Beato Cardinale, martire croato, Alojzije Stepinac e il card. Mindszenty d'Ungheria

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Caterina63
00giovedì 11 febbraio 2010 19:08
Il cardinale Levada ricorda il beato Stepinac a cinquant'anni dalla morte

Lo sguardo di Dio
cambia le prospettive umane


Gli ostacoli nell'evangelizzazione e l'onda dell'opinione pubblica che travolge e deride l'insegnamento della Chiesa non devono sorprendere i cristiani, "lo sappiamo che la persecuzione è la logica conseguenza della nostra appartenenza a Dio". Per il cardinale William Joseph Levada, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, non si deve perdere di vista l'essenza del Vangelo, che non promette rapporti facili col mondo, ma non è mai il caso di scoraggiarsi come ricorda l'attualissima testimonianza del cardinale martire croato Alojzije Stepinac.

Il cardinale Levada ha presieduto il 10 febbraio la messa a cinquant'anni dalla morte di Stepinac, nella chiesa romana di San Girolamo. Contemporaneamente il cardinale Vinko Puljic ha celebrato a Krasic, luogo del confino e della morte di Stepinac, e il cardinale Josip Bozanic nella cattedrale di Zagabria, accanto alla tomba del porporato beatificato nel 1998. Esattamente quarant'anni fa il ventunenne Bozanic, allora seminarista, venne arrestato per aver tradotto in croato e poi diffuso un articolo del padre gesuita Fiorello Cavalli su Stepinac pubblicato il 10 febbraio da "L'Osservatore Romano".

"Stepinac - ha detto il cardinale Levada nell'omelia a San Girolamo - non ha mai potuto portare le insegne cardinalizie" perché in prigionia, "ma ha vissuto ciò che significano, restando fedele fino all'effusione del sangue, sacrificando la propria vita per la verità e per l'unità della Chiesa in Croazia con il successore di Pietro".

Eppure "agli occhi degli uomini la sua vita sembrava un susseguirsi di disgrazie e soprattutto il processo farsa non solo gli ha tolto la libertà fisica ma intendeva levargli l'onore, la dignità", come dimostra l'impressionante "leggenda nera" che lo ha colpito. È stato "un uomo che ha amato la giustizia detestando ogni falsità" e per questo "perseguitato, calunniato, provato ma non piegato". Ha saputo resistere a lusinghe e minacce, ma il suo non è il ritratto di "un eroe, è qualcosa di più". Il "segreto", per Stepinac come per ogni cristiano, sta - ha detto il cardinale Levada - "nella capacità di cambiare prospettiva", liberandosi dai corti ragionamenti umani e facendo proprio "lo sguardo di Dio".
 
Ma "un cambiamento di questa profondità non si raggiunge dall'oggi al domani", ci vuole una vera vita di fede. È soltanto "la prospettiva di Dio" a cambiare tutto, aiutandoci a uscire "dalla schiera di quanti giudicano secondo l'apparenza e si fanno intimidire dai venti contrari. I momenti difficili nella vita nel ministero non ci tolgano la speranza!".

Il cardinale Levada ha indicato il beato Stepinac anche come modello di riferimento per l'Anno sacerdotale, ricordando le migliaia di lettere clandestine fatte pervenire ai preti, come pure ai laici, per incoraggiarli. "Poteva salvarsi scegliendo di vivere all'estero - ha concluso - ma non ha voluto lasciare la sua gente. La sua presenza, pur come prigioniero, è stato un segno di speranza e di verità per tutti". Un segno che, cinquant'anni dopo, continua a essere vivo in Croazia e non solo "come testimonia il continuo afflusso di persone che vanno a pregare sulla sua tomba", confessandosi e partecipando alla messa.

A San Girolamo hanno concelebrato gli arcivescovi Nikola Eterovic, Petar Rajic e Luigi De Magistris, e il vescovo di Gospic-Senj, monsignor Mile Bogovic, in pellegrinaggio a Roma con quattrocento giovani che hanno portato l'eco delle parole del Papa in croato all'udienza generale della mattina su "Stepinac martire che ha sacrificato la sua vita cinquanta anni fa in testimonianza della fede" invitando a custodirne la memoria.

Un discorso ripreso dal rettore del collegio croato, monsignor Jure Bogdan, che ha annunciato un libro con tutte le cinquanta omelie delle messe celebrate per Stepinac a San Girolamo dal 1960 a oggi, ricordando che nel 1998, l'anno della beatificazione a Marija Bistrica, a presiedere fu il cardinale Joseph Ratzinger e che tra i primi porporati ad andare a San Girolamo "non va dimenticato Franjo Seper, successore di Stepinac a Zagabria e poi anch'egli prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede".

Alla messa erano presenti gli ambasciatori di Croazia, Bosnia ed Erzegovina, Montenegro e Austria presso la Santa Sede. Quest'ultimo, spiega il rettore, anche per ricordare l'incidente automobilistico che ridusse in fin di vita il cardinale viennese Franz König, mentre era in viaggio per Zagabria come inviato di Papa Giovanni XXIII per celebrare le esequie di Stepinac.


(©L'Osservatore Romano - 12 febbraio 2010)












Caterina63
00mercoledì 24 marzo 2010 20:58
L'eroica testimonianza del cardinale Alojzije Stepinac (1898-1959) a cinquant'anni dalla scomparsa

"Meglio non darsi troppo
da fare per salvarmi"


Pubblichiamo una lettera del cardinale Stepinac datata Krasic, 26 marzo 1958, destinata a monsignor Smiljan Cekada, vescovo di Skopje.


Eccellenza cara,

ho ricevuto la tua cara lettera. Ti meravigli che non ho risposto alla lettera che mi hai inviato prima di questa, mentre eri qui. Ma non ti meravigliare. Allora l'Udba aveva dato la caccia alle mie lettere, tendendo un agguato.

Il parroco di qui e il segretario dell'arcivescovo, per esempio, sono stati completamente denudati e perquisiti, controllando persino nelle calze e su ogni banconota del segretario, per vedere se c'era qualcosa di scritto da parte mia:  ma non hanno trovato nessuna lettera. Non è difficile indovinare a che cosa possa servire tutto questo rigore.

Io dovrei pensare che tutto il mondo mi ha dimenticato e, quindi, dovrei piegarmi in ginocchio e chiedere la grazia a questi crudeli padroni. Invece, durante i cinque anni di detenzione a Lepoglava, non ho scritto nemmeno una lettera dell'alfabeto a nessuno; per cui posso trovarmi, anche qui, così fino alla morte; però, con l'aiuto di Dio frangar, sed non flectar dinanzi ai bestemmiatori rappresentati dal Kpj.

Mi chiedi se l'episcopato potrebbe prendere qualche iniziativa per la mia liberazione in occasione del mio sessantesimo compleanno. Ti rispondo brevemente.
Secondo il mio modesto parere, ora è troppo tardi.
È vero, Dio può fare il miracolo con la mia salute; però non c'è molto da sperare nella mia situazione attuale.
Prima di tutto si tratta di una malattia grave, di una malattia mortale:  policitemia oppure leucemia.
Per quest'ultima non c'è rimedio:  le medicine, con cui pensano di tenere in vita più a lungo il paziente, sono le iniezioni P32. In realtà, io continuo a vivere a causa del prelievo del sangue. Finora, durante sessanta mesi, ossia durante cinque anni, mi hanno prelevato 30 litri di sangue; quindi, facendo un conto, mezzo litro al mese. Questo non può durare a lungo.

Inoltre, a causa della trombosi, il professor Riesner ha dovuto legarmi chirurgicamente la vena principale della gamba, per cui il sangue, da allora in poi, non può circolare regolarmente e durante il giorno ho sempre il piede gonfio. Anche se durante la notte si normalizza, praticamente non posso più stare in ginocchio, né camminare per lungo tempo senza dolori. Più volte sono stato costretto a rimanere a letto senza celebrare la santa messa, il che per me era molto doloroso.
 Infatti, che cosa è il sacerdote senza la santa messa?

Tuttavia, il buon Dio non ha permesso che questo durasse a lungo tempo; così finora ho potuto celebrare tutte le sante messe pro populo, sebbene qualche volta in ritardo. Ora mi ha colpito un'altra grave tribolazione. Da sedici mesi soffro di prostata. I medici hanno fatto di tutto per aiutarmi; però il male si ripete ogni momento:  allora mi sento debole e non posso nemmeno celebrare la messa. Lascio ai medici decidere se dovranno operarmi.

Inoltre i miei bronchi sono tutt'altro che sani. Quando i medici hanno chiesto alle autorità dello Stato di lasciarmi andare al mare, hanno risposto di presentare la domanda. Ho detto:  "Mai!" Preferisco morire qui piuttosto che dare l'impressione che la Chiesa ceda e, proprio, per la misera salute di un vescovo. E sii certo che ben presto avrebbero divulgato questa notizia per sedurre il popolo, indurlo nell'errore. A chi hanno fatto una grande ingiustizia, ora vorrebbero che chiedesse la grazia per poter dire che hanno ragione loro e non la Chiesa, quando alza la sua voce contro la loro ingiustizia.

Non parlerò nemmeno delle mie altre tribolazioni fisiche; però, come dico, tutto mi fa sentire, come dice san Gregorio:  Dominus pulsat, cum per aegritudinis molestias mortem esse vicinam designar. Questo non dovrebbe accadere a me, in questo momento, e Dio può cambiare tutto; però, mi pare che alzare la voce, adesso, sarebbe per me in ritardo almeno da questo punto di vista, perché la mia salute è completamente rovinata.

Tu ti ricordi delle ripetute dichiarazioni del maresciallo Tito, che finché lui sarà in vita, io non potrò ritornare a Zagabria. Il signor maresciallo sbaglia se pensa che io sarei attirato dal desiderio di Zagabria, o per assumere qualche posizione. L'unica mia ambizione in questo mondo è questa:  resistere fino alla fine e morire nella grazia di Dio, come scrissi a qualcuno che voleva dedicarmi un certo libro.

