ATTACCO DELL'IRLANDA CONTRO IL MINISTERO DELLA CONFESSIONE

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Caterina63
00martedì 2 agosto 2011 09:43
Collegandoci ai seguenti link:
ATTENZIONE: LETTERA DI BENEDETTO XVI CONTRO GLI ABUSI SESSUALI NELLA CHIESA

ATTENZIONE: DOCUMENTO DELLA CDF NORME SULLA "DE GRAVIORIBUS DELICTS" e LETTERA CIRCOLARE maggio 2011

vi proponiamo le seguenti questioni sorte di recente....



Attacco alla confessione

Marco Tosatti

La confessione è, da secoli, uno dei tratti caratteristici della Chiesa cattolica, e in parte di alcune Chiese ortodosse; le altre fedi cristiane o la praticano in forme molto lontane da quella tradizionalmente stabilita da Roma.
 Ed è stata vista attraverso il tempo, come uno strumento formidabile: sia per la salvezza delle anime sia (secondo i critici) per il “controllo delle coscienze”. Benedetto XVI in uno dei suoi libri autobiografici ne accenna come a uno strumento di giustizia sociale; nel suo paese si inginocchiavano tutti, poveracci e pezzi grossi, a raccontare a chi stava dietro la grata le proprie malefatte; e i poveracci si consolavano nel vedere che anche chi stava meglio di loro posava le ginocchia sullo stesso gradino…

 In questi giorni la confessione, e soprattutto il sigillo sacramentale che impone il segreto totale da parte del sacerdote, sono sotto attacco. In Irlanda si vuole proporre una legge che vuole obbligare i sacerdoti a infrangere il segreto confessione se qualcuno confessa un reato di pedofilia. In Australia il governo federale è stato invitato a seguire l’esempio dell’isola all’altro capo del mondo, e ad obbligare i sacerdoti a denunciare chi si presenta a confessare un peccato sessuale contro minori. L’iniziativa viene dal senatore indipendente Nick Xenophon. “Non c’è dubbio su che cosa si debba fare quando c’è da scegliere fra proteggere l’innocenza di un bambino o preservare una pratica religiosa” ha dichiarato. “Perché uno dovrebbe essere assolto dai suoi peccati, anche quando si tratta di abuso sessuale verso i bambini, con una pacca sulla schiena da parte del prete?”.

 Naturalmente la posizione del Vaticano è completamente diversa.
L’articolo 983 del Codice di diritto canonico ammonisce: “Il sigillo sacramentale è inviolabile;
pertanto non è assolutamente lecito ai confessore rendere noto anche solo in parte il penitente con parole o in qualunque altro modo e per qualsiasi causa”. La violazione non è permessa neppure in caso di minaccia di morte del confessore o di altri. Per proteggere il segreto alcuni moralisti, fra cui Tommaso Sanchez (1550-1610) hanno ritenuto moralmente legittima anche la riserva mentale, una forma di inganno, che non richiede la pronuncia esplicita di una falsità. Il prete che violi il segreto confessionale incorre automaticamente nella scomunica latae sententiae, che può essere tolta solo dal Papa (Codice di diritto canonico, 1388 §1). Ciò comporta sia il divieto di celebrare ulteriormente il sacramento sia che la prescrizione di un lungo periodo di penitenza, ad esempio in un monastero.

 E se il penitente si presenta a confessare la sua responsabilità in un atto criminale? In questo caso l’esperienza insegna che il prete può porre come condizione indispensabile all’assoluzione che egli si autodenunci alle autorità. Ma non può fare altro, e soprattutto non può informare egli stesso le autorità neppure in modo indiretto.

Ci sono alcuni casi in cui una parte della confessione può essere rivelata ad altri, ma sempre col permesso del penitente e sempre senza rivelarne l'identità. Ciò avviene, a esempio, per alcuni peccati, che non possono essere perdonati senza l'autorizzazione del vescovo o del Papa. In tali casi il confessore chiede al penitente l'autorizzazione a scrivere una petizione al vescovo o alla Penitenzieria Apostolica (un cardinale delegato dal Papa per questi problemi), utilizzando pseudonimi e comunicando solo i dettagli indispensabili. La richiesta viene sigillata e inoltrata alla Penitenzieria tramite il Nunzio apostolico (l'ambasciatore del Papa in quel paese) e perciò la trasmissione si avvale della protezione assicurata alla corrispondenza diplomatica.

 Non c’è da stupirsi dunque se la risposta alle proposte irlandesi e australiane è netta e secca. Graham Greene nel suo “Il potere e la gloria” traccia il profilo di un prete indegno, il “prete spugna” nel Messico delle persecuzioni anti-cattoliche, che però corre coscientemente il rischio di cadere in una trappola che lo condurrà alla morte per andare a confessare un moribondo. Fiction, certamente; ma come tutti i miti, se è qualcosa che non è mai successo, è qualche cosa che accade sempre.  Il segretario della conferenza episcopale australiana padre Brian Lucas, ha trattato glacialmente la proposta del senatore: “La sua proposta non protegge i bambini e si scontra frontalmente con il diritto fondamentale della gente di praticare la propria religione”, ha dichiarato. “Nessun prete cattolico tradirebbe mai la confessione. Ci sono preti che sono andati a morire, piuttosto che farlo”.

