Benedetto XVI: la crisi finanziaria va al pari con la crisi morale.... (Giustizia e Pace)

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Caterina63
00venerdì 30 aprile 2010 18:38
Il Papa ai partecipanti alla sessione plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali

Senza intervento pubblico e criteri morali
il mercato non può autoregolarsi


La crisi finanziaria globale ha dimostrato che il mercato non è in grado di autoregolarsi senza l'intervento pubblico e il "sostegno dei criteri morali interiorizzati". Lo ha detto il Papa ai partecipanti alla sessione plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, ricevuti venerdì mattina, 30 aprile, nella sala del Concistoro.

Dear Members of the Academy,
I am pleased to greet you at the beginning of your Sixteenth Plenary Session, which is devoted to an analysis of the global economic crisis in the light of the ethical principles enshrined in the Church's social doctrine. I thank your President, Professor Mary Ann Glendon, for her gracious words of greeting and I offer you my prayerful good wishes for the fruitfulness of your deliberations.
The worldwide financial breakdown has, as we know, demonstrated the fragility of the present economic system and the institutions linked to it. It has also shown the error of the assumption that the market is capable of regulating itself, apart from public intervention and the support of internalized moral standards. This assumption is based on an impoverished notion of economic life as a sort of self-calibrating mechanism driven by self-interest and profit-seeking. As such, it overlooks the essentially ethical nature of economics as an activity of and for human beings. Rather than a spiral of production and consumption in view of narrowly-defined human needs, economic life should properly be seen as an exercise of human responsibility, intrinsically oriented towards the promotion of the dignity of the person, the pursuit of the common good and the integral development - political, cultural and spiritual - of individuals, families and societies. An appreciation of this fuller human dimension calls, in turn, for precisely the kind of cross-disciplinary research and reflection which the present session of the Academy has now undertaken.
In my Encyclical Caritas in Veritate, I observed that "the current crisis obliges us to re-plan our journey, to set ourselves new rules and to discover new forms of commitment" (No. 21). Re-planning the journey, of course, also means looking to comprehensive and objective standards against which to judge the structures, institutions and concrete decisions which guide and direct economic life. The Church, based on her faith in God the Creator, affirms the existence of a universal natural law which is the ultimate source of these criteria (cf. ibid., 59). Yet she is likewise convinced that the principles of this ethical order, inscribed in creation itself, are accessible to human reason and, as such, must be adopted as the basis for practical choices. As part of the great heritage of human wisdom, the natural moral law, which the Church has appropriated, purified and developed in the light of Christian revelation, serves as a beacon guiding the efforts of individuals and communities to pursue good and to avoid evil, while directing their commitment to building an authentically just and humane society.
Among the indispensable principles shaping such an integral ethical approach to economic life must be the promotion of the common good, grounded in respect for the dignity of the human person and acknowledged as the primary goal of production and trade systems, political institutions and social welfare. In our day, concern for the common good has taken on a more markedly global dimension. It has also become increasingly evident that the common good embraces responsibility towards future generations; intergenerational solidarity must henceforth be recognized as a basic ethical criterion for judging any social system. These realities point to the urgency of strengthening the governance procedures of the global economy, albeit with due respect for the principle of subsidiarity. In the end, however, all economic decisions and policies must be directed towards "charity in truth", inasmuch as truth preserves and channels the liberating power of charity amid ever-contingent human events and structures. For "without truth, without trust and love for what is true, there is no social conscience and responsibility, and social action ends up serving private interests and the logic of power, resulting in social fragmentation" (Caritas in Veritate, 5).
With these considerations, dear friends, I once more express my confidence that this Plenary Session will contribute to a more profound discernment of the serious social and economic challenges facing our world, and help point the way forward to meet those challenges in a spirit of wisdom, justice and authentic humanity. I assure you once more of my prayers for your important work, and upon you and your loved ones I cordially invoke God's blessings of joy and peace.

Di seguito una nostra traduzione italiana del discorso del Papa.

Cari membri dell'Accademia,

sono lieto di salutarvi all'inizio della vostra XVI Sessione Plenaria, dedicata a un'analisi della crisi economica globale alla luce dei principi etici consacrati nella dottrina sociale della Chiesa. Ringrazio la Presidente, professoressa Mary Ann Glendon, per le cordiali parole di saluto e offro i miei ferventi e buoni auspici per la fecondità delle vostre deliberazioni.

