Aspetti poco noti della "RIFORMA" protestante

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(Teofilo)
00sabato 26 settembre 2009 15:27
 

Spesso il movimento di protesta sorto a seguito dell’affissione delle tesi di Lutero viene presentato come una conquista dell’animo umano e di affrancamento da un potere ecclesiastico considerato dispotico e interessato.

Se vi possono essere state delle responsabilità da parte dei rappresentanti del clero di allora, tuttavia non si possono tacere neanche le responsabilità di coloro che avevano la pretesa di riformare le altrui deviazioni.

Testo tratto dal libro “LE DUE CITTA’” edito da Città Nuova.

(Teofilo)
00sabato 26 settembre 2009 15:31
 

La eliminazione del « sociale »

Se tutto il bene è tornato all'uomo dall'Incarnazione, che lo riunisce a dio, tutto il male viene dalla disincarnazione, che lo risepara da Dio. A questo risultato punta la reazione, la quale, riseparando la esistenza umana dall'Essere divino, determina una convivenza di rissa e sfruttamento assogget­tandola all'essere subumano che le Scritture qualificano col titolo di Bestia.

La reazione s'è visto per prima cosa sganciò la fede dalle opere sotto i gruppi di pressione dell'avarizia. Par­tì dalla constatazione che non il credere costasse, ma l'agire; che non il dogma dell'unità e trinità di Dio fosse difficile ad ammettersi, ma il comandamento dell'unità e solidarietà col prossimo, il quale impone un'alienazione del proprio sé. Dare incenso a Dio poco disturba; 'dare pane al povero, questo, si, scomoda. Perciò l'egoismo cercò di semplificare il cristianesi­mo dimezzandolo della parte umana, del dare, per ridurlo alla parte divina. del ricevere. E pretese di custodire l'amore a Dio senza l'amore al prossimo.

Lutero chiamò « di paglia » la lettera, densa di implica­zioni sociali, scritta da san Giacomo, cugino di Gesù. In es­sa è detto che « la fede senza le opere è morta ». Lutero gli oppose san Paolo. Ma anche san Paolo asserisce che « Dio renderà a ciascuno secondo le sue opere » (Rm. 2:16). Perciò, soppresse le opere, la pratica cristiana divenne una meccanica di mummie. Eliminata l'azione sociale diretta al­l'uomo, la religione si ridusse a una pomposa presa in giro di Dio. Ma «Dio non si gabba», aveva già avvertito san Paolo, trovatesi a dover, sin dal suo tempo, flagellare le divaricazioni esperite da alcuni seguaci, ai quali pareva che bastasse essere « ascoltatori » della legge nuova, anziché « operatori » : pareva che convenisse, a tutti gli effetti eco­nomici, contrarre il cristianesimo a sermone; quasi a risuc­chiare l'Uomo-Dio nel Verbo... Quei primi tentativi furono ripresi più volte; sinché, venuto il tempo propizio, del risor­gente paganesimo, s'accamparono nella cristianità con suc­cesso potente nel secolo XVI, riducendo il cristianesimo a parola.

Allora, in Europa, l'umanesimo pagano e il protestan­tesimo luterano parvero con maggior successo schiodare la croce; di cui uno si prese l'asse orizzontale, della linea umana, che sfiora la terra ; l'altro si prese quello verticale, della linea divina, che penetra in cielo. E così risepararono le compo­nenti dell'Incarnazione.

L'umanesimo credette di trovare di più l'uomo: e lo smarrì, perché, non vedendo più Dio, finì col non vedere più neanche la sua immagine. Vide un tropo, da figurazioni poetiche dell'Olimpo, con il tempo sostituite dai paradigmi della tecnica. La degradazione servì ai signori per fare strame della dignità umana.

Il luteranesimo credette di trovare di più Dio, a mo' del sacerdote, che, per la mulattiera di Gerico, guardava tal­mente il cielo, da non vedere il fratello ferito in terra; e non capì che, per arrivare a Dio, il fratello fa da passaggio obbligato.

Per tale modo, l'umanesimo, non vedendo più Dio, finì spesso col non vedere più l'uomo e divenne disumane­simo; l'altro spesso, non vedendo più l'uomo, finì col non vedere più Dio e si dissolse spesso nell'ateismo.

Molti storici spiegano la riforma protestante con la cor­ruzione dei preti. E certo questa offerse cataste di combusti­bili. Ma non sarebbero bastate. La corruzione dei ceti eccle­siastici di Francia e Spagna e Italia non era minore di quella di tanti frati e preti di Germania : eppure la Riforma là non ci fu, o male attecchì.

E la spiegano con la miseria e la desolazione della Black Death del 1347, da cui era stato favorito lo scisma d'Occidente. E certo la disperazione favorisce l'ateismo; ma l'atei­smo non è la Riforma; e comunque miserie ed epidemie c'erano state in altre epoche e in altri luoghi, senza produrre sconquassi nell'ordine cristiano.

Più comprensibile è l'insurrezione teologica a servizio delle passioni politiche e dei privilegi economici.

Quando Lutero tirò fuori le 95 tesi e suscitò quel ve­spaio dottrinale, il Papa dicono ci vide una bega di scolastici. E vide giusto. Senonché dietro la querela teolo­gale c'erano i prìncipi germanici che aspettavano da anni, dalla lotta per le investiture, l'occasione per farsi una Chiesa di comodo separandosi dal Papa; per i motivi medesimi per cui s'era prodotto lo scisma di Bisanzio, il « protestantesimo orientale ».

Ribellandosi a Roma, i principi tedeschi sottrassero la politica al vaglio della morale. Fattasi una Chiesa, che non interferisse con la loro condotta, avrebbero fatto a meno di una disciplina spirituale. Eliminata la potestà ecclesiastica, poterono impadronirsi dei beni dei monasteri e d'altri enti religiosi, costituendosi un patrimonio cospicuo per sé e per i cadetti squattrinati, sì da bilanciare con la refurtiva il dis­sesto patrimoniale.

In Inghilterra i Tudor si ribellarono a Roma per met­tere le mani sulle ricchezze monastiche; e la nobiltà, arricchitasi delle spoliazioni, impedì sotto Maria Tudor che il paese tornasse alla fede cattolica, per tema di dover resti­tuire i beni rubati. Se non fosse stato per questa paura, ancora cent'anni dopo Lutero, si sarebbe forse potuta ricosti­tuire l'unità religiosa in Europa.

Scrive il Belloc : « Da per tutto dove vincevano, il primo gesto dei riformatori consisteva nel consegnare le ricchezze ecclesiastiche alla classe ricca. L'intensità della lotta da per tutto dipendeva dalla decisione di coloro i quali volevano depredare la Chiesa o di coloro i quali volevano rimetterla in possesso dei suoi beni > (i).

Anche in Occidente, come in Oriente, l'eresia arricchì i ricchi e impoverì i poveri, i quali dei beni dei monasteri ave­vano sempre usufruito, attraverso scuole, collegi, università, ospedali, associazioni d'arte e mestieri, ecc. Così farà la seco­larizzazione del secolo XIX.

Martin Lutero non credeva d'arrivare ne a questo ne ad altri risultati di carattere sociale. Per esempio avrebbe voluto anche lui l'abolizione della mendicità; ma ot­tenne l'abolizione delle fonti della carità, essendo venuta meno, in troppi siti. l'organizzazione dell'assistenza da lui reclamata. E' vero che l'ordinanza del 1522, da Wurtemberg, nell'abolire la mendicità e proscrivere Ì frati mendicanti, isti­tuì una cassa comune per sovvenire preti e poveri. Ma è vero pure, che, appena dopo un anno, Venceslao Link, « ecclesiaste » amico di Lutero, il quale aveva attuato l'ordinanza ad Altenburg, dovette indirizzare una lettera violenta al bor­gomastro e ai consiglieri, per deplorare che « la cristianis­sima decisione » avesse avuto per effetto di scoraggiare le persone dabbene abituate ad aiutare gli indigenti. « Un fatto è certissimo. diceva, che non si ha più compassione per i miseri, non c'è più carità per il proprio simile; non più fede, non amore, non lealtà; la fraternità cristiana non esi­ste più ; ho paura che, se non ci si emenda, Dio c'invii pesanti castighi, soprattutto a causa della cassa comune, di cui nessuno si piglia cura » (2).

La stessa cosa avvenne da per tutto. Per esempio, a Leisnig, in Sassonia, dove, come risultato della cassa co­mune, gli ecclesiastici non ebbero di che vivere e il maestro di scuola per cinque anni non ricevette stipendio. Il denaro raccolto, in troppi siti, fu dilapidato. Come lamentò il duca Cristoforo nel 1562, «nessuno si cura dei bisognosi... I redditi degli ospedali e di altre fondazioni caritative non ser­vono ai poveri, ma ai curatori». A Hesse, un sinodo, nel 1575, ebbe a constatare che le casse dei poveri erano quasi vuote o abolite.

« Come dimostra una triste esperienza, parole queste dell'Elettore di Brandeburgo. Giovanni Giorgio, le casse comuni, invece 'di colmarsi, si vuotano ». E finalmente, dopo qualche anno, in terra di Riforma, nessuno si curò più delle casse comuni, divenute casse private.

« Al tempo del papismo, dovette riconoscere, e non una sola volta, Lutero, le offerte, le fondazioni pie, e i legati abbondavano cerne i fiocchi di neve d'inverno. Tra gli evangelici, invece, si lesina sin lo spicciolo. Sotto il pa­pismo, i cristiani praticavano la beneficenza e facevano vo­lentieri l'elemosina: ma, dopo che è stato dato l'Evangelo, nessuno dona più un centesimo; anzi, ciascuno attende a scorticare il prossimo e a ricavare denaro da tutto per la soddisfazione dei propri vizi. Più si predica l'Evangelo, e più ci si immerge nell'avarizia... » (3).

Anche gli altri riformatori più volte dovettero ripetere siffatto lamento, che muoveva da un rilievo acutissimo.