Mons. Pierre Pican, vescovo di Bayeux, nel settembre del 2001 fu condannato a tre mesi di prigione perché non aveva denunciato alla magistratura un sacerdote della sua diocesi, accusato di pedofilia, invocando il segreto professionale. Mons. Pican gli aveva imposto dopo la rivelazione un periodo di cura in un istituto specializzato.

Per la sua difesa del segreto aveva ricevuto una lettera di plauso dal cardinale Castrillon Hoyos, su incarico di Giovanni Paolo II.


 Ma in realtà sia la proposta irlandese che quella australiana, nate nell’impeto delle emozioni, oltre a costituire una prima volta straordinaria (neanche nella Francia della rivoluzione, che certo non fu tenera verso preti e cattolici, si pensò a una legge del genere) sarebbero semplicemente inutili. Perché non porterebbe probabilmente a neanche una incriminazione, e  renderebbe semplicemente il Paese meno libero.

C’è forse la possibilità che qualcuno, responsabile di un crimine (e non solo di pedofilia) possa essere convinto, o spinto, dal sacerdote dall’altra parte della grata ad agire nella direzione giusta. Ma è sicuro che nessuno andrebbe a confessare il suo crimine, se sapesse che così facendo verrebbe denunciato.
A parte il fatto che sarebbe necessario che il confessore conoscesse nome, cognome e indirizzo del penitente.

Il che, nella stragrande maggioranza dei casi non accade. Mentre invece ci sono stati casi in cui le parole pronunciate dal sacerdote dall’altra parte della grata hanno spinto criminali a pentirsi. Un risultato che certamente la proposta di legge, irlandese o australiana, non potrebbe ottenere.


Caterina63
00martedì 2 agosto 2011 09:45

L'Irlanda contro il Papa






di Massimo Introvigne 28-07-2011

Tra Santa Sede e Irlanda, il clima non volge al sereno. Riassunto delle puntate precedenti: il 13 luglio è stato pubblicato il rapporto sugli abusi di minori da parte del clero della diocesi di Cloyne.

Il 20 luglio il primo ministro Enda Kenny [nella foto] lo ha commentato in parlamento in un discorso durissimo, mentre due ministri annunciavano la presentazione di un disegno di legge che obbligherebbe i sacerdoti, sotto pena di cinque anni di prigione, a rivelare anche notizie di abusi su minori apprese in confessione. Di questi avvenimenti abbiamo dato notizia su La Bussola Quotidiana, esprimendo nello stesso tempo comprensione per la reazioni irlandesi a quelli che lo stesso Pontefice, nella sua Lettera ai cattolici dell’Irlanda del 19 marzo 2010, ha definito «atti peccaminosi e criminali» e ferma riprovazione per ogni ipotesi di attacco al segreto della confessione, che – tranne l’Albania comunista di Enver Hoxha (1908-1985) – neppure i peggiori regimi totalitari europei hanno mai osato toccare.

Ora la Santa Sede ha richiamato a Roma per consultazioni il nunzio apostolico, certo con lo scopo di preparare la risposta al rapporto sulla diocesi di Cloyne che il governo irlandese reclama, ma adottando quella che il vicedirettore della Sala Stampa vaticana, padre Ciro Benedettini, ha definito «una misura cui raramente la Santa Sede fa ricorso, [che] denota la serietà della situazione, la volontà della Santa Sede di affrontarla con obiettività e determinazione, nonché una certa nota di sorpresa e rammarico per alcune reazioni eccessive». Vale dunque la pena di tornare sulle «reazioni eccessive». L’espressione si riferisce certamente al disegno di legge che comprende clausole contro il segreto del confessionale, suscettibile di scardinare l’intero edificio della libertà religiosa in Irlanda e contro cui le critiche sono sia giustificate sia, da un certo punto di vista, ovvie. Ma molti hanno visto nelle parole di padre Benedettini anche un riferimento al discorso del primo ministro Kenny, da molti in Irlanda definito «storico».

Il discorso, in effetti, colpisce per la vigorosa retorica con cui il premier insiste sul fatto che i laici irlandesi sono padroni a casa loro e non hanno alcuna intenzione di farsi dettare la linea politica e giudiziaria né dai vescovi né dal Vaticano. Sembrerebbe un discorso del primo ministro spagnolo José Luis Zapatero, se proprio non vogliamo scomodare qualche padre della patria mangiapreti del nostro Risorgimento. Il fatto è, però, che Kenny non è Zapatero. È un cattolico praticante che fa parte di un partito di originaria ispirazione cattolica e di centro-destra, anche se negli anni 1990 introdusse il divorzio in Irlanda e oggi, pur contrario al matrimonio omosessuale, promette il riconoscimento delle unioni civili alle persone dello stesso sesso. Come ha scritto molta stampa irlandese, solo un cattolico poteva permettersi certi accenti senza essere tacciato di pregiudizi anticlericali di stampo ottocentesco.

