Amantissimi Redemptoris di Pio IX sulla Messa, stupenda introduzione del sito maranatha.it

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Caterina63
00martedì 26 maggio 2009 00:20
INTRODUZIONE
 ALLA


AMANTISSIMI REDEMPTORIS

LETTERA ENCICLICA DI SUA SANTITÀ

Pio PP. IX


 

L'enciclica di Pio IX è uno splendido esempio di dottrina, che nella sua brevità permette di cogliere insegnamenti lapidari e informazioni preziose, riguardo alla fede nell'eucaristia e riguardo al Sacerdozio Ministeriale.

Nell' Enciclica, datata 3 maggio 1858, il Pontefice esalta la missione e la centralità dei Sacerdoti rispetto all’assemblea, chiamati ad offrire, nell'incruento sacrificio della Messa, quella stessa Vittima che ha riconciliato l'umanità con Dio Padre. Raccomanda ai ministri della Chiesa di adempiere scrupolosamente al loro dovere, senza badare a sacrifici, per la salvezza delle anime loro affidate.

Nell’anno dedicato ai sacerdoti vogliamo proporre la riscoperta di un’enciclica solida e nello stesso sintetica circa il profondo valore della Santa Messa.

Con questa ampia introduzione vogliamo con profondo senso di responsabilità denunciare chi, in questi decenni, ancora continua a confondere e disorientare le anime verso quel cuore palpitante della nostra fede: la Santissima Eucaristia

La nostra missione è sempre stata a servizio della Liturgia, ora ci sentiamo di dover difendere questo tesoro.

Come umili e inappropriate sentinelle vedendo in questi anni tanta confusione perdurare, nonostante tanta chiarezza dogmatica e dottrinale, ci sentiamo, in questo anno dedicato ai sacerdoti, di rimettere in luce grazie a questa Enciclica così attuale, il senso della Messa e la missione del Sacerdote contro chi impunemente continua ad oscurare questo luminosissimo mistero diffondendo abbondanti errori e banali e banalizzanti personali interpretazioni, perché sappiamo bene che il monito del profeta Ezechiele vale tanto per loro quanto per noi.

Se tu, ammonirai il malvagio e questi non desisterà dalla sua scelleratezza e dalla sua prava condotta, egli morirà per la sua iniquità, ma tu avrai salvato te stesso. ... Se non lo avrai ammonito, egli morirà per il suo peccato e non saranno ricordate le opere giuste che egli ha compiuto, ma io esigerò da te il suo sangue” Cfr. Ez 3, 19.21.

...

 

Il titolo rimanda immediatamente a quello che è il senso centrale di tutta l'enciclica. L'amore di Cristo per la sua Chiesa è così grande, che egli ha voluto essere sempre presente, sempre operante in mezzo ad essa. L'amore di colui che ha operato la redenzione dell'umanità, si manifesta all'umanità stessa tramite una assistenza continua, una presenza che dall'Ascensione non è venuta né verrà mai meno. Il mistero con cui è realizzata questa miracolosa presenza è la Chiesa stessa.

Infatti il Signore Gesù ha voluto istituire la Chiesa Cattolica come società in cui viene perpetuata la redenzione da lui operata, in cui viene insegnata la sua parola di verità, in cui viene rinnovato miracolosamente e misteriosamente l'unico Sacrificio del calvario, nel quale si è compiuta l'azione sacerdotale di Gesù, che non ha mai fine.


Gesù è l'unico mediatore tra il Padre e l'umanità, l'unico che possa salvare l'uomo dall'inferno. La Chiesa è l'istituzione da Lui voluta, per radunare e salvare tutti gli uomini che accolgono la Sua Salvezza e la Sua Grazia.


Nella Chiesa, la presenza di Cristo è manifestata principalmente attraverso i sacramenti. Tra tutti, in modo particolare il Beato Pio IX ci invita ad apprezzare (particolarmente) la Santissima Eucaristia e l'Ordine Sacro: il Sacerdozio Cattolico


Ogni sacramento fuoriesce dal costato di Cristo, trae origine dal Sacrificio, è finalizzato a rendere presente l'azione redentrice operata dal suo Preziosissimo Sangue.

Così il Sacerdozio è finalizzato alla celebrazione dell'Eucaristia, con cui si rende presente in Corpo, Sangue, Anima e Divinità, la Persona di Nostro Signore, Gesù Cristo.


E' importante riflettere come anche nel Sacerdozio vi sia una forma di presenza di Cristo. Infatti il Sacerdozio Ministeriale altro non è che il modo con cui il Capo della Chiesa, Cristo, celebra i Sacri Misteri, personalmente ed individualmente, ogni volta che un Ministro, ossia un uomo chiamato a prestare le proprie membra all'azione divina del Capo, celebra un Sacramento, è Cristo stesso, presente ed operante, che celebra.

Come si è detto, la principale funzione per cui Cristo ha stabilito che fosse esercitato il Sacerdozio Ministeriale nella sua Chiesa, è la celebrazione del Sacrificio. Tale Sacrificio è il medesimo di Melchisedek, re di Salem (Gerusalemme).

Il Papa ci ricorda dunque come il Sacrificio compiuto da Cristo come sommo Sacerdote, offrendo se stesso, è un Sacrificio gradito a Dio, avente il potere di placarlo, di impetrarne le grazie e di soddisfarlo.

Proprio così.

Può sembrare paradossale ai nostri tempi, parlare di Sacrificio in questi termini. Pensare che il Padre debba essere placato “tramite il Sangue del Figlio”, potrebbe ripugnare ad alcune persone.

Ricordando Melchisedek, il Papa ci ricorda come il Salmo 109 si riferisca a Cristo: Melchisedek è il Sacerdote del Dio Altissimo che celebra il Sacrificio puro, gradito a Dio. Cristo, Sacerdote come Melchisedek, celebra un Sacrificio totale, puro, immacolato, gradito a Dio, di portata e perfezione tali da rendere superflui e superati (quindi non necessari) tutti gli altri sacrifici.
 

Tuttavia occorre rendersi conto della durezza delle parole utilizzate. Dio è placato dal Sacrificio del Figlio, esattamente a guisa degli dei pagani, che erano placati dal sangue degli olocausti. Di fronte a queste parole, diverse possono essere le reazioni.


Vogliamo proporre due esempi, uno del Arcivescovo di Friburgo, Presidente della Conferenza Episcopale Tedesca e l’altro del fondatore del Cammino Neocatecumenale.

Robert Zollitsch, “Cristo non è morto per i peccati della gente come se Dio avesse preparato un'offerta sacrificale, un capro espiatorio. Piuttosto, Gesù ha offerto soltanto “solidarietà” con i poveri ed i sofferenti, questa è la grande prospettiva: questa tremenda solidarietà.” Cfr. Dichiarazione pubblica, 21 aprile 2009.

Kiko Arguello: “Carmen vi ha spiegato come le idee sacrificali che Israele aveva avuto ed aveva sublimato, si introdussero di nuovo nella eucaristia cristiana. Forse che Dio ha bisogno del Sangue del Suo Figlio, del suo Sacrificio per placarsi? Ma che razza di Dio abbiamo fatto? Siamo arrivati a pensare che Dio placava la sua ira nel Sacrificio di suo Figlio alla maniera degli dèi pagani. Per questo gli atei dicevano: che tipo di Dio sarà quello che riversa la sua ira contro Suo Figlio sulla croce?... e chi poteva rispondere?” Cfr. Orientamenti alle equipes dei catechisti per la fase di conversione p. 333.

e anche:  “Ci permettiamo ricordare che sul Sacrificio della messa si insegna che il concetto di Sacrificio è stato introdotto per compiacere i pagani al tempo di Costantino. In realtà la messa è solo una presenza-passaggio del Cristo che, ovviamente, dopo il passaggio, non rimane più dentro il pane, ecc. Tuttavia, questo non ditelo agli altri cristiani, perché non sarebbero ancora in grado di capirlo”. Cfr. Annuncio di Quaresima 2008.


Reazioni che fanno capire, a tutti coloro che pensano che una enciclica del 1858 possa essere datata o peggio, superata, quanto invece il suo contenuto sia ancora attualissimo e problematico - nel senso di fortemente interpellante lo spirito e la coscienza - per i molti che sono usciti dall’alveo del Magistero perenne.

Riflettere sull'essenza del Sacrificio significa riflettere sul mistero più profondo della nostra fede. Il Sacrificio di Cristo, rimanda al mistero di iniquità in cui l’uomo si è lasciato coinvolgere divenendo nel contempo carnefice e vittima, che ne ha causato la caduta e la rovina.

Banalizzare il Sacrificio, dubitare della sua necessità e della potenza satisfatoria che porta con sé, significa sottovalutare la gravità del peccato originale, minimizzare gli effetti di quel peccato sulla natura e sul rapporto con Dio. Banalizzare il Sacrificio significa banalizzare il peccato, che ha spinto Dio a sacrificare suo Figlio, e in ultima analisi significa banalizzare Dio stesso, l'onore che gli è dovuto e l'amore che ha e che ha manifestato con l’Incarnazione del Verbo nei confronti dell'uomo. A tanto odio nei confronti del proprio creatore si arriva, semplicemente sottovalutando l'essenza del Sacrificio.

Dice il Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC) citando per altro Trento: “Con la sua obbedienza fino alla morte, Gesù ha compiuto la sostituzione del Servo sofferente che offre se stesso in espiazione, mentre porta il peccato di molti, e li giustifica addossandosi la loro iniquità. Gesù ha riparato per i nostri errori e dato soddisfazione al Padre per i nostri peccati”. (n.615).

Occorre precisarlo: per comprendere ciò che è stato il Sacrificio di Cristo, occorre avere ben chiara la reale entità del peccato. Il peccato fu un vero danno, una catastrofe, una rivoluzione e distruzione che la creazione ha riversato su se stessa, contro il suo creatore, perché il peccato è “distacco” da Dio e dal Suo Progetto per l’uomo. Tale danno è reale, tangibile, di proporzione devastante. Così grave da meritare l'inferno per tutti gli uomini, per sempre. Così grave da non meritare affatto l'amore di Dio.

Dio ha pertanto stabilito il Sacrificio del Figlio, per poter riparare il danno causato dagli uomini. La relazione causale tra peccato e redenzione, mostra senza equivoco che il Sacrificio è causato dal peccato, come riparazione e riscatto da questo.

La proporzione del peccato è stata così grave, che è stato Dio stesso a dover intervenire per rimediare, sfuggendo alle possibilità umane, di riuscire a sopperire alle loro stesse responsabilità morali. L'uomo non ha la capacità di ricreare nel bene ciò che ha corrotto con il male, non ha la capacità di donare la grazia, là dove l'ha tolta, di dare la vita là dove ha dato la morte. Le possibilità umane ammutoliscono impotenti di fronte alla reale gravità del peccato da lui stesso compiuto.


Se la responsabilità del peccato è di tutti gli uomini, tuttavia la possibilità di rimediare è solo di Dio. Solo Dio è in grado infatti di operare in modo perfetto, di sanare il male, di ridare la vita, di conferire la grazia dove manca. Solo Dio, poteva salvare, e ha salvato l’uomo divenendo uomo Egli stesso.

Solo un uomo perfetto senza peccato senza macchia poteva, con il suo Sacrificio volontario e puro ristabilire e riparare il danno ristabilendo la giustizia. Solo l’Uomo-Dio poteva riscattare non solo i peccati commessi nel passato e nel presente, ma tutti i peccati degli uomini fino alla fine del mondo.


Per questo, tramite l'incarnazione del Verbo il Padre ha mandato il Figlio nel mondo affinché prendesse la natura umana, associandosi come vero uomo a tutta l'umanità (questa è la vera solidarietà che Cristo ha con l'uomo); come vero Dio ha avuto il potere di rendere la sua azione riparatrice perfetta, ossia del tutto rispondente alla soddisfazione dovuta al Padre creatore, dalle creature colpevoli; tramite l'unione delle due nature nell'unica persona divina, ha reso possibile il Sacrificio come azione teandrica, ossia divina (quanto alla perfezione dell'atto) ed umana (quanto alla solidarietà con i responsabili del danno).


Caratteristica del Sacrificio è l'innocenza della vittima, il modo cruento con cui esso si realizza, l'accoglienza della divinità verso cui si indirizza.

Cristo si è offerto come vittima, poiché solo lui poteva essere gradito al Padre. Solo Cristo infatti è veramente puro, privo di ogni difetto, senza alcuna macchia di peccato, completamente innocente. Non si sarebbe potuto trovare in tutta la creazione, nemmeno tra gli angeli, una vittima migliore di Cristo. Per riparare il torto infinito, è necessario, corrispondentemente, una vittima infinitamente nobile, infinitamente pura, contro l'infinita sporcizia del peccato; infinitamente innocente, contro l'infinita colpa.

Il male è sanato, immolando il suo opposto annullando il “non serviar” satanico con l’“eccomi” del Figlio obbediente: “non la mia, ma la tua volontà…” suo opposto.

Il peccato impedisce con il suo peso, che attira verso la materia corrotta, che una azione possa salire a Dio. Solo chi è senza peccato, può porre in essere un atto che si libri alto verso Dio, come giustizia e ricollochi l’uomo al posto che gli era stato dato con la Creazione originaria.

Non a caso nella mentalità giudaica, quando si parla di “sacrificio”, si usa il verbo “far salire”: ne è un segno il gesto del sacerdote quando “alza”, cioè “fa salire” al trono dell’Altissimo,  il Calice e l’Ostia.


Sulla violenza dell'azione sacrificale, ben si è espresso Giovanni Paolo II, dicendo: “Il portatore della libertà e della gioia del regno di Dio volle essere la vittima decisiva dell'ingiustizia e del male di questo mondo. Il dolore della Creazione è assunto dal Crocifisso, che offre la sua vita in Sacrificio per tutti: sommo Sacerdote, che può condividere le nostre fragilità; vittima pasquale, che ci redime dai nostri peccati; Figlio obbediente, che incarna di fronte alla giustizia salvifica del Padre l'anelito di liberazione e di redenzione di tutti gli uomini.” Cfr. Docum. “La evangelizaciòn”, della III ass. gen. dell'episcopato latino-americano, Puebla 13-2-1979.


La violenza del Sacrificio del Figlio è proporzionale alla violenza del peccato.

Il dolore pagato dal Figlio, è lo stesso dolore che il peccato porta con sé. L’uomo solo non poteva soffrire in modo perfetto perché un solo uomo non avrebbe potuto sopportare tutto il carico di sofferenza che il Padre esigeva per riscattare tutti gli uomini di tutti i tempi. Un uomo non poteva ma Dio sì. Solo il Dio-uomo poteva e volontariamente l’ha fatto. Il dolore che ha dovuto patire per noi doveva essere veramente qualche cosa di orribile.