A Kempten, i pastori, per tema del contagio, non visi­tavano i malati, mentre i gesuiti non esitavano a contrarre la peste per assisterli. Amare constatazioni dovevano fare i poveri e i pastori protestanti dinanzi a un siffatto spettacolo.

(1) Thè yeat heresies, p. 208. 248

(2) J. jansseen, L'Alemanne et la. réforme. Vili, Paris, Plon, 1911, p. 310.

(3) Sàmtl. Werke, t. V., p. 264-265. cpt. XXIII, p. 313; t. XIII, p. 123,

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Nel 1523, Lutero aveva espresso il timore di veder di­sperdere i beni ecclesiastici nelle mani di avidi accaparra­tori, « come era accaduto in Boemia ». Ora, già un anno prima, Thomas Murner aveva predetto tali depredazioni, con i versi :

« Quando avran fatto man bassa dei beni della Chiesa, Ne faranno un gran mucchio;

I poveri ne trarranno al più quanto ne han tratto in Boemia. Là, il povero sera figurato che dei beni rubati gli sarebbe venuto un bel bottino. Ma il ricco si tenne tutto e lasciò il povero a gemere nelle sue angustie » (4).

A conti fatti, Lutero dovette ammettere che la con­fisca dei beni ecclesiastici non era stata che una rapina. « I signori fanno lusso con il denaro rubato... Borghesi e con­tadini fan lo stesso » (5). « Noi abbiamo abbandonato ai nobili tante ricche abbazie e i redditi del clero, incarican­doli a provvedere alle spese del culto ; ma essi si guardano bene dall'adempiere questo dovere » (6).

Pari constatazioni fece Melantone : < i più avari sono precisamente quelli che si spacciano per migliori cri­stiani » (7).

Diminuite le fonti della carità, crebbe l'accattonaggio, che si era voluto sopprimere per legge; e divenne la piaga del secolo.

Pari decadimento si deplorò nell'ordine morale. « Nella mia gioventù, ebbe a scrivere Lutero stesso, mi ri­cordo che la maggior parte delle persone, anche ricche, non beveva che acqua e si contentava degli alimenti più semplici e più facili. Spesso, non si cominciava a bere che a 30 anni 'di età. Ora si abituano i bambini a bere, e non solo il vino ordinario, ma vini forti, vini stranieri, distillati o bru­ciati, da prendersi a digiune... L'ubriachezza è entrata nei nostri costumi ».

(4) o. e., p. 326.

<5) Sdmtl. Werke, t. Ili, p. 270-271. <6) Ib., t. LXII, p. 293-294. (7) O.C., p. 328.

 

E il teologo Giacomo Andrea, prevosto dell'Università di Tubinga, nel 1568, asserì: « II vizio della ubriachezza non è stato mai, a memoria d'uomo, diffuso quanto oggi. Al tempo del papismo, i nostri antenati... -non affidavano incarichi a persone sospette di bere troppo; non le ricevevano, non le. volevano per matrimoni, le sfuggi­vano... (8).

« I consiglieri del duca di Wurtemberg hanno consta­tato che più di 400 persone sono morte di sbornia tra il Natale e la prima domenica di Quaresima. Il luterano Manlius conferma la cosa » (9).

Aggiunto questo agli altri vizi, si capisce perché così di frequente ricorra, sotto la penna degli scrittori dell'epoca, luterani e cattolici, l'appellativo di «porci».

Inutilità delle opere

Gli stessi scrittori luterani, con Lutero in testa, deplo­rano insomma, da ogni punto della Germania, che, in conseguenza della riforma religiosa, i costumi siano deformati, o, come dice uno di loro, il curato Just Menius, che la religione sia impiegata per peccare con più libertà.

(8) janssen, O.C., p. 264.

(9) O.C, p. 279.

« La libertà carnale: esclama Lasius, ecco quel che pare più prezioso alla maggioranza di coloro che si gloriano di essere evangelici ! » E lamenta che Ì cristiani riformati si ritengano a posto con Dio quando siano andati in chiesa ed abbiano ascoltato il sermone: possono anche rubare, tiran­neggiare. ma, una volta che abbiano assistito « decentemente al servizio divino », si ritengono accetti al Signore. « Ecco,

Dio ci perdoni, come in questi tempi s'intende la vita cri­stiana. I nostri peccatori, questi fervidi amici della grazia, i quali non credono che a parole, ha-n lasciato il 'Papa per darsi al Vangelo e ripetono che le opere buone sono inutili alla salvezza e che Dio usa misericordia a chiunque implora sinceramente la sua grazia... La sola cosa che capiscono bene è la libertà della carne» (i).

In queste constatazioni, Erasmo concorda con i maestri del luteranesimo. « Guardate un po' codesti maestri "evan­gelici” » : sono forse divenuti migliori? Concedono forse di meno al pasto, alla lussuria, all'avidità di denaro?

« Mi si mostri qualcuno che questo vangelo di Lutero abbia mutato da bevitore in temperante, da furioso in man­sueto, da aguzzino in benefattore, da svergognato in per­sona onorevole. Io so di molti che son diventati anche peg­giori di quanto erano prima » (2).

Insomma: la libertà dal Papa è diventata la libertà dalla Chiesa e quindi dalla morale della Chiesa : con il libero esame ciascuno si manipola un .codice etico, che s'acconci agli affari propri: e tra questi tale è l'impressione che si ricava dalla lettura dei documenti contemporanei e soprat­tutto dalle lamentele dei pastori, a cui non riesce più di reg­gere il gregge scatenato, sono la sodomia, la bigamia, il furto, il lusso e la lussuria, accanto all'accattonaggio e alla miseria.

Nè sono disordini limitati ai primi tempi, quando, nel­l'impeto rivoluzionario, leggi e costumi si sovvertono: no, essi diventano sistema nelle generazioni successive. « Ora che siamo usciti dalla captività di Babilonia, liberati dalla rossa prostituta di Roma, grazie alla rivelazione del santo Vangelo, ora proprio, la carità è spenta, gli odi, l'invidia, l'ira, le ostilità, la discordia, le passioni omicide riempiono i cuori » (3).

(1) dóllinger, Reformation, t. II, p. 176, 545.

(2) Opera omnia, Leida, 1703-06, t. X, col. 1578, 1590. In: huezinga. Erasmo Torino 1941 p. 250-257).

(3) janssen, O.C., p. 426

Perciò il celebre Giorgio Major vede, sin dal 1564, avan­zarsi « una minacciosa barbarie » (4). E questa previsione balena agli occhi anche d'un professore di Francoforte, Gaspard Hofmann, nel 1578: «l'avvento d'una completa barbarie ».

La moltitudine torna col desiderio al passato, come a un'epoca di virtù. « Un demone, il demone papista scrive Christopher Lasius nel 1568, — è stato espulso; ma sette altri demoni più perversi ne han preso il posto». Colpa della dottrina sulla passività dell'uomo nell'opera della con­versione ; dottrina, « la quale mena la maggioranza delle persone a una vita depravata, empia e grossolana » ; come riconosce un collegio di teologi luterani, nel 1570. Qualche pastore per esempio, il Belzius, arriva a dire che, per vedere una categoria di gente pervertita, basta « recarsi in una città dove si predica il Vangelo con zelo dai migliori predicatori » (5).

Il libero esame giustifica qualsiasi interpretazione, la sola fides dispensa da qualsiasi servizio; il bottino fornisce alimento al lusso dei ricchi e dei privilegiati.

Nella decadenza dei costumi, nell'esaurimento della ca­rità, seguito all'individualismo, nell'esasperazione degli istinti d'arricchimento e sfruttamento, mentre non agisce più la comunione dei santi nella convitalità della Chiesa, sorge ogni tipo di criminalità e aumenta in misura impressionante la mania di suicidio. Molti sono presi dallo scoramento, che li trae alla disperazione. Solo a Norimberga, una statistica mu-nicipale registra, nel 1569, quattordici suicidi in tré set­timane. Non pochi pastori protestanti, proprio da questo spettacolo, da questo risultato, sono indotti a tornare . alla fede cattolica. Già dal 1542, Lutero stesso, colpito dalla frequenza di tali crimini, ci aveva visto una sorta di epidemia scatenata dal demonio (6).

 

(4) janssen, O.C., p. 423-428-429. <5) janssen, o.c., p. 428.

(6) janssen, o.c., p. 552. ^ janssen. O.C., p. 513. (8) janssen, O.C., p. 552

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Il demonio, agli occhi suoi, spiegava tutto: ma una tale spiegazione dava un aspetto ossessivo alla storia. Il ma­ligno prese, nel sistema del luteranesimo, un'ampiezza di potere nuova e spaventosa: davvero manicaica. Lutero era ossessionato dal demonio, al quale attribuiva una potestà che la Rivelazione non contempla. E così lo immise nelle im­maginazioni e nei costumi scatenando forme di supersti­zione selvagge. D'altro canto, contro il potere satanico non valevano più Ì mezzi sacramentali, poiché di essi la Riforma aveva fatto scempio. Si abbatteva la testa alle statue della Vergine immacolata, la Satana, nella letteratura popolare co­me nella vita religiosa del popolo, prese un posto più impor­tante di quello di Dio (7).

Sotto questo riguardo, si può dire che, dove si era estro­messo il cattolicesimo, s'intende il demonismo, di cui la stre­goneria fu il prodotto putrido. Cosi la scissione religiosa moltipllcò e volgarizzò i sortilegi con la credenza nel potere universale del diavolo, in un clima di accresciuta corruzione.

« Da per tutto insegnava Lutero c'entra il dia­volo; egli è la causa unica di tutte le malattie, di tutti gli accidenti che ci capitano, 'della peste, della fame, della guerra, dell'incendio, dei temporali, o della grandine; egli s'accoppia alle streghe e ne ha figli ». E di questo era così convinto che un giorno suggerì a un padre di famiglia di annegare uno dei figlioli, che gli pareva generato dal diavolo (8).