Hai veramente la garanzia di ottenere qualcosa, se prendessi un'iniziativa per la mia liberazione, sia pure suaviter in modo, ma fortiter in re? Noi non chiediamo qualche grazia ai potenti, come se fossimo dei pezzenti, bensì vogliamo che siano rispettati i diritti più elementari della santa Chiesa cattolica, la quale non è e non può essere ancilla, ma libera.

Ecco le motivazioni per cui ritengo assolutamente inopportuno intraprendere, ora, qualsiasi cosa riguardo alla mia liberazione. Infine, sarei veramente libero nel palazzo arcivescovile? Per me sarebbe cento volte peggio che qui. Infatti, quale libertà ho sperimentato proprio là nell'anno 1945 e nel 1946? La libertà nel comunismo è una menzogna, è sabbia negli occhi per il pubblico mondiale; come, per esempio, è menzogna che le votazioni siano libere. Avevo l'occasione di vedere dalla finestra della mia prigione coloro che con le percosse e le minacce visitavano le case invitando ad andare a votare. Tutto sommato è meglio non intraprendere nulla per il mio caso, dopo tredici anni:  lasciamo tutto nelle mani di Dio.

Sarebbe meglio consigliarsi, come sradicare la peste della Cmd:  si tratta della Chiesa nazionale in fieri, se non in esse come in Cina. Non si chiede infatti che cosa ne pensa questo o quel sacerdote venduto, bensì che cosa ne pensa l'Udba, che ha fondato e che guida tutto ciò.
Non molto tempo fa, alcuni esponenti dell'Udba, ubriachi, lo hanno detto chiaramente a un sacerdote di campagna, quando sono venuti a trovarlo:  in vino veritas. Ogni uomo saggio può capire questo, senza ulteriori spiegazioni.

Se persiste il duro programma del Kpj (Partito comunista jugoslavo) di sradicare il falso misticismo (cioè la nostra fede e la Chiesa), allora vuoi dire che non istituiscono la Cmd per rafforzare la Chiesa nella nostra patria, bensì, secondo il detto divide et impera, lo fanno per poter raggiungere più facilmente la sua distruzione.

Intanto, eccellenza cara, ti raccomando caldamente di essere del tutto fiducioso per quanto riguarda il futuro della nostra Chiesa. Anche se io morirò qui, offro volentieri la mia vita per Dio e per la Chiesa cattolica.

Prego Dio, ogni giorno, di darmi la grazia di farmi morire cento volte, piuttosto che far vacillare il popolo nella fede per un mio piccolo segno di debolezza. Dio non perde mai la battaglia:  l'ho detto più volte e lo ripeto ancora. Non la perderà nemmeno nella lotta con il Kpj.
Dopo che avrai letto questa lettera, bruciala, perché coloro che vanno a caccia delle mie lettere possono giungere anche fino a te, anche se non ti scrivo alcun segreto e non mi immischio nella politica di professione.
Ti saluta fraternamente in Cristo

Alojzije cardinale Stepinac
Arcivescovo di Zagabria


(©L'Osservatore Romano - 25 marzo 2010)
Caterina63
00mercoledì 24 marzo 2010 21:01

Il coraggio della fedeltà


Pubblichiamo la prefazione scritta dal cardinale arcivescovo di Zagabria al libro Lettere dal martirio quotidiano (Pordenone, Proget Edizioni, 2009, pagine 443, euro 19). Il volume curato da Alberto Di Chio e Luciana Mirri, raccoglie le lettere del cardinale Alojzije Stepinac.
 

di Josip Bozanic


Nate dalla viva fede e scritte di proprio pugno, questi documenti sono l'autentica testimonianza del beato; le sue epistole ci avvicinano alla sua opera e alla sua sofferta ed eroica testimonianza per la gloria e per la giustizia divina e per la dignità e i diritti dell'uomo fondati da Dio.

Il contenuto di questo libro mostra al lettore come l'arcivescovo Alojzije Stepinac abbia continuato a esercitare il proprio servizio, benché allontanato forzatamente dal proprio gregge. Prega e soffre pazientemente, non si abbandona mai allo scoraggiamento, anzi invitava in particolare i sacerdoti, a essere fedeli a Cristo e alla Chiesa nonché a una indomabile fede nella vittoria di Dio. Con tutta la sua autorità cercava di convincere e incoraggiarli a opporsi decisamente a tutte le pressioni del Governo di formare le cosiddette "società dei sacerdoti". In esse egli individuava un grande sotterfugio nemico che poneva in questione il cattolicesimo e l'unità della Chiesa, che per lui erano le cose più sacre.

In queste pagine la nostra Chiesa riscopre il periodo difficile in cui ha offerto la testimonianza del proprio amore verso Dio e l'opzione per la fondamentale unità con il vescovo di Roma e con la Santa Sede di fronte a empie pressioni e opposizioni. Grazie ai sacrifici dei vescovi, dei sacerdoti, dei religiosi, delle religiose e di tanti fedeli laici, e specialmente al sacrificio del cardinale Stepinac, essa è rimasta unanimemente unita e fedele. Poiché questa testimonianza scritta del nostro beato ha un fondamento biblico ed è redatta su questo nostro suolo, merita di essere letta, meglio conosciuta e meditata. Inoltre, essa merita di essere "indicatore della strada di salvezza, il faro della Chiesa del popolo croato".

In qualità di terzo successore del beato Alojzije Stepinac sulla cattedra dell'arcidiocesi di Zagabria, sono lieto che la nostra Chiesa e un pubblico più vasto possano conoscere la santità e il martirio del beato dal contenuto delle sue lettere scritte al tempo  della  persecuzione dei cristiani.




"Ubi Aloisius ibi Ecclesia"



Martedì 23 marzo a Roma, nell'ambasciata della Repubblica di Croazia presso la Santa Sede, si è tenuta una conferenza dedicata al cardinale Stepinac, "Un modello per il nostro tempo". Pubblichiamo parte di uno degli interventi.


di Roberto de Mattei


Alojzije Stepinac nacque l'8 maggio 1898 nel villaggio di Brezanic, parrocchia di Krasic, a una trentina di chilometri da Zagabria. Durante la prima guerra mondiale combatté sul fronte italiano, fu ferito e fatto prigioniero. Con il crollo dell'impero austro-ungarico la Croazia divenne parte del nuovo regno dei serbi, dei croati e degli sloveni. Il giovane Stepinac fu ordinato sacerdote il 26 ottobre 1930; tre anni dopo fu nominato arcivescovo coadiutore di Zagabria, con diritto di successione.

Il 7 dicembre 1937, con la morte dell'arcivescovo Anton Bauer, Stepinac assunse il pieno governo della grande diocesi, che contava circa due milioni di abitanti. Sull'orizzonte si addensavano però fosche nubi. La guerra, scoppiata nel settembre 1939, nei primi mesi del 1941 dilagò anche in Jugoslavia. Nella terra di Croazia si scontrarono le due ideologie totalitarie del xx secolo, nazionalsocialismo e comunismo.

Nel 1945 la Jugoslavia entrò nell'orbita sovietica; i comunisti, giunti al potere con l'aiuto di Mosca, cercarono di estirpare le radici cristiane del popolo croato. Monsignor Stepinac venne arrestato il 18 settembre 1946; il reale movente era la lettera pastorale del 23 settembre di un anno prima, con cui l'episcopato rivendicava i diritti della Chiesa e denunciava le persecuzioni in Jugoslavia. Sottoposto a un processo farsa, l'11 ottobre seguente fu condannato a sedici anni di lavori forzati e il 19 ottobre trasferito al carcere di Lepoglava. Si aprì così il "caso Stepinac" di cui parlarono i giornali di tutto il mondo.

L'arcivescovo di Zagabria fu imprigionato dal 19 ottobre 1946 fino al 5 dicembre 1951, quando fu trasferito al domicilio coatto, nella canonica del paese nativo. Nel confino di Krasic - che i fedeli chiamavano "piccolo Vaticano", ubi Aloisius, ibi Ecclesia si diceva in Croazia - Stepinac non poteva allontanarsi fuori dai confini della parrocchia ed era strettamente sorvegliato.

Il 10 dicembre 1952 la Santa Sede annunciò che Pio xii lo avrebbe creato cardinale nel concistoro del 13 gennaio seguente. Il Governo di Tito considerò questa decisione una provocazione e ruppe ogni relazione diplomatica con la Santa Sede, chiedendo che il Vaticano richiamasse immediatamente la sua missione a Belgrado. Subito dopo, l'8 gennaio 1953, il maresciallo Tito convocò presso di sé sette vescovi jugoslavi per studiare le possibilità di un accordo diretto tra il regime comunista e l'episcopato locale, tentando di separare la Chiesa jugoslava dal centro della cattolicità. "Quando l'erba avrà coperto le tombe dei persecutori della nostra Chiesa di oggi - scrive Stepinac al padre Stanko Banic, nel giugno del 1959 - rimarrà ancora salda e incrollabile fino alla fine del mondo".



(©L'Osservatore Romano - 25 marzo 2010)

Caterina63
00martedì 8 febbraio 2011 18:20
L'omelia pronunciata nel 1998 da Joseph Ratzinger nel centenario della nascita del cardinale Alojzije Stepinac

Difese le cose di Dio
contro la falsa onnipotenza dell'uomo


Il 15 febbraio 1998 il cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, presiedeva nella chiesa romana di San Girolamo dei Croati la concelebrazione eucaristica in ricordo del servo di Dio Alojzije Stepinac - che il 3 ottobre successivo sarebbe stato beatificato da Giovanni Paolo II nel santuario croato di Marija Bistrica - in occasione del centenario della sua nascita. Alla vigilia della memoria liturgica del beato, che ricorre il 10 febbraio, pubblichiamo il testo integrale dell'omelia tenuta tredici anni fa da Joseph Ratzinger.

Eminenza, Eccellenze!
Cari confratelli nel sacerdozio!
Cari fedeli!

Nell'ultimo canto della Divina Commedia (Paradiso XXXI, 103), Dante parla di uno venuto forse dalla Croazia, che, affascinato dal volto di Cristo impresso nel velo della Veronica, non può più volgere il suo sguardo altrove, ma lo tiene fisso al Signore. Si immerge quasi nella visione di Cristo.