Kenny vola nei sondaggi perché il suo discorso ha espresso la rabbia degli irlandesi, che negli ultimi anni – proprio per gli scandali dei preti pedofili – ha fatto scendere la partecipazione alla Messa a livelli più bassi di quelli italiani. Un’indignazione che lo stesso Benedetto XVI ha mostrato di comprendere nella lettera del 2010, in cui grida ai sacerdoti irlandesi colpevoli di abusi che «avete perso la stima della gente dell’Irlanda e rovesciato vergogna e disonore sui vostri confratelli», e ai vescovi ricorda che «alcuni di voi e dei vostri predecessori avete mancato, a volte gravemente, nell’applicare le norme del diritto canonico codificate da lungo tempo circa i crimini di abusi di ragazzi». Ma è tutto oro quello che agli irlandesi sembra oggi luccicare?

Ci sono certamente alcuni aspetti del discorso del premier che possono essere condivisi.
Kenny ha espresso incondizionata solidarietà alle vittime di abusi, un’affermazione non scontata da parte del leader di un governo irlandese che in passato ha fatto spesso troppo poco. Ha riconosciuto che la maggior parte dei sacerdoti dell’Irlanda non ha nulla a che fare con la pedofilia. E ha dichiarato che lo Stato, che si è mostrato spesso inefficiente, deve fare pulizia anche in casa propria quanto alla repressione degli abusi sui minori, da chiunque commessi. In una situazione di «vergogna e disonore» – parole, come abbiamo visto, di Benedetto XVI – si può anche comprendere, pure se qualche accento è parso fuori dalle righe, l’orgogliosa rivendicazione – da parte di un uomo politico che nella prima frase del suo discorso ha tenuto a dichiararsi cattolico – dell’autonomia dei laici e della sfera temporale rispetto a un clero e a un episcopato che non sempre hanno dato buona prova di sé.

Due aspetti del discorso di Kenny meritano invece qualche rilievo critico. Il primo è di natura strettamente giuridica. Kenny cita dal rapporto su Cloyne una lettera del 1997 in cui l'allora nunzio apostolico in Irlanda, monsignor Luciano Storero (1926-2000), comunicava ai vescovi irlandesi le «serie riserve» della Congregazione del Clero sul modo in cui il documento sugli abusi preparato nel 1995 da una commissione di esperti per l’episcopato irlandese formulava l’obbligo di denunciare alle autorità civili i casi di pedofilia. Il premier, con indubbia efficacia retorica, ne trae occasione per una vera invettiva dove assicura che le interferenze del Vaticano sull’autonomia dei giudici, dei politici e anche dei vescovi irlandesi non saranno più tollerate. Gli scappa anche detto che tentativi vaticani di ostacolare l’attività d’indagine sulla pedofilia in Irlanda si sono verificati «ancora nel 2009», frase che dovrà però rettificare in una successiva intervista affermando di non avere prove di queste interferenze.

La questione giuridica è ricostruita però dando l’impressione, inesatta, che il nunzio Storero incitasse i vescovi irlandesi a far prevalere il diritto canonico sul diritto civile. Pur manifestando – come ha fatto il portavoce della Santa Sede padre Federico Lombardi – legittimi dubbi «sull’adeguatezza dell’intervento romano di allora in rapporto alla gravità della situazione irlandese», resta il fatto che nel 1997 a essere poco chiaro era il diritto civile. Questo richiedeva alle autorità religiose di denunciare gli abusi? O al contrario non lo richiedeva, e i vescovi rischiavano di essere a loro volta accusati di violazione della privacy degli accusati e del loro stesso dovere di riservatezza come religiosi?

La risposta la dà lo stesso rapporto su Cloyne, al paragrafo 6.36: «La commissione d’inchiesta riconosce che le direttive della Chiesa erano molto più rigorose di quelle adottate dallo Stato, perché richiedevano che tutte le accuse contro i preti operanti in una diocesi fossero riferite alle autorità sanitarie e anche alla gendarmeria». Lo Stato non può accusare la Chiesa di avere dubbi su leggi che lo Stato stesso – di cui la commissione su Cloyne era un organo – giudica non sufficientemente chiare e rigorose. Certamente in Irlanda i vescovi cattolici, come scrive Benedetto XVI, hanno «mancato, a volte gravemente». Ma anche lo Stato non può dire di avere fatto fino in fondo la sua parte.

