiti al Vangelo: «Io sono carnale... Non faccio ciò che voglio; faccio ciò che non voglio... Non sono io che opero, ma il peccato che abita in me. So, infatti, che il bene non abita in me, cioè nella mia carne; volere il bene è in mio potere, ma non è in mio potere farlo. Infatti, io non faccio il bene che voglio, mentre faccio il male che non voglio. Ora, se io faccio ciò che non voglio è segno che non sono io che lo faccio, ma il peccato che abita in me... Mi piace la legge di Dio, quando porgo ascolto al mio uomo interiore, ma io vedo nelle mie membra un'altra legge, che lotta contro la legge della mia ragione, e che mi rende schiavo sotto la legge del peccato, che abita nelle mie membra. Sventurato che io sono! Chi mi renderà libero da questo corpo di morte?» (nella lettera ai Romani, 7,14 e segg.).

Il P. Vermeersch scrisse: «La maggior parte degli uomini, anche di coloro che hanno integri­tà di costumi, devono lottare contro la propen­sione naturale alla lussuria»

Anche il Guibert dice altrettanto: «Nella condi­zione ordinaria... la purezza è un vero trionfo. Eccetto rare eccezioni, nell'essere umano fra la ragione e i sensi si scatenano aspri combattimen­ti... Quando voi dite: «Sono tentato», dite sempli­cemente questo: «Sono un essere umano! ». E tutto questo è vero, soprattutto verso i quin­dici anni.


La purezza, o amico, è per te la prima virtù. Non già la prima virtù in dignità, perchè le prime virtù sono quelle teologali (la Fede, la Speranza e la Carità) appunto perchè hanno direttamente Dio per loro oggetto, ma nel senso che la purez­za è la virtù che suppone in te il massimo di lotta e il massimo di generosità.

«O giovane - dice Luca Miriam - la fre­quenza e la violenza della tentazione impura non ti deve meravigliare. Essa si spiega umanamente ma si spiega anche soprannaturalmente, perchè questa tentazione è l'arma preferita di satana, dal momento che essa penetra più facilmente in un'età nella quale la spinta della vita nuova e bol­lente rompe la corazza.

Questa tentazione, in un grado più o meno forte, sotto forma di malessere o di crisi, io credo che si abbatta su tutte le anime dei giovani».

Ad un giovane che si lamentava d'avere tenta­zioni contro la purezza il Padre Lacordaire rispondeva: « La passione di cui tu soffri è quella che tiranneggia di più gli uomini, ed è universa­le. Il trionfo che il Vangelo ha riportato sopra di essa è una delle dimostrazioni che il Cristianesi­mo è divino».


Le vite dei Santi (parlo delle vite scritte since­ramente, cioè veracemente) ci rivelano che anch'essi sentivano lo stimolo delle passioni. È vero, bisogna fare eccezione per certi privilegia­ti, ai quali la grazia concesse una pace assoluta, la quale però, a sua volta, fu la ricompensa d'una vittoria particolarmente coraggiosa, come per esempio in san Tommaso d'Aquino. Gli altri tutti (e bada bene che io parlo di Santi!), conobbero lo schiaffo di satana. Basta citare Sant'Alfonso Rodriguez, San Giuseppe da Copertino, Santa Caterina da Siena e San Pier Damiani che si tuf­fava nell'acqua gelata per spegnere le fiamme del sangue. San Benedetto s'avvoltolava nelle spine per sottomettere la voluttà col dolore.

I Santi, dunque, anch'essi, s'accorsero che le anime, come i corpi, sembrano soggette ad una certa qual legge di gravità, ad una certa qual attrazione verso il basso.


Ecco pertanto la prima conseguenza per te, o giovane: Non devi sentirti umiliato e tanto meno meravigliato, quando provi certe tentazioni. Se qualche volta ti turbi, ciò dipende dal fatto che tu conosci il tuo solo caso personale e ti credi una porzione di vita speciale. Se tu sapessi la storia degli altri, se fossi un confidente delle anime, comprenderesti che la tentazione è lo stato gene­rale, la condizione normale.

Chi studia gli uomini rimane colpito da questa grande verità: essi hanno una fondamentale somiglianza. Certo, uno è più tentato e l'altro me­no; uno cede e l'altro resiste. Ma, nell'essenza, un giovane è tanto simile ad un altro giovane! un uomo ad un altro uomo! ed un vecchio ad un altro vecchio!

Di qui deriva l'utilità di quella certa ottica interna, di quella specie d'esplorazione del nostro mondo interiore, che si chiama esame della propria coscienza.

«Ogni uomo, osserva giustamente Paolo Bourget, porta in se stesso l'umanità». Per cui conoscere bene un cuore, il proprio, vuol dire conoscere bene tutti i cuori degli uomini.

Ecco ora una seconda conseguenza: appunto perchè la purezza suppone la lotta e il trionfo, essa costituisce un titolo gloriosissimo per la Chiesa Cattolica che è stata ed è una scuola d'amore ideale, puro e di verginità.


«Ciò che noi chiamiamo propriamente amore - dice Chateaubriant - è un sentimento di cui l'antichità ignorò perfino il nome... Si deve al Cristianesimo questo sentimento; esso solo col suo tendere incessantemente a purificare il cuore, potè arrivare a gettare qualche raggio di spiritualità perfino sull'istinto che ne sembre­rebbe meno suscettibile».

Un recente libro del padre Eymieu «Pagani» mette in rilievo questo specifico fenomeno del Cristianesimo.

Roma voleva avere sei Vestali, cioè sei donzel­le che accettassero di restare vergini per custodi­re il fuoco sacro della dea Vesta. Per incoraggiar­le a fare questa rinuncia al matrimonio, Roma concedeva loro privilegi inauditi: i Littori dove­vano piegare i fasci davanti a loro; i Consoli dovevano cedere loro il passo; i giudici non pote­vano dubitare delle loro testimonianze; i carnefi­ci risparmiavano quei colpevoli dei quali esse domandavano la grazia.

Roma, dopo aver così prodigato i privilegi e col­locato le Vestali al disopra della legge, cercò fra i suoi 200 milioni di sudditi, 6 donzelle che fossero disposte a restare vergini per conservare al mondo il fuoco sacro, con il compenso di tanti onori.

Strano a dirsi: Roma non trovò mai sei Vestali volontarie. Allora la grande città si vide costretta a far uso della violenza. Reclutò per forza le Vestali, minacciò loro orribili punizioni e impose la sorve­glianza dei custodi. Cosa ridicola: la purezza con l'aiuto di soldati ... e di soldati romani! Ma ecco che Gesù viene al mondo.

Anch'Egli chiede se vi siano vergini disposte a conservarsi tali per custodire quaggiù la sacra fiamma dell'ideale. E Gesù ne trova.

Egli trova oggi circa 500.000 sacerdoti nel mondo, cioè 500.000 anime che s'impegnano a restare sempre vergini; Egli trova, per tutti i suoi chiostri, per i mille e mille monasteri, giovani e ragazze che fanno volontariamente il voto di per­petua castità.


Un imperatore romano, nell'eccesso della sua superbia, aveva gridato: « Basta che io batta il suolo col piede per farne uscire le legioni». Vana parola! Gesù Cristo davvero battè la terra col suo piede divino e subito sorsero legioni e legioni di vergini! Egli l'ha fatto.

Solo Egli l'ha fatto. Solo Egli poteva farlo.

Egli, `puritas virginum", la purezza dei vergi­ni. Egli l'immacolato e il figlio dell'Immacolata; Egli che amò di amore preferente Giovanni, l'apostolo vergine, al quale permise, nella cena, di posarsi così vicino a Sé, da udirne sul petto i palpiti del cuore divino; Egli che tiene conserva­to ai Vergini, nel suo Paradiso, un luogo privile­giato presso l'Agnello e un cantico speciale a loro riservato; Egli, ed Egli solo, ha potuto ottenere dalla debolezza umana questo meraviglioso trionfo dello spirito sulla carne, il cui nome pro­prio è uno solo: eroismo.

Sì, eroismo; a tal punto, che molti santi non esitano ad accostare il giovane puro all'angelo ed assegnare la palma al primo!...

Sant'Ambrogio, nel trattato sulla verginità, esclama: «Gli angeli vivono senza la carne; le vergini trionfano nella carne!».

E san Pietro Crisologo: «È più bello conqui­stare la gloria angelica che l'averla ricevuta da natura. Ora, la verginità conquista con aspra lotta e molti sforzi ciò che l'Angelo possiede naturalmente».

Il casto non cede al vizio; e voi mi risponderete che neppure l'angelo vi cede; ma io vi dico che non è meraviglia che essi non commettano il peccato della carne, dal momento che non hanno la carne!

Sentite san Giovanni Crisostomo: «Gli angeli non sono soggetti alle passioni: nè il canto affa­scinante, nè la musica carezzevole, nè la bellezza delle creature sono capaci d'attrarli».

Ogni virtù è bella, eppure la castità è chiama­ta, per eccellenza, «la bella virtù».

Perchè? Perchè essa spiritualizza, per così dire, i nostri corpi di fango.

I vergini dànno ragione alla parola di Gesù: «Sono come gli Angeli di Dio in cielo» (Matteo 21,,30).


O giovane, tu debole fanciullo, tu pallido gio­vane, forse senza muscoli per sollevare i pesi da palestra, tu che non sai neppur distinguere (oh gran vergogna!) un «rigore» da una punizione, se tu sai dominare le tue passioni, sei il vero valoroso, al punto che un famoso campione dello sport non è neppur degno di sciogliere i legacci delle tue scarpe. L'uomo, sei tu!

La parola purezza, come la parola virtù, è femminile soltanto nel nome! Il suo contenuto è maschile!



La lotta di ognuno

Siamo intesi, una volta per sempre: tutti dob­biamo lottare. Ma non tutti nella stessa maniera. La tentazione è insieme generale e relativa. Esaminiamo i principali elementi di questa rela­tività.


Caterina63
00lunedì 1 luglio 2013 11:09
[SM=g1740758] 1° FATTORE DI RELATIVITA’: il temperamento

Certi giovani sono molto impressionabili e certi altri non lo sono affatto; ecco alcuni che si commuovono rapidissimamente ed ecco i calmi, «i freddi».

Ma fra questi due termini estremi si estende tutta una scala di temperamenti intermedi. Come la natura non passa bruscamente dalla piena luce meridiana alla completa oscurità di mezzanotte, come la temperatura non salta dai calori estivi ai freddi invernali, ma lo fa attraver­so una lenta «degradazione», così fra i due estre­mi nettamente tagliati, s'intercalano tutte le tappe di un lento passaggio.

Da questo voi comprendete quanto divenga complesso il problema. Non si ha da fare con due soli termini: i soprasensibili e i sottosensibili, ma si ha da fare con un numero incalcolabile di tipi mediani. In due parole: tanti casi quanti individui!



2° FATTORE DI RELATIVITA’: le crisi

Dunque, un individuo non somiglia mai ad un altro, riguardo al grado di sensibilità.

Facciamo ora un passo avanti e diciamo an­che: un individuo non somiglia sempre a se stes­so. Egli passa infatti attraverso stati di crisi: crisi d'età, crisi di depressione fisica, crisi di tentazio­ni, ecc.

Osservate ciò che accade agli ammalati di emofilia. Se il loro corpo riceve una anche picco­lissima piaga, non riesce a rimarginarla o vi rie­sce male, al punto che le piaghe si possono com­plicare e diventare cancrene. Lo stesso accade in certi periodi morali d'un individuo: sono così disposti che una piccolissima graffiatura può diventare fatale.

Oltre a queste crisi, che si dicono crisi per brusco attacco, abbiamo anche le crisi periodi­che. Certi scienziati e studiosi di fisiologia dicono che l'istinto di cui ora parliamo è soggetto ad una legge detta del circolo mensile. In altre parole, la passione avrebbe un massimo d'intensità in ogni mese (per esempio al principio) e ciò indipen­dentemente dall'influenza delle stagioni, di cui parleremo più oltre. Questo massimo d'intensità è seguito da una quindicina di giorni di lento decrescendo, poi da un'altra quindicina di lento crescendo, fino ad arrivare a un nuovo punto massimo, in modo che questo doppio movimen­to discendente o ascendente si può paragonare al flusso e al riflusso del mare.



3° FATTORE DI RELATIVITA’: l'eredità

Noi tutti portiamo il peso della nostra eredità. Il nostro presente è caricato col peso del pas­sato. « Il passato! ... Noi eravamo già tanto vecchi quando siamo nati! ».

Napoleone Bonaparte diceva un giorno: «Sapete quando comincia l'educazione d'un fan­ciullo? Cento anni prima della sua nascita! ».

Ed infatti la nostra struttura fisiologica, pas­sionale e mentale è come uno di quei terreni alluvionali molto complessi: dentro abitano le abitudini sane o malsane, non soltanto dei nostri genitori, ma degli antenati dei nostri antenati. Non esiste infatti solamente l'eredità stretta­mente intesa, ossia una dipendenza dall'ascen­dente immediato: padre o madre; ma esiste anche l'atavismo, ossia il ritorno ai tipi anteriori.

Per usare un'espressione matematica, dire­mo: noi operiamo in funzione dei nostri antena­ti.

Se questo è vero in generale, diventa ancor più vero in modo specialissimo riguardo la ten­denza alle cose sensuali. Questa è, in modo spa­ventevole, trasmissibile.

Intendiamoci però: il vizio, come vizio non può essere ereditato, perchè il vizio è peccato, e il peccato essendo una deviazione della nostra volontà, è sempre personale e libero.

Ma purtroppo questa volontà trova un poten­te invito nel temperamento, il quale si riceve in eredità, come viene dimostrato dall'esperienza quotidiana.

Giovane! Non dimenticare che il problema del­l'eredità è doppio: tu sei, nel medesimo tempo, un punto di arrivo ed un punto di partenza. Come figlio, tu hai ricevuto.

Come padre, fra un po' di tempo, tu trasmet­terai.

Pesa dunque la tua prossima responsabilità. L'uomo non pecca mai per sé solo, ma pecca anche per i suoi discendenti. Non diventare adunque, tu, la sorgente d'una razza avariata! Pensa quanto deve essere orribile per un padre scorgere nei propri figli certi coloriti palli­di del volto, certe nervosità, se egli dovrà metter­si la mano sul petto e confessare tristemente: «Sono io, sono io ... ».

Légouvé dice questa straziante cosa nel suo libro «I padri e i figli nel secolo decimonono». Il duca di Candé visse disordinatamente e cre­dette che tutto fosse finito in lui. Ma egli comu­nicò un'umiliante malattia a suo figlio e dovette assistere al crescere del male.

«Sono io, gridava, sono io che l'uccido!» Ed era vero. Il giorno in cui un giovane fa entrare questo germe corruttore nel proprio sangue, non colpisce soltanto se stesso, ma anche i suoi figli e i figli dei suoi figli.

Oh! certo, è cosa dura essere un figlio di Adamo. Ma io conosco qualche cosa di più orri­bile ancora: diventare un altro Adamo e creare in se stesso un nuovo peccato originale. Se tu, o giovane, ti senti vicino a tentennare, pensa al duca di Candé ... rispetta in te il padre futuro!

Si, rispetta in te il padre futuro!

Sarebbe orribile che tuo figlio dovesse accu­sarti come fa Daniele Rovère, l'eroe del dramma «L'immolato» di E. Baumann: «Io metto fine ad alcune generazioni maledette».

Gli ebrei dicevano tristemente: «I nostri padri hanno mangiato l'uva acerba e noi abbiamo i denti legati! » (Ezechiele 28,2).



4° FATTORE Di RELATIVITA’: lo stato generale

«Il desiderio di cose sensuali - scrive il dott. Ferré - è dominato dallo stato dell'intero orga­nismo. Tutte le cause che portano una debolezza generale possono portare un'attenuazione in questo campo, mentre, tutte le cause eccitanti possono portare un'esaltazione».

Ecco perchè gli studenti e gli universitari durante la preparazione agli esami, o dopo le notti passate in buona parte al tavolino, provano maggiori tentazioni. Sono in uno stato di eccita­zione che porta facilmente a questa particolare ripercussione.

La conseguenza è inevitabile: facilmente l'ec­citazione nervosa diffusa si applica e si precisa con sensazioni impure, poichè queste provengo­no dal medesimo sistema.

E ora tiriamo le conseguenze o i corollari da questo principio, sul quale abbiam dovuto, ben­chè a malincuore fermarci. In un tempo in cui tante cause si raccolgono intorno e fan perdere l'equilibrio alla delicata macchina nervosa, chi può misurarne le conseguenze? Di più, oggi la nostra riserva energetica è spesso in quantità deficiente. Di qui si spiegano molte tentazioni: la depressione come l'esaltazione dei nervi, il difet­to come l'eccesso ne sono la causa.

Come? direte voi. Così come una pila di Volta o un accumulatore che rapidamente si scarichi; perchè simili individui hanno il sistema nervoso paragonabile ad un accumulatore che all'im­provviso si esaurisce. Questi deboli non hanno più la forza, per così dire, di resistere: in loro il potere e il volere non sono coestensivi. La volon­tà riguardo al potere inibitore sembra in loro un freno Westinghouse che non funziona più.

Parlando di questi giovani così anemici, un professore di teologia morale diceva: la cura non dev'essere soltanto morale ma anche corporale: bisogna consigliar loro cotolette e buon vino.

Vi fa meraviglia che io parli così? S. Teresa ha scritto con umiltà e con finezza: «In certi giorni io mi credo trascurata; ma studiandomi un poco vengo a scoprire che sono piuttosto indisposta e che ho digerito e dormito male. In altri giorni io mi credo fervorosa; ma esaminando le cose più da vicino, vedo che sto meglio, perchè ho digeri­to e dormito meglio».

Se una S. Teresa diceva così, che cosa dobbia­mo dire noi povera gente? L'uomo è un compo­sto indivisibile di anima e di corpo. Queste due realtà vengono a fondersi in un'unione non sol­tanto intima, ma «sostanziale». Per questa ragione è facile comprendere che in generale la volontà avrà il pieno dominio quando si verifica­no certe condizioni di qualità, di equilibrio psi­chico, e, come dicono adesso un po' più di solen­nemente, condizioni di eufonia.



5° FATTORE DI RELATIVITA’: le circostanze esteriori

Ma non siamo soltanto dipendenti dagli ele­menti interni che abbiamo numerato (tempera­mento, crisi, eredità, sanità); bisogna attribuire una larga parte d'influenza, anche alle circostan­ze estrinseche, le quali sono tanto numerose, che non si può neppure sognare d'indicarle tutte, e tanto varie che non si possono ridurre l'una nel­l'altra. Eccone alcune: vestiti troppo chiusi, abi­tudine di tener le mani in tasca, poca pulizia personale, il che favorisce il prurito, esercizi di ginnastica, cibo lauto, dieta troppo carnea quan­do bisognerebbe piuttosto aumentare la quantità di frutta e di legumi, nutrimenti eccitanti, come i gamberi marini, cibi drogati, abuso di caffè for­tissimo, di vino o di bevande spiritose, special­mente quando si prendono di sera.

Notate in modo speciale l'azione che può eser­citare il clima. Gli abitanti dei paesi tropicali sono più portati all'impurità che non gli abitanti dei paesi temperati. In via generale possiamo dire che il calore è uno stimolante e il freddo un calmante. Le statistiche dimostrano che si com­mettono più delitti passionali nell'estate che non nell'inverno. Sopra tutte le altre condizioni, il ritorno della primavera segna l'epoca dei senti­menti erotici.

A suo tempo parleremo delle occasioni che sono eccitazioni di ordine più artificiale, inventa­te dalla passione come il ballo, il cinema, le rivi­ste, ecc.



6° FATTORE DI RELATIVITA’: il sesso

In fatto di purezza, ordinariamente il giovane ha più tentazioni violente (e per conseguenza più merito) che non la giovane. Certe manifestazioni tenere possono essere prive d'inconvenienti fra ragazze, mentre fra gio­vani adolescenti presentano molti pericoli.

Parlando in generale e tenendo conto delle eccezioni, in questa più che in altre materie, pos­siamo dire che la passione, per lo meno sotto il suo aspetto di brutale ardore, è piuttosto maschile che femminile. Ma, voi mi chiederete, la giovane non è forse sensibile all'amore?

Vi rispondo: è sensibile sì, ma per un'altra ragione: per le manifestazioni affettuose e lusin­ghiere, per l'ambita vanità che essa sente nel lasciarsi adulare. Basta osservare come essa arrossisce di piacere quando viene complimenta­ta per la sua avvenenza.

Tutta la sua strategia, le sue furbizie, le sue azioni civettuoli non sono in generale indice di passione propriamente detta, ma del desiderio che riassume tutta la sua vita e tutta la sua ambi­zione: piacere agli altri.

Giulio Lemaitre ha finemente analizzato que­sta psicologia nel libro «La vecchiaia di Elena»: «Elena, scrive, era adorata dai Greci e dai Frigi; per essa (come dice la favola di Omero) Europa ed Asia s'erano sgozzate l'un l'altra. La sua gloria era al colmo; la sua avvenenza aveva arricchito la lingua greca di molti motti e pro­verbi. In realtà aveva scatenato le più furiose passioni, senza esserne molto commossa, eccetto che dal piacere di essere tanto ammira­ta».

Ma io prevedo una vostra obiezione: «Non vi sono forse molte cadute femminili? E se questo è vero, come è verissimo, la vostra tesi rimane smentita dai fatti».

Questi fatti, vi rispondo, il più delle volte si possono spiegare senza bisogno di ricorrere alla passione: la giovane cade per cause diverse: per denaro, per desiderio di gioielli e di vestiti, per gelosia contro una rivale, per curiosità, per stan­chezza, per timore, per imprudenza, perfino per ingenuità.



7° FATTORE DI RELATIVITA’: l'età

Questo fattore è forse il principale, e per que­sto l'abbiamo riservato per ultimo.

La tentazione non è un fenomeno sconosciuto al fanciullo e neppure al bimbo? Parrebbe di no, ma è certo che in loro esiste questa attrattiva, sebbene allo stato potenziale. Il ragazzo dorme e non si sveglia veramente che in quell'età di tran­sizione che si chiama pubertà.

Udite le parole d'uno scrittore: «Alla bellezza morale del fanciullo manca ciò che deve comple­tarla e renderla virile: i segni della lotta e della tentazione vinta. Il momento sta per arrivare, e viene, se già non è per voi arrivato, in cui quella purezza che è soltanto un tranquillo possesso deve cambiarsi in una faticosa conquista... Si nota un turbamento come una nazione tranquil­la che si sente sorpresa nella sua pace da som­mosse popolari.

«La pubertà, dice il dottore Beaums, è una seconda nascita».

Sotto l'aspetto morale notate quanto segue: l'adolescente prova misteriose commozioni, desideri di vaghe avventure; il suo è il tempo delle fantasticherie, delle sentimentalità, dei pianti senza motivo e degli improvvisi rossori di volto. Le passioni cominciano a far sentire il loro pungolo. La purezza finisce d'essere innocenza, per diventare virtù.

Riguardo al lato fisico, il corpo subisce pro­fonde mutazioni, cessa d'essere un corpo di fan­ciullo per diventare un corpo d'uomo. Come disse Chateaubriand: «Ci corichiamo ragazzi e ci svegliamo uomini».

In questo periodo si nota il cambiamento di voce, incomincia a nascere sulle labbra quella leg­gera lanugine di pesca, che l'adolescente chiama con presunzione « i baffi» e di cui è tanto orgo­glioso da ricorrere al rasoio per farli crescere più in fretta. Notiamo, tra parentesi, che più tardi ne sarà meno incantato quando dovrà radersi ogni due giorni, per essere presentabile.

I fenomeni della pubertà non sono improvvi­si, ma si rivelano lentamente; in generale verso i quattordici anni per il giovane e verso i dodici anni per la fanciulla.

Possono però artificialmente venir affrettati da certe cause: per esempio dall'ambiente; il clima, ad esempio, rende un meridionale più precoce che non un russo.

Ogni educatore sa e deve sapere che bisogna esser molto pazienti con i giovani arrivati a que­sto critico periodo. Sono nervosi non perchè siano ribelli, ma perchè sono ammalati.

La passione, svegliata nella pubertà, cresce di violenza durante la giovinezza e nel primo perio­do dell'età virile, poi diminuisce lentamente fino a calmarsi o perfino ad estinguersi completa­mente nella vecchiaia.

Ecco la curva normale: prima ascendente, poi discendente: è questo, per così dire, il suo dia­gramma.

Ripeto però ciò che dissi già: bisogna tener conto delle eccezioni, delle irregolarità, perchè tutti i casi non si possono inquadrare dentro una legge semplicistica.

Così, per esempio, può scoppiare verso la fine della virilità, come si vede nel romanzo di Paolo Bourget Il demonio di mezzogiorno, nel quale non si parla d'un mezzogiorno solare, ma d'un mezzogiorno della vita.

Durante la pubertà il giovane apprezza di più le realtà sensibili, diventa meno idealista e più positivo nel senso cattivo della parola. La golosi­tà, per esempio, va crescendo con l'età, come sant'Agostino stesso racconta nel libro decimo delle sue confessioni.

E ora, o giovane amico, ecco una conclusione importantissima per te: Non devi rimandare all'età virile e neppure alla vecchiaia la correzio­ne dei tuoi difetti e dei tuoi vizi, quali che siano. Non dire: più tardi!

L'esperienza insegna che, spessissimo, più l'uomo avanza nella vita e meno si corregge; le probabilità di convertirsi sono in ragione inversa degli anni.

Certo, il giovane è più tentato; ma egli com­prende anche bene che si tratta di una questione di vita o di morte. Ha più slancio naturale, non si è ancora familiarizzato col peccato e general­mente i primi periodi di cadute sono accompa­gnati da rimorsi.

Ma col tempo, l'uomo ottunde il proprio corpo e i propri sentimenti e si immerge, senza grazia e senza vergogna, nei piaceri grossolani. È più difficile correggersi a trent'anni che non a venti! È più difficile correggersi a quarant'anni che non a trenta! È più difficile correggersi verso i cinquanta che non verso quaranta.

Un fenomeno parallelo si nota in un altro campo: la rinuncia alla vita. Si direbbe che un giovane, avendo davanti la riserva ancora intera degli ardori e delle illusioni, dovesse aver più dispiacere di morire che non un vecchio. Errore! Il giovane è generoso per ogni cosa, compresa l'accettazione della morte. Si vedono ogni giorno ragazzi e giovani fare il sacrificio della vita col sorriso sulle labbra; mentre i vecchi si aggrappa­no disperatamente all'esistenza colle unghie sanguinanti. Pare strano, ma e così. E noi potremmo riprendere le cifre in questo modo: si muore più difficilmente a trent'anni che non a venti; si muore più difficilmente a quaranta che non a trenta, verso i cinquanta che non verso i quaranta. E così di seguito.


Come si spiega questo fenomeno?

Con l'abuso della grazia; col fatto che le abitu­dini diventando un tic morale, prendono i carat­teri di movimenti riflessi, simili al muoversi delle palpebre. Il vizioso ritorna al peccato come l'ubriacone torna all'alcool. Si tratta di un allen­tamento senile.

Tutto il sistema di difesa è indebolito. In un attacco non bisogna soltanto considerare la violenza dell'attacco stesso, ma anche la resistenza delle difese. Anche se l'assalto è poco forte, la fortezza cadrà lo stesso, se la cinta ha delle fendi­ture ed è corrosa dai vermi.



IN GUARDIA!

È questo il grido che si lancia al soldato!

È questo l'avvertimento dato da Nostro Signore ai suoi discepoli: «Vigilate! ».

In guardia! I più forti sono tanto deboli!


Noi non siamo più santi di Davide, e Davide è caduto nel peccato impuro.

Non siamo più sapienti di Salomone, e Salo­mone è caduto nel peccato impuro.

Non siamo più mortificati di san Girolamo nel deserto, e san Girolamo non è caduto nel pecca­to impuro, è vero, ma sappiamo quanto il ricor­do delle danze romane lo ossessionasse.

Non siamo più eloquenti di Lutero, e Lutero è caduto nel peccato impuro. Una sera contempla­va con un'altra disgraziata, la sua amante Caterina Bora, nel cielo limpido e brillante come se fosse il sontuoso scrigno di Dio, le miriadi di stelle, e disse melanconicamente: «Vedi, non è più per noi! noi non andremo lassù, noi due...».

In guardia dunque, o giovane! Chi ama il peri­colo, in quello perirà.

Evita tutto ciò che può accendere la fiamma dell'impurità. Dice la leggenda che le salaman­dre vivono nel fuoco senza bruciare; ma tu, gio­vane amico, sei precisamente il contrario delle salamandre: sei fortemente infiammabile!


[SM=g1740733] Sii prudente!

Scrisse Giuseppe De-Maistre: «Non la sanità ma la malattia è contagiosa».

Giorni sono visitai un istituto di batteriologia, dove mi si mostrarono i brodi di cultura, i tubi pieni di microbi, di bacilli e di cocchi, streptococ­chi e staffilococchi, sarcine e spirilli.

Quante città si sarebbero potute infettare con quegli agenti attivi del colera, del tetano e della tubercolosi... E tutta quella roba brulicava in numero di milioni e milioni in quelle ampolle che noi tenevamo in mano. Per fortuna erano diligentemente chiuse.

Ma ahimè, per certi altri germi le ampolle non sono tappate... anzi sono aperte a piacere, con lo scopo preciso di avvelenare!

Che cosa sono infatti certi chioschi di giornali, certe librerie, certi programmi televisivi, certe navigazioni su Internet, se non altrettante ampol­le da cui si dipartono i germi di tutte le putre­fazioni morali, familiari e sociali?

E dire che contro questi germi si sta poco in guardia, perchè sono molto sottili. Si sarebbe tentati di domandare: «Esistono poi? io non li vedo!».

E non si vedono davvero come non si vedono i microbi micidiali dei micrococchi, gonococchi, staffilococchi, ecc.

Finora solo il microscopio elettronico è tanto forte da farci vedere i virus di molte malattie mortali. Diffidiamo dagli infinitamente piccoli! Il mollusco "teredine" è quasi invisibile; eppure ha messo a repentaglio l'intera Olanda per venti volte. Esso infatti fora quelle dighe che sono le più massicce del mondo, di modo che per quelle fessure, dapprima minuscole, l'acqua fil­tra e poi invade le terre.

Similmente le fenditure della vita morale si vanno allargando sempre più, fino a compromet­tere ogni cosa.

Dobbiamo dire dei piccoli pericoli ciò che Stahl diceva dei piccoli difetti: «Le malattie leggere che si ripetono e di cui non si diffida gran che, col pre­testo che non sono mortali, sono nemici più ter­ribili che le grosse malattie contro le quali fin da principio si prendono provvedimenti».

Quasi sempre le gravi malattie vengono por­tate dalle piccole malattie trascurate. Le piccole malattie sono lì tutti i giorni, mentre le grandi sono come le stelle filanti che cadono a lunghi intervalli.

Un punto nero sopra un dente non è nulla; ma se non lo fate vedere presto al dentista, in breve il dente è guastato. Se non lo fate cavare si gua­steranno alla loro volta i denti vicini e poi i vici­ni dei vicini. Il grande danno delle piccole malattie sta appunto in questo: nell'essere piccole nella loro aria d'innocenza. Bisogna dunque essere prudenti!

Ora il vero prudente è colui che prevede e che previene la malattia.

Noi non ci limitiamo ad evitare d'essere «un candidato all'artrite o al diabete o alla sifilide; noi ci sforziamo di evitare completamente questi mali!

«Principiis obsta! sero medicina paratur cum mala per longas invaluere moras». Durante gli studi tu hai trovato certo questi due versi di Ovidio, che io, per farti un compli­mento, credo non abbia bisogno che ti siano tra­dotti... Comunque, te li traduco di seguito: "Reagisci subito! la medicina è preparata troppo tardi quando il male agisce da troppo tempo".

Anche senza aver studiato latino, tu compren­di molto bene il principio contenuto in questi versi, quando si tratta della tua sanità corporale: è più da furbo curare la propria sanità che non la propria malattia. E proprio così: l'igiene è da preferirsi alle pil­lole.

Sai che cosa vale più d'una perfetta impiom­batura? Un dente sano.

Domanda un poco ai nostri gloriosi mutilati se la più ammirabile gamba artificiale vale la gamba naturale, e se un cranio ben trapanato o riparato con delle placche d'argento, vale come un buon cranio intatto!



Sii intransigente!

Ho forse detto abbastanza col raccomandarti d'essere «prudente»?

No: per usare la parola adeguata ed appro­priata bisogna che ti raccomandi d'essere piutto­sto «intransigente».

L'argomento di cui parliamo è «lubrico»: e questa parola di origine latina sai che cosa vuol dire? Vuol dire «sdrucciolevole! ».

Ricordi, è vero e con quanto piacere, quando da ragazzo tu correvi pattinando cosi veloce sul ghiaccio? Dimmi: era più facile fermarsi nella strada o non lanciarsi nello sdrucciolo? Il non lan­ciarsi era in tuo potere, ma non era in tuo potere il fermarti; e lo sai tu, ricordando i capitomboli! Ebbene: il vizio è uno «sdrucciolo»!....

Incidi profondamente nel tuo spirito, come se usassi una punta di diamante, queste verità così evidenti tanto per colui che è vissuto poco, quan­to per colui che è vissuto molto.

È più prudente non assaggiare affatto certi frutti e certi veleni, che assaggiarne un poco.

Sant'Ignazio raccomandava vivamente d'es­sere, nella lotta contro il demonio, categorici, o come noi abbiamo detto, intransigenti.

«Il nostro nemico somiglia ad Eva, di cui pos­siede la debolezza e la testardaggine. È proprio di Eva, quando disputa con un uomo, di perdere il coraggio e di darsi alla fuga appena costui gli mostra una faccia decisa; ma se l'uomo comincia a temere e a ritirarsi, la rabbia, lo spirito di ven­detta e la ferocia femminile crescono senza misura.

Ugualmente è proprio del nemico infernale l'indebolirsi, il perdere coraggio e darsi alla fuga con le tentazioni quando si mostra molta fermez­za. Invece se il tentato comincia a temere e ad affrontare l'attacco con meno coraggio, la mali­zia infernale arriva a tale crudeltà da superare ogni animale feroce di questa terra».

Caterina63
00lunedì 1 luglio 2013 11:12


[SM=g1740732] IL NEMICO

Gravità del peccato mortale


Giovane, il grande nemico dell'anima tua, colui che la renderebbe orribilmente schiava, è il peccato mortale.

È estremamente importante che tu compren­da la gravità di questa mortale colpa d'impurità, della quale spesso si parla con tanta leggerezza al punto di aver il coraggio di dire: «E’ cosa da poco!».

Ma, poichè ci ripugna dover scandagliare la malizia della colpa grave in se stessa, sforziamo­ci piuttosto di vederla in opera.

Quel grande conoscitore d'anime che fu sant'Ignazio invita a considerare tre grandi disa­stri, dovuti a tre grandi colpe.

Ecco i tre quadri del trittico ignaziano:

1° quadro. Gli angeli sono in cielo, belli, felici, i primogeniti della potenza creatrice. Commettono una colpa. Quale? Comunque sia andata la cosa, questo è certo: la colpa degli angeli fu una colpa d'orgoglio, la sola colpa pos­sibile alla loro natura affatto spirituale e per di più conservata nella sua primitiva integrità. Cadono dal cielo come la folgore e sono preci­pitati nell' inferno. Lucifero (che significa «portatore di luce») diventa Satana!

Gli angeli diventano demoni!

Che cosa è avvenuto in questi angeli luminosi per divenire demoni, cosicché Nostro Signore dica loro - come riferisce il Vangelo -. «Ritirati... spirito immondo»?

Una sola colpa mortale! Certo la colpa era d'una gravità eccezionale, essendo stata commessa in piena luce e contro la luce! Ma alla fin fine la colpa fu una sola.

Ora Dio non esagera mai, come fanno gli uomini, trasportati da un eccesso di collera. Quando Dio punisce, fra il delitto e la pena corre una perfetta equazione.

2° quadro. Adamo ed Eva, i primi due bei fiori umani sbocciano nel paradiso terrestre.

La felicità è l'eredità riservata a loro e a tutta la grande famiglia umana.

Commettono una colpa mortale. Osservate il castigo! Pèrdono, per sè e per i discendenti, tutti i doni soprannaturali (ossia la Vita divina) e preternaturali (ossia l'esenzione dalla sofferenza e dalla morte).

Ricorda però che il Concilio di Trento (nella sessione IV al cap.I) dichiara che, dopo il pecca­to originale, la libertà del nostro volere non è stata soppressa, benchè sia rimasta meno forte e più inclinata al male per causa delle tentazioni. Il paradiso terrestre diventa una «valle di lacrime».

Da questo antico paradiso nacquero, nel gior­no stesso della colpa, tre fiumi che bagneranno d'ora innanzi sempre il mondo: un pallido fiume di lacrime, un torbido fiume di fango, un rosso fiume di sangue.

Gesù Cristo, per santificare l'uomo, istituirà i sette Sacramenti che sono come sette sorgenti di grazia, per opporre così i sette fiumi di purezza ai tre fiumi di tristezza, di vergogna, di delitti.

Subito dopo la colpa viene pronunciata la sen­tenza contro Eva: «Tu darai alla luce nel dolore». E ogni "dare alla luce" da allora diventò peno­so: non solo quello della madre, ma anche quel­lo del lavoratore, dell'artista, dell'uomo di genio. Chiunque, quaggiù, in qualsivoglia campo, pro­duce qualche cosa, si tratti del dotto, dell'opera­io, o del sacerdote, deve sperimentare la legge: «Tu darai alla luce nel dolore».

Ed infine la morte, l'orribile morte entra in scena.

Lo so: spesso il peccatore sogghigna: «Il pec­cato mortale? Macché, esso non fa morire! » . Non fa morire? Ma non vedete? si muore solamente per esso!

L'ha detto S. Paolo: «La morte è lo stipendio del peccato» (Ai Romani, 6,23).

Tu morrai, proprio tu, per causa di questo peccato di Adamo e di Eva.

E al mondo si muore: 140.000 volte al giorno! 97 volte al minuto! Quella colpa viene dunque punita la bellezza di 140.000 volte al giorno! In questo momento stesso quanti agonizzano! ...

Ora ripetiamo ciò che dicevamo poco fa: una colpa mortale era stata commessa, di gravità speciale è vero, ma alla fin fine unica. Eppure la punizione fu ed è tanto grave; eppure Colui che san Paolo chiama il «giusto Giudice» (II a Timoteo, 4, 8) non può aver esagerato l'impor­tanza reale del delitto.

3° quadro. Un uomo vive, per un dato tempo, bene; a un certo punto commette una colpa grave; una colpa cioè non di sorpresa, fatta con mezza coscienza, cioè con mezza volontà, ma una colpa commessa con piena coscienza e deli­berato consenso.

Quest'uomo, se morisse senza riconciliarsi con Dio, cadrebbe nell'Inferno.

Eppure, torniamo a ripeterlo per la terza volta, non si tratterebbe di cento peccati mortali, nè di dieci, nè di due, ma di uno. E la giustizia di Dio è perfetta.

Posta l'ipotesi di sant'Ignazio, la conclusione è rigorosamente teologica.

Ma, mi chiederete; questa ipotesi si realizza spesso, nei fatti? Questo è il segreto di Dio.