Questo Croato anonimo di Dante ha per noi un nome: è il servo di Dio, cardinale Alojzije Stepinac, nato cento anni fa a Krasic, e morto il 10 febbraio 1960. Veramente quest'uomo, questo servo di Dio, ha tenuto fisso il suo sguardo su Gesù, ha meditato Gesù, ha vissuto nella visione di Cristo e così sempre si è conformato a Cristo: era trasformato in Cristo, lui stesso una immagine viva di Cristo sofferente con la corona di spine e con le ferite della sua passione.

Le tre letture della liturgia di oggi sono a loro modo una immagine di Cristo. Del sermone della montagna, del quale abbiamo sentito adesso un brano (Luca, 6, 17.20-24), il Santo Padre nella sua enciclica Veritatis splendor dice che è una specie di autobiografia nascosta di Cristo, perché, in realtà, è Cristo quel povero esemplare, che è nato nel presepio fuori città perché non c'era posto negli alberghi, che è morto nudo, privo di tutto sulla croce. Cristo è stato odiato, espulso, perché ha annunciato l'amore di Dio per tutti. E così, vedendo, meditando le letture di oggi, vediamo Cristo, ma possiamo anche così meglio capire il messaggio del servo di Dio: il cardinale ci guida a Cristo e rende presente il suo messaggio, e Cristo ci fa vedere la profondità del cuore, le vere radici di questa vita.

Vorrei attirare l'attenzione solo su due piccoli passi di questo Vangelo di oggi. Innanzitutto su quella parola già citata: "Beati voi quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e respingeranno il vostro nome".
Il nostro beato, il nostro servo di Dio, ha vissuto proprio questa espulsione dalla gloria degli uomini, ha vissuto la solitudine, la sofferenza. Esiste una specie di anticipazione profetica di questa parola in una parola di Socrate, riportata da Platone nella sua Apologia (31 c), quando davanti al tribunale Socrate dice: "Nessun uomo che in nome della sua coscienza si oppone a una moltitudine dominante potrà finire salvo in questa terra".

Il cardinale Stepinac era un uomo di coscienza, che in nome della coscienza si oppose alle moltitudini dominanti.

Era l'uomo di una coscienza illuminata dalla parola di Cristo, un uomo di una coscienza formata dalla sua verità. E tramite la coscienza il suo cammino è venuto alla verità: ed è cammino della vera vita. Perché uomo di coscienza, di coscienza cristiana, si oppose ai totalitarismi; ed è divenuto, nel tempo della dittatura nazista, difensore degli ebrei, degli ortodossi e di tutti i perseguitati; e poi, nel tempo del comunismo, è stato l'avvocato dei suoi fedeli, e dei suoi sacerdoti trucidati e perseguitati. È divenuto soprattutto l'avvocato di Dio su questa terra, ha difeso il diritto dell'uomo di vivere con Dio, ha difeso lo spazio di Dio su questa terra.

Il cardinale Stepinac non ha fatto politica. Ha rispettato lo Stato quando e in quanto fu realmente Stato. Seguì la linea formulata da sant'Ambrogio, il quale dice: Ho sempre prestato la deferenza voluta e corretta agli imperatori, ma le cose di Dio non sono cose mie, non sono cose dell'imperatore, sono cose di Dio e devo rispettare e difendere quanto è di Dio (cfr Lettera fuori coll. 10, 1. 12). Dunque, così ha fatto il cardinale Stepinac: ha difeso le cose di Dio contro l'onnipotenza sbagliata e falsa dell'uomo, ha difeso i diritti di Dio, e così i veri diritti dell'uomo, la vera immagine dell'uomo contro il totalitarismo che non riconosce il potere di Dio, non riconosce la presenza di Dio, i diritti di Dio nel mondo.

Il servo di Dio era un uomo di coscienza e perciò in tutta la sua ammirevole fermezza non è mai stato un uomo duro, non è mai divenuto amaro, ancor meno ha conosciuto l'odio, perché ha difeso la verità, perché la sua coscienza era immersa nel volto di Cristo, era formata da Cristo. Questa fermezza era, nello stesso tempo, amore degli uomini, amore anche per i suoi persecutori. E così ci insegna come la fermezza della coscienza cristiana riconcilia verità e amore, è unità di verità e amore. Essendo uomo di coscienza, ha superato il male col bene e ha trasformato il male con il suo amore invincibile nutrito dall'amore di Cristo.

L'altra parola sulla quale volevo attirare l'attenzione è la prima delle beatitudini: "Beati voi poveri perché vostro è il Regno di Dio". Che cosa vuoi dire questo "beati"? In che cosa consiste questa beatitudine? È ovvio che questa beatitudine non è la felicità terrena nel senso banale del benessere, del successo, della carriera, dell'avere tutto, del poter fare tutto. È proprio il contrario. Sotto questo profilo è vero quanto ci dice oggi san Paolo nella lettura (prima Lettera ai Corinzi, 15, 12.16-20): "Se non è risorto Cristo, se abbiamo solo questa vita e questo tempo, siamo i più miseri uomini del mondo". E, realmente, il nostro servo di Dio ha vissuto e sofferto questa miseria della fede, questo essere escluso, questa solitudine. Ha sofferto la miseria, ma ha potuto sopportare questa miseria perché dietro la miseria ha scoperto la beatitudine vera. Ha saputo: "Io so che il mio Redentore vive" e che vivrò con il mio Redentore.

Dunque, in che cosa consiste questa beatitudine, questo essere beato? Non è una cosa di questo mondo, è una realtà di Dio, una realtà divina, una realtà in Dio per l'uomo, che si rivelerà in quest'uomo nel suo tempo, determinato da Dio. E quindi, chi vuol vivere questa beatitudine, arrivare a questa beatitudine, non può rinchiudersi in se stesso, deve estendersi sopra se stesso, deve uscire da se stesso, deve vivere nella autotrascendenza, deve perdere se stesso nelle mani di Dio. E perdendo se stesso, vive proprio nel luogo della vera beatitudine. Sappiamo come veramente il servo di Dio ha vissuto questa autotrascendenza.

Non ha considerato il suo episcopato, il suo essere sacerdote come una dignità, un onore. Realmente si è perso in Dio e perdendosi ha trovato la vera vita. Perché proprio lasciando se stesso è divenuto libero: libero nei riguardi dell'onore umano, libero di sopportare tutte queste offese, queste calunnie, libero di amare. Nella luce di questa vera beatitudine possiamo anche capire l'altra parola: "Guai a voi ricchi perché avete già la vostra consolazione".

Se è beato l'uomo che non vive per sé ma vive quasi fuori di sé, vive verso Dio, si estende verso Dio, consegna se stesso nelle mani di Dio, il ricco è l'uomo che vuol avere tutto per se stesso, che vuol avere la vita, se stesso per se stesso, si chiude in se stesso, vuoi avere successo in tutte le cose di questa terra. E proprio con questa ricchezza diventa povero, perché diventa povero della vera realtà, di Dio, e la sua vita è realmente - come dice la prima lettura di oggi (Geremia, 17, 5-8) - "come un tamerisco arido nella steppa, come pula che disperde il vento", perché è vuoto; questa vita, questo "io solo" non è sufficiente, perché è vuoto di verità, è vuoto di amore, se non conosce Dio. E, di conseguenza, questo "guai, avete già avuto la vostra consolazione" non è, come potrebbe apparire, una vendetta esteriore.

È solo una rivelazione di quanto succede se uno si chiude nella materia, nelle cose di questo tempo, se uno vuol avere se stesso per se stesso e vivere solo per se stesso. Così vediamo come coincidono le parole del Vangelo con la prima lettura e con il primo salmo, il salmo responsoriale di questa domenica, dove il profeta prefigurando Cristo e i suoi testimoni, dice: "Beato l'uomo che confida nel Signore": è come un albero piantato lungo le acque e mai mancheranno le acque.

Queste acque che mai mancheranno, che danno la vita eterna a questo albero, queste acque le troviamo nella fede della Chiesa, nella parola di Dio. Dio stesso ci dà queste acque. Agostino, interpretando il salmo 1, dice: Questo uomo benedetto dal profeta e dal salmo, è come un albero che ha le sue radici in alto, che ha le sue radici in cielo e cresce dal cielo. Così appare perso sulla terra, sembra straniero sulla terra, ma in realtà ha le sue radici affondate nelle vere acque della vita. Il cardinale Stepinac veramente era un tale albero, che è cresciuto dall'alto, dalla comunione con Dio, e così sembrava essere quasi esposto, quasi estraneo alla terra. E ha avuto realmente le radici dove sono le vere acque della vera vita.

Il salmo, quindi, la lettura e il Vangelo ci invitano a vedere le vere alternative: o vivere solo per questo tempo, solo per se stesso, essere apparentemente felici, o vivere con Dio, per Dio e così per gli altri. Non ci sono altre scelte. Alla fine c'è solo questa alternativa. E il servo di Dio ci mostra la vera strada della vita e ci invita anche a questa fortezza, a questo coraggio di essere in contrasto col mondo, se il mondo è in contrasto con la parola di Dio. Sapendo bene che alla fine vive ed è valida solo la parola divina, che è la vera realtà.

Quando nel 1934 il servo di Dio fu eletto arcivescovo coadiutore di Zagreb, si spaventò. Conosceva bene la situazione difficile della Chiesa cattolica e dei fedeli cattolici nella sua terra, in questa Jugoslavia che dagli alleati, dopo la prima guerra mondiale, era stata costruita artificialmente da elementi contrastanti e con forte accento anticattolico. Ma non conosceva soltanto questa difficoltà, questa minaccia: sapeva anche la forza delle ideologie totalitarie, antiteiste, che erano forti in quel momento e che sempre più fortemente dominavano tutto. In questa situazione, non poteva considerare l'episcopato come una promozione nel senso umano, come un grado più alto di una carriera umana. Sapeva che l'episcopato in quel momento era sacrificio, era perdersi, era lasciarsi cadere solo nelle mani di Dio.

