ATTILA..... il flagello di Dio che san Leone Magno, senza spade, rese mansueto

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Caterina63
00venerdì 11 novembre 2011 13:46
Attila e  san Leone Magno

 


Attila il flagello di Dio e san Leone I Magno, Pontefice

 

Come iniziò la storia di Attila che un giorno decise di mettere a fuoco l'Occidente per impadronirsene?

 

Ahimè, come fu Eva a spingere Adamo a commettere quel danno, ancora una volta, una donna, irrequieta e perfino cristiana, fu all'origine delle violente reazioni di Attila, che solo un Santo Pontefice seppe ricondurre alla ragione.

Senza dubbio che Attila sarebbe giunto in Italia anche senza la provocazione di una donna, ma la storia di Onoria, perchè è di lei che parliamo, è così brevemente narrata.

 

Alla Corte di Ravenna viveva Valentiniano III e sua sorella Onoria.

Questa principessa era tanto bella quanto altrettanto irrequieta e trovava assai triste la vita di corte.

Onoria sognava di infrangere ogni giorno quelle etichette e sognava ad occhi aperti avventure, ma ben presto molti si ebbero a lamentare del comportamento della principessa tanto che, la madre Galla Placidia, per evitar peggior guai, decise di farla allontanare un pò dalla città, mandandola a Bisanzio.

Quando la nave attraccò in porto, il cuore della principessa si accese e s'infiammò dei tanti nuovi aromi, del Corno d'Oro, il panorama vastissimo e giocondo della città promettevano una vita gioiosa all'irrequieta Onoria, ma ben presto dovette cambiare idea.

Il palazzo imperiale di Bisanzio, infatti, ai tempi di Teodosio II, era una specie di convento, molto fastoso, sì, ricco di ogni comodità per l'epoca, con molta servitù, ma retto da una rigidissima  ed austera disciplina. L'imperatore, per esempio, passava le ore libere dagli affari di Stato a trascrivere e miniare con arte minuziosa e perfetta gli scritti degli autori prediletti; l'imperatrice Eudossia, bellissima, intelligente e raffinata, figlia di un filosofo e dotta essa stessa di filosofia e pure di teologia, si occupava di problemi religiosi e dogmatici; le tre sorelle maggiori dell'imperatore, pur vivendo nel palazzo, si erano consacrate al Signore, mantenendo in casa stessa un clima da monastero.

L'ardente Onoria di fronte a tutto questo non potè resistere, e già rimpiangeva la corte di Ravenna!

Un giorno venne a sapere delle invasioni di Attila, e subito il suo cuore s'accese, senza sapere neppure chi fosse, come era, a lei l'affascinava l'avventura.

Mentre seppe di uno schiavo che andava dalle parti dove si trovava Attila, verso la Tracia e fino nella Pannonia dove c'era il suo accampamento, lo commissionò di recargli un suo anello accompagnato da una lettera nella quale l'ingenua fanciulla gli si offriva come sposa portandogli in dote una buona parte di dominio dell'Occidente.

Ad Attila che era pagano e aveva un intero harem, assai poco dovette interessare di quella irrequieta e forse anche un pò viziata principessa, ma ciò che aveva catturato l'attenzione del Re Unno era la dote: gli si offriva l'occasione di diventare imperatore di non poca porzione dei territori d'Occidente.

Forte di quella promessa di matrimonio avanzata dalla principessa, e dell'anello quale pegno, Attila cominciò a mandare ambasciatori a chiedere in sposa Onoria.

Naturalmente le richieste, prima a Bisanzio, poi a Ravenna quando la principessa era rientrata, furono respinte.

L'imprudente e viziata sognatrice aveva messo in moto una macchina più grande di lei e dei suoi stessi sogni che ben presto s'infrangeranno in amare lacrime, infatti, per riparare al danno, fu costretta ad essere maritata in fretta per testimoniare il fatto che le ambasciate di Attila, erano giunte tardi, poi fu chiusa in carcere affinchè non combinasse più guai e fino a quando non avesse maturato le responsabilità di cui doveva prendersi cura per continuare a mantenere il nome con l'appannaggio della corte.

