ATTENZIONE: card. Cañizares indicazioni per vivere la vera Messa: SAN GIUSEPPE NEL CANONE

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Caterina63
00giovedì 17 gennaio 2013 12:53

[SM=g1740722] La Liturgia: non "spettacolo", ma comunicazione diretta con Dio


Il cardinale Cañizares ha annunciato la pubblicazione entro l'anno di un opuscolo per fedeli e sacerdoti per vivere correttamente la Santa Messa [SM=g1740721]


H. Sergio Mora

ROMA, Wednesday, 16 January 2013 (Zenit.org).

La Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti sta preparando un opuscolo sulla Santa Messa, rivolto sia ai sacerdoti, per assisterli nella celebrazione, sia ai fedeli, per aiutarli a partecipare correttamente alla stessa. Lo ha annunciato ieri il cardinale Antonio Cañizares, Prefetto della Congregazione vaticana, durante una conferenza nell'Ambasciata di Spagna presso la Santa Sede, sul tema La Liturgia cattolica a partire dal Vaticano II: continuità ed evoluzione.

"Siamo ancora in fase di preparazione del documento” ha dichiarato il porporato a ZENIT, spiegando che esso servirà “per celebrare bene e partecipare bene” e che probabilmente “verrà pubblicato quest'anno, in estate”.

Durante la conferenza, Cañizares ha ribadito l'importanza data dal Concilio Vaticano II alla Liturgia, il cui rinnovamento – ha detto – “deve essere in linea con la tradizione della Chiesa e non una rottura o una discontinuità”, ovvero pieno di tutte quelle “innovazioni” che "non sono rispettose di tutto ciò che Pio XII ha indicato”. [SM=g1740721]

In particolare, il cardinale ha citato la Sacrosanctum Concilium, il primo documento conciliare sulla sacra liturgia, attraverso la quale “si è esercitata l'opera della nostra redenzione, specialmente nel divino sacrificio dell'Eucaristia". “Dio - ha sottolineato - vuole essere adorato in modo concreto e non dobbiamo essere noi persone a cambiarla".

Il Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti ha parlato, inoltre, di “Chiesa rinnovata”, precisando che ciò non deve essere inteso “come una semplice riforma delle strutture, ma come un cambiamento a partire dalla liturgia”, perché è attraverso di essa che “in effetti opera la salvezza”.

E riflettendo sulla Liturgia non si possono dimenticare le parole del documento conciliare secondo cui "Cristo è sempre presente nella sua Chiesa, soprattutto nella Liturgia. Egli è presente nel sacrificio della Messa e nella persona del ministro - ‘offrendosi ora per il ministero dei sacerdoti, come si offrì prima sulla croce’ - sia soprattutto sotto le specie eucaristiche ". Scopo della liturgia è dunque “il culto di Dio e la salvezza degli uomini” che, ha detto il cardinale, non è “una nostra creazione, ma la fonte e il culmine della Chiesa”.

Il porporato ha criticato, inoltre, gli “abusi” esistenti verso la Liturgia, come la sua “spettacolarizzazione”, lodando invece quei momenti di silenzio che sono “l'azione" che “permettono al sacerdote e ai fedeli di comunicare con Gesù Cristo” e che riducono la “predominanza della parola”, che spesso si trasforma “in protagonismo del sacerdote celebrante”. In tal senso, l'atteggiamento da seguire è quello di Giovanni il Battista “che si eclissa per dare spazio al Messia". [SM=g1740733]

Ha poi rimarcato che il Concilio ha specificamente parlato della Messa rivolta verso il popolo e dell'importanza di Cristo sull'altare, in modo da non escludere i fedeli presenti, in particolare dalla parola di Dio. Ha anche sottolineato la necessità della nozione del “mistero” e di alcuni particolari interessanti prima molto più rispettati, come “l'altare a est” o la coscienza del “significato sacrificale dell'Eucaristia”.

Interrogato dall’ambasciatore di Panama presso la Santa Sede sull'azione delle culture indigene nella liturgia, il cardinale ha detto che "il Concilio parla di inculturazione della liturgia" nel rispetto delle “varietà legittime", cioè evitando che i loro principi vengano rimossi.

In proposito, ha raccontato una sua esperienza in Spagna, a Santa Fe, nella Domenica delle Palme, quando, assistendo ad una Messa gitana, si emozionò tanto nel sentire i fedeli cantare l’“Agnello di Dio” come un “martello”, quasi come un “vero e proprio gemito dell'anima” che “coinvolgeva l'intero gruppo”. Soffermandosi, infine, sul caso Lefebre, il Cardinale ha affermato che Benedetto XVI ha offerto una “mediazione sanatoria” che però “non è stata corrisposta”.

[SM=g1740717] [SM=g1740720]


Caterina63
00giovedì 17 gennaio 2013 16:12
[SM=g1740722]OTTIMA OSSERVAZIONE  di CantualeAntonianum che ringraziamo


mercoledì 16 gennaio 2013

Si fa dire al Cardinale una cosa in italiano e tutto il contrario in inglese e spagnolo...

 
 
Leggevo una notizia su ZENIT - versione italiana - , dove si riportano le affermazioni di una conferenza del Cardinal Cañizares, a proposito di un sussidio o manuale per la corretta celebrazione della Messa, di prossima edizione (in estate) da parte della Congregazione del Culto Divino da lui presieduta. E fin qui tutto bene. Anche se ero perplesso: ci sono già tanti documenti chiari, se un prete non vuole adeguarsi non si adeguerà per un ennesimo "libriccino vaticano".... Poi, però, mi imbatto in una frase che mi pareva alquanto strana e mi fa sobbalzare, perché messa in bocca a Sua Eminenza:
[Il Cardinale] Ha poi rimarcato che il Concilio ha specificamente parlato della Messa rivolta verso il popolo e dell'importanza di Cristo sull'altare [forse intende il crocifisso?], in modo da non escludere i fedeli presenti, in particolare dalla parola di Dio. Ha anche sottolineato la necessità della nozione del “mistero” e di alcuni particolari interessanti prima molto più rispettati, come “l'altare a est” o la coscienza del “significato sacrificale dell'Eucaristia”.
E mi chiedo: ma in quale punto della Sacrosanctum Concilium si parla del prete che celebra la messa "verso il popolo"? Possibile che non me ne sia mai accorto? Ne hanno discusso i padri in commissione, ma poi non se ne è fatta menzione nel testo della Costituzione.