Ha espresso il programma del suo episcopato, della sua vita, nella parola In Te Domine speravi, il suo motto episcopale. Coincide, questo motto, con la parola della prima lettura di oggi: "Benedetto l'uomo che confida nel Signore, e il Signore è la sua fiducia". In Te Domine speravi.
Si è abbandonato al Signore in tante sofferenze, si è abbandonato al Signore sapendo che nel Signore sono le acque della vera vita, la vera beatitudine. In tutte le difficoltà è rimasto l'uomo della speranza, della speranza perché uomo di fede e così uomo di carità, uomo del vero amore.

Oggi il cardinale Stepinac ci invita a questo coraggio, ci invita a mettere la nostra fiducia in Cristo, a essere gli uomini della speranza. In Te Domine speravi. Chi vive di questa parola sa che anche la conclusione del Te Deum vale, è vera: non confundar in aeternum, non sarò mai confuso.



(©L'Osservatore Romano - 9 febbraio 2011)

Caterina63
00martedì 19 aprile 2011 18:42
Il Papa in Croazia dal 4 al 5 giugno per la giornata nazionale delle famiglie cattoliche

Nella terra del beato Stepinac


"Insieme in Cristo" è il tema scelto da Benedetto XVI per il viaggio apostolico che compirà in Croazia da sabato 4 a domenica 5 giugno, in occasione della Giornata nazionale delle famiglie cattoliche. "È questo insieme - aveva detto il Papa durante l'udienza di lunedì 11 aprile al nuovo ambasciatore croato presso la Santa Sede - che desidero celebrare con il vostro popolo. Insieme malgrado le innumerevoli differenze umane, insieme con queste differenze! E ciò in quel Cristo che ha accompagnato il popolo croato da secoli con bontà e misericordia". Il Pontefice aveva anche ricordato di aver visitato più volte il paese balcanico quando era prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.

Il programma - reso noto dalla Sala Stampa della Santa Sede, lunedì 18 aprile - prevede la partenza del Papa dall'aeroporto internazionale Leonardo da Vinci di Roma, alle ore 9,30 di sabato 4 giugno, alla volta di Zagreb, dove è previsto l'arrivo per le ore 11. Ad attenderlo all'aeroporto internazionale di Zagreb Pleso ci saranno le autorità dello Stato. Dopo la cerimonia ufficiale di benvenuto, il Papa renderà una visita di cortesia al Presidente della Repubblica, nel Palazzo presidenziale. Seguirà, alle ore 13,50, l'udienza al Presidente del Governo, nella nunziatura apostolica.

Nel pomeriggio, alle ore 18,15, nel Teatro nazionale croato, si svolgerà l'incontro con diversi esponenti della società civile: dai rappresentanti del mondo politico, a quelli dei settori accademico, culturale e imprenditoriale, con il Corpo Diplomatico e con i leader religiosi. La prima giornata si concluderà con la veglia di preghiera con i giovani con inizio alle 19,30, nella piazza del Bano Josip Jela?i? di Zagreb. Domenica 5 giugno, il primo appuntamento del Pontefice sarà la messa delle ore 10, celebrata in occasione della Giornata nazionale delle famiglie cattoliche, nell'ippodromo della capitale.

Dopo il pranzo con i vescovi e il Seguito papale, nella nuova sede del segretariato della Conferenza Episcopale della Croazia e il congedo dalla nunziatura apostolica, alle ore 17, verranno celebrati i vespri con vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose e seminaristi nella cattedrale dell'Assunzione della Beata Vergine Maria e di Santo Stefano. Durante la celebrazione il Papa pregherà sulla tomba del beato Alojzije Viktor Stepinac. Alle ore 18,15 il Pontefice si recherà in visita alla residenza del cardinale Josip Bozani?, arcivescovo di Zagreb. Alle ore 19,15 la cerimonia di congedo nell'aeroporto internazionale di Pleso, concluderà la visita apostolica. La partenza per Roma è prevista per le ore 19,45 e l'arrivo per le ore 21,15.

Mercoledì 20 aprile, durante una conferenza stampa, gli organizzatori del viaggio apostolico in Croazia, daranno ufficialmente l'annuncio dell'apertura del sito internet www.papa.hr che offrirà informazioni dettagliate sul programma e su tutto quanto riguarda la visita. I vescovi croati già lo scorso febbraio avevano indirizzato ai fedeli una lettera in occasione dell'avvenimento ecclesiale, nella quale si sottolineava come "ogni visita pastorale del Papa porta la speranza, fa tornare la fierezza, risveglia la forza interiore, incoraggia e fortifica il senso del valore della nobiltà che esiste nel nostro popolo".



(©L'Osservatore Romano 20 aprile 2011)

Caterina63
00domenica 5 giugno 2011 19:56
[SM=g1740733]

Il Papa ai vescovi: A tale proposito, il Beato Cardinale Stepinac così si esprimeva: «Uno dei più grandi mali del nostro tempo è la mediocrità nelle questioni di fede. Non facciamoci illusioni … O siamo cattolici o non lo siamo.
Se lo siamo, bisogna che questo si manifesti in ogni campo della nostra vita» (Omelia nella Solennità dei SS. Pietro e Paolo, 29 giugno 1943).

Pope Benedict XVI attends a liturgy of vesper and a prayer at the  tomb of controversial Croatian WWII Cardinal Stepinac at the Zagreb  cathedral in Zagreb, Croatia, Sunday, June 5, 2011.


Celebrazione dei Vespri con Vescovi, Sacerdoti, Religiosi, Religiose e Seminaristi, e preghiera presso la tomba del Beato Alojzije Viktor Stepinac nella Cattedrale dell’Assunzione della Beata Vergine Maria e di Santo Stefano (Zagreb, 5 giugno 2011)

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Draga braćo u biskupstvu i u svećeništvu,
Draga braćo i sestre!
Zahvaljujem Gospodinu za ovaj molitveni susret, koji mi omogućuje doživjeti poseban trenutak zajedništva s vama, biskupi, svećenici, posvećene osobe, bogoslovi i sjemeništarci, novaci i novakinje. Od srca vas pozdravljam te vam zahvaljujem za svjedočanstvo koje dajete Crkvi kao što su to učinili toliki Pastiri i Mučenici u ovoj zemlji od svetog Dujma sve do blaženog kardinala Stepinca, ljubljenog kardinala Kuharića i mnogih drugih.

[Cari Fratelli nell’Episcopato e nel presbiterato,
Cari fratelli e sorelle!

Rendo grazie al Signore per questo
incontro, nella preghiera, che mi consente di vivere uno speciale momento di comunione con voi, Vescovi, sacerdoti, persone consacrate, seminaristi, novizi e novizie. Vi saluto tutti con affetto e vi ringrazio per la testimonianza che rendete alla Chiesa, come hanno fatto nei secoli tanti Pastori e Martiri in questa terra, da san Domnio fino al beato Cardinale Stepinac, all’amato Cardinale Kuharić e a molti altri.]

Ringrazio il Cardinale Josip Bozanić per le cortesi parole che mi ha rivolto.
Questa sera vogliamo fare devota e orante memoria del Beato Alojzije Stepinac, intrepido Pastore, esempio di zelo apostolico e di cristiana fermezza, la cui eroica esistenza ancora oggi illumina i fedeli delle Diocesi croate, sostenendone la fede e la vita ecclesiale.

I meriti di questo indimenticabile Vescovo derivano essenzialmente dalla sua fede: nella sua vita, egli ha sempre tenuto fisso lo sguardo su Gesù e a Lui si è sempre conformato, al punto da diventare una viva immagine del Cristo, anche sofferente. Proprio grazie alla sua salda coscienza cristiana, ha saputo resistere ad ogni totalitarismo, diventando nel tempo della dittatura nazista e fascista difensore degli ebrei, degli ortodossi e di tutti i perseguitati, e poi, nel periodo del comunismo, «avvocato» dei suoi fedeli, specialmente dei tanti sacerdoti perseguitati e uccisi.
Sì, è diventato «avvocato» di Dio su questa terra, poiché ha tenacemente difeso la verità e il diritto dell’uomo di vivere con Dio.
“Con un’unica oblazione [Cristo] ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati” (Eb 10,14).
Questa espressione della Lettera agli Ebrei, poc’anzi proclamata, ci invita a considerare la figura del Beato Cardinale Stepinac secondo la “forma” di Cristo e del suo Sacrificio. Il martirio cristiano infatti è la più alta misura di santità, ma lo è sempre e soltanto grazie a Cristo, per suo dono, come risposta alla sua oblazione che riceviamo nell’Eucaristia.
Il Beato Alojzije Stepinac ha risposto con il suo sacerdozio, con l’episcopato, con il sacrificio della vita: un unico “sì” unito a quello di Cristo. Il suo martirio segna il culmine delle violenze perpetrate contro la Chiesa durante la terribile stagione della persecuzione comunista.
I cattolici croati, in particolare il clero, sono stati oggetto di vessazioni e soprusi sistematici, che miravano a distruggere la Chiesa cattolica, a partire dalla sua più alta Autorità locale. Quel tempo particolarmente duro è stato caratterizzato da una generazione di Vescovi, di sacerdoti e di religiosi pronti a morire per non tradire Cristo, la Chiesa e il Papa. La gente ha visto che i sacerdoti non hanno mai perso la fede, la speranza, la carità, e così sono rimasti sempre uniti.
Questa unità spiega ciò che è umanamente inspiegabile: che un regime così duro non abbia potuto piegare la Chiesa.

Anche oggi la Chiesa in Croazia è chiamata ad essere unita per affrontare le sfide del mutato contesto sociale, individuando con audacia missionaria strade nuove di evangelizzazione, specialmente al servizio delle giovani generazioni.

Cari Fratelli nell’Episcopato, vorrei incoraggiare anzitutto voi nello svolgimento della vostra missione. Quanto più opererete in feconda concertazione tra voi e in comunione con il Successore di Pietro, tanto più potrete affrontare le difficoltà della nostra epoca. È importante, inoltre, che soprattutto i Vescovi e i sacerdoti operino sempre al servizio della riconciliazione tra i cristiani divisi e tra cristiani e musulmani, seguendo le orme di Cristo, che è nostra pace.

