Arriva la nuova Pastorale per la Preparazione al Matrimonio

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Caterina63
00martedì 9 febbraio 2010 20:36
In attesa del testo ufficiale leggiamo qualche riflessione....


Gesù, Hillel, Shammai ed il matrimonio, di Andrea Lonardo
- Scritto da Redazione de Gliscritti: 07 Febbraio 10 - 22:42
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Riprendiamo sul nostro sito l'articolo scritto da Andrea Lonardo il 5/2/2010 per la rubrica In cammino verso Gesù del sito Romasette di Avvenire. Per altri articoli sulla Sacra Scrittura, vedi su questo stesso sito la sezione Sacra Scrittura.
Il Centro culturale Gli scritti (7/2/2010)




«La scuola di Shammai insegna che il marito non deve divorziare dalla propria moglie a meno che abbia trovato in lei qualcosa di immorale, conformemente al testo che dice: “Avendo trovato in lei qualcosa di vergognoso” (Dt 24,1). La scuola di Hillel opina invece: anche se essa ha bruciato il suo cibo. Rabbi Aqiba dice: Anche se trova un’altra più bella di lei, conformemente al testo che dice “che accada anche se essa non trovi grazia ai suoi occhi” (Dt 24,1)» (Mishnah Ghittin VIII,9-10).

Così la Mishnah, la raccolta dei detti dei rabbini dei primi due secoli d.C. – Mishnah vuol dire, letteralmente “ripetizione”, quindi “insegnamento” - presenta le diverse opinioni sul divorzio al tempo di Gesù.

A partire dalla concessione del divorzio contenuta nella Legge di Mosè ed, in particolare, nel libro del Deuteronomio, le diverse scuole argomentavano sulle condizioni del divorzio stesso.

Per Shammai, rabbino più rigorista, il divorzio era possibile solo se l’uomo scopriva l’adulterio della moglie (“qualcosa di immorale”), mentre Hillel, più lassista, permetteva il divorzio anche se la donna non sapeva cucinare. Ovviamente non era previsto che fosse la moglie a poter divorziare, ma era solo il maschio a poter ottenere di separarsi dalla donna che aveva sposato.

Il Talmud (letteralmente “Studio”), che contiene invece le riflessioni dei rabbini dal III al V secolo e che si presenta come un commento allargato alla Mishnah, spiega ulteriormente che in caso di adulterio il divorzio è necessario e che la donna ripudiata non potrà essere poi ripresa in moglie dal suo precedente marito (bGit 90a/b).

Rabbi Aqiba, il rabbino che aiutò Bar Kokhba nella rivolta contro i romani riconoscendolo come inviato da Dio e che morì per questo martire, famoso anche per la sua storia di amore con la moglie Rachel che lo sostenne per tutta la vita, aveva invece secondo la Mishnah una posizione ancora più duttile, ritenendo possibile il divorzio anche se una donna non trovava più grazia agli occhi del marito (Rabbi Aqiba, vissuto nella prima metà del II secolo è di poco posteriore a Shammai ed Hillel vissuti a cavallo dell’inizio dell’era cristiana).

Gesù visse così in un contesto in cui la possibilità del divorzio era tranquillamente ammessa, anche se il Talmud si affretta a precisare, citando Malachia 2,15-16, che il Signore detesta il ripudio, pur concedendolo (bGit 90b): «Nessuno tradisca la donna della sua giovinezza. Perché io detesto il ripudio, dice il Signore Dio d'Israele».

Anche il mondo greco e romano conosceva l’istituto del divorzio. L’antichità ha conservato contratti di separazione come quello di Zois ed Antipatro che dichiarano di essersi accordati «di essere separati l’uno dall’altro, rompendo l’unione formatasi per contratto davanti allo stesso tribunale nel corrente anno XVII di Cesare Augusto, e Zois riconosce di aver ricevuto da Antipatro di mano dalla casa di lui ciò che egli ebbe in dote: abiti per il valore di 120 dracme d’argento e un paio di orecchini d’oro. Perciò d’ora in poi è nullo il contratto di matrimonio, e né Zois né un altro per lei potrà procedere contro Antipatro per richiedere la restituzione della dote, né alcuna delle due parti contro l’altra per quanto riguarda la coabitazione o altra materia fino al presente giorno, a partire dal quale è lecito a Zois sposare un altro uomo e ad Antipatro un’altra donna, senza che nessuno dei due sia perseguibile».

