Benedetto XVI: un Pontificato Pastorale e Dottrinale insieme,obbedienza e carità insieme

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Caterina63
00martedì 24 marzo 2009 14:06

Un grande Messori commenta la lettera del Papa ai vescovi.

Riportiamo un articolo di Vittorio Messori che rileva, e giustamente, come il nucleo essenziale del ministero del Papa sia quello di confermare i fratelli nella fede, e come il Papa stesso sottolinei nella lettera ai vescovi l'urgenza e la drammaticità di questa esigenza, allorché in vaste parti del mondo è sul punto di spegnersi la fiammella della fede e la Chiesa è tentata di ridursi ad una sorta di ONG (Organizzazione Non Governativa) impegnata 'nel sociale'.

(Al commento sopra degli amici di Messainlatino, raggiungibili dal titolo lincato, aggiungo che in questo thread verranno postate le riflessioni su questo Pontificato STRAORDINARIO con un grazie nella Preghiera a Benedetto XVI per come sta mandando avanti la Santa Chiesa....[SM=g1740738] )

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Chi stimava Joseph Ratzinger è stato riconfermato nell'ammirazione dalla lettera ai vescovi sulle polemiche circa la revoca della scomunica ai vescovi di Econe. Un testo forte e al contempo «sommesso», come scrive l'Autore stesso, di un'umiltà e sincerità limpidamente evangeliche. La missiva, a differenza di quanto ha detto qualcuno, rafforza il prestigio di Benedetto XVI, che sente se stesso non come un potente tra i potenti ma come il custode di una Verità che non è sua, che gli è stata affidata, che a ogni costo deve difendere.

Proprio per questo sorprende che sia stata poco rilevata la frase che, nella sua drammaticità, è il centro non solo della lettera ma dell'intero pontificato e che spiega anche questo insolito intervento. Scrive, in effetti colui cui i fedeli guardano come al Vicario di Cristo: «Oggi, in vaste zone della terra, la fede è nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento». E ancora: «Il vero problema in questo nostro momento della storia è che Dio sparisce dall'orizzonte degli uomini».Benedetto XVI ribadisce, qui, la consapevolezza che «la prima priorità per il successore di Pietro è stata fissata dal Signore nel Cenacolo in modo inequivocabile: "Tu, conferma nella fede i tuoi fratelli"». Da sempre, quest'uomo — che non a caso è stato per 24 anni Prefetto delle Congregazione per la Fede — ha avuto ben chiara la successione indispensabile: prima la fede, appunto; e, poi, ma soltanto «poi», l'istituzione ecclesiale. La quale è indispensabile, nella strategia di un Dio creatore che ha voluto la collaborazione delle sue creature. Ma la Chiesa, intesa come organizzazione visibile che cammina nella storia, non è che un involucro, un guscio, una conchiglia per ospitare ciò che conta e che solo la fede può scorgere: la perla invisibile, cioè, il mistero del Cristo e i suoi sacramenti, a cominciare dall'eucaristia. Il «mondo» si occupa — e non può fare altrimenti — di Vaticano, di Santa Sede , di Sacri Palazzi, di Nomenklatura gerarchica. Ma tutto questo non è che un mezzo — sempre riformabile e spesso opaco — per l'unico, vero fine: l'annuncio che il Vangelo non è una illusione ma una verità e che su di essa è ragionevole basare la propria vita e la propria morte.

Dovrebbe essere scontato, almeno per i credenti. Eppure, in questi decenni, non sembra esserlo stato all'interno della Chiesa stessa. Quando, nell'agosto del 1984, l'allora cardinal Ratzinger e il cronista che qui scrive si rinchiusero per qualche giorno nel seminario di Bressanone, erano consapevoli di rompere, per la prima volta dopo 442 anni, il silenzio e il segreto impenetrabili del Sant'Uffizio. Come titolo al libro che doveva nascere da quel colloquio, fummo d'accordo sul termine «rapporto», ma fu lo stesso Cardinal Prefetto che suggerì «sulla fede», piuttosto che «sulla Chiesa». Mi ribadì infatti l'ovvia ma troppo spesso dimenticata verità: il prius è la fede, mentre l'istituzione ecclesiale, l'insegnamento morale, l'impegno sociale non sono che derivati, effetti, conseguenze campate in aria — se non assurde — se non avessero a monte la scommessa sulla verità del vangelo. Ed è proprio questa scommessa che «è in pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento». Parole drammatiche, lo ribadiamo. Meraviglia davvero che non abbiano trovato eco.