Il secondo aspetto inaccettabile del discorso di Kenny è l’attacco personale a Benedetto XVI. Dopo avere attaccato il «clericalismo romano», il premier nelle battute finali ha affermato che «il cardinale Joseph Ratzinger disse che "standard di condotta appropriati per la società civile o per il funzionamento di una democrazia non possono puramente e semplicemente essere applicati alla Chiesa". […] Come primo ministro voglio che sia assolutamente chiaro che quando si tratta della protezione dei bambini di questo Stato gli standard di condotta che la Chiesa considera appropriati per se stessa non possono essere e non saranno applicati al funzionamento della democrazia in questa Repubblica. Non puramente né semplicemente né in alcun altro modo». Gli irlandesi che hanno ascoltato e applaudito il premier hanno pensato che il cardinale Ratzinger stesse difendendo i privilegi canonici della Chiesa contro le commissioni d’indagine sulla pedofilia. Ma la citazione è tratta dal paragrafo 39 della istruzione del 1990 Donum veritatis sulla vocazione ecclesiale del teologo, firmata dall’allora cardinale Ratzinger come prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, e non ha nulla a che fare con la pedofilia o i rapporti con gli Stati. La Congregazione, che si sta rivolgendo ai teologi, afferma che le verità di fede non sono votate a maggioranza né derivano «democraticamente» dal «“consenso” dei teologi».

Anche se la maggioranza dei teologi affermasse che Gesù Cristo è risorto solo metaforicamente, o che l’aborto è lecito, la loro opinione sarebbe irrilevante perché nella Chiesa la verità non si vota con la maggioranza della metà più uno.

È poco verosimile che il primo ministro irlandese si ricordi l’istruzione Donum veritatis, pubblicata ventuno anni fa per ammonire i teologi del dissenso. Ma è invece molto verosimile che se la ricordi bene qualche teologo. Agnosco stylum, «riconosco il pugnale», potrebbe rispondere Benedetto XVI: e più d’uno anche in ambienti politici ed ecclesiali irlandesi mormora che questo passaggio del discorso di Kenny non può essere stato scritto che da un prete. È pure sospetto che a poche ore dal discorso si sia affrettata a congratularsi con il premier l’Associazione dei Preti Cattolici, un’influente lobby di cinquecento sacerdoti che contestano diversi insegnamenti della Chiesa e oggi sono impegnati in un braccio di ferro con i vescovi sulla nuova traduzione in inglese del canone della Messa, ritenuta troppo «romana» e preoccupata dell’ortodossia. Loro sì che conoscono la Donum veritatis…

E tuttavia perfino l’Associazione dei Preti Cattolici si è spaventata di fronte alle minacce al segreto della confessione. E qualche iscritto, criticando la dirigenza, ha invitato tutti a un momento di meditazione sulla tristissima storia di Nora Wall, il più grande dramma giudiziario nella storia dell’Irlanda moderna. Nel clima emotivo delle prime rivelazioni sui preti pedofili, nel 1996 la polizia credette immediatamente alle rivelazioni di Regina Walsh, una ragazza che era stata allevata dalle Suore della Misericordia, secondo cui una suora, Nora Wall – che nel frattempo aveva lasciato l’ordine nel 1994 – l’aveva ripetutamente violentata nel 1990 e in un’occasione l’aveva tenuta ferma mentre un vagabondo, Pablo McCabe (1948-2002), la violentava a sua volta. Nel 1999 Nora Wall fu condannata all’ergastolo, e McCabe, ritenuto succube della suora e quindi meno colpevole, a dodici anni di carcere. La Wall fu dipinta come un mostro: la prima donna condannata per violenza carnale, e mandata all’ergastolo per un crimine sessuale, nella storia giudiziaria irlandese.

Ben presto, però, emersero dubbi. La sentenza era stata emessa nel clima isterico creato da una serie televisiva, Stati di paura, trasmessa dalla televisione di Stato irlandese e conclusa meno di un mese prima del processo, dove – sulla base di scarsissimi elementi fattuali e storici – le Suore della Misericordia venivano dipinte come maniache sessuali che gestivano collegi lager dove centinaia di ragazze erano regolarmente violentate dalle suore e dai confessori, e perfino assassinate. Passato il momento d’isteria collettiva, si fecero avanti parecchie persone falsamente accusate di violenze sessuali da Regina Walsh, che esaminata dagli psichiatri fu definita una mitomane e una bugiarda patologica. Nel 2005, dopo una lunga vicenda giudiziaria, la Corte d’Appello definì la sentenza di primo grado «un aborto della giustizia» e presentò le scuse dell’Irlanda a Nora Wall – il povero McCabe nel frattempo era morto.

Forse l’aspetto più triste della vicenda è che le Suore della Misericordia, terrorizzate dal diluvio di accuse, non credettero alle proteste d’innocenza della loro ex consorella e in un comunicato parlarono di «crimini rivoltanti», definendo «eroica» Regina Walsh e invitando le superiore delle loro case a denunciare subito alla polizia qualunque suora fosse accusata di abusi, anche dopo molti anni dai presunti fatti.