Come sappiamo, la crisi finanziaria mondiale ha dimostrato la fragilità dell'attuale sistema economico e delle istituzioni a esso collegate. Ha anche mostrato l'erroneità dell'idea secondo la quale il mercato sarebbe in grado di autoregolarsi, indipendentemente dall'intervento pubblico e dal sostegno dei criteri morali interiorizzati. Quest'idea si basa sulla nozione impoverita della vita economica come una sorta di meccanismo che si autocalibra guidato dal proprio interesse e dalla ricerca del profitto. Essa trascura la natura essenzialmente etica dell'economia come attività di e per gli esseri umani. Piuttosto che una spirale di produzione e consumo in vista di necessità umane definite in modo molto limitato, la vita economica dovrebbe essere considerata in maniera adeguata come un esercizio di responsabilità umana, intrinsecamente orientato alla promozione della dignità della persona, alla ricerca del bene comune e allo sviluppo integrale, politico, culturale e spirituale, di individui, famiglie e società. Un apprezzamento di questa dimensione umana più piena esige, a sua volta, proprio il tipo di ricerca e di riflessione interdisciplinari che questa sessione dell'Accademia ha ora intrapreso.

Nella mia Enciclica Caritas in veritate, ho osservato che "la crisi ci obbliga a riprogettare il nostro cammino, a darci nuove regole e a trovare nuove forme di impegno" (n. 21). Di certo, riprogettare il cammino significa anche guardare ai criteri generali e obiettivi con cui giudicare le strutture, le istituzioni e le decisioni concrete che guidano e orientano la vita economica. La Chiesa, fondata sulla sua fede in Dio Creatore, afferma l'esistenza di una legge naturale universale che è la fonte definitiva di questi criteri (cfr. Ibidem n. 59). Tuttavia, è anche convinta del fatto che i principi di questo ordine etico, iscritti nella creazione stessa, sono accessibili alla ragione umana e, in quanto tali, devono essere adottati come base per scelte concrete. Come parte della grande eredità della saggezza umana, la legge morale naturale, che la Chiesa ha assunto, purificato e sviluppato alla luce della Rivelazione cristiana, è un faro che guida gli sforzi di individui e comunità nel cercare il bene ed evitare il male, mentre si impegnano per l'edificazione di una società autenticamente giusta e umana.

Fra i principi indispensabili che plasmano questo approccio etico integrale alla vita economica deve essere presente la promozione del bene comune, basata sul rispetto per la dignità della persona umana e riconosciuta come scopo primario dei sistemi di produzione e di commercio, delle istituzioni politiche e del benessere sociale. Al giorno d'oggi, l'interesse per il bene comune ha assunto una dimensione marcatamente globale. È anche divenuto sempre più evidente che il bene comune implica la responsabilità per le generazioni future. Di conseguenza la solidarietà intergenerazionale deve essere riconosciuta come criterio fondamentale per giudicare qualsiasi sistema sociale.

Queste realtà evidenziano l'urgenza di rafforzare le procedure di governo dell'economia globale, sempre con il dovuto rispetto per il principio di sussidiarietà. Alla fine, comunque, tutte le decisioni e le politiche economiche devono essere orientate alla "carità nella verità", perché la verità preserva e incanala la forza liberatrice della carità nelle strutture e negli eventi umani sempre contingenti. Perché "senza la verità, senza fiducia e senza amore per il vero, non c'è coscienza e responsabilità sociale, e l'agire sociale cade in balia di privati interessi e di logiche di potere, con effetti disgregatori sulla società" (Caritas in veritate, n. 5).

Con queste considerazioni, cari amici, esprimo ancora una volta la mia fiducia nel fatto che questa Sessione Plenaria contribuirà a un discernimento più profondo delle gravi sfide sociali ed economiche del nostro mondo e contribuirà a indicare la strada per affrontare tali sfide con spirito di saggezza, giustizia e umanità autentica. Assicuro ancora una volta le mie preghiere per la vostra importante opera e su di voi e sui vostri cari invoco di cuore le benedizioni divine di gioia e di pace.