All'interno della Chiesa, la rissa postconciliare, tra contestazioni e restaurazioni, è divampata attorno alla riorganizzazione della istituzione, del «Vaticano», o alle conseguenze etiche e sociali da trarre dal Vangelo. Confronti violenti, dunque, su cose come la funzione del papato, il ruolo di clero, laici, donne, il celibato, i poteri delle Conferenze episcopali, l'ecumenismo o su temi come impegno politico del cristiano, divorzio, aborto, ingegneria genetica, omosessualità. Problemi importanti ma, al contempo, temi derivati, da «cristianesimo secondario». Ben pochi dei litiganti si interrogavano su quello «primario»: sulla possibilità cioè dell'uomo post-moderno di credere ancora nella verità del Vangelo, senza il quale tutto questo non avrebbe significato. Mentre ci si azzuffava sulle conseguenze del credere, ci si dimenticava di riesaminare se ci fossero ancora ragioni valide per farlo. C'è stata, e c'è, guerra tra preti sui metodi per innovare la catechesi, ma senza preoccuparsi perché dovremmo prendere ancora sul serio il catechismo, senza essere sbeffeggiati come cretini perché ancora cristiani.

Dichiarata anacronistica l'apologetica — cioè la ricerca per accordare ragione e fede, scienza e miracolo, cultura e devozione — quel che resta del popolo di Dio si è trovato disarmato davanti all'aggressione sferrata contro tutti e tre i «cerchi» del credere: l'esistenza di Dio, Gesù come Cristo annunciato dai profeti d'Israele, la Chiesa come istituzione divina. La crisi cattolica non è della «macchina»: se questa perde sempre più colpi, sin quasi a spegnersi, come in tante congregazioni religiose, è perché il carburante rischia di esaurirsi. È la caduta della fede, è la drammatica — spesso occultata — domanda «ma sarà vero? Non sarà una illusione?», che spiega l'abbandono del ministero di un terzo del clero, il rarefarsi delle vocazioni ai seminari, la scomparsa della tensione missionaria, l'allentarsi delle difese morali tra coloro che dovrebbero essere di esempio. È il credere solo al mondo presente, dubitando ormai che un aldilà esista, che ha portato all'attenzione esclusiva per l'impegno sociale e politico, relegando nel silenzio quelli che la Tradizione chiamava i Novissimi: morte, giudizio, inferno paradiso.

Benedetto XVI non pensa affatto a quel Concilio Vaticano III che qualcuno invoca, per riformare ancor più l'istituzione e per adattare la morale evangelica al politicamente corretto attuale. Preoccupazioni da clericali. Se a un Concilio papa Ratzinger pensasse, sarebbe per riportare al centro le ragioni per credere in Gesù come Dio e Redentore. Non a caso sottrae tempo ed energie ad altri impegni per dedicarsi al completamento dell'opera sulla storicità dei vangeli, messa in dubbio oggi anche nella Chiesa stessa.

Non è l'ossessione di un professore, è l'ansia del Pastore che vuol confermare che la fede, base di tutta la piramide ecclesiale, è ancora credibile, non contrasta con la ragione.

Dal Corriere della sera, 23 marzo 2009 (consultabile qui)


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Caterina63
00mercoledì 25 marzo 2009 08:13
Al ritorno dal viaggio apostolico in Africa, in aereo il Santo Padre ha parlato ai giornalisiti....
dopo aver seguito qui, nella stessa sezione:
17-23 Marzo 2009 il Papa in Camerun e in Angola (pagine:1 2 )
i testi con le foto, ascoltiamo ora il suo breve resoconto ai giornalisti....dalla sua viva voce....[SM=g1740738]

Ecco le sue parole:

“Cari amici …

vedo che voi lavorate ancora. Il mio lavoro è quasi finito, invece il vostro comincia di nuovo e grazie per questo impegno...