Quando si riflette sull’intricata questione dei rapporti fra Stato, diocesi e congregazioni religiose in Irlanda a proposito della gestione di accuse di abusi non si può dimenticare Nora Wall. La sua storia certamente non toglie nulla alla vergognosa colpevolezza dei sacerdoti che hanno abusato di bambini e all’omessa vigilanza di alcuni vescovi irlandesi. Ma ricorda che creare un clima dove qualunque religioso o religiosa accusato è per definizione colpevole, e dove le emozioni prevalgono sull’esame pacato dei singoli casi, non giova veramente a nessuno.


Caterina63
00sabato 3 settembre 2011 15:51
Risposta della Santa Sede al "cloyne report"

CITTA' DEL VATICANO, 3 SET. 2011 (VIS). Questa mattina, l'Arcivescovo Ettore Balestrero, Sotto-Segretario per i Rapporti con gli Stati, nel corso di un incontro con la Signora Helena Kelcher, Incaricato d'Affari a.i. dell'Ambasciata d'Irlanda presso la Santa Sede, ha consegnato la risposta della Santa Sede al governo irlandese relativamente al "Cloyne Report".

  Il "Cloyne Report" è un Rapporto della Commissione d'Inchiesta sulla Diocesi di Cloyne, che il Vice-Primo Ministro e Ministro degli Esteri e del Commercio d'Irlanda, On. Eamon Gilmore ha consegnato, con le considerazioni del Governo irlandese sulla questione, il 14 luglio scorso, all'Arcivescovo Giuseppe Leanza, Nunzio Apostolico in Irlanda, pregandolo di trasmetterlo alla Santa Sede con la richiesta di una risposta.

  La Santa Sede, nel riconoscere la gravità dei crimini esposti nel "Cloyne Report", che non avrebbero dovuto mai verificarsi nella Chiesa di Gesù Cristo, e desiderando rispondere alla richiesta del Governo irlandese, dopo aver esaminato in modo particolareggiato il "Cloyne Report" e tenendo conto delle numerose questioni che esso solleva, ha deciso di rispondere in forma esauriente.

  Pubblichiamo una sintesi di detta risposta, mentre il testo integrale, in lingua inglese, può essere consultato QUI
 
  Il 14 luglio 2011, a seguito della pubblicazione del Rapporto della Commissione d'Inchiesta sulla diocesi di Cloyne, conosciuto come Cloyne Report, l'On. Eamon Gilmore, Vice-Primo Ministro d'Irlanda (Tánaiste) e Ministro degli Esteri e del Commercio, nel corso di un incontro con S.E. Mons. Giuseppe Leanza, Nunzio Apostolico in Irlanda, ha chiesto alla Santa Sede, a nome del Governo irlandese, di intervenire a riguardo del Cloyne Report e delle considerazioni formulate sullo stesso da parte del Governo.

Osservazioni generali circa il Cloyne Report

  La Santa Sede ha esaminato con attenzione il Cloyne Report, riscontrando gravi ed inquietanti errori nel modo di affrontare le accuse di abuso sessuale di bambini e minori da parte di sacerdoti della diocesi di Cloyne.

  La Santa Sede desidera riaffermare, anzitutto, il proprio orrore verso i crimini di abuso sessuale che sono avvenuti in quella diocesi; è profondamente addolorata e si vergogna per le terribili sofferenze che le vittime e le loro famiglie hanno dovuto sopportare nella Chiesa di Gesù Cristo, un luogo dove ciò non deve mai accadere. La Santa Sede, inoltre, non può nascondere la propria grave preoccupazione per le conclusioni della Commissione, circa le gravi mancanze nel governo della Diocesi e il trattamento inadeguato delle accuse di abuso. È particolarmente inquietante che tali mancanze siano potute accadere nonostante i Vescovi e i Superiori religiosi avessero assunto l'impegno di applicare le linee guida sviluppate dalla Chiesa in Irlanda per garantire la protezione dei minori, e nonostante le norme e le procedure della Santa Sede relative ai casi di abuso sessuale. Comunque, l'approccio adottato dalla Chiesa in Irlanda nei tempi recenti a riguardo del problema dell'abuso sessuale sui minori sta beneficiando dell'esperienza in corso e si sta dimostrando sempre più efficace nel prevenire la ripetizione di tali crimini e nel trattare i casi che emergono.

Questioni sollevate dal Cloyne Report

  Il testo della Risposta della Santa Sede affronta nel dettaglio le diverse accuse mosse contro di essa, che sembrano essere fondate principalmente sul resoconto e la valutazione che il Cloyne Report ha dato della lettera indirizzata ai Vescovi irlandesi, il 31 gennaio 1997, da S.E. Mons. Luciano Storero, allora Nunzio Apostolico in Irlanda. Tale lettera comunicava la risposta della Congregazione per il Clero al documento Child Sexual Abuse: Framework for a Church Response (d'ora in poi, Documento Quadro). La Commissione d'Inchiesta afferma che la suddetta risposta ha fornito appoggio a coloro che dissentivano dalla linea ufficiale della Chiesa ed è stata di poco aiuto specialmente rispetto alla denuncia alle Autorità civili.