Riguardo ai sacerdoti, non mancate di offrire loro chiari indirizzi spirituali, dottrinali e pastorali.

La comunità ecclesiale, infatti, presenta al proprio interno legittime diversità, tuttavia essa non può rendere una testimonianza fedele al Signore se non nella comunione dei suoi membri. Questo richiede da voi il servizio della vigilanza, da offrire nel dialogo e con grande amore, ma anche con chiarezza e fermezza.


Cari Fratelli, aderire a Cristo significa “osservare la sua parola” in ogni circostanza (cfr Gv 14,23).

S tim u vezi blaženi se kardinal Stepinac ovako izrazio: „Jedno od najvećih zala našega vremena jest osrednjost u pitanjima vjere. Nemojmo si umišljati… Ili jesmo ili nismo katolici. Ako jesmo, onda se to mora očitovati na svim područjima našega života“.

[A tale proposito, il Beato Cardinale Stepinac così si esprimeva: «Uno dei più grandi mali del nostro tempo è la mediocrità nelle questioni di fede. Non facciamoci illusioni … O siamo cattolici o non lo siamo.
Se lo siamo, bisogna che questo si manifesti in ogni campo della nostra vita» (Omelia nella Solennità dei SS. Pietro e Paolo, 29 giugno 1943).]


L’insegnamento morale della Chiesa, oggi spesso non compreso, non può essere svincolato dal Vangelo. Spetta proprio ai Pastori proporlo autorevolmente ai fedeli, per aiutarli a valutare le loro responsabilità personali, l’armonia tra le loro decisioni e le esigenze della fede. In tal modo si avanzerà in quella “svolta culturale” necessaria per promuovere una cultura della vita e una società a misura dell’uomo.

Cari sacerdoti - specialmente voi parroci - conosco l’importanza e la molteplicità dei vostri compiti, in un’epoca nella quale la scarsità di presbiteri comincia a farsi fortemente sentire. Vi esorto a non perdervi d’animo, a rimanere vigilanti nella preghiera e nella vita spirituale per compiere con frutto il vostro ministero: insegnare, santificare e guidare quanti sono affidati alle vostre cure.

Accogliete con magnanimità chi bussa alla porta del vostro cuore, offrendo a ciascuno i doni che la bontà divina vi ha affidato. Perseverate nella comunione con il vostro Vescovo e nella collaborazione reciproca. Alimentate il vostro impegno alle sorgenti della Scrittura, dei Sacramenti, della lode costante di Dio, aperti e docili all’azione dello Spirito Santo; sarete così operatori efficaci della nuova evangelizzazione, che siete chiamati a realizzare unitamente ai laici, in modo coordinato e senza confusione fra ciò che dipende dal ministero ordinato e ciò che appartiene al sacerdozio universale dei battezzati.

Abbiate a cuore la cura delle vocazioni al sacerdozio: sforzatevi, con il vostro entusiasmo e la vostra fedeltà, di trasmettere un vivo desiderio di rispondere generosamente e senza esitazione a Cristo, che chiama a conformarsi più intimamente a Lui, Capo e Pastore.

Cari consacrati e consacrate, molto la Chiesa si attende da voi, che avete la missione di testimoniare in ogni epoca «la forma di vita che Gesù, supremo consacrato e missionario del Padre per il suo Regno, ha abbracciato ed ha proposto ai discepoli che lo seguivano» (Esort. ap.
Vita consecrata, 22).

Dio sia sempre la vostra unica ricchezza: da Lui lasciatevi plasmare, per rendere visibile all’uomo d’oggi, assetato di valori veri, la santità, la verità, l’amore del Padre celeste. Sorretti dalla grazia dello Spirito, parlate alla gente con l’eloquenza di una vita trasfigurata dalla novità della Pasqua. L’intera vostra esistenza diverrà così segno e servizio della consacrazione che ogni battezzato ha ricevuto quando è stato incorporato a Cristo.

Vama mladima, koji se pripravljate za svećeništvo ili za posvećeni život, želim ponoviti da božanski Učitelj neprestano djeluje u svijetu i govori svakom pojedinom od onih koje je izabrao: „Slijedi me“.

[A voi, giovani che vi preparate al sacerdozio o alla vita consacrata, desidero ripetere che il divino Maestro è costantemente all’opera nel mondo e dice a ciascuno di quelli che ha scelto: “Seguimi” (Mt 9,9).]

È una chiamata che esige la conferma quotidiana di una risposta d’amore. Sia sempre pronto il vostro cuore! L’eroica testimonianza del Beato Alojzije Stepinac ispiri un rinnovamento delle vocazioni tra i giovani croati.

E voi, cari Fratelli nell’episcopato e nel presbiterato, non mancate di offrire ai giovani dei seminari e dei noviziati una formazione equilibrata, che li prepari a un ministero ben inserito nella società del nostro tempo, grazie alla profondità della loro vita spirituale e alla serietà dei loro studi.

Amata Chiesa in Croazia, assumi con umiltà e coraggio il compito di essere la coscienza morale della società, “sale della terra” e “luce del mondo” (cfr Mt 5,13-14). Sii sempre fedele a Cristo e al messaggio del Vangelo, in una società che cerca di relativizzare e secolarizzare tutti gli ambiti della vita. Sii la dimora della gioia nella fede e nella speranza.

Predragi! Neka blaženi kardinal Alojzije Stepinac i svi Sveti vaše zemlje posreduju za vaš narod a Majka Spasiteljeva neka vas štiti! S ljubavlju udjeljujem vama i čitavoj Crkvi u Hrvatskoj svoj apostolski blagoslov. Amen. Hvaljen Isus i Marija!

[Carissimi! Il Beato Cardinale Alojzije Stepinac e tutti i Santi della vostra terra intercedano per il vostro popolo e la Madre del Salvatore vi protegga! Con grande affetto imparto a voi ed all’intera Chiesa che è in Croazia la mia Benedizione Apostolica. Amen. Siano lodati Gesù e Maria!]
Caterina63
00martedì 7 gennaio 2014 11:26

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  Il vinto vittorioso: Mindszenty. Cardinale crocifisso 2 volte: dal comunismo e dall’ostpolitik

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Il campione della Chiesa del Silenzio. La sua lotta contro l’Ostpolitik vaticana: perse, ma fu comunque vincitore. E due volte martire: di Mosca e del Vaticano (e se la prima fu la sua croce, il secondo fu il suo Golgota). Che in quegli anni sembrarono più complici che nemici.

Joszef Mindszenty

cardinale, martire, testimone intrepido della fede della Croce, imitatore di Cristo, santo. Perciò sgradito in ogni luogo, in esilio ovunque, imbarazzante per qualsiasi potente, pietra d’inciampo per tutti gli ipocriti

 

di Michele M. Ippolito  dal sito papalepapale.com

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 Vinto ma vittorioso

“Devictus Vincit”. Vinto ma vittorioso. Queste poche lettere erano scritte in calce ad una immagine del Cristo coronato di spine che il principe primate d’Ungheria Joszef Mindszenty portò con sé nella sua lunga prigionia nelle carceri comuniste e che usava, quando gli concedevano di celebrare la messa, come quadro d’altare. “Devictus Vincit”, vinto ma vittorioso, come un “alter Christus” anche il cardinale Mindszenty, uno dei tanti martiri del ventesimo secolo, che ha servito Dio e la Chiesa fino alla sua morte, avvenuta in esilio, lontano dalla sua amatissima Ungheria. Vinto dagli uomini, vittorioso comunque perché la sua “buona battaglia” alla fine era vinta: terminata la sua corsa, aveva conservato la fede, come San Paolo. Oggi il servo di Dio Mindszenty, eroe tragico dei suoi tempi, perseguitato da nazisti e comunisti, esiliato dalla sua Ungheria per volontà del Vaticano è una delle figure più venerate dagli ungheresi, in una terra in storicamente consacrata alla Madonna, in cui sei persone su dieci sono cattoliche.

Mindszenty per anni è stato uno dei maggiori esponenti della Chiesa del silenzio, la Chiesa sotterranea a cui i regimi comunisti35642 dell’Europa Centro-Orientale rifiutavano di dare qualsiasi spazio e che facevano oggetto di una spietata persecuzione a vantaggio di una “Chiesa ufficiale”, più docile e collaborativa, ma sicuramente meno cristiana, nonostante gli appoggi vaticani. Quella Chiesa del Silenzio che solo molti anni dopo la morte di Mindzenty, avvenuta nel 1975, fu invece rivalutata ed appoggiata in maniera pubblica da un Pontefice: ad Assisi, sulla tomba di San Francesco, il 5 novembre 1979 Giovanni Paolo II rispose al grido proveniente dalla folla “Viva la Chiesa del silenzio!” affermando in maniera perentoria “Non c’è più Chiesa del silenzio, perché parla attraverso il Papa!”

C’era voluto il sacrificio di tanti uomini e donneper arrivare a quella dichiarazione di un Papa. Tra questi, anche Joszef Mindszenty, una figura la cui tragica storia è un esempio luminoso di fede, rettitudine ed amor patrio. Mario Cervi, nella sua rubrica sul Corriere della Sera del 21 novembre 2010, raccontava in maniera chiara che “Mindszenty ha avuto la sorte di essere coinvolto – come credente, come prete, come vescovo – in alcune tra le più drammatiche vicende del secolo scorso. Ha conosciuto e  sofferto l’orrore hitleriano, ha conosciuto e sofferto l’orrore staliniano: sempre dimostrando, di fronte ai persecutori, il suo grande coraggio. Lo animava il temperamento di un crociato. Gli uomini di carattere sono il più delle volte anche uomini di cattivo carattere.”

Oppositore di socialisti, nazisti, comunisti

Il processo farsa del regime dei comunisti ungheresi contro il primate d'Ungheria. Emblematica l'espressione del cardinale.

Il processo farsa del regime dei comunisti ungheresi contro il primate d’Ungheria. Emblematica l’espressione del cardinale.