C'è nei Principi e Norme del Messale Romano, a proposito dell'altare staccato dalla parete perché ci si possa girare intorno ed eventualmente celebrare verso il popolo. Ma non mi pareva che si menzionasse la questione nei documenti stessi del Concilio. Così, per curiosità, sono andato a controllare le altre lingue in cui ZENIT si esprime. Sorpresa delle sorprese: in Inglese e Spagnolo il senso della frase è esattamente l'opposto e ci sono ben altri particolari espunti dalla versione italiana (il riferimento al modo di celebrare in cappella Sistina di Benedetto XVI).
Proprio questi particolari mi fanno dubitare che sia stata preparata una versione "adattata al gusto mainstream italiano" e sia stata invece lasciato l'originale delle affermazioni del Prefetto nelle altre lingue...

Anche i titoli della notizia sono molto diversi: in Inglese si insiste sul fatto che il Vaticano sta preparando un sussidio per aiutare i preti a celebrare correttamente la Messa, in Italiano, invece, si cerca di sintetizzare il messaggio del Cardinale così: "La liturgia non "spettacolo" ma comunicazione diretta con Dio".

Versione inglese
He added that the Council did not speak of the priest celebrating Mass facing the people, that it stressed the importance of Christ on the altar, reflected in Benedict XVI's celebration of the Mass in the Sistine Chapel facing the altar. This does not exclude the priest facing the people, in particular during the reading of the word of God. He stressed the need of the notion of mystery, and particulars such as the altar facing East and the fact that the sacrificial sense of the Eucharist must not be lost.
Versione spagnola (originale, perché è la lingua in cui il Cardinale parlava):
Añadió que en concreto el Concilio no habló de la misa cara al pueblo, de la importancia de Cristo en el altar [qui si capisce che si parla di Cristo rappresentato dall'altare], lo que le permitió a Benedicto XVI celebrar la misa en la Capilla Sixtina hacia el altar, lo que no excluye la cara al pueblo, en particular durante la palabra de Dios. Subrayó la necesidad de la noción del misterio, y de algunos particulares interesantes que se respetaban como el altar hacia el oriente, y que no se pierda el sentido sacrifical de la eucaristía.
Anche RomeReports
http://www.youtube.com/watch?v=5aed3AFwsWE&feature=player_embedded

ha un pezzo sulla conferenza di oggi tenutasi all'Ambasciata di Spagna presso la Santa Sede sul tema: "La Liturgia cattolica a partire dal Vaticano II: continuità ed evoluzione". Il sommario del video dice: "Cardinal Canizares: Il futuro della Chiesa dipende dalla sua formazione liturgica".


Testo preso da: Si fa dire al Cardinale una cosa in italiano e tutto il contrario in inglese e spagnolo... http://www.cantualeantonianum.com/2013/01/si-fa-dire-al-cardinale-una-cosa-in.html#ixzz2IFIyrotB
http://www.cantualeantonianum.com

[SM=g1740733]



Caterina63
00mercoledì 6 febbraio 2013 12:19
L'Eucaristia e il sacerdote

Amici di Gesù


«L'Eucaristia e il sacerdote» è il tema dell'intervento che il cardinale prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti ha tenuto nei giorni scorsi a Salerno in occasione della presentazione di alcuni volumi del sacerdote teologo Mauro Gagliardi. Ne pubblichiamo ampi stralci.


di Antonio Cañizares Llovera


Gesù Cristo, nel donare se stesso nell'Eucaristia, attraverso lo Spirito Santo, in offerta piena al Padre per noi, ci dà la stessa vita divina che Lui riceve eternamente dal Padre. Si tratta di un dono assolutamente gratuito che la Chiesa in fedele obbedienza accoglie, celebra, adora, e con il quale entra in comunione e vive. La Chiesa vive di questo dono, che la costituisce sacramento di comunione. A essa corrisponde il rispondere al dono -- Mistero pasquale di Cristo -- e attualizzarlo sacramentalmente, finché Egli ritorni, nella celebrazione liturgica, curata squisitamente conforme alle norme e ai criteri della Chiesa come corrisponde al diritto di Dio, alla Tradizione della Chiesa, alla fede che professiamo - lex orandi, lex credendi. Gesù, presente nella Chiesa, le ha dato il compito di partecipare alla “Sua ora”, di entrare in comunione con Lui nel suo atto sacrificale, quello del Mistero pasquale (cfr. Sacramentum Caritatis, 11).

Con l'affermazione dell'incorporazione dei fedeli all'“ora” di Gesù, al suo Mistero pasquale, per il sacramento eucaristico, si segnala il vero significato del “memoriale” -- «In memoria di me» -- applicato al Mistero eucaristico. La partecipazione al pane e al calice suppone l'effettiva partecipazione al sacrificio di Cristo al Padre, nella Sua obbedienza, nella Sua unione e oblazione di amore totale, nella sua piena consacrazione in obbedienza, nell'affermazione incondizionata di Dio Padre e il suo amore; perciò si proclama in maniera oggettiva e reale la morte del Signore, il Mistero pasquale di Cristo. Il memoriale non è più inteso semplicemente come il ricordo di azioni passate di Dio, che ci permette di continuare a riconoscere nell'attualità la sua presenza e la sua azione, ma la partecipazione contemporanea, comunione, in quello che è successo una volta e per sempre (essere incorporati nell'“ora di Gesù”, unificati con Lui stesso). «In questo dono Gesù Cristo consegnava alla Chiesa l'attualizzazione perenne del mistero pasquale. Con esso istituiva una misteriosa “contemporaneità” tra quel Triduum e lo scorrere di tutti i secoli» (Ecclesia de Eucaristia, 5), una comunione misteriosa tra Gesù stesso e la Chiesa, il suo corpo ecclesiale; una comunione con le sue membra. Questa stessa contemporaneità è resa possibile dal mistero dell'Incarnazione, nel quale l'eterno è entrato nella storia, e anche per la Pasqua, tramite la quale colui che ha vissuto nel tempo è entrato nell'eternità, facendo del tempo una «dimensione di Dio» (cfr. Tertio millennio adveniente, 10).