Cristo ha voluto liberamente morire, in modo che morisse con lui il peccato tutti i peccati di tutti gli uomini, l'ingiustizia, l'orrore, il male. Se non fosse morto, se la violenza cieca del male non avesse inchiodato il mediatore unico tra cielo e terra alla croce, non ci sarebbe stato il Sacrificio e non si sarebbe data la Redenzione.


Sacrificare vuol dire rendere sacro, fare diventare sacro. Con il Sacrificio, si rende sacro ciò che si immola, lo si rende proprietà di Dio, a lui gradita. Ecco l’uomo che da peccatore da maledetto dopo il Sacrificio dell’Uomo-Dio ritornerà capace di Dio, anzi del tutto simile a Dio stesso.

Essendo la Vittima del Sacrificio il Figlio di Dio stesso, egli gradisce questa offerta perfetta, in modo perfetto. Essendo l'offerta completamente soddisfacente, egli risulta completamente soddisfatto. Poiché il Figlio ribalta con la sua perfezione in modo totale l'imperfezione del male, il debito è perfettamente pagato. Poiché Egli riassume perfettamente in sé tutto il peso di ogni male e di ogni ingiustizia, ogni peccato è nel Suo Sacrificio redento e ripagato.

Poiché la perfezione di tale offerta è totale, essa si applica anche ai peccati già commessi e a quelli ancora da commettere dagli uomini, che meriterebbero da soli, ogni volta, l'abbandono dell'umanità a se stessa da parte di Dio, il quale però, risulta essere placato per sempre nel suo giusto sdegno, dall'amore infinito dato dal Sacrificio di Cristo.

Dubitare del potere della Croce di placare Dio Padre, è un grave insulto al potere infinito dell'amore sacrificale del Figlio. Delle due, l'una: o si crede che al Padre non importi nulla del peccato degli uomini, e dunque lo si ritiene un essere ingiusto, che ritiene il vero e il bene, il falso e il male sullo stesso piano, indifferentemente; o conseguentemente si crede che al Padre non sia gradita l'offerta che il Figlio amatissimo e amantissimo gli rivolge in modo perfetto, e dunque non si dimostra alcuna fede nella capacità del Figlio di compiere opere perfette.


L'ira di Dio per il peccato dell'uomo è la realtà che non si può negare, senza smettere di essere cristiani. L'ira di Dio per il peccato dell'uomo non è un sentimento, una perturbazione del cuore, alla maniera umana (Dio è imperturbabile, impassibile). E' la conseguenza della sua giustizia infinita, di fronte alla ingiustizia del peccato.

La giustizia vuole che ognuno abbia ciò che si merita. Se è vero che Dio è infinitamente Misericordioso, non possiamo mettere da parte il fatto che Egli è contemporaneamente infinitamente Giusto. Il peccato, essendo odio e ribellione a Dio, opera come conseguenza il distacco da Lui e, quindi merita la morte, la sofferenza e l'inferno.

Se non si credesse questo, si dubiterebbe della giustizia di Dio, oppure si riterrebbe che il peccato non Lo offenda, presumendo di salvarsi dunque senza merito, e peccando gravissimamente contro lo Spirito Santo.

Dio non può negare se stesso, smettendo di essere giusto. Per amore verso gli uomini, accetta di sacrificare suo Figlio, in modo che sia questo e non l'umanità intera, a pagare il prezzo del male.

Il peccato causa una lacerazione nella giustizia e nell’ordine della creazione, impresso dal Creatore, su cui tutto si regge come legge suprema, tale da rendere l'opera stessa di Dio priva di perfezione e sostanzialmente malvagia.

Se la giustizia non fossa stata prontamente ristabilita dal Padre attraverso il Sacrificio perfetto del Figlio, la creazione avrebbe testimoniato nella sua essenza, l’ingiustizia e quindi l'esistenza di un Dio malvagio.

Dio non può tollerare la situazione per cui la sua opera lo contraddica, per questo ha ricomposto, mediante il sacrificio - che rende sacra, in Cristo, l'intera creazione - la lacerazione che il peccato ha causato alla giustizia, compromettendo e corrompendo tutto il creato.

Ecco come Dio si placa tramite il Sangue del suo Figlio. Non un atto di estremo sadismo, ma al contrario, un atto di estremo amore (risparmiandoci il peso di un tale pagamento) e di estrema giustizia (dovendo il male arrecato, essere rimediato per ristabilire l'armonia creata da Dio nella grazia, senza macchia di peccato).

Chi vede in Dio un sadico, nel Sangue versato qualcosa di turpe, non è in grado di pensare a Dio come l'essere perfettissimo, in cui amore e giustizia sono al colmo della perfezione, ma al contrario lo deve ridurre a categorie umane, deve prostituirne la giustizia con il buonismo, insinuando la bestemmia che vorrebbe fare anche di Dio un giudice di “manica larga”, che perdona un po' tutti, senza criterio e fa finta di non vedere per quieto vivere.

Il sangue rappresenta la vita così come dirà il Levitico
“La vita di una creatura risiede nel sangue” (Levitico 17,11). E la Vita Divina: il Sangue che salva è stato dato all’uomo per renderlo da peccatore meritevole del fuoco eterno dell’inferno, giusto senza peccato. “Prendete e bevetene perché questo è il calice del mio Sangue, il Sangue dell’Alleanza Nuova ed Eterna, che sarà versato per voi e per la moltitudine degli uomini per il perdono dei peccati”.

Il peggiore insulto che si può fare a Dio (e anche il peggiore danno che si può arrecare a se stessi, poiché si smette di praticare la giustizia) è di crederlo un buonista, ossia un ingiusto. E' una bestemmia grave, rivolta a Chi, infinitamente Misericordioso e infinitamente Giusto, ha sacrificato senza esitare suo Figlio. E' una grave forma di ingratitudine.


Accogliendo il Sacrificio perfetto, Dio è in grado di ristabilire l’armonia, tramite la mediazione di Cristo, tra Dio e la sua creazione, la quale liberata per effetto della redenzione dalla cappa opprimente del peccato, è in grado di ricevere nuovamente la grazia, che le era stata tolta dal male stesso.

Per questo oltre ad essere offerto in espiazione, per placare la giusta collera di Dio e in soddisfazione del danno arrecato alla creazione e all'onore del creatore, il Sacrificio ha anche valore impetratorio: esso è offerto per ottenere da Dio le grazie necessarie alla salvezza. La grazia è ottenuta dall'azione sacerdotale di Cristo, pontefice tra il Cielo e la terra: Egli, così come eleva a Dio la richiesta dell'umanità, così distribuisce all'uomo ogni Grazia, mediante i sacramenti e in special modo la Santa e Divina Liturgia, che rinnova i frutti del Sacrificio ogni momento in cui viene celebrata.

In che rapporto concepire gli antichi sacrifici, nei confronti di quello perfetto, di Cristo? Tanto quelli svoltisi nell'ebraismo, quanto quelli pagani, avevano il carattere di preparazione e di introduzione figurale, simbolica, all'unico Sacrificio del calvario, che tutti riassume, porta a compimento e supera.


continua...........

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Caterina63
00martedì 26 maggio 2009 00:22
Dice il concilio di Firenze: “La Chiesa crede fermamente, professa e insegna che le prescrizioni legali dell'Antico Testamento, cioè della legge mosaica, che si dividono in cerimonie, sacrifici sacri e sacramenti, proprio perchè istituite per significare qualche cosa di futuro, benché adeguate al culto divino di quell'epoca, dal momento che è venuto il nostro signore Gesù Cristo, da esse prefigurato, sono cessate e sono cominciati i sacramenti della nuova alleanza. Essa insegna che pecca mortalmente chiunque ripone, anche dopo la passione, la propria speranza in quelle prescrizioni legali e le osserva quasi fossero necessarie alla salvezza, e la fede del Cristo non potesse salvare senza di esse [...] dopo l'annuncio del vangelo non possono più essere osservate, pena la perdita della salvezza eterna” Cfr. Conc. di Firenze, Bolla “Cantate Domino”, 4-2-1442.

Confermato da Benedetto XVI che dice: “In questo modo Gesù inserisce il suo novum radicale all'interno dell'antica cena sacrificale ebraica. Quella cena per noi cristiani non è più necessario ripeterla. Come giustamente dicono i Padri, figura transit in veritatem: ciò che annunciava le realtà future ha ora lasciato il posto alla verità stessa. L'antico rito si è compiuto ed è stato superato definitivamente attraverso il dono d'amore del Figlio di Dio incarnato. Il cibo della verità, Cristo immolato per noi, dat ... figuris terminum” Cfr. Sacramentum Caritatis n°11).

Fa tremare i polsi leggere simili righe, riflettendo sul fatto che oggi nei seminari, nelle parrocchie e in certi movimenti si copiano e si praticano i rituali ebraici, credendo di “riscoprire” le radici della fede Cristiana!


Gli antichi riti prefigurano l'unico Sacrificio di Cristo. Dio li consente affinché l'umanità possa adeguatamente prepararsi, in modo via via più perfetto, a ricevere il Sacrificio totale, accostandosi ad esso tramite le pratiche antiche e secolari. Ogni religione che si definisca tale, ha un impianto rituale sacrificale, in cui sono riconoscibili alcuni elementi.

La purezza della vittima, la necessità della violenza, molto spesso il pasto rituale dell'animale “reso sacro” tramite l'immolazione, il Sacerdote come tramite tra la divinità e l'uomo, il potere del sangue di placare l'ira degli dei, il senso di espiazione delle colpe.

Le culture tradizionali sono arrivate alla formulazione di questa forma di religione naturale, tramite la riflessione e l'uso della ragione. Hanno conosciuto Dio, che si è rivelato loro nelle opere che ha compiuto, ed essi hanno tentato di rendergli culto, come meglio potevano esprimerlo. Era tuttavia un tentativo positivo di affermare l'esistenza di Dio e le principali verità religiose, conoscibili tramite la tradizione primordiale e la ragione.

Meraviglia che Dante, e il mondo medioevale avessero una vera devozione nei confronti di Virgilio, che in più di una occasione, nelle sue opere aveva scritto con toni ed immagini simboliche quasi cristiane.

In realtà gli antichi erano certi del fatto che anche i pagani annunciavano, attendevano e traducevano nei loro miti, l'attesa di una redenzione e la venuta del Messia. Agli ebrei Dio stesso chiese di praticare in modo cruento (e sanguinario) i sacrifici, con l'intento di preparare simbolicamente il Sacrificio di Gesù, attraverso la fede nella salvezza venuta dal sangue versato.

Ciò che i pagani riuscirono a fare con le sole loro forze naturali, agli ebrei fu anche chiesto direttamente dalla Legge. Ciò che conta è la giusta chiave di lettura di tutto ciò: non è la Messa a “copiare” i sacrifici e la mentalità pagana, ma al contrario, i pagani e gli antichi ebrei, avevano figuratamente anticipato con i loro riti - solo simbolici - quello che si sarebbe realizzato con il Calvario e la santa Messa.


“Con la Messa, il Redentore ha voluto che quel Sacrificio, dato una volta per tutte, perfetto, sul calvario, accompagnasse la religione in ogni tempo, in modo perpetuo e perenne” Cfr. Leone XIII, Enc. “Caritatis Studium”, 25-7-1898.

In particolare, attraverso la Divina Liturgia la Chiesa ha fatto in modo di introdurre i fedeli al mistero di Cristo, arricchendo la primitiva celebrazione che avvenne durante l'ultima cena pasquale della antica alleanza, con quegli elementi simbolici e quei segni, in grado di dare visivamente l'idea del trionfo della gloria di Dio sulla morte e sul peccato, e che non erano presenti nella mestizia ancora in fieri del cenacolo.

Di questo si parlerà meglio affrontando l'analisi dell'Enc. Mediator Dei, di Pio XII. Qui basterà notare come il beato Pio IX sottolinei come il fasto e la magnificenza degli apparati e la complessità delle cerimonie di cui si è arricchita nel corso dei secoli la liturgia, sono voluti da Cristo stesso, al fine di rappresentare lo splendore del mistero celeste.

Questo, contrariamente a quel culto insano della “nobile semplicità”, che vorrebbe che i riti ritornassero a riflettere la loro forma “apostolica”, puramente agapica o addirittura, ebraica (ignorando tra l’altro totalmente gli splendori delle liturgie ebraiche unicamente sacrificali del Tempio di Gerusalemme, oramai per sempre distrutto), contro ogni pronunciamento della Chiesa in merito.


Tramite la messa, nella Chiesa ad opera dei sacerdoti viene reso sempre attuale, l'unico Sacrificio perfetto e gradito a Dio. La grandezza di questo sacramento è tale da renderlo di gran lunga il più importante e venerabile, mediante il quale è realizzata pienamente l'opera di presenza continua di Cristo nel mondo. Tramite questo sacramento, vengono sparse sulla Chiesa e sul mondo, le grazie che Cristo ha meritato una volta per tutte sul calvario.

La partecipazione è quindi massimamente utile alla salvezza delle anime, e per questo la Chiesa ha sempre invitato i fedeli, con l'istituzione del precetto festivo, a recarsi alla celebrazione liturgica, per poter usufruire di quel tesoro di grazie che continuamente viene offerto da Cristo tramite i sacerdoti, che agiscono in persona Christi, in ogni parte del mondo.


In particolare, il Beato Pio IX pone l’accento, per aumentarne la consapevolezza, sul significato particolare che nel Sacerdozio, riveste l'ufficio della cura d'anime, indispensabile per la salvezza del popolo di Dio. Infatti, in particolar modo riguardo alla messa, i sacerdoti in cura d'anime, come ad esempio i parroci nelle loro parrocchie, sono tenuti a celebrare il Sacrificio, applicandolo per il popolo a loro affidato (cfr. Can 534§1).

Pio IX espone un caso di specie, evidentemente frequente alla sua epoca, per stimolare i sacerdoti e i vescovi a riflettere sul grande valore dei doveri annessi alla cura delle anime.

Applicare una messa, significa chiedere a Dio, nell'intenzione del celebrante, che le grazie legate alla celebrazione del Sacrificio e scaturenti da esso, si riversino in modo particolare sul soggetto indicato dal celebrante stesso. Vi possono essere allora diverse specie di intenzione, a seconda che il celebrante applichi la messa “pro populo”, ossia per le anime che ha in cura, secondo le intenzioni del Papa o del vescovo, in casi particolari o particolari festività, e nelle messe private, in cui il celebrante stesso liberamente chiede a Cristo di destinare le grazie ad un soggetto particolare, secondo la sua o altrui privata intenzione.