(©L'Osservatore Romano - 1 ° maggio 2010)
Caterina63
00lunedì 3 dicembre 2012 15:17

L'UOMO DI OGGI È CONSIDERATO IN CHIAVE BIOLOGICA O COME "CAPITALE UMANO"

Città del Vaticano, 3 dicembre 2012 (VIS). Il Santo Padre ha ricevuto oggi i partecipanti alla Plenaria del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace.

"L’uomo d’oggi - ha affermato il Papa nel suo discorso - è considerato in chiave prevalentemente biologica o come 'capitale umano', 'risorsa', parte di un ingranaggio produttivo e finanziario che lo sovrasta. Se, da una parte, si continua a proclamare la dignità della persona, dall’altra, nuove ideologie - come quella edonistica ed egoistica dei diritti sessuali e riproduttivi o quella di un capitalismo finanziario sregolato che prevarica sulla politica e destruttura l’economia reale - contribuiscono a considerare il lavoratore dipendente e il suo lavoro come beni 'minori' e a minare i fondamenti naturali della società, specialmente la famiglia. In realtà, l’essere umano, costitutivamente trascendente rispetto agli altri esseri e beni terreni, gode di un reale primato che lo pone come responsabile di se stesso e del creato. Per il Cristianesimo, il lavoro è un bene fondamentale per l’uomo, in vista della sua personalizzazione, della sua socializzazione, della formazione di una famiglia, dell’apporto al bene comune e alla pace. Proprio per questo, l’obiettivo dell’accesso al lavoro per tutti è sempre prioritario, anche nei periodi di recessione economica (cfr Caritas in veritate, 32)".

"Da una nuova evangelizzazione del sociale possono derivare un nuovo umanesimo e un rinnovato impegno culturale e progettuale. Essa aiuta a detronizzare gli idoli moderni, a sostituire l’individualismo, il consumismo materialista e la tecnocrazia, con la cultura della fraternità e della gratuità, dell’amore solidale. Gesù Cristo ha riassunto e dato compimento ai precetti in un comandamento nuovo: 'Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri'; qui sta il segreto di ogni vita sociale pienamente umana e pacifica, nonché del rinnovamento della politica e delle istituzioni nazionali e mondiali. Il beato Papa Giovanni XXIII ha motivato l’impegno per la costruzione di una comunità mondiale, con una corrispondente autorità, proprio muovendo dall’amore, e precisamente dall’amore per il bene comune della famiglia umana".

"La Chiesa - ha concluso il Pontefice - non ha certo il compito di suggerire, dal punto di vista giuridico e politico, la configurazione concreta di un tale ordinamento internazionale, ma offre a chi ne ha la responsabilità quei principi di riflessione, criteri di giudizio e orientamenti pratici che possano garantirne l’intelaiatura antropologica ed etica attorno al bene comune. Nella riflessione, comunque, è da tenere presente che non si dovrebbe immaginare un superpotere, concentrato nelle mani di pochi, che dominerebbe su tutti i popoli, sfruttando i più deboli, ma che qualunque autorità deve essere intesa, anzitutto, come forza morale, facoltà di influire secondo ragione, ossia come autorità partecipata, limitata per competenza e dal diritto".







DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
AI PARTECIPANTI ALLA PLENARIA DEL
PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE

Sala del Concistoro
Lunedì, 3 dicembre 2012

 

Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli e sorelle!

Sono lieto di accogliervi in occasione della vostra Assemblea Plenaria. Saluto il Cardinale Presidente, che ringrazio per le cortesi parole rivoltemi, come pure Monsignor Segretario, gli Officiali del Dicastero e tutti voi, Membri e Consultori, convenuti per questo importante momento di riflessione e di programmazione. La vostra Assemblea si celebra nell’Anno della fede, dopo il Sinodo dedicato alla nuova evangelizzazione, nonché – come è stato detto – nel cinquantesimo anniversario del Concilio Vaticano II e – tra pochi mesi – dell’Enciclica Pacem in terris del beato Papa Giovanni XXIII. Si tratta di un contesto che già di per sé offre molteplici stimoli.