Ma la precauzione di far sposare Onoria arrivò tardi; Attila aveva fiutato che il pretesto era troppo buono per lasciarselo sfuggire, e continuò ad avvalersi di quella lettera portando avanti alcune trattative, ma quando vide che queste non approdavano a nulla, prese le mosse verso l'invasione all'Occidente.

 


Attraversando la Germania, le schiere di Attila si accrebbero di altre tribù germaniche, pronte a muover battaglia e, nell'anno 451, Attila varcava il Reno, pronto ad invadere la Gallia.

L'unico che poteva fronteggiare il pericolo era Flavio Ezio, il capo delle milizie; ma le legioni imperiali erano scarse dinanzi ad una impresa così grande.

Ezio allora corse in Gallia per stringere una alleanza coi Visigoti, che fin dai tempi d'Ataulfo s'erano stanziati in Aquitania; tale alleanza era anche per essi vantaggiosa vista la minaccia di Attila che incombeva su di loro stessi, e così Teodorico, loro re, unì le sue schiere a quelle di Ezio.

Attila aveva varcato il Reno e le sue orde erano giunte sul suolo della Gallia, portando ovunque sangue, devastazione, orrore. Troyes, per esempio, fu risparmiata, per come ci raccontano le cronache, grazie alla protezione di san Lupo ed anche Parigi per santa Genoveffa verso i quali, i cittadini, avevano moltiplicato preghiere e suppliche, voti, digiuni e penitenze, scongiurando, non si sa come, l'allontanamento prodigioso degli Unni che decisero di non entrarvi. Mentre Metz venne completamente incendiata e i cittadini per oltre la metà uccisi con metodi orripilanti, Tangre venne invece completamente rasa al suolo dopo un violento saccheggio e la profanazione di molte fanciulle.

Attila intanto, giunto ad Orleans, vi pose il suo assedio.

La città era letteralmente terrorizzata, il Vescovo Aniano si valse di tutta la sua autorità di uomo virtuoso e saggio, e di Ministro di Dio paziente e di Preghiera, per sostenere i cittadini, consolarli, infondendo loro la speranza e la forza, il sacro timor di Dio, in attesa dell'arrivo dei soccorsi.

Infatti, mentre gli Unni erano già entrati nei sobborghi, apparvero come un prodigio le schiere di Ezio e Teodorico, le preghiere erano state esaudite.

Attila toglieva in fretta l'assedio, ma non per rinunciar alla battaglia, piuttosto per riorganizzare le schiere, e si fermò nella Sciampagna, in una località detta Campi Catalaunici dove avvenne lo scontro.

La battaglia fu terribile, per molte ore incerta, ma alla fine l'abilità di Ezio con le legioni imperiali e la forza ordinata alla giusta causa dei Visigoti, ebbe ragione sui nemici; Attila venne sconfitto, sul campo di battaglia giacevano centomila morti tra i quali lo stesso re Teodorico, re dei Visigoti, che come in un gioco imprevisto morì per salvare quella Roma che, suo padre Alarico, aveva a suo tempo presa e messa a sacco, morì Teodorico da eroe, come per riscattare le gesta del padre.

 

Intanto, Attila, sconfitto si ritirò oltre il Reno, ma per opera di Flavio Ezio l'Impero Romano aveva riportato la sua ultima vittoria.

Attila infatti, non per nulla un "barbaro", non si era affatto afflitto o avvilito, e neppure aveva perso il suo prestigio, l'invasione in verità, era appena cominciata, la sua cupidigia verso l'Impero d'Occidente, eccitava continuamente la sua rabbia, e nessuno e nulla su questa terra, avrebbe potuto fermare il suo furore e così, dopo lo svernamento del 452, egli rimontò a cavallo ma invece di attaccare la Gallia decise di scendere direttamente in Italia.

 

Alla fine dell'inverno Attila mandò i suoi messi a Ravenna a chiedere di nuovo Onoria e la sua dote, ma ricevuta risposta che la fanciulla era già convolata a nozze, il re Unno si mosse verso il Friuli ma, valicato il Carso si trovò davanti uno ostacolo non tanto leggero, la città fortificata di Aquileia, sede di un grande Patriarcato la cui autorità era su tutto il Veneto e l'Istria, città ricca e prospera.