In genere è consuetudine che il prete percepisca una offerta, in cambio della celebrazione di una messa “privata”, in uno dei giorni in cui non è tenuto ad intenzioni diverse e stabilite dal diritto, con l'applicazione della intenzione particolare indicata da colui che fa l'offerta.  Mentre il Sacerdote che celebra una messa pro populo, per diritto non può e non deve applicare a questa messa altre intenzioni (per cui è prevista offerta economica).

La messa pro populo quindi è una Messa che viene celebrata senza che il Sacerdote percepisca alcun compenso.


Pio IX ricorda come Papa Urbano VIII avesse provveduto a eliminare il precetto da alcune solennità, che a causa del mutare delle abitudini del popolo di Dio, rischiavano di cadere in desuetudine. Si pensa infatti, che tra il 1500 e il 1600, il precetto festivo fosse così accentuato, che all'incirca un terzo dell'intero anno solare fosse dedicato alla santificazione di feste, relative ottave, vigilie ecc.


Se si aggiunge poi in ogni Chiesa locale, l'enorme numero di solennità proprie, di santi la cui festa era celebrata localmente (magari con traslazione della festa della Chiesa universale, che veniva a cadere subito dopo), ci si rende conto di come una riforma delle feste era necessaria, per rendere possibile l'attività lavorativa.

Ciò, detto senza malizia, in concomitanza con l'affermarsi nell'Europa del nord del protestantesimo, specialmente del calvinismo, che conoscendo un solo riposo settimanale, e null'altro, risultava molto più favorevole alla formazione di una economia moderna e capitalista.


Urbano VIII decise di eliminare l'obbligo per il popolo di astenersi dal lavoro e di andare alla messa, in un discreto novero di festività. Ma non eliminò, consapevole del beneficio che ne sarebbe derivato alle anime, l'obbligo per i curati di applicare anche in quei giorni di precetto soppresso, la messa pro populo.

Pio IX interviene lamentando come in parecchi casi, i parroci, al fine di percepire un maggior numero di offerte, sostituissero la celebrazione delle feste soppresse con altrettante messe private (all'epoca, in luogo della messa feriale, era consuetudine celebrare la messa “quotidiana” dei defunti, con i paramenti liturgici in nero). Così facendo, indebitamente percepivano le offerte, e nello stesso tempo disgraziatamente privavano le anime dei fedeli dei benefici spirituali connessi alla applicazione della messa pro populo.


Pio IX è categorico: l'ufficio di curato è caratterizzato in modo particolare dall'obbligo di applicare la messa per le anime in cura. Tale onere è veramente rappresentativo di come il Sacerdote sia costituito veramente pastore del popolo che gli è affidato. Il suo ministero particolare implica un dovere reale nei confronti del suo popolo.

Egli è chiamato a sacrificare e a sacrificarsi (per esempio senza percepire in quel giorno alcun compenso in un tempo storico dove i sacerdoti non percependo alcun rimborso mensile come il moderno otto per mille, potevano vivere e sostenersi solo con questo tipo di offerte)  per il bene delle anime che ha in cura.

Sacrificando e sacrificandosi, il curato sparge copiosamente il sangue di Cristo sul suo popolo, lavandolo e purificandolo con l'effusione del sangue.

Ogni goccia che il Sacerdote risparmia al suo popolo, si va concretizzando in anime che non si salvano, in grazie che non vengono elargite, in peccati che trionfano.

Eppure, quanto è attuale il monito di Pio IX oggi? Se dovessimo oggi chiedere ai sacerdoti di una grande città, ai parroci, quanti conservano ancora l'uso di applicare la messa per il proprio popolo? Spesso questo non avviene, spesso anche nella messa domenicale e festiva si accumulano intenzioni private, spesso i preti giovani entrano nel mondo ecclesiale in parrocchie in cui non si celebra la messa pro populo, imparano così e da parroci smettono di celebrarla anche loro. Chi ritenendolo un retaggio del passato, chi direttamente preferendo prendere più offerte.

Tale malcostume, indica come l'enciclica di Pio IX, nonostante i suoi 150 anni, sia ancora attualissima e importante.


Oggi viene chiesto al Sacerdote di essere al “passo con i tempi” come se in passato non lo fosse stato. I preti in questi ultimi 40 anni hanno cercato in tutti i modi, di stare con e per il mondo. Il mondo ha chiesto ai preti di uscire dalla Sacrestia per andare incontro alla gente. Sono sorti negli anni della grande industrializzazione i preti operai, così durante la rivoluzione marxista i preti di lotta e di liberazione, così oggi dove imperversa l’apparire sono sorti preti televisivi, opinionisti, da poster, preti di teatro, da musical, tutti sorridenti abbronzati e assolutamente irriconoscibili perché l’abito “sa di chiuso e retrogrado allontana dalla gente”.

Con questo andazzo purtroppo immancabilmente arriva all’attenzione pubblica l’inevitabile e odioso scandalo pretesco.  Si aprono processi pubblici verso quegli stessi preti che fino a qualche istante prima erano considerati i nuovi paladini della cristianità. Arrivano gli implacabili opinionisti che cercano di analizzare la società e la Chiesa d’oggi scaricando tutte le responsabilità sulla condizione infelice dei preti. Arriva poi il solito Cardinale: l’emerito-ventriloquo con un piede nella fossa, che anziché apparecchiarsi per la morte, tira fuori la solita perla: “il prete pecca, perché è solo: e bene che si sposi!”. Come se il matrimonio sia la panacea di tutti i mali. Svilendo sia il sacramento dell’Ordine come quello del Matrimonio.

È incredibile come oggi si cercano di risolvere quei problemi che come al solito, non sono proprio problemi ma sintomi del problema.

Ma la crisi che investe il sacerdozio non è esterna al sacerdote, ma interna al sacerdote e all’idea di sacerdozio stesso, riformato dopo gli anni 70.

La modernità ha tolto la chiave di volta che regge tutti i Sacramenti costituiti dal Sangue, usciti dal costato di Cristo. Togliendo la CHIAVE DI VOLTA crollano tutti su loro stessi. La chiave di volta è il SACRIFICIO e la MORTE, attraverso la quale occorre “passare” per essere introdotti nel mondo della Resurrezione.

Il Matrimonio è un atto grave, come il Sacerdozio. E' un atto grave perchè implica una responsabilità peculiare: una morte.

Il sacerdote muore al mondo e vive solo in Cristo e come rappresentazione di Cristo (la talare nera è simbolo della tomba, della coltre funebre che avvolge la persona interamente e lascia vedere solo il volto, semplice ricordo di quello che fu la persona prima di decidere di morire alla vita passata e di vivere come strumento di Cristo).

Parimenti lo sposo con quel cerchietto d’oro al dito, muore a se stesso vivendo poi solo in funzione del coniuge, come Cristo è morto per la Chiesa. Morire a se stessi è un trauma, non è una bella cosa, esattamente come tutto ciò che riguarda la vita.

L'acqua è simbolo del dolore e della morte (diluvio, mar rosso sopra agli egizi, ecc.) e il bambino viene introdotto nell'acqua per diventare Cristiano. Appena nato è subito messo di fronte alla morte: deve morire rispetto alla sua vita materiale, immanente, di peccato, per poter vivere nello spirito.

Significa anche che il primo approccio alla vita è con una immagine della morte: la morte è la costante di tutta la vita. Il bambino nasce piangendo, nel dolore, nel dolore vive e nel dolore muore. L'eucaristia è un sacramento in cui Cristo muore per noi. Senso del cristianesimo è la morte. Non si può vivere se non si muore, non si può avere la vita eterna se non si decide di sacrificare questa terrena.

Il matrimonio porta a termine una crescita di questi segni continui che la nostra religione ci propone sulla morte, la morte come passaggio obbligato per poter santificarsi e vivere. Morte al peccato con il battesimo, morte a se stessi con il matrimonio.

La morte è comunque un fatto traumatico, che viene reso accettabile da Cristo, che l’ha trasformata in DONO di Sé. Ed è la reciprocità del dono, che comporta la crescita di un NOI, al posto di io-tu iniziali [che, naturalmente, implica anche la crescita personale e crea un clima vitale e accogliente per i figli, accolti nell’abbraccio di una relazione resa viva e vitalizzante dal rapporto personale e sacramentale con Dio nella Chiesa].

Un cristianesimo senza il peso cupo della morte, passaggio obbligato per la Risurrezione, è un cristianesimo senza senso, senza sacrificio quindi monco.

Il sacrificio significa diventare sacri, per rendere sacro tutto quel che ci circonda; ma non possiamo farlo da soli: è in Cristo e per effetto della Sua Grazia Santificante che veniamo resi capaci di uscire da noi stessi per guarire dai nostri egoismi, dalle nostre voglie.

In realtà, uscendo da noi stessi, troviamo il nostro vero io, quello che il Padre genera in Cristo ogni giorno attraverso il nostro essere dono per gli altri: Eucaristia vivente.

E’ questo che intende Paolo con “offrite i vostri corpi come sacrificio santo, vivente, gradito a Dio”  (uccidendo, morendo, per diventare sacri noi stessi, dobbiamo uccidere noi stessi con le nostre voglie, le nostri capricci i nostri egoismi, ecc..) Il matrimonio è uno strumento con cui noi riusciamo in questo intento (anche la consacrazione religiosa arriva allo stesso fine) e tramite esso riusciamo a elevarci soprannaturalmente, una volta sacri-ficati.


Un matrimonio così come un sacerdozio che non sia sacrificale, in cui non ci sia il simbolo della morte, non è un matrimonio, non è un sacerdozio, non è cristiano. Associare il cristianesimo solo alla gioia, il matrimonio solo alla festa, il sacerdote come un grandioso operatore sociale è assolutamente sbagliato.

La gioia c'è anche, se è la gioia susseguente al sacrificio, una gioia pura immensa l’unica che riesce a dare vero senso all’esistenza, è la gioia della Croce, che solo chi l’ha realmente sperimentata può capirla. Le altre “gioie” mondane portano alla disperazione e alla dannazione.

La resurrezione necessita della croce per poter esistere. Diversamente concepire l'esistenza, il sacerdozio e dunque anche il matrimonio, solo come aspetto gioioso, senza l'aspetto grave del sacrificio, significa immanentizzarlo.

La porta che permette il salto dalla immanenza alla trascendenza è appunto la morte, il Sacrificio. Come con la morte siamo trasportati al cospetto di Dio, così con le varie morti simboliche che noi compiamo nella nostra ascesa spirituale, noi saliamo dalla immanenza alla trascendenza.

Morire significa abbandonare il piano terreno per quello divino. Diversamente, se non si muore, se il seme non muore, non da frutto. E così anche i sacramenti, se non hanno in sé la morte, non producono frutto.

continua.............


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Caterina63
00martedì 26 maggio 2009 00:24

Rendere l'eucaristia la “festa dello stare insieme” ha annullato l'efficacia di questo sacramento. Rendere il matrimonio “la festa degli sposi”, ha causato divorzi e separazioni per ogni minima incombenza caratteriale, rendere il battesimo la festa “del bambino che è nato”, ha reso completamente indifferente la vita prima e dopo questo segno, per cui i battezzati non hanno fede.

Eliminare la morte ha significato immanentizzare i sacramenti, rendendoli futili, in moltissimi casi direttamente nulli.

Il sacerdote deve morire al mondo, accettare la croce accogliere la morte distendersi senza fiatare sul legno della solitudine. Perché il Sacerdote sia veramente degno del Sacrificio che compie, perché il suo Sacrificio sia veramente valido, gradito a Dio, e riversi sulla Chiesa tutte le grazie che esso può e deve meritare, è necessario anche un contributo che potrebbe arrivare fino all’effusione del suo sangue.

Il Sacerdote è chiamato ad identificarsi completamente con Cristo nel contempo Sacerdote e Vittima. Non solo tramite l'azione sacra, in cui Cristo agisce personalmente, al posto del ministro e tramite il ministro.

Il Sacerdote è chiamato a costituire una immagine viva di Cristo, una ostia vivente, rappresentazione nella santità individuale e nella massima attenzione alla gravità del suo compito Ministeriale, del Cristo. Tale santità, si esprime tanto nella realtà spirituale del prete, quanto in quella materiale e corporale.

L'imitazione di Cristo deve essere totalizzante, per poter offrire la vittima con “mani pure e cuore mondo”, espressione assai felice, che rende visivamente l'elemento della materia (mani) e dello spirito (cuore), nell'unità trascendente della persona, che nella sua integrità, lontana dal peccato, si deve immolare, allo stesso modo in cui Cristo si è immolato.


La liturgia, permette al Sacerdote di diventare una cosa sola con Cristo, anche attraverso la pratica rituale dei segni, dei simboli e tramite l'osservanza scrupolosa e amorevole delle rubriche. Non è pedanteria, né mania formalista. Con la rubrica il Sacerdote riesce ad ottenere l'annullamento della propria individualità, modellando la propria postura, la propria fisicità, la propria interiorità, ad una catena ininterrotta di movimenti, posizioni, gesti e segni, che ha origine in Cristo stesso e viene perpetrata per continuarne la “memoria”.

L'uso del lino per il camice o per la tovaglia non è una richiesta leziosa. Esprime la necessità che l'identificazione sia totale, attraverso l'uso degli indumenti che l'eterno Sacerdote che si impersonifica indegnamente, rivestì.

Così, anche gli altri oggetti e gli altri ornamenti, non sono casuali. Purtroppo manca alla modernità una coscienza rituale simbolica, poiché la modernità pecca di mancanza di trascendenza.

La modernità è totalmente immanente, e il simbolo cozza contro l'immanenza, essendo esso è la porta che permette di saltare dal mondo immanente a quello trascendente.

Il male moderno è penetrato anche nella Chiesa, che ha operato e talvolta tollerato, semplificazioni e rivoluzioni liturgiche ai limiti del folle.

Riti svuotati di sacrale trascendenza, riportati ad un livello di piatta fruizione immediata, senza alcun rimando, senza alcuna elevazione. Gesti soppressi, movimenti aboliti, vesti vietate, simboli eliminati in virtù di una loro riscoperta “inutilità”.

Il concetto di “utile” è caro alla modernità, ma sconosciuto alla tradizione. Un paramento non ha una utilità. Un gesto non è utile o vantaggioso. Un manipolo non produce un guadagno in chi lo usa. La liturgia non può essere praticata nella sfera dell'utilitarismo materialista, a meno di non volerla snaturare completamente dal suo fine: rappresentare sulla terra ciò che è il mistero eterno del cielo, rendendolo presente e vivo, in modo miracoloso.