La stessa superstizione trasmise ai discepoli. Uno di questi, Andrea Muscullus, in un libro sul demonio, asserì che i demoni imperversavano soprattutto in Germania, dove più di sei o sette mila erano addetti a ciascun individuo.

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Le conseguenze politiche

Come con la frattura dell'arianesimo, così ora, con il dissìdio luterano, fu agevole giustificare le aggressioni mili­tari, viste come guerre di religione, dato che la gente moriva più facilmente e si lasciava depredare con minori resistenze dove si sbandieravano ideali evangelici.

Nella divisione assunsero uno sviluppo più libero i particolarismi del nascente nazionalismo, rappresentati dalle favelle volgari in formazione, dai sentimenti nazionali e di­nastici, dalla gelosia germanica verso la latinità, dagli odi tra slavi e tedeschi, e dalle differenze di casta e classe. La protesta del 1517 contro le indulgenze coperse, con le teorie della religione, un composito movimento sociale, economico e politico, in testa a cui si affermò l'assolutismo aristocratico delle dinastie puntellate dalla nobiltà, secondo il canone ri­tirato fuori da Lutero : « I principi sono dèi, la massa è Satana s>.

Lutero volle menare ogni cosa alla vita della grazia, ri­fiutando le libertà e scartando le gradazioni da terra a cielo; per questo al Discorso della montagna antepose il Decalogo come espressione del diritto naturale, e al radicalismo del messaggio di Gesù preferì l'etica religiosa nazionale dello antico Israele. Per spiritualizzare la Chiesa, la sottrasse alla gerarchla, riuscendo a sublimare di fatto l'amministrazione civile semideificata e, in ogni caso, sovrapposta al potere ec­clesiastico.

Assegnando alla Chiesa solo l'interiorità spirituale con la cura della salvezza eterna, e assegnando allo Stato, non solo i compiti politici, ma tutti, senza limite, i compiti di benessere sociale, separò anche nelle strutture la fede dalle opere, lo spirito dalla materia. Quando lo Stato poi slittò nel laicismo, tutta la sua azione risultò separata dall'etica cristiana. Della deificazione assegnatagli nel luteranesimo lo Stato laicizzato conservò l'autoritarismo.

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Quando nel 1524, Erasmo, dopo aver per anni resistito alle sollecitazioni che d'ogni parte della cristianità gli erano giunte perché prendesse posizione di fronte al movimento della Riforma, si decise a intervenire, colpì il punto di maggior differenza: quello della libertà, problema centrale della dialettica di bene e di male, di divino e di umano, di verità e di errore, di grazia e responsabilità. Pure nella sua de­bolezza di carattere, portato dalla logica umana e dalla fede divina, nello scritto De libero arbitrio, dimostrò come filo­sofia e ragione, rivelazione e disciplina esigessero la libertà del volere.

E con pari precisione, Lutero, nella risposta, centrò la differenza sostanziale fra la sua eresia e il cattolicesimo, affermando fanaticamente il determinismo, nel De servo ar­bitrio, Era lo scontro tra libertà e servitù, tra amore e odio. Lutero difatti partiva dall'« eterno odio di dio contro gli uomini, odio che esisteva anche prima che il mondo fosse creato ».

Ha scritto Benedetto Croce:

« Eretico Lutero per la Chiesa cattolica, egli questa di­chiarava a sua volta eretica rispetto al puro cristianesimo del Vangelo e della Chiesa primitiva. Ma c'è un'eresia ve­ramente grave che egli compì alla quale i suoi avversari cattolici non sogliono dar rilievo, un'eresia morale, una vera deviazione e perversione introdotta nella civiltà umana, uno sconoscimento della unità dello spirito, che è ancor oggi un danno presente e persistente; quella onde Lutero non sem­plicemente distinse, ma divise la vita religiosa dalla politica, e tolse tra le due ogni ricambio e ogni comunicazione. Lutero inquadrò religiosamente l'acquiescenza e servilità poli­tica tedesca verso i principi... I cattolici stanno ancora a vituperare quel pio frate agostiniano... ; ma la civiltà mo­derna deve, per proprio conto, addebitargli questo grosso tradimento che», egli commise contro la civiltà umana, de­primendo il sentimento della libertà politica » (i). Il rilievo centrale di Croce è giusto

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Lutero insorse contro Roma in nome del libero esame, e cioè affermando la libertà massima per sé, ma finì con il negare la libertà anche minima a chi non la pensava come lui. Alla parola di Dio associò presto il braccio secolare. Impose il suo verbo, e propugnò l'intervento dello Stato per metter fine alle eresie: alle eresie nate dal libero esame. E così impose una repressione crudele perché fossero stermi­nati anche gli « zwingliani, spezzatori dei sacramenti, fanatici e anabattisti». Avendo voluto una religione di sola spiri­tualità, legittimò una commistione di Vangelo e di polizia, di prediche e di galere, la quale non riformò, ma aggravò il sistema medievale.

Partito così dalla libertà, finì col potenziare la dispotia, come fulcro di un ordine autoritario conservatore. orientato verso il paternalismo. Al potere politico accordò un crisma d'infallibilità con facoltà di compressione illimi­tata, giustificata con il peccato originale, per cui le masse erano abbassate a una degradazione ignota al Medio Evo.

Volle purificare i costumi, e per questo anche ruppe con la Chiesa di Roma; ma di fronte al potere politico, cedette sino a legittimare la bigamia del langravio di Hesse. La legittimò, perché si trattava d'un monarca: non l'avrebbe tollerata per un contadino; che nel monarca vedeva un mi­nistro diretto del Signore, tale che ogni suo atto era d'ispirazione divina, giustificato a priori, sempre. E la tumefazione del potere politico risultava già favorita dalla giusti­ficazione di ogni evento come voluto da Dio; e cioè da un fatalismo, che divenne totale nel campo politico, dove ogni azione del governo fu legittimata e dove anche l'impiccare, il decapitare e ogni genere di castigo, come ogni guerra, ap­parvero servizio di Dio. Donde una sterilità nel luterane­simo, che risultò un nullismo sociale nel secolo dell'illumi­nismo. Donde la negazione d'ogni sforzo per uscire dal pro­prio stato e migliorare la propria posizione, con la passività verso l'ingiustizia e la tirannide.

<1) benedetto croce, L'eresia morale di Lutero (in < Quaderni della Cri­tica », die. 1945, n. 3).

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L'etica economica del luteranesimo, quindi, fu giudi­cata dal Troeltsch «interamente reazionaria».

Essa produsse un quietismo spirituale; perché, per non contaminare il cristianesimo col mondo, lo separò dalla vita, almeno dalla vita collettiva, limitandolo alla vita infe­riore dell'individuo e sottomettendo la Chiesa allo Stato (per quanto Lutero, al contatto con la realtà, negli ultimi anni, dovesse decidersi a occuparsi, piuttosto male, di politica). Dove il cattolicesimo coordina quelle operazioni subordi­nando la natura alla soprannatura, il luteranesimo abban­donò il mondo al diavolo. E invece Cristo ha vinto il mondo : segno che ha combattuto con esso: e cioè ha redento, libe­rato l'umanità, nel tratto che vive sul mondo.

Nel cattolicesimo agiscono grazia e natura, di cui la seconda è completamento alla prima. Nel protestantesimo agisce la sola grazia, mentre la natura è rigettata, perché decaduta : quasi non ci fosse stata la Redenzione.

E rigettata è altresì la soprannatura. Come dice Troeltsch, nel protestantesimo < non c'è più assolutamente spazio per la concezione della soprannatura: l’intera idea d'un sistema graduato, che sale dalla natura alla sopranna­tura, dalla moralità secolare alla moralità spirituale e so­prannaturale, è spazzato via. I sacramenti sono finiti (2). Cosi è demolita la cattedrale della rivelazione, che il tomismo aveva protetta coi materiali della ragione. La ra­gione, per Lutero, è una «: druda». E viene completata quella rottura fra tradizione e rivelazione, fra diritto naturale e diritto divino, fra natura e soprannatura, che vari sistemi antitomisti avevano iniziata -.

(2) E. troeltsch, Thè social teachin of thè Christian Churches, London. 1931, voi. II, p. 472.

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Degradata la natura, allontanata la soprannatura, tutto lo spazio è occupato dalla sottonatura, per cui si potenzia la macchina monarchica, sovrammessa, come una cappa di piombo, sulla tomba della libertà.

Teologia e dispotismo

Sempre lì si approda: a deificare i capi politici, adu­nando gli attributi -della potenza divina sulle loro teste e la­sciando quelli decorativi sul capo di dio, reso più remoto da teorie che lo ributtano lontano dagli uomini.

Anche i sovrani cattolici arrivarono all'assolutismo, ma senza uscire apertamente dall'ortodossia. Per loro questa fu spesso un pretesto. Ai rè di Francia e di Spagna l'orto­dossia servì come ai prìncipi di Germania l'eterodossia : quale stimolo a farsi guerra con la benedizione della gente di Chiesa e le taglie e le confische sui fondi dei conventi.

Che la teologia fosse un simulacro si vide bene nel caso di Enrico Vili Tudor, il quale iniziò la trasformazione scendendo in campo quale « defensor fidei, campione del­l'ortodossia, contro Lutero, il « fratercolo » da cui fu ripagato con scurrilità da trivio. Ma, al pari dei prìncipi lute­rani, anche lui fece man bassa del Decalogo e della morale evangelica intanto che faceva man bassa dei monasteri.

Secondo P. Luigi Taparelli d'Azeglio, « il paganesimo, risuscitato dalla Riforma, ha sacrificato persin l'idea di pa­tria sì cara al cuore umano : e l'ha sacrificata al con­cetto di Stato dispoticamente inteso. Nella Riforma difatti < il concetto di Stato riveste necessariamente quelle forme dispotiche e paurose, che sono nate fatte per distruggere nel cuore dei cittadini ogni sentimento di affetto verso co-testa spaventevole divinità >.