In taluni ordinamenti del mondo ellenistico era lecito che anche la donna – e non solo l’uomo – chiedesse il divorzio. Ne è testimone lo stesso Nuovo Testamento: infatti il vangelo di Marco, che evidentemente mostra di conoscere un contesto greco-romano e non solo ebraico, aggiunge al divieto per l’uomo cristiano di divorziare, anche il reciproco femminile: «Se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio» (Mc 10,12).

Le stesse domande che i discepoli pongono al maestro, mostrano quanto fosse nuovo e scandaloso il suo insegnamento (cfr. Mc 10,10 «Rientrati a casa, i discepoli lo interrogarono di nuovo su questo argomento»).

Il nuovo insegnamento di Gesù sul matrimonio è evidentemente un’espressione della nuova alleanza e del nuovo precetto dell’amore, che però si radica in quel disegno originario di Dio sull’uomo che è narrato in Genesi: è un comandamento antico e nuovo (cfr. 1Gv 2,7), antico quanto il Padre nei cieli e nuovo quanto il dono di Cristo in croce. Pietro Lombardo, riprendendo un’esegesi che già era stata dei rabbini, scriveva commentando l’immagine biblica della donna tratta dal fianco dell’uomo e non dal capo, né dai piedi: «Veniva formata non una dominatrice e neppure una schiava dell’uomo, ma una sua compagna» (Sentenze 3, 18, 3).

Nel disegno di Dio l’uomo e la donna sono pensati non come esseri isolati, bensì per divenire “una sola carne”. Gesù annuncia l’evento straordinario che Dio stesso è presente nel loro amore sponsale («l’uomo non separi ciò che Dio ha congiunto» Mc 10,9).

Proprio il dolore che si scatena alla scoperta del tradimento manifesta quanto l’amore sia nato per durare, perché solo la «carità resta»: essa sola può entrare nell’eternità. Dinanzi al tradimento dell’amore, la persona percepisce che la fine della relazione attenta al senso stesso della vita. Se l’amore finisce, allora tutto muore, allora niente ha significato.

E quando domandano al Cristo perché Dio abbia permesso nell’antica alleanza tramite Mosè il divorzio, Gesù risponde facendo riferimento al grande nemico dell’uomo: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma» (Mc 10,5).

L’amore si può corrompere proprio perché esiste il male nel cuore dell’uomo, ma, per questo, può anche ritrovare la sua linfa vitale, nel mistero della croce di Cristo e del perdono che essa conferisce.

L’indissolubilità dell’amore sponsale di Cristo per gli uomini si consumerà il venerdì santo, nel dono totale che Cristo farà di sé, dinanzi all’umanità dimentica di lui. Di quell’amore l’amore umano diviene sacramento.

Come canterà Iacopone da Todi:
«
O Amor, devino Amore,
Amor, che non èi amato!
» (Lauda 39).

Come gli farà eco Santa Maria Maddalena de’ Pazzi che ripeterà: «Amore, Amore! O Amore, che non sei né amato né conosciuto! O anime create d’amore e per amore, perché non amate l’Amore? E chi è l’Amore se non Dio, e Dio è l’amore? Deus charitas est!».

Caterina63
00martedì 9 febbraio 2010 20:39
La plenaria del Pontificio Consiglio per la Famiglia

Nuovi itinerari per la preparazione
dei giovani al matrimonio



di Gianluca Biccini

La Chiesa aggiorna le regole della preparazione al matrimonio. Come anticipato a Benedetto XVI durante l'udienza di lunedì 8 febbraio dal cardinale presidente Ennio Antonelli, il Pontificio Consiglio per la Famiglia sta elaborando un manuale per la preparazione dei fidanzati al sacramento nuziale.

Le linee guida del vademecum, che dovrebbe essere pronto entro la fine del 2011, sono state presentate nella prima giornata dell'assemblea plenaria - che si conclude mercoledì 10 - alla casa romana Bonus Pastor, dal segretario e dal sotto-segretario del dicastero, il vescovo Jean Laffitte e monsignor Carlos Simón Vázquez.