Noi non abbiamo mai la certezza che un uomo è dannato, anche se sembra morire nello stato di peccato mortale.

S. Ignazio termina la sua meditazione con l'invitare chi ha peccato a volgere lo sguardo a Gesù in Croce: « O peccatore, egli esclama, che poco fa parlavi cosi leggermente del peccato, vedi ciò che ha fatto il tuo peccato! Ha ucciso l'Uomo-Dio! ».

Davanti al corpo straziato e morto in Croce di Gesù, comprendi tu finalmente cosa hai fatto con un peccato mortale!

Ed ora che l'anima ha potuto riflettere sul­l'enormità della colpa mortale, è in grado di udire le parole del Maestro: «Se il tuo occhio destro è per te un'occasione di caduta, strappa­lo e buttalo. via da te! È meglio per te che peri­sca un solo dei tuoi membri piuttosto che tutto il tuo corpo sia gettato sul fuoco. E se la tua mano destra è per te un'occasione di caduta, tagliala e buttala via da te. È meglio per te che perisca un solo dei tuoi membri piuttosto che tutto il tuo corpo sia gettato nel fuoco» (Matteo 6, 29-3i).

Può darsi che noi siamo tentati di dire: «Maestro, è duro questo modo di parlare! »; ma osserviamo ciò che tanti uomini e tante donne fanno ogni giorno quando, per conservare la vita, permettono che il chirurgo compia su di loro una mutilazione.

Una volta, in un ospedale militare, io stesso ho assistito a questo dialogo.

Il dottore diceva:

- Ascolta, tu sei un uomo e io ti voglio parla­re francamente: la cancrena sale; se non ti lasci tagliare la gamba, viene la morte!

- È duro ciò che voi dite, signor dottore! rispondeva il povero soldatino, fattosi all'im­provviso pallidissimo. Ma alla fin fine, se vera­mente è una questione di vita o di morte, ebbe­ne, sia, tagliate pure!

Il povero ammalato obbediva così al consiglio del buon senso elementare, secondo cui è meglio sacrificare la parte che non sacrificare il tutto; è meglio sacrificare l'integrità che non l'intera esi­stenza.

Ciò che gli uomini di mondo capiscono così bene riguardo alla vita del corpo, comprendia­molo anche noi riguardo alla vita dell'anima e diciamo a Dio con sant'Agostino:

«Hic seca, hic ure, hic non parcas; ut in aeternum parcas!».

«Signore, buon chirurgo delle nostre anime, cauterizzate pure le mie piaghe, tagliate nel vivo, purchè cosi voi possiate risparmiarmi per l'eter­nità».

Da questo che diciamo rimangono chiarite le parole del Signore: «Strappa il tuo occhio! taglia la tua mano! » sono soltanto un'immagine. Nè Lui, nè la Chiesa hanno mai comandato a qual­cuno di strapparsi un occhio o di tagliarsi un piede!

Queste espressioni sono un modo di parlare metaforico, equivalenti a questa espressiva frase: «soffri ogni cosa, accetta ogni cosa, ogni rinun­cia, ogni sacrificio, compresa anche una mutila­zione corporale, che i martiri hanno subito, anzi­chè perdere l'anima con la colpa grave».



Dopo aver esaminato la gravità della colpa mortale, non è cosa inutile approfondirne un poco la natura, per ricavare da questa analisi qualche corollario.

Che cosa è adunque una colpa grave?

È una colpa in cui si trovano realizzati con­temporaneamente questi tre elementi:

Materia grave; Piena avvertenza; Deliberato consenso.


Poco fa l'abbiamo detto: colpa grave significa che se uno morisse in questo stato, cadrebbe nell'Inferno!

Inferno: questa parolina di tre sillabe si pro­nuncia in fretta, ma rappresenta una realtà orri­bile: diventare un immortale sventurato! Dio non sarebbe infinitamente buono, o meglio non sarebbe neppure giusto, se condannasse a un simile supplizio colui che potesse rispondergli: «Ma io non ho acconsentito o non ho avuto piena avvertenza!

No, Dio non vuol sorprendere l'uomo come farebbe un traditore e non è un tiranno che tri­onfi di noi con il ghermirci in un atto, fatto con mezza coscienza, allo scopo di punirci eterna­mente.


[SM=g1740733] Nozione del peccato mortale

La nozione di peccato mortale non si ottiene nè con l'addizione nè con la durata.

a) Il peccato mortale non è dunque un con­cetto che si ottenga addizionando o moltiplican­do.

In altre parole, non devi immaginare, o giova­ne amico, che i peccati veniali, addizionandosi gli uni agli altri, finiscano con raggiungere una tanto grande quantità che, con il loro totalizzar­si, costituiscano un peccato mortale.

Mille colpe veniali non fanno una colpa mor­tale, perchè i due concetti di colpa veniale e di colpa mortale sono irriducibili l'uno all'altro; il che esprimono i teologi dicendo che i due concet­ti sono analogici. Parlando familiarmente si dice: cento pere non fanno un arancio.

b) Il concetto di colpa mortale non è neppure una questione di durata.

Una colpa di vanità, di pigrizia, può prolun­garsi durante settimane e settimane e restare sempre leggera, una colpa di bestemmia può du­rare soltanto un minuto secondo e tuttavia (se essa è pienamente cosciente, nota bene) è grave.

I peggiori delitti spesso si commettono con la massima rapidità. Ci vuol così poco tempo per far scattare un grilletto o lanciare una bomba! Ugualmente, una colpa di pensiero, di desiderio può esser commessa in una frazione di minuto.

Nota però che in questo brevissimo tempo, l'uomo per commettere una colpa grave deve accumulare la sua piena personalità e conden­sarla tanto intensamente, da gettare in questo atto la propria pienezza di conoscenza della mente ed il consenso della volontà.

Concludiamo dunque così: il peccato mortale non è una nozione di durata o di aggiunta, ma di gravità.

È l'aversio a Deo (= il volgere le spalle a Dio); è un fatto che consiste per l'uomo nell'equivalen­te di voltare le spalle a Dio, nel fare cosciente­mente ciò che si potrebbe chiamare una comple­ta rottura di relazioni con Lui.


Dalla definizione di colpa grave, che abbiamo dato e spiegato, derivano dieci principi o regole, tanto più importanti in quanto esse si possono applicare non soltanto al peccato impuro, ma a tutti i peccati, senza eccezione.

Inutile dire che i dieci princìpi che stiamo per esporre non sono ne peregrine scoperte, nè sotti­gliezze di teologi. Questo libro è rivolto ai giova­ni.


1° PRINCIPIO: gli scrupoli

Gli scrupolosi devono star tranquilli. Che cosa è uno scrupoloso? È un'anima la quale s'immagi­na che la vita cristiana sia un terreno minato, in cui si può saltare in aria senza neppure accorger­si, una specie di bosco seminato da invisibili trappole e da innumerevoli lacci da lupi. Pensando cosi lo scrupoloso s'inganna e fa un'in­giuria a Dio. No!, no! Non esistono imboscate divine e nessuno commette colpe gravi se non lo sa (e completamente lo sa), se non lo vuole (e completamente lo vuole!).

Ma gli scrupolosi dicono: «Ho tanta paura di commettere una colpa grave! ».

Precisamente questa paura, vi rispondo, vi deve rassicurare di più. Il solo fatto di avere orrore estremo di una cosa dimostra molto bene che quella cosa non la si vuole.

S. Ignazio, che recentemente Leone Daudet chiamò «il re degli psicologi», nelle sue Regole per la conoscenza e il discernimento degli scru­polosi dice che la prova a cui van soggetti gli scrupolosi è molto utile per qualche tempo al­l'anima, perchè serve molto a renderla più linda e più pura col separarla interamente da ogni apparenza di colpa. secondo queste parole di S. Gregorio: «È proprio delle anime buone scorge­re la colpa là dove non ce n'è».

Il nemico, cioè Satana, considera con molta attenzione se un’anima è un poco scrupolosa, o se è timorata. Se è timorata satana si sforza di spinger la delicatezza fino all'esagerazione, allo scopo di gettarla più facilmente nello scoraggia­mento e così abbatterla. Vede, per esempio, che quell'anima non acconsente nè alla colpa grave nè alla leggera, nè a niente di quello che ha l'om­bra di colpa deliberata! Cosa fa allora? Poichè non può farla cadere neppur nell'apparenza d'una colpa, si sforza d'indurla a credere che ci sia peccato là dove non c'è affatto peccato... Vede al contrario un'anima che è poco scrupolosa? Si sforza di renderla scrupolosa ancora di meno. Per esempio, se essa non fa caso alle colpe legge­re, cerca d'indurla a far poco caso alle colpe gravi.

Orbene, l'anima che desidera far progressi nella via spirituale, deve sempre camminare nella via contraria a quella del nemico. Così, per esempio, se il nemico vuol renderla poco delica­ta, si sforzi di rendersi delicata e timorata; ma se il nemico tende a renderla timorata eccessiva­mente per precipitarla nello scrupolo, cerchi di stabilirsi in un sapiente punto di mezzo, per star­vi completamente calma.

Lo stesso S. Ignazio ci lascia altre preziose direttive nelle sue Regole per discernere gli spi­riti:

«Nelle persone che lavorano coraggiosamente a purificarsi dai peccati e procedono di bene in meglio nel servizio di Dio Nostro Signore, il mal­vagio spirito (ossia il demonio) è solito provoca­re tristezza, tormenti di coscienza, ostacoli, falsi ragionamenti che turbano, allo scopo di arresta­re il loro progresso nel cammino della virtù. Al contrario il buono spirito (ossia l'Angelo) è soli­to dare loro coraggio, forze e consolazioni, per fissarli nella calma, facilitare la via e levare tutti gli ostacoli, perchè possano camminare sempre più nel bene».

È cosa propria di Dio e dei suoi angeli, quan­do operano in un'anima, bandire da loro il turba­mento e la tristezza che il nemico si sforza d'in­trodurvi.

È proprio di Dio e degli angeli diffondere in loro la vera allegrezza e la vera gioia spirituale. Invece è cosa propria del nemico combattere questa gioia e questa consolazione interiore, per mezzo di apparenti ragioni, di sottigliezze e di continue illusioni».

«Il buon angelo è solito toccare dolcemente, leggermente e soavemente l'anima di coloro che fanno ogni giorno progressi nella virtù; è, per cosi dire, una goccia di acqua che penetra in una spugna.

Il cattivo angelo, al contrario, la tocca dura­mente, con fracasso e con agitazione, come l'ac­qua che cade sulla pietra».

Ecco ora alcune regole pratiche per gli scru­polosi o paurosi:

- Ubbidiscano ciecamente al confessore, perchè in questa ubbidienza c'è insieme sapienza umana e umiltà cristiana. Considerino inoltre come un male molto sottile questo scrupolo che rende la vita cristiana un fardello tanto insopportabile da essere tentati di buttarlo via. Si ricordino che spesso il rigorismo finisce col diventare lassi­smo.

- Lo scrupoloso deve prendere l'incrollabile risoluzione di non ritornare mai più sopra i fatti già accusati in confessione.



2° PRINCIPIO: il sonno e il dormiveglia

È possibile commettere una colpa grave durante il sonno per via di sogno o di qualsiasi impressione?

No: non si può commettere nè colpa grave nè colpa leggera, perchè è una cosa contraddittoria: fa a pugni dire che uno acconsente e che nel medesimo tempo dorme, il che suppone l'impos­sibilità di acconsentire.

E durante il mezzo sonno o dormiveglia? Durante cioè quello stato indeciso fra la coscien­za e il sonno, che ha luogo, per esempio, al mat­tino o alla sera?

Il problema questa volta è molto più delicato del primo.

Cominciamo a domandarci: Poichè l'inco­scienza è progressiva, a qual grado è arrivata? Vince forse lo stato incosciente o lo stato cosciente perdura, almeno sostanzialmente?

Se veramente si tratta di mezzo-sonno, vi deve essere mezza coscienza, e allora si può com­mettere una colpa leggera, ma non una colpa grave, perchè la colpa grave suppone, per defini­zione, intera coscienza ed intero consenso. Il principio è dunque estremamente semplice checchè ne sia dell'applicazione, forse delicata.

Se tu, giovane amico, soffri durante la notte certi fenomeni caratteristici, che cosa devi fare? Per risponderti, distinguo due casi.

- Se tu non ti svegli durante il fenomeno, non c'è da domandarsi se vi sia del bene o del male, perchè non c'è questione di moralità quando si tratta d'un fenomeno subìto in modo pienamen­te passivo, durante il sonno. Cerca tuttavia di star attento a non mettere volontariamente, durante la veglia, certe cause di turbamenti: let­ture, desideri, ecc.

- Se poi ti svegli, non ti è lecito nè acconsen­tire nè fare qualche cosa allo scopo di provocare i movimenti disordinati o completare il fenome­no incominciato inconsciamente. Ma, mi do­manderai, se non si realizza il pericolo prossimo d'acconsentire, sono obbligato a cambiare una posizione che sarebbe per sè decente o perfino a levarmi? No! Se tu lo facessi, però, sarebbe cosa generosa e te la raccomando molto, specialmen­te se non vi sono inconvenienti a farlo e se sei ancora in tempo ad impedire il risultato del feno­meno.



3° PRINCIPIO: l'ignoranza antecedente

Certuni, quand'erano ancora molto giovani commisero certi atti contrari alla purezza. Più tardi, in seguito ad una predica, ad un ritiro spi­rituale o in seguito alla riflessione ed all'età, prendono coscienza della gravità di quelle azioni e dicono: «Ciò che io facevo era una cosa grave­mente proibita». Costoro peccarono allora gravemente?

No. La colpa si commette con la coscienza che si ha quando la si commette e non con la coscien­za che si acquista dopo.

Quando si tratta di un atto commesso quando s'ignorava che la cosa fosse una colpa grave, la colpa non può essere grave. Resta sempre inteso che questa ignoranza non sia stata voluta o con­servata apposta.

Se, nonostante queste norme, restassero dei turbamenti fondati di coscienza, per esempio perchè si aveva conoscenza oscura che quegli atti fossero proibiti, allora sarà utile confessarsi. In pratica i giovani conservano, in queste cose, quasi sempre certi timori che svaniscono solo con la confessione.



[SM=g1740720] 4° PRINCIPIO: io non ho voluto offende­re Dio

Ma tu dirai: «Ho commesso un atto impuro, ma io non avevo l'intenzione d'offendere Dio». Ti rispondo: l'intenzione esplicita, cioè diretta di offendere Dio è rara e ha luogo soltanto in certe colpe di malizia.

Ma perchè una colpa sia grave basta che vi sia l'intenzione implicita, la quale intenzione impli­cita si trova purtroppo negli atti impuri. Come è possibile ciò?

Così: una data azione (sempre inteso che sia cosciente) e l'ingiuria contro Dio sono saldate fra di loro essenzialmente, in modo che non sono assolu­tamente separabili, per la quale ragione diventa per la sua stessa natura, una disobbedienza a Dio.

Che cosa diresti di un figlio che rivolgesse al padre queste parole: «Voi m'avete formalmente vietato questa cosa; io la farò lo stesso, ma con ciò non intendo però disobbedirvi». Diresti che questo figlio vuol mettere insieme cose che fanno a pugni, perchè l'azione e la disobbedienza coin­cidono necessariamente.

Così l'impurità è una cosa che offende Dio, benchè non venga commessa per offendere Dio. C'è però qui una cosa vera ed è che l'impurità, fra le colpe gravi, è quella che rappresenta il meno di «voltar le spalle a Dio» e il più di «vol­gersi verso le creature». Per questo Nostro Signore che nel Vangelo si mostra tanto severo per la malizia dei Farisei, è pieno di misericordia (Egli sa quanto la carne è debole!) verso quei pentiti che vengono a piangere le sorprese della carne e le debolezze dei sensi.

Noi parliamo qui dell'impurità in se stessa, indipendentemente dalle circostanze che l'ag­gravano, come sarebbero, per esempio: la frode premeditata, la viltà di chi abusa della propria forza o del proprio denaro, la seduzione intra­presa perversamente contro un rivale, ecc.



5° PRINCIPIO: la responsabilità causale

Diciamo una parola sulla responsabilità «cau­sale».

Se io compio volontariamente delle azioni (un pensiero, uno sguardo, una lettura, un desiderio, ecc.) prevedendo (ripeto: "prevedendo" che influiranno sulle mie future decisioni, io pongo la causa delle mie azioni che in futuro compirò anche involontariamente.

Il perché di ciò si trova in due espressioni pro­verbiali che sono classiche nella filosofia: «Causa causae est causa causati»; e «Qui vult antece­dens, vult et consequens» (=la causa di una causa è causa della cosa causata; Chi vuole l'an­tecedente vuole anche il conseguente).

Ed è naturale che così debba essere, perchè chi vuole la causa, vuole implicitamente l'effetto che vi si trova contenuto; chi vuole l'albero vuole il ramo che nascerà da quell'albero e il frutto che nascerà da quel ramo.

Supponete che un re scateni una guerra ingiu­sta. Davanti agli orrori della stessa guerra sareb­be troppo comodo che gli fosse lecito ripetere: «Io li ho previsti ma non li ho voluti». È vero che egli può non aver voluto questa o quella speciale morte; ma col decidere la guerra ha implicita­mente deciso tutti i lutti e tutte le uccisioni che sono inevitabili.

Questo principio presenta numerose applica­zioni in materia di purezza. Un giovane dirà: «In quella circostanza io ho veduto rosso, cioè ho perso la testa».

Questo, rispondo, può essere qualche volta vero, anzi, è vero più ancora di qualche volta ... Ma questa specie di follia tu, o giovane amico, l'avevi prevista: l'esperienza te l'aveva insegnato anche troppo bene. E tuttavia, senza una ragione scusante, ti sei esposto.

Hai dunque mancato per lo meno allora: cioè con il primo sguardo, se non con gli ultimi sguardi; alla prima pagina di quel romanzo, se non alla centesima.

«Io - mi dici - non ero più libero di arre­starmi sulla china! »; e io ti credo: ma tu eri libe­ro di non metterti sulla china, ti rispondo.

Altro esempio: può darsi che tu abbia perdu­to la testa, in quel dato luogo, in quel dato momento. E che cosa dovresti concludere? Tutt'al più questo: "Tu non eri più responsabile in quel dato momento; ma tu eri responsabile quando ti avviavi verso quel luogo, prevedendo che là avresti perso la testa! Il vero momento della responsabilità fu quello in cui tu andasti là.



Caterina63
00lunedì 1 luglio 2013 11:16


[SM=g1740733] 6° PRINCIPIO: i cattivi pensieri

Dio non ha soltanto proibito gli atti impuri, ma anche le immaginazioni, i pensieri e i desideri. Bada bene a distinguere questi tre casi:

1 - Pensare una cosa che ha un lato impuro. Molte volte questo è necessario che lo faccia il medico, il teologo, lo scienziato, ecc.

2 - Pensare ad una cosa mediante questo lato impuro. Spesso è cosa legittima, per esempio nello studio. Dio, che conosce tutto, conosce anche questo aspetto delle realtà.

3 - Pensare a una cosa in vista di questo lato impuro. Questo è male, e si chiama immagine, pensiero, desiderio cattivo.


Dio sa (come sappiamo anche noi) che l'azio­ne è lo sbocco logico dell'idea. Per questo non si limitò a tagliare solamente la pianta velenosa dell'impurità, ma volle discendere fino alla stes­sa radice, per estirparla dal cuore umano.

Ascolta queste parole decisive di Gesù: «Voi avete imparato (parlava agli Ebrei, i quali cono­scevano i comandamenti dati da Dio a Mosè) che fu detto agli antichi: Non commettere adulterio. Ma io vi dico: Chiunque guarda una donna con desiderio impuro, ha già commesso l'adulterio nel suo cuore» (Vangelo di Matteo 5, 27).

È molto utile esaminare non solo il principio dei nostri pensieri, ma tutto il loro procedimen­to, perchè i pensieri possono nascere innocenti e, cammin facendo, deviare e degenerare in cattivi.

«È cosa propria dell'angelo cattivo, dice sant'Ignazio, quando si vuol mascherare in ange­lo di luce, entrare da principio nei sentimenti dell'anima pia e finire con l'ispirare i suoi propri sentimenti diabolici. Così comincia col suggerire pensieri buoni e santi, conformi alle disposizioni virtuose di quell'anima; ma a poco a poco si sfor­za di attirarla nei suoi segreti tranelli e di farla acconsentire ai suoi colpevoli disegni.

Per questo noi dobbiamo esaminare con gran­de cura il percorso e la direzione dei nostri pen­sieri; se il principio, il mezzo e la fine sono buoni in se stessi e tendono puramente al bene, è que­sta una prova che vengono dall'angelo buono».

Quali sono i principi di responsabilità nelle tentazioni che si chiamano cattivi pensieri?

Sono possibili, di fronte ai cattivi pensieri, due maniere di comportarsi:

1 - Cercar di accontentare tali pensieri.

2 - Trattenere volontariamente tali pensieri. Esaminiamo ciascuno di questi modi di com­portarsi:

Primo modo di comportarsi. Quando uno si sforza di respingere pensieri cattivi non soltanto non commette colpa, ma acquista meriti, poichè riporta una vittoria sopra se stesso.

L'esperienza però dimostra che il migliore e più efficace modo di "respingere" i cattivi pensie­ri è quello di "dimenticarli", pensando subito a qualche altra cosa, leggendo un libro, facendo un atto di amore a Gesù...

La formula vincitrice è quindi duplice: è «di­menticare ed amare», ossia lasciar cadere subi­to nel dimenticatoio il pensiero cattivo e fare subito un atto di amore verso Gesù.

Si applica qui alla perfezione il proverbio che dice "chiodo scaccia chiodo": il nuovo pensiero (buono) scaccia il vecchio (cattivo) che cade nel dimenticatoio.

Secondo modo di comportarsi. Se uno s'accorge che certi pensieri o desideri sono malsani e liberamente li trattiene e vi acconsente, in questo momento preciso, e non prima, comincia la sua responsabilità.

Come non si ha il diritto di conservare una sporca immagine in un album segreto, così non si può conservare uno sporco fantasma nell'al­bum segreto della fantasia.

Vicino alle brutture esteriori, ci sono le brut­ture interiori: nella memoria o nella immagina­zione.

La parte della fantasia, nelle tentazioni impu­re, è purtroppo grandissima. L'azione colpevole è ordinariamente accompagnata da rappresenta­zioni che la provocano o l'alimentano. Perfino nelle impressioni subìte durante i fenomeni del sonno, la fantasia interviene in larga misura, alle volte come causa, altre volte come effetto.

Abbiamo già veduto che i piaceri sensuali sono di ordine nervoso. Il sistema nervoso è in comunicazione con quell'ufficio centrale che si chiama il cervello. Ora, formare le immagini è una maniera di operare che ha il cervello. È dun­que naturale che i movimenti impuri e le imma­gini impure vadano quasi sempre di pari passo.

Ma ora voglio dare a te la parola, o giovane amico, perchè so che hai molte difficoltà da farmi.

- I pensieri o le immagini che mi perseguita­no sono orribili.

- Sia pure, ti rispondo, e che importa? La colpa non consiste nel gioco dell'immaginazione o dell'intelligenza, ma nel consenso della volon­tà. C'è a questo proposito un vecchio proverbio latino: «Non nocet sensus, ubi non est consen­sus», che si potrebbe tradurre in questi due versi, non certo degni di Dante: È nulla il tuo sentire, è tutto acconsentire.

- Ma questi pensieri girano come una ruota, fino ad ossessionarmi, e mi tormentano giorno e notte.

- E con questo?

Vuol dire che ti sei fatto maggiori meriti; per­chè è più glorioso resistere due ore che resistere due minuti. Lotta più lunga, palma più bella!

Noi possiamo meritare in due maniere, quan­do dal di fuori ci viene un cattivo pensiero. Anzitutto, se, quando si presenta il pensiero di commettere una colpa grave, io resisto (dimentico!) subito e così riporto la vittoria. Secondariamente, se questo cattivo pensiero, respinto in principio, ritorna una o più volte e io resisto, sempre fisso a cacciarlo completamente, questa seconda maniera è molto più meritoria che non la prima».

- Ma io, quando mi vengono questi pensieri cattivi, provo un diletto proibito.

- La cosa è fatale ed inevitabile, ti rispondo, ma tu non sei responsabile finchè lo risenti senza averlo cercato e senza portarvi un volontario compiacimento.

- Io tremo, quando considero che basta un istante per commettere una colpa grave di pen­siero.

- Ti rispondo che basta un sol istante anche per lacerare una tela di Raffaello, per schiaffeg­giare un amico o per dire al proprio padre: ti odio.

Temi tu, ciò nonostante, che ti accada di com­mettere queste enormità d'un istante, contro il tuo volere?

Quest'altra enormità d'un istante che si chia­ma la colpa grave, non può essere commessa, contro il tuo volere, poichè la colpa grave suppo­ne essenzialmente, oltre che la materia grave, la perfetta avvertenza e l'intero consenso.

- Il diavolo è tanto forte!

- Il diavolo, ti risponde questa volta S. Bernardo, è un cane che abbaia terribilmente... ma è legato alla catena. Lascia pure che questo impotente rabbioso schiamazzi. Non ti morderà mai, a meno che tu non voglia, proprio tu e colle tue mani, slegargli dal collo la catena.



7° PRINCIPIO: prima della Comunione

Prevengo un'altra tua difficoltà:

- Queste brutte tentazioni m'assalgono di preferenza prima della Comunione.

- Ti credo e ti dico anzi che questo fatto è molto frequente.

Ma si spiega molto bene con due ragioni. Anzitutto vi è una causa affatto naturale. Al mat­tino lo spirito riacquista tutta la sua freschezza e l'immaginazione non ha ancora lavorato; per questo l'uno e l'altro giocano più facilmente. Al mattino le nostre facoltà hanno il loro massimo di plasticità.

In secondo luogo, il nostro nemico sa molto bene che la Comunione è il grande mezzo di san­tificazione, e per questo, allo scopo di allontanar­tene, ti va insinuando: « Come! tu oseresti rice­vere il tuo Dio in un'anima tutta posseduta da desideri malsani e macchiata da simili bruttu­re?».

Che devi fare in questo caso? Astenerti dalla Comunione? Oibò! Mai; se tu facessi così, quan­do sai di non aver acconsentito al male, ti preste­resti mirabilmente al gioco del diavolo.

- Ma, continui forse, io non so, prima della Comunione, se ho acconsentito o non acconsen­tito. Che regola tenere allora?

- Finché rimane solidamente probabile che tu sia ancora in stato di grazia, conservi il diritto di accostarti alla Sacra Mensa. Sarebbe cosa pru­dente che tu facessi un atto di contrizione perfet­ta, ma non ti può essere imposta come obbligato­ria la confessione. Perchè? Perchè la legge della confessione non vale se non per il caso di colpa grave e, nella tua ipotesi, la colpa grave è molto seriamente dubbia e quindi la legge stessa diven­ta dubbia. Ora la legge dubbia non obbliga: «Lex dubia, lex nulla».

Tuttavia, se il timore di una colpa grave è abbastanza fondato, sarebbe molto desiderabile ed anche più conveniente e più pacificante, pas­sare dal confessore.

Certamente noi abbiamo detto che non vi sarebbe obbligazione stretta, finchè resta solida­mente probabile il fatto di non aver acconsenti­to, ma è proprio questo il caso in cui bisogna distinguere fra la legge stretta ed il consiglio. Nei rapporti con Nostro Signore, come nei rapporti con gli uomini, vicino a ciò che bisogna fare si estende tutto il largo campo delle delica­tezze e delle convenienze.

Il dubbio di cui ora parliamo potrà avere più facilmente fondamento in colui che resta per­plesso sullo stato dell'anima sua, benchè la sua coscienza sia grossolana, che non in colui che esita perchè è inclinato agli scrupoli. Ora, nota bene, i miei consigli, in questo momento sono indirizzati alle anime delicate, le quali possono applicarsi il principio: «In dubiis iudicandum est ex ordinarie contingentibus», «Nel dubbio si deve stare a ciò che faccio ordinariamente»; esse possono cioè pensare che nel loro dubbio, la convinzione è in loro favore.

Tutti i principi che ho esposto finora sono molto ben riassunti dal più soave maestro della vita spirituale: S. Francesco di Sales. Eccoti una pagina scritta con molta grazia e pensata con molto buon senso.

«Siete voi bersagliati dalle tentazioni?

Non bisogna per questo nè che v'inquietiate nè che cambiate posizione. È il diavolo che va dappertutto intorno al vostro spirito, frugando per vedere se può trovare qualche porta aperta.

Faceva così anche con Giobbe, con S. Antonio, con S. Caterina da Siena e con moltissime altre anime buone.

Bisogna forse inquietarsi per questo?

No: lasciatelo crepar di freddo; tenete ben chiuse tutte le porte ed egli si stancherà finalmen­te o, se non si stanca, Dio gli farà levare l'assedio.

È buon segno ch'egli vada facendo tanto fra­casso e tanta tempesta intorno alla vostra volon­tà: è segno cioè che non vi è entrato. Guardatevi bene dall'adirarvi col vostro cuore per questi disgustosi pensieri che gli stanno tutto all'intor­no; perchè il tuo povero cuore non ne ha proprio colpa e Dio stesso non lo rimprovera affatto, anzi il contrario! la divina sapienza si compiace nel vedere che andate tremando alla sola ombra del male come un pulcino trema all'ombra del nib­bio che gli sta roteando sopra.

Ricorriamo alla croce, baciamola di cuore; restiamo in pace all'ombra di questo santo albe­ro. È impossibile che qualche cosa ci manchi fin­chè conserviamo una vera risoluzione di essere tutti di Dio. Non bisogna adunque agitarsi nelle tentazioni, ma restare in una gaia e dolce rasse­gnazione al beneplacito di Dio.

Le tentazioni non possono togliere nulla alla purezza di un cuore che non le ama affatto. Non teniamo lo sguardo volto verso di loro, ma guar­diamo fissamente il nostro Salvatore che ci aspetta al di là della tormenta.

Sapete perchè le tentazioni ci turbano? Perchè vi pensiamo troppo e le temiamo troppo! ».

Meditate queste ultime righe di san Francesco di Sales, voi che vi preoccupate eccessivamente per l'assalto dei desideri importuni.

Perchè perdere la padronanza della vostra anima e così infiacchirvi?

L'affanno conserva ed intensifica queste ten­tazioni. Conservate la vostra volontà molto gene­rosa, ma il vostro cuore se ne stia molto calmo.

L'agitarsi è un impiegar la forza fuori di posto! Sforzatevi invece di trascurare, di disprez­zare, di dimenticare.


Voglio esprimere tutto il mio pensiero.

La cosa essenziale sarebbe questa: Pensare il meno possibile all'impurità.

Certuni finiscono col patire le allucinazioni davanti a queste miserie e concentrano talmente la loro attenzione su tutto quello che riguarda la purezza che finiscono per credere che la religio­ne consista solamente in questo!

Esaminiamo le cose con calma.

Quando a Nostro Signore fu domandato quale era la prima virtù, rispose: «La carità». Ama Dio e tutto il resto sarà assicurato. Il giorno in cui l'amore di Dio diventerà la nota fondamentale della nostra anima le altre virtù ne diventeranno naturalmente le note armoniche!

Pensa un poco meno ai cento e cento punti interrogativi: «non si può far questo, non si può far quello» e pensa un po' di più al grande punto affermativo: «Ama Dio con tutto il tuo cuore! ».

Dal momento che un figlio ama sinceramente il proprio padre, c'è forse ancor bisogno d'infilar­gli venti raccomandazioni: di non dargli noia, non picchiarlo, ecc? «Ama Dio e fa' quello che vuoi! ».

Ama il Signore con tutta la tua anima, con tutte le tue forze e questa generosa nobiltà di­scenderà dall'alto in tutti i piani. Nell'edificare la santità bisogna fare a rovescio di quanto si fa nel costruire le case: non bisogna cominciare dal basso, ma cominciare dall'alto.

S. Ignazio quando vuol concludere i suoi Esercizi Spirituali e dare il colpo decisivo, pro­pone una contemplazione sull'amore divino.

«Richiamerò alla memoria, scrive, i benefici che ho ricevuto... Considererò molto affettuosa­mente tutto quello che Iddio Nostro Signore ha fatto per me ... ».



8° PRINCIPIO: il 6° comandamento

Avrai udito spesse volte enunciare questo principio: «in materia d'impurità non si dà pic­colezza di materia, cioè ogni colpa è grave». Come si deve interpretarlo?

Bisogna intenderlo come lo spiegano i teologi, se non si vuole falsarsi la coscienza.

- Cominciamo coll'osservare che anche quando la materia è grave la colpa può restare leggera, perchè la colpa mortale suppone, oltre a questo primo elemento della materia grave, due altre condizioni: conoscenza perfetta e consenso intero. Ciò posto, in molti casi vi sarà soltanto «materia» per una colpa grave, ma non un'effet­tiva colpa grave.

- In secondo luogo: quando la teologia inse­gna che non esiste «materia» leggera in fatto di castità, che cosa vuol indicare con questa parola «materia»?

Certo non vuoi indicare una semplice sensua­lità, perchè è evidente che ci può essere materia leggera in una certa lettura un po' libera, in una certa allusione fuori di posto, in un certo sorriso indulgente, ecc. Ma si deve trattare, nel principio enunciato, della lussuria propriamente detta (che è un vizio disordinato) e che, se direttamen­te cercata, è peccato.

Esaminiamo una per una queste due espres­sioni. «La lussuria propriamente detta» consiste in quei movimenti sregolati delle parti sessuali (spesso chiamati ribellioni della carne) accom­pagnati da soddisfazioni d'ordine venereo e genesiaco, in modo che lo sbocco logico (che sia raggiunto o no, non importa) sarebbe la soddi­sfazione completa della passione.

Conviene badare a tre cose: 1) Si può peccare contro la purezza senza che vi sia movimento, ma allora sono peccati interni (pensieri, deside­ri). 2) La parola venereo viene da Venere, che secondo le favole mitologiche era la dea del pia­cere. 3) La parola genesiaco, vuol dire: relativo alla generazione. Si possono provare in quegli organi delle impressioni che non sono d'ordine genesiaco, per es. il calore, il freddo, la pressio­ne, anche un certo qual benessere che non ha affatto carattere venereo.

L'argomento come vedi, è molto delicato, ma se ne può parlare con tutta purezza. Dio prevede quanto coraggio è necessario all'uomo e alla donna per accettare i pesi della famiglia, e per questo ha messo provvidenzialmente un'attratti­va ed un compenso di piacere nell'esercizio delle funzioni generative.

Negli esseri umani troviamo soprattutto due tendenze: la tendenza alla conservazione dell'indi­viduo che spinge alla nutrizione, e la tendenza alla conservazione della specie, che spinge alla riprodu­zione. L'individuo muore, ma bisogna che l'uma­nità viva. L'umanità, la specie umana, deve restare ed è per questo che gli esseri umani hanno così profondo istinto del loro prolungarsi nei posteri.

Gli organi destinati alla generazione e chia­mati, per questo motivo, genitali o sessuali, hanno diritto al piacere lecito nell'unione legitti­ma del Matrimonio, il quale assicura la trasmis­sione della vita e che da Dio stesso fu elevato alla dignità di Sacramento. Ma, fuori di questo caso, questo piacere è deviato violentemente dal fine che lo giustifica, è privato del suo vero scopo, e perciò diventa un disordine.

Se Dio ha associato la soddisfazione sensibile col fine per cui ci fu data, non è possibile né leci­to giustificare il loro dissociarsi, come non è pos­sibile separare, il nutrirsi dalla soddisfazione del gusto dal dovere di nutrirsi.


Per verificare se la tua anima si tiene in rego­la sarà utile che tu ti faccia, in simili casi, queste due domande:

1°) Sono io in grado di giustificare l'azione che compio? Ha essa un motivo sufficientemen­te serio e diverso da quello che ha di mira la pas­sione?

2°) Sono io in grado di giustificare la mia intenzione? È essa diritta?

Insisto su quest'ultimo punto: può darsi che una cosa sia onesta in se stessa e permessa dalla morale, ma sempre nella supposizione che l'in­tenzione direttrice rimanga buona.

Il bisogno di calmare i pruriti, o il desiderio di aver una bella pulizia o della sanità possono essere motivi seriamente utili o qualche volta necessari, ma possono anche diventare altrettan­ti pretesti della passione.

Attenzione, dunque, e dirittura! niente co­scienza a doppio fondo, come le scatole di certi ciarlatani. Niente pie gherminelle!

Alle volte si vuole giocar d'astuzia con Dio, sforzarsi di scivolargli in mano le monete false d'ingannatrici ragioni.

Ora ciò che Iddio guarda soprattutto, dice la Scrittura, è la lealtà del cuore, la buona volontà; al punto che, perfino in caso d'errore, la respon­sabilità umana è salva quando c'è realmente la buona fede.

Citiamo due filosofi non nostri, ma che pure dissero qualche verità. Fidote scrisse: Il solo dovere è questo: «volere agire conformemente al proprio dovere»; e Kant: «di tutte le cose che si possono pensare nel mondo, ve n'è una sola che si può tener per buona senza restrizione: una buona volontà».


9° PRINCIPIO: la divisione delle cause

Bisogna dividere le cause di certe azioni. Alcune cause di effetti impuri sono cattive in se stesse; altre invece sono cattive soltanto in certe circostanze determinate.

Sono in se stesse colpevoli le cose che, per loro natura, sono inevitabilmente una provoca­zione grave al vizio.

Altre cause invece non sono cattive in se stes­se, ma diventano colpevoli in certe condizioni; dimodochè la stessa azione sarà buona o cattiva, secondo le circostanze.

Facciamo dei casi, che, certo, anche a te ven­gono in mente:

- Un dato sguardo è colpa grave?

Bisogna distinguere: da vicino o da lontano? di sfuggita o con insistenza? per pura curiosità o con intenzione malvagia?

- Una certa conversazione libera è colpa grave?

Colui che la tiene o l'ascolta è un fanciullo? un uomo sposato? un vecchio che percepisce poche sensazioni? una persona più o meno immunizza­ta dall'abitudine?

- I baci sono colpa grave?

Possono essere permessi dall'usanza o dalle relazioni familiari.

Possono essere complicati da esagerazioni sentimentali, e da malizia.

Possono spesso diventare una manifestazione gravemente passionale.

Bisogna dunque sempre badare alle circo­stanze. La circostanza che generalmente influirà di più e la durata.

Certe azioni fatte velocemente (e sempre nella supposizione che si abbia un'intenzione retta) resteranno oneste, mentre le stesse azioni diven­teranno gravi, quando ci si fermi lungamente senza una vera necessità. Concluderò con le parole del Vangelo: «Chi ha orecchie per inten­dere intenda! ».

Dopo aver diviso le cause, diciamo in quale gradazione si presentano.

L'ordine ascendente delle cause eccitanti pare che si potrebbe stabilire così:

al grado inferiore, la parola; perchè il sempli­ce racconto di una cosa impressiona meno che non la cosa stessa;

in secondo luogo, la figura: la statua è più pro­vocatrice della parola, perchè presenta le forme; in terzo luogo, la pittura perché aggiunge l'in­canto del colore;

in quarto luogo, la vista diretta, perché non si tratta più solo delle rappresentazioni con le forme e i colori, ma si tratta della cosa stessa; in quinto luogo: il contatto.