Ma le schiere di Attila erano spesso formate da Barbari che in passato avevano combattuto nell'esercito romano come mercenari, e così sapevano spesso le loro strategie, come agivano, come si muovevano, conoscevano la tattica latina; ma l'arte di costruire catapulte, organizzare assedi ecc... superava le loro cognizioni di meccanica e di tecnica e così, dopo tre mesi di assedio, tra gli Unni cominciò a diffondersi il malumore, anche i viveri scarseggiavano.

E così, mentre un giorno Attila stava quasi decidendo di abbandonare l'impresa, facendo un ultimo giro delle mura per scoprire un punto debole, egli guardò il alto e vide una cicogna volar via coi suoi piccoli; or si sa che la cicogna è fra gli uccelli più affezionati ai tetti delle case degli uomini, perchè vi trovano cibo, acqua ed anche un buon posto per il nido al quale si affeziona ritornando ogni anno. Attila, vedendo andar via la cicogna coi piccoli, comprese che la città doveva allora essere affamata, vuol dire che non c'era più un chicco di grano per la cicogna.

E così fu, ahimè, che Attila convinse le sue schiere a resistere, e quando attaccò sfondando una breccia, la sua strategia si era rivelata vincente: i cittadini erano così affamati che molti erano perfino morti, non vi fu alcuna resistenza.

Quello che accadde ad Aqileia non si può narrare!


continua.........

Caterina63
00venerdì 11 novembre 2011 13:48

Attila da allora si compiaceva perciò di farsi chiamare "flagello di Dio" e, la leggenda che dove egli passava non crescesse neppur un filo d'erba, lusingava la sua feroce vanità, tale era il sovrano e tale anche il suo popolo che lo osannava.

Po la marcia dei Barbari riprese ancor più spaventosa, senza più trovar ostacoli, nè freno: Altino, Concordia, Padova, una dietro l'altra vennero ridotte in macerie; Vicenza, Verona, Bergamo, semi distrutte e saccheggiate sia nell'onore delle loro giovani fanciulle, sia negli onori prestigiosi, per Attila e le sue schiere oro o fanciulla, non faceva per lui differenza.

 

In qui giorni di grande e profonda angoscia, i cittadini che riuscivano a salvarsi, sfuggivi ai vari massacri, si rifugiarono nelle isole deserte della Laguna, quando ancora non vi era nulla tanto che neppure Attila ebbe interesse a recarvisi, e vivendo di pesca e del poco che potevano coltivare, bevendo acqua piovana, costituirono quella comunità che sarebbe poi diventata la grande e potente repubblica di Venezia.

 

Attila intanto si dirigeva a Milano e da li la sua meta era Roma!

Flavio Ezio aveva saputo dell'invasione, e si trovava in Gallia, ma invano egli aveva cerato ulteriori aiuti, i Visigoti, salvate le loro terre e perduto il proprio re, si ritirarono, e le legioni imperiali, dimezzate, non erano ancora in grado di affrontare nuovamente Attila. Ezio dovette accontentarsi di recar disturbo, limitandosi a piccole azioni di disturbo per rallentare la marcia verso Roma e dare il tempo di avvisare dell'immane tragedia, Valentiniano dal canto suo non fece altro che fuggire da Ravenna e correre verso Roma, credendola Città inespugnabile.

Il potere civile e militare, per quanto avesse fatto grande l'Impero in passato, mostrava ora la sua fine, il popolo a ragione era terrorizzato e chiedeva a Dio quell'aiuto che nessun imperatore, nessuna legione, nessuna alleanza avrebbe potuto dargli, e quand'anche Ezio avesse trovato ulteriori aiuti, quanti sarebbero stati massacrati da entrambi le parti e fra i civili? E chi avrebbe vinto?

 

Ed ecco all'opera il Sommo Pontefice, Papa Leone

 

In quei giorni accadde un fatto nuovo che mostrò agli italiani e a tutto il mondo che esiste un altro Potere, che non ha sede in questo mondo, ed è sicuro non tanto di sé quanto di Colui che lo detiene; un Potere che richiede adesioni, ma non si tratta di mercenari, ma di discepoli! Ma narriamo come si svolsero i fatti.

Roma, presa dalla disperazione, stabilì di mandare ad Attila un'ambasceria; furono scelti Avieno, senatore molto ricco, e Trigezio, che era stato Prefetto del Pretorio.