Gli apostoli, accogliendo l'invito di Gesù nel Cenacolo, sono entrati per la prima volta in comunione sacramentale con Lui, con il mistero della sua Pasqua. Da ora e fino alla fine dei tempi, la Chiesa si edifica mediante la comunione sacramentale col Figlio di Dio, consegnato per noi; si costruisce con le pietre di chi partecipa, si nutre ed entra in comunione con il Mistero pasquale di Cristo, che si dà a noi e si raggiunge nel Mistero eucaristico. Con l'unione a Cristo, il popolo della nuova alleanza diventa “sacramento” per l'umanità, vale a dire, si converte in segno e strumento efficace di salvezza e di vita proprio a causa di questa partecipazione e comunione con Lui, col suo Mistero pasquale. Così, l'Eucaristia, edificando la Chiesa, crea, proprio per questo motivo, comunione con Dio e comunità tra gli uomini -- «sacramento dell'intima unione con Dio e di tutto il genere umano» (Lumen gentium, 1) -- frutto del Mistero pasquale: realtà che si compie anche mediante il culto di adorazione che si rende all'Eucaristia fuori della messa.

L'Eucaristia è un tesoro inestimabile, che è inseparabile dal vivere la vita cristiana in comunione con il Mistero pasquale di Cristo. Non solo la sua celebrazione, ma anche il sostare davanti a essa, in adorazione, fuori della messa, ci dà la possibilità di attingere alla sorgente stessa della grazia, l'amore originale che dà la vita scaturendo dal costato aperto dell'Agnello immacolato: non ci sarà, pertanto, un altro modo di celebrare e partecipare all'Eucaristia che non sia in adorazione, in comunione con Cristo che si offre e unisce al Padre in una reciprocità senza misura. Questo è l'adorazione. Una comunità cristiana che voglia essere più in grado di contemplare il volto di Cristo deve sviluppare anche quest'aspetto del culto eucaristico, cioè l'adorazione, nel quale si prolungano e si moltiplicano i frutti della comunione al Corpo e al Sangue del Signore, al suo Mistero pasquale (cfr. Ecclesia de Eucaristia, 25).

All'Eucaristia è legato il sacramento dell'Ordine sacerdotale. L'unzione dello Spirito Santo, il giorno della nostra ordinazione, ci ha associato sacramentalmente allo stesso Gesù Cristo, unto unico sacerdote, sommo e definitivo, della nuova ed eterna alleanza nel sangue dell'Agnello, che è presente nell'Eucaristia. Così, «il mistero del sacerdozio della Chiesa sta nel fatto che noi, miseri esseri umani, in virtù del Sacramento, possiamo parlare con il suo “io” in persona Christi. Gesù Cristo vuole esercitare il suo sacerdozio per nostro tramite. Questo mistero commovente dovrebbe infatti stupirci in ogni celebrazione del Sacramento» (Benedetto XVI, Omelia nella messa del Crisma, 2006).

Affinché la routine quotidiana non guasti ciò che è così grande e misterioso, abbiamo bisogno di tornare al momento in cui Lui ci impose le sue mani, e ci ha resi partecipi di questo mistero. Abbiamo bisogno di tornare a quel momento in cui istituì il sacerdozio al tempo stesso che l'Eucaristia -- «Fate questo in memoria di me» -- e a quell'altro momento quando ci hanno imposto le mani e le nostre mani sono state unte. Con questi gesti lo stesso Gesù Cristo ha preso possesso di noi, e lo Spirito Santo, anche con tutta la nostra carica di fragilità e di miseria, «ci ha fatto segni che, come docili strumenti nelle Sue mani, si riferiscono a Cristo» (Sacramentum caritatis): sacramento della presenza sacerdotale unica e definitiva di Cristo.


Il Signore ha preso, in primo luogo, le nostre mani e ha messo su di esse il Suo proprio Corpo consegnato per gli uomini, come la vita del mondo, l'amore degli amori, per portarlo in questo mondo e riempirlo con il suo amore travolgente per tutti. Nella santa Eucaristia dona se stesso attraverso le nostre mani, si dona a noi. Il servizio grande e supremo che Gesù dà a tutti, come buon pastore che dà la vita per le sue pecore, è nella croce: consegna se stesso e non solo nel passato. Il mistero del dono che i sacerdoti hanno ricevuto attraverso l'imposizione delle mani e l'unzione è inseparabile dall'Eucaristia, al celebrarla non possiamo in ogni momento fare a meno di ricordare quelle parole consolatrici e di incoraggiamento di Gesù dopo aver istituito l'Eucaristia e il sacerdozio: «Io non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone, ma vi chiamo amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi» (Giovanni, 15, 15).

Il Signore mette nelle nostre mani, trasmette a ciascuno di noi, sacerdoti, il suo mistero più profondo e personale: vuole condividere il suo potere di salvezza. Facciamo presente tra gli uomini e per gli uomini quello che commemoriamo, cioè il mistero redentore, la salvezza, l'amore e la riconciliazione della croce per tutti gli uomini. Ma questo, ovviamente, richiede che noi, da parte nostra, corrispondiamo alla sua amicizia. Sì, noi siamo veri amici del Signore, siamo uniti a Lui, lo ascoltiamo, parliamo con Lui, per conoscerlo meglio ogni giorno nel rapporto di amicizia della preghiera. Lo cerchiamo e lo incontriamo dove si trova: nel tabernacolo, dove Lui è realmente presente, e nei poveri e nei sofferenti, con cui Egli si identifica; richiede che noi, da parte nostra, come esorta Paolo, abbiamo gli stessi sentimenti di Gesù, il quale avendo la forma di Dio spogliò se stesso assumendo la condizione di servo, si chinò e obbedì al Padre fino alla morte di croce (cfr. Filippesi, 2).