mi sono rimaste nella memoria soprattutto due impressioni: da una parte l’impressione di questa cordialità quasi esuberante, di questa gioia, di un’Africa in festa, e mi sembra che nel Papa hanno visto, diciamo, la personificazione del fatto che siamo figli e famiglia di Dio. Esiste questa famiglia e noi con tutti i limiti siamo in questa famiglia e Dio è con noi. E così la presenza del Papa ha … aiutato a sentire questo … E dall’altra parte mi ha fatto grande impressione lo spirito di raccoglimento nelle liturgie, il forte senso del sacro: nelle liturgie non c’è autopresentazione dei gruppi, autoanimazione, ma c’è la presenza del sacro, di Dio stesso; anche i movimenti erano sempre movimenti di rispetto e di coscienza della presenza divina. Questo mi ha fatto una grande impressione.

Poi devo dire che sono stato profondamente colpito dal fatto che sabato nel caos formatosi all’ingresso dello stadio sono morte due ragazze. Ho pregato e prego per loro. Purtroppo una non è stata ancora identificata.
Il cardinal Bertone e mons. Filoni hanno potuto visitare la mamma dell’altra ragazza: una donna vedova, coraggiosa, con cinque figli. La ragazza deceduta, era la prima dei suoi figli ed era una catechista. E noi tutti preghiamo e speriamo che in futuro le cose possano essere organizzate in modo che questo non succeda più.

Poi due altri ricordi rimasti nella mia memoria: un ricordo speciale – ci sarebbe tanto da dire – è il Centro Cardinal Léger: mi ha toccato il cuore vedere qui il mondo delle sofferenze molteplici, tutta la sofferenza, la tristezza, la povertà dell’esistenza umana, ma anche vedere come Stato e Chiesa collaborano per aiutare i sofferenti. Da una parte lo Stato gestisce in modo esemplare questo grande Centro, dall’altra, movimenti ecclesiali e realtà della Chiesa collaborano per aiutare realmente queste persone. E si vede, mi sembra, che l’uomo aiutando il sofferente diventa più uomo, il mondo diventa più umano: questo rimane iscritto nella mia memoria.

Poi abbiamo distribuito l’Instrumentum laboris per il Sinodo e abbiamo anche lavorato per il Sinodo. Nella sera del giorno di San Giuseppe mi sono riunito con i componenti del Consiglio per il Sinodo – 12 vescovi – e ognuno ha parlato della situazione della sua Chiesa locale, delle loro proposte, delle loro aspettative, e così è nata un’idea molto ricca della realtà della Chiesa in Africa, come si muove, come soffre, che cosa fa, quali sono le speranze, i problemi. Potrei raccontare molto, per esempio che la Chiesa del Sudafrica, che ha avuto un’esperienza di riconciliazione difficile, ma sostanzialmente riuscita, aiuta adesso con le sue esperienze il tentativo di riconciliazione in Burundi e cerca di fare qualcosa di simile, anche se con grandissime difficoltà, in Zimbabwe.

Infine vorrei ancora una volta ringraziare tutti coloro che hanno contribuito per la bella riuscita di questo viaggio: abbiamo visto quali preparativi lo avevano preceduto, come hanno collaborato tutti, vorrei ringraziare le autorità statali, civili, della Chiesa e tutti i singoli che hanno collaborato. Mi sembra che veramente la parola “grazie” dovrebbe concludere questa avventura e grazie ancora una volta anche a voi, giornalisti, per il lavoro che avete fatto e farete. Buon viaggio a voi tutti. Grazie!”

Radio Vaticana

ed ecco il video.... [SM=g1740717]





[SM=g1740680]
Caterina63
00sabato 18 aprile 2009 09:31

Domenica 19 aprile 2009

Benedetto XVI , quattro anni di pontificato


di padre Giovanni Scalese
http://querculanus.blogspot.com/2009/04/benedetto-xvi-quattro-anni-di.html


Ieri era il compleanno del Papa; domenica prossima sarà l'anniversario della sua elezione
.
Occasioni buone per redigere bilanci di questo pontificato. Io non sono nessuno per fare bilanci; mi limiterò a esprimere qualche pensiero in libertà, secondo il mio solito, anche su questo argomento.

