Benedetto XVI: LA VERA MUSICA PER LA MESSA e l'autentico stile Liturgico Cattolico

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Caterina63
00mercoledì 28 gennaio 2009 10:08
inserisco un testo dell'allora card. Ratzinger che invito a leggere integralmente.... [SM=g1740721]

LITURGIA E MUSICA SACRA



Premessa
Tra la liturgia e la musica sin dagli inizi c’è stato un rapporto fraterno. Quando l’uomo loda Dio, la sola parola è insufficiente. La parola rivolta a Dio trascende i limiti del linguaggio umano. Per questo moti­vo tale parola in ogni tempo, proprio in forza della sua natura, ha invo­cato in aiuto la musica, il cantare e la voce del creato nel suono degli strumenti. Infatti, alla lode di Dio non partecipa soltanto l’uomo. La.li­turgia quale servizio di Dio è l’inserirsi in ciò di cui parlano tutte le cose.

Per quanto la liturgia e la musica in forza della loro natura siano strettamente congiunte tra di loro, la loro relazione è sempre stata dif­ficile, soprattutto nei momenti nodali di transizione nella storia e nella cultura. Non v’è perciò da meravigliarsi, che anche oggi sia di nuovo po­sto in discussione il problema di una forma adeguata della musica nel­la celebrazione liturgica. Nelle dispute del Concilio e subito dopo pare­va che si trattasse semplicemente della divergenza tra persone dedite alla prassi pastorale da un lato e musicisti di chiesa dall’altro lato. Que­sti ultimi non volevano lasciarsi coartare da una formalità puramente pastorale, mentre si sforzavano di affermare la dignità intrinseca della musica quale misura di un proprio valore pastorale e liturgico. Si aveva pertanto l’impressione che il conflitto per la massima parte riguardasse unicamente l’ambito dell’uso della musica. Nel frattempo, tuttavia, la spaccatura si fa più profonda.

La seconda ondata della riforma liturgica spinge il problema sino a raggiungere i suoi fondamenti. Si tratta ora della natura dell’azione liturgica in quanto tale, delle sue basi antropologiche e teologiche. Il conflitto che investe la musica sacra è sintomatico e scopre un proble­ma più profondo, e cioè: che cosa sia la liturgia.



1. SUPERARE IL CONCILIO? UNA NUOVA CONCEZIONE DEL­LA LITURGIA


La nuova fase in cui si afferma la volontà di una riforma liturgica considera esplicitamente suo fondamento non più le parole del Concilio Vaticano Il, bensì il suo «spirito». Utilizzo quale testo paradigmatico l’articolo ben informato e coerente, su «Canto e musica nella Chiesa» del Nuovo Dizionario di Liturgia. Qui non si mette affatto in discussio­ne l’alto valore artistico del canto gregoriano o della polifonia classica. E non si tratta neppure di opporre l’una contro l’altra l’attività dell’as­semblea e un’arte di élite. Punto nodale della discussione non è nean­che il rifiuto di un irrigidimento storico che copia soltanto il passato e perciò stesso rimane senza presente e senza futuro. Si tratta piuttosto di una nuova concezione di fondo della liturgia, con cui si vuole supe­rare il Concilio, la cui Costituzione Iiturgica avrebbe racchiuso «due anime» (p. 211 a, cE 212 a).



Gruppo o Chiesa?

Cerchiamo brevemente di conoscere questa concezione nelle sue li­nee maestre. Il punto di partenza della liturgia — così ci viene detto —è il riunirsi di due o tre che stanno insieme nel nome di Cristo (199 a). Questo riferimento alla parola del Signore (Mt 18, 20) di primo acchito sembra innocuo e tradizionale. Ma tale parola acquista una portata ri­voluzionaria per il fatto che la citazione biblica è tolta dal suo contesto e viene fatta risaltare per contrasto sullo sfondo di tutta la tradizione liturgica. Perché i «due o tre» sono messi ora in opposizione nei con­fronti di un’istituzione con ruoli istituzionalizzati e nei confronti di ogni «programma codificato ». Così tale definizione significa quanto segue: non è la Chiesa che precede il gruppo, bensì il gruppo precede la Chiesa. Non la Chiesa nel suo insieme fa da supporto alla liturgia dei singoli gruppi e comunità, bensì il gruppo stesso è il luogo dove di volta in volta nasce la liturgia. La liturgia perciò non si sviluppa neppure par­tendo da un modello comune, da un «rito» (ridotto, in quanto «pro­gramma codificato», all’immagine negativa della mancanza di libertà); la liturgia nasce nel momento e nel luogo concreto grazie alla creatività di quanti sono riuniti. In tale linguaggio sociologico il sacramento del sacerdozio viene considerato un ruolo istituzionalizzato che si è procu­rato un monopolio (206 w) e, grazie all’istituzione (cioè alla Chiesa) ha dissolto l’unità primitiva e la comunitarietà dei gruppi. In tale contesto la musica, così ci viene detto, come pure il latino, sono divenuti un lin­guaggio da iniziati, «la lingua di un’altra Chiesa, cioè dell’istituzione e del suo clero».



Due Chiese?

L’aver isolato il passo di Mt 18, 20 dall’intera tradizione biblica ed ecclesiale della preghiera comune della Chiesa, come si vede, mostra ora gravi conseguenze: a partire dalla promessa che il Signore ha fatto a quanti pregano in ogni luogo, si è fatta una dogmatizzazione dei gruppi autonomi. La comunanza della preghiera è stata esasperata sino a divenire un appiattimento che considera lo sviluppo del ministero sacerdo­tale il sorgere di un’altra Chiesa. Da questo punto di vista ogni propo­sta che viene dalla Chiesa universale è giudicata una catena contro cui bisogna insorgere per amore della novità e libertà della celebrazione li­turgica. Non l’ubbidienza di fronte a un tutto, bensì la creatività del mo­mento diviene la forma determinante.

Mistificazioni?

E’ evidente che insieme all’adozione di un linguaggio sociologico si è avuta pure l’assunzione di valori: la gerarchia di valori che ha dato forma al linguaggio sociologico costruisce una nuova visione della sto­ria e del presente. Così alcuni concetti consueti (per di più anche con­ciliari!) — come «il grande patrimonio della musica sacra ». «l’organo re degli strumenti », «l’universalità del canto gregoriano» — sono bol­lati quali «mistificazioni» usate allo scopo di «conservare una determi­nata forma di potere e di visione ideologica» (p 200 a).

Un certo modo di amministrare il potere (così ci viene detto) si sen­te minacciato dai processi di trasformazione culturali e «reagisce, fino a mascherare come amore alla tradizione il desiderio di autoconserva­zione» (p 205 n). Il canto gregoriano e Palestrina sarebbero i «numi tu­telari» di un antico repertorio mitizzato (210 b), elementi di una «con­tro-cultura cattolica» che si appoggia ad essi Quali «archetipi remitiz­zati e supersacralizzati” (208 a), come d’altronde alla liturgia storica sta a cuore più la rappresentazione di una burocrazia del culto che non l’azione corale di un popolo (206 a). Il contenuto del Motu proorio di Pio X sulla musica sacra viene infine considerato «una ideologia cul­turalmente miope e teologicamente fumosa di una «musica sacra» (211 a). Qui, evidentemente, non è più soltanto il sociologismo all’opera, ma siamo di fronte a una totale separazione del Nuovo Testamento dal­la storia della Chiesa, che si unisce a una teoria della decadenza caratte­ristica di molte situazioni illuministiche: le realtà nel loro stato puro si incontrano soltanto negli inizi primordiali gesuanici; tutto il resto della storia appare una «vecchia avventura musicale» con «esperienze disorientate ed impazzite», che ora deve «essere chiusa», per riprende­re finalmente la via giusta (212 a).

Materialismo

Ma come si configura questa realtà nuova e migliore? I principi ba­se sono già stati sfiorati in precedenza; ora dobbiamo prestare atten­zione alla loro concretizzazione particolare. Sono formulati in modo chiaro due valori di fondo. Il «valore primario» di una liturgia rinno­vata, come ci è detto, sarebbe «l’agire delle persone (tutte) in pienez­za ed autenticità» (211 b). Di conseguenza la musica di Chiesa in primo luogo significherebbe che il «popolo di Dio” rappresenta la sua iden­tità cantando. Con ciò è chiamato in causa anche già il secondo criterio di valore che qui è attivo: la musica risulta essere la forza che opera la coesione del gruppo (217 xv). I canti familiari a una comunità ne diven­tano, per così dire, il suo distintivo. Da queste premesse scaturiscono le categorie principali della strutturazione musicale della liturgia: il pro­getto, il programma, l’animazione, la regia. Più importante del che cosa (così ci è detto) sarebbe il come (217 w). Essere in grado di celebrare sarebbe soprattutto «essere in grado di fare ». La musica dovrebbe so­prattutto essere «fatta »...

Per non essere ingiusto, devo aggiungere che si mostra tuttavia nel­l’articolo in questione comprensione per le diverse situazioni culturali e che rimane anche dello spazio aperto per l’assunzione del patrimonio storico. E soprattutto è sottolineato il carattere pasquale della liturgia cristiana il cui canto non soltanto rappresenta l’identità del popolo di Dio, ma dovrebbe rendere anche conto della speranza e annunciare a tutti il volto del Padre di Gesù Cristo.

Errata interpretazione del Concilio

Permangono così elementi di continuità nella grossa rottura: essi permettono il dialogo e infondono speranza che si possa ritrovare l’unità nella comprensione basilare della liturgia che tuttavia minaccia di sfug­gire, quando si fa derivare la liturgia dal gruppo invece che dalla Chie­sa — non soltanto sul piano teoretico, bensì nella prassi liturgica con­creta. Non mi dilungherei tanto su questo testo pubblicato in un dizio­nario prestigioso, se pensassi che tali idee siano da attribuire unicamente ad alcuni singoli teorici. Ancorché sia fuori dubbio che essi non si pos­sono appoggiare a nessun testo del Vaticano II. in alcuni uffici e orga­ni liturgici si è consolidata l’opinione che lo spirito del Concilio orienta in tale direzione. Un’opinione fin troppo diffusa suggerisce oggi le con­cezioni or ora esposte che, cioè, le categorie proprie della comprensione conciliare della liturgia siano appunto la cosiddetta creatività, l’agire di tutti i presenti e il riferimento a un gruppo di persone che si conoscono e interpellano a vicenda. Non solo giovani preti, ma talvolta anche ve­scovi hanno la sensazione di non essere fedeli al Concilio, se pregano tutto così come sta nel Messale. Deve esserci almeno una formula «crea­tiva», per banale che sia. E il saluto «civile» dei presenti, possibilmen­te anche i cordiali saluti al congedo, sono già divenuti parti d’obbligo dell’azione sacra, cui quasi nessuno osa sottrarsi.




