AVERE O POSSEDERE: diritti e doveri.....

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Caterina63
00lunedì 22 marzo 2010 13:38
Amici....dal Blog Vitae Fratrum dallo studentato di giovani futuri domenicani, vi condivido questa pagina molto interessante....

XVII-XVIII. Come e perchè dare la macchina del priore ai prenovizi

Dicevamo che per Umberto l'essenziale della povertà religiosa è la capacità di condividere tutto come se non si possedesse nulla. Nel mondo - il nostro - dell'abbondanza, non abbiamo più bisogno di privarci di nulla: in convento tutti hanno tutto il necessario e non devono chiedere a nessuno. Come si fa, allora, a vivere la povertà? Un piccolo test, a dire il vero, ci sarebbe. Ve lo propongo:

- Sei disposto a condividere l'auto che hai a tua disposizione? [perchè i frati, anche con l'abito, sono sempre maschi!]

a) nemmeno con il priore
b) solo con i confratelli che sanno guidare
c) perfino con i prenovizi

- Sei disposto a condiv
idere i tuoi libri? [perchè i frati, anche senza l'abito, sono sempre domenicani!]

a) nemmeno con il priore
b) solo con i confratelli che sanno leggere
c) perfino con i prenovizi

Risultati: Se hai risposto sempre c) sei perfettamente povero; se hai risposto sempre b) sei perfettamente prudente; se hai risposto sempre a) sei il priore.



XVII. Ma accipicchia! ci sono alcuni che rovinano la povertà, talvolta per il desiderio di possedere, oppure con parole inopportune, o addirittura violando apertamente questa virtù. Ce ne sono molti che, presi dalla sfregola dei desideri, sbavano dietro alle cose che prima avevano promesso di disprezzare: si sono scordati che presso Colui che giudica la volontà viene condannata prima ancora che si trasformi in azione. Al contrario uno dei Padri del deserto, siccome desiderava rubare un cetriolo, si tormentò violentemente sotto il sole, in modo che una tale tortura gli resituisse il senno e moderasse il suo desiderio cattivo (dalle Vite dei Padri del deserto). Coloro che ora aspirano ad avere ricchezze che non potevano avere al di fuori di un convento, se fossero veri discepoli di Cristo, si darebbero da fare per entrare alla svelta nella porta stretta che conduce alla vita (Mt 7), liberati da ogni bagaglio.

Talvolta si trovano alcuni frati che si attaccano a tal punto a certe chincaglierie, che quasi non vogliono cederle a coloro che ne avrebbero bisogno. Altri, magari, siccome non possono dire apertamente di no, sudano quattro camicie per nascondere le loro robe alla vista dei confratelli, nel caso le chiedessero. Questi dovrebbero - piuttosto - amare meno la loro paccottiglia e mettere al primo posto l'amore fraterno. Io mi vergogno per il fatto che alcuni, per delle sciocchezze, si scaldano al punto che - se qualcuno si è anche solo immaginato di toccare anche solo con un dito qualcosa loro - lo insultano, rabbiosi dentro.

Ci sono pure quelli che dicono così: se non mi si dà il permesso di ricevere o possedere questo o quello, d'ora innanzi me ne sbatto del convento. E ci sono pure quelli che si atteggiano in modo tale che il priore nemmeno osa prendere loro ciò che hanno od ordinare loro di prestarlo. E se si prende loro qualcosa, mettono in subbuglio tutto il convento. Ma proprio perchè rivendicano con rabbia un diritto sulla suddetta roba, dimostrano di non essere poveri. Infatti non si agiterebbero tanto, se ritenessero di non possedere quelle cose per cui si scaldano.

Poi ce ne sono molti che non prendono nè spendono soldi senza permesso, e tuttavia, siccome non vogliono vedersi negato questo permesso per nessuna ragione al mondo, non sono certo scusati di fronte a Dio. Altri, che desiderano dare o ricevere qualcosa, aspettano - perfidamente - che il loro superiore sia assente, per poter chiedere al suo vice quel permesso, che credono o temono il priore avrebbe negato. Anche questi potrebbero trovare delle scuse valide di fronte agli uomini, ma di fronte a Dio, a cui ogni cuore si rivela ed ogni volontà parla, hanno abbandonato la via della perfezione. Alcuni pretendono di avere cibi e bevande solo per se stessi, oppure di distribuirli esclusivamente a chi piace loro e non vogliono che ne siano partecipi altri frati, secondo le disposizioni del priore.

