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Caterina63
00venerdì 25 maggio 2012 15:11
[SM=g1740733] Archeologo israeliano: il Santo Sepolcro è autentico

Avvenire.it
21 Maggio 2012

È l'artefice degli scavi che hanno portato all'apertura dei tunnel
archeologici nell'area adiacente al Monte del tempio a Gerusalemme. Ed è uno
dei più profondi conoscitori della Gerusalemme delle Scritture. Ci sarà
anche l'archeologo israeliano Dan Bahat quest'anno tra i relatori al
Festival biblico di Vicenza (giovedì 24 maggio, ore 17), che per la prima
volta propone un focus sulle terre bibliche e sulle più recenti scoperte dal
titolo «Linfa dell'ulivo».

Professor Dan Bahat, che cosa ha dato in più alla conoscenza della Bibbia la
grande stagione degli scavi a Gerusalemme, tuttora in corso?

«Rispetto all'Antico Testamento la nostra conoscenza di Gerusalemme è
cambiata totalmente con gli scavi nella collina della città di Davide, dove
abbiamo trovato numerosi reperti sulla distruzione del 586 a.C., quella di
Nabucodonosor. Soprattutto abbiamo scoperto i confini della città di allora,
che non conoscevamo molto bene. Sapevamo che nell'VIII secolo a.C. il re
Giosia aveva ingrandito la città, ma a Nord non sapevamo di quanto».

E rispetto al Nuovo Testamento?

«Lì il contributo è stato ancora maggiore, perché sta tornando alla luce la
città di Erode che è anche quella in cui è vissuto Gesù. La Gerusalemme di
oggi è costruita sulla città romana che è tardiva, risale a un secolo dopo.
Solo attraverso l'archeologia abbiamo potuto conoscere la città erodiana e
così oggi (grazie agli scavi nell'area del Muro del Pianto, ndr) abbiamo
ritrovato quella che era la strada principale, la piscina di Siloe, il
quartiere dove vivevano i sacerdoti. E poi il sistema centrale della
fognatura, un'altra scoperta molto importante perché durante la rivolta
contro i romani gli ebrei avevano nascosto lì dentro molte cose. Reperti che
ci hanno aiutato a scoprire dettagli importanti sulla vita nel tempio. E poi
c'è tutto quanto è stato trovato fuori da Gerusalemme».

Ad esempio?

«Penso agli scavi a Kayafa, che è il luogo della battaglia tra Davide e
Golia: si trova a Beit Shemesh, una trentina di chilometri a ovest di
Gerusalemme. Abbiamo trovato un'iscrizione che cita le parole dei profeti:
non fate del male alla vedova, proteggete gli orfani. Indicazioni morali che
sono dei profeti più tardivi, come Isaia e Geremia. Sempre lì, poi, è venuto
alla luce un centro di culto dell'epoca di Davide, decimo secolo a.C.: è la
conferma che il suo regno era esteso, la dimostrazione che Davide non fu
solo una figura mitologica».

Giovedì prossimo alle 17 al Festival biblico di Vicenza lei parlerà del
Santo Sepolcro: che cosa rappresenta per lei?

«Sono molti gli elementi che mi fanno dire: questo può davvero essere il
posto della sepoltura di Gesù. A Vicenza, ad esempio, spiegherò perché
archeologicamente non ha nessun senso identificare il sepolcro di Gesù con
la Tomba del Giardino, come fanno i protestanti. [...]».

E quali sono le ragioni che la portano ad affermare la veridicità storica
del Santo Sepolcro?

«Il discorso sarebbe lungo... Diciamo innanzitutto che allora si trovava
fuori dalle mura. Secondo: lì c'è una cava. Terzo: la prima testimonianza
cristiana a Gerusalemme si trova proprio nella chiesa del Santo Sepolcro ed
è di un pellegrino del II secolo d.C. Quest'ultimo fatto è molto importante,
perché la prima chiesa fu costruita nel IV e quindi rispetto ai Vangeli ci
sarebbe un vuoto di 300 anni. Altra cosa: oggi conosciamo meglio la presenza
dei cristiani a Gerusalemme nell'epoca romana, quando gli ebrei non potevano
più entrare in città. Infine ci si chiede: come mai Costantino sapeva
dov'era
questo posto? Perché la storia di Elena che avrebbe ritrovato la Croce
comincia solo cinquant'anni dopo la costruzione della chiesa».

Che cosa ha significato per lei scavare nell'area adiacente al Monte del
tempio?

«Abbiamo trovato reperti di periodi che vanno dal primo tempio - VIII secolo
a.C. - fino all'epoca turca. Il tempio, il monte Moria, è ciò che fa di
Gerusalemme una città santa. Sono le radici del monoteismo, non solo per noi
ebrei ma anche per i cristiani e (in un certo senso) pure per i musulmani.
Scavare qui è molto importante, perché conosciamo bene il conflitto
politico: tra i palestinesi c'è chi vuole falsificare la storia negando il
legame tra gli ebrei e Gerusalemme. Ho paura che, andando avanti così,
cominceranno anche a dire: Gerusalemme è una città musulmana, che cosa ci
fanno qui i cristiani?».

In che modo invece l'archeologia potrebbe aiutare il cammino della pace?

«Io ne sarei un esempio: le prime cose importanti che ho scritto sono sulla
Gerusalemme araba tra il 638 e il 1099, una parte importante della storia di
questa città. Sono il primo ad aver  raccontato dov'erano le strade, le
moschee, i mercati. Però si deve ricordare anche una cosa: sotto i musulmani
Gerusalemme non è mai stata la capitale di un Paese. Quando edificavano al
Aqsa e la Cupola della Roccia costruivano anche Ramle come capitale
politica: doveva assomigliare molto a Baghdad. [..]..».


Giorgio Bernardelli

Fonte >  Avvenire.it

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