Nato il 29 marzo 1982 a Mindszent, a ventitrè anni è ordinato sacerdote e nel 1944 diventa vescovo di Veszprem. Uomo di enorme cultura, aveva già dato dimostrazione di forza d’animo e opposizione a forze anticristiane, venendo arrestato nel 1919 dal governo socialista ungherese che in quel periodo reggeva il Paese dopo la Prima Guerra Mondiale, e la conseguente dissoluzione dell’Impero Austro-Ungarico. Dopo che il governo era passato nelle mani di un reggente, Miklos Horthy, Mindszenty, vescovo libero di esercitare il suo ministero, si era imposto come una delle figure centrali della vita pubblica ungherese Nel corso della Seconda Guerra Mondiale Horthy, che era riuscito a garantire gli equilibri nella fragile nazione, viene deposto e l’Ungheria diventa uno Stato fantoccio del Reich hitleriano, alla cui testa viene messo il capo delle spietate Croci Frecciate, Ferenc Szalasi. Appena dieci giorni prima, Mindzenty assume l’incarico di vescovo e si fa notare come fiero oppositore di qualsiasi sopruso ai danni della popolazione magiara. Le Croci Frecciate, intanto, si rendono protagoniste di abusi indicibili nei confronti della gente e di comportamenti inumani contro gli ebrei, mentre l’Europa diventava una gigantesca tomba. Mindzenty grida tutto il suo sdegno ed il suo dolore e viene, quindi, arrestato. L’Armata Rossa marcia verso Budapest e la “libera”.

Finita la Guerra, Mindzenty torna alla sua missione di vescovo e Pio XII decide di nominarlo, nel settembre 1945, arcivescovoCardinal-Jozsef-Mindszenty-31 di Strigonio, storica sede primaziale ungherese, e principe primate d’Ungheria, ponendo fine ad un periodo di sede vacante durato sei mesi. Il 21 febbraio 1946 promette alla Chiesa di servire Cristo “usque ad sanguinis effusionem” venendo creato cardinale dal pontefice nella Basilica di San Pietro a Roma. L’arcivescovo di Strigonio, per antichi privilegi, ha il diritto di incoronare i re della terra di Santo Stefano e per questo è primate tra tutti i dignitari della Chiesa e dello stato ungherese. Storicamente, avevo il compito di fare le veci del re quando questi si allontanava dal paese e se il re non rispettava la costituzione, il primate era obbligato ad ammonirlo perché ciò “corrispondeva alle aspettative della nazione” ed era un dovere riconosciuto non solo dai cattolici ma anche di credenti di altre fedi.

Si oppone alla persecuzione anticattolica in Ungheria

L'ennesimo processo comunista al Primate

L’ennesimo processo comunista al Primate

Il primo compito che Mindszenty si dà è quello di promuovere la ricostruzione dopo la devastazione della guerra. La situazione, però, precipita velocemente. Dal primo gennaio 1946 l’Ungheria diventava una repubblica, contro il parere della Chiesa cattolica. Nel giro di due anni i comunisti, con il supporto di Mosca e la totale indifferenza dei governi occidentali, che avevano già diviso il mondo in blocchi ed ora si disinteressavano dei Paesi dell’Europa centrale, fanno piazza pulita di tutti gli altri partiti costituzionali e, di fatto, governano l’Ungheria con pugno di ferro. Per avere campo libero il Partito Comunista Ungherese aveva creato scandali ad arte ed i suoi avversari erano stati arrestati, esiliati, esposti alla pubblica gogna. L’Urss faceva sentire in maniera forte le sue minacce e molti esponenti politici di primo piano, semplicemente, avevano preferito ritirarsi.

I comunisti sferrano l’attacco ai cattolici proponendo una serie di misure chesez9_1975_mindszenty saranno attuate via via, nel corso degli anni, l’una dopo l’altra: il divieto di effettuare processioni; la chiusura della maggior parte della stampa cattolica; la pubblicizzazione delle scuole religiose; la limitazione all’insegnamento della religione nelle scuole pubbliche; l’adozione di nuovi libri di testo in cui la religione veniva ridicolizzata e minimizzata; la chiusura di ordini e le congregazioni religiose con conseguente dispersione di frati e suore tra la popolazione come dei laici. I comunisti vogliono, però, di più: un accordo con la Chiesa ungherese sul modello sovietico. Ai vescovi viene imposto di riconoscere la posizione di forza illegale del partito comunista, di rinunciare senza opporre resistenza alle scuole ed ai luoghi di educazione, di sottoporre la propria attività culturale allo Stato comunista.

Mindszenty non si piega ed impegna tutti i sacerdoti cattolici in una dura lotta contro le politiche comuniste. Il primate di Ungheria, infatti, sa perfettamente che un qualsiasi accordo con i comunisti porterebbe al totale annientamento della Chiesa nella nazione magiara, proprio come era già successo in Unione Sovietica. I dirigenti del partito lanciano allora una campagna pubblica durissima e velenosissima condotta sulla base dello slogan “Annientiamo il mindszentismo! Da questo dipendono il bene del popolo ungherese e la pace tra la Chiesa e lo Stato!”. Mindzenty, ben consapevole del fatto che l’Ungheria è storicamente una terra sotto la protezione della Santa Vergine, indice per il 1948 un anno mariano che mobilita milioni di ungheresi, i quali partecipano a centinaia di cerimonie liturgiche e processioni in tutto il Paese.

Il Primate

Il Primate

Mindszenty sa bene di essere ormai un bersaglio facile. Sul principale giornale cattolico del Paese, il Magyar Kurir, fa pubblicare, alla fine dell’anno, un articolo in cui si rivolge direttamente al popolo ungherese e che si conclude con queste parole: “Sto qui per Dio, per la Chiesa e per la patria, poiché questo è il dovere che mi ha imposto il servizio storico verso il mio popolo abbandonato nel vasto mondo. Di fronte alle sofferenze della mia gente il mi destino è cosa insignificante. Non getto la colpa sui miei accusatori. Quando qua e là sono costretto a far luce sulla situazione, sono soltanto le grida di dolore, le lacrime e la voce soffocata del mio popolo a parlare. Prego perché venga un mondo di verità e di amore; prego anche per coloro che, secondo le parole del mio Maestro, non sanno quello che si fanno, e perdono loro di tutto cuore.” Il giorno dopo il Natale del 1948 viene arrestato dai comunisti e portato nel famigerato stabile di via Andrassy 60 a Budapest, dove i comunisti avevano imparato dai nazisti della Gestapo a torturare i loro prigionieri. E lì ne torturarono a migliaia.

“Percuoterò il pastore, disperderò il gregge”

Mindszenty capisce subito a cosa andrà incontro e che per lui sarebbe stato imbastito unimages (2) processo dimostrativo, in cui lo avrebbero accusato di atrocità mostruose. Anche per questo, prima dell’arresto aveva lasciato delle disposizioni ai suoi collaboratori in cui aveva scritto in maniera netta che qualsiasi confessione da parte sua o sarebbe stata un falso o una conseguenza delle torture o delle droghe somministrategli. L’accusa per lui: alto tradimento.

Il Pastore intrepido

Il Pastore intrepido

I giorni successivi sono un susseguirsi di umiliazioni, torture, interrogatori. “Mi tolsero la talare e, fra le risa sguaiate dei presenti, anche la biancheria intima. – raccontò il cardinale nelle sue memorie – Poi mi porsero un vestito di foggia orientale, variopinto e molto largo, che mi dava l’aspetto di un burattino”. Gli chiedono di confessare il suo crimine, lui rifiuta. Sprezzante, l’ufficiale che lo interroga gli dice: “Badi bene, qui gli accusati devono fare la confessione che desideriamo noi”. Calci, pugni, colpi sulle piante dei piedi con un manganello, poi sul corpo. Divieto di dormire. Discorsi osceni, urla, grida schiamazzi in sua presenza. Lo costringono a correre nudo sotto i colpi di una frusta. Lo drogano. Continuano a porgergli testi con false confessioni. Mindzenty non cede.

Nella sua prima prigione solo una volta gli consentono di reindossare la sua talare ed è per esporlo al ludibrio. Ciò avviene in occasione della visita del senatore del Partito Comunista Italiano Ottavio Pastore, a Budapest per incontrare Mindszenty e poter poi testimoniare al mondo che il cardinale è ancora vivo. Il 6 febbraio 1949, due giorni dopo la fine del processo contro Mindszenty, l’Unità, organo ufficiale del Pci, pubblica un articolo sprezzante a firma di Pastore, accompagnato da un articolo di fondo a firma di Giancarlo Pajetta, intitolato “Un vinto”, in cui Mindszenty viene pesantemente insultato e preso in giro.

Alla fine, non avendo trovato altro contro di lui, lo accusano di “traffico internazionale di valuta”. I comunisti si comportano

Uno sguardo sul grande freddo dell'Est

Uno sguardo sul grande freddo dell’Est

proprio come i federali statunitensi, che riuscirono ad accusare Al Capone solo di evasione fiscale. L’accusa è risibile: il cardinale avrebbe dato il suo benestare a non cambiare secondo il corso ufficiale i soldi per i poveri ungheresi inviati dai cattolici statunitensi per non far convertire cifre enormi in pochi spiccioli, vista la spaventosa inflazione ungherese. Ovviamente nessuno si era sognato di far notare che quei soldi erano necessari ad acquistare cibi, medicine, coperte per i poveri e che questi servizi li forniva solo la Chiesa cattolica, perché il governo ungherese aveva le casse vuote e l’Unione Sovietica non mandava alcun aiuto. Dopo 39 giorni, infine, Mindzenty firma la sua confessione. Non era più in grado di reggere le botte e viveva spesso in uno stato di confusione e depressione. “Evidentemente ero già diventato in maniera radicale un altro uomo” scrisse poi. Perché, ex post, si potesse capire che aveva firmato perché sotto costrizione, aggiunge alla sua firma “C.F.”. Spiega ai suoi carcerieri che quelle due lettere stavano per “cardinalis foraneus”. Invece il senso vero è “coactus feci”: ho firmato perché costretto.