E ci sono altri, a cui è stata affidata una certa responsabilità, che affidano le proprietà del monastero a persone indegne, o lasciano incautamente che si rovinino, o comprano cose superflue. Molti, che per i propri bisogni sono piuttosto di manica larga, per quelli degli altri hanno il braccino piuttosto corto. Questi, se intuissero che l'elemosine sono ciò di cui vivono i poveri, le distribuirebbero equamente, con giudizio e deferenza grande e timorosa.

XVIII. I veri amanti della povertà senza permesso non accettano nulla, nè la danno o la posseggono, nè la nascondono nè la prendono in prestito, nè la rubano. Infatti, sebbene ci è permesso avere delle cose in comune, tuttavia non dobbiamo possedere nulla personalmente. Ecco: il nostro padre Agostino visse così poveramente, che, morendo, non fece nemmeno testamento.

E i religiosi, così come non possono avere proprietà, devono anche impegnarsi a cooperare. Dovete sapere che i frati devono trascurare alcune cose sia di fatto che con il cuore (come la proprietà delle cose di cui si sono privati facendo professione); alcune cose le devono tralasciare non di fatto, ma con il cuore (come i beni materiali che, a volte, ci vengono concessi per l'apostolato); alcune cose le devono abbandonare di fatto, ma non con il cuore (come ogni volta che, per obbedienza, si interrompe la contemplazione delle cose celesti).

Ma ehi! vediamo di ricercare i molti vantaggi della povertà! Tuttavia i frati non voglio viverla con le privazioni connesse. In verità, presso Dio onnipotente la povertà viene resa preziosa, quando la si unisce ad una volontà devota e alla sopportazione delle difficoltà. Certamente, per mantenere la virtù della spogliazione volontaria, rendetevi così estranei ad ogni povertà, da imparare che, come, pellegrini e nullatenenti, dovete vestirvi e anche nutrirvi delle pie donazioni al convento.

Quindi, da queste premesse, meditate sul fatto che non dovete concupire disordinatamente nulla di ciò che si può possedere nella vita terrena, nè ve lo dovete intascare disonestamente, nè riceverlo o darlo senza permesso e che non dovete estorcere un permesso, nè possedere qualcosa a dispetto della carità fraterna, nè spendere alcunchè inutilmente
.






Breve riflessione mia:



Forse per i frati il concetto della povertà è un tantino più concretizzabile che per una laica sposata quale io sono...si tratta di diversità legittimate dal fatto che una Famiglia vive spesse volte nel contesto del consumismo anche senza volerlo, per esempio: i figli e le loro necessità anche mondane alle quali non si può sempre dire di no...

Ma c'è la povertà che tutti possiamo condividere: la rinuncia del POSSEDERE!
la possessione, il suo concetto e i suoi derivati, è la controtendenza che dobbiamo tutti imparare affinchè usiamo ciò che ci è dato, ma senza il possedere...^__^

Dico a me stessa ed ho insegnato ai figli che tutto ciò che abbiamo è grazia e dono per essere usato a fin di bene, perfino il lavoro del papà deve essere letto in questa chiave: è un dono, una grazia per la quale il papà deve rispondere con tutta onestà del suo usofrutto...
Prima dei diritti (ho diritto ad avere, ecc...) siamo chiamati al senso dei DOVERI: mi è stato dato per....
al contrario oggi si vantano prima i diritti (anch'io ho il diritto di avere....) trascurando i doveri che son quelli che ci aiutano a dissociarsi dall'avidità del possedere...

Dice infatti Umberto sopra riportato:

" Infatti, sebbene ci è permesso avere delle cose in comune, tuttavia non dobbiamo possedere nulla personalmente."

E' così anche in famiglia e in tutte le famiglie, così almeno dovrebbe essere anche per comprendere la grazia del DONO e che non è vero che tutto ci è dovuto!

Grazie per queste meditazioni...




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