Quest'ultimo ha sottolineato come esso rappresenti un aggiornamento del documento del 1996 "Preparazione al sacramento del matrimonio". A volerlo lo stesso Papa Ratzinger, che nel 2008 aveva espresso il desiderio di un vademecum per l'ammissione delle coppie alla celebrazione del rito, aggiungendovi il novum dell'accompagnamento degli sposi nei primi anni di vita in comune. Il prelato ha motivato la decisione del Pontificio Consiglio di ritornare sull'argomento quindici anni dopo, perché nel frattempo il contesto storico-culturale "ha modificato la consistenza del soggetto umano e cristiano", ponendo una serie "di sfide e situazioni mai contemplate prima in molti battezzati", soprattutto a causa del progressivo avanzamento di una legislazione che tenta - e in molti casi vi riesce - di ri-formulare i concetti di matrimonio, famiglia e vita umana.
 
"Se oggi la cultura in tutti i campi tende a collocare l'esperienza dell'amore nella sfera del privato - ha detto - la Chiesa esercita la sua profezia affermando che esso è una realtà che va oltre il privato della coppia, è alla base della famiglia e costituisce una ricchezza indispensabile per la costruzione della società".

Al vescovo Laffitte il compito di presentare i lineamenta del vademecum, sui quali gli stati generali del dicastero sono chiamati a riflettere. Lo strumento di lavoro è frutto di un'ampia raccolta di materiale pubblicato sotto forma di norme e direttori da varie conferenze episcopali nazionali, arricchito dal contributo di associazioni familiari e di specialisti della materia.

Partendo dal presupposto che non esistono piani diocesani per la preparazione al matrimonio, il vademecum dovrà anzitutto individuare una metodologia univoca, che però tenga conto delle diversissime realtà in cui esso verrà adottato. Dalle prime indicazioni appare chiaro che i corsi dovranno essere più lunghi di quanto non lo siano attualmente, tra i sei e i nove mesi di durata, e che saranno rivolti a gruppi molto meno numerosi rispetto alla prassi attuale, in cui vengono ammesse fino a una trentina di coppie; il che va a detrimento degli aspetti del dialogo, dell'ascolto e dell'accompagnamento che un tale percorso esige.

I lineamenta sono stati strutturati in tre parti:  la prima fa riferimento alla crescita e alla maturazione dell'amore umano, la seconda entra nel cuore della preparazione al matrimonio con le esigenze di accompagnamento dei candidati e la celebrazione del rito, la terza guarda alle coppie già sposate per una cultura della famiglia aperta alla vita.

A fare da sfondo, la consapevolezza di un pessimismo diffuso tra i giovani, i quali sebbene per il 90 per cento continuino a mettere al primo posto tra i valori fondamentali della vita la famiglia e la stabilità degli affetti, devono poi fare i conti con il numero crescente di separazioni e di divorzi che in alcune aree - come nella costa occidentale degli Stati Uniti, in Gran Bretagna, in Belgio e nell'Ile de France - raggiunge la quota del 50 per cento delle coppie, e soprattutto con la cultura dominante del "tutto e subito", del "mordi e fuggi", che ha trasformato il "per sempre" del legame sacramentale in quel "il più a lungo possibile" che non tiene conto della sacralità dell'amore umano.

La riflessione prende atto anche della differenziazione tra le varie aree geografiche. Così mentre nei Paesi occidentali uno dei nodi principali da affrontare è quello delle coabitazioni - con zone in cui più del 90 per cento dei candidati al matrimonio già convive, talvolta da anni - in altri, come l'India,  c'è  ancora  il problema del dowry, la dote, quasi sparito in Europa e in America.

Un altro aspetto riguarda quei giovani che giungono al matrimonio senza essere cresimati - in alcuni casi non hanno neanche fatto la prima comunione - oppure quelli per i quali proprio il catechismo per la preparazione ai sacramenti ha costituito in età adolescenziale l'ultimo contatto con la Chiesa.
 
Infine ci sono realtà come le Filippine e la Corea, l'India (Kerala, Goa e Mumbai), l'Africa francofona (Benin e Rwanda), l'America Centrale (Costa Rica) e meridionale (Brasile, Cile, Perú) in cui la pastorale familiare è sviluppata e può contare sulla presenza di tante coppie; altre come Spagna, Francia, Portogallo, Italia, Slovacchia e Paesi concordatari germanofoni, in cui la preparazione alle nozze finisce con il ridursi a tre o quattro incontri senza contenuto.