2. IL FONDAMENTO FILOSOFICO DEL CONCETTO E LA SUA MESSA IN QUESTIONE


Con tutto ciò non si è tuttavia ancora sfiorato il nocciolo del pro­blema, della mutazione cioè di valore. Tutto quanto si è detto deriva dal­l’aver preposto il gruppo alla Chiesa. Ma perché mai è avvenuto ciò? Il motivo sta nel fatto che si è sussunta la Chiesa nel concetto generico di «istituzione» e che il termine «istituzione» nel tipo di sociologia qui adottato, reca in sé una qualità negativa. Essa incarna il potere e il po­tere è il contrario della libertà. Dato che la fede (la sequela di Gesù) è concepita quale valore positivo, deve stare dalla parte della libertà e per sua natura deve quindi essere anche anti-istituzionale. Di conseguenza anche la liturgia non può essere un sostegno o una parte dell’istitu­zione; deve invece costituire una forza contrastante che aiuti a rovescia­re i potenti dal trono. La speranza pasquale, di cui la liturgia deve da­re testimonianza, sviluppandosi da questo punto di partenza può dive­nire molto terrena. Essa diviene speranza nel superamento delle istitu­zioni e diventa pure mezzo di lotta contro il potere. Colui che conosce la Missa Nicaraguensis anche per averne soltanto letto i testi, può farsi un’idea di questo slittamento della speranza e del realismo che la litur­gia acquisisce qui in quanto strumento di una promessa militante. Si può anche vedere quale significato e importanza si attribuisce alla musica nella nuova concezione. La forza d’urto dei canti rivoluzionari comunica un entusiasmo e una convinzione che non potrebbero derivare da una liturgia semplicemente recitata. Qui non vi è più nessuna opposizione alla musica liturgica. Essa ha ottenuto un nuovo ruolo insostituibile nel risvegliare le energie irrazionali e lo slancio comunitario cui tutto tende. Ma parimenti la musica è formazione delle coscienze, perché la parola cantata si comunica in modo progressivo e molto più efficace allo spiri­to che non la parola letta o solo pensata. Del resto, nel cammino che por­ta alle liturgie di gruppo intenzionalmente si supera il limite della comunità locale: grazie alla forma liturgica e alla sua musica si costituisce una nuova solidarietà, per mezzo della quale deve formarsi un nuovo popolo, che si autodefinisce popolo di Dio, mentre di fatto per Dio in­tende se stesso e le energie storiche, che si sono sviluppate in sé.



Liturgia e libertà

Ritorniamo ancora all’analisi dei valori che sono diventati determi­nanti nella nuova coscienza liturgica. Si tratta da un lato della qualità negativa del concetto di istituzione e della considerazione della Chiesa esclusivamente sotto questo aspetto sociologico, per di più non nell’ot­tica di una sociologia empirica, bensì da un punto di vista che deriva dai cosiddetti maestri del sospetto. Si vede che hanno compiuto la loro opera in modo molto efficace. Hanno infatti raggiunto una determina­zione delle coscienze che è attiva anche là dove non si sa nulla di que­sta origine. Il sospetto d’altronde non avrebbe potuto avere una tale for­za incendiaria, se non fosse accompagnato da una promessa, il cui fa­scino è quasi inevitabile: dall’idea, cioè, della libertà quale diritto au­tentico della dignità dell’uomo. Sotto questo aspetto il nocciolo della discussione deve essere la domanda: Che cosa è il vero concetto della libertà? Con ciò la disputa sulla liturgia è ricondotta al suo punto essen­ziale, poiché nella liturgia, infatti, si tratta della presenza della salvezza, dell’adito alla vera libertà. Nell’aver messo in luce il nocciolo della que­stione sta senza dubbio l’elemento positivo della nuova disputa.



Liturgia senza la Chiesa?

Contemporaneamente si è manifestato ciò che oggi costituisce il ve­ro disagio dei cristiani cattolici. Se la Chiesa ora appare soltanto come istituzione, come detentrice del potere e perciò come controparte della libertà, come impedimento alla salvezza, allora la fede contraddice se stessa; perché da un lato non può fare a meno della Chiesa, ma dall’al­tro è schierata fondamentalmente contro di essa. Ciò costituisce anche il paradosso davvero tragico di questo orientamento della riforma li­turgica, perché la liturgia senza la Chiesa è in sé una contraddizione. Là ove tutti agiscono affinché tutti diventino soggetto, svanisce — con la Chiesa soggetto comune — anche il vero «attore» della liturgia. Si dimentica, infatti, che essa dovrebbe essere «Opus Dei», in cui Egli stesso agisce per primo e in cui noi, proprio per mezzo della sua azione, siamo redenti. Dove il gruppo celebra se stesso, celebra in realtà un nulla, perché il gruppo non è un motivo per celebrare. Ed è per ciò che l’agire di tutti produce noia: non avviene in realtà nulla, se rimane as­sente Colui, che tutto il mondo attende. Il. passaggio ad intenti più con­creti, come si riflettono nella Missa Nicaraguensis, è così soltanto logico.



Morti seppelliscono altri morti

I sostenitori di questo modo di pensare devono perciò essere interrogati con ogni franchezza: E’ la Chiesa davvero soltanto istituzione, bu­rocrazia del culto, apparato di potere? E’ il ministero sacerdotale sol­tanto monopolizzazione di privilegi sacrali? Se non si riesce a superare queste concezioni anche sul piano affettivo e a vedere col cuore la Chie­sa in un altro modo, la liturgia allora non sarà rinnovata, bensì morti seppelliscono altri morti, e definiscono ciò riforma.


Riscoprire la Chiesa

Allora, naturalmente, non c’è neanche più la musica da Chiesa. An­zi, di diritto non si può neanche più parlare di liturgia, dato che essa presuppone la Chiesa: ciò che rimane sono rituali di gruppo che si ser­vono più o meno abilmente di mezzi espressivi musicali. Se la liturgia deve sopravvivere o persin essere rinnovata, è di necessità elementare che la Chiesa sia riscoperta nuovamente. E aggiungo: Se l’alienazione dell’uomo deve essere superata, se egli deve ritrovare la sua identità, è indispensabile che ritrovi la Chiesa. Essa, infatti, non è una istituzione misantropica, bensì quel nuovo Noi in cui finalmente l’Io può acquisire la sua base e la sua dimora.



Cristo e la Chiesa

Sarebbe benefico rileggere in questo contesto con molta attenzione il libretto con cui Romano Guardini, il grande pioniere del rinnovamen­to liturgico, ha concluso la sua opera letteraria nell’ultimo anno conci­liare. Egli stesso sottolinea di aver scritto questo libro preoccupato dell’amore per la Chiesa, della quale conosceva benissimo la condizione umana e i suoi rischi. Ma egli aveva imparato a scoprire in quella umanità lo scandalo dell’incarnazione di Dio: aveva imparato a vedere in essa la presenza del Signore che ha reso la Chiesa suo corpo; Soltanto se così è, esiste una contemporaneità di Gesù Cristo con noi. E soltanto se c’è questa, esiste una liturgia reale che non è soltanto un ricordare il mistero pasquale, bensì è la sua presenza vera. E ancora, soltanto se così è, la liturgia è partecipazione al dialogo trinitario tra Padre, Figlio e Spirito Santo. Soltanto in questo modo la liturgia non è il nostro «fa­re», bensì opus Dei, l’agire di Dio su di noi e in noi. Perciò Guardini ha sottolineato espressamente che nella liturgia non importa fare qualcosa bensì essere. Pensare che l’agire di tutti sia il valore centrale della liturgia è il contrario più radicale che si possa immaginare alla concezione di Guardini della liturgia. In verità, l’agire di tutti non sol­tanto non è il valore fondamentale della liturgia, ma come tale non èaffatto un valore.

Le tre dimensioni della Liturgia

Mi astengo dall’approfondire ulteriormente questi problemi; dob­biamo concentrarci allo scopo di trovare il punto di partenza e la nor­ma per una giusta unione di liturgia e musica. Infatti, anche da questo punto di vista, è di grande portata la constatazione che il vero soggetto della liturgia è la Chiesa e, più precisamente, la communio sanctorum di tutti i luoghi e di tutti i tempi. Ne risulta non soltanto — come Guar­dini nel suo scritto giovanile «Liturgische Bildung» ha mostrato in mo­do particolareggiato — l’indisponibilità della liturgia nei confronti del­l’arbitrio del gruppo e del singolo (anche del clero e degli specialisti), insomma ciò che Guardini chiamava la sua oggettività e la sua positi­vità. Ne risultano soprattutto anche le tre dimensioni ontologiche in cui essa vive: il cosmo, la storia e il mistero. Il richiamo alla storia comprende uno sviluppo, cioè l’appartenenza a qualcosa di vitale, che ha un inizio, il quale continua a operare, rimane presente senza essere conchiuso, e vive nella misura in cui si sviluppa ulteriormente. Qualco­sa si atrofizza, qualcosa viene dimenticato e ritorna in seguito sotto nuova forma, sempre però lo sviluppo significa partecipazione a un ini­zio aperto in avanti. Con questo abbiamo già toccato una seconda ca­tegoria che, messa in relazione col cosmo, acquisisce la sua importanza specifica: la liturgia compresa in tale modo viene nella forma fonda­mentale della partecipazione. Nessuno è il suo primo e unico creatore, per ognuno essa è partecipazione ad una realtà più ampia, che lo supera, ma ognuno è altrettanto anche un «attore», proprio perché è ri­cettore. Il riferimento al mistero, infine, significa che l’inizio dell’avve­nimento liturgico non sta mai in noi stessi. E’ risposta a una iniziativa dall’alto, a un appello e ad un atto d’amore che è mistero. I problemi esistono per essere chiariti; il mistero invece non si dischiude alla chia­rificazione, bensì soltanto quando lo si accetta nel Sì, che, sulla trac­cia della Bibbia, possiamo tranquillamente chiamare ubbidienza, an­che oggi.



Creatività assurda e falsa

Con ciò siamo giunti ad un punto di grande importanza per il col­legamento con il fattore artistico. La liturgia di gruppo, infatti, non è cosmica in quanto vive appunto dall’autonomia del gruppo. Non ha sto­ria, ma è caratterizzata proprio dall’emancipazione dalla storia e dal fare da sé; anche se si lavora con scenari storici. Non conosce neppure il mistero, perché in essa tutto viene chiarito e deve essere chiarito. Per­ciò anche lo sviluppo e la partecipazione le sono altrettanto estranee quanto l’ubbidienza, cui si dischiude un senso che è più grande di quan­to può essere spiegato.

Al posto di tutto ciò si colloca ora la creatività in cui l’autonomia dell’emancipato tenta addirittura di confermarsi. Una tale creatività che vorrebbe essere la messa in atto di autonomia ed emancipazione, proprio per questo contrasta nettamente con ogni partecipazione. I suoi segni distintivi sono l’arbitrio quale forma necessaria di rifiuto di ogni forma o norma esistente: l’irripetibilità, perché la ripetizione sarebbe già dipendenza; l’artificialità, perché deve ben trattarsi di pura creazione dell’uomo. Così però diviene manifesto che la creatività umana, che non vuole essere né ricevere né partecipare, nella sua essenza è assurda e falsa, perché l’uomo unicamente ricevendo e partecipando può essere se stesso. Tale creatività è fuga dalla conditio umana e perciò falsità. Per questo motivo inizia la decadenza della cultura là dove, con la perdita fede in Dio, deve essere contestata anche una ragionevolezza che ci precede, inerente dall’essere.