Senza addarsene Lutero, con la teoria del servo ar­bitrio, al pari degli umanisti, riesumò il paganesimo, ma lo vestì di panni cristiani: ridestò le tirannie politiche, anche lui, ma le giustificò con la teologia

(Teofilo)
00sabato 26 settembre 2009 15:34
 

« II contrasto fondamentale dice a questo punto Sigrid Undset, premio Nobel, sta appunto in ciò: ed è ingenuo sorprendersi che le ideologie neo-pagane dei nostri tempi finiscano per creare delle forme sociali chiuse od ostili alla Chiesa, nonché degli Stati a carattere dittatoriale ».

Prima di farsi cattolica, quella scrittrice, protestante di nascita, aveva detestato del luteranesimo l'applicazione po­litica: che era il vassallaggio dei cittadini verso lo Stato ; e le era invece piaciuto Tommaso Moro, perché ai piedi del patibolo aveva dichiarato : « Sono un fedele servitore del rè, ma sono prima di tutto un servo di dio ».

La schiavizzazione politica, per la quale tutti i poteri si concentravano nelle mani del principe, insignito anche di un diritto divino, e tutti i doveri si accumulavano sulle schiene dei sudditi, destituiti anche dei diritti naturali, co­ronò la divaricazione tra fede e opere. Con il suo principio: pecca fortiter, et crede fortius, Lutero di fatto annullò l'In­carnazione e quindi la Redenzione. Alla libertà dell'arbitrio, sostituì la formula pagana -del servo arbitrio. Nella vita associata, propugnò l’obbedienza passiva e arrivò ad asse­rire : « Io sopporterei un principe che facesse il male, piut­tosto che un popolo che agisse con giustizia. >.

E a favore dei prìncipi, visti come dèi, istituì chiese di Stato, fatte strumenti di governo ; e contro il popolo, visto come Satana, scatenò i prìncipi, nella guerra dei contadini, già da lui infiammati contro i proprietari. Così la Riforma divenne la religione dei proprietari terrieri, un po' come lo scisma d'Oriente. I contadini dettero a Lutero il nomignolo di <Dottor Bugiardo ».

Così coi giudei; prima li accarezzò, meditando di averli dalla sua e produrli, convertiti, quale testimonianza della riforma; poi, nel 1543, scrisse contro di loro il libello più calunnioso, più arso d'odio, -che si sia mai scritto da agenti antisemiti, accusandoli di veneficio, di magia, d'assassinio rituale, invitando i cristiani a bruciare le sinagoghe, a distruggere i testi, a radere i ghetti, a condannare tutti i giudei ai lavori forzati e a cacciarli come bestie feroci.

Quando il comportamento nella rivolta dei contadini turbò persino i seguaci, proprio per il servilismo verso i pa­droni, e la ferocia verso i ribelli, in seguito al suo scritto « Contro le empie e scellerate bande dei contadini», allora Lutero si difese (i) coprendo d'ingiurie i suoi accusatori e, ribadendo il suo concetto pessimista della politica. « Esi­stono due regni : — spiegò uno è il regno 'di Dio, l'altro Ì1 regno della terra... Il regno di Dio è un regno di grazia e di misericordia e non un regno d'ira e castigo, perché ivi regna il perdono, la compassione, l'amore, il servire, il ben fare, la pace, la gioia, ecc. Ma i1 regno della terra è un regno d'ira e di severità, perché non sa che punire, vietare, giu­dicare e condannare; per tenere a freno i malvagi e pro­teggere i buoni... La potestà della terra, che altro non è che lo strumento dell'ira del Signore contro i malvagi, vero e proprio predecessore dell'inferno e della morte eterna, non dev'essere misericordiosa, ma severa, implacabile e adirata nel suo ufficio e nell'opera sua... ».

La città di Dio è esclusa quindi dalla terra, ed è so­stituita dalla città infernale. In esso la guerra è senz'altro giusta e necessaria, come l'intervento chirurgico, se intimata dall'autorità. E' dio che onora la spada; «: non è l'uomo, ma Dio ad impiccare, mettere alla ruota, decapitare, pu­gnalare ed uccidere. Sono tutte sue opere... ». Così lo Stato e deificato proprio nelle operazioni più crude e deprecate. « In conclusione nell'ufficio della guerra non si deve riguar­dare come si pugnala, abbrucia, colpisce e depreda... ma al perché di tale uccidere e ferocemente operare; allora si capirà senz'altro che ogni ufficio in sé è divino... » (2).

<1) « Una lettera sul duro libretto contro i contadini. (Cf. < Scritti politici di M^tm Lutero . ... U.T.E.T., 1949, p. 510).

(2) Lettera ad Asso v^n Kramer, voi.: < Lutero », delFU.T.E.T., p. 535.

E poiché gli si obiettava -che Cristo insegna di non con­sentire al male, Lutero vivisezionò l'uomo, separandone lo spirito dal corpo. Per lo spirito lo assoggettò a Cristo, per il corpo allo Stato. Che se 'dallo Stato riceveva l'ordine di combattere, combatteva non come cristiano, ma come mem­bro e suddito « secondo il corpo e i beni temporali».

Nell'umanità dolorante, così, Cristo crocifisso fu rifatto a brani.

Divinizzato il potere temporale, in nessun caso era am­messa la. rivolta; e da condannare erano i pagani, i quali «: non conoscendo Dio, non seppero neppure che il reggi­mento terreno è un'istituzione divina...; onde baldanzosa­mente decisero e ritennero non soltanto equo, ma lodevole, addirittura, il deporre un'autorità dannosa e malvagia...». Mai invece la rivolta, ^è giusta ed equa », anche se centro un tiranno; « infatti, se fosse lecito sopprimere o abbattere i tiranni, in breve si degenererebbe in un arbitrio generale... E' preferibile ricevere offesa da un tiranno solo, vale a dire dall'autorità, anziché, da innumerevoli tiranni, vale a dire dalla plebe... ».

Se c'è il tiranno e resiste, ragionava il riformatorevuoi dire che Dio lo vuole; e lo vuole per tenere a freno h plebe, la quale senza di lui si sfrenerebbe.

E' l'elogio della dispotia, che arriva a identificare la città del Redentore con la città dell'Omicida.

Se ne accorgeva lui stesso ; e allora inseriva magari bia­simi contro i signori, contraddicendo alla propria tesi.

Nel trattare con i contadini in agitazione, Lutero esalta la propria rivolta contro il papa e l'imperatore, dalla quale il ^ suo » Vangelo ha riportato un trionfo. Ma quando i contadini si rivoltano essi contro i feudataria allora li taccia di sciagurati, indemoniati, che ^ hanno ben meritato più e più volte la morte del corpo e dell'anima». E arriva a di­chiarazioni che tiranni in accessi di pazzia ripeteranno: « Contro chiunque sia sedizioso in modo manifesto, ogni uomo è ad un tempo giudice e carnefice, giusto come, di-

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vampando un incendio, migliore è colui che prima lo spegne... Per la qual cosa, chiunque lo può, deve colpirlo, scannarlo, massacrarlo, in pubblico o in segreto..., giusto come si deve accoppare un cane arrabbiato ». « Senza pietà, urlavadate addosso ai poveri; uccideteli, colpiteli, strozzatene quanti potete ». E centomila ne furono uccisi e strozzati.

Uccidere i ribelli diceva è dovere sacro ; e, « questi contadini, saranno tutti anime dannate ».

Non basta. « Così strani e stupefacenti sono i tempi che un principe, spargendo sangue, può guadagnarsi il Cielo meglio che altri pregando ».

E conclude : « Per la qual cosa, cari signori, liberate, salvate, aiutate e abbiate misericordia della povera gente; ma ferisca, scanni, strangoli chi lo può; e, se ciò facendo troverai la morte, tè felice, morte più beata giammai potresti incontrare... ».

La deificazione dello Stato

La tumefazione dello Stato era inevitabile una volta che si era rimossa la Chiesa, o ridotta a un Icone invisibile: Cristo mistico disincarnato. La Chiesa era stata istituita anche per tutelare l'autonomia dello spirito e della morale dal potere politico, il quale da essa risultava limitato. Tolto il limite, lo Stato sconfinò sino a considerarsi sacro, supe­riore alla legge e alla morale: sino a considerarsi vera Chiesa, dove il capo dello Stato si considerò vero Dio, fonte del diritto e della morale.

Sull'esempio di Lutero e di Melantone, in Gran Bre-tagna, il traduttore della Bibbia, Tyndale (m. 1536), con il ragionamento loro, dedusse una legge civica per cui, « chi giudica il rè giudica Dio; chi resiste al rè resiste a Dio e condanna la legge di Dio... Il rè è, in questo mondo, uno senza legge e può compiere a suo libito bene e mal&,-di cui darà conto al solo Dio... Fosse anche il più grande tiranno del mondo, egli è per tè un grande dono di Dio... E^ Dio.

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non l'uomo, che impicca, tortura, decapita e fustiga: è Dio che fa le guerre » (i).

Quando, perciò con tutte le sue piaggerie, fu condan­nato a morte dal despota che uccise il Moro. Tyndale fu stran­golato da... Dio.

Con questo riportare tutto a Dio anche i crimini di guerra, anche le cospirazioni di palazzo, anche le infrazioni del Decalogo, succedeva che autorità poliziesche e orge ses­suali, furti e scassi per ordine superiore, divenissero mani­festazioni della volontà divina, da accogliersi in ossequio. Dio si levava a tiranno bisbetico; diveniva in realtà il paraninfo del despota, I cui gesti tutti erano religione.

Con una tale eticità, si faceva logico e doveroso allo uomo obbedire anche contro coscienza, anche in cose contro giustizia, giacché l'ingiustizia diventava giustizia.