10° PRINCIPIO: la responsabilità

Finisco col prendere in esame una scusa o una difesa assai frequente:

- Io non sono responsabile quando commet­to una colpa impura, perché, durante l'ipnosi sensuale, perdo la mia libertà. « La tentazione, si dice, diventa irresistibile, tanto l'attrattiva scon­volge e quasi ubriaca». Tutti riconoscono, si con­tinua, questa specie di stregamento, a comincia­re da san Clemente Alessandrino il quale dichia­ra che «l'animo viene strappato dall'uomo con violenza»; fino a Paolo Bourget il quale, nel romanzo Il Discepolo, parla di «quell'ubriachez­za da cui noi siamo presi come dal vino» Ecco l'obiezione.

- E io rispondo:

Non dimentichiamo mai che seduzione non è fatalità e che vicino all'azione subìta esiste il principio di reazione, quella libertà del volere il cui privilegio e l'essenza stessa è di poter resiste­re.

La religione ha saputo dominare i più tiranni­ci e i più tenaci vizi: le libertà non pudiche del paganesimo, la sete di vendetta dei selvaggi, l'ubriachezza di molti popoli.

Perchè non sarà capace la religione di trionfa­re sul vizio impuro?

Certo questa passione è focosa ed inebriante. «Io ero diventato un altro, dice qualche volta il povero caduto; mi sembrava d'essere in preda a una breve pazzia».

Lo credo, e dico: può effettivamente succedere che la mancan­za di deliberazione perfetta e di consenso intero, elimini il peccato mortale, se non anche il pecca­to veniale. Ma questo caso di responsabilità sop­pressa si verificherà soprattutto per pura sorpre­sa, che i teologi chiamano con un'espressione poco latina, ma molto suggestiva motus primo primi (=moti imrovvisi, subiti ma non voluti): movimenti cioè talmente rapidi che prevengono ogni deliberazione dell'intelligenza.

L'irresponsabilità viene allora da questa sor­presa e non già dalla violenza: la volontà si può paragonare, in questi casi, ad una piazzaforte che può essere presa a tradimento, ma mai d'assalto. La moderna strategia arriva, è vero, a far crol­lare le più resistenti fortezze; ma c'è un forte che resta sempre inespugnabile: il forte interno della nostra libertà di volere.

L'assalto della concupiscenza sarà certo una circostanza che attenua la sconfitta, ma non sarà mai una circostanza che la giustifichi.

Il timore può ancor di più costringere la nostra libertà. Chi più dei nostri martiri conobbe lo scuotimento quasi pazzo di tutto l'essere? Eppure è apostata, quel cristiano che rinnegasse la fede davanti all'orrore dei supplizi (anche se sarà meno colpevole di colui che rinnega Gesù senza simile pressione morale) ma infine colpe­vole lo stesso.

L'abitudine impura è tirannica, ma si è respon­sabili di averla contratta. L'uomo è figlio delle pro­prie opere, ma è padre delle proprie abitudini.

L'ignoranza scuserebbe più facilmente e più di tutto, perchè non si può volere ciò che non si conosce affatto e nulla è tanto contrario al con­senso quanto l'errore. In questo caso non si trat­ta di cedere, ma di non sapere.

L'ambiente può essere dannoso alla purezza, oppure può essere addirittura corruttore.

Ma ricorda che:

a) L'ambiente invita l'uomo; non lo costringe.


b) Se Dio permise che noi nascessimo e vives­simo in un simile ambiente, allora ci darà le gra­zie corrispondenti. Ma se noi stessi ci siamo messi dentro volontariamente, e per questo solo fatto, siamo diventati colpevoli.

c) Se l'ambiente operasse tutto, come si potrebbe spiegare il fatto che certi giovani edu­cati in ambienti differentissimi si rassomigliano e viceversa due fratelli educati nello stesso ambiente familiare presentano due vite tanto divergenti?

d) Giulio Simon nel libro Dovere ricorda che l'uomo, anche nell'ambiente più depravato, sente sempre la voce della coscienza.

In breve: nella lotta per la purezza, molte cause diminuiscono la libertà umana, ma non la sopprimono del tutto.


Caterina63
00lunedì 1 luglio 2013 11:20


L’ATTACCO

Colui che ama il pericolo...

Il peccato impuro è il nemico della nostra anima.


Con un nemico bisogna evitare non solo le alleanze, ma anche i compromessi.

Durante la guerra era proibito fraternizzare col nemico!
Con maggior ragione non vi dev'essere frater­nità fra l'anima e la colpa.
È cosa idiota civettare con Satana!



Voi sapete che la colpa impura è tentatrice. Perchè volerne assaggiare ... un poco?

Il bambino a cui fu proibito di toccare la crema, si ostina a volere leccare, per lo meno agli orli del vaso.

Quanti giovani, quanti uomini maturi, cono­scendo la proibizione divina di gustare le malsane dolcezze vogliono leccare almeno gli orli del piatto. A cinque anni, passi!...

Ma a quindici, a vent'anni, a quarant'anni! o anche più tardi...


Chi scherza con un rasoio si taglierà. Chi scherza col fuoco si brucerà.

«Chi ama il pericolo, vi perirà», dice la Scrit­tura (Eccl. 3, 2). Questa cosa è evidente!

Trent'anni or sono, in una tipografia di Liegi, un giovane apprendista era incaricato di mettere un libro in mezzo a due rulli compressori. Non c'era alcun pericolo, perchè, tenendo il libro da una estremità presentava l'altra alla macchina. Ma che volete? Sembrava una cosa eccitante l'at­trattiva del pericolo burlato; e per avere questa particolare sensazione il ragazzo si divertiva a mettere la punta del dito fra i rulli e la ritirava presto, nel momento preciso in cui stava per essere preso.

Un giorno convoca i suoi amici: «Osservate! è cosa tanto piacevole questo piccolo brivido... No, non fu piacevole. Perchè, quella volta, non riuscì a ritirare il dito a tempo. Sotto i due pesanti rulli compressori tutto fu stritolato: muscoli, nervi, ossa.

Il ragazzo gettò un urlo, ma la macchina cieca continuò e quando l'ingegnere accorse e riuscì a svitare i due rulli, vide, spettacolo orribile, sopra di ciascuno, in forma di lamina sanguinolente, la carne stritolata del ragazzo. «È cosi piacevole!... questo piccolo brivido!».

Voi direte: «Orribile fatto! ma se lo è meritato!. Che pazzia fare una simile scommessa! ». D'accordo. Eppure, quanti giovani fanno così. Vogliono anch' essi scherzare col pericolo. « È così piacevole... Questo piccolo brivido...!».

Oh, sono decisi a mettere soltanto la punta del dito nell'ingranaggio... Ma ecco che la mac­china brutale li attanaglia tutti interi. Volevano scherzare. Non scherza la golosa macchina divo­ratrice di anime che si chiama impurità!

La Scrittura ha ragione, sì, ha ragione: «Chi ama il pericolo, vi perirà! ».

Ma quali sono questi pericoli, queste occasio­ni della colpa impura?

Dobbiamo fare due classi: pericoli individuali e pericoli generali.



Pericoli individuali

Quando facciamo il bilancio del nostro stato fisiologico, cioè della nostra salute, veniamo a constatare che ognuno di noi ha il suo «punto debole». Sarà, secondo gl'individui, il cuore, i polmoni, i reni, le arterie, ecc.

Se voi mi promettete di non ridere, vi dirò la parola della medicina, parola nuova e strana: Ognuno ha le sue «idiosincrasìe».

M'avete promesso di non ridere... L'idiosincrasìa è quella maniera speciale che ogni individuo ha di reagire sotto l'azione di germi patogeni o di qualsiasi agente. In altre parole (perchè vedo che non avete capito nulla) vi dirò col Littré: « L'idiosincrasìa è la disposizio­ne propria a ciascun individuo per la quale le stesse cause producono in soggetti differenti effetti differenti».

I medici sono giunti a questa conclusione: «Non ci sono malattie, ma ci sono ammalati», cioè i caratteri delle malattie sono tanto differen­ti come sono differenti gli organismi colpiti. Così, che cosa si può dire di coloro che vanno cercando i rimedi dei loro mali negli annunci dei giornali? Costoro dimenticano che la malattia non è una cosa assoluta ed invariabile, ma relati­va e capace di colorarsi con infinite sfumature, secondo la complessità dei diversi temperamen­ti.

Ebbene; ciò che è vero della sanità corporale è vero anche della sanità morale.

Ciascuno ha il suo temperamento speciale ed il suo punto debole, che non è quello del vicino. Tutti sono tentati, nel punto della purezza, l'abbiamo detto, ma non tutti sono tentati nella medesima maniera.

Uno è tentato dal cuore; per un altro la diffi­coltà non viene dal cuore, ma dall'immaginazio­ne o dalla memoria; per altri infine, le occasioni delicate sono la lettura, o gli sguardi, o le relazio­ni. Bisogna dire però che, in generale, una pro­pensione non esclude interamente le altre; si limita a dominarle.

Qualche volta le tendenze prendono una stra­na precisione e finiscono per concentrarsi sopra un unico punto, in circostanze molto precise.

Come si spiega che la tentazione è così «spe­cializzata?».

Il fenomeno può essere molto complesso e può dipendere dal temperamento, ecc. Ma una causa ordinarissima sta nell'abitudine.

L'abitudine è una facilità a ricominciare una stessa azione.

Un'azione non si esaurisce in se stessa, ma lascia qualche cosa in noi, cioè lascia come una piegatura, come un solco scavato per sempre e che noi portiamo nell'anima.

Il giovane che ha peccato in una data maniera ha creato una «associazione d'immagini» fra quella occasione e quella colpa. I due fantasmi rimangono come saldati insieme.

Egli ha commessa la colpa così e non in altra maniera, o meno in altra maniera.

Si ha un bel credersi guariti: ognuno sente male nella sua cicatrice: Paolo Goy, nel suo libro Purezza razionale arriva fino al punto di proclamare: «Le tentazioni non sono altro che le eccitazioni precedentemente consentite».


Notiamo che il meccanismo dell' «associazio­ne delle immagini» ha una doppia spiegazione: fisiologica e psicologica.

I. - SPIEGAZIONE FISIOLOGICA

«Ammesso che ogni stato di coscienza lascia dietro di sè una traccia nei centri nervosi, si com­prende come il prodursi di parecchie immagini contemporaneamente o in successione immedia­ta, generi fra gli elementi nuovi corrispondenti come altrettanti ponti che li legano in gruppi col­legati, tendenti a vibrare insieme. Ciò posto, basta che uno di questi elementi venga scosso da un'immagine perchè, in forza dei ponti che li mettono in comunicazione con gli altri elementi ed alla corrente che corre per questi ponti, tutto il gruppo al quale appartiene quell'elemento si svegli nel medesimo tempo e faccia rivivere... le immagini che lo compongono. Da qui la legge formulata da Hoffding: Ogni fatto di coscienza che si produce tende a riprodurre lo stato totale di cui fa parte.

II. - SPIEGAZIONE PSICOLOGICA

a) Per regola generale, un'associazione dura tanto più quanto è più viva l'impressione da cui è stata formata. Per es. Una grave disgrazia accade sotto i miei occhi: l'emozione che produce in me questo spettacolo basta per associare e fissare tanto solidamente le diverse circostanze che l'hanno accompagnata che io non posso più d'ora innanzi richiamare l'una senza richiamare le altre.

b) Seconda regola: La tenacità delle associa­zioni dipende anche dal grado di attenzione che si usa.

c) Terza regola: l'associazione si fortifica tanto più quanto più il medesimo gruppo... si è presentato più frequentemente nelle condizioni identiche.

Si vede, insomma, che l'associazione più che essere una funzione speciale è un caso particola­re dell'abitudine, cioè di quella tendenza per la quale noi abbiamo a rifare o a ripensare automa­ticamente ciò che noi abbiamo già fatto o ripen­sato. Tanto l'associazione come l'abitudine sono governate dalle medesime leggi: si contraggono tanto più facilmente, quanto è più viva l'impres­sione che l'idea o l'azione han fatto su di noi; quanto più frequentemente si son prodotte o quanto maggior attenzione vi abbiamo portato. (P. Lahr, Psicologia).

Queste affermazioni non sono rigorosamente esatte, perchè anche colui che non ha mai accon­sentito, può essere tentato. Ma bisogna concede­re che esiste davvero una sorprendente «memo­ria dei sensi», come la chiama il Bourget, e che noi conserviamo, per causa dello psichismo memorativo, una terribile propensione a ripete­re la colpa speciale prima commessa. Così, felice, molto felice, colui che non è mai caduto!

«Appunto perchè non ha subìto la disfatta, in lui non c'è una via aperta verso il male. Non ha nè quelle immagini ossessionanti, nè quelle associazioni nervose che sono il frutto delle cadute antecedenti e che inclinano tanto poten­temente verso nuove cadute» (GUIBERT, La pureté). Le cose hanno una loro giustizia imma­nente!

La colpa porta già con sè la sua paga. Uno è punito per quel lato per cui ha peccato!


Questa verità presenta un'applicazione sor­prendente nel caso di complici. Quando una grave debolezza è avvenuta con una persona, questa persona non è mai più uguale per noi come un'altra.

Un legame indissolubile ha unito le due immagini: l'immagine di quella persona e l'im­magine della colpa. Da qui nasce un grande principio: verso un complice si resta sempre deboli.

E questo si avvera perfino nei complici che sono già invecchiati.

Dopo una prima colpa gli anni sono passati. Ora, addizionandoli, farebbero ottanta! Alle volte ancor più...

Pare che essi lo dimentichino; eppure no. Trasportando e proiettando l'un sull'altro gli antichi ricordi, essi li rivedono per una strana illusione ottica, con gli occhi d'un tempo.

La saturazione primitiva della memoria è restata cosi profonda che, nonostante l'età, non possono trovarsi insieme, senza un vero perico­lo.

Coloro che, con piena sincerità, si credono decisi a non più cadere, s'accorgono spesso, a certe visite importune, che le risoluzioni più forti fondono come la cera al soffio d'una fornace.

La vera tattica non consiste nel proposito di voler combattere quando ci si troverà in quella occasione, ma nel voler evitare quell'occasione.

Questo è il solo caso, forse, in cui il valore consiste nel fuggire. «Vince chi fugge!».


Riassumiamo questo capitolo: ciascuno ha le sue «associazioni d'immagini» molto personali; ciascuno ha il suo temperamento morale, come il suo temperamento fisico. La conclusione pratica e questa: Bisogna conoscersi.

«Conosci te stesso» diceva l'iscrizione sul tempio di Delfo. Ma uno non si conoscerà se non si studierà. Molti si studiano tanto poco!

Hanno scrutato tutto il resto, la storia degli antichi Faraoni, la geografia del Giappone; si sono appassionati per sapere se i pianeti sono o non sono abitati. Sarebbero disposti a gridare come certe riviste: «Io so tutto! ». Tutto!... eccetto che se stessi. Che stranezza!

Sarebbero in grado di dirvi qual era il punto debole dell'esercito di Annibale; ma non sareb­bero in grado di dirvi qual è il punto debole del loro cuore.

S'interessano dell'Orsa Maggiore, di Marte, di Sirio, ma non rientrano mai in se stessi.

Hanno studiato a fondo i terreni primari o quaternari; soltanto non hanno mai studiato il fondo del loro cuore.

E ne han letti dei volumi! ma non hanno mai aperto un libro di psicologia: per es. il Governo di se stesso dell'Eymieu o altri.

Sarebbero incapaci di dire se hanno il tempe­ramento nervoso, sanguigno, bilioso, linfatico, o quale combinazione di questi temperamenti compone l'amalgama della loro individualità.

E tuttavia, giovane amico, per ben condurti, devi ben conoscerti.

Sai chi t'insegna la necessità di questo esame? Il diavolo.

Egli conosce l'importanza della psicologia e si sforza di studiarla intimamente, ma ohimè! per rovinarti.

«Rassomiglia, dice sant'Ignazio, ad un capita­no che cerca di scoprire il lato vulnerabile d'una posizione. Assedia il campo, esamina le forze e la disposizione della località e l'attacca dal lato più debole. Così fa il nostro nemico. S'aggira inces­santemente attorno a noi; esamina d'ogni parte ognuna delle nostre virtù teologali, cardinali e morali, e quando ha trovato in noi il lato più debole e meno difeso dalle armi della salvezza, ci attacca da quella parte e si sforza di riportare su di noi la sua vittoria».



I pericoli di tutti

La difesa prende la sua regola dall'attacco.

È essenziale, prima del combattimento, cono­scere i piani del nemico, per sventare la sua tat­tica.


Di qui l'importanza che avevano durante la guerra gli aeroplani che facevano le ricognizioni, e le pattuglie che eseguivano le esplorazioni. Tutto era buono per ottenere la vittoria: cannoni da 420, pastiglie incendiarie, terreni minati, guerra chimica coi gas asfissianti, coi gas vesci­canti, coi gas starnutatori, coi gas lacrimogeni.

Anche il demonio mette in opera tutto per rovinarci. I 420 dei grossi attacchi, le pastiglie incendiarie delle eleganti dichiarazioni calorose, quei principii rovinosi che sono i suoi gas asfis­sianti, il terreno minato delle relazioni pericolose. La strategia di Satana è feconda nel trovare astu­zie di guerra! Giovane amico, passiamo in rasse­gna qualcuna di queste molteplici imboscate.



1a IMBOSCATA: le conversazioni

Le conversazioni sono lo scoglio classico delle riunioni di giovani. Meglio: sono un'imboscata. Sii testardo: Non tenerne. Non ascoltarne.

1) Non tenere cattive conversazioni.

Un libro che non si può accusare di essere schifiltoso, Saffo, dice: «In certe conversazioni l'immoralità si propaga, bruciatura dei corpi e delle anime, simile a quelle fiaccole di cui parla il poeta latino e che correvano di mani in mano, nello stadio».

Pensa che varie anime sono in gioco: la tua e quella o quelle di colui o di coloro a cui parli. Tenendo conversazioni impure, si pecca e si fa peccare.

La colpa personale è già molto deplorevole. Ma la colpa con un altro! Chi sa? è forse per lui il primo anello d'una catena che lo trascinerà alla fine all'Inferno?


Deve pesare sulla coscienza, sul letto di morte, il rimorso d'essere stato per un'altra anima una causa di tentazione e qualche volta di perdizione.

«Guai, diceva il Maestro, a chi dà scandalo!». C'è chi è rimasto inconsolabile per avere ucciso involontariamente un amico durante la caccia. Chi con la conversazione contribuisce a rovi­nare un compagno non uccide per sbaglio, ma sapendo e volendo. Non è più un omicidio d'im­prudenza, il suo; è omicidio di malizia. «Dalle vostre labbra siano bandite le parole disoneste», diceva san Paolo (Colossesi 3, 8).

«Che non si senta neppur dire, continua lo stesso apostolo, che fra di voi ci sia fornicazione o impurità di qualche sorta o cattivo desiderio... Niente parole disoneste, buffonerie, scherzi grossolani: cose tutte che sono indecenti... Poi­chè, sappiatelo bene: nessun impuro... avrà ere­dità nel regno di Cristo e di Dio! Vi auguro che nessuno v'inganni con vani discorsi, perchè la collera di Dio piomba sui figli dell'incredulità per causa di questi vizi. Non abbiate dunque alcuna parte con essi! (Efesini 5, 3).

2) Non ascoltare cattive conversazioni.

Ma qui la cosa non è così liscia, e permetto che tu dia sfogo alle tue difficoltà:

- Io ho già formato la mia coscienza per que­sto genere di conversazioni e non ne soffro! Risposta telegrafica:

- Hai formato o deformato la tua coscienza? - Non posso mica mettermi la bambagia nelle orecchie per non sentire!

- Oh, è abbastanza evidente che non lo devi fare! Hai mai udito per caso i predicatori dare un simile consiglio? Ma, almeno puoi non provoca­re certe conversazioni «sdrucciolevoli» e non ali­mentarle con le tue domande.

- Mi chiameranno bigotto. Risposta telegrafica:

- Dio ti chiamerà coraggioso. Il suo giudizio vale molto di più!

- Mi daranno il soprannome di molto noioso, o di gesuita, che è ancora più grave.

Tu risponderai:

- Va' via, adulatore che non sei altro! gradirei molto di trovarmi con quei signori, lassù in Paradiso!

- Ma come mi giudicheranno?

Risposta telegrafica: - Ti ammireranno!

E al termine del telegramma: m'appello a te stesso.

Fra giovani voi vi conoscete bene.

Ebbene, quali sono i compagni veramente sti­mati? Quali sono quelli ai quali tu andrai in un'ora grigia della vita, se avrai bisogno d'un consiglio serio? Quali sono coloro che tutti rispettano? I vigliacchi forse? che mettono la loro bandiera in tasca (e quando la bandiera è in tasca non è più una bandiera ma diventa un moccichino!) oppure invece coloro che si affer­mano cattolici, integralmente, anzi «sfrontata­mente! », direbbe Luigi Veuillot?

Tu cerca di (e bada che questo punto è molto importante), di rendere la religione simpatica, mediante l'apostolato della tua gioia. Una sola è la nostalgia melanconica permessa ad un cristia­no: il Paradiso!

Io non conosco nella Bibbia nessun passo che raccomandi d'essere tetro ed orso in società; ne conosco molti invece che raccomandano d'essere gentili ed allegri.

Ascolta san Paolo: «Rallegratevi sempre nel Signore, sempre; ve lo dico di nuovo: rallegrate­vi» (Lettera agli Efesini 4, 4).



Dopo la digressione, lascio la parola a te per altre scuse.

- Mi perseguiteranno!

- Sì, purtroppo, ma ciò accadrà se tu resti solo, senza formare con altri amici un crocchio pulito contro il crocchio sporco.

Ascolta: decine e decine di studenti universi­tari mi hanno confidato: «Basta aver coraggio durante i primi dieci giorni».

I compagni ci vengono attorno per sondarci. - Se, durante questi primi dieci giorni uno si fa rispettare, lo lasciano tranquillo subito e per­fino gli dicono: « Bene! Sei un valoroso tu! »

- Se invece uno cede, è finita! ha cominciato con una viltà, e con un'abdicazione, e questa non fa che attirare il disprezzo. E allora diventa molto difficile riprendersi e fare marcia indietro!

Dunque, non aver paura! Senti le parole d'un vescovo martire, Darboy: «I cattivi sono forti solamente perchè i buoni sono deboli!». Sì, lo ripeto, deboli!

Quanto più uno studia i giovani, e tanto più s'accorge che certuni che escono da famiglie cri­stiane, cedono perchè trascinati dagli altri, soprattutto per rispetto umano. Ed è appunto per rispetto umano che si vantano alle volte di cento «avventure» mentre in realtà sono dei bravi ragazzi molto corretti.

La loro vita, fortunatamente, vale molto di più delle loro parole. Fanno i fanfaroni del vizio, e sai perchè? Perchè arrossiscono della virtù e non comprendono, i poverini, che anche dal solo punto di vista della stima avrebbero tutto da guadagnare a mantenersi logici e coerenti alle loro convinzioni!



2a IMBOSCATA: la curiosità

Il giovane è reso inquieto da sensazioni miste­riose, agitato, da certi problemi della vita e del­l'origine della vita, da certe allusioni che ascolta un po' dappertutto.

Conoscere! Cogliere il frutto dell'albero della scienza! Ed allora incominciano le ricerche nascoste nei vocabolari, nei libri speciali, nei trattati di medicina. Allora incominciano i biglietti nascosti e le domande ai compagni. Queste informazioni date da cattivi compagni portano in se stesse un grave male, perchè le realtà dell'esistenza vengono conosciute con un contorno di sghignazzamenti, sotto un aspetto malsano di vizio che le macchia per sempre. Ora io dico a te, giovane curioso di sapere certe cose: rivolgiti con semplicità e con lealtà ai tuoi genitori, e se essi non desiderano entrare in questi argomenti, interroga il tuo confessore o una persona meritevole di piena confidenza. Tuo padre e tua madre ti vogliono bene; hanno dovuto, per dovere di coscienza, tenersi al corrente di ciò che fu scritto, in questi ultimi tempi, sul delicato problema dell'iniziazione. Domandando delle spiegazioni non recherai loro meraviglia. Anzi, finchè un ragazzo ha la confidenza d'esprimere con candore i suoi dubbi a chi si deve, i genitori possono avere in questo un eccellente indizio; mentre la rottura morale coi propri genitori ed il fatto di «chiudersi in se stessi», così contrastante con l'espansione natu­rale dell'età, deve suonare come un sospetto inquietante. Il Vangelo dice che c'è anche il «demonio muto».

Non vado più oltre su questo argomento, che riguarda strettamente i genitori. Questo libro non si rivolge direttamente ad essi, ma ai giova­ni.



3a IMBOSCATA: il levarsi ed il coricarsi

Ecco due momenti pericolosi. Le tentazioni impure ci assalgono di preferen­za nel primo e nell'ultimo momento della giorna­ta.

Quel letto, che sembra solo un molle giaciglio per riposare, diventa spesso lo stretto campo di battaglia in cui il giovane combatte di più per la sua purezza.

La pigrizia mattutina è la più pericolosa delle pigrizie. Evita, amico, di «accarezzare il guancia­le», perché «il diavolo vi sta sotto nascosto» dice un proverbio più profondo di quello che non paia.

Lo so ciò che si va dicendo, quando si tratta di alzarsi: «gli ultimi minuti sono i migliori! ».

Il tentatore è certamente di questo parere!

Il cattivo angelo sussurra: « Prendi per model­lo il ghiro! ».

Il buon angelo suggerisce: «Prendi per modello il gallo! ».

Pensa a queste parole che il professor Payot, che non è un prete, ha scritte nel suo libro L'educazione della volontà: «Dimmi a quale ora ti alzi e ti dirò se sei un vizioso ... Ogni giovane che resta a letto una o più ore dopo che si è sve­gliato, è fatalmente un vizioso»!

Ed ora alcuni consigli pratici: Fa' come un soldato quando suona la tromba (o per lo meno come dovrebbe fare!): alzati all'ora fissa.

Prega così: «O Dio, io ti cerco fin dall'aurora: Deus, Des meus, ad te de luce vigilo» (Salmo 63). Bevi con moderazione alla sera; non leggere stando a letto, nè al mattino nè alla sera.

Evita, per quanto è possibile, di far la dige­stione a letto. Se la posizione dorsale, supina provoca in te dei turbamenti, non esitare a cam­biar posizione.

Non voler la camera troppo tiepida o troppo calda. Non vegliare troppo a lungo e troppo tardi.

Temi il letto troppo molle. Da questo punto di vista è preferibile la paglia alle piume di tortorel­la.

Abbiamo voluto insistere sopra queste occa­sioni di tentazioni perchè sono eminentemente pratiche e ritornano immancabilmente due volte al giorno. Con esse infatti incominciamo e finia­mo la nostra giornata.



4a IMBOSCATA: l'ozio

Comincio con un detto di Beniamino Franklin: «Chi non fa nulla è vicino a far male». E continuo con un proverbio dei vecchi Romani: «Otium malorum omnium pater» cioè «L'ozio è il padre di tutti i vizi».

Lo star senza far nulla è cattivo consigliere. Per questo, fissati un «ordine del giorno». Tienti occupato a qualunque costo; a fare una collezione, a fare fotografie, nel giocare a scher­ma...

Importa poco quello che fai... Ma almeno non ammuffire!

Senti quel mattacchione di Montaigne: «Per distrarmi da un'immaginazione importuna il mezzo più spiccio è ricorrere ai libri: essi me la trasportano lontano. È il migliore viatico che ho trovato per questo viaggio umano».

Prendi interesse per le cose e per gli uomini. A quindici anni un giovane dovrebbe essere curioso di tutto e, come dice Leon Daudet, scrit­tore di feconda fantasia, «un giovane dovrebbe spingere le proprie antenne in tutte le direzio­ni! ».

Studia. Entra nei «circoli o associazioni di cultura». Ma di questo parleremo più oltre.

Va' a passeggio. Intraprendi escursioni. Gioca. Abbandonati agli sport, a quegli esercizi un po' violenti che offrono un doppio vantaggio: sono una «distrazione» dal punto di vista mora-

le, ed un incanalare in diversi rigagnoli il fiume dell'energia, dal punto di vista fisico.

Se puoi va' a caccia, perchè Diana, dea della caccia, è la nemica di Venere, dea del piacere. Tutti questi consigli si riassumono nella legge detta del derivativo che è stata bene analizzata dall'Eymieu: «Poichè tutti gli elementi dell'essere sono fra loro in comunicazione nella nostra unità complessiva, è possibile attirare in un punto una parte della corrente che circola negli altri. La vita pare che s'indebolisca in un punto, nella propor­zione in cui si accumula negli altri, precisamente come la massa di acqua sollevata dalla marea invade una riva, a condizione di allontanarsi dalla riva opposta ... Quando lo sforzo vitale si porta sul pensiero, tutte le forze fisiologiche pagano a lui il loro tributo».



5a IMBOSCATA: il ballo e la discoteca

C'è ballo e ballo: il ballo onesto di famiglia e in famiglia, e il ballo da cui i genitori sono esclusi perchè, secondo l'espressione non d'un farabut­to, ma d'un giovane come te: «Fin che son pre­senti i genitori i giovani si annoiano! ».

C'è poi danza e danza: gavotta d'un tempo, tango d'oggi; il minuetto in cui la gente saltella­va gentilmente, certe danze moderne in cui la gente s'agita o cammina bilanciandosi come un pinguino. Voi mi domanderete: «Di quale danza parlate dunque?».

Non perdiamo tempo a discutere sul genere di danze, perchè per giudicare della sua moralità non serve.

La stessa danza infatti può essere eseguita con correttezza o con sguaiataggine.

Certe manifestazioni passionali perdono il loro carattere di proibite, per il solo fatto che han luogo durante il ballo?

Senti la parola d'una mamma: «Come ci met­teremmo a urlare se vedessimo le nostre figlie nelle braccia dei giovani... senza la musica!».

Il male non diventa bene per il solo fatto che è accompagnato dalla musica!

Ma, prevedo le tue proteste:

- Quando voi parlate di danze, prendete l'aria d'un vecchione che non sa comprendere la gioventù di oggi.

- Ecco la mia risposta: Mi rassegnerei a non comprendere la gioventù moderna piuttosto che a non comprendere più il vecchio Vangelo. Ora il Vangelo è chiaro: «Chi desidera malamente una donna nel suo cuore ... ». E tutto ciò è quasi ine­vitabile nella danza.

Di più, il ballo accende la stessa fiamma nella compagna di danza, per cui il ballerino è insieme attirato ed attirante, infiammabile ed incendia­rio.

Momenti quelli tristemente propizi alle debo­lezze; momenti nei quali le più alte considerazio­ni sull'onore restano volatilizzate come una goc­cia d'acqua sopra una lamina infuocata.

Quando poi fra quel giovane e quella giovane scoppia uno scandalo, la gente si mette a fare la stupefatta in modo farisaico.

Guarda un po' che razza di logica ha il mondo! Moltiplica gl'incitamenti al male, e quando il gio­vane fa quel male, allora, resta inteso, che alzerà la voce ed inviterà tutti a fare gli sbalorditi.

Questo mondaccio butta senza ritegno i tizzo­ni ardenti sulla paglia secca, e nel medesimo tempo grida: «proibito bruciare!».

Quella madre stupidina che permette a suo figlio (o a sua figlia) di trascorre la notte nelle discoteche, dove alle sporche danze moderne si unisce la droga (ed è vero, lo sai!) e così attizza le cause d'incendio, resta stupefatta quando l'in­cendio scoppia e allora la vedrete sospirare e piangere con le amiche: «Mia cara, non c'è più gioventù sana a questo mondo! dove andiamo a finire? questo figlio mi farà morire! ».

Ma finiamola sul ballo. M'accontenterò, o amico, di metterti davanti due domande, col patto che tu risponda nella piena lealtà del tuo cuore.

Prima domanda: Vorresti che un tuo figlio, più tardi, entrasse in quel medesimo ballo e bal­lasse come tu balli ora? Tu sarai un uomo onesto ed un buon cristia­no, se tu, rispondendo alla domanda, adotterai questa regola: «Non farò mai ciò che più tardi io proibirei a mio figlio».

Seconda domanda: Quando è passata l'ubria­chezza del ballo, la tua coscienza rimane tran­quilla? La coscienza non la si può tanto facilmente ingannare. Lascia che il mondo moltiplichi i sofi­smi, lascia che gli amici accumulino tutte le scuse, tu devi, nel fondo silenzioso dell'anima, chiamare questa cosa col suo vero nome: una vera occasione di colpa grave!

Caterina63
00lunedì 1 luglio 2013 11:24


[SM=g1740758] 6a IMBOSCATA: le lettere

Comincio con una frase di Paolo Bourget: i princìpi che spargono i libri cattivi sono una spe­cie di «veleno morale».

Non temete: non ho il cattivo gusto di mette­re il vostro coraggio a dura prova, ritornando a lungo sul vecchio argomento delle letture. Ma, da molti luoghi sento gridare:

«Noi conosciamo già i princìpi! Se è possibile. vorremmo citazioni ed esempi. E possibile? Possibilissimo! vi rispondo. Ed eccomi.

Una giovane aveva letto La nuova Eloisa. Andò nella piazza maggiore di Ginevra, si fece saltare le cervella ed il sangue della sventurata schizzò sulla statua dell'autore: Gian Giacomo Rousseau. Il fatto fece colpo, perchè il sangue rosso era stato sparso.

Negl'intimi drammi che la lettura scatena in un'anima il sangue rosso non scorre, ma la fede e l'innocenza se ne vanno per l'apertura d'irrime­diabili ferite.

Voi direte da scettici: «Ma no, non si tratta di ferite! sono semplici punture di spillo».

Le punture di spillo vi rispondo, quando si fanno nel cuore, sono colpi di spada.

Dopo la guerra del `70, un deputato di sini­stra, Balisaux di Charleroi, faceva questa umi­liante osservazione in pieno parlamento belga: «Quando, dopo Sédan, si apersero gli zaini tede­schi, dentro si trovarono delle bibbie; mentre negli zaini francesi si scopersero romanzi e che romanzi! ».

Per conto mio sono abbastanza scettico riguardo alla prima parte di questa osservazione: noi tutti abbiam veduto che la virtuosa Germania, durante la guerra, non metteva sola­mente delle bibbie negli zaini, perchè la Sacra Scrittura sarebbe stata in ben strana compagnia vicino alle pastiglie incendiarie.

Ma riguardo alla seconda parte assicurano che fu veramente e frequentemente constatata e che fra le mani di quei poveri giovani vicini alla morte nelle trincee, si vedevano romanzi, e che romanzi! Molti di quei volumi avrebbero ben meritato l'epitaffio «per un libro condan­nato» scritto da Baudelaire nel suo libro Fleurs du mal.

Per Baudelaire questo epitaffio, come la sua Preghiera a Satana e le sue Litanie di Satana, erano soltanto, forse, una scommessa o una sfida. Ma in molti lettori queste sfide si sono rea­lizzate. Osservatene le conseguenze!

In Francia, la Gazzetta dei Tribunali (luglio 1921) riporta il dialogo che si svolse tra il presi­dente delle Assise e due manigoldi che assassina­rono un mercante di Clichy:

- Come v'è venuta la prima idea del delitto? - Leggendo insieme un romanzo in cui si tro­vava raccontata la storia ed il piano d'un assassi­nio seguito da furto.

- Quanto tempo prima del delitto avete fatto questa lettura?

- Circa otto giorni.

Ed era vero: quel romanzo usciva in appendi­ce nel Giornale di Famiglia, e cominciò il 22 luglio e terminò il 6 dicembre. L'assassinio ebbe luogo il 15 dicembre.

« Preferirei che voi non foste capaci di leggere, anzichè vedervi fare una lettura che nuoccia all'integrità dei costumi! ». Chi ha detto questo?

Prevedo: voi avete voglia di gridar subito: un prete fanatico! un parroco dalla testa piccola! Avete sbagliato! Fu un pagano: Quintilliano. Scegliete dunque bene i vostri libri!

Paolo Deschanel, nel banchetto dell'associa­zione dei giornalisti parigini, il 28 marzo 1920, esclamava: «Miei cari colleghi! voi avete in mano l'arma più potente, più temuta: la penna. Ricordatevi le parole di Enrico Heine: «Una gocciolina d'inchiostro che cade come una rugiada sopra un pensiero, lo feconda e lo fa germinare in modo ch'esso diventa il pensiero di migliaia e forse di milioni di uomini».



7a IMBOSCATA: il cinema e la televisione

A te la parola per le immancabili scuse:

- Il cinema e la televisione possono anche servire per conoscere cose buone e utili.

- « Possono... ». Ma in realtà? Ci sono più film che rappresen­tano Salomé che balla, che non san Luigi che prega. Le eroine dei film sono le Marie Mad­dalene ma... prima della conversione. E santa Maria Goretti è molto insipida vicino al famoso Landru, strangolatore di donne. È vero, ci sono dei buoni cinema, ma per la maggior parte basta guardare i titoli! Basta guar­dare le figure pubblicizzate!

I Padri della Chiesa hanno parlato severa­mente contro il teatro. Che cosa direbbero, quei poveri Padri se ritornassero ora e vedessero certi film o certe trasmissioni televisive?

La visione è molto più pericolosa della lettura. Per leggere un romanzaccio ci vuole il tempo e la fatica di sfogliare 500 pagine. Al cinema o alla tele invece il modo di percezione è intuitivo e rapido: basta aprir gli occhi!

Nel libro l'azione è raccontata. Sullo schermo l'azione si fa.

Non si tratta più solo del racconto; qui abbiam lo stesso movimento, con la meccanica precisione del gesto, al punto da offrire l'illusio­ne della realtà.

Vedere equivale a leggere due volte!

La psicologia insegna chiaramente che la nar­razione per molti rimane «un approccio debole» mentre la rappresentazione è «un approccio forte». Ora un approccio forte tende a tradursi in realtà e se ciò non ha luogo dipende dal fatto che è ricacciato in secondo piano e tenuto come in scacco da certe facoltà superiori o da certe immagini concomitanti che hanno una forza o più grande o uguale, poichè la legge di ogni approccio debole è questa «restare vinto da un approccio forte a lui contrario».

Un'immagine che colpisce è animatrice, per cui ad essa segue fatalmente l'azione corrispon­dente. Questo è vero per tutti, ma specialmente per il fanciullo che è impressionabile più di ogni altro.

- «Chi t'ha suggerito l'idea di diventare capo di una banda di ladri?» domandava al giovane bandito Renato Fournel, il commissario di poli­zia di Puteaux. - «Il cinema».

La conseguenza più grave del cinema e della tele sta in questo: che non è possibile introdurre nell'anima, specialmente nell'anima dei giovani, le immagini contrarie agli atti cattivi.

Se i genitori sapessero che ai loro figliuoli si tiene un corso regolare d'immoralità, si mette­rebbero a gridare spaventati! Ora, certi film e certe trasmissioni televisive non sono forse un vero corso d'immoralità?

Il più comico è che certi genitori van dicendo: «studia, carino, e questa sera potrai vedere la tele!». Parole che io traduco così: «studia, carino, e poi tu avrai il veleno per te ed imparerai il male! ». I ragazzi, avidi di forti emozioni, non doman­dano di meglio!