Conseguenze [SM=g1740730]

Riassumiamo quanto abbiamo finora acquisito, per poter poi tirare le conseguenze per il punto di partenza e per la forma fondamentale del­la musica da Chiesa. Si è visto che il primato del gruppo viene da una comprensione della Chiesa quale istituzione, basata su una idea di libertà ch­e non si presta ad essere collegata con l’idea e con la realtà dell’isti­tuzione e che non è più in grado di percepire la dimensione del mistero nella realtà della Chiesa. La libertà viene compresa a partire dalle idee guida di autonomia e di emancipazione. E si concretizza nell’idea della creatività, che su questo sfondo si pone in un contrasto netto con quel­la oggettività e positività che sono essenziali della liturgia ecclesiale. Il gruppo deve ogni volta inventarsi ex novo, soltanto allora è libero. Abbiam­o pure visto che a ciò è radicalmente opposta la liturgia, che merita ­questo nome. Essa sta contro l’arbitrio astorico, che non conosce alcuno sviluppo, camminando perciò nel vuoto; sta contro una irripetibi­lità che è anche esclusivismo e perdita di comunicazione al di là di ogni raggruppamento; non sta contro la tecnologia, bensì contro l’artificiosi­tà in cui l’uomo si crea il suo contro-mondo perdendo di vista e dal cuo­re il creato di Dio. I contrasti sono chiari; nel suo punto di partenza è anche chiara la motivazione intrinseca del modo di pensare del gruppo, dettato da un’idea di libertà compresa in modo autonomistico. Ora pe­rò dobbiamo interrogarci positivamente circa la concezione antropolo­gica su cui si basa la liturgia nel senso della fede della Chiesa.





3. IL MODELLO ANTROPOLOGICO DELLA LITURGIA ECCLE­SIALE


Due parole della Scrittura si presentano quali chiavi per rispondere alla nostra domanda. Paolo ha coniato il termine Loghiché latreia (Rom 12, 1), che si può difficilmente rendere in una delle nostre lingue moder­ne perché vi manca un equivalente reale del termine Logos. «Servizio liturgico determinato dallo Spirito» potremmo dire, rimandando pure alle parole di Gesù relative all’adorazione in Spirito e verità (Gv 4, 23). Ma si potrebbe anche tradurre «venerazione di Dio plasmata dalla Pa­rola», e in tal caso è naturale che il termine «Parola» nella sua accezione ­biblica (e anche del mondo greco) è più del semplice linguaggio: è una realtà creatrice. E tuttavia è anche più di una semplice idea e di mero spirito: è lo Spirito che si esprime, che si comunica. Da que­sta realtà di fondo in ogni epoca sono stati derivati, quali principi prelimina­ri, il riferimento alla Parola, la razionalità, la comprensibilità e la sobrietà della liturgia cristiana e della musica liturgica. Sarebbe un’interpretazione restrittiva e falsa, se si volesse comprendere con ciò un rigido riferimento al testo di ogni musica liturgica e se si volesse dichia­rare la comprensibilità del testo quale suo presupposto generale. La Pa­rola, in senso biblico, è infatti più di un «testo” e la comprensione è più ampia e profonda della banale comprensibilità di quanto uno vede subito con chiarezza, di quanto si può sistemare forzatamente nella ra­zionalità più generica.

Giusto è però che la musica che serve l’adorazione «in spirito e verità» non può essere estasi ritmica, non suggestione sensuale o stor­dimento, non sentimentalismo soggettivo, non intrattenimento super­ficiale, bensì è associata a un annuncio, a un’asserzione spirituale e nel senso più nobile ragionevole. Con altre parole: è dunque giusto che dal suo intimo la musica deve fondamentalmente corrispondere a questa «Parola», anzi, deve mettersi al suo servizio.



Incarnazione della Parola

Con ciò siamo però già condotti ad un altro testo biblico, quello fondamentale per il problema del culto. Questo testo ci dice più preci­samente che cosa significa la «parola” e quale rapporto abbia con noi. Alludo al passo del prologo giovanneo: «E il verbo si fece carne e ven­ne ad abitare in mezzo a noi e noi vedemmo la sua gloria» (Gv 1, 14). Parlando della «Parola» a cui si riferisce il servizio liturgico cristiano non si tratta in primo luogo di un testo, ma di una realtà viva: di un Dio, che è senso che si comunica e che si comunica diventando uomo egli stesso. Questa incarnazione è ora tenda sacra, punto di riferimento di ogni culto, che è un guardare la gloria di Dio e dargli onore. Queste asserzioni del prologo di Giovanni non sono però ancora tutto. Esse so­no state malintese se lette disgiunte dai discorsi di commiato in cui Ge­sù dice ai suoi: Io vado e ritornerò da voi. Se vado, di nuovo vengo. E’ bene che io me ne vada, perché se non me ne vado, non verrà a voi il consolatore (Gv 14, 2 s; 14, 18 s; 16, 5 ss ecc.). L’incarnazione è soltanto la prima parte del movimento. Essa acquista senso e diventa definitiva soltanto sulla croce e nella resurrezione: dalla croce il Signore attira tut­to a sé e porta la carne, cioè l’uomo, e tutto il mondo creato nell’eter­nità di Dio.



La Parola si fa musica

A questa traiettoria è sottomessa la liturgia e questo movimento è, per così dire, il testo fondamentale a cui si riferisce ogni musica Iiturgica, quale sua misura. La musica liturgica è una conseguenza risultan­te dall’esigenza e dalla dinamica dell’incarnazione della Parola, perché questa significa che anche tra di noi la Parola non può essere semplice parlare. Il modo centrale con cui l’incarnazione continua ad operare so­no in primo luogo certamente gli stessi segni sacramentali. Ma essi ven­gono a mancare di un contesto vitale, se non sono immersi ina una liturgia che nella sua totalità segue questa espansione della Parola nella corporalità e nella sfera di tutti i nostri sensi. Da qui viene, a differenza dai tipi di culto giudaico ed islamico, il diritto, anzi, la necessità di usare delle immagini. E da qui viene anche la necessità di chiamare in causa quelle sfere più profonde del comprendere e del rispondere che si dischiudono nella musica. La fede che diventa musica è una parte del processo dell’incarnazione della Parola. Ma questo divenire musica è contemporaneamente in modo del tutto unico abbinato a quella svolta interiore dell’evento dell’incarnazione, cui poc’anzi cercavo di accenna­re: sulla croce e nella risurrezione, l’incarnazione della Parola diviene carne fattasi Parola. Ambedue si compenetrano. L’incarnazione non vie­ne ritratta, diventa definitiva soltanto nel momento in cui il movi­mento, per così dire, si inverte: La carne stessa viene «fatta logos», ma proprio questo divenir Parola della carne crea una nuova unità di tutta la realtà, cui Dio evidentemente teneva talmente da pagarla con la cro­ce del Figlio. Il divenir musica della Parola è da un lato incarnazione, un trarre a sé forze prerazionali e metarazionali, che vengono anche rese sensibili, il trarre a sé il suono nascosto del creato, lo scoprire il can­to che riposa sul fondo delle cose. Ma così questo stesso divenire mu­sica è anche già la svolta nel movimento: non è soltanto incarnazione della Parola, ma nello stesso tempo spiritualizzazione della carne. Il le­gno e il metallo diventano suono, l’inconscio e l’insoluto diviene sonorità ordinata piena di significato. Si alternano una corporeizzazione che è spiritualizzazione e una spiritualizzazione che è corporeizzazione. La corporeizzazione cristiana è sempre anche spiritualizzazione e la spiri­tualizzazione cristiana è corporeizzazione che penetra nel corpo del logos incarnato.




4. LE CONSEGUENZE PER LA MUSICA LITURGICA [SM=g1740733]


a) Considerazioni fondamentali


In quanto nella musica avviene questa coincidenza dei due movi­menti, essa serve in misura ottimale e in maniera insostituibile a quel­l’esodo interiore che la liturgia vuole sempre essere e divenire. Ciò pe­rò significa che la conformità della musica liturgica si misura in base alla sua corrispondenza intrinseca a questa forma-base antropologica e teologica. Una tale asserzione a tutta prima sembra essere ben lonta­na dalla concreta realtà musicale, ma diventa concreta immediatamente se prestiamo attenzione ai diversi modelli di musica cultuale cui prima ho già brevemente accennato. Pensiamo un momento al tipo di religio­ne dionisiaca e alla sua musica che Platone ha esaminato nell’ottica del­la sua religione e filosofia. In non poche forme religiose la musica è ab­binata all’ebbrezza, all’estasi. Il superamento del limite della condizione umana cui è indirizzata la fame dell’infinito insita nell’uomo, deve es­sere raggiunta per mezzo di frenesia sacra, di delirio del ritmo e degli strumenti. Una musica simile abbatte le barriere dell’individualità e del­la personalità; l’uomo si libera così dal peso della coscienza. La musi­ca diviene estasi, liberazione dall’Io, unificazione coll’universo.

Oggi sperimentiamo il ritorno profanizzato di questo modello nella musica Rock e Pop, i cui festivals sono un anticulto nella stessa dire­zione — smania di distruzione, abolizione delle barriere del quotidiano e illusione di redenzione nella liberazione dall’Io, nell’estasi furiosa del rumore e della massa. Si tratta di pratiche redentive simili alla droga nella loro forma di redenzione e fondamentalmente opposte alla conce­zione di redenzione della fede cristiana. Di conseguenza perciò dilagano oggi sempre di più, in questo ambito, culti e musiche satanistiche il cui potere pericoloso, in quanto volutamente tendente alla distruzione e al disfacimento della persona, non è preso ancora abbastanza sul serio. La disputa che Platone ha condotto tra la musica dionisiaca e quella apolli­nea non è la nostra, poiché Apollo non è Cristo. Ma la questione che egli ha posto ci tocca molto da vicino. In una forma che la generazione a noi precedente non poteva neppure immaginare la musica è diventata oggi il veicolo determinante di una controreligione e pertanto il palco­scenico della divisione degli spiriti. Cercando la salvezza mediante la li­berazione dalla personalità e dalla sua responsabilità, la musica Rock da un lato si inserisce perfettamente nelle idee di libertà anarchiche che oggi in occidente dominano più che non in oriente; ma proprio per que­sto si oppone radicalmente alla concezione cristiana della redenzione e della libertà, è anzi la sua perfetta contraddizione. Perciò non per mo­tivi estetici, non per ostinazione restaurativa, non per immobilismo sto­rico, bensì per motivi antropologici di fondo, questo tipo di musica de­ve essere esclusa dalla Chiesa.