Essere veri amici di Gesù richiede, quindi, che i nostri sentimenti si conformino con i suoi sentimenti, che la nostra volontà si conformi alla sua, tutta indirizzata alla volontà del Padre: è il modo del tutto unico nel suo genere, per essere davvero uomini. Questo è e deve essere il nostro cammino di ogni giorno: conformarci a Lui, avere i suoi stessi sentimenti, intensificare l'amicizia con Lui. Avere gli stessi sentimenti di Gesù ed essere amici suoi sono due realtà che si richiamano e si esigono vicendevolmente. Vivere in comunione di pensiero, di sentimento, di volontà e di azione è vivere in amicizia con Gesù; perciò, non lo dimentichiamo, dobbiamo conoscere Gesù in una maniera più personale, ascoltandolo, vivendo con lui, stando con Lui.


(L'Osservatore Romano 6 febbraio 2013)


Caterina63
00martedì 18 giugno 2013 16:29




Attenzione:

san Giuseppe entra nelle preghiere eucaristiche 

In questi tempi di grave crisi della Chiesa Cattolica, talvolta siamo portati ad un certo scoraggiamento. Nostro Signore, però, non abbandona né la Chiesa né noi e la notizia di oggi ci riempie i cuori di gioia.

Infatti, tramite il decreto Paternas vices (prot. N. 215/11/L) della Congregazione per il Culto Divino e la disciplina dei Sacramenti – a firma del card. Prefetto, Antonio Canizares Llovera e datato 1° maggio 2013 – il Sommo Pontefice Francesco – portando a termine un percorso iniziato già sotto il venerato predecessore Benedetto XVI – ha ordinato che il nome di san Giuseppe dovrà comparire nella III edizione tipica del Messale Romano (quella che è in vigore nell’originale latino dal 2002 e che è in corso di traduzione in italiano) non solo nella Preghiera Eucaristica I (Canone Romano)(questo succede già dal 1962, dopo il provvedimento del beato Giovanni XXIII), ma anche nella II, III e IV.

La seconda preghiera apparirà così: “et cum beata Dei Genetrice Virgine Maria, beato Ioseph, eius Sponso, beatis Apostolis”.
La terza così: “cum beatissima Virgine, Dei Genetrice, Maria, cum beato Ioseph, eius Sponso, cum beatis Apostolis”.
La quarta così: “cum Beata Virgine, Dei Genetrice, Maria, cum beato Ioseph, eius Sponso, cum Apostolis”.


Attendendo la traduzione ufficiale in italiano che probabilmente verrà fornita dalla Congregazione medesima, provvediamo a fornire una nostra modesta traduzione non ufficiale.

Per la seconda preghiera eucaristica: “insieme con la beata Maria, Vergine e Madre di Dio, con San Giuseppe, suo sposo, con gli apostoli”.
Per la terza: “con la beata Maria, Vergine e Madre di Dio, con san Giuseppe, suo sposo, con i tuoi santi apostoli”.
Per la quarta: “con la beata Maria Vergine e Madre di Dio, con san Giuseppe, suo sposo, con gli apostoli”.

Dunque, tra qualche tempo in tutte le chiese – sperando ovviamente che alcuni reverendi sacerdoti non facciano di testa loro, disattendendo le indicazioni di Roma, magari in nome dell’ “ecumenismo” o di una “fede adulta” – dell’orbe cattolico risuonerà, nel momento più alto di tutta la celebrazione, il carissimo nome di san Giuseppe, padre putativo di Nostro Signore Gesù Cristo, patrono della Chiesa universale, terrore dei demoni, conforto dei moribondi.

Già sin d’ora il beatissimo sposo della santissima Vergine si degni di intercedere per tutta la Chiesa universale – ma crediamo non abbia mai smesso di farlo, in questi anni – affinché copiose grazie discendano su tutto il Corpo mistico del Signore Nostro Gesù Cristo.
Interceda pure il beato Giovanni XXIII, che supponiamo dal cielo si stia rallegrando di questo provvedimento del suo successore.
E, concludendo, un ringraziamento dal profondo del cuore per questo provvedimento al regnante Pontefice Francesco e pure al Papa emerito Benedetto XVI.

Via: http://wdtprs.com/blog/2013/06/action-item-st-josephs-name-now-in-eucharistic-prayers-ii-iii-iv/

sanGiuseppe





    IL DRECRETO UFFICIALE:

Lo scorso 1° maggio la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti ha emesso un Decreto con il quale ha disposto che, come già avviene nel Canone Romano, anche nelle Preghiere eucaristiche II, III e IV della terza edizione tipica del Messale Romano, dopo la Beata Vergine Maria, si faccia menzione del nome di San Giuseppe, Suo Sposo.

 Pubblichiamo di seguito il testo del Decreto in lingua latina e nelle varie traduzioni, nonché le formule che spettano al nome di San Giuseppe nelle suddette Preghiere eucaristiche, in latino e nelle traduzioni nelle lingue occidentali di maggiore diffusione:
•TESTO DEL DECRETO IN LINGUA LATINA


 DECRETUM

Paternas vices erga Iesum exercens, in oeconomia salutis super Familiam Domini constitutus munus gratiae Sanctus Ioseph Nazarenus luculenter adimplevit et, humanae salutis mysteriorum primordiis summopere adhaerens, benignae humilitatis est exemplar, quam christiana fides sublimes ad fines provehit, et documentum communium humanarum simpliciumque virtutum, quae necesse sunt, ut homines boni sint verique Christi sectatores. Per eas vir Iustus ille, amantissimam gerens Dei Genetricis curam laetantique studio Iesu Christi sese institutioni devovens, pretiosissimorum Dei Patris thesaurorum custos factus est et tamquam mystici illius corporis, quae est Ecclesia, subsidium assiduo populi Dei cultu per saecula prosecutus est.

In Catholica Ecclesia christifideles iugem erga Sanctum Ioseph praebere consueverunt devotionem ac sollemnioribus ritibus assiduoque cultu castissimi Deiparae Sponsi memoriam adhuc utpote caelestis universae Ecclesiae Patroni adeo percoluerunt, ut iam Beatus Ioannes Pp. XXIII tempore Sacrosancti Oecumenici Concilii Vaticani Secundi nomen eius vetustissimo Canoni Romano addi decerneret. Quae honestissima placita pluribus ex locis perscripta Summus Pontifex Benedictus XVI persolvenda suscepit atque benigne approbavit ac Summus Pontifex Franciscus nuperrime confirmavit, prae oculis habentes plenam illam communionem Sanctorum, qui iam nobiscum viatores in mundo ad Christum nos adducunt eique coniungunt.