Riguardo poi alla formazione intellettuale che la televisione può dare ai giovani, noi siamo in grado ora di saperne qualche cosa: l'esperienza ha mostrato che essa fa perdere l'abitudine dello sforzo mentale e tende a sostituire il facile qua­dro al virile ragionamento.



8a IMBOSCATA: Internet

Nessuno vuole negare l'utilità di «internet», certamente il più rivoluzionario e potente mezzo di comunicazione del secolo ventesimo che, se usato bene, dà la possibilità di fare ricerche serie in quasi tutti i campi del sapere umano.

A differenza della televisione - che è pro­grammata dalle società emittenti - internet per­mette la scelta dello «spettacolo». E questo è un vantaggio.

Ma è anche un sottile ed insidioso pericolo per chi non sa resistere alla tentazione di ricerca­re trasmissioni equivoche ed anche oscene.
Spesso, anche mentre si sta «navigando» alla ricerca di un notiziario serio, poniamo di scienza o di storia, sullo schermo del computer appare improvvisamente una figura oscena, con l'invito a cliccarla per vederne altre.
Non illudiamoci! Quanti giovani sono caduti nelle trappole di internet trovandovi la fine di una vita innocente e l'inizio di una vita viziosa! Un pericolo sempre in agguato è la possibilità di «Chattare», ossia di chiacchierare con perso­ne sconosciute che si presentano come amiche. Ecco uno dei tanti messaggi che appaiono in internet: CHATTARE gratis e senza registrazione!! Conoscerai tanti amici, belle ragazze e bei ragazzi. Fatti tanti amici gratis!

Se l'incauto giovane (o anche meno giovane) abbocca all'amo, viene messo in contatto con una persona (spesso si tratta di prostitute) della quale vede solo il volto e con la quale inizia a par­lare (chattare) raccontando tutto di sé e cercan­do di sapere qualcosa di lei.
Alla chiacchierata segue l'invito ad incontrar­si per conoscersi meglio.
Errore fatale! il povero giovane si ritrova lega­to dalla propria passione (e spesso anche da duri ricatti!) a chi lo saprà sfruttare a dovere, senza la possibilità di liberarsene.

Le cronache ci raccontano come assai spesso la chat si concluda in un matrimonio, in un ma­trimonio infelice il cui epìlogo tocca spesso la tragedia.

Ho detto queste cose a te, caro giovane, affin­ché tu "navighi" in internet solo per istruirti e fare del bene, evitando decisamente e generosa­mente di farti accalappiare dalle reti del male che satana nasconde sotto il pelo dell'acqua.

Ma dico queste cose anche ai tuoi genitori, affinché vigilino sui tuoi fratelli più piccoli, non abbandonandoli soli davanti al computer.



9a IMBOSCATA: le amicizie particolari

Specialmente nelle scuole e nei collegi dove i giovani stanno sempre insieme e non hanno la famiglia che dia uno sfogo naturale al loro biso­gno di tenerezza, capita che nascano quelle rela­zioni sentimentali e pericolose, a cui si dà il di­screto nome di «amicizie particolari».

In generale hanno luogo in questa direzione: dal più vecchio al meno vecchio.

La direzione inversa è rara, perchè l'amicizia discende, ma raramente sale. Siffatto speciale affetto è, in fondo in fondo, l'amore che sbaglia indirizzo, ingannato dalle apparenze avvenenti che richiamano il pensiero dell'altro sesso.

Alcuni perdono la testa per un grazioso adole­scente imberbe, (o almeno accuratamente rasa­to: resta inteso) per un compagno che ha una debolezza fisica un po' stanca, la quale richiama l'idea d'un fiore dal gracile stelo, bisognoso d'una protezione. E mentre succede questo non si sente alcuna attrattiva verso l'altro vicino, tar­chiato e rosso di capelli.
Le amicizie particolari, come dice S. Paolo, possono incominciare con lo spirito e finire con la carne; possono presentare cioè tre stazioni: ange­lica, umana, diabolica. Sul principio possono esse­re innocenti. Poi vengono le moine, le goffaggini, le parole sdolcinate, i regalucci. Oggi le pie imma­gini, domani le caramelle, dopodomani i simboli consacrati di due cuori feriti, di mani strette, di tortorelle che si beccano sotto un raggio di sole. In seguito vengono le confidenze che l'uno fa all'altro sulle tentazioni che prova contro la purezza. L'astuzia della sensualità, o la ingenuità mezzo cosciente l'induce ad inventare qualche pretesto religioso per poter discorrere di cose delicate.

Uno s'improvvisa confessore dell'altro.

Di più, uno s'improvvisa anche medico del­l'altro, e cosi s'inventa un altro mezzo per entra­re nell'intimità e ricevere le confidenze. «Non sono forse io il tuo piccolo medico? Al medico si dice tutto ...». Ma confessore e medico è una cosa ancora un po' fredda.
Allora s'inventa un terzo stratagemma: «Tu sei mio fratello; operiamo da fratelli, così sempli­cemente». «Così semplicemente ...» Molte e troppe cose possono passare dietro a questo avverbio! Quando i due disgraziati parlano così, dimen­ticano questa cosa: dovendo i fratelli veri vivere in una continua vicinanza tra loro con le loro sorelle, affinché questo contatto non diventi un pericolo morale quotidiano, Dio mise nel cuore umano un pudore ed una riservatezza naturale. I rapporti tra i fratelli, e tra fratelli e sorelle, possono arrivare ad una estrema tenerezza e tut­tavia restare puri da ogni secondo fine inquie­tante.

È vero che il vizio può qualche volta violare questa legge cosi profondamente scolpita in noi, ma è una perversità o una aberrazione tale da far orrore agli stessi disgraziati. Il dottor Lefebure scrive: «Si deve a Dio questa pura e dolce intimi­tà dei figli di una stessa famiglia, conviventi, l'uno a fianco dell'altro, durante gli anni più tem­pestosi della vita! ».

Ma la salvaguardia di questo istintivo riserbo non esiste nel caso delle «amicizie particolari». Il cuore ne rimane schiavo. Si moltiplicano le familiarità, le imprudenze, e si va man mano sempre più lontano, al punto di finire con tali colpe sulle quali bisognerebbe invocare il fuoco e lo zolfo di Sodoma e Gomorra.

San Francesco di Sales, tanto ragionevole e tanto dolce, nella Introduzione alla vita devota ha scritto su questo argomento l'intero capo XVIII: «Costoro perdono il tempo a stemperare il loro cuore in auguri, sospiri, galanterie ed altre simili sciocchezze e vanità. Tutto questo non è privo di grandi pericoli, perchè le malattie del cuore, come quelle del corpo, vengono a cavallo e di corsa, ma se ne vanno a piedi e a passettini».



10a IMBOSCATA: i cattivi compagni

Bisognerebbe isolarli. Come si fa coi malati contagiosi.

Sono infetti: e per forza sono anche infettivi! Negli ospedali gl'infettivi hanno uno speciale reparto.

Nel medioevo c'erano i «lebbrosari». Quando i lebbrosi ne uscivano, dovevano scuotere un campanellino, perchè ci fosse il tempo di fuggire!
Bisognerebbe fuggire più rapidamente ancora davanti ai cattivi compagni, perchè propagano l'impurità che è la vera lebbra! La lebbra delle anime!
Un lebbroso, alla fin fine, può avere un'anima bella. Invece, una giovane può essere seducente ed un giovane può brillare nei salotti, mentre Dio che vede l'anima, giudica lei una lebbrosa e lui un lebbroso.
Incanto del volto; Marciume del cuore. Attrattiva del corpo; Schifezza dell'anima!

Abbiamo una ripugnanza istintiva per il mar­ciume visibile. Alle volte invece temiamo così poco la cancrena morale della colpa grave!
Qual è la tattica che usano i cattivi compagni? Da principio operano con un fare sornione. Scrive il Baunard: «Caino disse a suo fratello: usciamo a passeg­gio!».
Si comincia così, col mettersi fuori della rego­la, o lontano dai parenti e dai superiori. Quando sono a tu per tu si fanno quelle confi­denze inconfessabili. Appuntamenti preparati nell'uscire dalla scuola o dall'officina; misteriose conversazioni d'un crocchio che, in un angolo, sfugge all'orecchio degli altri; colloqui dolciastri, corrispondenze clandestine...
Usciamo fuori! Il corruttore non è soltanto un cattivo, ma un vile.
Abele lo segui. Allora Caino si lanciò contro Abele e lo uccise».

Parole del Maestro: «Non temete soltanto coloro che possono uccidere il corpo».

Quel giovane signore che, alla corte regale di Francia, era stato invitato dai paggi a fare il male, aveva ben compreso questo divino avverti­mento.

Per tutta risposta, infatti, disse: - «Portatemi una candela». Meravigliati, i compagni la portarono. - «Accendetela! ». Ancora più sorpresi, l'accesero.
Quegli mise il dito sulla fiamma e, dopo mezzo minuto vinto dal dolore ritirò la mano gravemente bruciata.

Allora si rivolse ai tentatori e disse: «Vedete? non ho potuto tenere il mio piccolo dito, durante un piccolo minuto sulla piccola fiamma d'una piccola candela. Come potrei stare tutto intero nelle fiamme eterne dell'inferno?».
Chi parlava così entrò poi nell'Ordine dei Trappisti e diventò il celebre abate Rancé. Giovane amico, se i cattivi compagni t'invita­no al male, ricordati di questa storia e serviti di questa risposta.



11a IMBOSCATA: la droga

Mio caro giovane. Ho il dovere di metterti in guardia dalla droga, ossia da quelle sostanze chi­miche, oggi assai diffuse tra i i giovani, che sono la vera "peste del secolo".

Le droghe, oltre ad effetti distruttivi sul cer­vello, sul sistema nervoso e sul cuore, stimolano artificialmente tendenze impure anormali. Ed è evidente che debba essere così, perchè le sensa­zioni impure sono di ordine nervoso ed hanno il loro centro nel cervello e nel midollo spinale, all'altezza della quarta vertebra lombare.

La Cocaina, (una polvere estratta dalle foglie della coca, una pianta che cresce sulle Ande) è oggi un vero flagello sociale, penetrato purtoppo anche nelle scuole.

Chi ne fa uso cerca energia e potenza fino a sopravvalutare se stesso e a sottovalutare le con­seguenze rischiose delle sue azioni che divengo­no spesso violente. Guai al cocainomane che si mette alla guida di un'auto!

La cocaina procura moltissime allucinazioni: visive, gustative, olfattive; procura sensazioni tattili immaginarie, specialmente nel campo ses­suale. E questi stati di demenza e di confusione sono causa di misfatti e di uccisioni.

L'Eroina, tratta dalla pianta dell'oppio, ha invece effetti opposti a quelli della cocaina: essa deprime il funzionamento del Sistema Nervoso Centrale provocando uno stato di intenso rilas­samento, di sonnolenza ed un senso di diffuso benessere.

Quando il suo effetto viene a cessare, suben­tra un malessere così profondo da indurre il mal­capitato a riassumerla in dosi sempre più grandi (overdose, che spesso conduce alla morte!) per­ché l'astinenza provoca sintomi dolorosissimi.

La Cannabis deriva dalla canapa indiana e può presentarsi sotto forma di fiori secchi o di resina (Hashish). Di solito la si fuma in sigarette (spinello).

Gli effetti sono vari ed anche contrastanti. In alcuni provoca rilassamento ed euforia, in altri attacchi di panico ed eccitazione che può con­durre ad azioni violente.

Nel secolo XVI, in Siria, i componenti di una setta musulmana furono chiamati "assassini" perché commettevano delitti sotto l'effetto del­l'hashish (Palazzi). E ciò può avvenire anche oggi presso di noi!

La Ecxtasy è una sostanza sintetica derivan­te dall'anfetamina, spacciata in molte discoteche sotto forma di pasticche o di polvere. Crea una immediata eccitazione sensuale che, durante una notte di ballo, specialmente se unita ad alcolici, può portare al cosiddetto "colpo di calore", un pericolo per la vita, in qualche caso. Quando l'ef­fetto finisce ci si sente depressi ed irritabili.

L'ecxtasy è la causa principale delle "stragi del sabato sera" quando i giovani fanno ritorno in auto dalla discoteca alla propria casa.

Tutte le droghe producono tolleranza, in quanto per ottenere lo stesso effetto provato la prima volta occorre assumere dosi sempre più abbondanti, fino a raggiungere e superare una soglia oltre la quale i soggetti non sono più in grado di vivere senza ricorrere alla sostanza (dipendenza).

Mio caro amico, pensa alla tua salute, ma spe­cialmente alla salvezza eterna della tua anima! Non lasciarti adescare dalle droghe anche quan­do ti sono offerte gratuitamente da falsi amici che poi ti sfrutteranno (anche economicamente) per soddisfare le tue mortifere richieste!

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Caterina63
00lunedì 1 luglio 2013 11:29


L'amore proibito

Molti sono sedotti ...


Per molte donne la furbizia serpentina supera terribilmente la semplicità colombina.

Se è cosi, devi fuggirle come si fugge il serpente. In molti casi la vera responsabile è la giovane che si presta empiamente alla passione del gio­vane (egli potrebbe poco, se essa non volesse affatto), o perfino è essa che positivamente pro­voca.

Non Giuseppe l'Ebreo tentò la moglie di Puti­farre, ma la moglie di Putifarre tentò Giuseppe. Non c'è bisogno di risalire ai Faraoni per trovare simili donne...

Non certamente tutte, ma molte di loro sono leziose e feline. Denti bianchi; anima nera.
Il loro cuore nasconde più trucchi che non il macchinario d'un teatro.
Ben disse una di esse: «Quanto diffiderei del­le donne se fossi un uomo!» e soggiunse: «e quanto m'infischierei di loro! ».

Un uomo che s'arrischia nel gioco dell'amore, non vincerà mai la donna in fatto di astuzia: essa si trova sul terreno proprio.

Del resto, le donne, benchè onestissime, con­servano spesso una spiccata tendenza ad essere impressionabili e mutevoli. Mentono forse? Non oserei dirlo. Dirò piuttosto che hanno delle con­vinzioni successive; in modo speciale esse sono finissime diplomatiche, abili nel raggiungere il loro scopo.

Santa Teresa metteva sull'avviso il suo Pro­vinciale, il padre Graziano, in una lettera del primo settembre 1582: «Ascoltate, Padre mio! Permettete che vi dia un consiglio: non fidatevi mai delle donne quando le vedrete piene di viva­cità nei loro desideri; perchè il desiderio che hanno di riuscire le indurrà ad inventare cento cattive ragioni che esse crederanno eccellenti».

Una donna esclamava: «Come sono gonzi gli uomini! Battono un grosso pugno sulla tavola e dicono: «lo voglio». Noi rispondiamo dolcemen­te: «oh certo, certo...». Poi noi li conduciamo dol­cemente, con delle giravolte e moine, a fare ciò che vogliamo noi. Il fatto più grazioso è che non s'accorgono che son essi a ubbidire e noi a comandare! ».

Osservate anche quanta differenza passa fra le lettere d'un uomo e quelle d'una donna!

Un uomo, quando scrive, afferma subito fran­camente ed imperiosamente i suoi comandi o i suoi rimproveri, la sua volontà o la sua collera.

Volete invece conoscere il vero motivo per cui una donna scrive una lettera?

In generale, bisogna cercarlo nel P. S. o nel N. B. e proprio alla fine. Quello che precede è sol­tanto la sapiente preparazione dei lavori d'ap­proccio.
Diffida, giovane amico, di quelle che, simili alla maga Circe, possiedono il formidabile pote­re di cambiare gli uomini in bestie e di farne altrettanti «uomini-maiali!».

S'incontrano un po' dappertutto: al pattinag­gio, sul marciapiede, al teatro, nei saloni di lettu­ra, nel retrobottega dei barbieri, dei tabacchini, negli alberghi vicini alle stazioni, all'università, alle caserme, negli alloggi ammobigliati o con camere per studenti e soprattutto nei bar dove gli universitari, già un po' brilli, vogliono bagna­re il successo d'un esame.

Diffida di chi può stregarti coi suoi sorrisi, ed anche con le sue lacrime.
È questo un loro stratagemma. Costa tanto poco a loro piangere!
Quando piange un uomo, piange la sua anima. Quando piange una donna, spesso, si bagnano soltanto gli occhi...

Essa piange (non troppo però per non perde­re il belletto) e dopo queste facili lacrime senza conseguenza, ritorna più fresca di prima, come un praticello dopo una pioggerella.

Senti il parere del dottor Bourget, un profon­do psicologo cristiano: « Le relazioni che passano fra un uomo e una donna, quando questa è graziosa e quello è auda­ce, non sono mai ben definite. La volontà femmi­nile resta sempre in balìa d'una possibile sorpre­sa, come la volontà maschile è sempre alla vigilia d'una brutalità. I sensi mantengono nel loro fondo un oscuro dominio, in cui le più ferme risoluzioni si piegano e si sciolgono. La familiari­tà fisica arriva molto presto».

Non cercare i lunghi colloqui, l'ombra propi­zia alle confidenze pericolose; l'oscurità purtrop­po sopprime la soggezione che fortunatamente trattiene molti giovani. Certo questo motivo di soggezione non è una virtù soprannaturale; ma è preferibile una considerazione d'ordine naturale piuttosto che niente, ed è conveniente aiutarsi con ogni mezzo, sempre che questo sia onesto.

Diffida di ciò che gli inglesi chiamano flirt. Il flirt è uno stato di equilibrio instabile, sem­pre alla vigilia d'un capitombolo. Ordinariamente finisce in nulla, ma qualche volta la bestia si sveglia e la collera dell'orgoglio e del senso scoppiano in un tuono.

Flirt, gioco di scherma pericoloso in cui spes­so la spada mal protetta... fa piaga.

La giovane voleva soltanto assumere un fare lezioso, tenero e sorridente; ma spesso il compa­gno prende il gioco sul serio. Allora quali disin­ganni! Chi ci dà il diritto di scherzare con la feli­cità di un'altra anima? Una giovane onesta che avrebbe vergogna di rubare cento lire, non dovrebbe vergognarsi di rubare il cuore d'un gio­vane ingenuo?


Diffida non solo della donna, ma anche della fanciulla. Quando l'età cresce, l'affezione cambia natura.

La giovane che ha ancora i capelli lunghi sulle spalle può essere già esperta nelle smancerie. Forse conosce già gli artifici della toilette. Ora devi sapere che la moda femminile ha un solo obiettivo: fare impressione sugli uomini.

Diffida! Se tu avessi la confidenza di molte anime, resteresti sbalordito nel vedere come le cadute dei giovani presentano lo stesso romanzo che non varia mai.

L'eterna storia d'Adamo e d'Eva!

Essa lo tenta. Gli mostra il frutto proibito, che era «dolce al gusto, gradito alla vista e desidera­bile... ne prese, ne mangiò, ne diede anche ad Adamo che ne mangiò! » (Genesi. 3,6).
Adamo: sei tu. Eva (o figlia di Eva): tu la conosci.
Tu conosci anche «il frutto gradito a vedersi e desiderabile». Lo so.
Tu giovane vai sospirando con una certa posa: «la mia storia è complicata, è un dramma miste­rioso, è lungo da raccontare! ».

Ognuna di queste parole è inesatta. Anzitutto non è «tua» la storia che sarebbe lungo raccontare; ma è la storia di tutti i poveri giovani sciupati: storia identica!
Poi, la storia non è «misteriosa», ma chiara e semplice. Infine, la storia non è «lunga da rac­contare»; ma e perfino tanto corta che io te la posso dire in due parole.

Tu hai voluto ricominciare l'avventura di Sansone e Dàlila. Sì, una Dàlila di sventura è en­trata nella tua vita e come quella là ti ha «rubato la forza».

Sventurato giovane! Come è lontano da te ora l'entusiasmo, il sacrificio, la lotta per la virtù, i fieri slanci. Tutto s'è oscurato, per colpa di una disgraziata.

Essa t'ha svirilizzato!

Ha sterilizzato il tuo pensare ed il tuo opera­re. Ora non sei altro che un «effeminato!». Ercole dimenticava le sue imprese, quando udiva illanguidito i canti di Onfale; ai cui piedi finì per filare la conocchia. Oh, questa non è mitologia: è realtà vera d'ogni giorno!

Il Tasso nella Gerusalemme liberata racconta che durante le Crociate la pagana Armida riuscì ad addormentare i più forti guerrieri.

Quanti giovani anche ora, chiamati alla Crociata del bene e del bello, sono presi dagli «incanti» di Armida e si smidollano nei suoi giardini.

E tu, dopo tanti esempi, vuoi far rivivere in te la storia di Armida e di Onfale? entrare nella mandria dei pallidi morti dell'amore mentre, oggi più che mai, l'Italia ha bisogno di gioventù fiera?

«Ecchè? con una Patria in pericolo, scrive Luigi Veuillot, con sofisti su tutte le cattedre, con la povertà che bussa alle porte di tante famiglie, nell'attesa di eventi formidabili che stanno per compiersi, noi andremo, incuranti, a curvarci sopra una coppa e a cantare ai piedi d'una donna senza amore? No, no! Altro è necessario oggi ai giovani: un'idea! una spada! lotte!

Mai come oggi chi ha ricevuto da Dio il dono magnifico di un'anima e di una intelligenza ha il dovere di non rinunziarvi; mai come oggi Dio ha tuonato più chiaramente alla libertà umana: «sta' preparata! Io voglio servirmi di te!». Allora, diffida delle tentatrici!

Clemente Alessandrino descrive così gli splendori dei templi egiziani: «Se voi chiedete di poter vedere l'immagine del dio per il quale si costruì un tempio tanto magnifico e se un sacerdote viene a sollevare il velo del santuario, un sentimento amaro di schi­fo subentra alla vostra ingannata ammirazione. Quel dio potente che voi ardevate di vedere, e un gatto, un coccodrillo, un serpente, o qualche altra bestia simile».

Non è forse questa l'immagine di quelle don­ne tutte coperte d'oro ... col volto scintillante di belletto e le sopracciglia cariche di colori?

Se voi vedeste la realtà di questo nuovo tem­pio, e i vostri occhi rimuovessero quei gioielli e quei colori, se penetraste fino alla loro anima, vedreste una cosa che vi respingerebbe, tanto sarebbe ripugnante!


E’ forse amore?

«Oh, libertà! quanti delitti si commettono in tuo nome! ». Vicino a questo celebre detto ben si potrebbe mettere quest'altro: «Oh, amore, quan­ti delitti si commettono in tuo nome! ».

Le relazioni colpevoli usurpano ingiustamen­te il nome di amore, poichè esse sono la caricatu­ra, la grottesca parodia dell'amore.

Non sono amore - che è una cosa sacra - ma sono un sentimento profano o, piuttosto, profa­nato. Questa miseria somiglia tanto poco al vero amore quanto somigliano poco alla merce genui­na certi surrogati...

Bisogna, o giovane amico, che t'inchiodi bene in testa questa verità: i rapporti degradanti, lungi dall'essere vero affetto, sono in realtà basa­ti sul reciproco disprezzo.

Una confessione tanto più preziosa in quanto l'autore non intende far prediche o scrivere per edificare, la troviamo in un libro del corrotto e corruttore Emil Zola: «I due complici erano uniti come due cadaveri in preda al puzzo della loro perversione».

Il conte Meuffat, ciambellano di Napoleone III, conduceva una vita disordinata, eppure «aveva coscienza della propria miseria».

Senti ora Francesco Coppée: «Questi misera­bili non potevano farsi illusione sulla loro ignominia, benchè si dicessero a mezza voce bugiar­de parole d'amore. Non si amavano! Avevano solo ceduto ai sensi e continuavano nella vergo­gna di riconoscersi tanto vili».

Il De Musset confessa la stessa vergogna: «Non era amore quello che io provavo... Il mio cuore non c'entrava per nulla» .

E un altro, Alfons Daudet scrive: «Vedendoli si sarebbe detto che si amavano. No! non s'ama­vano! si conoscevano troppo bene per amarsi! » .

E continua: «Giovanni Gaussin amava davve­ro? No! Egli sentiva anzi la tentazione di infieri­re sull'altra, perchè negli amori in cui non c'è nè stima nè rispetto, la brutalità fa sempre capoli­no! Fra la passione e l'odio non v'è, spesso, che una sottilissima parete, una foglia di mica che presto si spezza».

Il grande Pascal l'aveva già notato: «La concu­piscenza non è, in fondo, che un odio zuccherato». E il Bourget, pure profondo e cristiano: «La voluttà quando è soltanto fisica, è molto vicina ad essere feroce»:

Questa specie di amore-odio viene analizzato da Pierre Loti nel Romanzo d'uno Spahi:

«Tra Giovanni e una negra scoppiavano fre­quenti scene. Egli aveva cominciato a picchiare colpi di frusta, non molto forti in principio, più duri in seguito. Sul dorso della poverina i colpi lasciavano dei segni tratteggiati: nero su nero. L'amava egli? Neppur lui lo sapeva.

La considerava come un essere inferiore, uguale presso a poco al suo cane».

In che modo può somigliare all'amore questo vedere nella donna un cane o peggio?

Ohime! Pierre Loti qui non racconta un romanzo ma la propria vergognosa storia... Dopo di che, o giovane amico, tu comprendi il titolo di questo capitolo: «È forse amore?

Chi conserva relazioni proibite non ha il dirit­to di dire: «Io amo». Non si ama, quando «solo i sensi hanno la febbre». Non si ama veramente una persona quando si nuoce alla sua dignità, alla sua anima, quando la si spinge alla dannazione.

I giornali riportano spesso il dramma di due sventurati che si annegano legati l'un l'altro, dopo di essersi detto: «Così noi resteremo sem­pre insieme, legati indissolubilmente».

Poverini! dicono cosa più vera di quello che non pensino. Si trovano infatti nell'Inferno per l'eternità «sempre insieme, legati indissolubil­mente... ».

Come deve essere terribile per due complici riconoscersi laggiù, nell'altra vita! Quali mutui rimproveri, che rabbia sputarsi l'un l'altro in fac­cia la rabbia immortale!

È forse amore una cosa che finisce così nel­l'odio? Rileggiamo insieme la pagina in cui Goethe descrive Faust mentre va a cercare Margherita nell'Inferno, la Margherita da lui rovinata: «Vide la sua complice dentro un carcere di dolori.

Si rivolse allora al diavolo che gli appariva sotto la figura di Mefistofele, il giovane signore dal farsetto scarlatto, colle frange d'oro, la piuma di gallo sul cappello e la spada al fianco.

Succede un dialogo tra Faust e il diavolo. Faust esprime la sua commozione nel vedere Margherita all'Inferno: «Conducimi nella sua prigione! Conducimi ti dico!».

Mefistofele: «Ebbene, sì, ti condurrò!». Faust entra: e allora il dialogo inizia fra lui e lei.

Egli vorrebbe condurla via e l'assicura che desidera di starle sempre vicino tanta è la sete che ha di rivederla. Essa: «Noi ci rivedremo! Ma non al ballo! »

In questa risposta di Margherita, c'è tutto l'or­rore dell'Inferno. I molti che sulla terra ballano, pazzi di gioia e nell'ubriachezza delle sale splen­denti, fra qualche anno si rivedranno... «ma non al ballo! ».


Fidanzamenti

Abbiam parlato della donna perversa.

Ma, ringraziamo Dio; c'è anche la giovane buona. Abbiamo dovuto descrivere l'orribile amore profanato, il pseudo-amore. Grazie a Dio, c'è anche l'amore vero.


Esso è primaverile e puro. Giovane amico, nel fiorire della tua primave­ra, mentre s'aprono i bottoni gonfi di linfa e sbocciano i primi fiori, tu hai sentito che la rosa dell'amore ti profuma l'anima.

Il tuo cuore ha pulsato più fortemente al pas­sare d'una giovane. Hai detto: « È graziosa. È buona. Sotto l'occhio di Dio unirò la mia vita alla sua vita».

Il tuo cuore cantò la canzone dell'amore! D'ora innanzi tu ti vuoi conservare per essa. Questo affetto diventa una custodia. L'amore conserva dagli amori.

Leggiamo insieme il sacro libro dei proverbi: «Metti la tua gioia nella donna della tua giovi­nezza: Che le sue grazie t'incantino sempre! Sii sem­pre acceso del suo amore. Perchè andresti tu da una straniera?» (5,18).

Luigi di Baviera era fidanzato ad Elisabetta, la dolce santa che fece il gentile miracolo delle rose.

Un tanghero di barone tedesco ebbe il pessimo gusto di offrire al giovane duca non solo tavola e alloggio, ma anche facili piaceri in cui si sarebbe oscurata la fedeltà della fede promessa. Luigi esclamò: «Barone! anche se Dio me lo permettesse, il mio amore per Elisabetta non me lo permetterebbe mai! ».

Così anche tu: pensa alla gentile e pura giova­ne che domani sarà tua sposa. Come sarai fiero e ricompensato delle tue lotte se tu un giorno potrai giurarle, gli occhi negli occhi, che essa ha le primizie del tuo cuore.

Mozart all'età di venticinque anni scriveva ad un amico: « La natura parla in me con voce alta e forse con maggiore forza che non in qualche vil­lanzone grande e grosso. Tuttavia non posso re­golare la mia condotta su quella di molti giovani della mia età. Da un lato, ho lo spirito troppo sin­ceramente religioso; ho troppa onestà, troppo amore per il prossimo, per risolvermi ad ingan­nare qualche innocente creatura. Da un altro la­to, la salute mi è troppo preziosa perchè io mi esponga al rischio di rapporti equivoci. Così io posso giurare davanti a Dio che fino a oggi, non ho da rimproverarmi alcuna debolezza».

Lacordaire, nelle sue celebri Conferenze di Notre-Dame per eccitare i giovani alla generosi­tà, ricorda loro questa commovente trinità fem­minile: la madre, la sorella, la fidanzata. «Fra tua madre e tua sorella, fra i tuoi antenati e i tuoi po­steri, esiste al mondo una debole e dolce creatu­ra che Iddio t'ha destinata... Ah! conservale il tuo cuore, come essa ti conserva il suo: deh, non vivere in modo da doverle portare un mucchio di rovine in cambio della sua fiorente giovinezza!

Sii casto, sii puro, o amico! conserva, in una carne fragile, l'onore dell'anima tua... Sii puro, per amare a lungo ed essere amato sempre! ».

Finisco con le parole che il Padre Fonssagri­ves, uno che se ne intende per studio e per espe­rienza, scrive nel suo libro Education de la pure­té: «Durante il mio ministero sacerdotale, ormai molto lungo, non ho conosciuto un solo giovane il quale avendo impegnata la propria fede, (fi­danzamento vien appunto da fede) non abbia trovato nel ricordo della fidanzata la forza per conservare la sua purezza».


Scegli bene

Studia il carattere di colei che vuoi fare tua sposa. Il matrimonio è un affare che si tratta fra due e per tutta la vita. È, questa, una verità che La Palisse avrebbe trovato da solo! Eppure è sempre opportuno ricordarla.

Gli sposi, dice spiritosamente Daudet ne L'immortel, sono spessissimo un servizio «spa­iato». La tua «dolce» non è forse una «furia»? Certi mariti s'accorgono con meraviglia d'aver sposato una tempesta, ed il signor Pailleron ha ragione quando così caratterizza certi matrimo­ni: «Parolone prima, paroline durante, parolacce dopo! ».

E sempre valida l'osservazione di Taine in Graindorge: «Certi sposi si studiano tre settima­ne; s'amano tre mesi; litigano per tre anni; si tol­lerano per trent'anni... e i figli, a for volta, inco­minciano da capo! ».

Leggiamo invece il piissimo san Francesco di Sales: «Quando la promessa matrimoniale è fatta non c'è più tempo di pentirsi. Il matrimonio è una specie di ordine o congregazione in cui bisogna fare i voti prima del noviziato. Se ci fosse un anno di prova, come è richiesto per la profes­sione religiosa, pochi farebbero i voti».

Non scegliere la tua futura sposa fra le giova­ni poco serie. Purtroppo il loro giudizio è ancor più corto della loro veste e in testa hanno meno idee che stoffa sulle braccia.
I loro sentimenti sono d'un tessuto poco soli­do, come la seta trasparente delle loro calze a tela di ragno.
Queste piccoline diventano grandi soltanto per i tacchi e preziose soltanto per gli anelli.

Il loro cervello non è una campana capace di dare il suono bello e grave della riflessione; ma un campanellino in cui tintinna solo il folle bat­taglio della vanità e del piacere.

Ninnoli: 100. Pensieri: 0.

Questi esseri leggeri sono tutto ciò che si vuole: farfalle, uccelli, mosche... ma donne, no, questo poi no! Non sposare una giovane senza religione.
Il peggior matrimonio è questo: avere una sposa con un'anima senza religione.
Se vuoi che il tuo amore duri, mettici dentro un poco di elemento divino.
Imita gli sposi di Cana: invita Gesù alle tue nozze.

Altri purtroppo invitano Bacco. Poi pagheranno.

Nelle famiglie senza religione, due vite paiono unite, invece sono due parallele. Parallele: ricor­di la geometria? Due linee che, anche condotte all'infinito, non s'incontrano mai...

Fra questi due sposi che in pubblico continua­no a tenersi sotto braccio, il divorzio delle anime è una cosa avvenuta già da molto tempo. Un cre­paccio cupo e profondo divide queste due esi­stenze come, nelle Alpi, un crepaccio di 100 metri separa due ghiacciai i cui bordi, apparente­mente, sembrano toccarsi. Il signore e la signora sono questi due ghiac­ciai. Sono tanto vicini e tanto lontani l'uno dal­l'altra!

Cielo! quanta tristezza dietro le belle facciate! A tavola, davanti agli invitati si sorridono. In camera, si graffiano. E quando tutta la vita è un graffiarsi?

La psicologia maschile e femminile non s'in­contrano sul medesimo terreno riguardo alla questione della scelta. Il concetto è doppio e la tendenza divergente. Certe attrattive che ispira­no all'uomo grande passione non sono comprese dalla donna e viceversa.

In realtà, ogni sesso domanda all'altro ciò che gli manca; domanda cioè il suo angolo comple­mentare. La giovane cerca soprattutto nel marito ciò che non ha: la forza.


L'uomo cerca soprattutto nella sposa ciò di cui è in generale sprovvisto: la grazia.

In generale l'uomo è soprattutto sensibile alla bellezza, in generale, ma non esclusivamente. Ciò è legittimo. È cioè normale che egli cerchi quell'avvenenza in colei che deve sposare, ma non consideri unicamente quella!

Verso i quarant'anni, o più presto ancora, questo «filo delicato» della grazia si perde ed allora restano solo le qualità serie.

Una primavera eterna! La cantiamo sempre, ma non la troviamo mai!

Un giorno il suo specchio l'avvertirà che invecchia. Sa ella che cosa è uno specchio?

Fino a trent'anni, «un consigliere delle gra­zie»; dai trenta ai cinquanta, «un giudice seve­ro»; dai cinquanta in su: «un testimone desola­to!».

Che per lo meno allora essa possa, vedendo la sua anima rispecchiata, comprendere: fui una bambola o una donna? Ho saputo esser madre? Ho voluto esser madre?

Quando un giovane pensa ad ammogliarsi, chi deve scegliere per sua sposa? Una donna.

Non ridete; lo ripeto: una donna. E non è inu­tile ripeterlo e richiamarlo alla memoria, perchè oggi in genere non si vuole sposare una donna, ma bensì dei blasoni nobiliari o delle casseforti. Il matrimonio non dev'essere un'addizione di doti, ma un'unione di cuori.

Era molto moderna la giovane, che a chi le dichiarava: «io ho per voi molto interesse» ri­spose con un giochetto di parole: «spero che non soltanto abbiate per me dell'interesse, ma anche del capitale! ». Ohimè! il denaro non è sinonimo di felicità! Se la gente potesse parlare...

D'altra parte, però, la prudenza comanda di prevedere l'avvenire ragionevolmente e d'esami­nare se il patrimonio della tua fidanzata, unito al tuo, permetta di vivere e di mantenere i figlioli. A vent'anni, i giovani vanno gorgheggiando il motto inglese: «Il tuo cuore è una capanna! ». Bella canzone, mio grazioso ricciutello; ma soltanto una canzone!

Nella cruda realtà delle cose, tutto ciò è sop­portabile (per qualche tempo) solo se l'inverno non è molto freddo e se non piove dentro la capanna. Perchè l'amore intirizzito o l'amore bagnato fa pietà e un mandolino consola poco quando son gelate le dita e l'acqua gocciola dal tetto. L'amore, checchè si dica, non si trova bene in una capanna, quando gli uscieri battono alla porta, e i creditori vengono a far scenate...


Dopo la scelta

Il tuo cuore ha dunque scelto. Dillo ai tuoi genitori. Perchè dovresti loro nasconderlo? Anch'essi passarono per la strada per cui tu stai per passare e ascolteranno con tenerezza le tue confidenze e ti consiglieranno. Non prolungare troppo il fidanzamento. Durante questo periodo, ama la tua «promes­sa sposa» con sincerità, con correttezza.

Con sincerità: se Dio ha fatto del matrimonio uno dei sette Sacramenti, ha anche voluto quel preludio al matrimonio che si chiama fidanza­mento e durante il fidanzamento ha voluto l'amore. Queste cose sono concatenate logica­mente.

Ama dunque la tua fidanzata con tutta la tua anima.

Con correttezza: i promessi sposi possono darsi le prove normali d'affetto.
Si deve fissare questa regola: devono agire come agirebbero se fossero veduti?

No, perchè i sentimenti delicati sono talmen­te intimi che non potrebbero manifestarsi davanti alle persone.

La regola invece potrebbe essere quella stessa che abbiamo indicato a suo tempo per il ballo: farò soltanto ciò che io permetterei più tardi a mio figlio, in simili circostanze. Oppure: farò ciò di cui, quando la mia fidanzata sarà divenuta mia moglie, non dovrò arrossire davanti a lei. Anche prescindendo, per ora, da ogni consi­derazione religiosa, mettendosi dal solo punto di vista della stima reciproca, i promessi sposi gua­dagnano sempre ad usare un contegno corretto. Guai a coloro che si conobbero da principio nella colpa. Resta fra di loro, per tutta la vita, come uno schermo oscuro: il rispetto resta oscu­rato.

È finita. Uno ha conosciuto l'altro vile e spre­gevole. Solo con l'anima è possibile amare.
Chi manca così non manca soltanto contro la religione, ma contro l'amore!

Si, contro l'amore, che resta sconciamente sabotato.
Tu vorresti protestare: «c'è ancora amore! ». No: è piuttosto concupiscenza.

In ogni caso è amore sforzato, avvilito.
Un frutto mezzo rosicchiato, è sempre un frutto, ma un frutto bacato.

Certe fidanzate credono di affezionarsi di più il fidanzato, concedendo ciò che è vietato. Imprudenti! Spesso restano punite dall'abban­dono del giovane, cui il matrimonio non serba più alcuna novità, ma si prospetta solo più come il peso di una catena indissolubile.

I giovani anche leggeri non hanno stima delle giovani leggere. Essi dicono: Le giovani, spaven­tate dalla paura di restare nubili, s'immaginano che noi domanderemo loro la mano perchè hanno per noi compiacenze esagerate. Quale errore! Noi distinguiamo molto bene fra la dan­zatrice e la giovane che vogliamo fare nostra moglie e la madre dei nostri futuri figli!