Potremmo concretizzare ulteriormente la nostra questione, se con­tinuassimo ad analizzare la base antropologica di vari tipi di musica.

Abbiamo della musica d’agitazione che anima l’uomo in vista di vari fi­ni collettivi. Esiste della musica sensuale, che introduce l’uomo nella sfera erotica oppure tende in altra maniera essenzialmente a sensazioni di piacere sensibili. Esiste della semplice musica leggera che non vuole dire nulla, bensì rompere soltanto il peso del silenzio. Esiste della mu­sica razionalistica in cui i suoni servono soltanto a delle costruzioni ra­zionali, ma non avviene una penetrazione reale dello spirito e dei sensi. Parecchi canti inconsistenti su testi catechetici, parecchi canti moderni costruiti in commissioni, sarebbero probabilmente da classificare in questo settore.

La musica invece adeguata alla liturgia di Colui che si è incarnato ed è stato elevato sulla croce, vive in forza di un’altra sintesi molto più grande e ampia di spirito, intuizione e suono. Si può dire che la musica occidentale dal canto gregoriano attraverso la musica delle cattedrali e la grande polifonia, la musica del rinascimento e del barocco fino a Bruckner e oltre proviene dalla ricchezza intrinseca di questa sintesi e l’ha sviluppata in un grande numero di possibilità. Questa grandezza esiste soltanto qui, perché poteva nascere soltanto dal fondamento antropologico che collegava elementi spirituali e profani in un’ultima unità umana. Essa si dissolve nella misura in cui svanisce tale antropologia. La grandezza di questa musica rappresenta per me la verifica più immediata e più evidente dell’immagine cristiana dell’uomo e ella concezione cristiana della redenzione, che la storia ci offre. Colui he da essa è realmente colpito, sa in qualche modo, dal suo intimo, che la fede è vera, pur dovendo fare ancora molti passi per completare questa intuizione a livello razionale e volitivo.

Ciò significa che la musica liturgica della Chiesa deve soggiacere a quell’integrazione dell’essere umano, che ci si presenta nella realtà di fede dell’incarnazione. Questa redenzione richiede più fatica che non quel­la dell’ebrezza. Ma questa fatica è lo sforzo della verità stessa. Da un lato deve integrare i sensi nell’intimo dello spirito, deve corrispondere all’impulso del Sursum corda. Non vuole, tuttavia, la pura spiritualizza­zione, bensì l’integrazione di sensi e spirito, di modo che ambedue insie­me diventino la persona. Lo spirito non si avvilisce ricevendo in sé i sen­si, bensì soltanto questa unione gli apporta tutta la ricchezza del crea­to. E i sensi non vengono privati della loro realtà, se vi penetra lo spi­rito, bensì soltanto in questo modo possono partecipare alla sua di­mensione di infinito. Ogni piacere sensuale è strettamente limitato e, in ultima analisi, non suscettibile di accrescimento, perché l’atto dei sensi non può oltrepassare una determinata misura. Colui che da esso si aspetta la redenzione, viene deluso, «frustrato” — come si direbbe oggi —. Ma essendo integrati nello spirito, i sensi acquistano una nuova profondità e penetrano nell’infinito dell’avventura spirituale. Là solo es­si si realizzano totalmente. Ciò però presuppone che anche lo spirito non rimanga chiuso. La musica della fede cerca nel Sursurn corda l’in­tegrazione dell’uomo, ma non trova questa integrazione in se stessa, bensì soltanto nell’autosuperamento, nell’intimo della Parola incarnata. La musica sacrale, ancorata in questa struttura di movimento, diventa purificazione dell’uomo, la sua ascensione. Non dobbiamo però dimen­ticare che questa musica non è l’opera di un momento, bensì partecipa­zione a una storia e suppone la comunione dal singolo individuo con le intuizioni fondamentali di questa storia. Così si esprime proprio in es­sa anche l’ingresso nella storia della fede, l’essere tutti membra del cor­po di Cristo. Dietro di sé lascia gioia, una modalità più alta di estasi, che non cancella la persona, bensì la unisce e nello stesso tempo la libera. Ci fa presentire ciò che è la libertà, che non distrugge, bensì rac­coglie e purifica.



b) Rilievi sulla situazione attuale


Al musico ora si presenta naturalmente un problema: Come si ot­tiene questo? In fondo, le grandi opere della musica sacra possono sem­pre soltanto essere donate, perché vi è in gioco quel superamento di se stessi di cui l’uomo da solo non è capace, mentre il delirio dei sensi, grazie ai noti meccanismi dell’ebbrezza, si può produrre. Il fare finisce dove inizia ciò che è veramente grande. E’ questa linea di demarcazio­ne che per prima dobbiamo vedere e riconoscere. Pertanto all’inizio del­la grande musica sacrale sta necessariamente il tremore, l’accettazione, l’umiltà che è disposta a servire nella partecipazione a ciò che di grande è già stato. Soltanto colui che almeno fondamentalmente vive in base alla struttura interiore di questa immagine di uomo, è in grado di crea­re anche la musica ad essa pertinente.

La Chiesa ha dato altre due indicazioni. La musica liturgica deve, nel suo carattere intimo, corrispondere alle esigenze dei grandi testi li­turgici: Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus, Agnus Dei. Ciò non vuoi dire che debba essere soltanto musica per un testo; già l’ho detto. Ma essa tro­va nell’orientamento interno di questi testi una indicazione per la sua propria espressione. La seconda indicazione è il rimando al canto gre­goriano e a Palestrina. Questo rimando non significa però che tutta la musica della Chiesa debba essere imitazione di questa musica. Su que­sto punto, di fatto, vi sono state interpretazioni anguste nel rinnova­mento della musica sacra nel secolo scorso, e anche nei documenti pon­tifici basati su di esso. Interpretando in modo giusto, si vuole così sem­plicemente dire che sono dati degli esempi che possono servire da orien­tamento. Non si può però stabilire in precedenza ciò che può nascere dall’assimilazione creativa di un tale orientamento.

Rimane ancora aperta questa domanda: possiamo, parlando uma­namente, attenderci in questo campo ancora nuove possibilità creative? E in che modo ciò potrà avvenire? La risposta alla prima domanda è facile; cioè se questa immagine dell’uomo è inesauribile, al contrario di quell’altra, essa apre sempre delle nuove possibilità, anche all’espres­sione artistica, e ciò tanto più quanto più vivamente determina lo spi­rito di un’epoca.

Ma proprio qui sta la difficoltà per la seconda questione. Nel nostro tempo la fede ha perduto molta della sua capacità di dare un’impronta alla realtà della vita pubblica. Come potrà essere creativa? Non è stata emarginata dappertutto come semplice sottocultura? Non di meno oc­corre dire che, almeno a quanto sembra, in Africa, in Asia e nell’Ame­rica Latina ci troviamo davanti a una nuova fioritura della fede, da cui potrebbero anche scaturire nuove forme di cultura.

Ma anche nel mondo occidentale il discorso della sottocultura non dovrebbe farci paura. Nella crisi culturale che viviamo, una nuova pu­rificazione e unificazione culturale può svilupparsi soltanto da isole di raccoglimento spirituale. Là ove in comunità vive vi sono nuovi risvegli della fede, si vede anche già formarsi una nuova cultura cristiana; si vede come l’esperienza comunitaria sia fonte di ispirazione e apra vie che prima non potevamo vedere, Del resto, F. Doppelbauer ha giusta­mente fatto notare che la musica liturgica ha spesso e non a caso il ca­rattere dell’opera tardiva, presuppone maturazioni precedenti. Inoltre è importante che ci siano gli spazi preliminari della religiosità popolare e della sua musica, come della musica religiosa in senso lato, che devo­no essere sempre in fecondo scambio con la musica liturgica. Da un la­to esse vengono fecondate e purificate da questa, ma dall’altro lato pre­parano anche nuovi tipi di musica liturgica. Dalle loro forme più libere potrà maturare ciò che potrà entrare nel patrimonio della liturgia di tutta la Chiesa. Questo è poi anche l’ambito ove il gruppo può cimen­tare la sua creatività, nella speranza che ne nasca ciò che in futuro po­trà fare parte del tutto.



Osservazione conclusiva:
liturgia, musica e cosmo

Vorrei concludere le mie considerazioni con una bella parola di Mahatma Gandhi che ho trovato poco tempo fa su un calendario. Gan­dhi evidenzia tre spazi di vita del cosmo e mostra come ognuno di que­sti tre spazi vitali offra anche un proprio modo di essere. Nel mare vivo­no i pesci e tacciono. Gli animali sulla terra gridano, ma gli uccelli, il cui spazio vitale è il cielo, cantano. Del mare è proprio il tacere, della terra il gridare e del cielo il cantare. L’uomo però partecipa di tutti e tre: egli porta in sé la profondità del mare, il peso della terra e l’altezza del cielo; perciò sono sue anche tutte e tre le proprietà: il tacere, il gri­dare e il cantare. Oggi vediamo che all’uomo privo di trascendenza rimane solo il gridare, perché vuole essere soltan­to terra e cerca di far diventare sua terra anche il cielo e la profondità del mare. La vera liturgia, la liturgia della comunione dei santi, gli re­stituisce la sua totalità. Gli insegna di nuovo il tacere e il cantare, apren­dogli la profondità del mare e insegnandogli a volare, l’essere dell’an­gelo; elevando il suo cuore fa risuonare di nuovo quel canto che in lui si era come assopito. Anzi, possiamo dire persino che la vera litur­gia si riconosce proprio dal fatto che essa ci libera dall’agire comune e ci restituisce la profondità e l’altezza, il silenzio e il canto. La vera litur­gia si riconosce dal fatto che è cosmica, non su misura di un gruppo. Es­sa canta con gli angeli. Essa tace con la profondità dell’universo in at­tesa. E così essa redime la terra.



Joseph Card. Ratzinger [SM=g1740722]


Caterina63
00martedì 21 giugno 2011 23:18
Da Messainlatino condividiamo:

Il liturgista della diocesi di San Marino ci spiega la Messa papale






Il giovane liturgista che ha curato le celebrazioni durante la visita papale dei giorni scorsi a San Marino [nella foto: la Messa di domenica con l'allestimento 'benedettiano' dell'altare] ha accettato di buon grado di rispondere ad alcune domande che gli abbiamo porto, incuriositi come siamo di approfondire il "dietro le quinte" di una grande Messa papale e, più ancora, di interrogarlo circa alcuni elementi che ha sapientemente inserito nel rito. A cominciare dalla "catechesi liturgica" circa le modalità di ricevere la Comunione e, fatto ancor più importante, evitare di accostarsi ad Essa senza essere in stato di grazia. Il nostro eroe si chiama don Marco [il primo in piedi a sinistra nella foto]. Ma passiamo all'intervista.
Enrico


- Don Marco, vuole avere l'amabilità di condividere con i lettori di Messainlatino le sue osservazioni generali sulla celebrazione eucaristica di domenica scorsa? Il Papa ha apprezzato?