Innanzi tutto, alcune premesse. Prima premessa: sono romano. Noi romani vogliamo bene al Papa. Non a questo o a quel Papa, ma al Papa, chiunque egli sia. Quando, dopo secoli, con Giovanni Paolo II, abbiamo avuto un Papa straniero, non abbiamo fatto nessuna fatica ad accettarlo, semplicemente perché... era il Papa. Vogliamo bene al Papa, ma siamo anche un po' scanzonati: non dimentichiamo che Roma è la patria di Pasquino e del Belli.

Seconda premessa. Appartengo a un Ordine religioso che, pur rimanendo sempre fedele alla Chiesa, ha vissuto un rapporto spesso conflittuale con la Sede Apostolica. Alle origini i Barnabiti dovettero subire una visita apostolica, che li obbligò a rinunciare a molte novità che li caratterizzavano. Un momento di forte tensione fu quello vissuto nell'Ottocento a causa della questione rosminiana. Nel Novecento Pio X fu addirittura tentato di procedere alla soppressione dell'Ordine, perché sospetto di simpatie moderniste. Ma, nonostante ciò, i Barnabiti sono sempre stati figli obbedienti della Chiesa e i Papi hanno sempre saputo che potevano fidarsi di loro.

Terza premessa. La formazione che ho ricevuto, dai Domenicani e dai Gesuiti, è di assoluta fedeltà alla Chiesa, ma scevra da qualsiasi piaggeria. L'unica preoccupazione dei Domenicani era il culto per la verità. Dei Gesuiti ricorderò sempre l'atteggiamento di totale sottomissione al Pontefice nel momento del "commissariamento" della Compagnia da parte di Giovanni Paolo II.


Quarta premessa. Personalmente, sono rimasto alla bolla Unam Sanctam di Bonifacio VIII: credo con convinzione che "subesse Romano Pontifici omni humanæ creaturæ ... omnino esse de necessitate salutis". Ma, allo stesso tempo, sono altrettanto convinto che sottomissione al Papa non sia sinonimo di cortigianeria, ancor meno di "papolatria". Potete immaginare con quale spirito guardassi a certe manifestazioni "popolari" (non so se spontanee o indotte) durante il precedente pontificato.

Fatte queste premesse, veniamo a Benedetto XVI. Innanzi tutto, diciamo che nutrivo una grande ammirazione per lui prima che diventasse Papa. Mi sembrava che fosse una garanzia per la Chiesa la sua presenza a fianco di Giovanni Paolo II. Per quanto questo Papa abbia fatto molto per la Chiesa durante il suo pontificato, alcuni suoi atteggiamenti mi lasciavano un tantino perplesso (si pensi ai vari "mea culpa" e alle Giornate di Assisi). Ebbene, il fatto che ci fosse sempre il Card. Ratzinger a mettere i puntini sugli "i", mi dava sicurezza. Per questo mi aspettavo (e ho desiderato ardentemente) la sua elezione a Sommo Pontefice e, una volta avvenuta, l'ho accolta con gioia. Non dimenticherò mai quel momento: ero a Manila; ero andato a dormire; a un certo punto, durante la notte, mi sveglio e dico: Sta' a vedere che hanno fatto il Papa; accendo la televisione e vedo Ratzinger che stava rivolgendo il suo primo saluto e dando la sua prima benedizione. Pochi giorni dopo ero a Roma e potei partecipare alla sua prima udienza generale, quella nella quale spiegava perché aveva scelto il nome Benedetto.

Penso che questo Papa sia stato veramente voluto dallo Spirito Santo. Egli sta facendo quello che solo lui poteva fare. È stato fatto notare che con Giovanni Paolo II è finita la generazione dei Vescovi che avevano partecipato al Concilio; ora è la volta dei periti conciliari. Si noti che tali periti svolsero un ruolo non secondario durante il Concilio. Molti dei problemi provocati dal Vaticano II vanno ricondotti al lavoro di quei giovani teologi, che pensavano col Concilio di rifondare la Chiesa. Non so, perché non ho approfondito la questione, quale sia stato il contributo specifico dei vari Ratzinger, Küng, Rahner, Congar o De Lubac; so solo che molti Vescovi, specialmente quelli provenineti dall'Europa del Nord, dipendevano dalle loro teorie. Per questo dico che solo uno di loro oggi poteva porre rimedio ai danni che loro stessi avevano provocato. Sono ben consapevole che non si può mettere sullo stesso piano un Ratzinger e un Küng; ma in ogni modo fu Ratzinger a preparare il famoso discorso del Card. Frings contro il Sant'Uffizio (il caso ha voluto che lui stesso finisse su quella poltrona e sperimentasse come rivolte a sé critiche simili a quelle che lui aveva rivolto al Card. Ottaviani).