Le giovani a for volta, credono, e con ragione, che un giovanotto libertino offra poche garanzie serie per l'avvenire.

Almeno cosi pensano le giovani in generale ... Certe altre seguono il pregiudizio che bisogna scegliere per marito un giovane che ha già scos­so il giogo dei parenti.

Signorina, con il dare questa preferenza alla cattiva condotta, non operate da cristiana.
Non operate neppure da prudente, come il preferire un giovane dal cuore e, forse, dal corpo contaminato.

Mostrate d'aver dei gusti molto facili e di pos­sedere poca fierezza, se vi accontentate dei resti. Siete anche abbastanza stupidina, se pensate che bisogna essere stati cattivi per esser buoni! Come se la miglior garanzia della virtù fosse il vizio. Diffidate, invece: chi ha gustato il frutto proibito prima del matrimonio, sarà tentato di farlo anche dopo.


Caterina63
00lunedì 1 luglio 2013 11:32


LA SCONFITTA

La sconfitta! Parola amara! Come brucia le labbra!

Nella grande guerra del 1915-18, per non conoscerla, noi alleati contro i Tedeschi invasori, abbiamo combattuto quattro anni!

Durante quattro anni, abbiamo dato il sangue delle nostre vene, e i nostri più bei giovani.

Lo abbiamo fatto per conservare la nostra indipendenza.

Ora il giovane dominato dal vizio impuro ha perduto la sua indipendenza. È la sconfitta!

Parola amara! Che brucia le labbra!

Al principio della guerra, vidi dei giovani belgi condotti fra le baionette tedesche. Se vivessi cen­t'anni (il che sarebbe deplorevole ... ) mi ricorde­rei ancora l'espressione dei loro volti.

Straziante umiliazione!

Eppure quei giovani non avevano niente per cui arrossire; anzi avevano il diritto di tener alta la fronte! Invece il vinto dalla passione deve arrossire e camminare con la fronte bassa.

Ha ceduto le armi per viltà, e al più sprezzabile dei vincitori, a quel demonio che Nostro Signore, nel Vangelo, chiama «omicida fin da principio».

Un soldato delle vicinanze di Namur mi rac­contava come era stato preso il suo «forte». I ne­mici avevano fatto uscire i Belgi e lì, davanti ai loro occhi, avevano spezzati i loro fucili sulle rotaie del tram che passava vicino.

Il soldato, con un lampo di vendetta negli occhi, gridava: «Che rabbia, quando si vede il nemico che spezza così i nostri fucili! Voi non siete soldati e non potete capire queste cose! ».

Di nuovo: l'umiliazione per questo soldato era stata puramente materiale, ma non realmente infamante, perchè non era stata meritata.

Il vinto dal vizio, invece, ha una sconfitta infa­mante e meritata.

È cosa dura esser schiavo in mano al nemico. Anche il vizio è una schiavitù.

Spesso gli schiavi del vizio impuro, con lacri­me d'impotenza e di vergogna, vengono a dirci: «È terribile questa tirannia dell'abitudine! Come ci tiene legati dispoticamente! ».

Nessun carceriere custodisce il prigioniero tanto strettamente e severamente come il vizio custodisce le sue vittime!



Il greco Pericle, parlando dei giovani caduti in battaglia, diceva: «l'anno ha perduto la sua pri­mavera! ». Quanto è più vera questa esclamazio­ne applicata al significato morale!

Quando l'impurità è venuta a rovinare una razza, davvero «l'anno ha perduto la sua prima­vera!». Nel libro del Bureau L'indisciplin des moeurs leggo: «ogni giorno si fa una grande carneficina di giovani».

Queste parole furono forse scritte durante la guerra, col pensiero volto ai giovani caduti in bat­taglia? No; alludeva alla carneficina morale dei giovani, nei quali l'impurità ha tutto distrutto. Ripetiamo accoratamente:

«Una grande carneficina... l'anno ha perduto la sua primavera! ».

Vedo il giovane corrotto che sperpera i suoi begli anni, come un pazzo che volontariamente getta in mare, ad una ad una, le sue monete d'oro. Quale scadimento!

Lacordaire di questi giovani disse con frase audace: «L'anima si materializza» e Vinet, con frase ancor più audace: «L'anima degli impuri va tutta in carne».

«Alle volte, dice il Janvière, l'anima, passata giù nei sensi, finisce per cadere in una specie di paralisi che somiglia all'imbecillità».

Questo fenomeno viene da tutti notato. Ascoltate quel grande conoscitore di giovani che fu il Sertillages: «Con l'impurità diminuisce l'attitudine al lavoro e sottentra l'impotenza senile perfino nella giovinezza. La vita è discesa dalla testa ai sensi ... Il vizio smussa la punta dell'intelligenza, spegne il gusto delle cose dello spirito, rende l'uomo inadatto a quello sforzo di raccoglimento e di attenzione che è richiesto da chi vuol occu­parsi di cose serie. Non è possibile condurre a pari passo la vita dei sensi e la vita dello spirito».

Avete mai veduto un'aquila in gabbia? La grande regina dell'azzurro diventa tanto melan­conica dietro quelle sbarre! Più triste ancora è la condizione dell'anima, schiava nella sua gabbia carnale. La volontà è colpita gravemente nel giovane impuro, il quale per ciò stesso diventa un debo­le: cede sempre.

Osservate il circolo vizioso: perchè ha ceduto, la volontà s'è indebolita, e perchè la volontà s'è indebolita, cede!

La memoria sensibile ha un suo organo: il cer­vello. Ma l'eccesso del vizio scuote il sistema ner­voso e quindi porta sul cervello e sulla memoria un rovinoso contraccolpo.

E il cuore? Lo sventurato impuro non ne ha più. « L'impurità, dice il profeta Osea, porta via il cuore», perché il vizio ne ha erose le fibre vive.

Nessuno più di Lacordaire, l'apostolo dei gio­vani, l'ha detto con maggiore competenza: «Du­rante la vita ho veduto molti giovani e per questo vi dichiaro altamente: non ho mai incontrato anime amanti all'infuori delle anime che ignora­no il male, o che lottano contro il male! ».

Molte madri vengono a piangere con noi edu­catori: «Mio figlio era tanto affettuoso, tanto buono verso i fratelli e le sorelle. Il nostro sguar­do materno si tuffava nei suoi occhi ed arrivava sino al fondo, sino all'anima, ma ora si direbbe che ha un suo dominio riservato in cui neppur la madre, anzi soprattutto essa, non può penetrare. È duro! Ma che cosa ha dunque?». Povera madre, che cosa ha? Ha il grande male che colpisce molti giovani!

L'impurità è la grande ladra dei cuori. Non lo commuove più il pensiero di far incanutire i capelli del padre e di riempire di lacrime gli occhi della madre, perchè non li ama più. Il giglio dei santi affetti non cresce nel terreno in cui una malsana vegetazione assorbe il succo e vorace­mente l'asciuga.

Questo egoista può arrivare al punto di non desiderare il matrimonio. I vergognosi piaceri della colpa solitaria gli bastano. Se resta celibe non c'è da sbagliarsi: non è per motivo d'un idea­le superiore, no, ma perchè è completamente sazio e frustrato.

Non soltanto il giovane vizioso cessa d'essere affettuoso, ma può qualche volta diventare posi­tivamente crudele. Impurità e crudeltà, segrete parentele!

Ci vogliono emozioni bestiali via via più forti, finchè arrivano al sangue.

A Roma, il circo in cui si uccideva e le case in cui si straviziava erano vicinissime.

Quando l'orgia è regina, il delitto è re.

Dice Luigi Veuillot: «Il vizio conduce all'ospe­dale... ma attraverso quali strade! ».



Ancora una volta, l'ultima, paragoniamo il giovane puro al giovane impuro.

Il primo è, per cosi dire, gerarchizzato, cioè ha ottenuto e mantiene l'ordine gerarchico in se stesso, poichè ha un'anima virile, padrona d'un corpo da essa animato. Obbedisce al precetto divino: «Il tuo appetito starà sotto di te e tu lo dominerai».

Il giovane impuro invece è «anarchico», radi­calmente squilibrato, perchè la carne soffoca in lui lo spirito. La bestia ha vinto l'Angelo! Dal momento che la pazzia decapita l'essere umano, resta soltanto la bestia.

Non è dunque da meravigliarsi che l'essere tutto intero si risenta da un siffatto disordine. Sovente le cose più diverse sono fra loro lega­te da mille legami sotterranei e come da un mi­sterioso sistema di vasi comunicanti.

Se questo è vero per le cose materiali, e ancor più vero per l'uomo. Una perturbazione così pro­fonda come quella che porta l'impurità, produce inevitabilmente un violento contraccolpo su tutte le facoltà, perchè l'uomo non è un semplice miscuglio, ma una reale unità, in cui gli elemen­ti reagiscono gli uni sugli altri, come nei compo­sti chimici.

Sì, lo ripeto: le differenti parti del composto umano stanno fra loro in così intima relazione, che le une reagiscono sulle altre. Niente si sepa­ra nella vita.

Così, dunque, il vizioso diventa il peggiore degli squilibrati.

E, per questo stesso, diventa il peggiore degli spostati, cioè dei fuori-norma.

È un fuori-norma nell'ordine morale!

La prova più evidente che il vizio è brutto sta in questo: sente la necessità di mascherarsi. Diventa presentabile a metà solo a forza d'eu­femismi: è vita che sboccia... temperamento ar­dente... generosità di cuore ... ecc.».

La parola serve a far passare di contrabbando la cosa; l'etichetta bella dissimula il prodotto avariato!

Abbiamo, una volta tanto, il coraggio di chia­mare le realtà col loro vero e triste nome! Durante la guerra il nemico soleva camuffare i suoi tranelli. Il vizio impuro fa lo stesso.

Grattiamo via la sua doppia maschera: la maschera della gioia e la maschera della poesia. È, al contrario, triste e volgare. E mettiamoci a dimostrarlo.



Il vizio è triste

Lo è per la sua stessa natura. Eccone il motivo: «Il vizioso domanda al pia­cere di rispondere, non ai bisogni limitati degli organi, come le bestie, ma alla sete infinita del suo cuore».

Se il vizioso dà tutto, è perchè vuol ricevere tutto; cioè, a misura che egli si abbandona di più alla passione, pretende una porzione sempre più grande di piacere, fino all'infinito...

Ma, fatalmente, la passione offre una porzio­ne via via più piccola, man mano che viene spre­muta.

Poichè, mentre l'idea scava sempre più a fondo l'abisso inscrutabile del nostro cuore, gli organi corporei, al contrario, poichè sono materiali, vanno soggetti, come ogni materia, a ritrovarsi limitati e consumati. Essi diventano presto sazi; la loro attività si degrada, specialmente quando il vizio li sottopone ad un sovraccarico e a uno squi­librio. Così il piacere poco a poco si spegne. Ed ecco pertanto come il vizioso rimane preso nel suo stesso tranello.

Sente in sè crescere la fame, man mano che la sua preda diminuisce; fatalmente fra la realtà e il suo sogno la distanza, invece di diminuire, aumenta sempre più.

Orbene, nell'uomo la misura della propria tristezza viene appunto da questo: dal sentire l'enorme distanza fra sogno e realtà.

Le debolezze della carne non sono la felicità, ma la brevissima illusione della felicità. L'ubriacatura è tanto rapida, che il piacere consiste più nei momenti che precedono che non nel lampo della stessa soddisfazione, che si può chiamare «una breve epilessia».

Dopo, ed immediatamente dopo, tien dietro la noia giallastra, perchè la colpa è essenzialmen­te fastidiosa e monotona. È il disprezzo di se stessi!

Infine vengono i rimorsi. «Dunque è tutto qui? Ho di nuovo ceduto!... E fatto!... Che stupi­da felicità... e che cosa mi resta adesso? Una depressione fisica e morale».

In me c'è il mercato dell'inganno, che rico­mincia cento volte.

Sono scontento degli altri, perchè non sono contento di me. Tutto finisce nel rammarico!

La colpa deve produrre per forza la tristezza, perchè, dice san Tommaso d'Aquino, «un essere collocato fuori del proprio ordine soffre sempre».

Il vizioso è un irregolare che si è messo volon­tariamente fuori dell'ordine. È un fuori del suo asse, un senza bussola!

Giovane amico, faccio a te questa domanda, alla quale vorrei che rispondessi con la lealtà della tua anima: il peccato impuro rende felici?

L'indomani del peccato è melanconico, e io ti posso citare varie testimonianze non sospette:

Gabriele d'Annunzio: «La tristezza si trova al fondo del piacere, come, alla foce di tutti i fiumi, si trova l'acqua amara».

Scrive il Baumann: « Daniele Rovère, dopo la debolezza, si sarebbe vomitato da se stesso, per il disgusto».

La peccatrice Taide lo riconosce! «Non ho tro­vato la felicità, ed ecco che sono stanca d'una stanchezza infinita».

Quando si è convinti di questo, bisogna pren­dere una risoluzione per l'avvenire, perchè allora si giudica rettamente e non già come quando si è travagliati dallo sregolato appetito.

Ed un'altra eroina del medesimo genere, nei Racconti in prosa di Francois Coppée, confessa: «Ho appena ventisette anni, ma se sapeste come è vecchio il mio cuore! ».

Pietro Loti, dopo aver raccontato la vita sre­golata che conduce a Costantinopoli, conclude: «Ho gustato un poco di tutti i piaceri e, non ostante la mia giovinezza fisica, mi sento molto vecchio!».

Quanti giovani sono «immusoniti piccoli vecchioni! ». E noi indoviniamo il perchè!



Ma osserviamo la cosa un po' più da vicino: quaggiù tutti cercano la medesima cosa; il santo ed il peccatore, benchè per vie differenti, mirano ad uno scopo identico: la felicità.

Chi dei due la trova? La virtù è ricompensata, non solo nell'altra vita, ciò che è evidente, ma persino quaggiù essa procura quella pace che il mondo non può né dare né togliere. La santa allegrezza è sorella della santa innocenza.

La colpa invece è punita non solo nell'altra vita, il che è evidente, ma persino quaggiù. Il peccato lascia nella bocca il sapore cattivo ed amaro del rimorso.

Coloro che fanno violenza a se stessi, per evi­tare il male, sono i più furbi e i più sicuri d'incon­trare la gioia sui loro passi.

Gesù l'ha predetto: «Colui che, per una falsa furbizia, vuol salvare il suo interesse, lo perde; colui che lo perde, in realtà lo guadagna».

Abbiamo qui la divina sentenza che pare un bisticcio: «Chi perde guadagna!».

Al tirar dei conti, Monsignor Baumard ha ragione: «Noi conserviamo soltanto quello che doniamo, cioè quello che doniamo a Dio per generosità».

Dopo una vittoria riportata su di noi stessi, l'anima diventa leggera, e la fanfara della gioia suona nel cuore allargato!

Dopo un'orgia si ha la bocca impastata e nel cuore un cupo odio verso quei violenti piaceri da cui si esce come indolenziti. Mettiti una mano sul cuore e, se puoi, osa dire che questo non è vero. La virtù costa fatica soltanto in principio. Faticoso l'entrare, bello l'uscire.

Per l'impurità, invece, è tutto il contrario: bello l'entrare, brutto l'uscire!

La colpa entra nell'anima per la porta della felicità ed esce per la porta della tristezza.

Le rose del vizio nascondono male la morte. Come si usava a Roma nel «supplizio dei fiori: coloro che, senza saperlo, dovevano morire, venivano invitati ad una festa.

Il banchetto era splendido. All'improvviso, dal soffitto, il grande velo di porpora s'apriva nel mezzo e lasciava cadere una pioggia, fine fine, profumata e poetica, di rose e di verbene.

Sul principio, i convitati si sentivano rapiti e cantavano magnificando la sontuosità della festa.

Ma, poichè la pioggia continuava a cadere implacabile, un'ombra d'inquietudine comincia­va ad oscurare i loro volti.

Decisamente - esclamavano - sono troppi i fiori, troppi i profumi... E alla fine spiravano, ubriacati da tanti odori, e sopra di loro si stende­va come un lenzuolo composto dalla fiorita di verbene e la valanga di quelle rose che erano diventate le rose della morte.

Così, esattamente cosi, accade nel vizio impu­ro. Anch'esso ci invita ad un brillante banchetto dove potremo bere nella coppa del piacere un vino che dà alla testa; mordere ingordamente i frutti proibiti e per questo stesso tentatori. Anch'esso ci offre profumi e fiori.

E sul principio, come per gli sventurati convi­tati romani, sembra un incanto. Ma presto tien dietro l'impressionante inquietudine di subire uno spaventoso languore in quelle passioni che parevano nascondere tanta soavità! E, infine, si muore.

Non resta altro che l'inguaribile tristezza che lasciano le cose finite e colpevoli.

Quel «supplizio di fiori» ebbe luogo soltanto a Roma?

No, si ripete ogni giorno, ogni volta che un giovane cede al falso profumo dell'impurità.



Non dire: è proprio vero che la gioia finisce con la malinconia? E se io rischiassi di farne l'esperienza?

Ti rispondo telegraficamente: questa espe­rienza è stata fatta da più di duemila anni. L'autore del libro sacro chiamato Ecclesiaste, appunto duemila anni or sono, l'aveva tentata per conto suo. Ascolta ora in che modo egli, delu­so, parla nel suo poema: «Ho detto al mio cuore: andiamo! Gusta il piacere! Mi procurai cantori e cantatrici, Numerose donne,

Tutto quello che i miei occhi desideravano non l'ho negato loro. Non ho rifiutato al mio cuore nessuna gioia ... E mi sono accorto che tutto è vanità e soffio di vento». (Eccl, 2,2).

Sant'Agostino, un poco più tardi, cioè mille­cinquecento anni or sono, fece anche lui l'esperi­mento, e non per qualche giorno, ma per dicias­sette anni.

Eccoti ora i suoi risultati, come egli stesso li racconta nelle Confessioni: «Voi, Signore, sapete che cosa io soffrivo allo­ra! Sciebas quid patiebar. Ero rosicchiato: rodebar!

Quanto ero infelice: quam miser eram! L'abitudine di voler saziare l'insaziabile con­cupiscenza mi faceva soffrire crudelmente: me excruciabat. Che tormenti e che gemiti erano i miei: quae tormenta! Una simile vita, era ancora una vita?: talis vita, numquid vita erat?

Un'immensa tristezza riempiva il mio cuore: maestitudo ingens. Signore, avete fatto il nostro cuore per Voi, ed esso è inquieto, fino a che non si riposi in Voi!: et inquietum est cor nostrum, donec requiescat in Te!».

È vero. Osservate la lancetta della bussola: è inquieta e quasi folle, finchè non ha trovato il polo. Così è del nostro povero cuore: si trova sperduto fino a che non sia stabilmente orienta­to verso il polo divino. Sant'Agostino aveva udito la voce che gli dice­va: prendi! leggi!

Egli prese il libro che gli stava vicino e lesse questo passo di san Paolo: «Camminiamo nella purezza come in pieno giorno; non abbandonia­moci alle orge, all'ubriachezza, alla lussuria ed

all'impurità... ma rivestitevi del Signore Gesù Cristo e non abbandoniamoci alla carne in modo da eccitarne i malvagi desideri» (Rom. 1,3,1,3).



Il vizio è cosa volgare

Il re Baldassarre usò i vasi sacri del Tempio di Gerusalemme per le sue orge. Così fa il giovane impuro profanando il suo corpo che la Bibbia chiama «il grazioso vaso dell'anima».

La legge della Chiesa vuole che il calice della Messa sia dorato.

Con maggior ragione, il calice del tuo cuore non può essere sdorato dal vizio.

Tutti provammo un senso d'indignazione quando udimmo che Napoleone I, durante la con­quista dell'Italia, trasformava le chiese in stalle e ne insudiciava il Sacro Tabernacolo Eucaristico! Ma non è forse la stessa grave profanazione ad insudiciare il proprio corpo che è tempio dello Spirito Santo?

Il giovane che si abbassa fino alla vergogna del peccato solitario ha un bello sforzarsi di scu­sare e colorire questa vertigine dei sensi median­te pretesti! Non è bello. Non è pulito.

Sant'Agostino riconosce, nelle Confessioni, che al tempo delle sue debolezze, non poteva illudersi sopra la sua bruttura morale: «Mi met­tevo davanti ai miei proprii occhi per constatare quanto ero brutto e contraffatto, sordido, mac­chiato ed ulceroso! ».

La nostra anima non è fatta per avvelenarsi nell'aria fetida delle latrine, ma per respirare castamente la vergine aria dei ghiacciai!



Se poi si tratta non del male commesso da solo, ma di relazioni colpevoli, la cosa è ancora peggiore, perchè la vergogna resta duplicata. Amori proibiti! Amori di fango!

Non ti lasciar ingannare: i romanzieri e i poeti fanno tutti gli sforzi per filtrare questa porcheria, ma è inutile: restano sempre amori fangosi!

Basta mescolare un pochino il fondo, perchè il deposito risalga alla superficie.

I giovani, molto giovani, candidi e molto can­didi, non riescono a rendersi conto di queste vol­garità. Hanno letto scene idealizzate dalla poesia e sapete che cosa s'immaginano?

Un sogno azzurro! L'emozione di confidenze dette fra il rossore; un amplesso al chiaro di luna; una passeggiata sentimentale «tenendosi per il dito mignolo alla moda di Cirano sotto il balcone di Rossana....».

L'amore colpevole (e noi parliamo ora soltan­to di questo) non è questa gentil letteratura!



Spesso accade anche che si pecchi... per dena­ro! Perchè molte disgraziate cedono? Per i tuoi begli occhi? Sei ancora ingenuo, biondino mio!

Il vero scopo è il danaro! Sì, molto prosastica­mente: il denaro! Amore e denaro!

Il cuore contro il rimborso! L'amore barattato!

Nel caso in cui fossi tu che miri a tradire una giovane perchè è povera, promettendole denaro, come si può qualificare questa vigliaccheria d'un uomo che abusa dell'altrui miseria, compera l'amore d'una persona e poi le getta venti euro in compenso della sua virtù?

La vita libertina resterà sempre una vita molto volgare. È seducente da lontano.

È orribile da vicino ... Da vicino!...

Ma facciamo praticamente il bilancio di ciò che portano questi proibiti amori: debiti, prima di tutto, perchè, disse Beniamino Franklin, «un vizio costa più che mantenere due figliuoli»; sce­nate di famiglia; feroci gelosie; terrore di scanda­li; ricatti; ostinazione vessatoria delle disgraziate che non vogliono lasciarvi e diventano tanti «uncini»; vendette di chi tutto dice e porta le prove. Imprudente giocatore! ecco quello che tu rischi su questa carta dell'amore!

Se i giovani sapessero!... E poi i drammi: vetriolo sulla faccia, colpi di rivoltella al petto, cuori trafitti da pugnali. Perchè? «Chercez la femme!». Cercate la donna! Ebbene? si tratta di un bianco idillio o di un rosso dramma?

Lasciamo la parola ad un magistrato: «Mentre i romanzieri e i poeti cantano la virtù e la bellezza dell'amore, i magistrati, ogni giorno, toccano con mano le vergogne, le disperazioni e i delitti a cui dà luogo. Non c'è nessun'altra pas­sione che faccia tanti disperati, tanti pazzi e tanti assassini. Non ce n'è alcun'altra che conduca tanti sventurati e tanti colpevoli al cimitero, al manicomio e al tribunale». (Dott. Louis Proal in Crimes et suicides passionnels).

Inoltre la solidarietà umana è tanto intima, che la cattiva condotta dell'individuo ha sempre un contraccolpo sulla collettività di cui fa parte. Il vizio è antisociale.

Senti il grande san Metodio, l'evangelizzatore delle Russie: « Le nazioni sono forti nella propor­zione in cui sono caste! ». La decadenza o il progresso delle nazioni dipendono dalla decadenza o dal progresso della purezza.



Enumerate, se potete, quante volte, nella sto­ria delle relazioni leggere, la giovane è abbando­nata. Presa per capriccio. Abbandonata per capriccio.

Da ultimo ricordati, o giovane, che la cattiva condotta non è soltanto un dramma a due, ma un dramma a tre. Il terzo, il figlio, che sarà di lui?

O lo si sopprime con l'aborto, e allora l'affet­to, cominciato con un bacio, finisce con un assas­sinio. O lo si lascerà vivere, ma allora, il povero innocente, sarà sempre screditato, perchè porte­rà incollato al suo nome l'appellativo d'illegitti­mo.

Alle volte i miserabili se ne liberano abbando­nando il figlio a qualche Istituto di suore. Ma deve pesare molto sulla coscienza pensare che in qualche parte del vasto mondo va errando un fig!io senza padre, un ragazzo abbandonato che vi cerca e che forse vi maledice!



Questo triste amore non è a base di tenerezza, ma a base di egoismo.

Scrive Luigi Veuillot in Ca et là: «Quando Dio non è l'Amico comune per due, l'Amico che ognuno ama di più, allora colui che ciascuno dei due amici ama di più, è se stesso! ».

Quando un tornado è passato sopra una terra, tutto resta seccato e bruciato.

Quando la passione è passata sopra un cuore, tutto resta seccato e bruciato.

Dove è passata l'unghia del mio cavallo, dice­va il feroce Attila, l'erba non cresce più.

Dove è passata la cavalla nitrente dell'impuri­tà col suo zoccolo rude e stritolatore, il fiore deli­cato dei teneri affetti non cresce più!

Caterina63
00lunedì 1 luglio 2013 11:35


Le scuse della sconfitta

La vigliaccheria durante una guerra presenta tre tipi differenti: imboscati, disertori, disfattisti. Costoro però s'accorgono molto bene, in gra­zia della piccola porzione di cuore che ancora conservano, che non è glorioso ciò che stan facendo e allora tentano d'accampare alcune scuse. Pretesti che fanno compassione per la loro volgarità!...

La lotta per la purezza ha pure i suoi imbosca­ti, i suoi disertori, i suoi disfattisti.

Anch'essi tentano balbettare delle scuse. Passiamole in rassegna.



1a SCUSA: e molti altri?...

- Gli altri se la godono!

- Rispondo: anzitutto, sai come si chiama colui che fa una cosa perchè la fanno gli altri? Un Cirano? Niente affatto! Ma un pecorone. «Bee... bee ... bee...! ».

Inoltre, la pecoraggine degli altri scusa forse la tua? Un disertore viene assolto dal tribunale militare, solo perchè ci sono stati altri disertori?

Cessa d'essere spregevole solo perchè vi sono altri spregevoli!

Al giudizio finale tu sarai ricompensato o condannato in modo assoluto e non in modo relati­vo, cioè secondo la tua coscienza, e Dio non ti domanderà se i tuoi vicini hanno o non hanno praticata la virtù. La sentenza che sarà pronun­ciata contro di loro non ha nulla a che fare con la tua.



2a SCUSA: la morale del piacere

- La morale del piacere esiste; si chiama Edonismo e ha i suoi seguaci.

- Ti rispondo: Certo! fu difesa da Aristippo di Cirene (380 a.C.), da Epicuro (341-270), che fu del resto un po' calunniato...; nel 1700 dagli Enciclopedisti come Helvetius, D'Holbach, Saint-Lambert; nel 1800 da Fourier; nel 1900 da tutti coloro che «vivono la loro vita».

I nostri moderni non sanno far altro che ripe­tere gli antichi.

Non si può credere quanto il nuovo è antico. La morale dell'edonismo è tanto vecchia, e anche tanto vile, quanto le passioni umane. Avrà sempre per sè un certo numero di liber­tini. Ma avrà anche contro di sè la coscienza del­l'uomo e la legge divina!



3a SCUSA: pochi giovani sono casti

- Pochi giovani osservano l'altra morale, quella della purezza!

- Rispondo: Lo sai tu?

Un sol uomo conosce il fondo del fondo: il Confessore. Ora, se egli potesse parlare, si vedrebbe come, vicino a molte tristezze, ci sono molte consolazioni.

Te lo giuro: centinaia e centinaia di giovani combattono; centinaia e centinaia di giovani, se hanno ceduto, si confessano.

Ci sono delle cadute, ma anche dei pentimen­ti. Alla fin fine, ci sono due maniere per esser buoni: o non cadere mai, o risorgere sempre.

Un giovane che cade, aveva combattuto prima per settimane e settimane. La gente severa nota solo questa finale debolezza, il giusto Giudice ha visto le due fasi della crisi: la caduta e anche le cento e cento vittorie che l'avevano preceduta.

È molto facile sentenziare come un oracolo: «non esiste più la virtù!». Ci vuol poco a dire così. La verità invece è un'altra: lo scandalo fa più colpo che non il bene. È sempre così.

Noi siamo fatti tutti così: più disposti a ricor­dare l'eccezione scandalosa che non il gran numero di onesti. Se il male colpisce tanto è perchè esso è uno strappo che si fa all'ordine, mentre la virtù è la conformità all'ordine.

Le cose anormali eccitano la curiosità più che non le cose normali.

Quando un cassiere scappa coi danari, tutti i giornali ne parlano. Ma nessun giornale sente il bisogno di pubblicare: «ci annunziano che nella tale città, un cassiere non è fuggito con la cassa! Aggiungete inoltre che il male fa rumore. La virtù invece è discreta.

Un bolscevico che spezzi i vetri d'un monaste­ro fa più fracasso che non dieci carmelitane che si sacrificano tutto l'anno nel silenzio delle loro povere celle!

Applicate queste osservazioni al nostro caso: un solo libertino richiama la nostra attenzione più di venticinque giovani innocenti, le cui inti­me lotte nessuno conosce!



4a SCUSA: dov'è il male?

- Che male c'è? Dio ci ha dato i sensi e le facoltà perchè ce ne serviamo, e non proibisce la soddisfazione che ne risulta.

- Risponde per me Luca Miriam: «Sì, Dio permette che ci serviamo del nostro corpo, ma conformemente alla sua legge. Così non ci è permesso usare la nostra forza fisica per essere brutali, per opprimere il prossimo, per uccidere.

Ora la legge di Dio regola l'uso dei nostri organi in vista del bene personale e del bene sociale. Se ha disposto che certi atti necessari alla vita sociale, siano occasione d'un piacere, lo ha voluto per invitare gli uomini verso questi atti ch' essi avrebbero evitato o trascurato, se fossero dolorosi o indifferenti.

Dio che permette il piacere, quando quest'at­to può ottenere normalmente il suo effetto socia­le, lo proibisce nel caso contrario. Questo piace­re quindi non è sempre cattivo, anzi è lecito quando non si sottrae agli eventuali pesi che pos­sono tenergli dietro.

Ma quando l'uomo si mette in condizioni di non poter raggiungere l'effetto normale di questo atto, oppure in condizioni di raggiungerlo sì, ma violando le sante leggi della famiglia, allora egli rovescia il piano divino, vuole il piacere per il pia­cere, il godimento senza il peso del dovere com­piuto. Allora è fuori dell'ordine, è nella colpa».



5a SCUSA: Dio autorizza bene il matri­monio

- Perchè mai ciò che è permesso nel matri­monio diventa proibito fuori del matrimonio? La stessa cosa può essere buona e cattiva contempo­raneamente?

- Rispondo: anzitutto sì, è possibile che due azioni identiche nell'ordine materiale, siano dif­ferenti nell'ordine morale, perchè la stessa cosa può diventare conforme od opposta all'ordine, può cadere sotto una legge che comanda o che proibisce. Per esempio: bruciare incenso è azio­ne bella quando si fa in onore del vero Dio, ed è azione detestabile quando si fa in onore dei falsi dei. Fare un passo avanti può meritare il cielo o l'inferno, secondo che significa rinunziare o stare attaccati alla fede.

E poi, non è esatto dire che le cose sono per­fettamente le stesse nel matrimonio e fuori del matrimonio. Gli sposi cristiani non si macchiano con manovre anticoniugali e anticoncezionali.

Il matrimonio poi vieta qualsiasi altra unione, fino a che vive uno dei due coniugi. Non vuole solamente un'unica unione, ma la esige. E questa Dio la innalza alla dignità di Sacra­mento.

L'amore ha due elementi: quello di attrattiva fisica e quello di attrattiva morale. Il primo do­mina spessissimo al principio, ma si va atte­nuando un poco alla volta; il secondo invece può andar crescendo negli anni; tanto che si trovano dei vecchi sposi, fra i quali non c'è più alcuna febbre passionale, che conservano un affetto sereno, basato sulla lunga comunanza di gioie e di dolori, sulla perfetta intimità dei cuori.

L'elemento alquanto passionale che domina­va in principio va perdendo il suo incanto e resta quell'amore degli ultimi anni che è completa­mente spiritualizzato.

Succede del vero amore come dei ruscelli: il fango va al fondo fino a che è completamente deposto, e allora le acque diventano limpidissi­ me e lasciano vedere i bianchi ciottoli che dal basso sorridono.

Invece nelle unioni così dette libere, niente di tutto questo: una volta appassita la bellezza, l'unione si rompe automaticamente.

Se proprio questo non accadrà sempre, è però frequente, ed è logico che così avvenga: non per nulla quell'amore è chiamato «libero».



6a SCUSA: il mondo ammette l'amor libero

- Il mondo non tiene conto dei pregiudizi religiosi sopra l'amore libero. Questo per il mondo non è cosa sconveniente.

- Rispondo: non è vero! Il mondo, che ride della morale, finisce poi con lo schierarsi in dife­sa della morale.

I ragionamenti, anche meglio condotti, non rie­scono a distruggere interamente l'evidenza imma­nente di certe leggi scritte dalla natura nelle più segrete profondità della nostra persona umana.

Un padre può arrivare al punto di negare in teoria la famiglia, eppure suo figlio non sarà mai per lui un uomo come gli altri uomini.

Ugualmente, una giovane può avere ricevuto un'educazione imbevuta al massimo grado di idee rivoluzionarie, può aver fatto professione di disprezzare le convenzioni sociali, in particolare il matrimonio, può avere vantato il diritto all'unio­ne libera... Eppure basta che un amore sincero si svegli in lei, perchè esso le rinfacci come una ver­gogna irragionevole e una sconfitta l'essersi unita senza il Sacramento e senza il contratto!



7a SCUSA: bisogna che la gioventù si dia agli spassi

- Bisogna che la gioventù si dia agli spassi!

- Risposta telegrafica: agli spassi? bisogne­rebbe che la gioventù non passasse mai...

È possibile? Sì, certo; il modo per conservare un'eterna giovinezza c'è, ed è uno solo: conservare un'eter­na purezza.

Il sacerdote dai capelli bianchi, la cui mano trema quando innalza il calice, può dire ogni mattina: «Salirò all'altare del Signore che fa lieta la mia giovinezza! ».

La vera età non è scritta sui registri o sui capelli o sulle rughe, ma nel cuore.

A ottant'anni d'età, il cuore può averne anco­ra venti.

Viceversa in certi libertini, il corpo ha solo vent'anni, mentre il cuore, orribilmente vecchio, ne ha ottanta.

Giovane amico, che sei tanto fiero della tua giovinezza, non sciupare gli anni più belli, come si dice facessero i falsi dei dell'Olimpo che, nelle feste, sprecavano l'ambrosia cioè la bevanda del­l'immortalità.

Sei nell'età in cui si prende la propria piega per sempre. La vita d'un uomo che cos'è? Una decisione della giovinezza realizzata nell'età matura.

Sei nel periodo dell'esistenza in cui il seme, get­tato nella terra feconda, produce il cento per cento. A una magra seminagione terrà dietro un ma­gro raccolto. A una ricca seminagione terrà die­tro una ricca messe!



8a SCUSA: voi non capite certe cose

- Voi non capite più certe cose. Con tutto rispetto, bisogna che ve lo dica: voi siete troppo vecchi.

- Risposta telegrafica: con tutto il rispetto: tu sei troppo giovane. La sapienza abita sotto le fronti canute! Non è molto onorifico che tu ab­bia, sotto una così folta capigliatura una sapien­za inversamente proporzionale al numero dei capelli...



9a SCUSA: non sono più un ragazzo

- Non sono più un fanciullo.

- Telegraficamente: è vero purtroppo. Tu sei un giovane e per questo tu devi combattere.



10a SCUSA: nessuno verrà a saperlo

- Nessuno saprà nulla.

- Tre parole: Dio lo saprà. E anche tu lo saprai e ne proverai rossore.



11a SCUSA: bagatelle

- Sono bagatelle!

- Ti risponde Bourdaloue: «Il problema è un altro: sapere cioè se Dio giudicherà come giudi­chi tu, e se tu stesso non giudicherai diversamen­te, quando comparirai al Suo tribunale!



12a SCUSA: Voglio esser libero

- Voglio esser libero!

- Questa volta ti batto le mani: alla buon'ora, che l'hai detta giusta! Ricordati però che soltanto il puro è libero. Senti queste parole, sono d'uno dei maggiori ingegni e dei maggiori santi: «Tenetevi fermi in quella libertà che Gesù Cristo vi ha dato quando vi ha affrancati. Sì, vive­te secondo lo spirito e non secondo la carne: dove c'è lo spirito del Signore, ivi è la libertà! » (2 Cor. ,3,1,3-17).

L'impuro è schiavo della passione. Sant'Agostino lo dice molto bene nelle sue Confessioni:

«La lussuria, simile a una crudele regina, stendeva su di me il suo scettro dominatore, e io le consegnavo ambe le mani, perchè potesse legarmele».

Qual è la più tirannica passione? La cocainomania? No!

La mania del bere? No! Ma l'impurità. Lo sventurato che s'è lasciato legare dal pec­cato impuro, finisce per commettere il male senza godere: col rossore più che col piacere.



Certi giovani, pieni di vergogna e di dispera­zione, giungono al punto di desiderare, come vile soluzione, la morte.

Masticano e rimasticano il rancore di tutte le loro successive cadute.

Gli anni passano e fanno mucchio, e il nodo scorsoio si stringe sempre più.

Eccoli qua, eccoli lì, eccoli là, i vecchioni! Tristemente coperti di sudore freddo, si sfor­zano ancora di «divertirsi!».

«Stiamo per morire, vanno balbettando. Viva l'allegria! Approfittiamo della vita! »

Fu detto: il vizio è il più despota dei despoti. Come ci sono i «lavori forzati a vita», così ci sono «i piaceri forzati a vita»!

Compiangiamo il forzato, il galeotto del piace­re! Davvero che si è venduto a un cattivo padro­ne! Satana regna ora su quest'anima di voluttuo­so.

Dicono che la Russia bolscevica ha eretto una statua a Satana.L'impuro la erige nel suo cuore!



Se poi lo sventurato non si contenta di peccare da solo, ma si abbandona a relazioni colpevo­li, abdica due volte alla propria libertà. Psichari, il convertito nipote di Renan, nel suo Viaggio del centurione racconta che Massenzio, il vincitore, vive malamente con una schiava. Sentite il giudizio che ne fa: «egli diventò schia­vo di quella schiava! ».

Secondo il significato della parola francese, l'uomo prende una maitresse cioè una «padro­na». Questa parola è molto significativa, perché indica come si diventa servitore.

Leggiamo il sacro libro dell'Ecclesiaste; esso ci mette in guardia contro: «La donna il cui cuore è un laccio, è una rete, e le cui mani sono legami. Il peccatore sarà da lei legato» (7, 26).

Le catene di fiori possono essere più forti che non le catene di ferro; una donna scrittrice nota appunto che questa catena «più è leggera e più è solida».