Exinde, attentis expositis, haec Congregatio de Cultu Divino et Disciplina Sacramentorum, vigore facultatum a Summo Pontifice Francisco tributarum, perlibenter decrevit, ut nomen Sancti Ioseph Beatae Mariae Virginis Sponsi Precibus eucharisticis II, III et IV, quae in editione typica tertia Missalis Romani sunt, posthac adiciatur, post nomen Beatae Virginis Mariae additis verbis, uti sequitur: in Prece eucharistica II: « ut cum beáta Dei Genetríce Vírgine María, beáto Ioseph, eius Sponso, beátis Apóstolis »; in Prece eucharistica III: « cum beatíssima Vírgine, Dei Genetríce, María, cum beáto Ioseph, eius Sponso, cum beátis Apóstolis »; in Prece eucharistica IV: « cum beáta Vírgine, Dei Genetríce, María, cum beáto Ioseph, eius Sponso, cum Apóstolis ».

Circa textus lingua latina exaratos, adhibeantur hae formulae, quae nunc typicae declarantur. De translationibus in linguas populares occidentales maioris diffusionis ipsa Congregatio mox providebit; illae vero in aliis linguis apparandae ad normam iuris a Conferentia Episcoporum conficiantur, Apostolicae Sedi per hoc Dicasterium recognoscendae.

Contrariis quibuslibet minime obstantibus.

Ex aedibus Congregationis de Cultu Divino et Disciplina Sacramentorum, die 1 mensis Maii anno 2013, sancti Ioseph opificis.

Antonius Card. Cañizares Llovera
 Praefectus

 + Arturus Roche
 Archiepiscopus a Secretis


TRADUZIONE IN LINGUA ITALIANA


 DECRETO

Mediante la cura paterna di Gesù, San Giuseppe di Nazareth, posto a capo della Famiglia del Signore, adempì copiosamente la missione ricevuta dalla grazia nell’economia della salvezza e, aderendo pienamente agli inizi dei misteri dell’umana salvezza, è divenuto modello esemplare di quella generosa umiltà che il cristianesimo solleva a grandi destini e testimone di quelle virtù comuni, umane e semplici, necessarie perché gli uomini siano onesti e autentici seguaci di Cristo. Per mezzo di esse quel Giusto, che si è preso amorevole cura della Madre di Dio e si è dedicato con gioioso impegno all’educazione di Gesù Cristo, è divenuto il custode dei più preziosi tesori di Dio Padre ed è stato incessantemente venerato nei secoli dal popolo di Dio quale sostegno di quel corpo mistico che è la Chiesa.

Nella Chiesa cattolica i fedeli hanno sempre manifestato ininterrotta devozione per San Giuseppe e ne hanno onorato solennemente e costantemente la memoria di Sposo castissimo della Madre di Dio e Patrono celeste di tutta la Chiesa, al punto che già il Beato Giovanni XXIII, durante il Sacrosanto Concilio Ecumenico Vaticano II, decretò che ne fosse aggiunto il nome nell’antichissimo Canone Romano. Il Sommo Pontefice Benedetto XVI ha voluto accogliere e benevolmente approvare i devotissimi auspici giunti per iscritto da molteplici luoghi, che ora il Sommo Pontefice Francesco ha confermato, considerando la pienezza della comunione dei Santi che, un tempo pellegrini insieme a noi nel mondo, ci conducono a Cristo e a lui ci uniscono.

Pertanto, tenuto conto di ciò, questa Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, in virtù delle facoltà concesse dal Sommo Pontefice Francesco, di buon grado decreta che il nome di San Giuseppe, Sposo della Beata Vergine Maria, sia d’ora in avanti aggiunto nelle Preghiere eucaristiche II, III e IV della terza edizione tipica del Messale Romano, apposto dopo il nome della Beata Vergine Maria come segue: nella Preghiera eucaristica II: « ut cum beáta Dei Genetríce Vírgine María, beáto Ioseph, eius Sponso, beátis Apóstolis »; nella Preghiera eucaristica III: « cum beatíssima Vírgine, Dei Genetríce, María, cum beáto Ioseph, eius Sponso, cum beátis Apóstolis »; nella Preghiera eucaristica IV: « cum beáta Vírgine, Dei Genetríce, María, cum beáto Ioseph, eius Sponso, cum Apóstolis ».

Quanto ai testi redatti in lingua latina, si utilizzino le formule che da ora sono dichiarate tipiche. La Congregazione stessa si occuperà in seguito di provvedere alle traduzioni nelle lingue occidentali di maggior diffusione; quelle da redigere nelle altre lingue dovranno essere preparate, a norma del diritto, dalla relativa Conferenza dei Vescovi e confermate dalla Sede Apostolica tramite questo Dicastero.

Nonostante qualsiasi cosa in contrario.

Dalla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, 1 maggio 2013, S. Giuseppe artigiano.

Antonio Card. Cañizares Llovera
 Prefetto

  + Arthur Roche
 Arcivescovo Segretario




 Nella Preghiera eucaristica II:
«insieme con la beata Maria, Vergine e Madre di Dio, con san Giuseppe, suo sposo, con gli apostoli...»;

Nella Preghiera eucaristica III:
«con la beata Maria, Vergine e Madre di Dio, con san Giuseppe, suo sposo, con i tuoi santi apostoli....»;

Nella Preghiera eucaristica IV:
«con la beata Maria, Vergine e Madre di Dio, con san Giuseppe, suo sposo, con gli apostoli...».


San Giuseppe? Che ci aiuti
a seguire i suoi passi


    di Antonio, cardinale,Cañizares Llovera

    È stato reso pubblico il decreto della Congregazione per il Culto divino e la disciplina dei sacramenti in virtù del quale il nome di san Giuseppe viene aggiunto nelle preghiere eucaristiche ii, iii e iv, apposto dopo quello di Maria, Vergine e Madre di Dio. Già dal pontificato di Giovanni XXIII il suo nome era stato aggiunto nella prima preghiera, il cosiddetto "Canone romano". Ci rallegriamo di questa scelta che in tanti aspettavamo.