La liturgia utile rende la proclamazione della parola di Dio un corso di Bibbia. La liturgia utile rende lo scambio della pace un atto di crudele ipocrisia tra sconosciuti. La liturgia utile rende la gente più consapevole del loro ruolo sociale, come disse Paolo VI che vedeva nella nuova Messa più che mai “una tranquilla ma impegnativa palestra di sociologia cristiana” Cfr. Udienza Generale di Paolo VI, Mercoledì, 26 novembre 1969.

Istruire, fare comunità, fare carità. Tante parole vuote ed inutili quando si toglie di mezzo il mistero che è soprattutto rappresentato nel Sacrificio che è spargimento di Sangue che toglie i peccati, e solo questo. Il mistero non è materiale, sfugge alle leggi dell'utilitarismo. Il mondo moderno si riprenderà dalla sua crisi, quando si accorgerà che l'umanità ha solo un interesse che sia utile. La salvezza che viene dal Sacrificio di Cristo.

La Santa Messa celebrata da un Sacerdote cattolico che, nelle sue remote intenzioni nega che negli atti che compirà, si attualizzerà realmente il Sacrificio di Cristo, - con una nuova effusione di Sangue per il perdono dei peccati -  si può considerare valida?

È una domanda gravissima che va affrontata con umiltà e fermezza dottrinale!

Vogliamo ri-proporre i due esempi, uno del Arcivescovo di Friburgo, Presidente della Conferenza Episcopale Tedesca e l’altro del fondatore del Cammino Neocatecumenale che ispira con la sua dottrina decine e decine di propri Seminari “Redemptoris Mater” avendo plasmato da più di trenta anni, migliaia di Sacerdoti del Cammino e sacerdoti-affiliati che hanno aderito questa spiritualità, sparsi per il mondo.

Robert Zollitsch, “Cristo non è morto per i peccati della gente come se Dio avesse preparato un'offerta sacrificale, un capro espiatorio. Piuttosto, Gesù ha offerto soltanto “solidarietà” con i poveri ed i sofferenti, questa è la grande prospettiva: questa tremenda solidarietà.” Cfr. Dichiarazione pubblica, 21 aprile 2009.

Kiko Arguello: “Carmen vi ha spiegato come le idee sacrificali che Israele aveva avuto ed aveva sublimato, si introdussero di nuovo nella eucaristia cristiana. Forse che Dio ha bisogno del Sangue del Suo Figlio, del suo Sacrificio per placarsi? Ma che razza di Dio abbiamo fatto? Siamo arrivati a pensare che Dio placava la sua ira nel Sacrificio di suo Figlio alla maniera degli dèi pagani. Per questo gli atei dicevano: che tipo di Dio sarà quello che riversa la sua ira contro Suo Figlio sulla croce?... e chi poteva rispondere?” Cfr. Orientamenti alle equipes dei catechisti per la fase di conversione p. 333.

E anche: “Ci permettiamo ricordare che sul Sacrificio della messa si insegna che il concetto di Sacrificio è stato introdotto per compiacere i pagani al tempo di Costantino. In realtà la messa è solo una presenza-passaggio del Cristo che, ovviamente, dopo il passaggio, non rimane più dentro il pane, ecc. Tuttavia, questo non ditelo agli altri cristiani, perché non sarebbero ancora in grado di capirlo”. Cfr. Annuncio di Quaresima 2008.

Si è parlato nei secoli se la condotta peccaminosa di un Sacerdote potesse rendere invalida la Messa.

La risposta fu chiara e decisa: la condotta del prete non può rendere invalida la Messa, solo l’intenzione segreta di agire contro la volontà della Chiesa, solo questa intenzione del Sacerdote può rendere invalido il Sacrificio.

Il Concilio di Trento definì il 3 marzo 1547 contro Lutero che i sacramenti conferiscono la grazia ex opere operato (can. 8), per ciò che dipende da Dio (can. 7): “Se alcuno dirà che i sacramenti della nuova legge non conferiscono la grazia per propria ed intima efficacia (ex opere operato) ma che per conseguire la grazia basta la fiducia nelle divine promesse, sia scomunicato.”

(Sess. VII, ca. 8; Denz 851)

Ex opere operato significa letteralmente “operato dall'opera stessa”, o meglio, “realizzato per il semplice fatto di aver compiuto l'opera”. Si parla di questo nel concilio di Trento, a proposito dei sacramenti, che a differenza di altre azioni liturgiche della Chiesa, non necessitano la santità di condotta del ministro o di chi le riceve per essere efficaci, ma al contrario hanno effetto automatico.

Ad esempio l'uso di oggetti sacri, non hanno effetto “ex opere operato”, come se fossero talismani, ma al contrario “ex opere operantis”, ossia, attraverso mediante la condotta di colui che lo fa.

Il rosario benedetto, per intenderci, ti aiuta se lo usi pregandolo con devozione e fede, non per il solo fatto di possedere tale oggetto.

Invece l'eucaristia, non dipende da quelle che sono le private intenzioni del ministro o di colui che la riceve, per realizzarsi. E' la celebrazione del sacramento stesso, che in virtù del mistero liturgico, in cui il Sacerdote non agisce per sé, ma in persona Christi, che ha efficacia. Vuol dire che è Cristo che celebra ogni sacramento, con la sua intenzione e con la sua santità. E' vero che conta l'intenzione e la santità del ministro perchè il sacramento sia efficace, ma nel caso, il ministro è Cristo, per cui la sua intenzione e la sua santità sono perfette.

Molti eretici hanno negato la validità dei sacramenti celebrati da ministri non santi, come se un prete buono consacrasse, al contrario di un prete sporcaccione. In realtà, né l'uno né l'altro possono essere abbastanza buoni da compiere un Sacrificio divino, che richiederebbe perlomeno che il Sacerdote fosse Dio a sua volta. Per questo il Sacrificio è di Cristo e viene celebrato da Cristo, sempre.

Il ministro non conta, non conta la sua fede, non conta la sua devozione, non conta la sua moralità, poiché nella celebrazione il ministro viene meno, e Cristo prende possesso della persona umana, agendo al posto suo.

Pertanto il concilio di Trento ha voluto ribadire contro i protestanti che affermavano la necessità (come i donatisti) che il ministro fosse puro per la validità dei sacramenti, che i sacramenti agiscono “ex opere operato”, poiché non dipendono dall'uomo, ma da Dio solo, che agisce come Sacerdote.


Questo vale per tutti i sacramenti, anche per il matrimonio. Tuttavia, è necessario distinguere e comprendere. E' vero che l'eucaristia è valida anche se il Sacerdote non crede. Ne è dimostrazione ad esempio il miracolo eucaristico di Bolsena, dove un prete che non credeva alla transustanziazione, vide l'ostia tramutarsi in pezzo di carne, miracolosamente, dopo le parole della consacrazione, dette senza fede, ma valide.

La Chiesa per la validità di un sacramento, chiede che sussistano due requisiti, di forma e di materia. La materia appartiene al segno sacramentale, ed è l'acqua pura per il battesimo, l'olio solo di oliva per la cresima e l'estrema unzione, l'accusa dei peccati vocale per la confessione, l'imposizione delle mani per l'ordine, il pane di frumento e il vino d'uva naturali per l'eucaristia, lo scambio contrattuale della proprietà e della disponibilità del corpo di uno sull'altro (jus in corpore) per il matrimonio.


Quanto alla forma, sono le formule legittimamente approvate dalla Chiesa, contenute nei libri liturgici per ciascun sacramento. Per il matrimonio, è sufficiente che lo scambio della mutua disponibilità del diritto sul corpo del coniuge sia resa evidente con qualsiasi parola o gesto, e la Chiesa ha mutato molte volte la formula.


Oltre a tutto questo, è richiesta da parte del ministro per la validità, che vi sia una intenzione remota di fare quello che fa la Chiesa quando celebra il sacramento.

L'intenzione si distingue tra remota e prossima, nel senso che se il ministro intende effettivamente consacrare (per esempio) il pane e il vino che ha di fronte, in quella circostanza liturgica, nel corpo e nel sangue di Cristo, la sua intenzione è prossima, cioè direttamente collegata al fine che si vuole conseguire.

E' invece remota se non è direttamente collegata, ma solo indirettamente collegata al fine che si vuole conseguire. Ossia ad esempio un Sacerdote, che vuole semplicemente fare ciò che la Chiesa fa, mentre si dicono le parole sui segni sacramentali, adeguandosi alla intenzione generale della Chiesa, ma senza averne una sua propria particolare.


continua...........


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Caterina63
00martedì 26 maggio 2009 00:28

E' il caso del prete che non sa se il sacramento è valido, ma celebra ugualmente volendo fare ciò che tutti fanno, e dunque questa intenzione generale della Chiesa, supplisce alla scarsità della sua intenzione individuale (supplet ecclesia) rendendo comunque valido il sacramento, in virtù dell'azione di Cristo.

Tutto ciò diventa chiaro che si leggesse la formula che i sacerdoti sarebbero tenuti a recitare prima della Santa Messa.

“Ego volo celebrare Missam, et conficere Corpus et Sanguinem Domini nostri Jesu Christi, juxta ritum sanctæ Romanæ Ecclesiæ, ad laudem omnipotentis Dei totiusque Curiæ triumphantis, ad utlitatem meam totiusque Curiæ militantis, pro omnibus, qui se commendaverunt orationibus meis in genere et in specie, et pro felici statu sanctæ Romanæ Ecclesiæ”.

“Intendo celebrare questa Eucaristia e consacrare il Corpo e il Sangue di nostro Signore Gesù Cristo, secondo il rito di Santa Romana Chiesa, a lode di Dio Onnipotente e di tutta la sua corte celeste per il mio bene e quello di tutta la Santa Chiesa militante e per tutti coloro che si sono raccomandati alle mie preghiere, in modo generale e in modo particolare, come anche per il felice stato della Santa Chiesa Romana”.

Occorre però quindi, almeno l'intenzione generica di fare un sacramento, secondo la fede comune della Chiesa, che per ignoranza o incapacità, non si condivide o si conosce.

Per questo motivo se dei sacerdoti professassero in cuor loro senza alcun dubbio le affermazioni sopra esposte dello Zollitsch e dell’ Arguello che dichiarano di non credere nel Sacrificio di Cristo, di non credere che la santa Messa sia un Sacrificio con una reale effusione di Sangue di Nostro Signore Gesù Cristo per il perdono dei peccati, si potrebbe seriamente dubitare che le Messe possano rendere presente nostro Signore Gesù Cristo.

Anche perché costoro eventualmente sposando le sovrascritte dichiarazioni  non si adeguerebbero nemmeno all’ Intenzione di fare quello che fa la Chiesa, perché al contrario affermerebbero pugnacemente che la Chiesa è retrograda e ignorante, perché afferma ancora, a dir di loro, che l'Eucaristia è sacrificale mentre loro hanno capito, in base a presunti studi e approfondimenti, che sacrificale non lo è per niente.

Le dichiarazioni dello Zollitsch sono di una gravità sconcertante non solo perché professate spavaldamente ma anche perché professate da un Arcivescovo che è stato eletto democraticamente come Presidente della Conferenza Episcopale Tedesca.

Certo è, che se si arriva ad una così “chiara” dichiarazione – sia pur seguita da un tardiva ritrattazione per mezzo di un articolo che ha tutta l’aria di essere un espediente formale – senza una sola voce fuori dal coro dell’Episcopato Tedesco, questo ci fa supporre che questo tipo di credo eucaristico  se non è professato almeno è tollerato. Ma questo credo è palesemente contrario al Credo Eucaristico professato dalla Chiesa Cattolica.

Le dichiarazioni di Arguello sono anch’esse di una gravità sconcertante ma fatte da un fondatore di un movimento che non è né Vescovo, né sacerdote.  Ma non per questo sono memo gravi.

L’Arguello con alcuni sacerdoti e catechisti in questi 30 anni avrebbe “interpretato” o forse è meglio dire “riscoperto” un nuovo è più “autentico” modo di proporre l’eucaristia. Così come un artista ha interpretato a suo modo, la realtà dipingendo e imponendo un suo modo di fare eucarestia.

Non intendiamo analizzare la sua interpretazione eucaristica (composta da un modo particolare, per esempio, di realizzare l’arredo dello spazio sacro e di imporre un tipo preciso di postura del corpo durante il rito, o di proporre un solo ed unico stile musica sacra, che sempre accompagna il rito, ecc), ci limiteremo solo a sottolineare il suo credo eucaristico costruito sul rifiuto categorico di considerare la sua eucaristia come incruento spargimento del Preziosissimo Sangue di Nostro Signore per il perdono dei peccati.

Tutto ciò sarebbe comprovato almeno per quel che riguarda alcune prassi non scritte dei sacerdoti del Cammino, di eliminare dalla Messe celebrate la preghiera che il Sacerdote rivolge a Dio prima della preghiera detta “Sulle Offerte”: VPregate fratelli  perché il mio e vostro sacrificio sia gradito a Dio Padre Onnipotente. R/ Il Signore riceva dalle tue questo Sacrificio a Lode e gloria del tuo nome per il bene nostro e per tutta la tua Santa Chiesa”.  

O di spiegare in opportune catechesi che l’eucaristia non sarebbe altro che una “presenza-passaggio del Cristo che, ovviamente, dopo il passaggio, non rimane più dentro il pane”. Quindi per le interpretazioni Kikiane non avrebbe alcun senso un tabernacolo nella chiesa!

[La chiesa realizzata sull’ispirazione artistica di Kiko a Roma intitolata a San Massimiliano Kolbe voluta dal Cardinal Ruini, realizzata dal Vescovo Mandara e benedetta e consacrata dal Card. Vallini il 26 aprile 2009, NON ha il tabernacolo! Il tabernacolo sarebbe presente solo nella cosiddetta cappellina feriale e il fedele per adorare il Santissimo Sacramento, deve uscire fisicamente dalla Chiesa, e dal sagrato,  entrare nella cappellina feriale].

Ma secondo sempre alcune presunte catechesi (perché Kiko ha riproposto per il suo Cammino un percorso “misterico” per i suoi seguaci, preti e laici, che è caratterizzato dall'obbligo di non profanare i segreti: le catechesi, che devono con il loro contenuto, rimanere coperte dall’arcano) l’eucaristia ha anche un ulteriore valenza.