  La Santa Sede desidera affermare quanto segue in relazione alla risposta della Congregazione per il Clero:

- La Congregazione ha descritto il Documento Quadro come "documento di studio" sulla base delle informazioni fornitele dai Vescovi irlandesi, che hanno descritto il testo non come un documento ufficiale della Conferenza Episcopale Irlandese, ma piuttosto come un "rapporto" della Commissione consultiva dei Vescovi Cattolici irlandesi sugli abusi sessuali sui minori compiuti dal clero e da religiosi. Tale rapporto era stato allora raccomandato "alle singole diocesi e alle congregazioni religiose come documento quadro per affrontare le problematiche relative all'abuso sessuale sui minori".

- I Vescovi irlandesi non hanno mai chiesto la "recognitio" della Santa Sede per il Documento Quadro, che, secondo il Can. 455 del Codice di Diritto Canonico, sarebbe stato necessario richiedere solo se essi intendevano che il documento fosse un decreto generale della Conferenza Episcopale, con forza obbligante su tutti i suoi membri. Comunque, la mancanza della "recognitio" di per sé non precludeva l'applicazione delle indicazioni contenute nel documento, dato che ogni singolo Vescovo poteva adottarle, senza dover riferire alla Santa Sede. E tale applicazione è quanto è generalmente accaduto in Irlanda.

- I Vescovi irlandesi hanno consultato la Congregazione per risolvere delle difficoltà relative ad alcuni contenuti del Documento Quadro. La Congregazione ha consigliato i Vescovi al fine di assicurare che le misure che essi volevano applicare, risultassero efficaci e non problematiche da un punto di vista canonico. Per tale ragione, la Congregazione ha richiamato l'attenzione sulla necessità che tali misure fossero in armonia con le procedure canoniche per evitare conflitti che avrebbero potuto generare appelli dall'esito positivo nei Tribunali ecclesiastici. La Congregazione non ha respinto il Documento Quadro. Essa ha, piuttosto, voluto assicurare che le misure contenute nel Documento Quadro non ostacolassero gli sforzi dei Vescovi nell'applicare le misure disciplinari contro coloro che erano colpevoli di abuso sessuale nella Chiesa. Allo stesso tempo, è importante ricordare la decisione della Santa Sede nel 1994 che accordava una normativa speciale ai Vescovi degli Stati Uniti nel trattare l'abuso sessuale sui minori nella Chiesa. Questa normativa fu accordata ai Vescovi d'Irlanda nel 1996 per assisterli nel superare le difficoltà che stavano sperimentando a quel tempo (Cfr. Parte VI della Risposta).

- La necessità di seguire il Diritto Canonico per assicurare la corretta amministrazione della giustizia nella Chiesa in nessun modo impediva la cooperazione con le Autorità civili. La Congregazione per il Clero ha espresso riserve circa l'obbligo di denuncia; non ha però proibito ai Vescovi irlandesi di denunciare alle Autorità civili le accuse di abuso sessuale sui minori, né ha incoraggiato i Vescovi a non osservare la legge. A tale riguardo, l'allora Prefetto della Congregazione, Cardinal Darío Castrillón Hoyos, nel suo incontro con i Vescovi irlandesi a Rosses Point, Contea di Sligo, in Irlanda, il 12 novembre 1998, ha inequivocabilmente affermato: "Desidero anche dire con grande chiarezza che la Chiesa, specialmente attraverso i suoi Pastori (i Vescovi), non deve in nessun modo porre ostacoli al legittimo percorso della giustizia civile, quando esso è stato avviato da coloro che ne hanno diritto, mentre allo stesso tempo la Chiesa deve proseguire con le proprie procedure canoniche, nella verità, nella giustizia e nella carità verso tutti". Si deve poi notare che, a quel tempo, non solo la Chiesa ma anche lo Stato in Irlanda erano impegnati a sforzarsi di migliorare la propria legislazione concernente gli abusi sessuali sui minori. A tal fine, il Governo Irlandese organizzò nel 1996 un'ampia consultazione sull'obbligo di denuncia alle Autorità civili e, dopo aver preso in considerazione le riserve espresse da vari gruppi di professionisti e da individui della società civile, che erano in larga misura in linea con quelle segnalate dalla Congregazione, decise di non introdurre l'obbligo di denuncia all'interno del sistema giuridico irlandese. Dato che il Governo Irlandese di allora ha deciso di non legiferare sulla materia, è difficile comprendere come la lettera di Mons. Storero ai Vescovi irlandesi, che è stata scritta successivamente, abbia potuto essere interpretata come uno strumento che in qualche modo sovvertiva la legge irlandese o ostacolava lo Stato irlandese nei suoi sforzi per affrontare il problema in questione.