Del pari tra protestanti inglesi l'ordine divino si for­mulò in questo aforisma : <: Solo I monarchi sono liberi. Loro dovere è di comandare. Per i sudditi unico dovere è di obbedire ». Rè Giacomo I d'Inghilterra (1566-1625) chia­mava ateismo e bestemmia disputare su ciò che Dio può fare; e presunzione e disprezzo discutere su ciò che un rè può fare o dire. I sudditi devono riposare sulla volontà del rè rivelata nelle leggi. Il vero Dio è il rè, almeno dai tetti in giù. La sovranità, persino in Inghilterra, fu « la versione civile dell'infallibilità papale ».

Contro quel rè, assertore della tesi secondo cui < il prin­cipato politico è immediatamente da Dio », il Suarez mostrò che il potere laicale è « un diritto divino, e il diritto divino a nessun uomo particolare diede questa potestà: la diede quindi alla moltitudine » (2) ; e pose il principio della de­mocrazia. Con un itinerario tortuoso, anche in Francia, i gallicani abbassarono l'autorità del Papa, per innalzare quella del Rè, sino a consentire a costui di non dipendere se non da Dio; il che voleva dire in pratica di non dipendere se non dal proprio arbitrio, passando al Signore la responsabilità dei propri insuccessi.

 

<1) Obedience of a Christian Man... (1528). cit. da Catlin, p. 214. (2) suarez, Def. fidei^ L.; Ili, 2.

Per la teologia gallicana I rè erano non solo ordinati da Dio, ma dèi essi stessi. « Principe^ sunt dèi... » : I canali dell'anticattolicesimo si raccoglievano nell'acquitrino della schiavitù politica.

Insomma, come scrive Sabine, studioso americano di dottrine politiche: «la Riforma accelerò la tendenza già esistente all'aumento e al consolidamento del potere monar­chico... La monarchia assoluta, che non era stata originata dalla Riforma..., ne fu, nel campo politico, la vera beneficiaria » (3).

Calvinismo

Se Lutero confuse pastorale e spada in mano dello Stato, Calvino le confuse in mano della Chiesa. Il suo assolutismo prese la forma di teocrazia e i mèmbri della Chiesa, perché tali, e solo essi. furono cittadini con pieno diritto (per esem­pio, nel Massachussetts e a Ginevra).

Il calvinismo partiva dal dogma della elezione per grazia, il quale si spiega con la caduta definitiva dell'uomo, divenuto incapace di qualsiasi azione buona, il « decretwn horribile » della predestinazione, per cui Dio ha preordi­nato » da sempre e per sempre alcuni all'inferno, altri al paradiso. Ivi la Redenzione non ha senso. Ivi insorge il disumanesimo, come reale disincarnazione. Il destinato allo inferno neppure Dio può aiutarlo: dunque neppure Cristo può redimerlo. Ciascuno è abbandonato al suo "destino, e lo individualismo prende forme di diffidenza e separazione anche verso gli amici.

Cotesto dogma della predestinazione, vero islamismo in veste 'cristiana, sviluppò un individualismo dinamico, fremente d'iniziativa mentre asserì una ineguaglianza che spaccò la società in due settori: -da una parte una minoranza di eletti, destinati a dominare; dall'altra una maggioranza di pec­catori, destinati a servire in terra e a patire all'inferno. Per loro l'autorità stette come un'istituzione divina, che esige obbedienza e umiltà. Sviluppò pure una politica teocratica di tipo nazionale, secondo l'Antico Testamento, per cui Dio stabilisce un patto (Covenant) con ogni nazione, pur vedendo l'unione di nazioni cristiane come volontà di Dio. Indivi­dualismo e senso di unità favorirono forme di democrazia conservatrice.

(3) sabine, Storia delle dottrine politiche, Milano, 1953, pa^. 284-5 ibd. pag. 289.

 

Calvino ripudiò la condanna dell'usura e la valutazione della moneta, e allestì l'etica del capitalismo, associando alla considerazione degli interessi del consumatore quella degli interessi della produzione. Egli e I suoi si occuparono di crediti e di tasse, d'interessi e di banche, di scambi e di pro­duzione, e diedero un'importanza religiosa all'impresa, alla iniziativa e al successo economico, al risparmio facilitato dal ripudio del lusso e. da una laboriosità intensa, che indu­ceva a capitalizzare e a vedere nel profitto economico un segno di elezione da Dio, unico segno della benedizione di Dio nell'esercizio della propria vocazione, di fronte al mistero della predestinazione. Questa etica da Ginevra passò in Francia, tra gli ugonotti, nei Paesi Bassi e in Inghilterra e nel Basso Reno, e diffuse la concezione del lavoro per il lavoro, del guadagno per il guadagno, che divenne la norma del capitalismo, e diede esca alla pietà individualistica (self-righteous) del puritanesimo, che riguardò la ricchezza come un premio accordato da Dio alla ortodossia.

Quando il rigorismo di Calvino svanì, ne prese il posto l'edonismo di Adam Smith, logicamente. Ma allora l'etica nuova aveva fatto del guadagno lo scopo della vita, dopo che il successo negli affari era apparso l'unico segno della bene­volenza di Dio. Gli uomini devono far denaro», senten­ziava con quello spirito. Beniamino Franklin. ponendo nel denaro l'ideale dell'età nuova.

Posto il fatalismo calvinista, nota Weber — « il capitalismo non può utilizzare come operaio l'indisciplinato rappresentante del libero arbitrio... » (4).

Dalla misantropia, che ne deriva, dal pessimismo e, peggio, dalla maledizione, l'anima non si decongestiona più con il sacramento della penitenza, il quale, come tutti i sa­cramenti, proprio perché può liberare, è stato soppresso. Chiuso in se stesso il puritano non pensa che a sé; non si cura che di comprovare il suo stato di grazia mediante il successo nell'azione considerata adempimento della volontà di Dio. E cioè, dal suo assillo centrale e vitale: « Sono io tra gli eletti ? Posso acquistare la certezza d'essere tra gli eletti? 3>, si svincola ricercando i segni della certitudo salutis nell'attività professionale, svolta con intensità febbrile. La tensione religiosa nel lavoro, che frutta il guadagno, è il solo indizio sicuro dello stato di grazia raggiunto. Gli eletti sono perciò quelli professionalmente riusciti. L'azione este­riore diviene l'equivalente della vita interiore. La sola fides dei luterani diviene la fides efficax dei calvinisti. Ad essa risale l’efficiency dei capitalisti, capace di aumentare in terra la gloria di Dio. « Quanto inadatte sono le opere buone come mezzo per raggiungere la salvezza... tanto sono indi­spensabili come segno dell'elezione. Esse sono il solo mezzo tecnico, non per ottenere la salvezza, ma per liberarsi dalla ansia della salvezza... » dice Weber. E conclude: « La san­tificazione della vita potè prendere così quasi il carattere di un'azienda commerciale •» (5).

Guadagnare, guadagnare sempre più, senza distrarsi, senza divertirsi, senza sciupare un centesimo: rinasceva il farisaismo. Se l'avarizia la pleonexia, il -desiderio di gua­dagnar sempre di più era stata equiparata da san Paolo all'idolatria, ecco che si ridiventava idolatri, con l'illusione d'esser più cristiani. Come sotto il paganesimo, la povertà appariva una malattia; l'elemosina riprovevole tanto a chie­dersi quanto a darsi, perché stimolatrice d'ozio. Dio stava dalla parte dei monetieri : la loro espulsione dal tempio si trasfigurava in un errore di Cristo, che era lui, sì, con la sua povertà, estromesso dalla salvezza

<4) weber, O. C., p. 123 e 137. (5) w£ber, O.C., p. 137.

.

Dal puritanesimo duro nella sua correttezza vennero banditi, quali distrazioni peccaminose, anche i divertimenti più leciti, come l'albero di Natale, anche l'arte; e si sfoggiò uno stile uniforme di vita, che preludeva alla standardiz­zazione dell'era tecnologica. Sorse la religione dei « beati possidente s>, dove la costrizione ascetica a risparmiare portò all'accumulo del capitale: un capitale da investire per produrre nuovi risparmi, altri indizi di favore divino.

« Ciò che l'epoca, religiosamente cosi viva, del dicias­settesimo secolo, lasciò alla sua utilitaria erede, fu soprat­tutto la certezza che nell'acquisto del denaro, purché com­piuto secondo le vie legali, la coscienza era assolutamente a posto, e diciamo pure, a posto solo farisaicamente... Era sorto un ethos specificamente borghese. Con la coscienza di essere nella piena grazia del Signore, e di esser da lui visi­bilmente benedetto, l'imprenditore borghese, se si mante­neva nei limiti di una correttezza formale, se la sua condotta morale era irreprensibile, e l'uso che faceva della sua ric­chezza non era urtante, poteva accudire ai suoi interessi: lo doveva anzi fare » (6).

Il farisaismo. E la protesta di Gesù contro di esso ri­prende per bocca del popolo povero: il quale doveva se­condo quell' ethos restare povero, per rispondere agli ar­cani disegni del Signore.

Ancora oggi capita di sentirsi fare l'osservazione con il rimprovero, che i paesi protestanti siano ricchi e i paesi cattolici poveri, quasi a riprova che il cattolicesimo sia sinonimo di povertà.

<6) weber, O. C., p. 218.

E invece l'economia dei paesi ha detto Troeltsch non ha nulla a che fare con la loro religione (7) ; soprattutto con la religione del Vangelo, la quale ha enun­ciato la beatitudine dei poveri, e non dei ricchi. Senza dire che In Germania e negli Stati Uniti sono ricchi (e poveri) non meno I centri e gl'individui cattolici che quelli acatto­lici, dipendendo la ricchezza meno dai dogmi che dalle ma­terie prime. Comunque, Gesù era così povero che non aveva dove posare il capo. E Francesco d'Assisi ritrovò Cristo nella povertà.