La gabbia dalle sbarre dorate, resta sempre una gabbia! Cercate di comprendere la spaventosa pro­fondità di questo detto: Il castigo di coloro che, da giovani, amarono disordinatamente le donne, con­siste nel dover continuare ad amarle sempre.

È la vergogna, è il ridicolo dei vecchi libertini.



l3a SCUSA: il diritto alla felicità

- E che dobbiamo fare del diritto alla felicità?

Semplice la risposta: io rivendico per te que­sto diritto!

Ma l'esperienza ci dice che subito dopo la caduta viene la punizione che uccide la felicità. Colpa e tristezza sono fra loro legate.

È difficile dire quale dei due sentimenti pre­valga nella impurità: la violenza del gusto che precede o del disgusto che segue.

Però il disgusto è tanto grande che, in quel momento, il ricadere sembrerebbe impossibile. Non ti pare una grottesca ironia chiamare «piacere» ciò che si è certi di deplorare subito e che porta un grande danno?

Ma non ripetiamoci: l'abbiamo già detto altrove e a lungo. Ricorda ciò che dice la Scrit­tura del giovane Gionata, condannato a morte per aver mangiato un po' di miele contro la proi­bizione del re Saul, suo padre: «Ho gustato un po' di miele ... ed ecco che io muoio! » (i Sani. 14, 43). Il giovane che ha ceduto all'impurità può dire altrettanto.

Un po' di miele proibito ... e poi la morte.



14a SCUSA: impossibile!

- La purezza? ... Impossibile! ...


La risposta merita che sia un po' lunga. Se tu resti da solo, temo anch'io che sia impossibile! ed ecco perchè tu devi chiedere il soccorso a Dio, in ginocchio come un fanciullino. Allora ti rialzerai forse e dirai come S. Paolo: «Posso tutto in Colui che mi dà la forza».

Impossibile! Ma non rifletti che questa parola, se la dicessi con piena coscienza, sarebbe, giovanotto mio, una vera e propria bestemmia?

Ma come! Dio commetterebbe l'ingiustizia solenne di esigere un dovere che supera le nostre forze? No, no! «Dio è fedele e non permetterà che noi siamo tentati sopra le nostre forze, ma con la tentazione ci darà il modo d'uscirne felice­mente e la forza di sostenerla» (Cor.10,30).

«Chi ci separerà dall'amore del Cristo? La tri­bolazione, o l'angoscia, o la persecuzione, o il pericolo?... In tutte queste prove noi siamo più che vincitori per opera di Colui che ci ha amati. Poichè io son sicuro che nè la morte, nè la vita, nè le cose presenti, nè le cose future, nè le poten­ze, nè l'altezza, nè la profondità, nè alcun'altra creatura, ci potrà separare dall'amore di Dio che è in Gesù Cristo Nostro Signore» (Rom. 8,35).

Impossibile! Ma guarda intorno a te! non vedi nella tua famiglia e nelle tue conoscenze, giovani puri e donzelle dagli occhi chiari? Quello che hanno potuto quei giovani e quelle giovani, non lo potrai anche tu?

Impossibile! E i santi? Senti una bella pagina di Bureau: «È una cosa veramente strana che i contem­poranei, tanto larghi di elogi quando si tratta d'esaltare i grandi scienziati e i grandi artisti, facciano poi così poco caso dei servizi ancora più importanti che hanno dato all'umanità quei meravigliosi inventori della vita morale che si chiamano i Santi! ».

Eppure la nostra debolezza si appoggia alla loro forza e noi partecipiamo alla loro traboccan­te vita spirituale.

Il loro esempio ci mostra, vicino al nostro dovere, l'estensione del nostro potere».



15a SCUSA: più tardi!

- Ebbene!... sì, ma più tardi!

- Ti rispondo: comprendo. Tu vorresti prati­care la virtù quando non saprai fare diversamen­te, e amerai Dio quando sarai vecchio e ammala­to.

Così che tu hai l'intenzione di dare i bei fiori al vizio e i cosiddetti frutti guasti della fine d'au­tunno a Gesù Cristo tuo Salvatore? Tu sei nell'età in cui tutto freme e vibra, e parli così?

Pare che questo non sia molto cavalleresco! Che penseresti se, a suo tempo, tuo figlio ragionasse con te in simile modo? «Padre mio, comprendo tutto quello di cui ti sono debitore! per questo ti amerò, ma... più tardi. Desidero prima divertirmi; quando sarò stanco, anchilo­sato e rattrappito nel fisico e nel morale, allora verrò da te! ». Oppure che cosa risponderesti a tuo figlio se dicesse: «Ti ubbidirò, ma... più tardi?». E tu hai il coraggio di dire: «Obbedirò alla legge di Dio... più tardi... quando non mi coste­rà più fatica?



16a SCUSA: la castità nuoce alla sanità

- D'altra parte, non intendo mantenermi puro perchè la continenza è dannosa alla salute.

Qui t'aspettavo, e qui t'intimo: alto là! Questa è una cosa d'ordine medicinale. Ebbene, ecco qua i testi precisi di quei dottori e scienziati competenti che hanno studiato il fat­to della continenza maschile, dal punto di vista della medicina.

Il dottor Francotte scrive: «La continenza è possibile e la legge divina che la comanda prima del matrimonio, non ha stabilito nulla che sia in contraddizione colle leggi psicologiche ... ».

« Si è parlato senza competenza (dice il dottor Fournier dell' accademia di medicina e speciali­sta nella sifilide) e con leggerezza dei pericoli e danni che porterebbe ai giovani la continenza. Vi confesso che, se ci fossero questi danni io li conoscerei, e che io medico li avrei constatati, perchè su questa materia i casi di osservazione non mi sono certo mancati! ».

«Non si ripete mai abbastanza questa verità: la continenza e la più assoluta purezza sono per­fettamente compatibili con le leggi fisiologiche e morali; dire il contrario è mettersi contro tanto alla fisiologia e alla psicologia quanto alla mora­le e alla religione».

«La verginità dei giovani è insieme una difesa fisica e una difesa morale, intellettuale, e bisogna sforzarsi di conservarla.

«Non ho conosciuto un solo individuo che si sia ammalato per causa della continenza».

«La castità non fa male nè al corpo nè all'ani­ma: la sua disciplina è eccellente». Così il dotto­re James Paget, medico nella corte d'Inghilterra.

E il Guibert, che cita questa testimonianza, soggiunge: «Volete alcune osservazioni persona­li? Le avete in casa vostra: ditemi: la vostra casti­tà vi ha mai scossi nella salute e ostacolati nei lavori? Certamente nell'ambito delle vostre conoscenze conoscete delle persone d'una indi­scutibile purezza: la loro vitalità è forse alterata? Non avete mai udito dire che la forza e la lunga vita dei religiosi dipende dalla purezza?».

Il dottor Feré, che non è un cattolico, fa una simile osservazione: «Durante la discussione che ebbe luogo nella società di medicina di Lione, a proposito d'un libro del Dufieux, nel quale si fa l'apologia del celibato religioso, i suoi avversari non hanno trovato nulla da opporre a lui che risolutamente concluse: «nessuna malattia viene dalla continenza! ».

Il dottor Mantegazza, che non brilla certo come un apostolo della continenza, dice: «Non ho mai conosciuto una sola malattia causata dalla castità».

I fisiologi, inoltre, hanno trovato che la purez­za porta vantaggio. Essa infatti procura una riser­va di forze; è generalmente favorevole all'attività psichica e a quella fisica; favorisce la lunga vita e le differenti forme dell'attività intellettuale.

Il dottor Bourgeois, per dimostrare questa medesima verità, consacra tutto il capitolo IV del suo libro Le passioni: «L'osservanza rigorosa della castità è compatibile con una piena sanità d'anima e di corpo».

Giulio Payot, rettore dell'Accademia di Chambéry, scrive nel libro già citato: «Si dice che la castità nuoce alla salute ... al contrario, la con­tinenza dà all'organismo un mirabile vigore ed energia»

Un illustre professore di neuropatologia a Berna, il dottor Dubois dice: «Vi sono più amma­lati di nervi fra coloro che lasciano libero corso alla sensualità che non fra coloro che sanno sot­trarsi al giogo dell'animalità».

Il dottor Delattre, ispettore d'igiene, scrive: «La continenza, lungi dall'essere contraria alla sanità, costituisce una delle più sicure garanzie per un'attività sana e virile ... Un giovane può star sicuro che nella purezza trova la garanzia di un'energia vitale che non potrebbe raggiungere certo nell'incontinenza. Questi fatti, garantiti dalla medicina e dall' esperienza, devono essere affermati con forza! ».

Il celebre teologo morale, Padre Vermeersch, nel trattato De castitate scrive: «La castità e la continenza, per se stesse, non sono in alcun mo­do nocive alla salute. Tanti dottori e fisiologi di prim'ordine, l'attestano in modo così perentorio che i pochi rari oppositori si possono considera­re come quantità trascurabile. Coloro che, col pretesto della salute, biasimano la purezza o dànno (ciò che troppo spesso succede) consigli immorali, devono essere condannati precisa­mente in nome della vera scienza! ».



Caterina63
00lunedì 1 luglio 2013 11:38


LA VITTORIA

Per riparare la sconfitta

Un vincitore può aver conosciuto momenta­nei insuccessi. Ma non ha mai consegnate le armi!


Nella lotta per la purezza è molto importante conservare intera la fiducia.

Qual è il più grande pericolo per colui che ha conosciuto le numerose debolezze della carne? È il pericolo di esclamare: «è troppo tardi!».

Costui fa un ragionamento che è facile indovina­re: sono diventato un «consuetudinario» o un «abitudinario», come dicono i teologi. Ho tentato di rialzarmi e sono ricaduto. Dopo quel ritiro spiri­tuale, quella confessione, ho resistito per tre setti­mane, per un mese. Poi il vizio m'ha riafferrato. Oh! il vizio è forte e quando attanaglia, attanaglia stretto. Ora non ho più alcun «rimbalzo». Il confes­sore mi fa coraggio: è il suo mestiere, ma io sento bene che l'emendazione per me è impossibile.

Amico mio, questo è il «più non posso» che Dante mette in bocca a certe anime scoraggiate (Purgatorio. 10,3,44-47).

Poco fa tu andavi dicendo: «È impossibile restar puro».

Ora tu vai dicendo: «È impossibile ridiventa­re puro».

No, no, e no! tante volte no, quante sono le lettere di questo libro!

Noi l'abbiamo già confutata la tua vigliacca obiezione.

Hanno detto che la parola impossibile non è francese.

Diciamo meglio: la parola impossibile non è cristiana.

Dio non ha fatto del rialzarsi dopo il peccato una cosa impossibile!

C'è un proverbio filosofico che puoi compren­dere anche tu: se una cosa c'è, questa è la prova migliore che è possibile! Orbene: questa prova che è possibile rialzarsi moralmente c'è; e se non credi leggi le Confessioni di Sant'Agostino!

Quanti si sono liberati dalle loro miserie, alle volte dalle loro orribili miserie e si son rifatti un'anima bella! In questa terra stanno insieme due categorie di persone: i puri ed i purificati.

Credi forse d'essere il primo giovane al mondo a cui capitò una disgrazia? Centinaia e centinaia di puri vivono ora e non sono sempre stati puri!

Nella Chiesa noi onoriamo i preservati, ma anche i riscattati; i non feriti, ma anche i cicatriz­zati. Chi vuole, può! Noi possediamo, con la volon­tà, una forza di rifacimento, di rifusione, di cui non sospettiamo neppure l'importanza.

La prima virtù dell'ammalato o del vinto è la speranza.

Il dottor Dubois di Berna, ha pubblicato un libro dal titolo Le psiconevrosi, nel quale dimo­stra che si è fatto troppo abuso delle cure medi­cinali e si è troppo trascurata la cura psichica, la quale consiste nell'ispirare la confidenza; la con­fidenza esercita una funzione dinamofanica. Non stralunare gli occhi davanti a questa parola nuova; considerane invece il significato: "dinamogenico" vuol dire: creatore della forza; "dinamofanico" invece: rivelatore della forza. Ora la fiducia è un rivelatore della forza che c'è in noi, anche se allo stato latente, cioè nascosto. Tutto il problema consiste nello stuzzicare e svegliare questa forza che è reale, ma nascosta. Adunque, coraggio!

Senti che cosa osa scrivere Paolo Bourget: «In fatto d'energia noi valiamo quasi quanto credia­mo di valere! ».

Rovesciando la frase possiamo dire: «noi di­ventiamo realmente impotenti nella misura in cui ci crediamo impotenti». L'incapacità ci viene addosso per autosuggestione.

Napoleone I che s'intendeva di vittorie, dice­va: «La fiducia è metà del trionfo!».

Se questo è vero quando si tratta di vittorie materiali, quando cioè sui campi di battaglia bisogna fare i conti col numero delle baionette e dei cannoni, quanto più è vero quando si tratta di vittorie della virtù, poichè queste dipendono uni­camente dalla nostra volontà!

L'assioma di Napoleone è stato adottato dal generale Foch (che i francesi chiamavano il Na­poleone moderno) e colato dentro lo stampo di acciaio d'una equazione: «Vittoria = Volontà».

Stàmpati bene in mente, o amico, questi due principi: Ogni sconfitta rende più facile la sconfitta seguente. Ogni vittoria rende più facile la vittoria successiva.

Scrive il dottor Hystel di Vienna: «La purezza è difficile; ma cessa d'essere difficile man mano che viene praticata».

Perchè? Perchè nel mondo morale, come nel mondo fisico domina sempre il principio di Lavoisier: «Niente si crea, niente si distrugge».

Per questo, anche nel campo della purezza il trionfo non è creato all'improvviso; resta sempre qualche cosa della precedente debolezza.

Ma, per la stessa legge, ogni vittoria rende più facili le successive.

Fra la tentazione impura e la relativa caduta c'era prima un'associazione d'immagini. Ebbe­ne! questa saldatura resta spezzata e la dissocia­zione resta infine ottenuta.

Alla scuola di aviazione quando un pilota ha subìto un incidente nel prendere il volo o nell'at­terrare, viene costretto a ricominciare immedia­tamente la stessa manovra. Lo scopo a cui si mira, consiste nello spezzare fin da principio l'associazione d'immagini che si formerebbe fra quel dato esercizio e quel dato incidente.

Devi quindi prender nota di questo risultato, così: «oggi ho resistito; domani resisterò».

Tu conservi in questo modo la prova scritta della tua generosità e in te entra, per così dire, mediante le dita che scrivono la formula precisa, la convinzione d'aver vinto e di poter vincere.

Così il viaggiatore Stanley, in cerca di Livingstone nell'Africa, quando alla sera si senti­va moralmente depresso, scriveva: «Lo troverò: lo voglio». Scriveva questo per incoraggiarsi, per aiutarsi, mediante il processo che lega le parole all'occhio nel leggere e le parole ai movimenti nello scrivere. (I dotti li chiamano processi verbo-visuali e verbo-motori).

Scrivi anche tu: «Uscirò dalle mie miserie. Lo voglio! ».

Avevi la convinzione della sconfitta; devi sostituirla con la convinzione contraria, quella della vittoria: devi metterti nella testa questa seconda idea fissa che farà sloggiare la prima.



Tutto sta nell'incominciare! Il successo verrà. Tutto dipende da te!

La volontà, aiutata dalla grazia di Dio, può rinunziare radicalmente e in modo definitivo alle abitudini, anche inveterate.

Osservate come procede l'estate: essa guada­gna terreno sull'inverno mediante una marcia ascendente sicura, nonostante le parziali disfatte e i ritorni del freddo.

Il vero coraggio e la pazienza.

Tutti hanno bisogno di coraggio: il santo, il dotto, il genio, il carcerato, il soldato. Il santo. Ci vuol molta pazienza con molte persone!, ma la persona con la quale ci vuole più pazienza siamo noi stessi! Così dice S. Francesco di Sales.

Il dotto. Domandarono a Newton, come aveva trovata la legge della gravitazione universale. Rispose: «col pensarci sempre su». Il genio è «una lunga pazienza». E che sarà della virtù?

Niente si ottiene improvvisando. È questo un principio riconosciuto: un'opera vale quello che costa di tempo. Una cosa fatta in fretta è una cosa che dura poco, perchè il tempo non rispetta quello che si fa senza di lui.

Gesù ce l'ha detto nella parabola del Se­minatore: «Il seme che rapidamente germogliò, rapidamente seccò, perchè non aveva radici» (Luca 8, 6).

Il fiore della santità cresce soltanto in un ter­reno preparato lentamente e richiede che il sot­tosuolo sia ricco, perchè vi si possano affondare le radici nutritive.

Il prigioniero. Quando non può spezzare le sue catene con un colpo, si mette a limarle lenta­mente. Applica a te stesso questo esempio: limare in mancanza di spezzare.

Il soldato. I nostri soldati, durante la guerra del 1915-1918, hanno forse riportato la vittoria con un colpo solo? Durante quattro anni il terre­no fu guadagnato (quando lo si poteva guada­gnare!) palmo per palmo, una trincea alla volta.

Sul principio tu forse avanzerai come si avan­zava sull'Yser, metro dopo metro.

Che cosa vuoi mai? Certi nemici, per vincerli, bisogna «rosicchiarli». Rosicchia, amico mio, rosicchia! Il topo, di cui parla il favolista La Fontaine, che rosicchiava così, finì con il disfare le maglie della rete. Così, proprio così, tu uscirai da certe altre reti ... le quali, per quanto siano di seta o d'oro, restano sempre reti!



L'importante è conservare la fiducia. Perchè si perde la fiducia?

Perchè si vuol prevedere troppo alla lontana. Si dice: «Come? dovrò lottare per la purezza e domani e dopodomani e la settimana seguente e il mese seguente e ogni anno e sempre?».

Nessuna cosa contiene in sè elementi di sco­raggiamento quanto il voler risolvere in anticipo tutte le difficoltà del futuro.

Permettimi un paragone molto familiare. Se un uomo potesse in anticipo vedere tutto ciò che dovrà mangiare durante la vita intera, ne reste­rebbe spaventato. Treni intieri di viveri! «E io devo ingerire tutta quella roba?

Però questo stesso uomo domani sarà felice di far colazione, di pranzare e di cenare. Dopodo­mani proverà lo stesso bisogno di nutrirsi; e in fin di vita avrà assimilato tutta quella prodigiosa quantità di pane, di carne, ecc. Ma a poco a poco, boccone per boccone!

Non vogliate essere troppo previdenti! Quelle difficoltà le incontrerete una per una, e con le difficoltà incontrerete anche la grazia dello stato corrispondente che adesso non avete ancora.

Obbedite al consiglio del Divin Maestro: «Per ogni giorno basta la propria pena! ».

Vediamo adunque: non sareste capaci di mantenervi puri fino a domani mattina? Domani mattina avete una nuova Comunione, un nuovo viatico per il nuovo cammino.

Siate puri giorno per giorno! Abbiate una purezza di ventiquattro ore! Domani vi proporrete nuovamente una purezza d'altre ventiquattro ore.

Tagliate adunque le difficoltà in pezzettini e sarete vincitori! Dìvide et impera.

Udite questo racconto di guerra, scritto da René Bazin, in cui viene illustrato il segreto della vittoria.

«Una donna francese aveva il marito interna­to, il figlio ucciso, la casa saccheggiata. Insomma tutti i malanni. Ma essa restava forte».

Renato Bazin le domandò: «Come fate per restare tanto coraggiosa?».

Ed essa, l'eroica donna, rispose: Ricevo ogni giorno il Pane Eucaristico, che mi è tanto neces­sario, mentre dico al buon Dio che entra in me: «Datemi coraggio per ventiquattro ore! E doma­ni, altrettanto! ». Fa' così, amico mio.

Ricevi, ogni mattino, il Pane che ti è così necessario e di' al buon Dio che entra in te: «Datemi coraggio per ventiquattro ore! e doma­ni altrettanto!".



La tattica della difesa

Abbiamo descritto a suo tempo, come è la tat­tica del male: parliamo ora della tattica del bene. L'arsenale del vizio ha molte armi offensive. L'arsenale della virtù ha molte armi difensive. Passiamole in rassegna.



1a ARMA: la Comunione

O salutaris Hostia! Bella premunt hostilia, da robur!

O Ostia di salvezza! I nemici ci premono, dacci la forza! (Ufficio del Santissimo Sacramento).

In tempo di guerra bisogna scegliere le armi più forti e non bisogna incaponirsi a voler con­servare i fucili ad avancarica, o la vecchia arti­glieria che tira corto.

E tu, giovane amico, sai bene che nella lotta per la purezza l'arma delle armi è una sola: la Santa Comunione. Il demonio ti assale? La devozione Eucaristica sarà come un fuoco di sbarramento che gl'impedirà di venirti vicino.

Vuoi rimanere coraggioso? Ricordati che comunicarsi equivale a incorporare in te il corag­gio nella più alta dose possibile: è un mangiare la forza!

I primi cristiani lo sapevano molto bene!

I persecutori sguinzagliavano contro di loro i leoni del circo romano, ma essi, come altrettanti «leoni vomitanti fiamme», li affrontavano corag­giosamente.

In grazia di che? in grazia della Comunione fatta al mattino.

Disse il Padre Van Tricht, in una conferenza sull'Eucaristia: «Non siete mai stati colpiti da quell'incomprensibile spettacolo che offrivano i primi secoli e le prime persecuzioni della Chiesa? Tutti quei cristiani che andavano alla morte come si va a un gioco?

I tiranni li squarciavano, li attanagliavano, colavano nella loro bocca il piombo liquefatto, li davano in pasto agli orsi, alle tigri, ai leoni. E quegli uomini, quelle donne, quelle giovinette non indietreggiavano d'un passo! Come si spiega ciò? In un modo solo: con la santa Comunione».

Voi pure, giovani amici, dovete combattere non più nell'arena d'un circo, ma nell'arena del vostro cuore. Anche voi dovete cercare il corag­gio nella Comunione.

«Che cosa ha fatto Gesù, continua lo stesso Padre, per rivestire di forza il povero cuore umano? L'ha attaccato a Sè con la Comunione, in una unione intima, inter-penetrazione di Dio e dell'uomo».

San Giovanni Grisostomo ci dice: «Nella santa Comunione noi siamo mescolati con Dio!».



Sono molti i mezzi che servono a purificarci e risanarci l'anima, ma uno solo viene prima di tutti: la Santa Comunione! Perchè? Perchè comunicarsi è come un bere la santità non a un ruscello derivato, ma alla stessa Sorgente.

Nessuna cosa ha un'efficacia cristianizzatrice più forte di Gesù Cristo in persona! Comunicarsi è come innestare se stesso sopra Gesù Cristo, è come gettare le radici della pro­pria piccola vita umana nella grande Vita divina. Guardiamoci bene dal sostituire le devozioni alla Devozione! Nessun processo chimico può sostituire la vita; non ci sono surrogati del vive­re. Comunicarsi è ricevere la Vita.

Tutte le altre pratiche di pietà, tutti gli altri mezzi per conservare l'innocenza, stanno alla devozione Eucaristica, come alcuni raggi stanno al sole.

Sarà la gloria di san Pio X l'aver ricondotto la vita cristiana al suo vero principio e l'averne rad­drizzato l'asse che si tentava di deviare. Il grande Pontefice ha fatto questa grande cosa: ha «cen­trato» la pietà! Prendete una bilancia: su d'un piatto mettete tutte le buone opere, tutte le mortificazioni degli eremiti, tutte le preghiere e tutte le opere di apo­stolato; e sull'altro una Santa Comunione, una sola fatta santamente. In questo secondo piatto avete messo un peso infinitamente più grande, perchè avete messo lo stesso Dio!



La Comunione è la divina terapia, preventiva o curativa.

Preventiva: essa è «il vaccino che previene l'invasione dei bacilli impuri».

Curativa: per guarire certe malattie si deve operare il cambiamento del sangue. Ed Egli, il Medico delle anime nostre, ogni mattino ci fa la magnanima proposta: «Prendete, questo è il mio sangue! ». Tu sei debole! Bevi, inocula in te il sangue divino! Tu sei debole! Mangia un cibo che è Dio! O mio Dio, in questa unione io ho tutto da guadagnare!

Io mangerò dunque il Pane, il buon Pane di casa nostra, il Pane soprasostanziale?

Sì, Lo mangerò, e non una volta sola, ma ogni giorno, affinché la cura sia radicale. Non voglio essere guarito a metà!

Mi comunicherò, non perchè sono puro, ma per diventarlo; non perchè sono in buona salute, ma per ritrovare la buona salute. Quando si va dal dottore? non certo quando si sta bene, ma quando si è ammalati. Gesù mite, Gesù medico dei corpi e delle anime, voi mi salverete!

Nei giorni della vostra vita terrestre, quando eravate fra noi, voi eravate buono, tanto buono!

Avete guarito i lebbrosi. Che orribile lebbra è l'impurità!

Avete guarito gli storpi. Io sono storpio nel­l'anima!

Avete guarito il cieco. Io vi dirò come lui: «Fate ch'io veda!».

Certe cose si distinguono solamente con occhi puri, e io ho una macchia sugli occhi!

Voi avete guarito quella donna che da quindi­ci anni era incurvata e non poteva affatto guar­dare in alto. Da molto tempo la mia povera anima è tutta incurvata e non può affatto guar­dare in alto, alle cose del Cielo, alle cose eterne!

Voi avete guarito quel paralitico che era ammalato da trentott'anni. Considerate il male inveterato delle mie tristi abitudini.

Voi avete risuscitato i morti. La figlia di Giairo che era già spirata, simbolo delle anime che son morte alla grazia. Il giovane di Naim, che era già portato al cimitero, simbolo delle anime morte da tanto tempo. A me, sfortunato giovane, dite dunque come a quello: «surge! », levati su! Lazzaro già puzzava: simbolo dei cuori che già esalano il fetore della corruzione mortale e della decomposizione. E tuttavia, o Maestro, gli avete comandato di uscire dal sepolcro ed egli è uscito dal sepolcro vivo! Aveva ancora le bende che lo fasciavano; egli le buttò via. Possa anch'io libe­rarmi cosi dai lacci che mi tengono legato!

Figlio di Davide, se volete salvarmi, lo potete! O buono e dolcissimo Gesù! sarei io il primo che voi respingereste!

Gesù! colui che voi amate è ammalato. Oh! molto ammalato... O Salvatore, quando i malati toccavano le frange della vostra veste, quella stri­scia rossa collocata al fondo della vostra tunica, erano guariti. E io che tocco il vostro corpo nella santa Comunione non sarò guarito?

Cacciate per sempre il male da quest'anima impastata d'Eucaristia!



Apriamo La Filotea, il bel libro di san Fran­cesco di Sales e leggiamo ciò che quest'amabile scrittore dice: «Comunicatevi spesso e credete a me: le lepri dei nostri monti della Savoia, in in­verno, diventano bianche, perchè vedono e man­giano soltanto neve. A forza di adorare e di man­giare la bellezza, la bontà e la stessa purezza in questo divino Sacramento, voi diventerete tutto bello e tutto puro».

Lo so vi viene voglia di ridere su queste lepri «che diventano bianche d'inverno, perchè vedo­no e mangiano soltanto neve». Sarebbe un assurdo.

Il paragone, alquanto ingenuo, ha però qui un'importanza assolutamente secondaria.

Ciò che importa è l'insegnamento morale.

Il santo continua infatti: «Se i frutti più tene­ri e più facili a gustarsi, come le ciliegie, le albi­cocche e le fragole, si conservano facilmente per tutto l'anno quando sono messe dentro lo zuc­chero o dentro il miele, non bisogna meravigliar­si se i nostri cuori, benchè deboli e facili a cor­rompersi, sono preservati dalla corruzione del peccato quando sono inzuccherati e uniti con la carne e col sangue incorruttibili del Figlio di Dio!».

La nostra carne nutrita dalla Carne di Gesù sarà purificata e impregnata di verginità.

La Comunione è, per eccellenza, il contravve­leno del peccato impuro.

Il vizio animalizza. La Comunione divinizza.

Caterina63
00lunedì 1 luglio 2013 11:40


[SM=g1740720] 2a ARMA: la Confessione

I soldati mutilati nella guerra erano traspor­tati all'ambulanza. Collocati alla rinfusa, forma­vano un mosaico di dolori. Certi petti erano attraversati da una parte all'altra con un bendag­gio rosso, che faceva pensare a un tragico «gran cordone» della legion d'onore.

Supponete che un medico avesse trovato il magico balsamo capace, in un minuto, di rifare quelle carni, chiudere quelle orribili ferite, rida­re l'integrità delle forze...

Voi m'interrompete gridando: «Che strana supposizione! ».

Non è una supposizione, vi rispondo: è la re­altà.

I cuori di mille e mille giovani sono stati feri­ti gravemente dal peccato. Per guarirli, Dio ha inventato un rimedio meraviglioso, infallibile: la Confessione.

Il confessionale è l'ambulanza in cui si benda­no le nostre ferite, la buona «Croce Rossa» delle anime... «Ohimè, vi sento sussurrare, non avete nien­te di più nuovo da proporci? Sempre la Con­fessione? Come è vecchio questo rimedio! ».

E vero, ma che importa se il rimedio è buono? Voi dite: « E una cosa che diventa monotona questo continuare a fermare la febbre col chini­no! ». Se non si è trovato di meglio, vi rispondo, conserviamo il rimedio classico che finora è il migliore.

Per combattere la morte noi mangiamo; per riparare la fatica, noi dormiamo. È molto antico e molto tradizionale questo doppio rimedio. Ma avrete il coraggio d'abbandonarlo col pretesto che è una cosa troppo vecchia?

Ugualmente, la Confessione è un rimedio vec­chio, perchè risale a 2000 anni fa. Ma è stato scoperto da un Medico Divino. Questa vecchia cura resta la migliore anche oggi!



Ma, tu dici, io ho peccato gravemente. Bisogna dunque, ti rispondo, che ti disinfetti l'anima!

Bisogna fare così. Finchè tu non hai fatto così, sei lontano da Dio. Se, durante la notte, morissi all'improvviso, ti sveglieresti nell'Inferno. Nessuna delle tue opere resta meritoria e quindi sei come colpito da sterilità: hai perduto più d'un milione, più d'un miliardo: hai perduto l'Infinito, perchè hai perduto Dio e, come figlio diseredato, non hai più nessun diritto al Cielo: Quanto saresti povero! Mio caro fratello, tu hai solamente «un'anima in brandelli! ». E se non fosse neppure in bran­delli ma fosse morta? Peccato «mortale» vuol proprio dire questo: una colpa che toglie la Vita divina.

Tu hai un bell'esclamare, magari con fare spa­valdo e motteggiatore: «Io morto? ma io canto e rido! cammino sui marciapiedi e ballo nei salot­ti! Io sono vivo! ».

In realtà, tu sembri vivo; sei un falso-vivo: «Hai l'aria d'esser vivo, ma sei morto», perchè non hai più quella Vita della grazia che è la vera Vita!



Non tentare di sfuggire il problema. Orsù, giovane amico, fa' il grande passo! Abbi cinque minuti di coraggio per gettarti ai piedi d'un Sacerdote.

Arrenditi! confessa di essere un vinto di Dio: da tanto tempo stai combattendo contro la grazia e stai provando ciò che provava san Paolo: «che è cosa dura ricalcitrare contro lo sprone» (Atti 9, 5)­

Cinque minuti di coraggio e ti sentirai l'anima inondata da una tale pace che non ti conoscerai più. Ricomincerai la vita di nuovo, con la delizio­sa impressione di essere un altro uomo.

Cinque minuti di coraggio e poi (è questa l'esperienza di tutti i penitenti) quale sollievo!

Tolto dal cuore tutto quel peso di peccati, tutte quelle macchie cancellate improvvisamente dal­l'anima resa bianca come un ermellino e leggera come un'ala!

Ascolta la parola d'un convertito: «Alla sola idea d'accostarmi al più vicino confessore, mi sentivo preso da un vero panico ... Dopo fatta la confessione, per la strada io camminavo leggero leggero e dicevo tra me: Sono perdonato, sì sono perdonato! che felicità! e mi sembrava d'esser ringiovanito di dieci anni» (Adolf Retté, Dal dia­volo a Dio).



La tua confessione sia sincera.

Si può immaginare cosa più assurda di quella che si commette facendo una cattiva confessione? Con le altre colpe tu procuri una certa soddi­sfazione, d'orgoglio, di golosità, d'amor proprio o d'amor sporco; è una soddisfazione passegge­ra, proibita, ma alla fin fine è una realtà, hai otte­nuto qualche cosa.

Invece che cosa ottieni con una confessione sacrilega? Niente! e non soltanto non ricevi nes­sun perdono delle colpe, ma ne aggiungi una nuova e grave.

Sii leale! è questa la bella dote della tua età. Sii limpido!

Oh la tua ultima confessione della vita, se avessi coscienza di comparire subito dopo davanti a Dio, come la faresti bene! Perchè non farle tutte come quella, in modo che dopo ogni confessione la situazione sia limpida, talmente netta che tu possa arditamente voltare la pagina, e per sempre?

Per carità, non metter da parte un arretrato di turbamenti per il tuo punto di morte!

Bisogna che tu possa dire a te stesso: «Ho avuto delle debolezze, ma per lo meno non debbo mai risalire più in là della mia ultima accusa. Ogni confessione nella mia vita fu l'istante della sincerità, l'atto in cui fui veritiero».

Al giudizio finale, sarà spalancato il libro di cui parla il Dies irae: Liber scriptus proferetur in quo totum continetur.

Questo libro della nostra vita è a doppio foglio: il foglio dei meriti e quello delle colpe.

A ogni confessione, Dio, in certo qual modo, ci mette in mano questo volume, questo incarta­mento del nostro processo e ci dice: puoi cancel­lare le tristi righe, stracciare i fogli accusatori e conservare soltanto le belle pagine bianche! Dove e quando si vede mai un giudice della terra usare una simile magnanimità con l'accu­sato, alla vigilia del processo?



Alla lealtà per il passato, devi unire la lealtà per l'avvenire.

Non basta soltanto l'accusa dei peccati; ci vuole il buon proposito. Non ti pare contraddit­torio, dire: «Rimpiango le mie colpe, ma non son deciso a rinunciarvi»?

La Confessione, se non fosse richiesto il pro­posito, diventerebbe un incoraggiamento alle cadute. Tu accusi le colpe e devi anche determinare per quanto è possibile, il numero e la specie, se si tratta di peccati mortali.

Ma Dio non si accontenta di questa esattezza materiale, di questa operazione matematica fatta rigorosamente, di questa contabilità di banca ben amministrata. Il confessionale non è lo spor­tello in cui basta un gesto materiale per saldare un debito: la Confessione suppone la «conver­sione», la doppia sincerità: della contrizione per il passato e della buona volontà per l'avvenire.

La prova che Iddio considera soprattutto que­sta lealtà del cuore sta che Egli non impone l'ac­cusa numerica specifica delle colpe gravi quando v'è impossibilità assoluta o morale, mentre il dolore delle colpe è sempre stato richiesto per ottenerne la remissione.



Se sei caduto, confessati subito.

Fa' in modo che in te, come diceva il buon curato d'Ars, «Gesù sia subito schiodato».

Del resto la previsione di doverti confessare immediatamente sarà un freno salutare.

Non lasciare che la colpa imputridisca nel­l'anima tua!

Constateresti subito che il peccato non vuole restar celibe, cioè solo, e che vuole invece diven­tar padre d'altri peccati.

Un giovane che ha resistito due mesi, quattro mesi, se cade una volta, cade ancora, immediata­mente dopo, cinque, dieci altre volte. Si direbbe che si rompa una specie d'incanto! «Non ho più niente da perdere, perchè non ho neppure più lo stato di Grazia...»..

Sì, tu hai ancora molto da perdere! È forse la stessa cosa avere una o dieci mac­chie? una o dieci ferite? Il peccato grave è la mac­chia e la ferita dell'anima...

Alla fin fine è chiaro che nell'Inferno la puni­zione per dieci peccati sarà maggiore che per un peccato; come in Paradiso la ricompensa per dieci atti di virtù sarà maggiore che per uno.

Puoi tu pensare che un persecutore della Chiesa non sia punito più di colui che ha com­messo soltanto una colpa grave? o che in Paradiso un eremita non abbia una corona più bella di quella che ha un convertito dell'ultima ora? La distribuzione della felicità e dell'infelici­tà corrisponde (è questione di giustizia!) ai meri­ti o ai demeriti.

Infine, te lo dico così di passaggio, tu devi sal­varti, non con modo economico, col «contagoc­ce», ma in modo ricco, splendido; secondo l'ideale di S. Teresa la quale diceva: «Accetterei tutti i dolori del mondo, per acquistare un grado maggiore di gloria, nell'eterno Paradiso! ».



Non accontentarti d'avere un Confessore; abbi un Direttore spirituale. Parlando in modo assoluto, puoi confidare la tua anima malata al primo confessore che incontri, presso a poco come puoi affidare il tuo corpo malato al primo dottore che trovi.

Ma tu preferisci, ne sono certo, un medico «curante» che conosca i tuoi antecedenti, il tuo temperamento e che sia capace per questo di sta­bilire con sicurezza la tua «diàtesi» e di procede­re a quella ricerca oculata delle cause che i dotto­ri chiamano «etiologia».

Nel linguaggio cristiano, questo medico curante si chiama Direttore spirituale. Ha tante volte auscultato la tua anima che la sua diagnosi è più penetrante e la sua cura meglio adattata.



Scegli come Direttore chi preferisci. La confi­denza non s'impone e nessuno ha il diritto di importi questo o, quel confessore. Tu sei libero. E cosa sacra questa. Però tu pre­ferirai certamente il sacerdote che comprende i giovani e che è un suscitatore d'entusiasmo.

Apprezza pure il Direttore molto misericor­dioso, ma sappi anche apprezzare il Direttore molto fermo e che è capace d'una direzione atti­va.

Non si va a trovare il Direttore per farsi lusin­gare, come non si va a trovare il medico per farsi fare una ricetta di caramelle, ma si va a trovarlo perché egli apra il tumore e guarisca le piaghe. Solo che, perché egli possa guarirle, bisogna mostrargliele.

Al dottore si dice tutto. Al Direttore di' tutto. Non essere muto, non essere monosillabico;

esponi il tuo caso. Il solo fatto di svelare una ten­tazione è già una mezza guarigione morale. Il demonio e un serpente il quale non desidera che sia tolta la pietra sotto cui si nasconde, nè che si faccia la luce.

Non aver paura di domandare consiglio. Va' a trovare il tuo Direttore e a confessarti in camera, se questo ti è più comodo e se egli accet­ta, come glielo permette il diritto Canonico (Can.91 o). Dio unisce luce e grazia a questo atto d'umil­tà. Dio ama questa semplicità!

Ma il diavolo ne ha terrore.

Sant'Ignazio ci dà il perchè di questo: «la con­dotta del demonio è quella d'un seduttore: domanda il segreto e niente teme tanto quanto l'essere scoperto».

Ma se quest'anima dice tutto a un Confessore illuminato che conosca le truffe e le furbizie del diavolo, questi ne ha un gran dispiacere; poichè sa che tutta la sua malizia resta impotente, dal momento che le tentazioni sono scoperte e messe in luce».



Il diavolo ha in orrore (e si capisce perchè) la confessione, e per questo le accumula contro molte obiezioni.

1a «È cosa fastidiosa».