Questioni sollevate da alcuni esponenti politici irlandesi

  La Santa Sede desidera precisare quanto segue in relazione ad alcune reazioni di esponenti politici irlandesi:

- La Santa Sede comprende e condivide i profondi sentimenti di rabbia e frustrazione manifestati pubblicamente a fronte di ciò che è emerso con il Cloyne Report, e che ha trovato espressione nel discorso dell'On. Enda Kenny, Primo Ministro (Taoiseach), tenuto alla Camera dei Deputati (Dáil Éireann) il 20 luglio 2011. Tuttavia la Santa Sede nutre significative riserve su alcuni aspetti del discorso. In particolare, è infondata l'accusa che la Sede Apostolica abbia tentato "di ostacolare un'Inchiesta in una Repubblica sovrana e democratica, appena tre anni fa, non trent'anni fa". Del resto, un portavoce governativo, quando è stato interrogato in merito, ha chiarito che l'On. Kenny non si riferiva ad alcun episodio specifico.

  Del resto, le accuse di ingerenza da parte della Santa Sede sono smentite dai molti rapporti che pure vengono utilizzati per criticarla. Quei rapporti, lodati per la loro esaustiva investigazione degli abusi sessuali e del modo in cui essa è avvenuta, non forniscono prove che la Santa Sede abbia interferito negli affari interni dello Stato Irlandese o, addirittura, sia stata implicata nell'ordinaria gestione delle diocesi irlandesi o delle congregazioni religiose circa i problemi degli abusi sessuali. Piuttosto, ciò che colpisce di questi rapporti e delle numerose informazioni sulle quali sono basati è la mancanza di documentazione a supporto di tali accuse.

  A tale riguardo, la Santa Sede desidera sottolineare che in nessun modo essa ha ostacolato o tentato d'interferire in alcuna delle indagini sui casi di abuso sessuale sui minori nella diocesi di Cloyne. Inoltre, in nessun momento, la Santa Sede ha cercato d'interferire nel diritto irlandese o di intralciare le Autorità civili nell'esercizio delle loro funzioni.

- La Santa Sede desidera anche sottolineare che il testo dell'allora Cardinale Joseph Ratzinger, richiamato dall'On. Kenny, è una citazione tratta dal N. 39 dell'Istruzione sulla vocazione ecclesiale del teologo, pubblicato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede il 24 maggio 1990. Tale testo non riguarda la maniera con cui la Chiesa dovrebbe comportarsi all'interno di una società democratica e nemmeno ha a che fare con tematiche inerenti la protezione dell'infanzia, come l'uso della citazione che ne fa l'On. Kenny sembrerebbe sostenere, ma riguarda il servizio del teologo alla comunità ecclesiale.

- Nel suo incontro con il Nunzio Apostolico, il Vice-Primo Ministro d'Irlanda (Tánaiste) e Ministro degli Esteri e del Commercio, On. Eamon Gilmore, ha affermato che "tra le più inquietanti conclusioni del Cloyne Report c'è quella secondo la quale le Autorità vaticane, descrivendo il Documento Quadro adottato dalla Conferenza Episcopale come un mero 'documento di studio', hanno ostacolato gli sforzi della Chiesa irlandese nel trattare gli abusi sessuali sui minori commessi dal clero,". Come è chiarito nella Risposta della Santa Sede, detta espressione era fondata sulle spiegazioni della sua natura fornite dai Vescovi irlandesi e sullo stesso testo pubblicato. In nessun modo intendeva squalificare i seri sforzi intrapresi dai Vescovi irlandesi per affrontare il flagello dell'abuso sessuale sui minori.

- Quanto alla mozione passata alla Camera dei Deputati (Dáil Éireann), il 20 luglio 2011, e al Senato (Seanad Éireann), una settimana dopo, che deplora "l'intervento del Vaticano che ha contribuito ad ostacolare il Documento Quadro per la protezione dell'infanzia e delle linee guida dello Stato irlandese e dei Vescovi irlandesi", la Santa Sede desidera chiarire che, in nessun momento, si è espressa sulla misure di protezione dell'infanzia adottate dallo Stato irlandese, e tanto meno ha mai cercato di ostacolarle. La Santa Sede osserva che non ci sono prove citate in alcuna parte del Cloyne Report che permettano di concludere che il suo "presunto intervento" abbia contribuito ad ostacolare dette misure. Per quanto riguarda, poi, le  linee guida stabilite dai Vescovi irlandesi, la Risposta offre sufficienti chiarimenti per mostrare che esse in nessun modo sono state indebolite da alcun intervento della Santa Sede.