La Dottrina sociale, come ci ha insegnato il beato Papa Giovanni Paolo II, è parte integrante della missione evangelizzatrice della Chiesa (cfr Enc. Centesimus annus, 54), e a maggior ragione essa va considerata importante per la nuova evangelizzazione (cfr ibid., 5; Enc. Caritas in veritate, 15). Accogliendo Gesù Cristo e il suo Vangelo, oltre che nella vita personale, anche nei rapporti sociali, diventiamo portatori di una visione dell’uomo, della sua dignità, della sua libertà e relazionalità, che è contrassegnata dalla trascendenza, in senso sia orizzontale sia verticale. Dall’antropologia integrale, che deriva dalla Rivelazione e dall’esercizio della ragione naturale, dipendono la fondazione e il significato dei diritti e dei doveri umani, come ci ha ricordato il beato Giovanni XXIII proprio nella Pacem in terris (cfr n. 9). I diritti e i doveri, infatti, non hanno come unico ed esclusivo fondamento la coscienza sociale dei popoli, ma dipendono primariamente dalla legge morale naturale, inscritta da Dio nella coscienza di ogni persona, e quindi in ultima istanza dalla verità sull’uomo e sulla società.

Sebbene la difesa dei diritti abbia fatto grandi progressi nel nostro tempo, la cultura odierna, caratterizzata, tra l’altro, da un individualismo utilitarista e un economicismo tecnocratico, tende a svalutare la persona. Questa viene concepita come un essere «fluido», senza consistenza permanente. Nonostante sia immerso in una rete infinita di relazioni e di comunicazioni, l’uomo di oggi paradossalmente appare spesso un essere isolato, perché indifferente rispetto al rapporto costitutivo del suo essere, che è la radice di tutti gli altri rapporti, quello con Dio. L’uomo d’oggi è considerato in chiave prevalentemente biologica o come «capitale umano», «risorsa», parte di un ingranaggio produttivo e finanziario che lo sovrasta. Se, da una parte, si continua a proclamare la dignità della persona, dall’altra, nuove ideologie - come quella edonistica ed egoistica dei diritti sessuali e riproduttivi o quella di un capitalismo finanziario sregolato che prevarica sulla politica e destruttura l’economia reale - contribuiscono a considerare il lavoratore dipendente e il suo lavoro come beni «minori» e a minare i fondamenti naturali della società, specialmente la famiglia. In realtà, l’essere umano, costitutivamente trascendente rispetto agli altri esseri e beni terreni, gode di un reale primato che lo pone come responsabile di se stesso e del creato. Concretamente, per il Cristianesimo, il lavoro è un bene fondamentale per l’uomo, in vista della sua personalizzazione, della sua socializzazione, della formazione di una famiglia, dell’apporto al bene comune e alla pace. Proprio per questo, l’obiettivo dell’accesso al lavoro per tutti è sempre prioritario, anche nei periodi di recessione economica (cfr Caritas in veritate, 32).

Da una nuova evangelizzazione del sociale possono derivare un nuovo umanesimo e un rinnovato impegno culturale e progettuale. Essa aiuta a detronizzare gli idoli moderni, a sostituire l’individualismo, il consumismo materialista e la tecnocrazia, con la cultura della fraternità e della gratuità, dell’amore solidale. Gesù Cristo ha riassunto e dato compimento ai precetti in un comandamento nuovo: «Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34); qui sta il segreto di ogni vita sociale pienamente umana e pacifica, nonché del rinnovamento della politica e delle istituzioni nazionali e mondiali. Il beato Papa Giovanni XXIII ha motivato l’impegno per la costruzione di una comunità mondiale, con una corrispondente autorità, proprio muovendo dall’amore, e precisamente dall’amore per il bene comune della famiglia umana. Così leggiamo nella Pacem in terris: «Esiste un rapporto intrinseco fra i contenuti storici del bene comune da una parte e la configurazione dei Poteri pubblici dall’altra. L’ordine morale, cioè, come esige l’autorità pubblica nella convivenza per l’attuazione del bene comune, di conseguenza esige pure che l’autorità a tale scopo sia efficiente» (n. 71).

La Chiesa non ha certo il compito di suggerire, dal punto di vista giuridico e politico, la configurazione concreta di un tale ordinamento internazionale, ma offre a chi ne ha la responsabilità quei principi di riflessione, criteri di giudizio e orientamenti pratici che possano garantirne l’intelaiatura antropologica ed etica attorno al bene comune (cfr Enc. Caritas in veritate, 67). Nella riflessione, comunque, è da tenere presente che non si dovrebbe immaginare un superpotere, concentrato nelle mani di pochi, che dominerebbe su tutti i popoli, sfruttando i più deboli, ma che qualunque autorità deve essere intesa, anzitutto, come forza morale, facoltà di influire secondo ragione (cfr Pacem in terris, 27), ossia come autorità partecipata, limitata per competenza e dal diritto.