Sì. Non credo che vi sia un uomo solo al mondo che si confessi per piacere.

Ma, ecco: bisogna scegliere fra due: O tu accuserai questi peccati al Confessore e, in questo caso, Dio gli sigilla le labbra con un segreto più stretto del più stretto segreto profes­sionale. Perché il Confessore è un uomo, ma un uomo che rappresenta Dio e che è per così dire, Gesù reso visibile, talmente che tu gli puoi dire: «Padre mio, che tenete il luogo di Gesù!».

Oppure quella colpa grave che non hai voluto accusare in confessione sarà pubblicata nell'ulti­mo giudizio, davanti a tutti, compreso quel Confessore al quale tu l'avrai nascosta. Quale vergogna! e questa volta sterile e non più salva­trice!

Ecco due cose noiose. Paragona e scegli.

2a «Il Confessore si meraviglierà».

Guarda! io son certo che sarei capace di fare la tua confessione in anticipo! Tu avresti solo da dire: sì... due, tre volte...

3a «Che cosa dirà il Confessore?»

Probabilmente niente. Ognuno crede il suo romanzo il più interessante di tutti. Non così il sacerdote che è condannato a udir­li tutti!... Ciò che gli racconta un anonimo è con­fuso con tanti altri racconti! ...

4a «II Confessore mi disprezzerà!»

Il Confessore si congratulerà con te! Non per le tue debolezze, certamente, ma per la generosi­tà con cui le sveli.

Non bisogna che tu creda che in noi confesso­ri vi sia una tale deformazione professionale da farci ignorare o dimenticare quanto coraggio e spesso quanto eroismo ci vuole per fare certe confidenze. Noi sappiamo molto bene che la gente preferirebbe qualsiasi penitenza d'ordine esteriore, piuttosto che questa spezzatura della volontà che ferisce nel più intimo dell'anima, piuttosto che l'atto d'umiltà: «Perdono! ho fatto male».

Il penitente crede di perdere nella nostra stima, mentre vi guadagna grandemente.

O fratello, come potrei disprezzare te che fosti debole, e che ora sei tanto generoso? No! Certamente, il Confessore dovrà ricordarti il dovere. Tu del resto questo aspetti da noi. Vai da un sacerdote, povero ragazzo mio, perchè? per­chè egli ti salvi, tuo malgrado. Se non ti richia­masse alla legge, egli tradirebbe il suo mandato e tu per primo ne saresti scandalizzato.

Ma disprezzarti? No! Noi rappresentiamo Gesù infinitamente misericordioso.

Giovane amico tentato, noi sappiamo che ai nostri tempi tu sei circondato da mille seduzioni, che hai il fuoco dentro di te e intorno a te, soprat­tutto noi confessori abbiamo toccato con mano più di tutti questo fatto evidente: tutti siamo deboli, tutti! L'ultimo sentimento di cui sarem­mo capaci sarebbe questo disprezzo verso di te che hai sofferto e di cui noi indoviniamo l'affan­no, o amico, o fratello, o figliolo! verso di te il quale noi amiamo nonostante le tue debolezze, anzi a causa delle tue debolezze, caro giovane amico. Oh! ritorna! Tu domandi: in qual giorno posso presentarmi? Ti rispondo: non c'è un giorno fisso per il figlio prodigo!



I poeti antichi parlavano molto di una fonta­na chiamata Fontana della Giovinezza. Cantavano: «I vecchi, quando vi entrano, vi lasciano le rughe e le malattie; ne escono brillan­ti di giovinezza, ornati col diadema dei loro ven­t'anni».

Inutile dire con quanto ardore i vecchi (e spe­cialmente le vecchie) sospirerebbero d'avere la fontana della giovinezza. Il medico che scoprisse l'elisir capace di ringiovanire o semplicemente capace d'impedire l'ulteriore vecchiaia, guada­gnerebbe milioni e milioni! Ne avrebbe dei clien­ti e specialmente delle clienti!

Ma questo medico non si trova. La sorgente della giovinezza non è esistita se non nell'imma­ginazione dei poeti. O piuttosto no! questa fontana esiste. Ma soltanto nella religione.

Dio ha inventato il bagno salutare della con­fessione, il bagno del suo proprio sangue. San Giovanni nella sua prima lettera fa appunto que­sta precisa affermazione: «Il Sangue di Gesù Cristo ci lava da ogni peccato» (1,7); e lo stesso dice nell'Apocalisse: «Ci ha lavati dai nostri pec­cati nel suo Sangue».

Cosi l'anima che s'era macchiata nella colpa, può ritrovare la freschezza e il primitivo splen­dore! Ed ecco realizzato il vecchio sogno dell' uma­nità: ringiovanire!



Il Vangelo ci parla di quella fontana di Bethesda, poco fuori le mura di Gerusalemme, in cui, a certe ore, lo Spirito discendeva sulle acque. Coloro che allora vi si tuffavano restavano guari­ti.

Non bisogna più aspettare certe ore, quando si tratta del Sacramento della Penitenza, chiun­que si lava, non importa in quale momento, resta salvato.



In pieno secolo XXI c'è un luogo del mondo in cui il miracolo è, secondo l'espressione del dottor Vergez «stabilito allo stato di permanenza», tanto d'esser diventato un'istituzione: Lourdes, la Bethesda contemporanea.

E tuttavia l'acqua della piscina non opera sempre e, quando guarisce, (direttamente alme­no) guarisce soltanto i corpi.

La piscina della grazia che si chiama Con­fessione è doppiamente più meravigliosa: primo, perchè guarisce le anime; secondo perchè, se l'ammalato è ben disposto, agisce di per sè infal­libilmente, ex opere operato, come dicono i teo­logi.



3a ARMA: la stima della «vita della Grazia»

Se domandassimo a molti uomini: «Quante vite avete?» ci guarderebbero meravigliati e risponderebbero: «Quante vite? Ma, se ne conta­no tre, e solo tre: la vita vegetativa, che abbiamo comune con le piante; la vita sensitiva, che abbiamo comune con gli animali; la vita intellet­tiva che ci è propria».

Direbbero bene. Ma non direbbero tutto.

Noi abbiamo una quarta vita, molto reale. Ci è descritta nel capitolo quarto della lettera di san Paolo ai Cristiani della Galazia, al capitolo ottavo della lettera ai Romani e al capitolo del Vangelo di S. Giovanni, in cui si contiene l'insegnamento del Maestro: «Io sono la vite, voi siete i tralci».

Gli effetti caratteristici della vita soprannatu­rale (o vita divina, o vita di Grazia) possono com­pendiarsi in questi sei punti:

1° L'uomo ha in sè una vita divina. Richiamiamo la parola di san Pietro: «Voi siete diventati partecipi della natura divina». E il capitolo XV di S. Giovanni: «Io (Gesù) sono la vite, voi siete i tralci...».

2° Il cristiano nello stato di Grazia diventa il tempio dello Spirito Santo. San Paolo ripete per lo meno cinque volte questa osservazione (Rom.6,o-11; 1 Corinti 3,16-17 e 6,19; 2 Corinti 6,16; 2 Timoteo 1,14).

La gente corre lontano lontano per visitare le belle basiliche: san Pietro a Roma, santa Sofia a Costantinopoli, il Sacro Cuore a Montmartre, ecc. Non dimentichiamo però di rientrare qual­che volta in quel santuario vivente, in quell'inti­mo cenacolo che è il nostro cuore!

3° I cristiani diventano figli di Dio. Non è più soltanto un enigma, ma è la verità oggettiva. « Siamo chiamati figli di Dio e lo siamo veramen­te! » (1 Giovanni 3,4).

4° Essendo figli di Dio, i cristiani hanno dirit­to all'eredità del Cielo. «Se dunque siamo figli, siamo anche eredi. Eredi di Dio e coeredi di Cristo» (Romani 3,17).

Noi siamo eredi insieme (coeredi) col nostro fratello in umanità, col nostro fratello divino, Gesù Cristo.

5° L'anima riceve con la Grazia l'infusione delle Virtù teologali: la Fede, la Speranza e la Carità, per le quali può agire divinamente, da figlio di Dio.

6° L'anima trasformata dal principio sopran­naturale della Grazia, possiede una attività che è innalzata all'ordine meritorio. In altri termini: tutte le azioni del cristiano in Grazia (eccetto gli atti peccaminosi) hanno un merito davanti a Dio.

Dio ci ha concesso liberamente questa vita della Grazia. Essa non è in modo alcuno dovuta all'uomo perché mai il naturale potrà meritare il sopran­naturale.

Ventiquattro Concilii l'hanno affermato e sant'Agostino, detto «il Dottore della Grazia», scrive: «La grazia si chiama così perchè è data gratuitamente». Per questo la vita soprannatura­le non è un complemento della nostra natura, ma un divino soprappiù.

Ma perchè gli uomini hanno così poca stima per la vita della Grazia? Perchè essendo tuffati nella materia, apprezzano soltanto ciò che è sen­sibile.

Ora, lo stato di Grazia è invisibile. Invisibile, ma reale.

Tanto reale, che Gesù Cristo è venuto al mon­do solo per questo: « affinché gli uomini avessero la vita divina della Grazia e l'avessero molto abbondantemente» come dice san Giovanni. Anche la mia anima è invisibile, anche l'ange­lo, anche Dio. E tuttavia l'anima, l'angelo e Dio ci sono!

La vita soprannaturale della Grazia esiste, e nulla si può immaginare di più sublime. Fra il più raffinato parigino, ma privo della Grazia, e la più povera donna dei campi, ma in Grazia, passa una differenza grandissima, o meglio una diffe­renza essenziale, e questa differenza è tutta a vantaggio della donnicciola! Se un ricco ha per­duta la vita soprannaturale, mentre un povero ne è adorno, il ricco è povero e il povero è ricco.

Chi non pensa a questa quarta vita che è in noi o non la conosce, assomiglia a un figlio nobi­le che non conosce i titoli autentici della sua nobiltà e la sua immensa fortuna.

Gli uomini vanno fieri quando hanno sangue nobile! Noi, cristiani, proprio noi più degli altri, abbiamo il vero sangue nobile!

È da venti secoli che la vita divina della Grazia ha fatto sbocciare le meraviglie della santità; dopo venti secoli, che dinastia di martiri e di vergini! Conoscete qui in terra una famiglia che possa glo­riarsi d'una simile ascendenza per venti secoli?

Quanto orgoglio quando uno può mostrare il suo albero genealogico che risale a una sorgente regale! Ma noi, proprio noi cristiani, abbiamo qualche cosa di meglio d'un albero genealogico regale. Noi abbiamo un albero genealogico divi­no. Ce lo assicura il Maestro: «Io sono la vite, voi siete i tralci».

Ebbene! «Diventa cosciente di te stesso, o cri­stiano, esclama san Leone, e della tua eminente dignità, e diventato partecipe della natura divi­na, non ricadere nella tua miserabile condizione. Agnosce, o christiane, dignitatem tuam et divi­nae consors factus naturae, noli in veterem vili­tatem redire».



Nobile per la Grazia, non scendere al basso livello del peccato!

Che diresti di un figlio di re che ruzzolasse nel fango? Tu sei figlio di re, «regale genus» secon­do l'espressione di S. Pietro. E ancora di più.

Se tu hai compreso che cosa è in te la vita della Grazia, allora non perderla, non barattarla pazzamente con una spregevole soddisfazione, simile a un principe che vendesse il suo blasone e i suoi stemmi antichi per comperare l'oggetto d'un indegno capriccio.

Rifletti a ciò che abbiamo detto: Tu sei diven­tato tempio dello Spirito Santo.

È cosa colpevole distruggere un tempio. Eppure questo lo si fa.

Ricordi il Duomo di Milano? Caro giovane amico in stato di Grazia, la tua anima è una meraviglia più grande che non quella cattedrale! Quella è di pietra, mentre tu sei un tempio viven­te di Dio. Oh! che non sia mai il tuo tempio pro­fanato dalla colpa vergognosa!

Odi san Paolo: «Non sapete che voi siete un tempio di Dio e che lo spirito di Dio abita in voi? Se uno profana il tempio di Dio, Iddio guasterà lui, poichè il tempio di Dio è santo, e tali siete voi! » (i Cor. 3,16-18).

«Fuggite l'impurità! Qualunque altro peccato che l'uomo commetta è peccato fuori del corpo; ma l'impuro pecca contro il proprio corpo» (1 Cor. 6,18.- ss).

«Non sapete voi che il vostro corpo è un tem­pio santo che è in voi e che avete da Dio? E voi non appartenete a voi stessi, perchè siete stati riscattati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo».

«Il corpo non è fatto per l'impurità, ma è fatto per il Signore ... Non sapete voi che i vostri corpi sono membra di Cristo? Prenderò io le membra di Cristo per farne le membra d'una peccatrice? » (1Cor. 6,15).

Caterina63
00lunedì 1 luglio 2013 11:43


4a ARMA: la preghiera

Credi tu al Vangelo?


Allora medita queste parole: «Questo genere di demoni non si può cacciare se non con la pre­ghiera e col digiuno». O anche queste altre: «Vegliate e pregate! affinché non cediate alla tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole! » (Marco 24, 36).

Anche se hai cacciato satana dal tuo cuore con una generosa confessione, non credere che egli si consideri vinto così presto. Anche qui abbiamo le parole del Maestro: «Quando lo spirito impuro è uscito da un uomo, va per luoghi aridi in cerca di riposo, e non ne trova. Allora dice: Ritornerò nella casa da dove sono uscito. E, ritornando, la trova vuota, netta e ornata. Allora va a prendere altri sette spiriti più cattivi di lui ...».

Non rimanere abbandonato alla tua propria forza, cioè alla tua propria debolezza!

A lato della tua fragilità metti il coefficiente del soccorso che viene dall'alto.

Fa' in modo che i tuoi deficit umani siano riparati dalla supplenza divina!

L'uomo non è altro che una canna. Ma prova­ti un po' a introdurre nel buco di questa canna una verga d'acciaio e vedrai come la canna parte­cipa subito alla resistenza dell'acciaio. Così devi mettere la tua debole natura sotto la custodia della potenza divina.

Inzuppa l'anima tua nella preghiera.

Gli antichi immaginavano che un uomo tuffa­to nel fiume Stige diventasse invulnerabile. Omero canta del giovane Achille reso appunto così invulnerabile in tutto il corpo, eccetto che nel tallone per il quale la madre l'aveva tenuto per tuffarlo.

Favola del paganesimo! Realtà del cristianesi­mo!

L'uomo tuffato nel fiume della preghiera, resisterà ai colpi del nemico.

Al contrario, chi resta ferito nella lotta per la virtù? l'imprudente che non s'è fortificato col soc­corso dell'alto, che ha trascurato a poco a poco la preghiera, simile al soldato che si disarmasse len­tamente, gettando via le sue armi, una a una.

E perchè il poverino non ha più pregato? Perché non ha compreso che l'uomo è veramen­te grande solo quando si mette in ginocchio!

Spesso le colpe d'impurità sono dovute a colpe d'orgoglio.

I filosofi orgogliosi, dice S. Paolo, si sono per­duti nei loro pensieri e si sono macchiati con ogni genere di brutture. Presunzione dello spirito, punita dalla devia­zione della carne.

Uno si crede un superuomo! e poi diventa un sotto-uomo, col mettersi al livello delle soddisfa­zioni animali.



Pregare durante la tentazione è come un man­tenersi in contatto con Dio; è come, durante la battaglia, restare in comunicazione con il coman­do centrale per ricevere i rinforzi necessari. Questi rinforzi, nella lingua dei teologi, si chiamano grazie attuali. Senti l'originale para­gone che fa Luca Miriam: «Mediante le grazie attuali Dio ci manda continuamente rinforzi di truppe». Pregare è come un agire sulla Causa prima (Dio!) dalla quale tutte le cause seconde ricevono la loro forza.

Pregare equivale a non restare isolati e mette­re al proprio fianco la più alta forza che esista. Durante la grande guerra, qual era la maggio­re preoccupazione delle Nazioni belligeranti? Non restare sole; farsi degli alleati. Opera nello stesso modo nella lotta per la purezza!

Non restare solo! «Vae soli!», «Guai a chi è solo!»

Fatti, con la preghiera, un incomparabile alleato: Dio!



Però, nota bene, la preghiera non ti dispense­rà affatto dalla lotta e dall'azione.

«Bisogna pregare, dice sant'Ignazio, come se tutto dipendesse da Dio, ma bisogna lavorare come se tutto dipendesse da noi! » Prega e lavora: «Ora et lavora».

Osserva il fenomeno fisico del vapore: il calo­re si converte in movimento. Così il tuo cuore riscaldato dall'orazione e provvisto di calorìe divine, passerà generosamente all'opera.

La nostra preghiera dev'essere seria. Non un semplice sbattere delle labbra, un gesto meccanico che fa passare il rosario, ma uno slancio dell'anima.

Le preghiere sacre che si trovano nei libri, convengono a tutti, solo perchè non convengono esattamente a nessuno; esse rassomigliano al vero sentimento del cuore, come un fiore di pla­stica rassomiglia a un fiore naturale.

Si può forse surrogare lo splendore e il profu­mo d'un fiore?

Se un amico, al primo di gennaio, o al giorno della mia festa, venisse a leggermi un complimen­to pescato in un «Manuale dei complimenti» io gli direi: «Amico, chiudi in fretta quel cattivo libro! dimmi invece qualche cosa che ti viene dal cuore!

Così Iddio preferisce qualche cosa di noi, anche un sentimento del cuore anzichè la recita delle più belle parole... composte dagli altri.

Però, se tu non riesci a pregare senza l'aiuto d'un testo preciso o d'una orazione vocale, biso­gna certamente ricorrere a questi mezzi. E una cosa meno perfetta in se stessa, ma è meglio que­sto che niente.

Scegli bene questo libro, questa formula. Non dimenticare che la preghiera più eccel­lente per il cristiano è la preghiera-tipo, cioè il Pater, poichè fu composta da Dio stesso. Quando gli fu chiesto: «Maestro, come bisogna pregare?» rispose: «Voi pregherete così...».

Quando lo reciti, o giovane, sottolinea con il cuore la finale: «e non lasciarci soccombere alla tentazione, ma liberaci dal male! ».



Psichari, il glorioso convertito nipote di Renan, aveva adottato questa preghiera molto corta: «Signore, che io sia logico, cioè coeren­te!». È tutto qui.

Quando uno è cattolico, quando uno ha com­preso ciò che è l'amore di Gesù Cristo, ciò che è il peccato mortale, quando uno crede all'Inferno e al Paradiso, il resto non è altro che un affare di pura logica, cioè di coerenza.

Non basta conoscere la verità, bisogna viverla intensamente!

Al giudizio finale, il Signore non ci domande­rà solo se abbiamo creduto, ma anche se siamo stati coerenti con la nostra fede. Egli ha detto: «Colui che ha creduto e ha fatto, quegli, e non altri, sarà salvo», e il suo apostolo san Giacomo ripete lo stesso insegnamento: «Sbarazzatevi d'ogni immondezza, e da ogni resto di malizia e ricevete con dolcezza la parola che può salvare le anime vostre» (1,21).

Ma mettetela in pratica questa parola; e non vi limitate ad ascoltarla!

Continua san Giacomo: «Che serve, fratelli miei, se uno dice d'aver la fede ma non ha le opere? Questa fede può salvarlo? La fede senza le opere è morta ... Tu credi che c'è un Dio solo? Fai bene, ma anche i demoni lo credono e tremano ... O uomo vano, la fede senza le opere non vale nulla ... L'uomo è giustificato in virtù delle opere, e non soltanto in virtù della fede... Come il corpo senza lo spirito è morto, così anche la fede senza le opere è morta» (2,14-26). Concedetemi dunque, o Signore, d'essere non solo un credente, ma anche un praticante!



Sursum corda, in alto i cuori! Facciamo in modo che la preghiera c'innalzi sopra le volgari­tà umane. Noi abbiamo per innalzarci, due ali: la pre­ghiera e la purezza del cuore.

Sì, questo è l'ardito biplano, che con le due ali ci trasporta più in su delle stelle, tanto alto da toccare Dio!

Guglielmo Marconi inventò la telegrafia senza fili e la stessa radio. Con la preghiera, noi comunichiamo ancor più rapidamente e ancor più lontano: non solo da un punto all'altro del mondo, ma da questo mondo al Paradiso!

Le onde hertziane sono meno meravigliose del mirabile fluido che si chiama preghiera, la quale resta l'incomparabile filo che lega la terra al Cielo.



5a ARMA: la devozione a Maria San­tissima

Maria è la patrona titolata, cioè ufficiale, della purezza.

[SM=g1740750] [SM=g1740752]

Ella non è soltanto vergine: è la Santa Vergine, la Vergine delle Vergini, l'Immacolata. Le litanie, che ci enumerano i gioielli della mistica corona che sta in capo a Maria, usano una speciale insistenza nel far brillare, una per una, le perle della sua purezza: Madre purissima. Madre castissima. Madre senza macchia. Madre senza corruzione. Regina degli Angeli. Regina dei Vergini. Regina concepita senza peccato. Hai l'anima macchiata?

Dì alla Vergine: Stella del mattino, prega per noi! Salute degli infermi, prega per noi! Rifugio dei peccatori, prega per noi!

Quanti giovani furono salvati dalle brutture del vizio mediante la devozione a Maria!

Il Padre Van Volckxsom, nel Mese a Maria, porta questo esempio: «Un giovane di nobile famiglia andò a Roma dopo lunghi viaggi. Avendo udito una predica del Padre Zucchi, si presentò a lui e gli espose il miserabile stato dell'anima sua. Aveva contratto le più viziose abitudini e, quello che è più grave, dichiarò che, benchè sentisse il desiderio di cam­biar vita, non aveva il coraggio di spezzare i suoi legami. «Sarà l'opera della grazia, gli disse il sacerdote: promettetemi di tornare dopo le vo­stre cadute per quanto possano essere vergogno­se. Vi riceverò sempre con gioia».

Il giovane incoraggiato da quella bontà, ritor­nò molte volte, ricevette l'assoluzione e la comu­nione; ma l'emendamento non si notava affatto.

Un giorno finalmente, mentre il poverino accusava le stesse cadute, il Padre gli disse: «Figlio mio, per la salvezza dell'anima vostra vi voglio dare la Madonna come sovrana e come madre. Se l'accettate e vi mostrate suo servo e figlio, confido che vi darà i soccorsi necessari per sfuggire al demonio. Come segno io vi domando una cosa sola: al mattino, appena alzato, recitate una Ave Maria, in onore della sua verginità senza macchia, poi aggiungete: O mia Regina! O mia Madre io mi offro tutto a voi e per provarvi la mia devota sudditanza vi consacro oggi i miei occhi, le mie orecchie, la mia bocca, il mio cuore, tutto me stesso. Poichè vi appartengo, o mia buona madre, custoditemi, difendetemi, come un bene vostro e una proprietà vostra».

Ripeterete la stessa preghiera alla sera e bace­rete la terra tre volte. E se, durante il giorno o durante la notte, il demonio tenterà di portarvi al male, dite subito: «O mia Regina, o Madre mia! ricordatevi ch'io appartengo a voi, custoditemi, difendetemi, come un bene vostro e una proprie­tà vostra».

Il giovane, meravigliato di trovare un rimedio così facile, promise tutto al Padre e in quella stessa sera, compì la sua promessa.

Dopo qualche giorno, la sua famiglia dovette lasciare Roma, e il giovane fu costretto a seguir­la. Prima della partenza volle la benedizione del Padre, con cui rinnovò l'impegno assunto.

Quattro anni dopo tornò a Roma; corse a tro­vare il Padre Zucchi e si confessò. «Sembrava, diceva il Padre, il quale raccontò questo fatto, d'udire la confessione d'un santo! ». Meravigliato per un così profondo cambia­mento, gli domandai come fosse stato possibile tanto prodigio. «Padre mio, disse il giovane, devo la mia conversione alla piccola preghiera che mi avete insegnato. Non tralasciai di recitar­la ogni mattino e ogni sera; e quando si presen­tava la tentazione, chiamavo Maria in soccorso, secondo il vostro consiglio, e in grazia di Lei non sono mai caduto! ».

Caterina63
00lunedì 1 luglio 2013 11:45


6a ARMA: l'idea-forza


«Un'idea, in un uomo somiglia a quella sbar­ra di ferro che gli scultori mettono nell'interno delle statue: essa l'impala e la sostiene.

L'idea è come un'armatura interna. Ci vogliono molti principi? No, non e necessario.

Col crescere nell'età, la nostra vita intellettua­le, subisce un fenomeno di semplificazione, non per un impoverirsi, ma per un coordinarsi. Noi riconduciamo tutto ad alcuni principi direttivi.

I genii ebbero in genere pochi principi, ma li ebbero tanto ricchi che tutto il sistema vi restava energicamente legato e tutti i corollari derivava­no logicamente da quei pochi teoremi.

Dio è l'atto unico d'un pensiero, d'un solo pensiero. Egli è quindi al vertice della semplicità, ma appunto per questo è infinitamente fecondo.

Nel vero scienziato le ricerche che in principio erano soltanto come un mucchio di ghiaia, ven­gono alla fine legate e unificate dal forte cemen­to in un unico blocco.

Allo stesso modo, nel campo morale, bisogna operare la propria sintesi.

I Santi furono spesso gli uomini d'una sola idea, d'una sola massima.

Anche tu, non sovraccaricare la tua vita spiri­tuale! Non sparpagliarti!

I Farisei avevano complicato la vita religiosa, Gesù la semplificò.

I Farisei schiacciavano la buona volontà sotto un mucchio di innumerevoli e minuziose prati­che. Gesù ricondusse tutto a due grandi principi che sono spirito e vita: «Tutta la Legge, diceva, e tutti i profeti si riassumono in questi due coman­damenti: amate Dio con tutto il vostro cuore e il prossimo come voi stessi».

Quanta ricchezza di applicazioni pratiche in queste due regole semplicissime e facilissime a comprendersi!

Sant'Ignazio entra molto bene nello spirito del Vangelo, quando nell'avvertenza, posta pri­ma degli Esercizi, dichiara: «Il nutrimento spiri­tuale di un'anima deve consistere in alcune veri­tà sostanziali, ma poco numerose: Non è affatto l'abbondanza del sapere che nutre l'anima e la rende soddisfatta; bensì il sentimento e il gusto interiore della verità che medita! ».

Non è la varietà di cibi che nutre; tu passi pieno di fame davanti a un magazzino di vivan­de... Ma questo passar davanti nutre poco! Il profitto viene dal scegliere un alimento, anche uno solo, se vuoi, e dall'assimilarlo.

Così cerca di assimilare una sola verità e rinunzia al dilettantismo di voler gustare tutto. Prendere un po' di tutto si riduce a prendere nulla di tutto.

Questo consiglio è soprattutto utile nei mo­menti delle forti tentazioni.

Quando la crisi sta infuriando, quando non è più una scaramuccia, ma un grande assalto che il nemico conduce con colonne serrate, non c'è nè tempo nè modo per moltiplicare le lunghe consi­derazioni. No: un solo principio, rapido, decisivo. Quale?

Non lo so! Dipende dagli individui.

Ognuno ha un'idea preferita, un principio che colpisce di più lui, e lui in quel momento lì.

Le idee-forza più salutari saranno in generale quelle contenute nelle verità terribili della reli­gione.

Sant'Ignazio s'augurava che il puro amore di Dio bastasse a far operare le anime generose. Eppure, il medesimo santo, conoscendo la debolezza umana si credette in dovere di sugge­rire all'uomo tentato il timore.

Ecco le sue parole: « Benchè noi dobbiamo soprattutto desiderare che gli uomini servano Nostro Signore per motivo di puro amore, dob­biamo tuttavia lodare molto il timore della divi­na Maestà. Poichè, non solo il timore filiale è cosa pia e santissima, ma perfino il timore servile, quando l'uomo non sa alzarsi a qualche cosa di meglio e più utile, aiuta molto a uscire dal pec­cato mortale e, quando ne è uscito, arriva facil­mente al timore filiale che è gradito e caro a Dio».

Lo stesso santo ci richiama, nel libro degli Esercizi, alcune di queste austere verità:

Nella meditazione sull'Inferno, ecco come si esprime: «Domanderò di provare il sentimento interiore delle pene che soffrono i dannati, affin­ché, se le colpe mi facessero dimenticare l'amore di Dio, almeno il timore delle pene m'aiuti a non cadere in peccato».

Altra grande verità: il Giudizio. «Considererò con attenzione quali saranno i miei pensieri nel giorno del giudizio... La regola che allora vorrei aver seguita, è quella che seguirò adesso».

L'impurità, questa colpa che ama le tenebre, sarà svelata nel giudizio finale, secondo la profe­zia di Nostro Signore: «Tutto ciò che è nascosto sarà svelato, tutto ciò che è segreto sarà cono­sciuto».

Vuoi tu risparmiarti sia la vergogna del Giu­dizio che la pena dell'Inferno? Evita il peccato. Bisogna sempre ritornare a ciò che è il «prin­cipio e fondamento» della nostra esistenza: «L'uomo è nato per lodare, onorare e servire Nostro Signore e, in questo modo, salvarsi l'ani­ma». Vogliamo agire bene? Domandiamoci quale consiglio noi daremmo a un altro. «Mi rappre­senterò un uomo che non ho mai visto nè cono­sciuto, e desiderandogli tutta la perfezione di cui è capace, esaminerò ciò che gli suggerirei di sce­gliere... poi, dando a me stesso i medesimi consi­gli, farò ciò che gli direi di fare».

Adotta il metodo di sant'Ignazio, quando devi scegliere tra la purezza e l'impurità: metti in due colonne il pro e il contro. Nella colonna del pro puoi mettere il nulla, a meno che tu non voglia contare per qualche cosa il povero piacere delle passioni, questa corta gioia che bisognerà deplo­rare in ogni supposizione, in questo mondo o nell'altro.

Nella colonna del contro nota tutto ciò che perdi: l'amicizia di Dio, la stima degli uomini, la gioia e forse la fede.

Se tanti giovani si allontanano dalla Chiesa, non dipende dal Credo, ma dai dieci Comanda­menti di Dio e, più esattamente, dal 6°. E ora gli elementi sono pronti per fare il bilancio: paragona le due colonne: quella dei vantaggi e quella delle perdite!



Ma, fra tutte le idee-forze, la più impressio­nante certamente sarà quella della morte. «Considererò, come se fossi in punto di mor­te, in che modo e con quale cura vorrei essere vissuto... e regolandomi su ciò che vorrei aver fatto allora, lo farò fedelmente ora».

Non correre, ti supplico, il formidabile rischio d'una morte impreparata!

Quanti uomini trovati morti nel loro letto, al mattino!

Gesù ci ha preavvisati: «Verrò come un la­dro».

Un ladro non è solito, ch'io sappia, mandare un biglietto per avvisare in qual giorno e in quale ora farà la sua onorata visita. Il Maestro ci avverte con tutta lealtà: «Verrò, anch'io, all'improvviso come colui che, di notte, rompe il muro per entrare».

Ora terribile, in cui Dio sorprenderà l'impuro e verrà a prendergli, attraverso il muro del cor­po, l'anima imputridita!

Sia che moriamo all'improvviso o no, in ogni caso, noi moriamo: tu, io, tutti! Quando? Può es­sere fra un anno, può essere fra cinquant'anni.

Cinquant'anni, che cosa sono? Domani!... Orbene, quando saremo sul letto di morte, come vorremmo esser vissuti? Collocàti fra il tempo che finisce e l'eternità che comincia, com­prenderemo che bisogna pesare l'uno a riguardo dell'altra!

È il grande principio di san Luigi Gonzaga, l'angelico patrono della gioventù: «Quid hoc ad aetemitatem? Che cosa mi vale questo per l'eter­nità?».

Era anche questo l'alto punto di vista da cui si mise Tommaso Moro, cancelliere d'Inghilterra, quando fu minacciato di morte da Enrico VIII, se rifiutava di riconoscerlo come capo della Chiesa Anglicana. Disse a se stesso così: «Quanti anni posso vivere ancora? Al massimo vent'anni. E vorrò rischiare l'eternità per questi vent'anni? Se si trattasse di 20.000 anni la pazzia avrebbe almeno un'apparenza e un pretesto, e tuttavia, anche in questo caso, sarei sempre un insensato a sacrificare l'eternità per 20.000 anni.

Egli fu ucciso nella Torre di Londra e perdet­te la vita, per non perdere l'eternità.

Giovane, allettato dalle attrattive della colpa impura, vorrai tu rischiare l'eternità, non per 20.000 anni, ne per 20 anni, ma per 20 minuti (o 20 secondi) di cattiva gioia?



Enrico Bordeaux nel libro Gli occhi che s'aprono, ha scritto questo dialogo impressio­nante:

«- Voi non avete ancora gli occhi aperti! - Io? protestò Filippo.

- Sì la maggior parte degli uomini aprono gli occhi una volta sola.

- Una volta sola?

- Sì, al momento della morte! ».

Come vedremo chiaro in quel momento! Dacchè mondo è mondo, ci fu un uomo solo che abbia deplorato nel momento della morte d'essere stato generoso?

Milioni e milioni di uomini invece hanno de­plorato di non essere stati generosi.

Ormai tutti arrivano alla stessa conclusione: l'unica cosa veramente soda è la religione! Bi­sogna far cose che hanno un valore eterno. Tu stesso arriverai a questa conclusione. Tu lo sai.

Perchè vivere ora in una maniera che tu sai già di deplorare alla fine?

La morte rapirà i gingilli umani, tutti i gingil­li umani, dalla collana fatta di pezzi di vetro della donna selvaggia, fino al diadema dell'imperatri­ce.

Il profeta Isaia enumerava in una sprezzante confusione tutte le frivole cose, che Dio sarebbe venuto a togliere dalle figlie d'Israele: «L'opulen­ta capigliatura delle figlie di Sion, i pendagli delle orecchie, i braccialetti e le sete, i diademi, le catenelle e le cinture, le scatole di profumi, gli anelli delle dita e del naso, le vesti strascicanti e le ampie tuniche, i ricchi mantelli e i veli leggie­ri, e gli specchi, i turbanti, le mantellette... Dio loro porterà via tutti questi tesori, tutti questi gingilli! » (Isaia 3,16-24).

Ciò che il sacro testo dice per le vanità di genere femminile, accadrà anche, o giovani, per le vanità di genere maschile. Nel grande momento della morte, tu, o giova­ne, che conto farai di certe feste, di certi salotti, di certe discoteche?

E tu, o fanciulla, come giudicherai certe sera­te e certi abbigliamenti?



7a ARMA: l'esame particolare.

Durante la guerra noi mantenevamo aggior­nate le nostre carte: posizioni perdute, posizioni riprese; terreno perduto, terreno riconquistato... L'esame di coscienza è questo aggiornare le carte: noi dovremmo avere la stessa gioia, allor­chè guadagnamo le trincee nel combattimento della virtù, la medesima tristezza, quando noi siamo battuti.

Molte pagine di questo libro hanno già indica­to gli elementi di questo esame di coscienza: somiglianza fondamentale di tutti gli uomini e utilità di studiare il cuore umano.

Ma lasciamo, per ora, ciò che si riferisce al­l'esame di coscienza generale e indichiamo il processo dell'esame particolare, ossia concen­trato su un solo problema della nostra vita.

Esso non è un metodo artificiale, ma una disciplina vitale.

Questo metodo è raccomandato sia per l'edu­cazione della volontà, come per la formazione intellettuale anche da pensatori laici, quali per esempio il Payot, di cui riportiamo il consiglio: «Orientare con molta precisione tutti i pensieri verso un unico fine, subordinare le volizioni, i sentimenti, le idee verso una grande idea diret­trice» (in: Education). Bisogna unificarsi.

L'importante è che l'esame particolare corri­sponda davvero al nome di «particolare»; si rivolga, in altre parole, a un' occasione molto concreta: una data relazione, una data lettura, ecc. Bisogna prender di mira le colpe reali.

Mons. De Ségur, ne Il giovane operaio, dice spiritosamente: «Coloro che lasciano in pace i propri veri difetti per combattere a buon mercato i difetti che non hanno, somigliano a Sancio Pancia il quale, in una certa notte si diede la disciplina con molta violenza, ma non sulla schiena, bensì sulla corteccia d'un grosso albero che era vicino. Il povero Don Chisciotte che udiva quei colpi da lontano, piangeva di compas­sione!

Sant'Ignazio aveva orrore delle cose vaporose e voleva che si discendesse alla precisione delle circostanze, anche minutissime.

La volontà temprata in questa lotta, resta ag­guerrita per le altre lotte, e l'energia acquistata diventa applicabile a tutto.

Nella realtà delle cose, quella virtù che si cer­ca più particolarmente non è mai isolata dalle altre virtù. Il tutto è legato ad ogni singolo dal­l'intrecciarsi che fanno certe inestricabili radici. La ragione e l'esperienza vanno d'accordo a provare che nelle anime, avvelenare o risanare un sol punto è un avvelenare o risanare tutto il resto. Un veleno o una medicina introdotti nel sangue, vengono trasportati in tutto il torrente circolatorio. La forte scossa d'un nervo si riper­cuote sull'intiero sistema dell'albero nervoso. Così avviene nell'anima.



[SM=g1740720] 8a ARMA: la mortificazione

Tu sei tentato dal corpo; punisciti nel corpo. Lusingare il corpo è lusingare uno schiavo. Si rivolta. Queste ribellioni devono essere prevenute con l'energica cura della penitenza.

Anzitutto bisogna osservare che il togliere il superfluo non è penitenza, ma temperanza. Non c'è penitenza se non quando si toglie qualche cosa di ciò che si potrebbe prendere convenien­temente; in questo senso, più noi arriviamo a togliere, più la penitenza è grande e lodevole, purchè non arrivi a rovinare le forze e non alteri notevolmente la sanità.

L'Imitazione di Cristo, col suo costante buon senso, ci previene: non è col cedere alla passione, ma col resistere che si finisce per trionfare.

La malattia di cui siamo preoccupati per ora, cioè l'impurità, non si guarisce coll'omeopatìa, ma coll'allopatìa, ossia con un rimedio contrario al male. Il vero rimedio è la mortificazione.

Essa è, secondo la geniale espressione di Luca Miriam, amara come il chinino, ma come lui for­tificante.

La mortificazione è la garanzia della purezza, mentre la sensualità ne è il peggior nemico. Nel giovane immortificato, di fronte allo sfor­zo che suppone la purezza, si verifica una «inet­titudine», una incapacità di sacrificarsi. Colui che è reso insipido dai godimenti, soprasaturato di leccornie e dolciumi, ha un corpo «cattivo conduttore» della rinuncia.

Invece, il giovane severo con se stesso ha un corpo «buon conduttore» del sacrificio.

Questo principio è molto ben compreso da quei giovani che, nei momenti in cui la carne si ribella, le infliggono qualche dolore, per esempio un pizzicotto, una posizione scomoda.

Altri (e non sono rari) m'hanno confidato che s'erano interdetto il fumare durante tutta la qua­resima.