È stata una splendida ed indimenticabile giornata! Come Delegato per la Liturgia della Visita del Santo Padre, mi è stato permesso di compiere, in sintonia con le indicazioni ricevute dalla Diocesi, alcune scelte ben precise che, sebbene potrebbero apparire piccole agli occhi dei molti, in realtà avevano un unico scopo: favorire l'educazione alla fede del popolo di Dio che si sarebbe radunato intorno al successore di Pietro in una situazione (uno Stadio di calcio) certamente non ottimale.
Dai commenti ricevuti dalle persone che tra ieri e oggi ho incontrato, penso che tale obiettivo sia stato centrato. Al di là della realizzazione più o meno perfetta di tali scelte.
Ma, valga per tutti, il commento sincero e spontaneo del Papa che, alla fine della Celebrazione, ha detto a mons. Negri: "Eccellenza, grazie per questa bella celebrazione e per la musica che avete scelto: mi sembrava di essere a casa!".
La parte musicale è stata seguita (ed in parte eseguita) da un caro confratello, che ha sapientemente amalgamato le migliori tradizioni del canto liturgico della Chiesa: il gregoriano (le antifone del Missale Romanum), i corali (come per esempio il "Te lodiamo Trinità", traduzione da un canto tedesco caro al Papa) e la musica strumentale (una Messa di Mozart).
Per quanto riguarda, invece, le scelte fatte per la Santa Messa, ci siamo avvalsi di ottimi giovani, provenienti sia dal Seminario di Bologna, ma anche tra ragazzi che normalmente servono Messa, compresa la forma straordinaria: questo ci ha permesso di essere certi dei movimenti e tranquilli per ciò che riguarda la gestualità che alcuni potranno paragonare ad un semplice orpello, ma che riteniamo essere altrettanto importante a tutto il resto. E così, vedere tutti i ministranti fare l'inchino, insieme al Papa e ai Vescovi concelebranti, quando veniva nominato il nome di Gesù Cristo è stato davvero commovente. Anche perché, al di là che un ragazzo possa comprendere determinati gesti, il fatto stesso di compierli lo aiuta a capire.
Non essendo tutti seminaristi, avevo dato anche indicazioni precise sul modo di vestire: una persona mi ha ringraziato per aver visto "tanti preti vestiti da prete".


- Nei limiti imposti dal pur elastico Novus ordo Missae, vi sono state ulteriori scelte liturgiche da lei operate che hanno infuso forti elementi di continuità tradizionale nel rito, in piena adesione peraltro al disegno liturgico restauratore di Papa Benedetto che, evidentemente proprio per questo, si è sentito "come a casa".

Altre scelte? Abbiamo deciso che si recitasse il Canone Romano (in latino, come chiede la Santa Sede) perché, oltre a ritenerlo un segno di omaggio al Santo Padre, è certamente ricco da un punto di vista teologico. Le critiche non sono mancate: "ma non si comprende, è troppo difficile per la gente normale". La risposta, certo un po’ sbrigativa, che abbiamo dato è stata: "Bene, in questo modo staranno più attenti!". E devo dire che in quello stadio, durante la Preghiera eucaristica, si sono sentite solo le parole dei Concelebranti e il rintocco della campana!
Ancora, abbiamo voluto che l'altare realizzato per l'occasione potesse risaltare come luogo: lo si è fatto in due modi. Anzitutto utilizzando un paliotto molto antico e di valore, ma soprattutto ponendovi sopra sette candelieri molto pregiati con il Crocifisso al centro. Devo dire, forse con una punta di superbia, che abbiamo anche qui centrato l'obiettivo, visto che in tanti mi hanno fermato dicendomi che il loro sguardo era attratto da quella bellezza, fisso in quel punto. E stiamo parlando, lo ripeto, di uno stadio, non di una Basilica romana!


- E' vero che si tratta della diocesi di mons. Negri ma... non le hanno rimproverato queste scelte?
A ben vedere, non penso che la mia commissione abbia fatto scelte “eccezionali”: io personalmente cerco solo di capire le indicazioni che i nostri Pastori, a cominciare dal Santo Padre, stanno prendendo e hanno preso. Purtroppo, fuori dal coro unanime e positivo, alcuni sacerdoti ci hanno rimproverato di "bardare l'altare in quel modo”. Ad uno di loro ho risposto: "Posso comprendere che lei non gradisca (la contro proposta era mettere due candelieri piccolini da un lato e dei fiori dall'altro), ma penso che, come me, dovrebbe almeno avere l’umiltà di farsi due domande: perché l’indicazione è quella di fare in questo modo? E la seconda: essendo sacerdoti, perché ci è così difficile capire queste scelte?".
E qui veniamo alla questione della comunione.
In particolare ha suscitato perplessità ad alcuni il fatto che, nelle monizioni preparate, si fosse inserita la seguente frase: "La Comunione, secondo le disposizioni universali vigenti, sarà distribuita solo ed esclusivamente sulla lingua...". Un sacerdote mi ha rimproverato dicendo che non potevamo dire una cosa del genere dal momento che in Italia si può ricevere la Comunione sulle mani.
Ho fatto notare, però, che la dicitura era corretta. Infatti, secondo le "disposizioni universali vigenti" la Santa Comunione può essere distribuita solo sulla lingua. Diversa è la situazione in Italia (e in altri paesi) in cui, attraverso un indulto della Santa Sede e su richiesta delle Conferenze Episcopali, si permette anche di riceverla sulle mani. Inoltre, ed è questo il caso, la scelta della Diocesi era ben ponderata a causa della straordinarietà della situazione…


- In effetti è la prima volta, a nostra conoscenza, in cui si dà un chiaro messaggio ai fedeli e li si invita a ricevere la comunione sulla lingua (e se possibile in ginocchio), dando pure una succinta catechesi eucaristica e ricordando l'obbligatorietà della previa confessione. Questo il testo diffuso dagli altoparlanti prima della Messa (insieme alle monizioni ad evitare applausi, striscioni e gesti scomposti durante la Messa): "I fedeli che, essendosi confessati, si trovano attualmente in stato di Grazia e che dunque, soli, possono ricevere il Corpo Santissimo del Signore, si avvicineranno al ministro loro più vicino. La Comunione, secondo le disposizioni universali vigenti, sarà distribuita solo ed esclusivamente sulla lingua, al fine di evitare profanazioni ma soprattutto per educarci ad avere una sempre maggiore e più alta considerazione del Santo Mistero che è la Presenza Reale di Nostro Signore Gesù Cristo. Non sarà pertanto consentito a nessuno di ricevere la Comunione sulle proprie mani. Dopo aver fatto la debita riverenza, adoreremo l’Ostia che viene successivamente appoggiata sulla lingua. Per chi non fosse impedito per motivi di spazio o di salute, la Comunione può essere ricevuta anche stando in ginocchio". Ci spieghi un po'.

Il motivo di questa scelta e il conseguente divieto di dare la Comunione sulla mano è scaturito da due riflessioni: la prima e contingente è stata quella di evitare che succedesse, come tante altre volte, di ritrovare su qualche "asta online" le Ostie consacrate da un Papa; ma soprattutto desideravamo con questo gesto che si potesse aiutare il popolo a comprendere la sublimità di tale Mistero e dunque ad averne un maggiore rispetto. Da un sacerdote mi è stato detto che "le mani non sono certo meno degne della lingua". Questo è pur vero, ma è certamente più difficile che le Ostie cadano, soprattutto in una situazione particolare come la Messa in uno Stadio!
Il popolo ha capito, ha apprezzato e in tanti sono venuti a ringraziare, anche tra chi non mi sarei mai aspettato! Mirabile dictu!


- Ma non c'è stata solo la Messa di domenica, durante il viaggio del Papa...

A Pennabilli, pochi forse l'han visto in diretta, c'è stata almeno una particolarità degna di nota.
Preparando il libretto dell'incontro abbiamo cercato di scegliere i canti in modo da prendere in considerazione le proposte che la Commissione di Pastorale Giovanile aveva fatto. Così accanto a Jesus Christ di Frisina abbiamo inserito un canto di ascolto che potesse far rimanere a bocca aperta i giovani: "Gloria a Dios" della Missa Criolla. Comprendo che è stata una scelta azzardata anche in un contesto para-liturgico, ma alla fine il Santo Padre era così commosso da aver addirittura battuto le mani per la bellezza del canto. Infine un canto ciellino alla Vergine: "Ave Maria, Splendore del Mattino".
Come nell'ottimo pranzo fatto alla Casa San Giuseppe (l'albergo che ci ospitava e dove il Papa ha poi riposato), vi è stato un dulcis in fundo. Si è trattato di un canto che, a detta di un altissimo prelato presente sul Sagrato della Cattedrale, mentre lo cantava con tutto il fiato possibile, "non si sentiva da tantissimi anni".
Il canto è stato nientepopodimeno che "Bianco Padre"!
Avrebbero potuto cambiare tutto, ma  io personalmente desideravo che potesse essere cantato dal vivo: è stato straordinario vedere cinquemila giovani (secondo i quotidiani) cantare alla presenza del Papa questo canto a lui dedicato. E penso che, per l’educazione del nostro popolo, sia stato fondamentale per poter comprendere tutto l’amore che noi dobbiamo avere per il “dolce Cristo in terra”.


- Il Papa ha apprezzato?

Il Papa era entusiata: quando è stato il momento dei saluti mi ha ringraziato molto per il lavoro fatto, dicendo che tutta la giornata era stata caratterizzata dalla bellezza (o Bellezza?) che sola ha permesso di vivere con preghiera e devozione questa visita che, pur per la particolarità dell'ospite, è pur sempre una visita pastorale!
Io posso solo augurarmi che questa visita a San Marino-Montefeltro possa essere di esempio (certo non è l’unico e forse nemmeno il migliore, anche se mi auguro che lo "spirito" sia stato quello giusto) e dunque permetta di fare un passo in più verso quella sana visione teologico-liturgica alla quale il Papa sta cercando di educare la Chiesa di Cristo.
Perché è solo in questo modo che il circolo ermeneutico tra la lex credendi e la lex orandi si può realizzare senza intoppi!


Grazie don Marco. Dedichiamo anche noi un Bianco Padre a Benedetto XVI, in un arrangiamento della nostra Caterina:
http://www.gloria.tv/?media=76822

 

Caterina63
00mercoledì 22 giugno 2011 12:03

«Non c'è evangelizzazione senza adorazione»


di Andrea Zambrano
La Bussola 21-06-2011

SI LEGGA ANCHE PER IL CONVEGNO EUCARISTICO NAZIONALE DI SETTEMBRE 2011


L'evento straordinario è anche solo il fatto che se ne parli. Costretta per anni ad essere relegata ai margini e, come spiegherà in questa intervista Padre Justo Lo Feudo “secondo una errata ermeneutica del Concilio”, l'adorazione eucaristica sta tornando ad essere uno dei centri della vita cristiana. Vorrà pur dir qualcosa il fatto che solo in Italia negli ultimi 10 anni sono sorte oltre 50 cappelle di adorazione perpetua e oltre 3.000 in tutto il mondo. Solo 1.200 negli Stati Uniti, che dell'adorazione perpetua sono un vero e proprio propulsore. Di questo e della straordinaria messe di grazie, conversioni e risvegli della fede che la presenza davanti al Santissimo Sacramento sta generando nel mondo cattolico, si è iniziato a parlare ieri al Salesianum di Roma in un convegno con esperti e ben sette cardinali [dove si celebrerà anche la Messa Tridentina] e che troverà il suo momento clou nella messa celebrata da Papa Benedetto XVI e nella successiva processione del Corpus Domini di giovedì.