La messa è Banchetto, così come è descritto in Luca “Esci subito per le piazze e per le vie della città e conduci qui poveri, storpi, ciechi e zoppi. Il servo disse: Signore, è stato fatto come hai ordinato, ma c'è ancora posto. Il padrone allora disse al servo: Esci per le strade e lungo le siepi, spingili a entrare, perché la mia casa si riempia. Perché vi dico: Nessuno di quegli uomini che erano stati invitati assaggerà la mia cena»”. Cfr. Luca 14,16-24. Cristo stesso per l’interpretazione pittorica (non certo teologica o liturgica) passerà e li servirà.

Dall’intervista rilasciata il 16 giugno 2008

“Noi l’abbiamo finora sempre fatta da seduti, e non per disprezzo – ha affermato - ma perché per noi è sempre stato molto importante comunicarsi anche con il Sangue. Nelle comunità portiamo avanti infatti una catechesi basata sulla Pasqua ebrea, con il pane azzimo a significare la schiavitù e l’uscita dall’Egitto e la coppa del vino a significare la Terra promessa”. [E qui, aprendo una lunga parentesi, l’iniziatore ha riassunto la sua catechesi sull’ultima cena, sul pane e sul vino:] “Quando nelle cena della Pasqua ebraica si scopre il pane si parla di schiavitù, quando si parla della Terra promessa scoprono il calice, la quarta coppa. In mezzo a questi due momenti c’è una cena, quella nel corso della quale Gesù disse “Questo è il mio Corpo” (a significare la rottura della schiavitù dell’uomo all’egoismo e al demonio) e “Questo è il mio Sangue” (a significare la realizzazione di un nuovo esodo per tutta l’umanità)”. Più tardi – ha continuato Kiko – “I cristiani toglieranno la cena e metteranno insieme il pane e il vino. Ora, nel Cammino abbiamo molta gente lontana dalla Chiesa, non catechizzata, e nei segni del pane azzimo (la frazione del pane) e del vino noi diamo visibilità a quei significati”. “Abbiamo scelto di fare la comunione seduti – ha affermato Kiko avvicinandosi al cuore della questione – soprattutto per evitare che si versasse per terra il Sangue di Cristo. ... Il fedele seduto, questi ha il tempo – ha spiegato Kiko – di “accogliere il Calice con tutta calma e senza movimenti bruschi, di portarlo alla bocca, di comunicarsi con tranquillità e in modo solenne”. “Seduti come seduto era anche Gesù”, ha specificato Carmen alla sua destra. Dal canto suo padre Mario Pezzi rilevava che la decisione originaria di comunicarsi seduti era stata presa di comune accordo con la Congregazione per il Culto Divino e con il cardinal Mayer, prefetto fra il 1984 e il 1988.

Il rito che viene identificato come Messa per le Comunità Neocatecumenali è incentrato sulla Pasqua ebrea, con il pane azzimo a significare la schiavitù e l’uscita dall’Egitto e la coppa del vino a significare la Terra promessa. Prendono poi il Sangue di Cristo seduti per non versarlo e perché Gesù lo ha bevuto seduto.

E ancora per Kiko secondo altre sue “pittorico-poetiche” interpretazione il pane della sua eucaristia non sarebbe altro che il-pane-del-fare-la-volontà-del-Padre il pane sarebbe solo il cibo che rappresenta la sottomissione a Dio nel fare la sua volontà (obbedienza-sottomissione) [mentre prima avrebbe significato la schiavitù e l’uscita dall’Egitto], mentre il vino sarebbe il simbolo dell'alleanza [mentre prima avrebbe significato Terra promessa], per cui la comunione sotto le due specie, sarebbe indispensabile affinché l'alleanza data dalla mia obbedienza-sottomissione sia efficace.

L’obbedienza e la sottomissione senza mormorazione (peccato grave secondo l’uso Neocatecumenale) sono temi molto cari al Cammino. Il neocatecumenale non deve mormorare, deve obbedire al Cammino (dio), in quanto tale, rappresentato ora dal catechista rappresentante della propria Comunità di appartenenza ora dal sacerdote del Cammino, senza discutere, perché, se mormorasse o disobbedisse si porrebbe come colui che accusa (il diavolo) e non come Cristo (a loro modo strumentalizzato) che “obbedirebbe” quasi senza capire.

Cristo non sarebbe ricordato, nella loro idea di celebrazione, come Colui che ha profuso e profonde ancora, il suo reale e Preziosissimo Sangue per il perdono dei peccati, ma come Colui-che-fa-la-volontà-del-Padre senza se e senza ma, ed il neocatecumenale rende-grazie (eucharisto) con tutte le forze con “cembali e danze”.

Il Cammino Neocatecumenale quindi non celebrerebbe, ma “fa eucaristia”: rende-grazie.

Quindi la presenza reale di Gesù non ha importanza, ciò che conta è l’obbedienza e la sottomissione elevata a “originale sacramento” non di salvezza ma di perseveranza nel Cammino fino alla tanto sospirata Tappa Finale con la sua Elezione (III scrutinio e bagno nel Giordano). Una salvezza del tutto immanentizzata.

Ora, il fatto che neghino apertamente quello che fa (e proclama) la Chiesa,

[che in venti secoli di storia non ha, non solo mai detto che il pane azzimo è simbolo della schiavitù e dell’uscita dall’Egitto e il vino: la terra promessa, ma soprattutto ha condannato la teoria secondo la quale Cristo, non riattualizzerebbe il Sacrificio della Croce in ogni Santa Messa o che la sua Presenza Reale sarebbe assicurata solo durante le azioni sacre, ma terminate le stesse, Cristo non ci sarebbe più]

escluderebbe l'intenzione remota e dunque renderebbe il sacramento direttamente invalido, al di là della privata eresia.

L’intenzione di fare quello che fa la Chiesa quando celebra il sacramento è necessaria affinché il Sacerdote con la preghiera consacratoria detta correttamente, abbia tra le mani nostro Signore Gesù Cristo.

Ora quanto detto porterebbe ad una doverosa considerazione.

Ø Tutti i sacerdoti della Diocesi di Friburgo così come tutti i preti e fedeli tedeschi professano il credo eucaristico proclamato dallo Zollitsch?

Ø Tutti i sacerdoti e i fedeli laici appartenenti al Cammino Neocatecumenale condividono le idee del sig. Arguello?

Ø Tutti i sacerdoti sparsi per il mondo, si accostano a celebrare i divini misteri, non disprezzando, ma magari solo negando il Sacrificio Incruento di Gesù Cristo sull’altare?

Ci piace sperare che non sia sempre così!

Ma come fare a sopportare tutto questo male da una parte della Chiesa (che di fatto non è più in comunione con la Chiesa) che nega risolutamente il Sacrificio di Cristo? Come fare a tollerare questo tipo di credo eucaristico palesemente contro la Verità, la Giustizia, la Misericordia di Dio?

Come fare a rispettare chi (facendosi complice) permette che queste forze oscure, che vanno a vanificare il Sacrificio della Croce (riperpetuato nel Divin-Sacrificio), continuino a proliferare senza freno?

Ma Gesù ci conforta, sì, ci conforta di fronte a questo scandalo e con queste parole, rassicura e rafforza il nostro cuore inquieto.

In quel tempo, Gesù espose alla folla un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania. Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: “Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”. Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo!”. E i servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. “No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponètelo nel mio granaio”». 

«Colui che semina il buon seme è il Figlio dell’uomo. Il campo è il mondo e il seme buono sono i figli del Regno. La zizzania sono i figli del Maligno e il nemico che l’ha seminata è il diavolo. La mietitura è la fine del mondo e i mietitori sono gli angeli. Come dunque si raccoglie la zizzania e la si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, ascolti!». Cfr. Mt 13,24-43.

Ci permettiamo di deporre, sotto lo sguardo e l'intercessione della Beata Vergine Maria, l'intero lavoro svolto per la Maggior Gloria di Dio. Alla Madre della Chiesa rifugio dei peccatori e Madre della Misericordia affidiamo opere ed intenzioni perché le orienti e le sostenga e perché l'uomo nella riscoperta della Verità possa incontrare la Salvezza.

 

“...Se, turbato dall'enormità dei peccati, confuso dall'indegnità della coscienza, impaurito dall'orrore del giudizio, tu cominci ad essere inghiottito nel baratro della tristezza, nell'abisso della disperazione ... guarda la stella, invoca Maria. Nei pericoli, nelle angustie, nelle incertezze, pensa a Maria, invoca Maria. Non si allontani dalla tua bocca, non si allontani dal tuo cuore”.


 
maranatha.it Pio IX Messa
 
 

Qui immaculátam Vírginem Maríam, Fílii tui Genétricem, Matrem et Salútem pópuli Románi constituísti, ut, ipsa protegénte, fídei certámen certet intrépitus, in Apostolórum doctrína firmus consístant et inter mundi procéllas incédat secúrus, donec ad cæléstem civitátem lætus pervéniat. 

(dal Prefazio della Salus Populi Romani)

 
 

Lo Spirito e la Sposa dicono: ‘Vieni!’. (Ap 22,17).

Maranathà:

Vieni Signore Gesù!




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Caterina63
00martedì 26 maggio 2009 00:33
AMANTISSIMI REDEMPTORIS

LETTERA ENCICLICA DI SUA SANTITÀ

Pio PP. IX

Pio IX



Ai Venerabili Fratelli Patriarchi, Primati, Arcivescovi, Vescovi e agli altri Ordinari locali che hanno amicizia e comunione con la Sede Apostolica.
 

Il Papa Pio IX.

Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.
 

Sono state tanto grandi la bontà e la benevolenza dell’amantissimo Redentore Nostro Gesù Cristo, Unigenito Figlio di Dio, verso gli uomini che, come ben sapete, Venerabili Fratelli, assunta la natura umana, non solo accettò di subire i più aspri tormenti e di soffrire la più crudele delle morti sulla croce per la nostra salvezza, ma volle mantenere eterna la sua presenza fra noi nel santissimo sacramento del suo corpo e del suo sangue per esserci, con infinito amore, guida e nutrimento e per garantirci, al suo ritorno in cielo alla destra di Dio Padre, la sua divina presenza e un sicuro sostegno della vita spirituale.


Non contento di averci amato con una tale sublime carità, propria di Dio, profondendo doni su doni, volle spargere ulteriormente le ricchezze del suo amore verso di noi perché comprendessimo appieno che, avendo amato i suoi, li amò sino alla fine. Proclamando infatti se stesso eterno Sacerdote secondo l’ordine di Melchisedek, istituì nella Chiesa Cattolica un Sacerdozio perpetuo, e quello stesso Sacrificio che egli stesso offrì una volta per sempre, spargendo sull’altare della croce il suo preziosissimo Sangue per riscattare e redimere l’intero genere umano dal giogo del peccato e dalla schiavitù del demonio, pacificando le cose del cielo e quelle della terra, ordinò si mantenesse operante fino alla fine dei secoli, e ingiunse che ciò avvenisse ogni giorno, diverso solo per il modo dell’offerta, per mezzo del ministero dei Sacerdoti, perché i salutari e sovrabbondanti frutti della sua passione continuassero a riversarsi sugli uomini.


In questo incruento sacrificio della Messa, che si compie per mezzo del mirabile ministero dei Sacerdoti, viene dunque offerta quella stessa vittima che ci ha riconciliati con Dio Padre e che, racchiudendo in sé il potere legittimo di placare, di impetrare e di soddisfare, "ripropone misteriosamente la morte dell’Unigenito che una volta risorto dai morti non muore più, e la morte non avrà più potere su di Lui; Egli vive dunque in se stesso immortale e incorruttibile, ma viene nuovamente immolato per noi in questa misteriosa sacra offerta" . È un sacrificio così puro che nessuna indegnità e malvagità degli offerenti può in alcun modo sminuire.


Il Signore stesso, per mezzo di Malachia, divinamente ispirato, predisse che questo sacrificio sarebbe stato grande fra le genti e avrebbe dovuto essere offerto puro in ogni parte del mondo, dal sorgere al tramontare del sole (Ml 1,11). È un sacrificio talmente ricolmo di frutti da abbracciare la vita presente e quella futura.

Dio, riconciliato da questo sacrificio, elargendo la sua grazia e il dono del perdono, cancella anche le colpe più gravi e, pur gravemente offeso dai nostri peccati, trascorre dall’ira alla misericordia e dalla severità della giusta punizione alla clemenza. Tramite questo dono vengono annullati il reato e la soddisfazione delle pene temporali; per mezzo suo può essere portato sollievo alle anime dei morti in Cristo non pienamente purificate, e possono essere conseguiti anche beni temporali purché non in contrasto con quelli spirituali. Sempre per suo tramite vengono debitamente esaltati l’onore e il culto resi ai Santi e, in primo luogo, alla santissima Madre di Dio, la Vergine Maria.


Secondo la tradizione ricevuta dagli Apostoli, offriamo il divino sacrificio della Messa "per la pace di tutte le Chiese, per la doverosa armonia del mondo; per i regnanti, per i soldati, per gli alleati, per gli ammalati, per gli afflitti, per tutti coloro che versano nell’indigenza, per i defunti ancora trattenuti in purgatorio, sorretti dalla ferma speranza che potrà tornare di grande giovamento la preghiera elevata in loro favore mentre è presente la Vittima santa e tremenda" .


Non esistendo dunque niente di più grande, di più salutare, di più santo, di più divino dell’incruento sacrificio della Messa, per mezzo del quale, attraverso le mani dei Sacerdoti, viene offerto e immolato a Dio, per la salvezza di tutti, lo stesso corpo, lo stesso sangue, lo stesso Dio e Signore Nostro Gesù Cristo, la Santa Madre Chiesa, dotata dell’inesauribile tesoro del suo divino Sposo, mai tralasciò di circondarlo di cura e di attenzioni, perché un così grande Mistero fosse compiuto da Sacerdoti con cuore grandemente puro e mondo, e venisse celebrato con un apparato esteriore di cerimonie e di riti tale da rendere il culto espressione della grandezza e della magnificenza del Mistero, in modo che i fedeli potessero essere stimolati alla contemplazione delle realtà divine racchiuse in un così ammirevole e venerando Sacrificio.


Con pari cura e sollecitudine la stessa pietosissima Madre mai cessò di ammonire, di esortare e di convincere i suoi fedeli figli perché intervenissero il più frequentemente possibile a questo divino Sacrificio, con le dovute predisposizioni di pietà, di amore e di devozione, ricordando loro il preciso dovere di presenziarvi tutte le feste di precetto, con l’animo e lo sguardo devotamente intenti a quel mistero da cui potevano attingere con facilità la divina misericordia e l’abbondanza di tutti i beni.