Ma con gran sorpresa il popolo reclamò che un altro personaggio andasse con loro, Leone, il loro Vescovo, che per energica intelligenza, ardore di carità, fede incrollabile, dava maggior affidamento per il buon esito della spedizione.

Così partirono i tre inermi, senz'armi, rappresentanti di Roma: l'esponente della politica di Roma, l'esponente delle forze armate, e l'esponente del Potere Divino, il Sommo Pontefice, essi erano tutti insieme e tutti uniti per fronteggiare un unico nemico, e com'erano lontani i tempi quando Roma non chiedeva, ma faceva grazia ai Barbari, mentre ora si muoveva per chieder essa  la grazia ad un re Barbaro.

E così dal colle Vaticano attraverso la Tuscia, l'Etruria, l'esiguo drappello va lungo le vie consolari che riportano ancora il ricordo delle grandi vittorie del passato; le popolazioni vedono il drappello, e si stringono al petto un commosso saluto, pregano per il Sommo Pontefice, i saluti ed ogni incoraggiamento sono per il Vescovo di Roma, l'unico che potrebbe davvero fermare quell'Unno, ma temono anche per lui: che cosa li aspetta? Di certo l'umiliazione, ed anche la morte, ma in quale modo? Cosa riservare al Vescovo di Roma e di tutta la cristianità?

 

La gente viene invasa da una certa preoccupazione, ma riesce anche a scorgere un prodigioso evento già solo al passaggio dello strano ed inusuale drappello, non è una scena che si può vedere ogni giorno, nè fu mai narrata, che della disperata spedizione finisca per trovarsi a capo Colui che non rappresenta un caduco e debole potere terreno, Colui che non fida in una spada oramai arrugginita, né in una legge civile che in questa situazione non serve a nulla, ma è niente meno che l'erede di san Pietro, che parla e agisce in nome di Cristo +, che con gli occhi fissa un'altra vita in cui il sopruso, la violenza, il delitto, non sono possibili.

Leone potrà osare di tutto davanti a quel flagello, perché sa che non potrà perdere nulla di ciò che veramente conta; questo comprende la gente al passaggio dello strano drappello e a Lui, al Successore di Pietro, la gente si stringe perché avverte nel cuore che nel momento del bisogno e della minaccia più incombente, Egli ha una via privilegiata, persino i criticoni o i senz'Iddio devono tacere al Suo passaggio e chinare la testa, e ben sperare nel Suo successo, se non per fede almeno per convenienza.

 

Così, nell'estate 452, l'ambasceria varca il Po, risale il Mincio, attraversa la dolce pianura che Virgilio aveva cantato con cuore di figlio innamorato nei giorni lontani, in cui Roma era grande.

Finalmente là, dove le acque del Garda riprendono corso e figura di fiume, là trovarono l'accampamento degli Unni, e nell'accampamento Attila li attendeva.

Questo spietato sovrano, che in altre occasioni si era compiaciuto della sua rozzezza e violenza, di aver umiliato sudditi e principi, e che altre volte si era compiaciuto di aver umiliato l'Impero, di fronte ai tre legati di Roma, rimase alquanto perplesso e, stranamente, cortese e perfino rispettoso.

Purtroppo non esistono testimonianze scritte del diretto colloquio che i 4 ebbero, Avieno e Trigezio - si riportano dalle narrazioni -  fecero offerte ad Attila e proposero patti, ma, proprio secondo di come andarono poi i fatti, non vi è da pensare che Attila avrebbe mai potuto accettare le proposte dei due romani, allorchè egli stesso si era sempre divertito ad umiliare simili proposte per imporre ancor con più ferocia il suo potere e dominio.

Si dice invece che Attila fu colpito dall'aspetto venerando dell'anziano Pontefice, ricoperto delle sue vesti liturgiche e che si esprimeva con ardente zelo cristiano; per la prima volta Attila non si trovava davanti i soliti legati politici, ma il Rappresentante di un Potere al quale non interessavano i palazzi e le città, ma chiedeva di risparmiare le persone, non scendeva a patti per salvare la Città, ma chiedeva in nome di Cristo la pace, gli chiedeva semmai di convertirsi ad un Potere più grande, anche quello sulla sua di anima.