Sequela Christi, verso il Golgota

Sequela Christi, verso il Golgota

Nel febbraio del 1949 si tiene, per quattro giorni, un processo farsa, in cui il primate di Ungheria viene accusato di essere a capo di una organizzazione che aveva in mente il rovesciamento dello Stato, di aver svolto spionaggio contro l’Ungheria, di aver maneggiato in maniera illegale la valuta estera. Dopo un finto dibattimento senza alcuna garanzia processuale per l’imputato, il cardinale è condannato all’ergastolo. “Lo scopo principale di tutto il giudizio – spiegò poi – è stato quello di sconvolgere la Chiesa cattolica in Ungheria, nella speranza di ottenere ciò a cui accenna la Sacra Scrittura: Percutiam pastorem et dispergentur oves gregis.” Percuoterò il pastore e disperderò il suo gregge.

“Buon per me, che ero nell’afflizione”

Con il primate in carcere la persecuzione anticattolica viene accentuata. Nel 1950 vengono

Le armi del cardinale. "Spuntate" a viste umane. Furono la sua compagnia nella tristezza e nella solitudine del suo Getzemani

Le armi del cardinale. “Spuntate”, a viste umane. Furono la sua compagnia nella tristezza e nella solitudine del suo Getzemani

occupati i conventi e da essi espulsi dodicimila religiosi, molti dei quali vengono deportati; gli ordini e le congregazioni sono sciolte. Nel 1951 il governo ordina la chiusura di sette seminari sui tredici esistenti in Ungheria. Intanto il Paese intero precipita in una gravissima crisi economica.

Negli otto anni seguenti Mindszenty viene spostato in varie prigioni, con differenti livelli di sicurezza. Per lunghissimi periodi non gli è consentito di celebrare la messa e non gli vengono messi a disposizione testi sacri. Tra le vessazioni che subisce, il divieto di inginocchiarsi in cella o le continue interruzioni delle sue preghiere. Gli viene portata carne il venerdì, in modo da non farlo mangiare. Quando, finalmente gli è consentito di tenere in cella con sé l’Eucarestia, passa ore ed ore prostrato in adorazioni e le sue meditazioni sul sacrificio di Cristo durano dalle due ore e mezza alle tre e mezza. Gli danno solo un breviario. “Per molto tempo – raccontò - esso è stato la mia Bibbia, la mia dogmatica, la mia mistica, il mio direttore spirituale”.  Anche nel male riuscì a trovare il bene. “In carcere – scrisse – ci avviciniamo di più anche alla grazia redentrice, nel senso della gratia liberans illustrata da Sant’Agostino: buon per me che ero nell’afflizione (SAL 118, 71)”.

La sua stanza da letto

La sua stanza da letto

Il capo del governo Imre Nagy, intanto, prova a lanciare qualche riforma economica per salvare il Paese dalla miseria, ma i tentativi non funzionano. Il 24 ottobre 1956 un Paese ormai allo stremo si ribella ai sovietici. I comunisti si recano in fretta e furia da Mindszenty, chiedendogli di seguirli “per salvarlo dalla plebaglia che avrebbe potuto assaltare la prigione”. Il primate rifiuta ed i comunisti, senza molto discutere, fuggono. Il 30 ottobre decine di persone entrano nella casa in cui è recluso il cardinale e restano sbigottiti nel vedere che il cardinale è ancora vivo e che sta abbastanza bene. Viene tenuto in fretta e furia un consiglio rivoluzionario che sentenzia che la detenzione del primate è illegale. Un gruppo di militari raggiunge Mindszenty e lo preleva dalla sua prigione, liberandolo.

5686-800Fuori dalla casa in cui era stato rinchiuso in regime di massima sicurezza si crea nel giro di poche ore una folla enorme. “Non potevano credere– scrisse Mindzenty - che io non fossi stato trascinato via dalle unità corazzate russe. Mi toccavano, baciavano i miei abiti, mi pregavano di benedirli. Guidati dal loro pastore giunsero anche i protestanti evangelici, sinceramente contenti, poi la minoranza cattolica e battista: ragazzi, ragazze e vecchi. Mi stavano attorno e non volevano lasciarmi partire.” Dopo poche ore il primate parte alla volta di Budapest, ma deve spesso fermarsi e scendere dall’automobile per salutare i parroci e la popolazione, mentre il suo corteo si ingrossa sempre di più, e si aggiungono ad esso addirittura anche carri armati e mezzi d’assalto. A Budapest, l’ingresso trionfale, dove una moltitudine di persone era accorsa, esultante e piangente, per festeggiare il ritorno del principe primate d’Ungheria nel suo palazzo dopo otto anni.

Nel frattempo, la situazione dei cattolici ungheresi era precipitata. I comunisti avevano preteso di nominare tutte le carichemindszenty (1) ecclesiastiche con effetto retroattivo al 1946 e tutti i vescovi, i superiori religiosi e i vicari generali erano tenuti ad un giuramento allo Stato. Il potere sul clero non veniva più gestito da parte della normale gerarchia cattolica, ma dal Dicastero statale per gli affari ecclesiastici. Tutti i vescovi erano divenuti esecutori del dicastero, che prendeva direttive dal Ministero dell’Interno e dalla Polizia per la sicurezza dello stato. La Chiesa aveva rinunciato, di fatto, ad ogni resistenza passiva, giungendo a chiudere spontaneamente tutti i seminari e le scuole di teologia rimaste. Addirittura, agenti di polizia si erano infiltrati tra i sacerdoti, riuscendo facilmente ad assumere cariche rilevanti come vicari generali e direttori della cancelleria. Questi poliziotti – falsi preti, venivano spesso inviati all’estero dal regime e lì propagandavano false informazioni sui rapporti tra Chiesa e regime comunista.






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Caterina63
00martedì 7 gennaio 2014 11:27




  Quindici anni di esilio nell’ambasciata USA a Budapest

Mindszenty_TimeLa gioia dei cattolici ungheresi e di tutto il popolo, che sperava di poter rialzare la testa, dura solo undici giorni. I carri armati russi invadono Budapest e soffocano nel sangue la rivoluzione anticomunista. Mindszenty, che il 3 novembre aveva tenuto in Parlamento un discorso radiotrasmesso, per non finire nuovamente nelle mani dei sovietici, che stavolta lo avrebbero probabilmente giustiziato, sceglie di rifugiarsi nell’ambasciata statunitense, dove resta senza mai uscire per i successivi quindici anni. Il nuovo gruppo di potere comunista tratta Mindzenty come un ergastolano evaso, ribadendo che la sua condanna era assolutamente valida. Nei giorni seguenti papa Pio XII ricorda più volte la gravità della situazione ungherese nei suoi discorsi.

Il nuovo regime rafforza il controllo sui cattolici attraverso un uso più largo dei “preti

L'esilio e la tristezza

L’esilio e la tristezza

pacifisti”, così chiamati perché avevano sposato la battaglia “per la pace mondiale” lanciata dal governo ufficiale ungherese. I fedeli, invece, li chiamano con disprezzo “vescovi e preti con la barba”. Il loro principale strumento di azione sul territorio è la Fondazione Opus Pacis, parte integrante del consiglio pacifista nazionale. Uno dei primi atti dei vescovi ungheresi dopo la restaurazione del governo comunista è quello di diffondere una nota in cui si afferma che loro “seguono con fiducia gli sforzi del governo rivolti a eliminare gli errori del passato e a riparare le ingiustizie e appoggiano il governo nel suo tentativo di migliorare il benessere del popolo ungherese e di promuovere la pace mondiale.”

A Roma, con Paolo VI, verso il secondo calvario

A Roma, con Paolo VI, verso il secondo calvario

La Santa Sede reagisce duramente, minacciando la scomunica per vescovi e sacerdoti che avessero scelto di esercitare il mandato parlamentare in Ungheria e mette all’indice il giornale ungherese dei “preti pacifisti” chiamato “La parola cattolica”, come precedentemente aveva messo all’indice il giornale “La croce”. Il presidente della conferenza episcopale, Jozsef Grosz, che era stato torturato dai comunisti, spera di difendere la popolazione cattolica, già profondamente vessata, ma con il suo atteggiamento di acquiescenza non fa altro che rafforzare il disegno comunista di rendere l’Ungheria uno Stato ateista.

Dopo la persecuzione comunista quella vaticana: la Ostpolitik di Casaroli

Il dottor sottile (e cinico) della ostpolitik: il futuro segretario di stato Casaroli. Ma eseguì la volontà di Paolo. Una cappa di silenzio forzoso cadde sui testimoni della fede. Ai giornali cattolici fu proibito citare il comunismo e le sue dittature e i crimini contro i cattolici. Se non è complicità questa...

Il dottor sottile (e cinico) della ostpolitik: il futuro segretario di stato Casaroli. Ma eseguì la volontà di Paolo. Una cappa di silenzio forzoso cadde sui testimoni della fede. Ai giornali cattolici fu proibito citare il comunismo e le sue dittature e i crimini contro i cattolici. Se non è complicità questa…

Nel 1962 la Chiesa cattolica lancia la sua ostpolitik cercando uno “scongelamento” delle relazioni con i governi dell’Europa Centrale. Mindzenty, nelle sue memorie, racconta che “quando monsignor Casaroli intraprese trattative con il regime di Kadar per conto del Vaticano, il regime, con i suoi sacerdoti pacifisti e il suo dicastero statale per gli affari ecclesiastici, aveva già ridotto completamente al silenzio la vera chiesa ungherese. Per questo il diplomatico vaticano non ascoltò più la parola del cattolicesimo ungherese e per questo è successo anche che, a mio giudizio, la diplomazia vaticana ha intrapreso trattative senza conoscere a fondo la situazione, trattative che hanno portato solo vantaggi per i comunisti e gravi svantaggi per il cattolicesimo ungherese.” Secondo quanto scrisse Carlo Bo sul Corriere della Sera del 7 maggio 1975, “la battaglia di Mindszenty era finita con l’avvento di Giovanni XXIII. Fu in quel momentoche l’affare Mindszenty cominciò ad apparire come un fatto personale: in parole povere non era più un simbolo, non era più una bandiera.”