Padre Justo Lo Feudo, nato a Buenos Aires nel 1941 è tra i missionari della Santissima Eucarestia, associazione privata clericale di diritto diocesano, che ha per carisma la promozione, l’organizzazione e la creazione in tutto il mondo dell’adorazione perpetua nelle parrocchie e nelle diocesi. Associazione costituita da Mons. Dominique Rey, Vescovo di Fréjus-Toulon il 17 luglio 2007 a Paray-le-Monial e che ha organizzato il convegno confidando nel fatto che la nuova evangelizzazione parte dall'adorazione.

Padre Lo Feudo, che cosa si sta risvegliando?
Q
uello di cui parla il Papa quando si riferisce ad una primavera eucaristica, che sta risvegliando lo stupore davanti all'Eucarestia.

Primavera? Vuole dire che prima c'era un inverno?
Purtroppo per ragioni falsamente pastorali e per una falsa ermeneutica, l'Eucarestia si è banalizzata e si è perso questo stupore.

Perché?
Le cause sono molteplici, a cominciare dal fatto che una certa liturgia ha favorito l'indebolimento di questa pratica. A ciò si aggiunga la creatività che va contro il sacro. Invece l'Eucarestia ci rimanda al sacrificio e a un banchetto che non è solo un convivio tra uguali, ma è sacro. Ecco, l'Adorazione Eucaristica ci fa ritornare all’essenziale e prolungare questo mistero che si celebra nella messa.

Quali tappe hanno portato a questa primavera? Verrebbe da pensare all'adorazione di Benedetto XVI nella piana di Marienfeld a Colonia nel 2005.
A livello mediatico sì, ma appena prima c'erano stati l'enciclica di Giovanni Paolo II Ecclesia de Eucharistia e l'anno eucaristico. Nel 2004 abbiamo aperto tantissimi centri di adorazione perpetua. In generale, sono tanti ormai i documenti del Magistero che raccomandano che ogni centro urbano più o meno importante abbia almeno una cappella dell’adorazione perpetua.

Giorno e notte? Qual è il target di fedeli?
E' difficile dare una risposta organica, perché le storie sono diverse in ogni luogo. Però possiamo dire che sono tante le persone che, cominciando un cammino di conversione, si sono sentite attratte da questa presenza. A volte invece si trova maggiore resistenza presso fedeli che sono da sempre in chiesa e altre ancora succede che qualche sacerdote la rifiuti per una falsa ermeneutica secondo la quale l'Eucarestia non ci è data per essere adorata.

Fino a questo punto?
Eppure il Papa ci ricorda spesso, citando Sant'Agostino, che nessuno mangia di questa carne senza adorarla.

Che cosa dà di più l'Adorazione rispetto alla Comunione?
Non è un di più, ma è un prolungare, un approfondire il momento dell'incontro. Prendiamo ad esempio il momento della messa dopo la comunione. Giovanni Paolo II faceva dieci minuti di ringraziamento, invece spesso - anche se di questo mi accorgo soprattutto all'estero - la gente sopporta non più di tre minuti, dopo di che comincia ad agitarsi, a tossire, a muoversi.

Viviamo nella società dell'immagine. Come fate a spiegare che l'Eucarestia non è solo un simulacro?
Senza la Grazia di Dio è impossibile, eppure ho visto persone lontanissime da Dio che si dicevano atee o agnostiche e che ora sono adoratori. Chi ha fatto questo? Il Signore, mi rispondo.

E il farlo in un mondo frenetico? Continuamente alla ricerca di un luogo in cui distrarsi, evadere? Non vi sembra una sfida immensa?
Bisogna entrare nell'ottica che anche il tempo vada evangelizzato. Non ci si ferma davanti a un'immagine, ma ci si ferma davanti ad una Presenza. In fondo si tratta per ognuno di noi di trovare un’ora alla settimana da dedicare a Gesù.

Nelle adorazioni il rischio non è forse quello di pretendere di fare? Parlare, leggere o fare altro?
Spesso cadiamo nella trappola del fare, ma la nostra presenza non è passiva: è aperta alla Grazia. D'altra parte, così come non possiamo rimanere sotto il sole senza essere toccati dai raggi, non possiamo rimanere davanti al Signore, pur con tutta l'opacità della nostra fede, senza che le Grazie ci arrivino.

Qualche esempio?
Ricordo una ragazza: aveva avuto problemi con il satanismo. Ne era uscita, ma restava molto rancorosa. Un mio confratello le disse: “La so io la medicina per te. Va tutti i giorni in adorazione almeno un'ora”. Ebbene...

Ebbene?
L'ho rivista dopo tre mesi: un agnellino! Si ricordi: l'adorazione perpetua è il più potente esorcismo che una città possa avere.

Come si organizzano le comunità per questa presenza?
In genere si parte dai 400 ai 700 iscritti, con turni di un’ora alla settimana per ciascun adoratore. A volte si riesce anche ad arrivare a diecimila. Il passaparola è formidabile.

Come nasce storicamente l'adorazione?
San Pietro Giuliano Eymard è uno dei santi di riferimento, ma quello dell'adorazione è un bisogno che nasce molto presto nella Chiesa, con la presenza della riserva per i malati. Se lui è presente, allora si può adorare, perché è un bisogno insito nel cuore dell'uomo.

Parliamo di numeri in Italia.
Ci sono già 50 cappelle dell'adorazione perpetua, ma c'è ancora molto da fare. Ad esempio nelle Marche ci sono 4 centri, tra cui Senigallia, Urbino, Ascoli, ma sono in previsione altre due a Jesi e Fano.

Che bisogno c'è di adorare giorno e notte?
E' una domanda cruciale, ma la risposta è altrettanto decisiva. Si adora Gesù Cristo, Colui che non cessa mai di essere Dio e di amarci di un amore eterno, è un unirsi alla liturgia celestiale dove il Padre e il Figlio sono adorati senza sosta.

Qual è lo scoglio più difficile? Trovare adoratori per la notte?
Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, no. Certo, di notte ci sono meno adoratori, ma la gente è più fedele e più responsabile.

Come si concilia l'adorazione con la devozione a Maria?
Io sono consacrato alla Madonna, in tutto il mio sacerdozio vedo la sua mano e chiediamo sempre di consacrare le cappelle alla Madonna, che è la prima adoratrice.

Che cosa immagina che vi dirà il Papa in occasione del convegno in corso?
Che ci incoraggi, lui stesso disse che l’adorazione non è un lusso ma una priorità.

Com'è la situazione nel mondo?
Ci sono ormai 3.000 cappelle di adorazione perpetua nel mondo. Quasi la metà sono negli Stati Uniti. Si pensi che nel solo Texas, nella zona di Huston, ci sono tante cappelle quante in Italia. Merito di un sacerdote che ha avuto una grande chiamata. Ricordiamo però che le adorazioni perpetue sono portate avanti da laici.

E nei Paesi dove i cristiani sono perseguitati o lo sono stati in un recente passato?
A
vvengono cose strabilianti. A Mosca ad esempio, ma anche a Timisoara in Romania. L'iniziativa era partita dai greco cattolici, ma non c'erano adoratori a sufficienza per coprire l'intera settimana, allora si sono rivolti ai cattolici di rito romano e dato che non si raggiungeva ancora il numero per partire, siamo andati dal metropolita ortodosso, che ci ha benedetto e ci ha permesso di andare a predicare durante una divina liturgia. Abbiamo raggiunto il quorum e l'adorazione perpetua va avanti da cinque anni. Questo è l'ecumenismo, tenga presente che gli ortodossi non hanno l'adorazione.

Com'è la situazione in Europa?
In Francia ci sono circa 50 cappelle come in Italia, ma la situazione è molto vivace anche in Spagna dove il 30 giugno partirà l'adorazione perpetua a Saragozza. Ne è stata aperta una a Ginevra, nella patria di Calvino, al momento è molto duro introdurla in Germania o in paesi come l'Olanda, mentre in Austria c'è qualche presenza, così come in Inghilterra o in Irlanda.

E nei Paesi non cristiani di tradizione?
In Siria ad esempio, ma la storia dell'Iraq ha dell'incredibile. Quando gli inglesi hanno lasciato Bassora, sono nate due cappelle, una a Mossul e una a Bassora. Alla partenza delle truppe britanniche di notte c'era il coprifuoco, così i fedeli trasferivano il Santissimo Sacramento in un'abitazione privata dove l'adorazione andava avanti tutta notte. Al mattino, si rientrava in chiesa. Lo vede? Questa è fede.

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una breve riflessione

Piuttosto, leggendo l'illuminante intervista e le edificanti domande e risposte.... mi facevo questo esame di coscienza, a cominciare proprio da me stessa...  
- l'Adorazione Eucaristica con la Sua per altro meravigliosa RIFORMA, INNOVAZIONE  del suo tempo con il CORPUS DOMINI, l'inizio delle processioni, gli Inni Eucaristici firmati dall'aquinate, ecc.... fin dalla metà 1200 appunto, aveva riscontrato in tutta la Chiesa la perfetta ORTODOSSIA per questa Dottrina del Mirabile Sacramento...  
con san Pio X e la Riforma che prevedeva di dare l'Eucaristia ai bambini, si era RIAVUTO un acceso risveglio dopo anni di torpore e di problemi POLITICI....per anni infatti la Chiesa aveva un tantino abbandonato i proclami SPIRITUALI a causa di impegnatissimi proclami POLITICI....basti pensare dalla metà del 1700 e per tutto l'800 e oiltre.... e san Pio X si rese conto che fosse giunto il momento di cominciare anche a fare qualche RIFORMA LITURGICA a cominciare dalla MUSICA SACRA e per la quale forse in pochi sanno che fu proprio LUI a voler portare I CORI nelle Parrocchie....e poi Pio XII con la sua Enciclica Mediator Dei, ecc...ecc...ecc...  
Ritorna così Paolo VI a riparlare di EUCARESTIA con la sua enciclica MYSTERIUM FIDEI nella quale DOVETTE RIPRENDERE dal concilio Lateranense PER DIFENDERE il termine e il significato della TRANSUSTANZIAZIONE rimessa in dubbio....  
e poi Giovanni Paolo II con l'Ecclesia de Eucharistia e l'Anno dell'Eucaristia.... nel quale per altro il Signore ci ha donato un Pontefice EUCARISTICO..... Wink  
 
Insomma.... a voler ricostruire il tutto ci rendiamo conto della gravissima APOSTASIA che ha colpito la Chiesa dopo il Concilio.....  
di una apostasia che Giovanni Paolo II definisce ai suoi tempi "SILENZIOSA" perchè purtroppo TACIUTA dai Vescovi e che aveva coinvolto LE GERARCHIE  della Chiesa.... ricorderemo bene tutti gli attacchi che subì il Papa per l'Ecclesia de Eucharistia definita da Enzo Bianchi "un TRISTE ritorno indietro" ed anche da non pochi scrittori "ecclesiastici" sui giornali diocesani diventati, nel frattempo, un ricettacolo di notiziario SOCIALE....  
pur ringraziando Dio per questo RIOFIRIRE della nostra autentica devozione che parte ed ha senso solo NEL CUORE DELL'EUCARISTIA.... non si può ignorare ne tacere la grave responsabilità dei "Superiori", di certo Clero, i quali hanno sminuito l'Eucarestia e ancora oggi la calpestano RELEGANDOLA AL DI FUORI DELLA CHIESA E FUORI DELLA MESSA... fuori della Messa nel senso che NON VOGLIONO IL TABERNACOLO VICINO ALL'ALTARE....contrariamente a quanto ammoniva Benedetto XVI nella Sacramentum Caritatis....  
 