In queste eresie, la libertà fu immolata sull'ara del fa­talismo, un vero Islam trasferito in Europa, mentre i turchi arrivavano dall'Oriente giovandosi della divisione cristiana. Da Padre, quale era stato riscoperto da Gesù, il Signore Dio ridiveniva -despota, come nelle mitologie assire, sorta di Moloch bisbetico, che assegnava all'inferno o al paradiso anime innocenti per puro gusto ; si confusero etica e diritto, Chiesa e Stato, per concedere tutto alla «comunità dei santi», e cioè al governo. Colonialismo e capitalismo derivano da una concezione di sicura, appartenenza al Bene, a Ormuzd, e di opposizione non meno sicura e costante al Male : la self righteousness, crede alla propria giustificazione senza bisogno di giudizi o controlli di chicchesia; un individualismo che si corregge e annulla nello statalismo.

Se i Borboni ripristinarono il «culto del rè», proprio degli stati pagani, Hobbes teorizzò il dispotismo nel Leviathan.

Per purificare la Chiesa di Stato, Newman combattè le correnti dette Erastiane, da Erastus, un calvinista zwingliano svizzero, il quale nel 1583, in 75 tesi aveva mostrato con citazioni scritturali, che i peccati dei cristiani devono essere puniti dalle autorità civili, e non da eliminarsi con I sacramenti ; con che aveva asserito la supremazia dello Stato anche nel foro delle coscienze.

(7) O. C., p. 573.

Uno studioso di materie economiche dei nostri giorni, il prof. Joseph A. Schumpter (1883-1950) nella sua Storia di analisi economica, dopo aver dichiarato che punto di par­tenza per lui era stata la Summa theologica e aver dimostrato che lo spirito di ricerca scientifica è nato con la scolastica medievale e non con la Rinascenza, ha potuto scrivere: < I dottori cattolici non comportavano l'autoritarismo politico. Il diritto divino dei monarchi, in particolare, e il concetto dello Stato onnipotente sono creazioni dei sostenitori prote­stanti delle tendenze assolutiste che dovevano affermarsi negli Stati nazionali » (8).

Chiesa e Stato nella teologia protestante d’oggi

Nel secondo dopoguerra, la formazione di Stati atei e persecutori e insieme la fioritura di Stati indipendenti da zone pagane e musulmane hanno sollecitato la teologia pro­testante a rivedere le idee sui rapporti tra Chiesa e Stato. Tale revisione dal Niemóller è stata definita nel 1945 una « interessante scoperta » dovuta alle amare constatazioni fatte sotto il regime nazista, mentre definiva « errata e da riformare » la concezione di Lutero. Tra i revisori c'era stato nel passato, per tutti, Kierkegaard; ma la critica ora si fa con ben altra portata e positive applicazioni.

Molti studiosi acattolici riconoscono le conseguenze causate dalla concezione luterana soprattutto sotto il na­zismo. Alcuni sono arrivati a delineare una discendenza logica diretta di Hitler da Lutero. Se tale discendenza fu asserita satiricamente, sotto la «resistenza», da Paul Va-léry, essa fu dimostrata storicamente, dopo la guerra, a Oxford in un raccolta di testi, intitolata From Luther to Hitler (Da Lutero a Hitler).

<8) Riportato in Thè Tablet, }uly 17 th, 19.54, p. 56.

Un teologo protestante tedesco, emigrato negli Stati Uniti, E. Heimann, nel suo libro Freedom and Order, ha fatto vedere come Lutero per disimpegnare la religione dalla politica, distaccasse la politica dalla religione, conferendo allo Stato « una sua dignità religiosa » derivata da Dio, « indi­pendente dagli obiettivi giusti o ingiusti della sua politica.... Cosi a una libertà cristiana non politica corrispose un ordine politico non cristiano, sanzionato come tale dalla religione ». DI là dice l'autore pullulò con il tempo la peste del totalitarismo. E conclude : < Fu l'educazione all'ordine lu­terano senza libertà a spianare la strada al nazismo».

Per essa, le chiese luterane non potevano opporsi a Hitler, secondo quanto ebbe, ancora nel 1958, ad affermare uno dei più noti teologi protestanti moderni, Paul Tillich: «: Le chiese luterane in Germania furono indifferenti verso gli eventi politici persino dopo che Hitler venne al potere, e sin quando i poteri politici non interferirono con la Chiesa. Non un momento prima esse pronunziarono una parola di protesta contro la persecuzione degli ebrei o contro I crimini di Hitler » (i).

Un teologo protestante di riconosciuto valore, Oscar Cullmann, in una dissertazione su «: Dio e Cesare », tradotta anche in italiano (1957) interpretò in ben altro modo il co­mando di Gesù: «: date a Cesare quel ch'è di Cesare... ».

Lo Stato dice (secondo il Vangelo) « non ha va­lore definitivo... Viene respinta ogni pretesa totalitaria dello Stato... Se lo Stato pretendesse ciò che è di Dio, se vi im­pedisse di annunciare il Regno di Dio, resistetegli. In questa parola di Gesù sta il leitmotif di tutta la complessa posizione neotestamentaria verso lo Stato».

Ribadiva, nel settembre 1960, il « Consiglio cristiano della Nigeria », in vista del prossimo accesso di 35 milioni di cittadini all'indipendenza: occorre la sottomissione allo Stato « in tutte le cose che sono in armonia con la legge di Cristo».

(1) ]. cogley, ed. Relif^ion in America; originai essays.. New York, Meri-dian booics, 1958, p. 277.

Dunque non in quelle che sono in disarmonia. E qui gli acattolici di Nigeria s'incontrano con altri degli Stati Uniti, dove una Commissione speciale, presieduta da Alford Carleton di Boston, ha riaffermato che sola base salda, su cui lo Stato possa fondar la giustizia, è l'obbedienza dell’ uomo a Dio. « Certo, I cristiani vedono nello Stato uno strumento di Dio per l'ordine e la giustizia. Tuttavia, bisogna vigilare, perché lo Stato può divenire strumento del diavolo».

E su « la politica il diavolo » s'è svolto un vivace di­battito, tra il noto teologo protestante sviz­zero, Karl Barth, e un raduno di studenti tra cui rappresen­tanti cattolici di Pax Romana, a Strasburgo.

Da anni dall'epoca della Riforma erano stati spe­cialmente i teologi acattolici a mettere in rilievo il « demo­niaco nella politica » (titolo d'un libro tedesco del Ritter nel dopoguerra). E difatti, nella terza tentazione, il diavolo pro­mise a Cristo il possesso di tutti i regni, qualora si fosse prestato a quello che ora è stato chiamato « il culto della personalità ».

Naturalmente, questo ripensamento teorico, con le con­seguenze pratiche, non procedette ne procede senza contrasti. Già sul finire della guerra, i tradizionalisti insor­sero, negli stessi Stati Uniti. Ivi il luterano Martin Schroeder chiamò amaro e blasfemo il giudizio dell'anglicano William R. Inge, secondo cui Lutero sarebbe stato « il peggiore genio del male in Germania». Ma anche Schroeder ammise che Lutero aveva reso la Chiesa serva dello Stato e insegnato che le leggi vanno obbedite anche se inique.

Il contegno del coraggioso vescovo luterano di Berlino Otto Dibelius, che si distinse per la sua critica e la sua re­sistenza al nazismo, ha suscitato lunghe polemiche tra i suoi correligionari. Un suo scritto, su « Le autorità », ha scatenato reazioni di non pochi circoli della sua denomina­zione ; per esempio, delle « Fraternite » (Kirchiiche Bruder-schaften) del Wùrtemberg, di Hesse, del Palatmato e di Baden...

« Le Sante Scritture hanno affermato costoro, in una lettera aperta, pubblicata sulla Neue Zeit di Berlino-Est, riprendendo la teoria fatalista delle origini, c'inse­gnano che qualsiasi uomo di Stato è uno strumento di Dio » (quindi anche Kadar, e Uibricht, e anche Hitler e Stalin). Poiché Dibelius s'era posto il quesito se il concetto d'auto­rità potesse applicarsi senza restrizioni a uno Stato ateo, la lettera delle Fraternite rispondeva: «Qualunque sia lo Stato, In cui noi viviamo, noi siamo sottoposti alla legge di Dio. Per questo motivo i cristiani nella Repubblica demo­cratica tedesca non possono rifiutarsi di riconoscere il loro governo più che non possano rifiutarsi I cristiani della Ger­mania dell'Ovest di riconoscere il loro governo ».

« In caso di necessità, I cristiani devono mostrare con la loro sofferenza di anteporre l'obbedienza a Dio all'obbedienza agli uomini ».

E', come si vede, un atteggiamento di passività e di compromesso, che rimena la teologia luterana a una più o meno fatalistica accettazione del regime; e suona biasimo del contegno di superiore libertà di Dibelius.

Ma questa lettera aperta, a sua volta, ha sollevato pro­teste vivaci.

Il vescovo luterano di Hannover, Hanns Lilje, ha par­lato di «malafede» dei firmatari: malafede in quanto pre­sumono basare il loro giudizio sulle Scritture. E cosi, viene anche lui a mostrare l'inconveniente per non dir altrodel libero esame, in forza del quale gli stessi testi scrittura1i finiscono con il prescrivere due atteggiamenti opposti, nel­l'ambito d'una stessa comunità.

Conferme al riesame in corso, nobili resistenze alla politica o vessatoria o anticristiana dei governi si sono avute da esponenti autorevoli del protestantesimo, nei paesi sa­telliti ,In Europa, e negli stessi paesi considerati protestanti, come nel Sud-Africa, dove, opponendosi ^apartheid, qualche vescovo anglicano s'è trovato a condannare con i vescovi cattolici le idee razzistiche dello Stato, e, implicita­mente, l'acquiescenza di certe chiese «: riformate » del luogo.

Questa rielaborazione teologica porta pure, contro la consuetudine antica di considerare la Chiesa dipendente dallo Stato, ad auspicare la separazione tra i due poteri, pur nella fiducia reciproca e nella collaborazione.