Rispetto alle sue posizioni come Cardinale, Benedetto XVI in qualche caso ha dovuto fare retromarcia. Per esempio, lui che era così critico riguardo al dialogo interreligioso, ora passa per uno dei suoi maggiori sostenitori. Ciò non mi meraviglia, dal momento che, quando si assume un nuovo incarico, si vedono le cose con uno sguardo diverso. Ciò che conta è il modo in cui poi si fanno le cose. E mi sembra che, specialmente nei confronti dell'Islam, i termini del dialogo siano stati impostati correttamente (su un piano razionale piuttosto che teologico).

Soprattutto nei giorni immediatamente successivi alla sua elezione si parlava tanto di una riforma della Curia Romana, ma questa sembra ancora "di là da venire". Ciò dimostra quanto tutte le Curie siano realtà assai difficili da gestire. Si pensava che, eleggendo un uomo di Curia, sarebbe stato più facile procedere a una sua riforma. Invece ci siamo accorti che un uomo che viene da quell'ambiente è troppo condizionato da esso per poter muoversi liberamente. Non sempre la conoscenza approfondita di una realtà permette di intervenire su di essa; talvolta è meglio essere degli estranei per agire, forse con un po' di incoscienza, ma con maggiore libertà. Un fatto è certo: molte opposizioni derivano a Benedetto XVI da quegli stessi che gli erano nemici quando era Prefetto della Dottrina della Fede.

Uno dei punti a cui Benedetto XVI sembra dare maggiore attenzione è la liturgia. Questo perché è convinto che molti dei mali della Chiesa dipendono dal modo in cui viene intesa e celebrata la liturgia. Papa Ratzinger è pienamente consapevole che con la riforma liturgica si è andati troppo avanti. Per questo parla di una "riforma della riforma". Ho già detto più volte che questo programma mi trova pienamente d'accordo. Il problema è che ora l'immagine che si ha di lui è quella di uno che vuole semplicmente restaurare la liturgia tridentina. Il motu proprio Summorum Pontificum, in sé pienamente legittimo e comprensibile, ha trasmesso questa idea, dalla quale io stesso — lo confesso — non sono stato del tutto immune: "OK, ragazzi, finora abbiamo scherzato; la riforma liturgica è stato un diversivo; ora torniamo alle cose serie", sconfessando in tal modo il Vaticano II. Personalmente sono d'accordo che la riforma, così come è stata attuata (leggi: Mons. Bugnini), forse non corrispondeva alle prescrizioni del Concilio; ma che ci fosse bisogno di una riforma liturgica, penso che non ci piova. Si tratta, come continuo a ripetere, di "tornare" al Vaticano II (a quello vero). E questo è possibile solo attraverso una "riforma della riforma", che valga per tutti, non solo per alcuni.

Quanto al tentativo di ricucire lo scisma lefebvriano (non so se sia corretto usare questa espressione, ma la uso tanto per intenderci), anche qui sono pienamente in linea con Benedetto XVI. Anche in questo caso è stata giustamente sottolineata una questione personale: lo "scisma" si è consumato durante il suo mandato come Prefetto del Sant'Uffizio; evidentemente non vuole lasciare questa vita prima di aver risanato tale frattura. Un intento encomiabile. Certamente c'è anche il desiderio di recuperare alla causa della Chiesa delle forze fresche, pronte per l'evangelizzazione. Anche in questo caso, una preoccupazione più che legittima da parte di un Papa. Lo aveva già fatto Giovanni Paolo II con i vari movimenti ecclesiali. L'esperienza di quel Pontefice però dovrebbe ammaestrarci a non confidare troppo in queste realtà, trascurando il resto della Chiesa, considerata pressoché irrecuperabile. Capisco che la tentazione c'è, ma non si può dare per persa la struttura ordinaria della Chiesa (diocesi e parrocchie), perché è lì che si gioca la partita. Queste altre realtà (preziose, ma umanamente fallibili come il resto della Chiesa) possono aiutare, ma non possono essere sopravvalutate o addirittura esclusivizzate.[SM=g1740722] [SM=g1740721]