    San Giuseppe, è senza alcun dubbio una figura vicina e cara al cuore del popolo di Dio, una figura che invita a cantare incessantemente la misericordia del Padre, perché il Signore ha compiuto in lui grandi opere e ha mostrato la sua infinita misericordia verso gli uomini. Non possiamo dimenticare che la figura di san Giuseppe, pur restando alquanto nascosta e nel silenzio, riveste un'importanza fondamentale nella storia della salvezza. A lui Dio affidò la custodia dei suoi tesori più preziosi: il suo Figlio unigenito, fattosi carne, e la sua Madre santa, sempre Vergine. A lui obbedì Gesù Cristo, autore della nostra salvezza; in lui abbiamo il grande intercessore presso il Figlio di Dio, nostro redentore, che nacque dalla Vergine Maria, sua sposa; in lui abbiamo l'esempio dell'uomo fedele e credente e del servo prudente.

    Sono pochissime le allusioni a san Giuseppe nei Vangeli, e solo in Matteo e in Luca; tuttavia, con grande sobrietà, ci offrono i tratti che delineano questa singolare figura, nella quale Dio ha trovato una docilità totale per portare a termine le sue promesse. Giuseppe, sposato con Maria, era della casa di Davide. Così unì Gesù alla discendenza davidica, di modo che, compiendo le promesse fatte sul Messia, il Figlio della Vergine Maria, per opera dello Spirito Santo, potesse veramente chiamarsi "figlio di Davide". Davide non vedrà il suo successore promesso, "il cui trono durerà per sempre", perché questo successore annunciato, velatamente nella profezia di Natan, è Gesù.

    Davide confida in Dio. Allo stesso modo, Giuseppe confida in Dio quando ascolta il messaggero, l'angelo, che gli dice: "Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo". E Giuseppe "fece come gli aveva ordinato l'angelo".
    Matteo dice che Giuseppe, "poiché era un uomo giusto", obbedì al mandato. Dire che era giusto significa dire tutto di Giuseppe; non significa solo che era un uomo buono e comprensivo; vuole indicare anche e semplicemente il vigore e la solidità di tutta la sua persona che si caratterizzano nella sua identità più profonda, fino a definirlo per il suo vivere della fede, come "il giusto vive della fede", il suo confidare pienamente nel Signore, e quindi il suo essere interamente benedetto da Dio, come l'albero che cresce accanto alle acque del fiume. Il giusto è colui che cammina nella legge del Signore e ascolta le sue richieste, colui che vive nella totale comunione con il volere divino e realizza la sua verità, colui che resta fermo nell'incrollabile fedeltà di Dio, e prende parte alla sua consistenza, che è quella di Dio stesso.

    Per l'uomo giusto, come viene ritenuto e giudicato Giuseppe, giunge il momento della prova, una dura prova per la sua fede e per la sua fedeltà. Promesso di Maria, prima di andare a vivere con lei scopre la sua misteriosa maternità e ne resta turbato. L'evangelista Matteo sottolinea proprio che, essendo giusto, non voleva ripudiarla e decise quindi di licenziarla in segreto. Ma, di notte, in sogno, l'angelo gli fece capire che era opera dello Spirito Santo; e Giuseppe, fidandosi di Dio, e rinunciando a se stesso e al suo giudizio, al suo modo di vedere le cose e al suo progetto, accetta e collabora con il piano di salvezza: lascia che Dio sia Dio, senza imporgli alcuno stampo o criterio umano preesistente, prestabilito dall'uomo.

    Certo l'intervento divino nella sua vita non poteva non turbarne il cuore, sommerso nell'oscurità della notte, e della mancanza di luce in quel momento. Confidare in Dio non significa infatti vedere tutto chiaro secondo i nostri criteri, non significa realizzare ciò che abbiamo programmato; confidare in Dio vuol dire espropriare se stessi, ossia svuotarsi di se stessi, rinunciare a se stessi, perché solo chi accetta di perdersi per Dio può essere "giusto", con la giustizia o la verità di Dio, come san Giuseppe; ovvero può conformare la propria volontà e il proprio volere a Dio, al suo disegno, e così vivere e camminare nella verità e nella luce. Nella storia Giuseppe è l'uomo che ha dato la più grande prova di fedeltà e di fiducia a Dio, persino dinanzi a un annuncio così sorprendente. In lui vediamo la fede del nostro padre Abramo, padre dei credenti.

In Giuseppe troviamo un autentico erede della stessa fede di Abramo; fede in Dio che guida gli eventi della storia secondo il suo misterioso disegno salvifico. In realtà, come dice la Lettera agli Ebrei parlando di Abramo, anche Giuseppe "credette contro ogni speranza". Ebbe totale fiducia in Dio. La sua fede è come quella della sua sposa Maria, che dice: "Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto". In questa fede, e proprio grazie a essa, vediamo quanto Giuseppe sia unito alla sua sposa per compiere la volontà di Dio, per fare quello che Dio vuole, per ascoltare e obbedire alla Parola di Dio, a ciò che Dio ordina, e realizzare così il disegno divino: beato "perché ha ascoltato la parola di Dio", l'ha accolta, le ha obbedito, senza nessuna certezza umana, fidandosi solamente di quello che il messaggero gli ha trasmesso. Come lo stesso Gesù, fattosi uomo nel grembo di Maria, per opera dello Spirito Santo: "un corpo mi hai preparato (...). Ecco io vengo (...). Per fare, o Dio, la tua volontà".


    Questa grandezza di Giuseppe, che è la grandezza della fede, come quella di Maria, emerge ancora di più perché ha compiuto la sua missione in modo umile e nascosto nella casa di Nazareth. Del resto, Dio stesso, nella persona del suo Figlio incarnato, ha scelto questo cammino e questo stile - quelli dell'umiltà e del nascondimento - nella sua esistenza terrena. Giuseppe, come lo descriveva il beato Giovanni Paolo ii, è l'uomo del silenzio, del "silenzio di Nazareth". È lo stile che lo caratterizza in tutta la sua esistenza: come nella notte in cui è nato Gesù, come quando ascolta l'anziano Simeone, o quando Gesù viene ritrovato nel tempio e ricorda ai sui genitori che deve occuparsi delle cose del Padre suo, perché solo Dio è nostro Padre e "ogni paternità viene da Dio".