(Teofilo)
00sabato 26 settembre 2009 18:27
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Da: Soprannome MSN7978Pergamena Inviato: 26/02/2004 13.29

La rottura dell'unità dei cristiani
Il Protestantesimo

Lo studio della Riforma protestante del XVI secolo è particolarmente importante perché anche oggi l'immagine del cattolicesimo ne è fortemente condizionata. Innanzi tutto occorre sottolineare che la Riforma protestante non è propriamente una riforma. Per riforma di qualsiasi fenomeno storico, ma in particolare nella Chiesa, si intende, infatti, una ripresa di autenticità della propria identità e delle proprie origini, un approfondimento, una maturazione richiesta dalle particolari circostanze in cui si vive. La riforma cluniacense del IX-X secolo si può, in tal senso, definire una riforma della Chiesa che, attraverso di essa, acquisì una nuova vitalità. Lo stesso si dica per la riforma realizzata dalla nascita dell'ordine francescano e di quello domenicano. La riforma implica sempre un approfondimento delle origini e un loro sviluppo in circostanze nuove.

La Riforma protestante, invece, tronca i legami con l'origine. Seguendone l'itinerario fino alla fine non si troverà più l'avvenimento della fede nel suo aspetto oggettivo, ma un'altra cosa. Lutero fu senza dubbio una grande personalità religiosa come dimostra la sua capacità di aggregare intorno alla sue intuizioni molti altri uomini e non solo contemporanei. Ma quello che è nato con lui non si può definire un approfondimento, ma uno sviluppo, una reinterpretazione in senso moderno della originale identità cristiana. Egli creò una cosa nuova.

Lutero stesso ha lasciato una relazione scritta dell'avvenimento della sua conversione, avvenuta tra il 1513 e il 1517 nella torre del monastero di Wittenberg: "Nonostante che vivessi la mia vita di monaco in modo irreprensibile, mi sentivo peccatore di fronte a Dio. La mia coscienza era estremamente inquieta ed io non avevo alcuna certezza che Dio fosse placato dalle mie riparazioni. Non amavo quel Dio giusto che punisce il peccatore, anzi lo odiavo". La preoccupazione fondamentale di Lutero è dunque un rapporto irrisolto tra un peccatore e un giudice giusto. Per il soggetto cristiano, come lo si è descritto precedentemente, il problema di partenza non è questo, bensì l'annuncio di una realtà nuova nel mondo, a cui il singolo partecipa nella sua individualità. Nessun limite o errore pregiudica la certezza dell'evento, a cui l'uomo aderisce con tutta la sua particolarità, credendo che esso è più grande del suo male.

Con Lutero il problema fondamentale del cristiano diventa quello di non avere dissidi con il Dio giusto. È come se scomparisse l'evento di Cristo, dentro il quale la misericordia di Dio accoglie l'uomo così com'è. Ecco invece l'orizzonte delle preoccupazioni di Lutero: da una parte un Dio giusto che perseguita il peccatore, dall'altra la coscienza che non riesce a tranquillizzarsi. Finché, come afferma Lutero stesso (la traduzione è libera), Dio lo illuminò: "Dio infine ebbe pietà di me e, meditando giorno e notte un certo versetto, cominciai allora a comprendere che la giustizia di Dio è quella per mezzo della quale il giusto vive del dono di Dio, se ha la fede. Mi sentii allora letteralmente rinascere e mi sembrò di essere entrato nel paradiso". La Riforma è una riduzione in senso moderno della fede cattolica, in quanto la modernità è, appunto, l'affermazione della centralità del soggetto umano così com'è, a prescindere dall'appartenenza all'avvenimento di Cristo presente nella Chiesa. Per Lutero il problema è come l'uomo singolo possa arrivare alla tranquillità della coscienza e sentirsi salvato, per lui è prioritario e fondamentale l'aspetto soggettivo e sentimentale del benessere del singolo: dall'appartenenza si è passati alla reinterpretazione. Il soggetto che occupa il centro di interesse di Lutero è il singolo, che esiste non per un'appartenenza bensì in sé e per sé nella sua immediatezza.

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Da: Soprannome MSN7978PergamenaInviato: 26/02/2004 13.35

Questo soggetto, eretto a criterio di interpretazione di tutto, riprende tutta la tradizione della Chiesa e la rilegge dal suo punto di vista.

Questo fu Lutero....Questo è il protestantesimo.

Il cattolicesimo, invece, è il soggetto umano che cresce e si realizza nell'appartenenza: incontrato l'avvenimento di Cristo nella storicità della vita ecclesiale, esso incomincia un processo di educazione nel quale matura una coscienza nuova di sé e un criterio nuovo di giudizio. Quello del protestantesimo è un procedimento opposto: il soggetto umano, che coincide con l'individuo caratterizzato dai dati del suo temperamento, della sua intelligenza, della sua affettività, deve interpretare un oggetto che gli sta di fronte, cioè Dio, in modo da avere la certezza sentimentale, psicologica e affettiva di essere salvato.

Alcune espressioni comuni anche in contesti "cattolici", come: "La fede è una cosa che si sente; se la si sente è vera, altrimenti no" indicano quanto sia stata incidente la trasformazione soggettiva ed emozionale prodotta dal protestantesimo. La fede è ridotta ad oggetto (analogo a tutti gli altri trattati dalla scienza) il cui scopo è ricavare una salvezza intesa come benessere. Per 1500 anni, essa era stata invece un evento che si annunzia nel mondo per la presenza di Cristo nella Chiesa, e che chiama ogni uomo ad aderirvi.

I fattori che preparano la Riforma

Nel periodo che stiamo esaminando si forma, nella coscienza della cultura e della società europea, un soggetto che non considera l'evento, ma che, anzi, è tanto più soggetto quanto più prende le distanze dall'evento. Possiamo identificare quattro fattori di questo processo:

1. Una riduzione della Chiesa da mistero, sacramento, partecipazione alla realtà di Cristo presente, ad una struttura di carattere situazionale (i cristiani sono tali perché sono nati in Occidente, in una data situazione). Sorge un soggetto umano che vive nella Chiesa, come afferma Romano Guardini, ma non vive più la Chiesa; non vive un'esperienza di appartenenza. Già al termine del Medioevo la Chiesa comincia ad essere sentita da alcune minoranze intellettuali come un avvenimento estrinseco all'individuo.
2. Una sottolineatura estrema della ragione come capacità di problematizzazione radicale, per cui i fatti e le idee stanno sullo stesso piano. Alle spalle della Riforma ci sono almeno 150 anni di "nominalismo", che è in sostanza una riduzione del sapere a "nomina", cioè a concetti astratti con cui l'intellettuale gioca cercando di organizzarli il più intelligentemente possibile. Negli ultimi 150 anni della cultura medioevale, in ogni università esistono cattedre di "nominalismo", cioè di pura ricerca intellettuale astratta, dove il fatto dell'Incarnazione e la possibilità della non Incarnazione, la Trinità e la possibilità che non esista, l'esistenza e la possibilità della non esistenza di Dio,
vengono messi sullo stesso piano: sono "nomina" con cui giocare.
3. Una volontà (come reazione antiintellettualistica a questa sottolineatura enfatica dell'intelligenza intesa come pura organizzazione di "nomina") di salvare la fede contro la ragione, abbandonando quest'ultima al male, al demonio. Tra fede ed intelligenza avviene una rottura radicale: la fede dev'essere salvata senza l'intelligenza con un atto di carattere puramente volitivo e sentimentale. Si afferma il fideismo come concezione della fede-sentimento staccata dalla ragione. Viene così a perdersi la grande eredità dell'età patristica e medioevale, per cui in Cristo si realizza la pienezza di tutto l'umano.
4. Il crearsi di un'immagine di uomo puramente naturale, che si può realizzare anche solo con la sua intelligenza e la sua volontà. La fede diventa qualche cosa che si aggiunge dall'esterno, un particolare prezioso ma accidentale. È esattamente in questo periodo, al finire del Medioevo, che nasce l'espressione "naturale e soprannaturale". Sino a questo momento non si era operata tale distinzione perché era chiaro che l'unico avvenimento è Cristo, nel quale l'uomo viene realizzato in pienezza. Adesso si parla di un uomo naturale che agisce secondo il puro lume della ragione e che già può realizzare un suo fine nobile, "naturale". Alcuni poi tendono, in aggiunta, ad un fine soprannaturale (Cristo), che non entra nella vita dell'uomo per realizzarla pienamente, ma è un particolare di cui al limite si potrebbe anche fare a meno.
Questi quattro fattori fanno da scenario all'esperienza di Lutero e condizionano la mentalità sua e della gente a cui parlava.

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Da: Soprannome MSN7978PergamenaInviato: 26/02/2004 13.48

Cristo a misura dell'interpretazione del singolo


L'esperienza di fede di Lutero ha dato corpo a un soggetto che prescinde dalla Chiesa, anzi, facendo propria l'opposizione individuo-comunità, demolisce la Chiesa intera come pura istituzione che, impedendo al singolo il rapporto diretto con Cristo, ne ostacola la maturazione. Per Lutero il singolo è chiamato a vivere un rapporto diretto con Cristo e poiché la Chiesa si pone fra lui e Cristo con una serie artificiosa di strutture, ed inoltre essa è debole moralmente, l'individuo deve rifiutarla.

Lo scandalo suscitato in Lutero dall'immoralità degli ecclesiastici incontrati a Roma o di quelli che predicavano le indulgenze, risponde a un schema banalissimo: se si vive male una realtà giusta, vuol dire che essa non è giusta; è un rifiuto moralistico della Chiesa e in particolare del popolo giudicato degenerazione e inquinamento del Cristo. Il rapporto con Cristo, per Lutero, è tutto nell'esperienza di un nesso immediato e diretto del singolo attraverso un oggetto che non può mutare: la Parola scritta. (Contravvenendo al monito dell'apostolo che dice: Nessuna Scrittura è soggetta a privata interpretazione!)