Un giovane generoso trova facilmente occa­sioni per riportar vittoria su se stesso. Per esem­pio: non difendersi quando lo si potrebbe; sop­portare con pazienza le molestie di un fratello, di una sorella, di un amico, o un rimprovero del pa­dre che lo umilia davanti agli altri; studiare con speciale diligenza una materia antipatica; aste­nersi da una lettura preferita; non cedere alla curiosità; aspettare a bere quando si ha sete; im­porsi una privazione a tavola. Questa privazione, in generale, non deve consistere nella quantità (cosa che sarebbe dannosa nel periodo della cre­scita) ma piuttosto nella qualità. Non morrai certo per aver preso una vivanda poco condita, caffè poco zuccherato, un dolce di meno, l'aran­cio meno bello, un po' meno di frutta, ecc.. Ci vuole spesso più padronanza di sè per prendere solamente un poco, che non per prendere niente del tutto.

Luca Miriam, che conosce a fondo i giovani, suggerisce altre mortificazioni:

«Non lamentarti per le intemperie della sta­gione; resisti per qualche tempo senza appog­giarti alla sedia o al banco; tienti ben dritto, stu­dia senza appoggiare i gomiti e reggere la testa, gioca con molta energia; non perdere la pazien­za. Se vuoi andare un poco più in là, recita alla sera una o due decine del rosario stando in ginocchio con le braccia in croce; bacia la terra secondo il pio costume dei santi». Prevengo le tue esclamazioni:

- «Oh! là, là! perchè non mi suggerite addi­rittura il cilicio? Fra poco mi proporrete d'imita­re la vita di san Giovanni della Croce! Andiamo, via, non sono un monaco! Il vostro libro è rivol­to ai giovani e non ai certosini».

- Mio caro giovane, calma il tuo bello sdegno. Dimmi: credi forse che soltanto il monaco e il certosino siano tenuti a osservare la purezza? Non t'ha colpito, nel leggere la vita dei santi, che tutti, assolutamente tutti, sono stati severi con se stessi?

San Paolo lo confessa apertamente: «Tratto duramente il mio corpo per tenerlo in servitù». E altrove: «Porto nelle mie membra le stigmate di Gesù Cristo; compio in me, ciò che manca alla sua passione e sono crocifisso con Lui! ».

Dopo l'insegnamento dei santi, e d'un santo come Paolo Apostolo, ricorda quello dello stesso Maestro divino: «Il regno dei cieli soffre violen­za, e solo gli energici lo conquistano... Bisogna portar la propria croce... La strada è stretta... Chi non rinunzia a quanto possiede non può essere mio discepolo... Se qualcuno vuol venire dietro a me rinunzi a se stesso».

Osserva quella parola: «se stesso». La vera mortificazione deve essere in noi, non deve con­sistere nel sacrificare la frutta, un dolciume, un po' di denaro; tutto questo è fuori di noi. Dobbiamo saper immolare noi stessi.

San Gregorio il Grande l'ha detto in modo insuperabile: «Gesù prima disse che dobbiamo rinunziare alle nostre cose, poi disse che dobbia­mo rinunziare a noi stessi. Non è molto difficile abbadonare i propri beni; è difficilissimo inve­ce abbandonare se stessi. Non è gran che, lascia­re ciò che si ha; è molto invece lasciare ciò che si è».



Ma ora bisogna che ti faccia comprendere una grande verità: Dio non consiglia mai il negativo per il nega­tivo. Ciò che chiamiamo «mortificazione», in realtà vivifica, cioè porta ad accrescere la vita. Non cerchiamo il dolore per il dolore, ma lo cer­chiamo come mezzo per ottenere un fine positi­vo e superiore.

La mortificazione purifica, tonifica l'animo, è un esercizio virile della volontà, costituisce un atto pratico di fede, d'amor di Dio, una volonta­ria imitazione di Gesù Cristo. È non soltanto la contraddizione, ma il contrario, cioè l'opposto di ciò che suggerisce la passione. Dice il Padre Wuillermet: «La mortificazione non uccide in noi i principi di vita, ma i germi di morte».

Il vile considera la mortificazione come una cosa da fuggire.

Il generoso invece sa quanto la mortificazione allarga e nobilita l'anima.

Egli arriva ad acquistare una tal piega di generosità, che fra due possibilità, sceglie sem­pre coraggiosamente la più difficile!



9a ARMA: la modestia

La modestia non è precisamente la purezza, ma ne è la custode e un elemento di difesa.

Il Padre Ledochowscki scrive: « La modestia è la corteccia che protegge il midollo nascosto, è la custode e la protettrice della purezza».

S. Gregorio Nazianzeno usa un'immagine molto simile: «La modestia protegge la purezza, come la buccia protegge il frutto».

Non è un caso raro che una cosa accidentale salvi la cosa essenziale!



Vigila in modo specialissimo sulla modestia degli occhi.

Sai purtroppo quale licenza oggi domina nei giornali, nella televisione, in internet!

Medita le parole del profeta Geremia: «La morte è salita a me per le finestre». Certamente il profeta parlava della morte fisi­ca e delle finestre materiali, e voleva dire: quan­do verrà il castigo di Gerusalemme, la morte entrerà nelle case passando dalle finestre.

I padri della Chiesa però e i maestri di spirito applicano questa frase molto giustamente alla morte spirituale: essa entra nell'anima per quel­le finestre che sono gli occhi.



10a ARMA: il voto

Alcuni giovani trovano utile fare un voto per un periodo determinato o per un giorno solo, o anche per una sola occasione.

Il voto può essere, per esempio, di non più esporsi a quel dato pericolo.

È questa una misura radicale, alla quale però non conviene ricorrere troppo spesso, e in ogni caso, sempre dopo il consiglio del confessore. Il voto taglia corto a ogni tergiversazione e alle richieste della passione la quale, spesso, insiste perchè vede la nostra indecisione e spera di riu­scire. Un voto ha il vantaggio di mettere, in una coscienza retta, un elemento irrevocabile.


Caterina63
00lunedì 1 luglio 2013 11:49


11a ARMA: la presenza di Dio

Cerca di penetrare questo concetto: «Dio mi vede».


Se mio padre, mia madre fossero lì, vicinissi­mi, e inchiodassero i loro occhi su me... Ebbene! Dio è lì; non lontano, ma vicinissimo. «Non è lontano da ciascuno di noi»; diceva san Paolo. Egli ti vede sempre! E mentre ti vede, tu avrai il coraggio d'abban­donarti all'impurità?



12 a ARMA: Il ricorso al concreto


Tieni stretta in mano una medaglia, o una croce. Questo non sarà soltanto un aiuto, ma ser­virà (se più tardi ti venisse il dubbio di non aver resistito) come una prova che t'assicuri che non hai ceduto. Sarà una prova non assoluta, ma d'una seria probabilità.

Sembra infatti che uno non acconsenta piena­mente al male con la volontà mentre stringe fra le sue mani, con affetto, un oggetto pio.

Tieni vicino a te un'immagine sacra, per esempio della Sindone o del Santo Volto.

E perchè, mi domanderai, tutti questi mezzi? Perchè la tentazione impura è una tentazione eminentemente «sensibile»: essa invade la tua memoria, la tua immaginazione, i tuoi sensi.

Non accontentarti di richiamar l'idea del dovere, quando sei tentato a commettere la colpa della carne. Sarebbe un opporre l'astratto al con­creto, il pensiero alla sensibilità.

Sforzati invece d'opporre il concreto al con­creto, il sensibile al sensibile.

Recita il rosario facendo scorrere i grani della corona: in questo modo non è più solo un con­cetto, ma un'azione. Fa' il segno della Croce, preferibilmente con l'acqua santa.

Torno a ripetere che questo atto non è più sol­tanto un'azione ragionante, ma un gesto di protesta esterna, un gesto vincitore, di cui sant'An­tonio afferma, dopo fatta l'esperienza, che mette in fuga il demonio.

Credo che tu non vorrai obiettarmi che il fare un segno di Croce sia una cosa complicata. Orbene, «In hoc signo vinces!».

Se non puoi ricorrere a una cosa concreta consistente in qualche pio oggetto, ricorri alme­no a un concreto profano che serva come devia­tivo. Ti trovi in piena crisi di tentazione? Ebbene, mettiti a conversare, sfoglia un album interes­sante, leggi, cambia posizione, cammina, fa' un viaggio se puoi, canta, occupati d'un pensiero molto allegro o molto ridicolo, d'un bello scher­zo da giocare a qualcuno...

L'esperienza ci dimostra che spesso basta «tagliare» così la tentazione, perchè non torni più.



13a ARMA: volare per non strisciare

Coltivate in voi la nobiltà dell'anima. Essa è una preparazione alla virtù; essa v'im­pedirà di cadere nei bassifondi della vergogna. Come?

Così: Colui che è volgare si trova esposto ad amare la volgarità, di qualunque genere essa sia, per esempio la volgarità del vizio.

Noi non siamo costruiti come certe navi moderne: non abbiamo i compartimenti stagni, non abbiamo, cioè, in noi delle parti interamen­te separate e indipendenti dall'insieme. Tutta la nostra struttura morale è legata alla legge della solidarietà: tutti per uno, uno per tutti.

Ricordate la legge fisica detta della trasmis­sione del suono e delle vibrazioni molecolari? Come in un corpo sonoro ogni molecola vibra e trasmette il suono, così nel cuore umano la più piccola risonanza tende a propagarsi, e i movi­menti ondulatori invadono, poco alla volta, tutto l'insieme. Perciò chi è volgare in qualche cosa si aspetti di vedere la sua volgarità diffondersi in tutto il suo essere morale.

La nobiltà spirituale è anch'essa diffusiva, per cui chi la possiede si sentirà portato a coltivarla sotto tutte le forme, compresa la forma della virtù.

Racconta la leggenda che Michelangelo, dovendo dipingere la volta della Cappella Sistina, aveva acquistata una tale abitudine di tener gli occhi in alto. che non sapeva più quasi guardare in basso. Questa è leggenda; ma è sto­ria invece quella del giovane abituato a contem­plare le cose alte e nobili. Egli non sarà tentato d'abbassare gli occhi sopra le grossolanità del vizio; o se pur sarà tentato gli avverrà in grado molto ridotto. Anch'egli avrà momenti di sorpre­sa, ma i suoi inganni saranno rari passi falsi sopra le vette o sulle grandi strade e non saran­no mai rovinose cadute nei pantani del peccato.

Chi ha nobiltà d'animo è un abituato a con­durre vita grande nel senso spirituale e a vivere di bellezza. Egli ha finalmente capito che la vita senza virtù è una vita dimezzata, mutilata. Una vita, direi, mancina. Ha capito che l'uomo non e, è vero, un puro spirito, ma che però ha uno spi­rito e non già una volgare collezione di viscere localizzate nella gabbia toracica o nell'addome.

Se questo è volare, cioè badare all'ideale, l'im­purità è precisamente il suo opposto: è strisciare. L'ideale consiste in questo: tendere all'alto. Il vizio consiste in questo: tendere in basso. L'ideale è una vetta. Il vizio è un pantano.

La vita consiste nel salire e non nel discendere. Essere impuro è discendere, è un cercare una grossolana volgarità, a cui terrà dietro una gros­solana stanchezza.

Vi sono due specie di fiamme, corrispondenti a due specie di giovani: i puri... e gli altri!

La fiamma degli ... altri è una fiamma bassa e fumosa per gli smodati desideri; è una fiamma alimentata da materie in putrefazione.

La fiamma dei puri è una fiamma chiara e dritta; che sale verso le stelle!

Maurice Blondel scrisse nella sua biografia di Ollé-Laprune: «Non perdette mai la verginità del cuore. Così con la purezza della neve e con la purezza della fiamma sapeva mettere insieme la purezza con la carità; l'entusiasmo con la calma profonda».

Amico, sforzati d'avere un cuore molto gran­de, non un cuore piccino e tutto rattrappito nel­l'egoismo del vivere terra terra.

Crea in te, nel senso migliore della frase, un'anima principesca. Non t'insudiciare nella volgarità, mentre puoi vivere nell'aristocrazia dei sentimenti e della virtù. Sii nobile: nobile nei gusti, nelle letture. nelle preoccupazioni intellet­tuali, nell'estro artistico, nella scelta degli amici. Perfino nel parlare, nel modo di vestire, nella mobilia della tua camera: perchè l'uomo dipende molto dal quadro in cui vive. Tu sei nell'età in cui bisogna prendere posizione e gettar radici nella vita. Gli altri gettano le radici nelle cose volgari; tu gettale nel bello, nel nobile. Sì, nel nobile che è Dio!

Non ti spaventare e non temere d'essere tac­ciato di idealista. L'ideale, quando è sano, non è mai troppo: ce ne vuol tanto per sollevare la pesante creta umana!

Non credere neppure a coloro i quali dicono che l'ideale è un nome vano, il sogno del poeta che dimentica il mondo reale per volare nell'az­zurro, come se avesse le ali e non avesse i piedi. Il loro caporione si chiama Èmil Zola, che rideva delle «capriole nell'azzurro» per avvoltolarsi nel fango!

Ascolta: l'ideale è più vero che non la stessa realtà; perchè l'ideale è la realtà purificata da ciò che la rende piccola.

L'ideale è l'essere senza diminuzione, il bello tutto bello, perchè tutto perfetto.

Non ridere, non chiamare questo un parados­so. Odi invece come lo spiega l'Eymieu: «L'ideale è essenzialmente vero perchè non presenta alcuna contraddizione, perchè tutti i suoi elementi sono presi dalla realtà. Quando ti accade di incontrare un essere di carne e ossa che si accosta a questo ideale, tu esclami: «Ecco un uomo! questo è veramente un uomo! ».

Esiste un ideale del giovane, della fanciulla, del padre di famiglia e della madre, del magistra­to, dello statista, del generale, ecc., e quanto più gli uomini si accostano a bale loro ideale tanto più sono veri magistrati, veri padri ecc., per la semplicissima ragione che la verità d'un essere si trova nella sua conformità col modello.

L'ideale è, dunque, non soltanto verità, ma verità nel suo massimo grado: i matematici direbbero la verità-limite, verso cui deve tendere ogni essere nel suo sviluppo.



14a ARMA: fare per non putrefare

Leggo in un libro di Luca Miriam, Le anime libere, questo piccolo discorso matematico sopra lo zelo:

l° Non essere tu il punto di una circonferen­za, ma un centro;

2° Non essere un addendo di una addizione, ma un fattore d'una moltiplicazione: non 5+3=8, ma 5 x3=15. In altre parole: punta al massimo!

Non cercare troppo lontano le occasioni: le troverai certamente nella tua famiglia o fra i tuoi compagni. Così potrai invitare a passeggio un amico abbandonato, offrire una ripetizione a un altro che è indietro in qualche studio, tenere alle­gro un amico che è addolorato.

Ha scritto Paolo Verlaine: «Andate!... Niente di meglio per un'anima che il rendere un'altra anima meno triste».

Impégnati in una conferenza di S. Vincenzo de' Paoli, e così, secondo la bella frase di Federico Ozanam, il fondatore, «tu metterai la tua castità al riparo della tua carità». Tutto ciò che si dà alle opere buone è sottratto alla concu­piscenza.

Va' dai poveri. Non dire la vecchia frase: «Ora non ci sono più poveri...». Ve ne sono di meno, p vero; ma è ridicolo dire che non ce ne sono affatto.

Del resto la povertà temporale non è la sola, nè la più grande.

Gli operai hanno ora pane bianco, ma spesso lo mangiano nell'odio e nella rivolta. E poi, tu lo sai, l'uomo non vive di solo pane. Chi non ha reli­gione resta sempre tanto miserabile! Così la povertà non ha fatto altro che cambiare d'aspet­to e, mentre si va ripetendo: «Non abbiamo più poveri», noi li contiamo a migliaia e migliaia.

Non bisogna che tu pensi a una sola forma d'elemosina, l'elemosina del denaro. Tu devi vol­gere il pensiero ad altre manifestazioni di elemo­sine: quella della bontà, del sorriso, della conso­lazione ai malati, di un buon consiglio a chi è incerto.

Se tu mi dici che forse queste opere non fanno del bene ad alcuno, io son disposto provvisoriamente a darti ragione; ma subito soggiungo: «Esse faranno del bene a te».

Esse t'insegneranno il sacrificio.

Sì, io ti auguro cordialmente che nelle opere che fai debba soffrire un poco. E questo non potrà mancare. Dovrai pagare col tuo tempo, col tuo denaro, con la tua persona. Di più (te lo dico per risparmiarti troppe meraviglie): ogni opera umana è accompagnata da miserie umane: malintesi, suscettibilità, freddezze, gelosie, soprattutto ingra­titudini.

Questi sono i piccoli aspetti di grandi cose. I vili si scoraggiano; i generosi lavorano con disin­teresse per il Signore solo: che «è fedele», dice san Paolo.

Se tu lavori per ottenere la gratitudine degli uomini, ti compiango sinceramente.

Ti auguro, dunque, di patire nelle tue opere di bene, perchè noi ci attacchiamo spesso a una cosa in proporzione di quanto essa ci costa, men­tre ci disinteressiamo di una cosa in cui non è entrato il nostro sforzo personale.

Tu, adunque, ti spenderai per una bella causa; volgerai in alto il tuo amore per non volgerlo in basso.

Se impiegherai in modo magnifico la tua gio­vinezza, ti avvierai ad abbracciare un magnifico impegno per tutta la tua vita. L'ha scritto un grande romanziere cattolico, Paolo Bourget: «La nostra giovinezza! quest'epoca d'impegno mora­le che formerà la base del nostro carattere per tutta la vita! ». Le opere buone ti impediranno di essere un egoista..

Vi sono dei giovani la cui esistenza stupida e insipida fa pensare a queste parole dell'Ec­clesiaste: «Vi sono alcuni che lasciarono un nome e dei quali si possono tessere le lodi; vi sono altri di cui non c'è più ricordo, che perirono come se mai fossero esistiti, che furono come se giammai fossero nati».

Un celebre poeta, Alfredo de Musset, ha tra­dotto esattamente questo passo scritturale, dicendo d'una frivola ragazza: «è morta e non è vissuta: faceva finta di vivere! ».

Tu non devi vegetare, ma devi vivere. Vivere veramente e non accontentarti di un'apparenza di vita!

Osserva bene che la questione non è affatto di sapere se tu hai fatto qualche cosa, ma se tu fai tutto ciò che puoi.

Ascoltatele parole di Leone Daudet: « L'uomo ignora i tre quarti delle proprie risorse e muore senza averle impiegate. Noi rassomigliamo a un agricoltore che vive sopra un ettaro di campo coltivato e abbandona cinquecento ettari alle ortiche».

Senti anche il pensiero d'un americano, William James: «Gli uomini collocano molto al di qua della loro forza reale i confini della loro attività».

Questo rimpicciolirsi... Evitalo! non essere un diminutivo di uomo!... ma sii un uomo di cui si possa dire: è un uomo vero! Non hai mai osservato che l'umanità conta molto pochi umani?

Molte teste vuote e molte parrucche, ma poche donne!

Molti pappagalli e molti avvoltoi, ma pochi uomini!

Mio Dio, quanto bene c'è da fare in questi tempi!

Osserva le opere sociali, le conferenze, gli ora­tori, le opere di preservazione, di istruzione, i catechismi, i Circoli, ecc.

L'apostolato dei laici a favore dei laici è qual­che volta il più efficace. Il sacerdote non potreb­be entrare in certi ambienti; ispira diffidenza, e la vivente lezione sacerdotale spaventa troppo direttamente. Non è raro il caso che il consiglio d'un uomo di mondo, d'un uomo come tutti gli altri, faccia più impressione. Sii un apostolo!

Quando un uomo ha salvato un altro uomo da un incendio o da un precipizio, viene chiamato un eroe, un salvatore.

Certamente Iddio può salvare le anime senza di noi ma, nell'ordine attuale della Provvidenza, la Causa prima si serve delle cause seconde, e Dio ha voluto che l'uomo sia salvato dall'uomo.

«Chiunque invocherà il nome del Signore» scri­ve san Paolo «sarà salvo. Ma come potrà essere invocato Colui in cui non si crede? E come si crede­rà in Colui di cui non si è udito parlare? E come si udrà parlare, se non vi è chi glielo annunci?».

Entra dunque decisamente nelle opere carita­tive cristiane.

Tu hai quindici anni, amico. Sulla scena del mondo tu hai il dovere d'essere un attore e non un fantoccio da Pulcinella, la cui comparsa e scomparsa, senza conseguenze, richiama a memoria l'ingenua canzone: Le marionette fanno, fanno, fanno Tre piccoli giretti e poi sen vanno! Ohimè! Quante ne conosciamo di queste marionette!



Non soltanto datti alle opere buone ma, se sei studente, attendi allo studio.

Lo studio è un potente aiuto per osservare la virtù. Mentre i giovani, colpiti dal vizio, perdono l'affetto allo studio.

Andate un po' a parlare di logaritmi o di greco a chi è stato preso coll'esca impura!

D'altronde è un fatto sicuro: il vizio produce un contraccolpo sulla memoria e sull'intelligen­za. È fatale!

Michelangelo raccomandava la continenza agli artisti, e diceva: «La pittura è tanto gelosa che non vuole affatto rivali». Suvvia, amico! ama le caste delizie dello spiri­to!



Vicino allo studio obbligatorio nelle scuole o nell'Università, metti lo studio personale.

I giovani agitano più idee in dieci minuti, che non ne agitino in tutta una sera quei signori che io conosco come frequentatori dei ritrovi in cui abita la noia. Beata giovinezza!

Ah! quei cuori di quindici anni! Come traboccano di desideri immensi!

Cuori ingenui e puerili, sotto certi aspetti. Ma cuori tanto profondi e tanto gravi sotto altri aspetti! Non hanno più l'egoismo del fanciullo, e non hanno ancora i calcoli e le complessità del­l'uomo. In essi zampilla una sorgente che vuole espandersi per il mondo, il più lontano che sia possibile.

Le sventure che ci affliggono: povertà, ostaco­li, rovine, pericoli... a loro servono soltanto per esaltare il coraggio. Hanno tutta la vita davanti e invece di temere la morte, sono pronti a sfidarla con un sorriso, purchè sia una morte bella! Adolescenti!

Chi non comprende la vostra anima e segno che non ha mai avuto quindici anni!

La gente non vi conosce: perchè vede che voi qualche volta giocate come piccoli bambini e non sa che, un minuto dopo, sareste capaci di dare ciò che avete di più caro al mondo, per amore di Dio e del vostro prossimo!



[SM=g1740717] [SM=g1740720] 15a ARMA: l'aiuto del medico

Nelle tentazioni impure i fenomeni non sono soltanto psicologici ma sono fisiologici.

Poichè in quelle tentazioni è in gioco l'anima, bisogna ricorrere al sacerdote.

Ma poichè c'è in gioco anche il corpo bisogna, spesso, ricorrere al medico.

Il medico potrà, secondo i casi, tentare diffe­renti rimedi palliativi, ma potrà anche indicare come bisogna curare certe malattie.

È importante che venga consultato un medico coscienzioso, tale cioè da unire alla sicurezza dei principi morali il tatto richiesto per una cura fisiologico-psicologica.

Converrebbe che in ogni regione fosse noto il nome e l'indirizzo di quei medici che uniscono queste due qualità, per servizio doi giovani biso­gnosi.



16a ARMA: il timore delle malattie

L'abbiamo già detto: uno non muore perchè si conserva puro.

Ma aggiungiamo subito: uno può morire per­chè non si conserva puro.

Scrive il dottor Edmondo Perrier: «Questo vizio della giovinezza è un'immensa rovina per coloro che vi si abbandonano. Fra tutte le cause capaci di accorciare la vita, non ne conosco alcu­na che abbia, come l'impurità, un'azione più distruttiva e che riunisca in se stessa in un grado più alto le proprietà antivitali».

Lacordaire, questo grande conoscitore di gio­vani, afferma: «Non avete mai incontrato certi

individui che, nel fiore dell'età, appena coronati dai segni della virilità sono omai avvizziti dal tempo... che, con una fronte solcata da rughe precoci trascinano un'esistenza cadente?... Chi ha colpito quel fanciullo? chi gli ha rubata la fre­schezza degli anni? Il senso depravato».

Queste citazioni non fanno altro che com­mentare il detto di san Paolo: «Voi avete abban­donato le vostre membra all'impurità... La fine di queste cose è la morte» (ai Romani 6,19).



L'impurità guasta la salute anche in un modo indiretto, con l'agire fortemente sul morale. Essa porta con sè numerosi inconvenienti psi­chici. Quali?

Il grande moralista padre Vermeersch ne indica alcuni: «Effetti psicologici frequentissimi accom­pagnano o seguono questo vizio: melanconie, ri­cerca della solitudine e, soprattutto, nevrastenia».

Padre Gemelli descrive molto bene questa diminuzione morale che l'adolescente prova davanti ai propri occhi, dopo la colpa. Egli crede che tutti la conoscano; s'immagina che il padre e la madre quando l'abbracciano stiano per scopri­re in lui qualche cosa di nuovo e leggano, per dir così la verità scritta in fronte».



Ma possiamo andare più avanti e affermare che l'impurità rovina la salute?

Qui, come sempre, bisogna soprattutto essere leali. Sono degni di biasimo coloro che inventas­sero danni inesistenti, oppure esagerassero i danni reali, allo scopo di trattenere i giovani più efficacemente col timore, nella via del dovere. Questa cosa è indegna.

Non bisogna mai servire la verità con la men­zogna: «Il fine non giustifica i mezzi». Rispondiamo sinceramente alla domanda: il vizio compromette la salute?

Diciamo anzitutto che le malattie che colpi­scono il vizio impuro sono terribili, si possono prendere molto facilmente, e su questo punto tutti i medici sono d'accordo.

Ma tralasciamo di esporre il parere dei medi­ci e aggiungiamo invece che se il timore delle malattie può essere un mezzo serio per conser­varsi puro, esso è sempre solo un mezzo sussi­diario; il principale deve consistere nel dovere morale.

Non confondiamo per carità una questione morale con una precauzione d'igiene.

La salute non è la virtù.

Anche quando si fosse sicuri di non prendere alcuna malattia, o di guarire certamente, reste­rebbe sempre la legge di natura e di Dio, la san­zione che Dio ha pronunciato contro chi vìola l'ordine morale. Non si può sostituire il timore dell'Inferno col timore dell'ospedale; non si può sostituire un rimedio di farmacia al Vangelo!



17a ARMA: la volontà

Siamo in un' epoca di mollezza e di comodità, un'epoca in cui i giovani, per evitare la fatica di camminare cento metri, spendono un euro di tram e prendono l'ascensore per non fare 40 gra­dini. Mai quindi come ora è urgente richiamare l'importanza della volontà.

Una solida struttura di carattere e un'educa­zione generale della volontà: questo dovrebbe essere lo scopo di chiunque intende formare i giovani.

Che volete che ne facciamo di tutti quegli abulici, di quei pallidi giovani che pare abbiano un sangue senza globuli rossi, con soli leucociti?

Saranno mai dei lottatori, mentre la purezza è una lotta e quindi domanda lottatori?



Consideriamo per un istante il tema delle let­ture, dal punto di vista tutto speciale che ora ci preme: la volontà.

Leggi la vita degli uomini energici, dei santi! Tùffati nel loro magnetismo o, come si direbbe in fisica, nel loro campo d'induzione!

I nostri sforzi personali non bastano sempre per fortificarci il carattere; allora dobbiamo sup­plire con l'esempio degli altri. Oltre all'auto-suggestione, pratichiamo l'ete­ro-suggestione!



Giovani, ricordatevi due parole profonde: la prima, che il grande Bossuet disse quando termi­nò l'educazione del principe di Borgogna: «Tutto quello che io ho voluto ottenere è questo: render­mi inutile! "La seconda, che scrisse il Dupanloup alla fine d'un libro educativo: «Ciò che il maestro fa è nulla; ciò che fa fare è tutto!".

Ecco la nostra parte di educatori: noi ci sfor­ziamo d'insegnarvi a combattere da voi stessi. Da voi stessi, capite? poichè presto non vi saremo più vicini per aiutarvi.

Da voi stessi, perchè, al tirar dei conti, ciascu­no si salva da sè!

Non sono i vostri educatori che vi salvano. Essi vi indicano la strada, e sono, per così dire, altrettanti pali indicatori sulla strada che condu­ce al Cielo. Ma a che serve il miglior palo indica­tore se poi il viaggiatore non ha il coraggio di camminare per quella strada? Il palo indica, ma non cammina al posto del viaggiatore.

Non vi salvano nè la Vergine Maria, nè i Santi. Essi vi invitano al bene, ma non vi sforzano. So­no magnifici trascinatori, ma se voi non li volete seguire a che servono?

Non vi salva neppure Dio, perchè «Quel Dio che ti ha creato senza di te, non ti salverà senza di te» dice Sant'Agostino.

I superiori e i maestri possono raccomandar­vi ed anche indicarvi la virtù ma, in fin dei conti, siete voi che dovete praticarla. Praticate il bene voi stessi!

La virtù non è fuori di noi, ma dentro di noi; non è estrinseca, ma intrinseca. Che cosa vuol dire?

Vuol dire che per proteggere la purezza non basta limitarsi a prendere delle precauzioni esterne e sopprimere così le occasioni pericolose. Fare così è seguire un'elementare sapienza.

Ma osservate che noi portiamo dentro di noi la radice della nostra generosità e della nostra viltà: «Omnia munda mundis» dice san Paolo: «Tutto è puro per coloro che son puri, ma per co­loro che non sono puri niente è puro» (Lettera a Tito 1,15).

Il giovane debole può cadere tanto vivendo nella più pia famiglia come nel più virtuoso ambiente.

Al contrario un giovane forte può rimanere puro vivendo nel più deleterio ambiente, perché ha capìto bene i concetti di dovere, di peccato mortale; e ha solide convinzioni sul Paradiso e sull'Inferno. E sull'amore che Gesù porta alle nostre anime immortali.

Nella vita del padre Ravignan si parla d'una giovane attrice che passò parecchi anni nel tea­tro rimanendo pura come un giglio. Collocata per forza delle circostanze in condizioni così po­co favorevoli alla virtù, si era sforzata con la vo­lontà e con la preghiera di non cedere mai alle tentazioni che l'assediavano e ci riuscì.



Riassumiamo quanto abbiamo detto: la vittoria non consiste nel fatto estrinseco e negativo di non

essere tentati (questo, purtroppo, è impossibile!), ma nel fatto intrinseco e positivo di possedere in noi stessi una sorgente di valore cristiano.

Gli eserciti schierati a difesa al di fuori delle mura non serviranno a niente se non c'è all'inter­no una volontà potente e risoluta di combattere e di trionfare!

Insomma, ogni uomo è, con Dio, l'autore della propria virtù!



Il trionfo

Diceva il generale Foch quando invitava i sol­dati alla battaglia: «Li vinceremo! ».

Sulla statua del fante che sorge a Metz fu scritto: « Li abbiamo vinti! ».

Anche la storia della tua guerra, contro le pas­sioni deve cominciare così: «Le vincerò! ». E deve finire così: «Le ho vinte! ». Giorno radioso dei vincitori.

Pensa ai soldati quando tornavano dal fronte: avevano combattuto, avevano sanguinato. Ma come dimenticavano tutto nell'apoteosi del ritor­no e sotto l'uragano delle acclamazioni!

Giovane puro, eroico soldato della purezza, anche tu sei un vincitore! Chi trionfa di se stesso è più coraggioso di colui che prende d'assalto una trincea.

Dolce adolescente, tanto delicato, come sei stato coraggioso!

Orazio, nella sua arte poetica, enumera i sacrifici che fa fare la speranza d'un trionfo nei grandi giuochi: «Chi si sforza di raggiungere con la corsa la mèta, oggetto dei suoi desideri, s'è sottoposto sin da fanciullo a duri sforzi, ha sopportato molte fatiche; ha sopportato il caldo e il freddo; s'è astenuto dai piaceri e dal vino».

San Paolo riprende quell'immagine e la svi­luppa per spingere i concorrenti non d'una coro­na mortale ma d'una corona eterna.

«Non lo sapete voi? Nelle corse dello stadio, tutti corrono, ma un solo conquista il premio. Correte anche voi cosi, per vincere. Chi vuol vin­cere si astiene da ogni cosa: quelli là per una corona che marcisce; noi per una corona che non marcisce! » (i Cor. 9,23).

E prosegue: «Non è ch'io abbia già guadagna­to il premio o che abbia raggiunta la perfezione, ma io continuo la mia corsa per sforzarmi di rag­giungere il premio, perché anch'io sono stato conquistato da Cristo Gesù! Per me, fratelli, non penso d'aver già compita la conquista. Una sola cosa faccio: dimentico ciò che ho fatto e mi pro­tendo tutto intero verso quello che mi resta da fare, e corro così alla mèta, per guadagnare il premio» (lettera ai Filippesi ,3,13).

Perché sono persuasissimo che i dolori del tempo presente non hanno proporzione con la gloria che mi aspetta in Cristo Gesù!» (ai Romani 8,18).

Se tu combatti il buon «combattimento per la purezza» questa sarà la conclusione anche per te, giovane e generoso amico caro!

[SM=g1740771] Buona lettura

Caterina63
00venerdì 14 novembre 2014 16:13

  Cosa serve per educare un figlio? Di certo non le prediche. I consigli di sant’Ambrogio e sant’Ignazio di Antiochia


Novembre 14, 2014 Giovanni Fighera


 

 


sant-ambrogioDevo ringraziare una mia studentessa che nel diario, poco tempo fa, ha trascritto il consiglio che il grande sant’Ambrogio, vescovo di Milano, offre a tutti i papà e le mamme. Sono rimasto impressionato dalla bellezza e dall’essenzialità del suo pensiero tanto che l’ho fatto conoscere a tanti che hanno condiviso le mie impressioni. È davvero liberante, perché permette di sbarazzarsi del troppo e del vano, per usare un’espressione dantesca. Consente di andare al cuore della questione e di affidarsi. Qui sta la vera possibilità di libertà e di letizia anche di fronte alla preoccupazione per l’educazione dei figli.


Sentiamo allora sant’Ambrogio:



«L’educazione dei figli è impresa per adulti disposti ad una dedizione che dimentica se stessa: ne sono capaci marito e moglie che si amano abbastanza da non mendicare altrove l’affetto necessario.


Il bene dei vostri figli sarà quello che sceglieranno: non sognate per loro i vostri desideri. Basterà che sappiano amare il bene e guardarsi dal male e che abbiano in orrore la menzogna. Non pretendete dunque di disegnare il loro futuro; siate fieri piuttosto che vadano incontro al domani con slancio anche quando sembrerà che si dimentichino di voi.


Non incoraggiate ingenue fantasie di grandezza, ma se Dio li chiama a qualcosa di bello e di grande, non siate voi la zavorra che impedisce di volare. Non arrogatevi il diritto di prendere decisioni al loro posto, ma aiutateli a capire che decidere bisogna, e non si spaventino se ciò che amano richiede fatica e fa qualche volta soffrire: è insopportabile una vita vissuta per niente.


Più dei vostri consigli li aiuterà la stima che hanno di voi e la stima che voi avete di loro; più di mille raccomandazioni soffocanti, saranno aiutati dai gesti che videro in casa: gli affetti semplici, certi ed espressi con pudore, la stima vicendevole, il senso della misura, il dominio delle passioni, il gusto per le cose belle e l’arte, la forza anche di sorridere. E tutti i discorsi sulla carità non mi insegneranno di più del gesto di mia madre che fa posto in casa per un vagabondo affamato: e non trovo gesto migliore per dire la fierezza di essere uomo di quando mio padre si fece avanti a prendere le difese di un uomo ingiustamente accusato.


I vostri figli abitino la vostra casa con quel sano trovarsi bene che ti mette a tuo agio e ti incoraggia anche ad uscire di casa, perché ti mette dentro la fiducia in Dio e il gusto di vivere bene».


(Sette dialoghi con Ambrogio)

Aggiungiamo quanto scriveva sant’Ignazio di Antiochia: «Si educa molto con quel che si diceancor più con quel che si fa, ma molto di più con quel che si è». Non sono le prediche a muovere gli altri. Può bastare un discorso per convincere un uomo, per sfrondare tutte le paure, per suscitare un impavido desiderio di giungere quanto prima alla meta? Forse, tutti noi capiamo che le parole sono insufficienti, di fronte alle difficoltà della vita, ma, poi, spesso ci accontentiamo di fare prediche, di tenere discorsi e ci stupiamo se l’interlocutore non apprende subito la lezione e non si muove.

Nei primi tre canti dell’Inferno Dante presenta la sua geniale pedagogia. Alla fine del canto II, dopo che Virgilio lo rassicura con il racconto delle tre donne benedette che nel Cielo si sono mosse per la sua salvezza, il viaggio non è ancora iniziato, ma Dante sembra essere convinto di intraprenderlo. Ma le sorprese non sono finite. Infatti, dinanzi all’epigrafe posta sulla porta dell’Inferno (incipit del canto III) ritornano le antiche paure. Le parole incise sono cupe, orride: «Per me si va ne la città dolente,/ per me si va ne l’etterno dolore,/ per me si va tra la perduta gente./ Giustizia mosse il mio alto fattore;/ fecemi la divina podestate,/ la somma sapïenza e ‘l primo amore./ Dinanzi a me non fuor cose create/ se non etterne, e io etterno duro./Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate».

Di fronte alla paura di Dante, Virgilio lo prende per mano con lieto volto e lo introduce dentro «a le secrete cose». Un discorso non può avvincere e convincere, non è sufficiente neanche conoscere le ragioni e le motivazioni. Dante non avrebbe intrapreso il viaggio senza la compagnia e la guida lieta e rassicurante di Virgilio.

Il ragazzo e l’adulto hanno bisogno nel viaggio della vita di una compagnia e di una speranza (il lieto volto, che rappresenta la certezza che vale la pena intraprendere il viaggio, cha c’è una meta bella, che il destino è buono e positivo). Si cammina nel viaggio con una compagnia, con un maestro, un testimone della bellezza e della verità incontrate.



Leggi di Più: L'educazione dei figli secondo i santi Ambrogio e Ignazio | Tempi.it 





Caterina63
00domenica 22 marzo 2015 10:31
    LO STRANIERO

1)"La nostra gioventù ama il lusso, è maleducata, 
si burla dell'autorità e non ha alcun rispetto degli anziani.
I bambini di oggi sono dei tiranni, non si alzano 
quando un vecchio entra in una stanza, 
rispondono male ai genitori, in una parola; sono cattivi"

2)"Non c'è più alcuna speranza 
per l'avvenire del nostro paese 
se la gioventù di oggi prenderà il potere domani, 
poiché questa gioventù è insopportabile, 
senza ritegno, terribile"

3)"Il nostro mondo ha raggiunto uno stadio critico, 
i ragazzi non ascoltano più i loro genitori:
la fine del mondo non può essere lontana"

4)"Questa gioventù è marcia nel profondo del cuore.
I giovani sono maligni e pigri,
non saranno mai come la gioventù di una volta;
quelli di oggi non saranno capaci 
di mantenere la nostra cultura"

   La prima è di Socrate (470 a.C.),
la seconda è di Esiodo (720 a.C.), 
la terza è di un sacerdote dell’antico Egitto (2000 a.C.) 
e l’ultima è un’incisione su un vaso di argilla 
dell’antica Babilonia (3000 a.C.). 
_____________________________________
È solo per dire: piantiamola di farci del male; 
l’educazione è in questa situazione da mò!!!

F.NEMBRINI 
in “Com’è difficile essere padri” 
Centro culturale di Milano 
con Giacomo Poretti, Attore Massimo Recalcati, Psicanalista 
coordina Giuseppe Frangi

sta a noi ribaltare certe situazioni.........





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