Ringrazio il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace perché, assieme ad altre istituzioni pontificie, si è prefissato di approfondire gli orientamenti che ho offerto nella Caritas in veritate. E ciò, sia mediante le riflessioni per una riforma del sistema finanziario e monetario internazionale, sia mediante la Plenaria di questi giorni e il Seminario internazionale sulla Pacem in terris del prossimo anno.

La Vergine Maria, Colei che con fede ed amore ha accolto in sé il Salvatore per donarlo al mondo, ci guidi nell’annuncio e nella testimonianza della Dottrina sociale della Chiesa, per rendere più efficace la nuova evangelizzazione. Con questo auspicio, ben volentieri imparto a ciascuno di voi la Benedizione Apostolica. Grazie.

 





Caterina63
00mercoledì 5 dicembre 2012 15:54

[SM=g1740733]  Il Papa ribadisce il no alla tecnocrazia e al "mondialismo" del Pontificio Consiglio per la Giustizia.

 

Benedetto XVI è tornato sul controverso documento prodotto dal Pontificio Consiglio per la Giustizia il 24 ottobre 2011, esortando ad una lettura esatta della "Pacem in terris". Più che una precisazione, la sua pare proprio una correzione.

 

di Massimo Introvigne, da "La Bussola Quotidiana" (05-12-2012)

 

È sfuggito a molti, ma nel discorso del 3 dicembre 2012 alla plenaria del Pontificio Consiglio per la Giustizia e la Pace Benedetto XVI è personalmente intervenuto per spiegare, precisare e in parte correggere un controverso documento di quel dicastero.

(Il testo è quello riportato integralmente sopra questo - nota mia)

 

Si tratta del testo del 24 ottobre 2011, Per una riforma del sistema finanziario e monetario internazionale nella prospettiva di un’autorita? pubblica a competenza universale, che, a credere ai vaticanisti, aveva a suo tempo suscitato riserve nello stesso cardinale Tarcisio Bertone, dando origine alla disposizione che invitava da allora in poi tutti i dicasteri pontifici a sottoporre i loro documenti alla Segreteria di Stato prima della pubblicazione.

 

Il Pontefice - sia nell'enciclica Caritas in veritate sia in discorsi successivi - denuncia la tecnocrazia, il prevalere di tecnici che non rispondono né agli elettori né al bene comune ma fondano il loro potere sulla pretesa di un sapere superiore, come uno dei grandi pericoli del nostro tempo. I critici del documento del Pontificio Consiglio si sono chiesti se l'autorità mondiale - di cui quel testo parla con precisazioni perfino troppo numerose, mentre la stessa autorità era stata evocata nella Caritas in veritate in linea generale e senza dettagli - non rischi di risolversi nell'ennesimo potere tecnocratico anonimo, che decide sfuggendo a ogni controllo dei cittadini.

 

L'idea di un governo mondiale dell'economia nasce dall'enciclica Pacem in terris del beato Papa Giovanni XXIII (1881-1963) dell'11 aprile 1963, di cui - ha ricordato il Papa - fra qualche mese si celebrerà il cinquantenario. Benedetto XVI inquadra il tema partendo dall'idea che la dottrina sociale «è parte integrante della missione evangelizzatrice della Chiesa», e va pure considerata «importante per la nuova evangelizzazione». La Pacem in terris, spiega il Pontefice, c'insegna che diventando cristiani accettiamo un'antropologia «contrassegnata dalla trascendenza, in senso sia orizzontale sia verticale. Dall’antropologia integrale, che deriva dalla Rivelazione e dall’esercizio della ragione naturale, dipendono la fondazione e il significato dei diritti e dei doveri umani». [SM=g1740721]

Questa nozione della Pacem in terris è importante, perché si risolve in una riaffermazione del diritto naturale. «I diritti e i doveri, infatti, non hanno come unico ed esclusivo fondamento la coscienza sociale dei popoli, ma dipendono primariamente dalla legge morale naturale, inscritta da Dio nella coscienza di ogni persona, e quindi in ultima istanza dalla verità sull’uomo e sulla società».