Attila non era un "ateo", a quel tempo per quanto turbolento e violento, la fede nelle divinità era comunque sia un argomento che interessava anche i più barbari tra i barbari, è molto probabile perciò che la visione di un uomo che rivestiva un incarico così soprannaturale, abbia giocato un ruolo molto importante in tutta la vicenda, perchè subito Leone fece chiaro che il suo potere non gli veniva dalla spada che non brandiva, ma dalla Fede in quel Cristo che essendo già stato ucciso e poi Risorto, non sarebbe più morto, e così sarebbe avvenuto per tutti i suoi discepoli.

Attila, che non era uno sprovveduto, già conosceva la storia di questi chiamati "Cristiani" ed era già a conoscenza non delle loro imprese di dominio e di conquiste, ma dei tanti loro martiri, di quanto vennero già perseguitati e del perdono che essi donavano in punto di morte; trovarsi davanti il Capo di questi Cristiani, senza dubbio, deve aver lasciato in Attila una forte impressione benevola, egli si era creduto fino ad allora protetto dal potere soprannaturale delle sue divinità che non avevano fatto altro che seminare morte e distruzione, facendolo diventare anche superstizioso, la parola di chi veniva, senz'armi, in nome di un Altro che aveva Potere soprannaturale, non poteva non mettere nel cuore pure del più crudele conquistatore, un messaggio di sgomento.

 

L'episodio così si concluse in modo inaspettato, Attila venne ai patti, protestò che voleva solo la principessa Onoria come sposa e con la sua dote, ma rinunciò a continuare la sua avanzata, e diede l'ordine di smontare le tende e di iniziare la ritirata!

Attila se ne andava!

La notizia si sparse con la rapidità di un tuono in tutta l'Italia, Attila ritornava nella sua Pannonia sterminata. Qualche mese dopo i fatti narrano che dopo aver compiuto un'orgia nella sua tenda, Attila moriva soffocato dal suo stesso sangue. Chi tanto sangue innocente aveva fatto spargere, nel sangue era morto, e con lui tramontò il suo popolo perchè non ci si fa beffe di Dio, non si possono corrompere ed uccidere gli animi per bramosia di possesso, di gloria, di superiorità.

La conquista di Roma non è una impresa facile, pare davvero che la mano di Dio segni in qualche modo coloro che osano possederla!

 

Occorre dire che poi qui si inserì la voce della leggenda sul colloquio di Leone Magno con Attila e narra che, nel momento in cui il Papa si avvicinava al Barbaro, questi aveva veduto librate in aria, ai lati del Pontefice, due figure luminose: san Pietro e san Paolo, che con la spada in mano, parevano avventarsi minacciose contro di lui, Barbaro pagano.

Sembra che lo stesso Pontefice, a chi gli facesse presente la leggenda, senza smentirla o approvarla, spiegasse che: se anche le due figure dei Santi Pietro e Paolo, non fossero apparse davanti ad Attila, la maestà della Chiesa, iniziata dai due Santi, sfolgorava ugualmente nell'aspetto e nella Parola di Verità che egli pronunciava davanti al Re Unno, e che per la potenza di tale Verità, perfino il pagano sanguinario fu costretto da Dio a piegare la sua anima e a cedere.

Il ritorno a Roma di Papa Leone fu un trionfo universale e partecipato da tutta la Città che si mise a lodare Dio con canti, inni e processioni.

Queste feste durarono molto tempo e si rinnovarono, ogni anno, ed è ciò testimoniato da una predica del Santo e Magno Pontefice, che si lamenta del fatto che il popolo romano invece di recarsi a pregare sulla Tomba di san Pietro, vada piuttosto a veder spettacoli al Circo.

I Romani, ignari ed incoscienti, avevano presto dimenticato il pericolo di "ieri", e non volevano vedere il pericolo di "domani" ed andavano ad applaudire i loro campioni prediletti alla corsa delle bighe.

 

Attila  san   Leone Magno





Fonte: Leone Magno e Gregorio Magno, i Papi grandi per

Dottrina - 1940 - con imprimatur A.Traglia, Archiep. Caesarien.

e liberamente trascritto da LDCaterina63

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