Osservazioni conclusive

  Nella sua Risposta, la Santa Sede offre una presentazione dell'approccio della Chiesa alla protezione dei minori, includendo la relativa normativa canonica, e fa riferimento alla Lettera ai Cattolici d'Irlanda del Santo Padre Benedetto XVI, pubblicata il 19 marzo 2010, nella quale il Pontefice indica che si attende che i Vescovi irlandesi cooperino con le Autorità civili, applichino pienamente le norme del Diritto Canonico e assicurino piena e imparziale applicazione delle norme della Chiesa in Irlanda per la protezione dei minori.

  La pubblicazione del Cloyne Report segna un ulteriore passaggio nel lungo e difficile cammino di accertamento della verità, di penitenza e purificazione, di guarigione e rinnovamento della Chiesa in Irlanda. La Santa Sede non si considera estranea a questo processo ma lo condivide in spirito di solidarietà ed impegno.

  La Santa Sede, mentre rigetta le accuse infondate, accoglie in spirito d'umiltà tutte le osservazioni e i suggerimenti obiettivi e utili per combattere con determinazione lo spaventoso crimine dell'abuso sessuale sui minori. La Santa Sede desidera ribadire che condivide la profonda preoccupazione e l'inquietudine espresse dalle Autorità irlandesi, dai cittadini irlandesi in generale e dai Vescovi, sacerdoti, religiosi e laici d'Irlanda a riguardo dei criminali e peccaminosi atti di abuso sessuale perpetrati da membri del clero e da religiosi. La Sede Apostolica è anche consapevole della comprensibile rabbia, della delusione e del senso di tradimento sperimentati da coloro, particolarmente le vittime e le loro famiglie, che sono stati segnati da questi vili e deplorevoli atti e dal modo in cui essi talvolta sono stati affrontati dalle autorità ecclesiastiche. Per questo la Santa Sede desidera riaffermare il proprio dolore per ciò che è accaduto. Essa si augura che le misure che la Chiesa ha introdotto negli ultimi anni a livello universale, come anche in Irlanda, si dimostrino più efficaci nell'impedire il ripetersi di tali atti e contribuiscano alla guarigione di coloro che hanno sofferto per gli abusi, come pure a ristabilire la fiducia reciproca e la collaborazione tra le Autorità ecclesiastiche e quelle statali, che sono essenziali per combattere efficacemente il flagello dell'abuso. Naturalmente, la Santa Sede sa bene che la dolorosa situazione provocata dagli episodi di abuso non può essere risolta rapidamente o facilmente e che, benché siano stati compiuti molti progressi, molto rimane ancora da fare.

  Sin dai primi giorni dello Stato Irlandese, e specialmente dallo stabilimento delle relazioni diplomatiche nel 1929, la Santa Sede ha sempre rispettato la sovranità dell'Irlanda, ha mantenuto relazioni cordiali e amichevoli con il Paese e le sue Autorità, ha frequentemente espresso la propria ammirazione per lo straordinario contributo offerto da uomini e donne irlandesi alla missione della Chiesa e al miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni in tutto il mondo; inoltre, la Santa Sede non ha fatto mancare il proprio supporto a tutti gli sforzi per promuovere la pace sull'isola durante gli ultimi travagliati decenni. In linea con tale atteggiamento, la Santa Sede desidera riaffermare il suo impegno ad un dialogo costruttivo e alla cooperazione con il Governo irlandese, naturalmente sulla base del reciproco rispetto, così che tutte le istituzioni, sia pubbliche che private, religiose o civili, possano cooperare  per assicurare che la Chiesa, e anzi la società in generale, siano sempre un luogo sicuro per l'infanzia e i giovani.

OP/                                                                                            VIS 20110903 (2510)


commento direttore sala stampa santa sede risposta santa sede al "cloyne report"

CITTA' DEL VATICANO, 3 SET. 2011 (VIS). Padre Federico Lombardi, S.I., Direttore della Sala Stampa della Santa Sede, ha commentato oggi alla Radio Vaticana la Risposta della Santa Sede al Governo irlandese relativamente al "Cloyne Report", presentato questa mattina presso la Sala Stampa della Santa Sede. "Si tratta di un documento - ha detto - strutturato con chiarezza, in modo da affrontare tutte le questioni sollevate, e dare ad esse risposte argomentate e documentate, inserendole in una prospettiva di ampiezza adeguata".

  Padre Lombardi ha assicurato, inoltre, che: "l'intero sviluppo del Documento dimostra come la Santa Sede abbia preso in considerazione con grande serietà e rispetto le domande e le critiche ricevute e si sia impegnata a dare una risposta approfondita e serena, priva di inutili toni polemici anche là dove dà risposte chiare alle accuse che le sono state mosse. Ci si augura quindi che esso raggiunga lo scopo fondamentale e di comune interesse che si propone: contribuire a ricostruire quel clima di fiducia e di cooperazione con le autorità irlandesi che è essenziale per un impegno efficace della Chiesa come dell'intera società per garantire efficacemente il bene primario della salvaguardia della gioventù".

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