 

Se non si cerca il fondamento dei diritti umani nel diritto naturale, prosegue Benedetto XVI, si rischiano insieme una deriva relativista e una tecnocratica. «Sebbene la difesa dei diritti abbia fatto grandi progressi nel nostro tempo, la cultura odierna, caratterizzata, tra l’altro, da un individualismo utilitarista e un economicismo tecnocratico, tende a svalutare la persona. Questa viene concepita come un essere "fluido", senza consistenza permanente. Nonostante sia immerso in una rete infinita di relazioni e di comunicazioni, l’uomo di oggi paradossalmente appare spesso un essere isolato, perché indifferente rispetto al rapporto costitutivo del suo essere, che è la radice di tutti gli altri rapporti, quello con Dio».

 

La tecnocrazia considera l'uomo «in chiave prevalentemente biologica o come "capitale umano", "risorsa", parte di un ingranaggio produttivo e finanziario che lo sovrasta». Si parla molto dei diritti della persona ma nel contempo, all'interno dell'orizzonte culturale tecnocratico, si affermano «nuove ideologie - come quella edonistica ed egoistica dei diritti sessuali e riproduttivi o quella di un capitalismo finanziario sregolato che prevarica sulla politica e destruttura l’economia reale -», le quali negano la trascendenza della persona umana.

 

La dottrina sociale della Chiesa deve dunque mirare oggi «a detronizzare gli idoli moderni, a sostituire l’individualismo, il consumismo materialista e la tecnocrazia, con la cultura della fraternità e della gratuità, dell’amore solidale». Solo in questo contesto si comprende l'idea di un'autorità mondiale della Pacem in terris. [SM=g1740722]

«Il beato Papa Giovanni XXIII - afferma Benedetto XVI - ha motivato l’impegno per la costruzione di una comunità mondiale, con una corrispondente autorità, proprio muovendo dall’amore, e precisamente dall’amore per il bene comune della famiglia umana». Occorre leggere le parole esatte della Pacem in terris: «Esiste un rapporto intrinseco fra i contenuti storici del bene comune da una parte e la configurazione dei Poteri pubblici dall’altra. L’ordine morale, cioè, come esige l’autorità pubblica nella convivenza per l’attuazione del bene comune, di conseguenza esige pure che l’autorità a tale scopo sia efficiente» (n. 71).

 

Con parole in cui si può vedere, se non una pubblica correzione, almeno una precisazione del documento del Pontificio Consiglio, Benedetto XVI afferma che «la Chiesa non ha certo il compito di suggerire, dal punto di vista giuridico e politico, la configurazione concreta di un tale ordinamento internazionale»: si limita a offrire uno spunto di riflessione generale. E «nella riflessione, comunque, è da tenere presente che non si dovrebbe immaginare un superpotere, concentrato nelle mani di pochi, che dominerebbe su tutti i popoli, sfruttando i più deboli, ma che qualunque autorità deve essere intesa, anzitutto, come forza morale, facoltà di influire secondo ragione (cfr Pacem in terris, 27), ossia come autorità partecipata, limitata per competenza e dal diritto».

 

Il «superpotere» sarebbe in effetti una nuova manifestazione della tecnocrazia, che la Chiesa non intende certamente favorire. Un'autorità internazionale limitata «dal diritto» nella sua «competenza» ad alcune materie, e intesa più come autorità «morale» che come governo, potrebbe invece aiutare a evitare derive pericolose che, specie in campo finanziario, sono alle radici della crisi attuale. Si può immaginare, per esempio, che - se fosse esistita - qualche anno fa avrebbe potuto autorevolmente mettere in guardia contro prodotti finanziari speculativi venduti sui mercati internazionali e privi di un vero rapporto con l'economia reale.

 

Con questo intervento del Papa, le polemiche sul documento del 24 ottobre 2011 potrebbero essere chiuse. Mentre non è chiusa la riflessione su chi davvero comanda nell'economia mondiale, e su quali autorità nazionali o internazionali potrebbero mettere argine alle pretese tecnocratiche: stando bene attente, però, a non crearne di nuove.

 

 

Un ritratto del grande Benedetto XVI

 

 

Giovanni XXIII firma la "Pacem in Terris"

 

 

Banner del Pontificio Consiglio Giustizia e pace


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