E poiché ogni Sacerdote, scelto tra gli uomini, è deputato per gli uomini a tutto ciò che riguarda Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati, in forza delle vostre approfondite conoscenze, Venerabili Fratelli, Voi sapete bene che i pastori di anime sono tenuti ad offrire il sacrosanto Sacrificio della Messa per le anime loro affidate. Si tratta di un obbligo che, secondo gli insegnamenti del Concilio Tridentino, nasce dalla stessa legge Divina. Il Concilio fa ricorso a parole assai autorevoli ed eloquenti per affermare "che a tutti coloro a cui è stata affidata cura di anime è fatto obbligo, per divina disposizione, di riconoscere le proprie pecore e di offrire per esse il Sacrificio" .


È pure nota a tutti Voi l’Enciclica di Benedetto XIV, Nostro Predecessore di felice memoria, del 19 agosto 1744 . Parlando diffusamente e in modo approfondito di questo obbligo e procedendo ulteriormente nel precisare e confermare il pensiero dei Padri Tridentini, al fine di eliminare controversie, dubbi e disquisizioni, stabilì in modo chiaro ed inequivocabile che i parroci e tutti coloro che si trovano in cura d’anime debbono offrire il Sacrificio della Messa per il popolo loro affidato, tutte le domeniche e le feste di precetto, anche in quelle che per sua disposizione, in molte Diocesi, erano state tolte dal novero delle feste di precetto per permettere a quelle popolazioni di dedicarsi alle opere servili, fermo restando l’obbligo di ascoltare la Messa.


Il Nostro cuore non è certo pervaso da mediocre soddisfazione, Venerabili Fratelli, mentre leggiamo le relazioni inviate a Noi e a questa Sede Apostolica in adempimento ad un preciso compito del vostro ufficio pastorale, sulla situazione delle vostre Diocesi. Sono notizie che tornano a vostro onore e Ci riempiono di gioia. Veniamo infatti a sapere che tutti coloro che hanno cura d’anime adempiono al loro dovere nei giorni di domenica e negli altri tuttora di precetto, e non tralasciano di celebrare la Messa per il popolo loro affidato. Ma siamo anche a conoscenza che in molti luoghi è invalsa tra i parroci la consuetudine di non assolvere questo impegno in quei giorni di festa che un tempo, sulla scorta della Costituzione di Urbano VIII, Nostro Predecessore di felice memoria , dovevano essere ritenuti di precetto.

È accertato che questa Sede Apostolica, accogliendo le motivate richieste di molti sacri Pastori e valutando le motivazioni presentate, non solo diminuì per quei luoghi il numero dei giorni festivi di precetto per permettere a quelle popolazioni di dedicarsi alle opere servili, ma le esentò anche dall’obbligo di ascoltare la Messa. Ma non appena queste benevole concessioni della Santa Sede diventarono di pubblico dominio, subito i parroci di molte località, ritenendo di essere stati sollevati dall’obbligo di applicare la Messa per il popolo, lo lasciarono cadere del tutto. Ne derivò dunque, per i parroci di quelle regioni, la consuetudine di tralasciare in quei giorni l’applicazione del santissimo Sacrificio della Messa per il popolo, e non mancarono coloro che si ersero a difensori di una simile consuetudine.


Noi pertanto, mossi da profonda sollecitudine per il bene spirituale dell’intero gregge del Signore a Noi affidato per volere divino, profondamente addolorati perché per tale omissione i fedeli di quelle regioni vengono defraudati dei maggiori frutti spirituali, abbiamo deciso di intervenire in una questione di sì rilevante importanza, ben sapendo che questa Sede Apostolica ha sempre insegnato che i parroci hanno l’obbligo di celebrare la Messa per il popolo anche nei giorni festivi non più di precetto.


Sebbene dunque i Romani Pontefici Nostri Predecessori, indotti dalle insistenti petizioni dei Sacri Pastori, dalle molteplici e difformi necessità delle comunità dei fedeli e dalle gravi difficoltà legate ai tempi e alle situazioni locali abbiano deciso di ridimensionare il numero dei giorni di festa e, nello stesso tempo, abbiano benignamente concesso ai fedeli di dedicarsi liberamente alle opere servili, senza l’obbligo di ascoltare la Messa, tuttavia gli stessi Nostri Predecessori, nel concedere simili indulti, intendevano mantenere integre le disposizioni che vietavano, nei summenzionati giorni, qualsiasi innovazione nel consueto svolgimento dei divini uffici e dei riti liturgici: tutto doveva essere compiuto nello stesso modo in cui si era soliti operare quando era ancora in vigore la menzionata Costituzione di Urbano VIII con cui si decidevano i giorni festivi di precetto.


Da tutto questo i parroci potevano facilmente dedurre che in quei giorni non potevano in alcun modo essere sollevati dall’obbligo di applicare la Messa per il popolo, perché è questa la componente essenziale dei riti, soprattutto prestando mente al fatto che i Rescritti Pontifici devono essere accolti e interpretati con assoluta fedeltà al loro significato.


A ciò si aggiunga che questa Santa Sede più volte interpellata per casi specifici inerenti questo dovere dei parroci, mai tralasciò di rispondere per il tramite delle sue Congregazioni, sia del Concilio, sia di Propaganda Fide, sia dei Sacri Riti, sia anche della Sacra Penitenzieria, e di precisare che i parroci erano soggetti all’obbligo di applicare la Messa per i fedeli anche in quei giorni che erano stati depennati da quelli festivi di precetto.


Avendo dunque soppesato con somma attenzione tutte le circostanze, e sentito il parere di molti Nostri Venerabili Fratelli Cardinali di Santa Romana Chiesa della Nostra Congregazione incaricata di difendere e di interpretare i Decreti Tridentini, abbiamo deciso, Venerabili Fratelli, di scrivervi questa Lettera Enciclica per stabilire una sicura e definitiva normativa da osservare con scrupolosa diligenza da tutti i parroci.

A questo fine, con la presente Lettera dichiariamo, stabiliamo e decretiamo che i parroci e i sacerdoti in cura d’anime debbono celebrare e applicare il sacrosanto sacrificio della Messa per il popolo loro affidato, non solo in tutte le domeniche e negli altri giorni tuttora annoverati come feste di precetto, ma anche in quelli che per indulto di questa Sede Apostolica sono stati eliminati dal novero delle feste di precetto o trasferiti, allo stesso modo al quale tutti i curatori d’anime erano obbligati quando la menzionata Costituzione di Urbano VIII manteneva piena la sua validità, e le feste di precetto non erano ancora state ridotte e trasferite.


Per quanto concerne le feste trasferite, è ammessa una sola eccezione, quando cioè la solennità e il rispettivo ufficio vengono traslati in giorno di domenica. In questo caso deve essere applicata dai parroci una sola Messa per il popolo, dal momento che si può ritenere che la Messa, parte essenziale dell’ufficio divino, sia stata trasferita unitamente allo stesso ufficio.


Ora, spinti dal sentimento di paterno amore del Nostro animo, volendo restituire la tranquillità a quei parroci che per l’invalsa consuetudine tralasciarono, nei giorni menzionati, di applicare la Messa per il popolo, concediamo ampia assoluzione, in forza del Nostro Apostolico Potere, per tutte le trascorse omissioni.

Non mancando inoltre sacerdoti in cura d’anime che hanno ottenuto da questa Sede Apostolica uno specifico indulto di riduzione, così viene chiamato, concediamo loro di poterne fruire nei limiti definiti dall’indulto stesso e finché eserciteranno l’ufficio di parroco nelle parrocchie rette e amministrate al presente.


Mentre dunque decretiamo e concediamo, siamo sorretti dalla ferma speranza, Venerabili Fratelli, che i parroci, accesi da ancor maggiori impegno e amore per le anime, sentano l’orgoglio di soddisfare, con somma diligenza e piena devozione, quest’obbligo di applicare la Messa per il popolo, prendendo in seria considerazione la sovrabbondante messe di favori e di doni celesti che, dall’applicazione di questo incruento e divino Sacrificio, si riversa sul popolo cristiano affidato alla loro cura.


Essendo peraltro pienamente consapevoli che potranno presentarsi dei casi specifici in cui, per particolari difficoltà del momento, dovrà essere concesso ai parroci un alleggerimento di quest’obbligo, intendiamo informarvi che per ottenere i relativi indulti occorre rivolgersi esclusivamente alla Nostra Congregazione del Concilio, eccetto i casi riservati alla Nostra Congregazione di Propaganda Fide, avendo delegato ad ambedue le Congregazioni le opportune facoltà.


Non nutriamo alcun dubbio, Venerabili Fratelli, che in forza della vostra ammirevole sollecitudine episcopale e senza interporre alcun indugio, vorrete scrupolosamente rendere noto a tutti e singoli i parroci delle vostre Diocesi quanto in questa Nostra Lettera, con il Nostro supremo potere, confermiamo, nuovamente decretiamo, vogliamo, comandiamo e disponiamo sull’obbligo di applicare il sacrosanto Sacrificio della Messa per il popolo loro affidato.

Siamo anche del tutto certi che attiverete in pieno la vostra vigilanza, perché anche chi si trova in cura d’anime adempia diligentemente a questa parte del proprio dovere e si attenga scrupolosamente a quanto abbiamo decretato in questa Nostra Lettera.


È Nostro desiderio che copia di questa Lettera sia conservata in perpetuo nell’Archivio episcopale di tutte le vostre Curie.


Poiché ben sapete, Venerabili Fratelli, che nel sacrosanto Sacrificio della Messa è racchiusa una grande possibilità di insegnamento per il popolo cristiano, non tralasciate mai di rivolgere pressanti esortazioni, in primo luogo ai parroci, a chi si dedica alla predicazione della parola divina e a coloro ai quali è affidato il compito di istruire il popolo cristiano perché, in modo attento e accurato, espongano e illustrino ai fedeli l’importanza, la maestà, la grandezza, il fine e il frutto di un così grande e mirabile Sacrificio, e nello stesso tempo sollecitino e infiammino i fedeli ad assistere ad esso il più frequentemente possibile con la fede, con la devozione è con la pietà degne di questo Sacrificio, al fine di procurarsi la divina misericordia e ogni grazia di cui hanno bisogno.


Non tralasciate di operare con viva sollecitudine perché i Sacerdoti delle vostre Diocesi eccellano per l’integrità dei costumi, per la serietà, per la rettitudine e per la santità, come si addice a chi ha ricevuto il potere di consacrare l’Ostia divina e di compiere un così santo e tremendo Sacrificio. Rivolgetevi inoltre, con pressanti ammonizioni e sollecitazioni, a tutti coloro che muovono i primi passi nel divino Sacerdozio affinché, meditando seriamente sul ministero che hanno ricevuto nel Signore, possano adempierlo e, sempre memori della dignità e del celeste potere di cui sono investiti, si ammantino dello splendore di tutte le virtù e del pregio della sacra dottrina; rivolgano con convinzione la mente al culto, alle cose divine e alla salvezza delle anime; mostrando se stessi come ostia viva e santa donata al Signore, e testimoni viventi della Passione di Gesù, offrano a Dio, come si conviene, con mani pure e cuore mondo, la Vittima di espiazione per la propria salvezza e per quella di tutto il mondo.


Niente, infine, Ci torna più gradito, Venerabili Fratelli, dell’approfittare di questa occasione per assicurarVi nuovamente e confermarVi tutto l’affetto con cui abbracciamo Voi tutti nel Signore e, nel contempo, Vi incoraggiamo perché possiate tutti affrontate con ancor maggiore ardore il vostro gravissimo compito pastorale senza tentennamenti e cadute di zelo, e provvedere con la più viva passione alla salvezza e alla sicurezza delle amatissime pecore.


Siate certi che Noi siamo pienamente disposti a compiere, con viva gioia, tutto ciò che si rivelerà utile a procurare il maggior bene a Voi e alle vostre Diocesi.

Intanto ricevete, auspice di tutti i favori celesti e testimone della Nostra più viva benevolenza, l’Apostolica Benedizione che con il più profondo affetto impartiamo a Voi, Venerabili Fratelli, a tutti i Chierici e ai Fedeli affidati alla cura di ciascuno di Voi.


Dato a Roma, presso San Pietro, il 3 maggio 1858, anno dodicesimo del Nostro Pontificato.

PIO PP. IX



http://www.maranatha.it/catesti/02page.htm


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Caterina63
00martedì 26 maggio 2009 10:19
In un altro forum dove sono anch'io, c'è stato questo scambio di vedute che ritengo utili condividere anche qui[SM=g1740733]

Ottima l'enciclica, meno l'introduzione del sito a mio avviso.

Certo è ovvio che bisogna spiegare ai fedeli l'infinito amore di Dio per l'uomo peccatore. Ceto non è un Dio sadico, al contrario: Dio ha tanto amato il modo da dare il suo Figlio per noi per riconciliare l'umanità peccatrice con Lui.

Bisognerebbe poi spigare bene teologicamente il concetto di giustizia e sacrificio di un innocente. Lo fa molto bene il Catechismo degli adulti della CEI che afferma che il tutto deve essere interpretato dal concetto di Amore di Dio che non esita a sacrificarsi per l'umanità.
La giustizia vuole che il colpevole sia punito per il male che ha fatto e che l'innocente non sia toccato. Nel caso dell'uomo il Figlio innocente ha preso si di sé il male e la pena. Con il suo Sacrificio gradito a Dio Padre ha riaperto le porte del Paradiso all'uomo.

A mio avviso il testo dell'introduzione esagera su certi punti come il Matrimonio o le "gioie" mondane.

Andrebbe ben spiegato che cosa vuol dire "gioia mondana" messo tra virgolette.
Se io faccio una bella passeggiata in campagna è una gioia mondana, ma sarebbe irrazionale e folle pensare che porti alla disperazione o all'inferno. Simile pensiero può venire in mente ad un fanatico seguace di una setta religiosa estrema.

Se si parla di droga, di alcolismo, di comportamenti sessualmente scorretti come "gioia mondata" allora il discorso è pienamente condivisibile.

Lo stesso dicasi per il Matrimonio. E' verissimo che si tratta del dono totale di sé all'altra persona.
Bisognerebbe che spiegasse meglio che cosa vuol dire portare la morte nel Matrimonio. Non vorrei che velatamente l'autore dell'articolo volesse insinuare che bisogna rinunciare a quanto di autenticamente bello e gioioso c'è nel Matrimonio.
Certo poi ci sono le croci, ma non solo quelle come sembra insinuare l'autore dell'articolo.