Per il vescovo Laffitte il vademecum dovrebbe favorire la riconciliazione sacramentale dei candidati, essere integrato da un insegnamento catechetico di base, indicare un'unità di metodo, che passi attraverso la verifica delle volontà autentiche dei fidanzati, ponendo l'accento sulle questioni dell'indissolubilità, della fedeltà e del perdono, dell'apertura alla vita. Ed è su quest'ultimo aspetto che si dipana la terza parte dello strumento di lavoro. "È proprio durante i due o tre primi anni della vita coniugale - ha avvertito il presule francese - che si prendono nuove abitudini nei confronti della pratica religiosa:  e questo tempo sfortunatamente è spesso quello in cui i novelli sposi si allontano dalla Chiesa, trascurando i loro doveri". Emerge anche un richiamo alla vocazione alla paternità e alla maternità nella insostituibile missione educativa dei genitori, coincidente con le prime fasi della vita matrimoniale.

In definitiva il documento risponderà alle domande: 
cosa significa sposarsi?
cos'è necessario sapere per poterlo fare?
chi può farlo?
cosa significa essere sposati? 
cosa significa vivere da sposati?

La prima giornata della xix plenaria del Pontificio Consiglio per la Famiglia si era aperta con la relazione introduttiva del cardinale Antonelli. Citando una ricerca sui benefici che le famiglie sane apportano alla società, il porporato ha parlato della cosiddetta "non famiglia" - ovvero "la famiglia disgregata, incompleta, ricomposta, ridotta a convivenze di fatto etero o omosessuali" - individuando tra le sue conseguenze negative:  "sofferenza e danni fisici, psicologici, sociali, economici, oltre che etici e religiosi". Quindi facendo riferimento al tema di questa plenaria ha detto:  "Si parla tanto dei diritti degli adulti:  è ora di dare la priorità ai diritti dei bambini. Non diritto degli adulti ad avere un figlio o a non averlo a qualsiasi costo; ma diritto del bambino ad avere un padre e una madre che si amano e lo amano, a crescere insieme con loro; eventualmente a essere adottato da una coppia formata da un uomo e una donna".

"Se si guardassero le cose dal punto di vista dell'interesse del bambino - ha proseguito - cambierebbe la percezione del divorzio, della procreazione artificiale, della pretesa di single e di coppie omosessuali all'adozione, della priorità data alla professione e alla carriera, dell'organizzazione del lavoro".

E in questa "prospettiva-bambini" verrebbe a cadere "ogni motivo per concedere il matrimonio o un qualsiasi riconoscimento pubblico a una coppia omosessuale, che rimarrebbe così collocata tra le varie forme private di relazioni interpersonali. Il matrimonio, invece, da un punto di vista civile, risalta nel suo pieno significato in rapporto ai figli e al futuro della società, come istituzione di protezione e di ordinato sviluppo". "È soltanto a motivo dei bambini - ha concluso - che le relazioni sessuali diventano importanti per la società e degne di essere prese in considerazione da una istituzione legale".

Nel pomeriggio protagoniste sono state alcune coppie in rappresentanza dei continenti:  i coniugi Ron e Mavis Pirola hanno parlato delle priorità della pastorale della famiglia in Oceania, soprattutto nella loro Australia; i nigeriani David E. e Mary-Joan Osunde, hanno affrontato il tema nella prospettiva di quanto emerso dal recente sinodo per l'Africa; i filippini Frank e Geraldine Padilla hanno portato le esperienze dei cattolici dell'Asia.

Martedì i lavori assembleari sono entrati nel vivo del tema in agenda:  i diritti dell'infanzia a vent'anni dalla Convenzione dell'Onu che ha dato loro rilevanza giuridica internazionale. Mercoledì le conclusioni.



(©L'Osservatore Romano - 10 febbraio 2010)





ATTENZIONE, altra raccolta di testi e riflessioni li trovate qui:

LA CHIESA NON PUO' DARE LA COMUNIONE AI DIVORZIATI RISPOSATI PERCHE' LI AMA
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