    Possiamo considerare san Giuseppe benedetto e beato, perché fu il primo a cui venne confidato direttamente il mistero dell'incarnazione, il compimento delle promesse di Dio, del Dio con noi, l'Emmanuele. E come Maria, mantenne questo segreto nascosto ai secoli e rivelato nella pienezza dei tempi. Lo serbò nel cuore e lo custodì; perché il "segreto" era il Figlio di Maria, al quale avrebbe dato il nome di Gesù, il "Salvatore" di tutti gli uomini, messia e Signore.

    A Giuseppe il Padre celeste affidò la cura quotidiana di suo figlio, sulla terra, una cura realizzata nell'ubbidienza, nell'umiltà e nel silenzio. A lui spettarono l'onore e la gloria di allevare Gesù, ossia di nutrirlo e d'istruirlo, di guidarlo lungo i cammini della vita perché imparasse a essere uomo, perché imparasse a lavorare come uomo, ad amare come uomo con cuore di uomo, perché s'inserisse in una storia e in una tradizione concreta, quella del Popolo di Dio eletto e amato, per educarlo come uomo e per educarlo anche nella preghiera di quel popolo a pregare come uomo.

    Quanto è meraviglioso il fatto che il Figlio di Dio si sia sottomesso così a Giuseppe e abbia imparato a obbedire e a camminare nella vita dell'uomo accanto a Giuseppe! Come riflette bene tutto ciò quel meraviglioso dipinto di El Greco, esposto nella sacrestia della cattedrale di Toledo, a detta degli esperti uno dei quadri più belli del pittore, toledano di adozione: Gesù, bambino, pieno di gioia guidato da Giuseppe, che l'osserva attentamente con uno sguardo di tenerezza e di fede incomparabili, che cammina con lui, che lo tiene con la mano, con lo sguardo rivolto a Gesù e all'orizzonte, o meglio al cielo, ripercorrendo il cammino della propria vita.

    Come non rendere grazie a Dio per questa meraviglia che Egli ha compiuto tra gli uomini: Giuseppe, il giusto, sposo della Vergine Maria, il falegname di Nazareth, del quale Gesù era ritenuto il figlio, per disprezzarlo per la sua umile condizione, ma così grande agli occhi di Dio da affidargli la custodia di suo Figlio e di sua Madre, Dio che continua oggi ad affidargli la protezione e il sostegno della Chiesa, di cui Maria è immagine e madre?

    Come non fare menzione del suo nome, accanto a quello della sua sposa, la Vergine Madre di Dio, Maria, nelle preghiere eucaristiche, se occupa un posto così importante nella storia della salvezza, nella pienezza di questa storia, nell'opera redentrice di Gesù, il Salvatore, nato da Maria Vergine per opera dello Spirito Santo? Come non tenerlo presente ogni volta che celebriamo il memoriale del mistero pasquale, nell'Eucaristia, che fa la Chiesa, essendo così legato a ciò che è la Chiesa, e la custodisce, come suo protettore universale?

Che questo inserimento del nome di san Giuseppe ci aiuti tutti a seguire i suoi passi, la sua fede, la sua fedeltà e la sua prontezza nel compimento silenzioso della missione che la Chiesa affida a ognuno di noi, per servire Gesù, nel quale è la salvezza del mondo intero, e servirlo come lui, suo grande servo e servitore, lo ha servito: con tutto il suo essere, con tutto il suo cuore.




(L'Osservatore Romano 20 giugno 2013)

Caterina63
00martedì 2 settembre 2014 10:54





Dunque in tutte le chiese dell’orbe e dell'urbe cattolico – sperando ovviamente che alcuni reverendi sacerdoti non facciano di testa loro, disattendendo le indicazioni di Roma, magari in nome dell’ “ecumenismo” o di una “fede adulta” – risuonerà, nel momento più alto di tutta la celebrazione, il carissimo nome di san Giuseppe, Casto Sposo di Maria Vergine, Padre putativo di Nostro Signore Gesù Cristo, Patrono della Chiesa universale, terrore dei demoni, conforto dei moribondi. In attesa delle traduzioni, ci auguriamo che in questo caso la creatività dei sacerdoti si attivi per aggiungere a matita ciò che manca nel Messale in attesa di ricevere quello nuovo.


E, concludendo, un ringraziamento dal profondo del cuore per questo provvedimento al regnante Pontefice Francesco e pure al Papa Benedetto XVI il quale aveva avviato l'iniziativa che non è affatto una novità, ma un provvedimento preso durante il concilio.

 

Vi offriamo infatti un inedito.

 

L'allora Arcivescovo di Cracovia, Karol Wojtyla (San Giovanni Paolo II, Papa), partecipe attivo al concilio, così raccontò i fatti in un intervento a Radio Vaticana (1):

 

"Oggi sono invitato a parlare sulla mia partecipazione al concilio ecumenico: innanzitutto desidererei far capire ai miei ascoltatori l’atmosfera che vi regna.

È l’atmosfera della Chiesa. La basilica di san Pietro, nelle sue dimensioni monumentali, favorisce molto la creazione di un’atmosfera simile.

Dopo le 8 di mattina da diverse parti di Roma iniziano ad arrivare gli autobus con i vescovi. Prima ancora che abbiano inizio i lavori giornalieri, li vediamo a gruppi interi inginocchiati sia presso la Confessione di san Pietro, sia in altri punti della basilica. Un luogo particolarmente frequentato è la cappella di san Giuseppe — si sa che è stato proclamato patrono del concilio - e anche l’altare sotto il quale riposano le spoglie del santo pontefice Pio X, il primo papa del nostro secolo.

La basilica a poco a poco si popola sempre più, i vescovi occupano i loro posti, ha inizio la Santa Messa, alla quale tutti partecipano pregando insieme. Di tanto in tanto la Santa Messa conciliare viene celebrata in uno dei riti liturgici particolari. La molteplicità dei riti non diminuisce l’unità della Chiesa.

Dopo La Santa Messa si compie l’intronizzazione solenne del Vangelo, durante la quale tutti cantano il Credo. Il concilio inizia così il suo lavoro quotidiano.

(...)

Ora desidero portare l’attenzione dei miei ascoltatori verso una questione particolare.