La vita dell'uomo su questo modo ha parti di male e di bene. Ci vuole il giusto equilibrio per discernere, non si può dire anche velatamente: "fa tutto schifo". Anche perché anche il bello, il bene di questo mondo vengono da Dio. Il resto, il brutto, il male vengono dal nemico di Dio.
Ho come l'impressione che in passato purtroppo la mentalità era di inculcare il disprezzo, l'odio, lo schifo, il rifiuto del mondo inteso come vita su questa terra. Certo se si intende con "mondo" tutto ciò che è contro Dio, allora è vero. Se si intende però "mondo" come vita dell'uomo su questo pianeta, allora o si fanno le necessarie distinzioni o il discorso non è cristianamente condivisibile.

Un eccesso poi tira l'altro. E' molto probabile che a forza di inculcare il disprezzo e lo schifo per tutta la vita dell'uomo nel mondo, anche per le cose autenticamente belle e buone, la pastorale abbia contribuito e non poco alla nascita dell'estremo edonismo di oggi.

In conclusione non è con il tono eccessivo dell'autore del sito che si può pretendere di curare gli eccessi di oggi.

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Che?!? francamente non l'ho trovata eccessiva l'introduzione....forse un pò SEVERA, ma di quella severità che a mio parere aiuta anche a comprendere l'apostasia che stiamo vivendo....

è vero, gli eccessi non si curano con altri accessi, ma alla vita eterna non si accede con la diplomazia delle parole, nè con le coccole, si accede sempre dal CALVARIO, DAL GETSEMANI, DALLA CROCE....

l'eccesso dell'introduzione a mio parere sarebbe stato se all'Enciclica fosse stato dato una irreversibile condanna, ma non è così, non almeno la leggo io così....

Il primo impatto che ho avuto è pensare alla SOFFERENZA DI CRISTO CHE NELLA MESSA NON E' PIU' CAPITO DA NOI... Imbarazzato
Tu dici bene caro marcosx nel tirare imballo che il Figlio ha preso su di se il peccato, ma questo non vuol dire che abbia alleggerito NOI dalla responsabilità DELLA SCELTA....

scegliere è sempre un atto difficile e di grande sofferenza....
ed è bene anche pensare che molte volte dimentichiamo alla sofferenza provata dal Signore e che prova ogni volta che ci accostiamo a Lui IN GRAVE STATO DI PECCATO, MANGIANDO E BEVENDO LA NOSTRA CONDANNA...
le parole di san Paolo sono assai più gravi e più dure di tutta l'introduzione....

in ballo non c'è una scampagnata di andata e RITORNO, c'è solo una andata per l'eternità...sono 40 anni che si predica questo viaggio con toni morbidi, diplomatici, non sarebbe giunto il momento di accettare che il CRISTIANO-CATTOLICO COMPRENDA CHE LA SUA NON E' UNA PASSEGGIATA?

Il passo sul matrimonio idem...alla base c'è UNA MORTE, lo dice Cristo senza mezze parole: CHI NON MUORE A SE STESSO... è forse meno cruento il discorso del Maestro?
E Cristo, dice san Paolo, NON SI E' FORSE UMILIATO FACENDOSI OBBEDIENTE FINO ALLA MORTE E ALLA MORTE DI CROCE?

La vita autentica di un cristiano è morire a se stesso ed umiliarsi al mondo per rendersi obbediente fino alla morte e morte di croce...

Come ho fatto io così voglio facciate anche voi...
è forse stato un diplomatico?
non ha forse detto SI-si, NO-no ?
non ha chiamato IPOCRITI i farisei che offuscavano la vera Legge di Dio?
non ha cacciato i mercanti dal Tempio?
Certo, egli ha anche partecipato alle feste del suo tempo, ha partecipato a qualche banchetto, ma traendone sempre UN INSEGNAMENTO...AVEVA SEMPRE UN ATTEGGIAMENTO DISTACCATO E SEVERO...

Infine leggiamo i Santi....se questa introduzione fosse cattiva, i testi dei Santi sono INDIGESTI perchè i toni sono i medesimi... Occhiolino

Io conoscevo l'Enciclica, ma su alcuni punti non comprendevo...l'Introduzione me l'ha resa più chiara e mi sta aiutando a riflettere molto sul come accedo alla Messa...sul come mi accosto ai Sacramenti...E' STATA UN SCOSSA ALLA MIA TRANQUILLITA' DI CRISTIANA....mi ha fatto subito interrogare sul come vivo IO questa FEDE...

Certo, possiamo discuterne, tutte le introduzioni aiutano alla comprensione innanzi tutto del testo, ma pongono anche riflessioni e ci fanno fare domande...essa deve interrogare innanzi tutto il lettore verso una riflessione della propria condotta, deve condurre poi anche alla CONTEMPLATIO...

Se una introduzione esagera su alcuni punti, se li leggiamo correttamente, come vedi ci aiutano entrambi a parlarne e a tirare fuori il meglio... Occhiolino

Infine mi chiedo: perchè non proviamo lo stesso malcontento quando un vescovo come quello citato insegna una dottrina contraria?
se ci fai caso amico mio, siamo talmente stati ingannati sul senso del SACRIFICIO che quando qualcuno ce ne parla direttamente, senza troppi complimento, CI METTE SULLA DIFENSIVA...

Non c'è bisogno di fare scuole teologiche in questo senso, il Vangelo è per i semplici, la Santa Messa è un dono per comprendere proprio il senso del SACRIFICIO...questo non esclude che poi faccia anche una passeggiata in campagna per ina giornata SPENSIERATA...ma Paolo avverte: sia che mangiate, sia che beviate, TUTTO si faccia per Cristo...il divertimento per il cristiano non esclude mai il senso di una offerta... Occhiolino

Io ringrazio sempre quelle persone che sono in grado di mettermi DAVANTI LA REALTA' del mio stato....

dice il Papa nell'Enciclica:

Dio, riconciliato da questo sacrificio, elargendo la sua grazia e il dono del perdono, cancella anche le colpe più gravi e, pur gravemente offeso dai nostri peccati, trascorre dall’ira alla misericordia e dalla severità della giusta punizione alla clemenza. Tramite questo dono vengono annullati il reato e la soddisfazione delle pene temporali; per mezzo suo può essere portato sollievo alle anime dei morti in Cristo non pienamente purificate, e possono essere conseguiti anche beni temporali purché non in contrasto con quelli spirituali. Sempre per suo tramite vengono debitamente esaltati l’onore e il culto resi ai Santi e, in primo luogo, alla santissima Madre di Dio, la Vergine Maria.

e a mio parere l'Introduzione sottolinea proprio che il passaggio da questa ira alla MISERICORDIA richiede anche a noi uno SFORZO GRANDE per accogliere questa Misericordia che passa attraverso LA CROCE... Occhiolino
POSSIAMO CONSEGUIRE QUESTA MISERICORDIA SI, MA A PATTO CHE....
la gratuità del Dono di Dio esige da noi UN ATTO DI VOLONTA'  che sulla scia del Cristo al Getsemani FA SUDARE SANGUE...  Occhiolino non la mia, ma la tua volonta' si compia...

Dio non vuole vederci soffrire, ma la sofferenza c'è, non è stata una sua creazione, l'unico modo per RENDERLA UTILE E TRASFORMARLA IN GIOIA, E' VIVERLA ACCETTANDOLA IN CRISTO...e nell'Eucarestia, nella Messa questo nostro passaggio, atto di volontà, viene UNITO AL SACRIFICIO PERFETTO qui e non altrove si trova la nostra PIENA E VERA GIOIA....tutto il resto, diceva san Padre Pio che PIANGEVA quando faceva la Consacrazione e rideva e scherzava quando stava in ricreazione...è illusione, è inganno, la nostra vera gioia comincia da UNA VERA EUCARESTIA PIENAMENTE VISSUTA....qui incontriamo davvero la Misericordia di Dio...


[SM=g1740733] 




 
Caterina63
00martedì 26 maggio 2009 10:24
Condivisibile il tuo intervento cara Ceterina.

Vedi se oggi siamo a determinati eccessi, penso proprio che causa di essi sia una reazione ad eccessi passati.

E' necessario dosare bene la medicina per non ottenere l'effetto contrario. Il linguaggio deve essere chiaro. Che vuol dire "gioia mondana" che porta all'inferno? Che vuol dire "morte" nel Matrimonio, che vuol dire "disprezzo del mondo", "disprezzo di sé stessi", "odio del corpo", "gioia mondana"? Non mi riferisco al testo, ma espressioni simili sono presenti in testi passati.

Si è parlato molto delle cause dell'attuale crisi. Penso, ma è ovviamente criticabile, che una delle cause della crisi sia stata la reazione eccessiva a certe rigidità passate, ad un certo atteggiamento pastorale e mentalità.

Quando sento parlare di persone anziane che affermano che prima c'era un'educazione basata sulla paura, mi viene da pensare. Non so se si sbagliano o meno, anche perché allora non ero presente.

Non penso proprio che tutto prima era "rose e fiori" e poi improvvisamente è arrivato lo sfacelo. Se si fa autocritica del presente, facciamola anche del passato.

Perché chiese scismatiche, che hanno avuto una storia differente, non hanno mai sentito il bisogno di operare cambiamenti così drastici?

Questi testi mi hanno fatto riflettere molto:

http://digilander.libero.it/ortodossia/lotario.htm

http://digilander.libero.it/ortodossia/corpo.htm

Anche se non tutto è condivisibile, la posizione mi sembra più equilibrata.

L'altro esempio è la "mortificazione". Ora anche questo termini deve essere ben intesa. Se si intende l'uccidere - fare morti - gli istinti cattivi mediante un serio autocontrollo, sostenuto dalla Grazia, una seria ascetica è un altissimo esercizio cristiano. Se però si intende come auto-tortura del corpo, perché considerato schifoso, allora è sbagliato.

Quello che voglio dire è che i termini devono essere usati con molta cautela per non veicolare idee sbagliate nell'interlocutore.



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la mia risposta:

ti parlo per la mia esperienza personale e comunitaria attraverso gli incontri diocesani.... Sorriso

- la gioia mondana se non è vissuta attraverso il richiamo paolino che tutto si faccia in Cristo, conduce lentamente ad una mondanità fatta di gioia effimera che prima o poi può condurti alla rovina, basta guardarsi attorno per capire che la gioia mondana che stiamo vivendo è effimera...

- morte nel Matrimonio...mi sono resa conto di essere morta a me stessa quando abbiamo salvato il nostro matrimonio...la vita matrimoniale, specialmente oggi, non è una passeggiata...le tentazioni sono molte, difendere la propria indipendenza conduce spesso a litigi e discussioni, in una famiglia di 4 persone se ognuno dei componenti non rinuncia a qualcosa delle sue pretese anche giuste, non produce nulla di buono...
sposarsi è una scelta di VOCAZIONE ed ogni VOCAZIONE  vera parte da una rinuncia a qualcosa, ad una morte....

- disprezzo del proprio corpo e di se stessi è lampante che si riferisce agli eccessi del culto della persona a cui siamo arrivati oggi dove perfino uomini sposati SI DEPILANO, fanno lampade ecc... Occhi al cielo sono questi i veri eccessi, non il fatto che qualcuno li sottolinei e li faccia emergere... Occhiolino un conto è se vado dal parrucchiere per rendere PRESENTABILE la mia persona avendo anche del rispetto per il marito (o viceversa) che giustamente vuole vedermi in uno stato gratificante, altra cosa è vivere curando il proprio corpo per la paura di invecchiare  O PERCHE' TUTTI POSSANO GUARDARTI...per essere attraente...questo è il culto della persona...
l'altra sera alla puntata del guinnes dei primati è stata premiata una donna che ha avuto più interventi chirurgici al mondo: oggi ha 40 anni ha trascorso tutta la sua vita per farsi ben 37 interventi chirurgici PER CERCARE DI SOMIGLIARE ALLA BARBIE.... Occhi al cielo
andiamo terra terra, l' ANORESSIA...ogni anno muoiono al mondo un milione circa di ragazze che a causa del NON piacersi diventano anoressiche...questo è il vero disprezzo del proprio corpo, il Cristo ci invita diversamente non solo ad accettarci per ciò che siamo, ma a disprezzare ogni idea che possa fare del nostro corpo una attrattiva del mondo quando siamo TEMPIO SANTO DI DIO....non c'è forse nel Vangelo il consiglio del DIGIUNARE? ma non per questo disprezziamo il cibo Occhiolino
il termine disprezzare va letto magisterialmente...nulla è da buttare, il disprezzare sta nel valutare IL DANNO che facciamo a noi stessi se perseguiamo una cosa piuttosto che un altra...


Tu dici:
che una delle cause della crisi sia stata la reazione eccessiva a certe rigidità passate, ad un certo atteggiamento pastorale e mentalità.

questo lo trovo ingiusto e pericoloso, atto a continuare con quella spaccatura prima e dopo il Concilio....san Padre Pio che si è trovato a cavallo della situazione ci aiuta a comprendere che quanto dici è sbagliato...oppure cestiniamo tutti gli scritti dei Santi? Occhiolino
La crisi ci sarebbe stata lo stesso...perchè non è cominciata NELLA Chiesa, ma fuori, ed è entrata dentro...la reazione non è stata a causa di certe rigidità del passato, queste semmai sono state LA SCUSA E LA GIUSTIFICAZIONE per cominciare ad insegnare dottrine diverse prima fra tutti la legge sul divorzio, poi sull'aborto....preti che hanno fatto MANGIARE E BERE LA PROPRIA CONDANNA  a molti cattolici in stato di grave peccato.... Imbarazzato

Facendo un autocritica è ovvio che il passato non è stato mai rose e fiori, ma la Legge di Dio era PRESERVATA OGGI VIENE RIFIUTATA...ed è rigettata a causa delle pessime pastorali atte a dipingere un Dio tutto peluche e morbidone...lo disse il card. Ruini a marzo quest'anno: DOBBIAMO DIRE CHE ABBIAMO FALLITO CON LE PASTORALI FAMILIARI!  Occhi al cielo
Ma il concetto di APERTURE non devono ingannare l'uomo sul fatto che la sua vita NON è una passeggiata, ma possiamo renderla tale se nella sofferenza di questa vita mettiamo Cristo SOPRA A TUTTO...

Infine ti domandi:
Perché chiese scismatiche, che hanno avuto una storia differente, non hanno mai sentito il bisogno di operare cambiamenti così drastici?

bè se prendiamo gli Ortodossi essi hanno tre divorzi ergo non hanno avuto questo problema...ma le loro chiese non sono più piene delle nostre e la loro autocefalia ci dimostra che l'unità non l'hanno raggiunta neppure loro, ognune vive i propri problemi...Inoltre è anche vero che fra noi e gli ortodossi c'è una divisione...anche sull'esposizione della Messa e sull'Eucarestia... ma da loro le discussioni non sono ammesse, per questo si sono definiti "ortodossi".... Occhiolino
se guardiamo alle comunità protestanti, peggio che andar di notte, non sono più affidabili semmai lo fossero state....per non parlare dei Pentecostali, una forza in grande crescita che guarda caso sono assai più rigidi di noi  Ghigno
ergo che cambiamenti dovevano apportare?