Le trattative riguardano anche la possibilità che Mindszenty possa lasciare da uomo libero l’ambasciata statunitense di

La sacra indignazione del Primate per la sorte del suo gregge... condannato all'immolazione silenziosa

La sacra indignazione del Primate per la sorte del suo gregge… condannato all’immolazione silenziosa

Budapest. In ambasciata è ormai un ospite scomodo ed anche il governo americano vuole che se ne vada. Mindszenty si dice d’accordo, a malincuore, a lasciare Budapest e a trasferirsi all’estero, ma pone come condizioni lo scioglimento del movimento dei “preti pacifisti” e il ritorno della libertà di insegnamento della religione in tutta l’Ungheria. La risposta è, ovviamente, negativa. Il cardinale, comunque, ottiene la garanzia che la Santa Sede non lo avrebbe privato dei suoi titoli di arcivescovo di Strigonio e di primate di Ungheria, nonostante la nomina prevista di un amministratore apostolico per la diocesi. Mindszenty ottiene anche che sull’Annuario Pontificio, vicino alla sua carica, la Santa Sede avrebbe continuato a scrivere “impeditum”, come già avveniva dal 1949 e di avere giurisdizione sulla Casa Ungherese di Vienna, dove si sarebbe trasferito. Protesta vivamente quando il legato pontificio gli chiede di non effettuare, all’estero, alcuna dichiarazione che possa turbare le relazioni tra la sede apostolica ed il governo ungherese o sia comunque lesiva di quest’ultimo, nonché di mantenere segrete le sue memorie. Alla fine, convinto dalle pressioni della Santa Sede per conto di papa Paolo VI e da una lettera del presidente statunitense Richard Nixon, che gli spiega che sarebbe stato meglio per tutti se avesse abbandonato l’ambasciata, cede lascia la terra ungherese per non tornarvi mai più.

Andreotti

Andreotti

Giulio Andreotti, in un articolo pubblicato nel 2007 su Trenta Giorni, chiariva che “esigenze politiche e diplomatiche spinsero alla ricerca di una soluzione possibile di questo e di altri casi. I contatti con l’Est, tessuti per conto della Segreteria di Stato da monsignor Agostino Casaroli, compresero anche sondaggi con il governo di Budapest alla ricerca di una soluzione del “caso” che anche agli americani creava delicati problemi. Si lavorò inizialmente all’ipotesi di un trasferimento all’estero del cardinale, a lungo respinta dall’interessato. Solo dopo “fraterne insistenze” di Paolo VI, piegò il capo ritenendo di dover «ubbidire con umiltà, rinunciando al desiderio di finire la vita su suolo ungherese».”





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Caterina63
00martedì 7 gennaio 2014 11:29


  Esilio a Roma. La carezza e il bavaglio di Paolo VI

Roma. Bere sino in fondo al glorioso calice dell'amarezza

Roma. Bere sino in fondo al glorioso calice dell’amarezza

Il primate ungherese giunge in aereo a Roma il 28 settembre 1971 ed entra in Vaticano per incontrare Paolo VI accompagnato da un solenne corteo. “Mi abbracciò, si tolse la croce pettorale, me la mise al collo, mi porse il braccio e mi introdusse nel palazzo”ricordò poi il primate. Mindszenty prende parte un sinodo dei vescovi e qualche giorno dopo gli viene concesso di concelebrare messa alla destra di Paolo VI. Il Papa gli invia doni e lo invita a mangiare con lui più volte. Mindszenty rimane molto colpito da quanto avviene un giorno nella basilica di San Paolo: “Mi si avvicinò un sacerdote, mi prese la mano, la baciò, mi ringraziò per le sofferenze che avevo sopportato per la Chiesa e alla fine mi disse “Sono il cardinale Siri”. 

Non mancarono, però, le amarezze, dovute al comportamento dell’apparatoMind-11 vaticano. L’Osservatore Romano, lo stesso giorno del suo arrivo a Roma, pubblica un articolo in cui si afferma che il trasferimento a Roma di Mindszenty aveva reso più facili i rapporti tra Vaticano ed Ungheria. Appena due settimane dopo la sua partenza da Budapest la Santa Sede toglie la scomunica ai preti pacifisti. Il 23 ottobre il primate decide di partire per Vienna: dopo celebrazione Papa fa allontanare i presenti e gli dice in latino: “Tu sei e rimani il vescovo di Esztergom e primate d’Ungheria. Continua a lavorare e se avrai difficoltà rivolgiti sempre a noi con fiducia” e gli dona il suo mantello cardinalizio.

Il giorno prima Paolo gli disse "Lei sarà sempre il Primate d'Ungheria". Il giorno dopo lo dimise da Primate

Il giorno prima Paolo gli disse “Lei sarà sempre il Primate d’Ungheria”. Il giorno dopo lo dimise da Primate

Mindszenty inizia a girare il mondo per incontrare esuli ungheresi. Il Vaticano si comporta con lui con enorme freddezza egli anni successivi. Rifiuta di approvare un’organizzazione per sostenere gli emigranti ungheresi nel mondo ed anche di assegnare dei vescovi ausiliari a queste comunità. Viene chiesto al primate di non intervenire più in pubblico senza aver prima fatto approvare dalla Santa Sede tutte le sue dichiarazioni ed omelie. Mindszenty risponde piccato che lo avrebbe fatto solo se glielo avesse chiesto Paolo VI, cosa che, ovviamente, non avverrà mai. Il Vaticano non riesce a ridurlo al silenzio, nonostante avesse promesso al regime comunista ungherese che Mindszenty non avrebbe detto nulla di sgradito sul governo. “Pregai il nunzio di comunicare ai competenti organi vaticani – spiegò il cardinale - che in Ungheria regnava ora un opprimente silenzio ti bomba e che io inorridivo al pensiero di dover tacere anche nel mondo libero.”

bishopContravvenendo agli accordi ed alle promessefatte, alla fine del 1973 Paolo VI chiede a Mindszenty di dimettersi da arcivescovo di Strigonio, per dare finalmente alla più importante diocesi di Ungheria un pastore che facesse sentire la sua presenza, dopo venticinque anni. Il primate ancora una volte si oppone ed invia al Pontefice un “lungo rapporto sull’attività nefasta dei preti pacifisti, sul sistema ecclesiastico basato sulla violenza e tutti i risultati negativi causati dalle trattative che il Vaticano stava tenendo da un decennio con i comunisti.” Il cardinale teme che una sua rinuncia avrebbe confuso il popolo, spingendolo a pensare che le sue presunte dimissioni legittimassero, di fatto, il regime. Paolo VI, invece, dichiara vacante la sede arcivescovile di Mindszenty, il quale è costretto a smentire pubblicamente di essersi ritirato in modo volontario, nonostante il Vaticano avesse diffuso la notizia delle sue dimissioni.

mind 4Mindszenty per anni aveva richiestola riabilitazione al regime del suo Paese. Quando lasciò l’Ungheria nel 1971 nella condizione di condannato, fu raggiunto all’estero dalla notizia che i suoi “reati” erano stati amnistiati. Il cardinale scrisse allora una dura lettera al ministro della giustizia, che recitava: “Io respingo tale amnistia, che non ho mai chiesto e che non mi è stata mai concessa per quindici anni, con la seguente motivazione: solo la riabilitazione e nient’altro può riparare l’ingiustizia commessa.” Solo nel 2012 arriverà la riabilitazione politica, morale e giuridica da parte della magistratura magiara.

MJ-a-kápolnában-sch_SEmCardMindszenty-honlapraAl termine di una vita di lotte e di amarezze lenite dalla profondissima fede in Cristo, Mindszenty si spegne a Vienna nel 1975 e viene sepolto nel santuario mariano di Mariazell. Un elogio funebre del cardinale è pronunciato nel corso dell’udienza del mercoledì immediatamente successiva alla dipartita, da Paolo VI, che definisce il primate “singolare figura di sacerdote e di pastore [...]. Ardente nella fede, fiero nei sentimenti, irremovibile in ciò che gli appariva dovere e diritto [...]. La storia [...] saprà dare su di lui un giudizio più pienamente equilibrato e oggettivo, e alla sua figura il posto che gli spetta.” Nel 1991 le sue ceneri sono solennemente trasportate a Strigonio per essere tumulate nella cripta della basilica, dove si trovano tuttora.

Riuscirà mai la Chiesa ad ammettere errori e orrori dell’Ostpolitik?

Nella cattedrale di Westminster

Nella cattedrale di Westminster

“La storia è maestra di vita. È quindi giusto contribuire a far conoscere alle nuove generazioni una pagina dolorosa nella vita dei popoli dell’Europa Orientale, privati dalla loro libertà religiosa e condannati a vivere oltre una cortina che impediva loro ogni contatto con gli altri fratelli del mondo intero”. Queste le parole utilizzate all’inizio del dicembre 2013 dal cardinale Angelo Sodano, decano del collegio cardinalizio, in occasione di un convegno sul tema “La Chiesa nell’Europa dell’Est durante il comunismo: tra i martiri e la resistenza silenziosa”. Sodano si è augurato che “emerga la storia di quei martiri che non sono solo sacerdoti o monaci ma un popolo cristiano che ha sofferto e si continui ad approfondire tale pagine della storia recente, senza timore di dire la verità perché la verità non offende”. Se veramente si cercherà la verità, allora dovrà emergere in maniera forte che la Chiesa cattolica, in tanti casi, come in quello del cardinale Mindszenty, abbandonò o addirittura osteggiò, attraverso l’Ostpolitik vaticana, i suoi campioni della fede. Se ciò è avvenuto in buona fede oppure no, dovrà essere la storia a dirlo.

Finalmente la Pace

Finalmente la Pace

Così, tra quanti esaltano la fierezza indomita di Jozsef Mindszenty e coloro che ne criticano sia l’ostinazione, sia, viceversa,

l’acquiescenza al compromesso dell’esilio, credo debba rivolgersi l’invito a non indugiare nelle polemiche. Preghiamo non per il cardinale Mindszenty, ma il cardinale simbolo della Chiesa perseguitata.” Oggi più che mai è indispensabile seguire l’invito di Giulio Andreotti ed onorare un cardinale vinto, ma alla fine vittorioso.

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