 

Ecco: in seguito a molte voci emerse al concilio, e ancora prima del suo inizio, il Santo Padre Giovanni XXIII ha deciso che al Canone della Santa Messa, prima della transustanziazione, venga introdotto, dopo il nome della Beata Vergine Maria, il nome di san Giuseppe. Nella preghiera che comincia con le parole «communicantes et memoriam venerantes...» precederà i nomi di tutti gli apostoli e dei martiri.

 

Proviamo a meditare sul significato di tale decisione, che può sembrare qualcosa di insignificante e poco importante a coloro che sono lontani dalla realtà della Chiesa. San Giuseppe merita una particolare venerazione per la ragione ovvia che è molto vicino a Cristo e a sua Madre.

Nessuno fu associato quanto lui all’Incarnazione del Figlio di Dio. Per molto tempo su di lui gravò particolarmente la responsabilità per il destino della Parola incarnata a Betlemme, durante l’esilio in Egitto, a Nazareth. Lui, insieme a Maria, entrò per primo nella vita del Signore Gesù e vi rimase più a lungo.

 

Gli apostoli entrarono in quella vita più tardi e stettero più brevemente con Cristo Signore.

Tuttavia presero in carico, dalle mani e dalla bocca del Salvatore, la grande missione dell’insegnamento e della creazione della Chiesa, sacrificando per essa tutta la loro vita fino a morire.

Essi rinascono continuamente nei loro successori. Tutta la struttura della Chiesa, per volontà del Creatore Divino, fa continuo riferimento a loro. Tutti i vescovi riuniti al concilio, in unione con il Santo Padre, costituiscono un prolungamento del Collegio apostolico.

Questi vescovi prima hanno accolto con gioia la notizia che il Santo Padre aveva nominato san Giuseppe patrono del concilio, seguita poi, già durante le prime sessioni, dalla decisione, in virtù della quale il suo nome viene introdotto nel Canone della Santa Messa.

Infatti siamo consapevoli del fatto che la Chiesa deve sempre trovarsi nel luogo in cui humanis divina iunguntur, dove ha luogo l’incontro dell’elemento divino con quello umano.

E un incontro, e poi uno sviluppo creativo, dal quale, nonostante tutte le difficoltà, le avversità e gli insuccessi, emerge una nuova forma di vita umana, un nuovo volto della terra. San Giuseppe è proprio colui che, nel piano della Provvidenza, si trovò incredibilmente vicino al primo punto di contatto dell’elemento divino con quello umano.

Certamente, questo primo incontro, e la prima fase della vita del Figlio di Dio nella storia dell’umanità, furono affidati alla sua cura. Sappiamo che era un tutore perfetto, e anche per questo è stato scelto come patrono di un concilio che, nell’oggi dell'umanità, desidera esprimere e consolidare quell’incontro della vita divina con quella umana.

Il Vangelo, prima di essere annunciato, assunse in primo luogo la forma della vita umana.

Assunse questa prima forma a Betlemme e a Nazareth, dove c’era Giuseppe. Anche oggi si tratta di far sì che il Vangelo sia annunciato in modo da poter assumere la forma della vita umana, della vita umana contemporanea, così da poterci raccogliere nell’unione anelata di tutti i seguaci di Cristo, di tutte le persone credenti, e nel contempo di far sì che per i non credenti sia oggetto di riflessione.

Il concilio ha sempre davanti agli occhi l’esigenza che il Vangelo sia vissuto nel nostro tempo. Ciò viene appunto espresso nelle parole renovata accommodatio.

San Giuseppe, stando così vicino a quel punto di contatto della vita divina con quella umana, ci aiuta soprattutto a intendere due grandi questioni dell’esistenza umana: la prima di esse è la famiglia e la seconda è il lavoro.

Era infatti il capofamiglia.

Come Coniuge-Sposo si assunse la massima responsabilità per la Madre-Vergine e, come pater putativus, tutore di suo Figlio, la responsabilità più splendida per il destino dell’opera di reden-zione.

 

Quanti contenuti antichi e moderni vi sono celati al tempo stesso. Quante questioni delicate e profonde, nel contempo comuni, quotidiane della vita di ogni persona — di ogni uomo, marito, padre e accanto a lui di ogni donna, madre, sposa - quante di queste questioni possiamo leggere nella prima fase del Vangelo quando assunse la forma della vita della Famiglia di Nazaret. Quante ne intendiamo proprio grazie a san Giuseppe !

Come si evidenzia in tale luce il valore del lavoro umano, di ciascun lavoro fisico e intellettuale ! Il lavoro di san Giuseppe servì a mantenere in vita Dio. Le opere delle mani umane, tutte, da quelle più semplici a quelle più raffinate, trovarono nell'officina di quel carpentiere il più elevato riconosci-mento divino. Entrarono nel programma della nostra salvezza.

Durante il concilio, trovandosi nel luogo dell’incontro di ciò che è divino con quanto è umano, la Chiesa desidera essere molto vicina a tutte le persone e alle questioni della vita umana più essenziali.

Proprio in questo la aiuta san Giuseppe. La presenza del suo nome nel Canone della Santa Messa avvicina in un certo senso tali questioni al centro divino, al centro costituito dalla transustanziazione, il centro del sacrificio e dell’adorazione e, nel contempo, dell’amore e della grazia. Occorre ora che tutte le persone unite al concilio, con l’aiuto di san Giuseppe, si trovino più vicino a quel centro: questo è il nostro augurio più profondo.

Il vescovo che è arrivato alla tomba di san Pietro dalla tomba di san Stanislao a Cracovia rivolge quest’augurio e i saluti soprattutto all’arcidiocesi di Cracovia, a tutte le famiglie, ai genitori e ai bambini, ai ragazzi, ai miei fratelli nel sacerdozio, ai fratelli e alle sorelle religiosi, a te, fratello mio nel episcopato. Sono qui unito a voi con la forza della vostra unione con me. Res nostra agitur.

 

 

______________

 

1) da: Il rinnovamento della Chiesa e del mondo.

Riflessioni sul Vaticano II 1962-1966 di Karol Wojtyla

Ed. Fondazione Giovanni Paolo II LUP - Lateran University Press - 2014

 





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