C'è ancora molto da lavorare, e il Papa sta lavorando alla grande.... e sta dando una bellissima testimonianza per la quale UN NUMERO SEMPRE PIU' CRESCENTE DI ANIME lo sta seguendo e sta creando i presupposti di un ritorno alla sana ortodossia CATTOLICA....  
Smile




Caterina63
00mercoledì 22 giugno 2011 15:07

Magdi Cristiano Allam e le Messe del Papa.

Riportiamo le parole di Magdi Cristiano Allam che, cogliendo occasione dalla esemplare e mirabile celebrazione di Benedetto XVI a San Marino (a cui egli ha personalmente partecipato), conduce un'ampia analisi delle Messe papali da un particolare punto di vista (altro rispetto a quello liturgico).
Conoscendo la conversione di Allam, la sua forza di spirito, la sua religiosità, il suo amore verso la Chiesa e il suo rispetto verso il Papa, sappiamo che le sue sono opinioni, pur severe e serie, sono costruttive e tese a risolvere problemi di fondo ancora troppo diffusi e difficili da superare.
Le preoccupazioni di Allam son fondate e le sue accorate esortazioni sono condivisibili. Ma bisogna riconoscere che, da qualche anno, le Messe del Papa, se pur celebrate (per motivi di spazio) in piazze, in prati o in stadi, hanno riacquistato dignità sacramentale e ieraticità "catechizzante". E sicuramente sono strumentali a quel (giusto) ritorno "per ri-affollare le chiese" tanto auspicato da Allam.
Potremmo dire che Benedetto XVI sta ri-portando in chiesa (e nella Chiesa) molti fedeli e molti giovani, prendendoli saldamente per mano da quei prati e da quegli stadi dove era riuscito a riunirli Giovanni Paolo II.

Roberto

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Il Papa riempie gli stadi, ma le chiese si svuotano
Wojtyla era un fenomeno mediatico, Ratzinger no.
Il suo compito è un altro: combattere il relativismo
di Magdi Cristiano Allam, il Giornale 20 giugno 2011



Ieri mattina per la prima volta ho assistito alla messa del Papa in uno stadio, quello di Serravalle nella Repubblica di San Marino. L’organizzazione è stata perfetta, l’accoglienza buona con tutti, l’attenzione nei miei confronti particolarmente calorosa. Tutto ha funzionato nel migliore dei modi, compreso il tempo, imprevedibile fino all'ultimo, che è stato clemente, con una temperatura calda mitigata da un venticello.
Ci sono andato innanzitutto per il fascino che Benedetto XVI esercita da sempre su di me per la sua straordinaria capacità di incarnare il binomio indissolubile tra fede e ragione, sin da quando era ancora il cardinale Joseph Ratzinger ed io ero ancora un musulmano che inseguiva il sogno di coniugare l’islam con i valori non negoziabili finendo per diventare il nemico numero uno dei fanatici di Allah in Italia; un fascino che mi ha illuminato dentro culminando nel dono della fede in Gesù e nel regalo incommensurabile del battesimo ricevuto dalle stesse mani del Vicario di Cristo.

Così come ci sono andato per la stima e l’amicizia che mi lega a monsignor Luigi Negri, vescovo di San Marino-Montefeltro, uno dei pochi alti prelati «islamicamente scorretti» in seno alla Chiesa, un missionario cristiano che con l’apostolato e le opere è votato alla lotta contro la «dittatura del relativismo», come sapientemente la definisce Benedetto XVI, dedito ad affermare la certezza del primato della verità assoluta in Cristo che non lascia pertanto alcun dubbio circa l’esclusione dell’islam dall’essere una religione rivelata o su Maometto dall’essere un autentico profeta ispirato da Dio.

Quando fui inaspettamente invitato quale esperto di questioni islamiche da Bruno Vespa, durante l’agonia di Giovanni Paolo II a pochi giorni dalla sua morte il 2 aprile 2005, a dibattere alla trasmissione Porta a Porta su chi avrebbe potuto essere il successore, mi sorpresi sentirmi rispondere: «Papa Wojtyla è stato il Papa che più di altri è riuscito a riempire le piazze, il suo successore dovrà essere capace di riempire le chiese». Mi sorpresi perché pur non essendo un vaticanista o comunque un esperto della Chiesa cattolica, intuii che il male profondo era il relativismo religioso che aveva trasformato Giovanni Paolo II in una sorta di divo internazionale percepito come affascinante per la sua straordinaria maestria comunicativa capace di farsi amare e di infondere l'amore ovunque nel mondo. Ma al tempo stesso il cristianesimo si riduceva ad essere un fenomeno mediatico, con la conseguenza che è calato l'interesse per la dimensione spirituale, è venuta meno la pratica religiosa dei cattolici e sono crollate le vocazioni. Ho pertanto salutato con gioia e considerato un dono della Provvidenza l'elezione di Benedetto XVI quale paladino della difesa dei dogmi della fede.

Ebbene ieri mi sono sentito in difficoltà percependo un clima da tifoseria nell'accoglienza riservata al Sommo Pontefice al suo ingresso nello stadio, all'inizio e alla fine della Santa Messa. Mi ha colpito il richiamo fatto all'altoparlante da una responsabile dell'organizzazione a non interrompere la cerimonia religiosa con gli applausi. Significativa è stata la sua raccomandazione a non richiedere l'ostia benedetta in mano, di accoglierla direttamente in bocca, per evitare il rischio della «profanazione». Effettivamente constato che in tante chiese in varie parti d'Italia i sacerdoti danno indifferentemente l'ostia in bocca o in mano a secondo della richiesta del fedele. Ebbene se l'indicazione del Papa è che l'ostia va data direttamente in bocca, dovrebbero essere i sacerdoti a saperlo e a farlo. Persino ieri ho visto un sacerdote che, nonostante ci fosse stato un richiamo pubblico, ha dato l'ostia in mano ad un fedele!

L'insieme della cerimonia religiosa è stata uno spettacolo riuscitissimo, con una mirabile sintonia di quattro cori, con l'esercito dei fotografi e teleoperatori che accresce la suggestione per la straordinarietà dell'evento. Ma come fedele il livello della mia partecipazione è stato parziale. È difficile competere, oltretutto in uno spazio immenso, con tenori e soprani. Li si ascolta con ammirazione come si farebbe andando ad un concerto, ma viene meno il coinvolgimento del fedele e il suo sentirsi parte di una comunità dedita alla preghiera e al raccoglimento in vista della comunione con Cristo nato, morto e risorto.

E poi ho avuto la netta sensazione che quel ruolo non si addice proprio al Papa filosofo e teologo impegnato nella sfida epocale contro la dittatura del relativismo. Fa tenerezza e rabbia vederlo chiuso in un gabbiotto anti-proiettile per il pericolo, sempre in agguato, che possa essere assassinato dai terroristi islamici. Ma si tocca con mano il limite personale nell'essere un uomo di spettacolo, capace di affascinare ed entusiasmare per come ti guarda o si muove a prescindere da ciò che dice. Benedetto XVI non lo è e non lo sarà.

Cosa voglio dire? Che se veramente vogliamo vincere la battaglia contro il relativismo religioso e riscattare la solidità della fede in Cristo, non distraiamo il Papa coinvolgendolo in questi spettacoli negli stadi e nelle piazze. Perché più saranno di successo sul piano mediatico e più allontaneranno i fedeli dalle chiese. Il posto del Papa è nelle chiese a diretto contatto con i sacerdoti e con i fedeli, affinché i sacerdoti riscoprano il precetto dell'obbedienza al Vicario di Cristo che hanno sostituito con quello del seguire la propria coscienza, ed affinché i fedeli si sentano confortati dalla bontà della propria scelta di fede in virtù della presenza di testimoni che risultano credibili se ciò che proclamano dal pulpito corrisponde a ciò in cui credono e si traduce in ciò che concretamente fanno.

fonte: il Giornale via Una Fides

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Mi unisco alle riflessioni di Cristiano approfondendo questo compito dei VATICANISTI mediatici....  
confesso che NON MI PIACCIONO, li ringrazio per il lavoro che fanno, ma molti di loro sono SCHIAVI DELLA MEDIATICITA' e di conseguenza dipingono essi stessi un Pontefice secondo la POLITICA CORRETTA  e la voce MEDIATICA DEL VIP, DEL LEADER....  
 
Giovanni Paolo II, del quale NESSUNO può negarne la grandezza, ha subito tuttavia una enorme MANIPOLAZIONE del suo essere e del suo Pontificato spesso asservito ad una IMMAGINE FALSA, basti pensare come UNA SUORA intervistata a san Pietro per la beatificazione, alla domanda: "cosa le piace del Papa beato?" "CHE ERA UN PAPA LAICO" Surprised  un termine SLOGAN APPOGGIATO E SOSTENUTO DAI VATICANISTI....  
La curiosità sta anche nel fatto che mentre Giovanni Paolo II TOGLIEVA I GIOVANI dalle piazze ideologiche dei partiti degli anni '70/80 per portarli nelle piazze delle GMG abbiamo visto SUORE SFILARE NEI CORTEI PACIFISTI......e i vaticanisti TACERE su questa anomalia...  
 
Il "vaticanista" ha l'onere di sintetizzare i Discorsi, Messaggi e Catechesi del Papa e solitamente SCEGLIE BRANI POLITICI, frasi ad effetto che possano avere il sapore dello SLOGAN.... se ne lamentò Giovanni Paolo II  nel 2004 - se vi interessa l'argomento qui troverete un bell'archivio - ....prendendo le mosse da una fotografia non certo confortante del mondo dei media: quando viene pubblicato un nuovo testo - ha osservato il Pontefice - «i fedeli spesso sono disorientati più che informati dalle immediate reazioni dei mezzi di comunicazione sociale»......  
 