L'esperienza della fede, per Lutero, è l'interpretazione che il soggetto fa dell'oggetto Parola, a cui può seguire, nel soggetto, il sentimento di essere salvato, oppure può non seguire nulla. Si rifiuta dunque la Chiesa. Per 1500 anni la Scrittura, fissata dalla prima generazione cristiana, non era stata lo strumento privilegiato del rapporto con Cristo (tale strumento era la vita del popolo di Dio, la Chiesa), bensì un punto di riferimento obbligato per avere una coscienza esatta di Cristo. Con Lutero, scomparso il popolo, è rimasta la parola.
Secondo la tradizione la vita della Chiesa immette nell'avvenimento di Cristo attraverso la propria struttura sacramentale. Con la Riforma non rimane più nulla dei sacramenti: essi sono tutti eliminati o, al massimo, concepiti come pura commemorazione (la Santa Cena protestante va intesa in questo senso). La stessa storicità di Cristo viene posta in secondo piano di fronte alla Parola. Cristo infatti è importante per la parola che ci ha lasciato, per i comandi che ha dato: non è un evento a cui si partecipa. In tal modo viene ritrascritto tutto il patrimonio della cattolicità. Questo mutamento era già presente nell'esperienza di Lutero, anche se la storia della Riforma svolgerà ulteriormente e successivamente tale embrione di riduzione soggettivistica e sentimentale della fede. Il contesto sacramentale della Chiesa viene sostituito dal rapporto immediato e diretto con la Parola. L'esperienza religiosa viene così radicalmente trasformata. Ha perso senso la sacramentalità della Chiesa, secondo cui l'evento di Cristo permane nel mondo non in una Parola scritta, ma attraverso il mistero della Chiesa, cioè attraverso un'unità non riconducibile alla carne ed al sangue, bensì al luogo della presenza di Cristo, che non può essere eliminata dagli errori e dai peccati di quelli che in essa vivono. Questa riduzione avviene in un quadro di rigida predestinazione. Infatti, colui che pone l'uomo dentro o fuori la salvezza, concedendogli il sentimento dell'essere salvo o negandoglielo, è Dio stesso che sceglie solo alcuni e perché non vuole la salvezza di tutti.
La posizione cattolica aveva affermato che Cristo è Dio che si comunica per la salvezza di ogni uomo; a lui si aderisce per la volontà del singolo. In Lutero il criterio è completamente capovolto: c'è un Dio che capricciosamente, in una massa destinata alla perdizione perché peccatrice, predestina alcuni alla salvezza ed altri alla dannazione (in Calvino si parlerà di "arbitrarismo divino"). Dio può scegliere il malvagio per salvarlo nonostante la sua malvagità, e può dannare il buono. Si tratta, insomma, di un'immagine di Dio che agisce nei confronti dell'uomo in modo assolutamente arbitrario.

La concezione protestante dell'uomo
La riduzione protestantica della fede reca con sé alcune conseguenze a livello antropologico, cioè di concezione dell'uomo.
1. La fede è un problema solo per chi si sente peccatore. Pertanto, l'uomo moderno ha due volti: quello di chi si sente padrone dell'universo (che troverà nell'illuminismo la sua celebrazione), signore della storia, non più servo di Dio ma re di se stesso; oppure ha il volto pessimistico dell'uomo cosciente del proprio limite invincibile, insuperabile. Il primo tipo di uomo non arriva alla fede, perché non ne ha bisogno; il secondo, invece, avverte il problema della fede. Il cristianesimo comunque si è già ristretto a un problema che si pone solo per alcuni. Il protestante non ha niente da dire a chi non si sente peccatore. Il cristianesimo autentico invece, ponendo nel mondo l'avvenimento di Cristo morto e risorto, salvezza di chi si sente peccatore e di chi non si sente, di chi è intelligente e di chi non lo è, di chi è greco come di chi è barbaro, di chi è schiavo e di chi è libero, rivela il suo valore universale esattamente in quanto si rivolge alla struttura ultima dell'uomo. Con il protestantesimo invece è l'uomo che giudica la fede e non viceversa. La religione diventa un problema moralistico, il problema di fare del bene, che interessa solo chi avverte il problema del proprio peccato. Da questo punto di vista l'immagine che il mondo odierno ha del cattolicesimo e che tante volte anche i cattolici hanno di se stessi, è molto più protestante che cattolica.
La fede "protestante" non è più un avvenimento che giudica il mondo e lo salva, bensì un messaggio che non mette in discussione il mondo così com'è, ma, anzi, deve trovare il suo posto nel mondo e precisamente nel cuore di coloro che, vivendo il problema del loro peccato, vogliono cambiare.
2. La fede, cioè il sentimento di essere salvati, a cui ci si abbandona senza possibilità di comprendere fino in fondo, coincide con una posizione di assoluta fiducia, che non coglie la totalità dell'uomo come intelligenza e volontà, ma solo il suo aspetto affettivo e sentimentale. Il credente è ridotto a un tipo di uomo che ha il problema di vivere rettamente. L'uomo si trova radicalmente diviso: da un lato sperimenta il sentimento emozionale di essere salvato, sull'onda del quale vive la vita nella certezza che Dio l'ha predestinato e perciò lo salverà; dall'altro lato la sua ragione è intesa come capacità di far cultura, conoscere la realtà, realizzare rapporti, scelte, costruire progetti in cui la fede non c'entra. Ne consegue che, sia che intenda la ragione dell'uomo come buona, e tenda, di conseguenza, ad adeguarsi culturalmente a tutti gli altri uomini, sia che la consideri di nessun valore e si affidi, quindi, a chi solo può garantire un'ordinata convivenza, il protestante è sempre favorevole al potere qualunque esso sia. Il calvinismo e certo protestantesimo liberale pensano che il successo negli affari sia segno di elezione da parte di Dio. Il luteranesimo ritiene invece che l'unico fattore di salvezza sia la fiducia in Cristo e nella sua parola: tutta la storia umana rimane preda di una contraddizione cui solo gli ultimi tempi porranno fine. In ogni caso il protestantesimo, sia nella sua versione ottimistica, come in quella pessimistica, non può in ultima analisi che giustificare il mondo e la sua ideologia.

Il rapporto con il potere


Il protestante è dunque strutturalmente per il mondo e per ciò che il mondo ha creato
. È possibile verificare tale affermazione in due punti significativi.
1. Il mondo in cui il protestantesimo nasce è in trasformazione: nasce la borghesia del mercantilismo, un ceto emergente nuovo che mette in discussione l'età feudale o medioevale in quanto segnava la prevalenza della vita religiosa sulle varie forme di attività, in particolare sulla contrattazione e sul profitto. Mentre la Chiesa cattolica scomunica colui che presta a usura, cioè il banchiere (in quanto sostiene, dall'inizio della sua storia, la destinazione sociale della proprietà), il protestantesimo si dispone a dare base sacrale e religiosa al mercantilismo. Lo affermano gli stessi storici protestanti, ad esempio Troeltsch ne Le chiese e la nascita del capitalismo e il suo allievo, R. Tawney in Protestantesimo e nascita del capitalismo. Quello che Marx e i marxisti chiamano capitalismo non sarebbe attecchito in Europa senza l'incremento, l'accettazione, la sacralizzazione che di esso ha fatto il protestantesimo. La polemica di Marx contro la società e contro la religione al servizio degli interessi di classe non colpisce tanto il cattolicesimo, quanto il protestantesimo. I Manoscritti economico-filosofici di Marx, infatti, sono stati scritti a Londra contro una certa società che sicuramente cattolica non era. Il protestante addirittura sostiene, con l'ingenuità e il rigorismo dei calvinisti, il mondo borghese e capitalista perché l'uomo che si realizza da sé sperimenta la benevolenza di Dio.
2. Sul piano etico-culturale, è il periodo in cui si realizza lo stato assoluto, non come esercizio ma come immagine del potere. Si tratta di uno stato chiamato impropriamente nazionale, che si concepisce come comprendente tutte le dimensioni dell'esistenza anche quella religiosa. Il protestantesimo sostiene questa immagine di Stato assoluto, fino a rendere la Chiesa parte della realtà statale. Essa infatti priva della sua sacramentalità, è ridotta ad una struttura pedagogica che, come tale, deve essere guidata da chi ha il potere nella società. L'ideale del potere assoluto è una Chiesa di stato, in cui l'autorevolezza vera sia quella politica, e la stessa autorità religiosa ne dipenda. Un esempio chiarissimo è l'Atto di Supremazia, che ha fatto nascere, nel 1534, la Chiesa di Inghilterra; Enrico VIII, il suo autore, si dimostra come il più acuto e intelligente discepolo di Lutero. Ma già nel manifesto di Lutero Alla nobiltà cristiana della nazione tedesca la Chiesa, ridotta a struttura giuridica, pedagogica, culturale di formazione morale, viene consegnata ai nobili, allo Stato. Quando attorno al 1525 i contadini, vessati dal nascente stato liberal-borghese, si ribellano, Lutero scrive parole terribili ai principi della regione tedesca, perché ammazzino quei "cani" che hanno osato mettere in discussione l'ordine sociale stabilito da Dio.

Il protestantesimo, dunque, impedendo alla fede di diventare cultura, cioè non unificando la persona, la lascia nella storia in balia di chi detiene il potere ideologico o politico. Per questo il protestantesimo ha certamente avallato la nascita della borghesia e del capitalismo e l'insediamento di una realtà di stato assoluto, nel quale la Chiesa è come la parte religiosa-culturale che è ed ha la sua legittimazione soltanto nell'ambito della struttura sociale.
La debolezza attuale della presenza cattolica, l'incapacità di leggere il vero bisogno degli uomini è forse dovuta ad un'infiltrazione di protestantesimo nel cattolicesimo, per cui si considera la comunità cristiana come appendice di una società già al tramonto anziché fattore di una nuova evangelizzazione, di un nuovo annuncio: Cristo risorto, presente nel mistero della Chiesa, proposta di salvezza a tutti gli uomini.

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Autore: Luigi Negri

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