Ritornando all'Enciclica, altrimenti rischiamo di andare OT l'introduzione la introduce molto bene, scatenando magari anche qualche scossa tellurica alle nostre fondamenta che magari credavamo sicure  Ghigno ....ben venga allora questa prova per testare la stabilità della nostra casa e vedere se è stata costruita sulla solida roccia o se è stata costruita sulla sabbia....

un abbraccio CaterinaLD Occhiolino


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Caterina63
00martedì 26 maggio 2009 12:48
La bellissima riflessione dell'amico Daniele D.S.[SM=g1740722]

Io penso che si dovrebbe meditare molto quel detto degli antichi: Intelligenti pauca.

Non è mia intenzione qui parlare diffusamente della mortificazione. Occorrerebbe troppo spazio e troppe spiegazioni. Ma non credo fosse neppure intenzione degli autori dell'introduzione. Ora, è chiaro che quando si parla in un testo di "gioie (o, meglio, piaceri) mondani, si deve intendere ciò che la Chiesa ha sempre inteso con questa espressione, a meno che qualche cosa non autorizzi un'interpretazione diversa.

Ora, i beni mondani, cioè i piaceri materiali, sono leciti nella misura in cui sono ordinati ai beni eterni e nella misura in cui non favoriscono il peccato. Un amore disordinato ed eccessivo dei beni mondani porta inevitabilmente alla tiepidezza della fede e alla rilassatezza della morale. D'altra parte, un disprezzo immotivato di tutti i beni mondani rischia di tradursi nel disprezzo della creazione di Dio.

La mortificazione, per darne una definizione sommaria, è la rinuncia a un bene di per sé lecito al fine di attenuare le inclinazioni al peccato, cioè di uccidere le passioni (intendo questa parola nel senso classico di "istinto" e precisamente di "istinto immorale") e di accrescere in sé l'amore verso i beni eterni. Non si tratta semplicemente di conseguire l'autocontrollo, ma di distaccare, ciascuno nel modo più appropriato per lui (è evidente che un monaco dovrà farlo diversamente da un laico), l'anima dalle distrazioni terrene per concentrarla sulle verità eterne.

Il cattolicesimo è sempre stata una religione realista. Non ha mai predicato l'ascesi fine a se stessa e il farisaismo morale del protestantesimo (che poi si è risolto nel suo contrario) né l'edonismo del paganesimo. La natura umana è composta di anima e di corpo. Le esigenze della seconda sono superiori, ma non distruggono quelle del primo, a patto che queste non rischino di compromettere la vita spirituale. Quindi, come sostiene san Tommaso, tutti abbiamo bisogno sia di un po' di conforto fisico, a cui neppure i più grandi mistici rinunciarono, sia di un po' di sana mortificazione.

Negli scritti dei grandi mistici, la mortificazione non è mai una forma di masochismo, ma uno strumento di gioia, perché la rinuncia ai piaceri mondani è compensata da un maggior fervore religioso e da una maggiore apertura dell'anima all'amore di Dio.

La Chiesa non ha mai insegnato il disprezzo del mondo in quanto tale, proprio di certe deviazioni eretiche (gnosti, albigesi, giansenisti) o di certi culti misterici, ma il distacco dal mondo. Ora, il distacco impone delle rinunce, e delle rinunce volontarie, che sono positive nella misura in cui stimolano il fervore e allontanano il peccato. Diversamente non servono a nulla. D'altra parte, la perfezione cristiana senza mortificazione non si ottiene: lo ha detto Cristo, lo hanno confermato i Padri, lo ha dimostrato l'esperienza dei mistici, lo ha ribadito il magistero ecclesiastico.

Il rigurgito di edonismo che la società di oggi dimostra non è affatto dovuto agli eccessi di rigore del cattolicesimo, eccessi che - come ho detto - la Chiesa ha sempre condannato - ma alla volontà di eliminare anche quel rigore necessario alla propria integrità morale e spirituale. Infatti l'edonismo di oggi si è sviluppato in questo modo: prima ha negato Dio e la conoscibilità del reale, quindi ha negato che esistesse una legge eterna che vincola le coscienze in ogni tempo, infine ha negato l'esistenza stessa della verità. Il risultato è, ovviamente, il libertinismo. Se non esiste un ordine naturale e un garante di questo ordine, perché riunciare o limitare i piaceri mondani?

Questi principii, derivati soprattutto dall'hegelismo e dal marxismo, ma le cui radici affondano nella filosofia di Cartesio, sono state fatte proprie da quasi tutta la cultura moderna. Negli anni Cinquanta-Sessanta nella Chiesa una élite culturale, costituita dai soliti noti, si sentiva indietro rispetto a questa cultura. Fu questa che creò - per ammissione stessa di uno dei suoi capofila, il padre Congar! - l'esigenza di trasformare tutto e la tradusse in pratica grazie a quell'avvenimento inaspettato che fu il Concilio Vaticano II. Il programma di questa élite è delineato e condannato da Pio XII nell'enciclica Humani generis. I risultati li abbiamo visti.

Nei fedeli e nella stragrande maggioranza del clero e degli studiosi non c'era alcuna esigenza di cambiamento radicale. Si auspicavano tutt'al più piccoli aggiustamenti, ma questo nella Chiesa è sempre avvenuto. Quando il cambiamento fu imposto dall'alto, alcuni si adeguarono, più per obbedienza che per convinzione, molti rimasero disorientati, moltissimi abbandonarono la chiesa o l'abito sacerdotale. Successe, in pratica, il contrario di quanto il mondo pensa: eliminato il rigore (quel sano rigore cattolico), la Chiesa è entrata in crisi. Ed è ovvio che sia così. Ideali più nobili e alti richiedono uno sforzo maggiore per essere conseguiti, ma hanno anche maggiore attrattiva. Ideali più bassi e meschini suscitano approvazione nelle persone poco virtuose, ma a lungo andare si trasformano nell'esigenza di ideali ancora più infimi. Sono cose che la fede insegna e la sociologia conferma. È assurdo pensare che prima le cose fossero tutte "rose e fiori", ma non possiamo fare a meno di constatare che andavano meglio. Non è laudatio temporis acti, ma constatazione della realtà. Checché ne dica la storiografia moderna, i periodi storici non hanno tutti la stessa proporzione tra pregi e difetti.

Gli ortodossi hanno avuto una storia diversa in tutti i sensi. Il loro rigore morale non è diverso da quello cattolico, ma hanno avuto sia il coraggio che l'occasione di mantenerlo. Questo però è avvenuto a spese di una stasi culturale (la teologia non va oltre i risultati del VI secolo) che, se avesse dovuto affrontare le traversie cui andò incontro la Chiesa occidentale durante i secoli, sarebbe stata sopraffatta. Si può fare l'esempio di un'altra Chiesa scismatica, sorta però in occidente: i veterocattolici. Essi si separarono da Roma ai tempi del Concilio Vaticano I perché lo ritenevano troppo "innovativo" rispetto alla dottrina di Trento. Ora ordinano le donne. L'errore cui molti cattolici sono andati incontro dopo gli anni Sessanta è esattamente l'opposto del comportamento adottato dagli ortodossi, vale a dire un cedimento completo alla cultura contemporanea, anche e specialmente nei suoi aspetti programmaticamente anticristiani.


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la mia riflessione:

Il cattolicesimo è sempre stata una religione realista.

 Sorriso Daniele sa concentrare in un termine tutta una discussione....

ritornando a casa da poco mi sono meditata per strada i Misteri del Rosario, i Dolorosi... e così ripensavo anche a questa discussione e all'Introduzione bellissima dell'Enciclica postata da Maranatha...

ero sull'autobus abbastanza pieno e meditavo la flagellazione di Gesù e guardavo la folla, la gente tutta intenta alle proprie preoccupazioni (giustamente!! Occhiolino ) ed anche a chi rideva e scherzava e scriveva dal cellulare o si parlavano ad un cellulare e cercavo di focalizzare l'evento della flagellazione di Gesù PER NOI, PER QUESTA GENTE CHE MIA STAVA DAVANTI... non mi è venuto affatto di giudicare ma di pregare per la loro e MIA conversione, pregavo affinchè la Vergine Santa ci impetrasse dentro al cuore la VERA CONTRIZIONE che pensavo, è assai più indispensabile della conversione perchè essa viene prima...se non sono CONTRISTATA non posso neppure convertirmi...
Non che abbia fatto nulla di eccezionale, ho solo posto Cristo al di sopra anche delle commissioni che stavo andando a fare e che ho tranquillamente svolto... Ghigno

e ripensavo alle parole dell'Enciclica dove dice:

Non contento di averci amato con una tale sublime carità, propria di Dio, profondendo doni su doni, volle spargere ulteriormente le ricchezze del suo amore verso di noi perché comprendessimo appieno che, avendo amato i suoi, li amò sino alla fine. Proclamando infatti se stesso eterno Sacerdote secondo l’ordine di Melchisedek, istituì nella Chiesa Cattolica un Sacerdozio perpetuo, e quello stesso Sacrificio che egli stesso offrì una volta per sempre, spargendo sull’altare della croce il suo preziosissimo Sangue per riscattare e redimere l’intero genere umano dal giogo del peccato e dalla schiavitù del demonio

NON CONTENTO DI AVERCI GIA' AMATI...VOLLE SPARGERE ULTERIORMENTE....
mi sono sentita infinitamente piccola provando da una parte una forte e dolorosa contrizione per i miei peccati, ma al tempo stesso una gioia immensa...quanto più PROVAVO ORRORE per ciò che NON vorrei fare di male ma faccio (cfr san Paolo), tanto più mi sentivo incoraggiata sospinta da una pace interiore forte a non scoraggiarmi, ma ad accogliere quella flagellazione CON GRATITUDINE...e ho pregato perchè la gente che stava li in quel momento potesse provare un medesimo trasporto per il Signore, magari anche migliore di ciò che ho provato io...

noi siamo REALISTI, lo dice appunto san Paolo quando si rende conto di fare il male che non vorrebbe e non lo diceva tanto per dire, era realista e sapeva bene che la sua forza non proveniva semplicemente dalla sua visione religiosa, ma da una PRESENZA VIVA E VERA che lo animava continuamente...

L'Eucarestia, la Santa Messa è davvero il bene UNICO E PIU' PREZIOSO CHE ABBIAMO...

Interessante poi leggere dall'Introduzione questo aspetto che ne motiva la tesi:


vogliamo con profondo senso di responsabilità denunciare chi, in questi decenni, ancora continua a confondere e disorientare le anime verso quel cuore palpitante della nostra fede: la Santissima Eucaristia. 

La nostra missione è sempre stata a servizio della Liturgia, ora ci sentiamo di dover difendere questo tesoro.

Come umili e inappropriate sentinelle vedendo in questi anni tanta confusione perdurare, nonostante tanta chiarezza dogmatica e dottrinale, ci sentiamo, in questo anno dedicato ai sacerdoti, di rimettere in luce grazie a questa Enciclica così attuale, il senso della Messa e la missione del Sacerdote contro chi impunemente continua ad oscurare questo luminosissimo mistero diffondendo abbondanti errori e banali e banalizzanti personali interpretazioni, perché sappiamo bene che il monito del profeta Ezechiele vale tanto per loro quanto per noi.

“Se tu, ammonirai il malvagio e questi non desisterà dalla sua scelleratezza e dalla sua prava condotta, egli morirà per la sua iniquità, ma tu avrai salvato te stesso. ... Se non lo avrai ammonito, egli morirà per il suo peccato e non saranno ricordate le opere giuste che egli ha compiuto, ma io esigerò da te il suo sangue” Cfr. Ez 3, 19.21
.


e non è forse vero che molti cattolici sono confusi e disorientati sui Sacramenti?
Non è forse vero che alti prelati e sacerdoti il cui nome è conosciuto danno scandalo con dottrine che tendono a modificare l'insegnamento della Chiesa?
Non è forse vero che Benedetto sta per indire un Anno Sacerdotale invitando tutti i sacerdoti a RISCOPRIRE LA PROPRIA VOCAZIONE e ad avere come modello il santo Curato d'Ars?
e non è forse vero che Giovanni Paolo II ha firmato un Documento intitolato "Ad Tuendam Fidem" - Difendere la vera fede nella quale si ritrovano termini come eresia e scomunica che da tempo non si usavano più? e da che cosa occorreva difenderla? Occhiolino

noi siamo REALISTI, e sappiamo che stiamo affrontando molti problemi derivati da false letture del Magistero stesso...ossia da 40 anni non si fa altro che REINTERPRETARE la Santa Taradizione per aggiornarla e laddove non la si comprende, LA SI E' TAGLIATA FUORI...

è ovvio allora che una lettura ORIGINALE DEL PENSIERO DELLA CHIESA ci può sembrare crudele, perchè ci hanno disabituato a ragionare come ragionavano i Padri, i Santi, i Martiri...

E' dunque fondamentale ciò che ha scritto Daniele:

Nei fedeli e nella stragrande maggioranza del clero e degli studiosi non c'era alcuna esigenza di cambiamento radicale. Si auspicavano tutt'al più piccoli aggiustamenti, ma questo nella Chiesa è sempre avvenuto. Quando il cambiamento fu imposto dall'alto, alcuni si adeguarono, più per obbedienza che per convinzione, molti rimasero disorientati, moltissimi abbandonarono la chiesa o l'abito sacerdotale. Successe, in pratica, il contrario di quanto il mondo pensa: eliminato il rigore (quel sano rigore cattolico), la Chiesa è entrata in crisi.

ergo è importante anche leggere dell'Introduzione con lo stesso intendimento dell'Enciclica...e riguardo alle sfumature del linguaggio, come a ragione suggerisce Daniele:

è chiaro che quando si parla in un testo di "gioie (o, meglio, piaceri) mondani, si deve intendere ciò che la Chiesa ha sempre inteso con questa espressione, a meno che qualche cosa non autorizzi un'interpretazione diversa.

 Sorriso
[SM=g1740733]


Caterina63
00domenica 14 giugno 2009 09:36
Benedetto XVI davanti al Beato Pio IX
nella visita a san Lorenzo fuori le Mura lo scorso ottobre 2008





 

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