Grave responsabilità hanno dunque i Media e i VATICANISTI ai quali rivolgiamo un accorato appello a non presentare gli eventi del Pontefice come avvenimenti MONDANI, DA LEADER, DA SPETTACOLO.... DA VIP..... IL PAPA è IL GRANDE "LITURGO" E' IL VICARIO DI CRISTO IN TERRA.... il fatto stesso che egli cambia il nome proprio ha un senso che va al di là di ogni umana comprensione...

riguardo al finale delle riflessioni di Cristiano, pur comprendendo le motivazioni che condivido, non condivido tuttavia quell'assolutizzare il fatto che il Papa "DEVE STARE NELLE CHIESE".... che il Papa infatti "stia nelle chiese" accanto ai Sacerdoti è fuori discussione.... ma le PIAZZE SONO NECESSARIE anche per la Missione del Pontefice.... ce lo rende presente san Paolo e lo stesso san Pietro....  
Immagino che Cristiano non intendesse "rinchiudere" il Papa nelle sagrestie Wink  ma il rischio di associarne il concetto c'è eccome... specialmente per chi è un FASTIDIO VEDERE il Papa celbrare la Santa Messa a CIELO APERTO....  
inoltre sappiamo che lo stesso Benedetto XVI se può e appena può celebra nelle Cattedrali soprattutto I VESPRI CON IL CLERO E I RELIGIOSI/E  i quali non vengono mai svolti nelle piazze.... ma per la Messa i numeri sono quelli che richiedono spazi più ampi e di questo ringraziamo Dio perchè la numerosa partecipazione significa anche MAGGIORE possibilità di COMPRENSIONE E DI CONVERSIONE...  
 
C'è la bellissima storia di un frate dell'Immacolata il quale raccontando la sua storia ha detto come assistendo da ATEO alla Messa di inizio di Pontificato di Benedetto XVI (eppure la sua Riforma non era neppure cominciata) "qualcosa" lo colpì profondamente in quel nuovo Pontefice.... le parole dell'Omelia che risuonavano nella piazza e che lui stava seguendo da profano e solo "per curiosità", lo avevano COMMOSSO a tal punto da CONVERTIRSI ed oggi è un frate dell'Immacolata....  
 
Il problema non è se il Papa celebra in piazza, MA COME VI CELEBRA...... Wink



Caterina63
00mercoledì 21 dicembre 2011 12:30

“Basta canzonette in chiesa!”

di Piraino, Simone Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele
Fonte: CulturaCattolica.it del venerdì 16 dicembre 2011 (il sottolineato è nostro)
Ragionamenti sulle parole del M° Riccardo Muti.

"Basta canzonette in Chiesa!”.
Sono passati più di sei mesi dall’appello di Riccardo Muti, eppure il monito del grande direttore d’orchestra napoletano risuona ancora nelle nostre orecchie e scatena dibattiti. Dalla stampa ai conservatori; dai vecchi ai giovani, fin dentro le parrocchie.
La questione della musica in chiesa è di fondamentale importanza. Perché la musica è espressione della cultura umana, è espressione di chi siamo noi. Di più: è espressione della nostra fede!
Musicofili e artisti della musica spingono nella direzione indicata dal maestro; molti altri, invece, contestano questa concezione e continuano a suonar “canzonette” liturgiche. Ognuno ha la “sua” verità, il “suo” gusto: evviva il relativismo!
Forse, però, trattandosi di materia ecclesiastica, ci si dovrebbe comportare meno da “cattolici adulti” e lasciarsi guidare.
Non dimentichiamo (qualcuno l’ha fatto) che la Chiesa Cattolica è guidata dal successore di Pietro. Che dice il Papa in tal senso? Ebbene, innumerevoli sono state le circostanze in cui Benedetto XVI ha espresso il suo “parere” (nel 2009 è stato pubblicato un libro con i suoi interventi sulla musica). E ogni volta che il Papa parla della musica, un altro termine, come fosse inscindibilmente legato, emerge: cuore! “La musica del cuore”, “L’orecchio del cuore”, “La musica che fa vibrare le corde del cuore”.
In questo breve pensiero ad alta voce, chi vuole capire e seguire questo Papa, è arrivato ad un bivio: o pensa che Benedetto XVI ci stia parlando del “cuore romantico” e allora giudica a seconda del numero di stelline che appare nei suoi occhi ogni volta che ascolta qualcosa, oppure che il Papa si riferisca al “cuore biblico”: in questo caso, più che stelline, lacrime e sorrisi, ci aiuta molto San Paolo quando, nella Lettera ai Romani (2, 14-15), scrive:“Quando i pagani, che non hanno la legge, per natura agiscono secondo la legge, essi, pur non avendo legge, sono legge a se stessi; essi dimostrano che quanto la legge esige è scritto nei loro cuori”.
Attenzione alla trappola relativistica: la legge del cuore è universale. È uguale per ogni uomo!Ecco: dovremmo dare un giudizio solo partendo da questo criterio.
Adesso propongo un raffronto partendo proprio dalle parole di Muti, perché come è vero che il cuore è universale e anche vero che esso va educato!
‘‘La storia della musica deve molto alla Chiesa e non mi riferisco solo al periodo gregoriano che è strepitoso, ma anche ai giorni nostri. Ora io non capisco le chiese, tra l’altro quasi tutte fornite di organi strepitosi, dove invece si suonano le canzonette. Probabilmente questo è stato apprezzato all’inizio come un modo di avvicinare i giovani, ma è un modo semplicistico e senza rispetto del livello di intelligenza delle persone. Perché allora mettere quattro o cinque ragazzi di buona volontà a strimpellare delle chitarre o degli strumenti a plettro con testi che non commento? E poi - continua Muti riferendosi proprio al “cuore” - se si sente l’Ave Verum di Mozart in chiesa, sicuramente anche la persona più semplice, più lontana dalla musica può essere trasportata in una dimensione spirituale. Ma se sente invece canzonette è come stare in un altro posto’’.

Provare per credere: musica scadente e melensamente sentimentalisata, testo newage, panteistico e soprattutto acattolico e acristiano, e diremmo pure anche blasfemo: "Voi siete Dio" (per ascoltare, si veda qui anche su youtube)
testo:
Tutte le stelle della nottele nebulose e le cometeil sole su una ragnatela
è tutto vostro e voi siete di Dio.
Tutte le rose della vitail grano, i prati, i fili d’erbail mare, i fiumi, le montagne
è tutto vostro e voi siete di Dio.
Tutte le musiche e le danze,i grattacieli, le astronavii quadri, i libri, le culture
è tutto vostro e voi siete di Dio.
Tutte le volte che perdonoquando sorrido, quando piangoquando mi accorgo di chi sono
è tutto vostro e voi siete di Dio. E’ tutto nostro e noi siamo di Dio.
Tutte le volte che perdonoquando sorrido, quando piangoquando mi accorgo di chi sono
è tutto vostro e voi siete di Dio.
E’ tutto nostro e noi siamo di Dio.
Tutte le stelle della notte,Le nebulose e le comete,Il sole su una ragnatela,
E’ tutto vostro e voi siete di Dio!
Tutte le rose della vita,Il grano, i prati, i fili d’erba,Il mare, i fiumi, le montagne,
E’ tutto vostro e voi siete di Dio!
Tutte le musiche e le danze,I grattacieli, le astronavi,I quadri, i libri, le culture,
E’ tutto vostro e voi siete di Dio!
Tutte le volte che perdono,Quando sorrido e quando piango,Quando mi accorgo di chi sono
E’ tutto vostro e voi siete di Dio E’ tutto nostro e noi siamo di Dio.

Per gli altri interventi (2010) di Muti sull'argomento e in difesa della musica (veramente) sacra, si possono vedere i nostri precedenti post qui, qui e qui


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[SM=g1740733] Come è stato fatto notare il testo non dice "voi siete Dio" ma dice "e voi siete DI Dio" Wink  
 
Riguardo al genere di canto concordo, ma non per cestinarlo completamente, ci sono molti canti moderni davvero belli MA NON ADATTI ALLA LITURGIA.... o peggio, sono adatti per la Messa MODERNA e per questo motivo ci suonano ESTRANEI, e lo sono, se alla Messa diamo l'autentico significato di RITO E DI CULTO che necessita di una musica veramente SACRA....  
Questi canti non sono da cestinare ma non sono canti che si possono dire SACRI... questo è il problema!  
Possono essere usati negli incontri parrocchiani, nei pellegrinaggi presso i Santuari, anche negli incontri di Preghiera che non includano LA MESSA....  
Se si insegnasse questa urgente separazione fra il canto SACRO e il canto DEVOZIONALE gli stessi fedeli non avrebbero difficoltà a fare essi stessi un sano discernimento.... Embarassed  
 
Il canto in questione non è affatto eretico e descrive una realtà persino teologica: tutte le cose materiali senza dubbio sono date all'uomo, l'uomo le crea e le inventa, altre le sono state da Dio: "prendete la terra e soggiogatela" e dice Gesù: "tutto vi è stato dato...."... il canto conclude ad ogni possesso la frase che maggiormente ci dice che uso dobbiamo farne:  E VOI SIETE DI DIO... di conseguenza ogni possesso, ogni strumento, ogni cosa creata da Dio, ogni cosa creata dall'uomo, è nostra si, ma noi siamo DI Dio e a Dio tutto deve ritornare sotto forma di lavoro, di uso, di utilizzo....  
questo è il senso del testo se lo leggiamo attentamente.... ma senza dubbio NON è un canto sacro e non è un canto liturgico.... ma la maggiorparte dei fedeli questo NON lo comprende, o peggio, non gli viene insegnato e gli stessi sacerdoti non lo sanno... e la stessa Messa moderna si presta al suo utilizzo....  
 
Wink


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si legga anche nei seguenti link:

CANTI LITURGICI SACRI DELLA CHIESA CATTOLICA E TRADIZIONALI di preghiera (2)

CANTI LITURGICI SACRI DELLA CHIESA CATTOLICA E TRADIZIONALI di preghiera

Joseph Ratzinger: La Teologia della Liturgia

IMPORTANTE INTERVISTA A MONS. BARTOLUCCI (da non perdere)

Mons. Guido Marini INTRODUZIONE ALLO SPIRITO DELLA LITURGIA (imperdibile)

ATTENZIONE: PER LA MESSA SI CAMBIA MUSICA (finalmente!)

Ennio Morricone (musicista di grandi colonne sonore) difende la Musica Sacra

La Musica Sacra nel Culto Cattolico (Il canto gregoriano, gli Inni)

L'Inno del Cherubico: versione orientale della Santa Messa di San Gregorio Magno

ATTENZIONE: KARAOKE DI CANTI RELIGIOSI TRADIZIONALI E DEVOZIONALI


[SM=g1740738]


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