Ma l'aspetto più bello di questo pontificato è la capacità comunicativa che ha Benedetto XVI. Nonostante che abbia tutto il sistema mediatico contro, riesce a stabilire un contatto diretto con la gente (quella vera, non quella dipinta dai mezzi di comunicazione). E, una volta stabilito il contatto, riesce anche a trasmettere contenuti non sempre così ovvi e banali. I suoi discorsi sono profondi e talvolta difficili, ma la gente riesce a comprenderli.

Ho soltanto un rilievo da fare; riguarda la formazione di Papa Ratzinger. Benedetto XVI è un grande teologo; eppure si nota, o almeno io noto, qualche carenza nella sua formazione. Essa è avvenuta sulla Bibbia (studiata con metodo critico), sui Santi Padri e sui filosofi e teologi moderni; gli manca completamente la scolastica (specialmente san Tommaso). Non è colpa sua, naturalmente: dipende dall'ambiente da cui proviene. Anche Papa Wojtyla aveva avuto una formazione diversa, ma per lo meno aveva svolto parte dei suoi studi all'Angelicum; in questo caso invece tutta la formazione è avvenuta in Germania. Quello che però a me potrebbe apparire un limite forse costituisce un vantaggio: Benedetto XVI rappresenta il meglio della cultura moderna e dimostra che tale cultura può, senza rinnegare sé stessa, andare incontro a Cristo. Estremamente significativo in proposito risulta il suo libro Gesù di Nazaret: attraverso il metodo storico-critico, che tanta preoccupazione aveva dato alla Chiesa cattolica, viene provata la storicità di Cristo. Papa Ratzinger dimostra che, dopo tanto vagare, la cultura moderna approda lì da dove era partita.


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Caterina63
00sabato 18 aprile 2009 10:17
ad maiora Santo Padre![SM=g1740734]



























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Caterina63
00sabato 18 aprile 2009 18:45

Il Papa e il mistero della luna



Inizia il quinto anno di pontificato di Benedetto XVI, eletto con una rapidità quasi senza precedenti dal conclave più numeroso mai riunitosi. E tuttavia il nuovo Papa non celebrò la sua elezione con toni trionfali, e nell'omelia della messa inaugurale del suo servizio come vescovo di Roma pronunciò una frase sorprendente:  "Pregate per me, perché io non fugga, per paura, davanti ai lupi". Un'immagine forte, il cui significato si è compreso soprattutto in questi ultimi tormentati mesi.

Conoscitore della tradizione, il Pontefice sa che le vicende della Chiesa in questo mondo sono come le fasi alterne della luna, che continuamente cresce e decresce, e il cui splendore dipende dalla luce del sole, cioè da Cristo. Così, il mistero della luna descritto dagli antichi autori cristiani è quello della Chiesa, spesso perseguitata, di frequente oscurata dalla sporcizia a causa dei peccati di molti suoi figli - come Joseph Ratzinger denunciò poco prima della sua elezione - ma che sempre torna a crescere, illuminata dal suo Signore.


Portare e mostrare il lume di Cristo nelle oscurità del mondo - come ancora una volta il vescovo di Roma ha fatto nel buio iniziale della veglia pasquale, con un gesto ripetuto in ogni angolo della terra - è il compito essenziale del Papa. Cosciente che in molti Paesi, anche di lunga tradizione cristiana, questa luce rischia di spegnersi, come ha scritto nell'ultima lettera ai vescovi. Confermando, con accenti di doloroso stupore di fronte allo stravolgimento dei fatti, le priorità misconosciute del suo pontificato.

Innanzi tutto, la testimonianza e l'annuncio che Dio non è lontano da ogni persona umana e che è davvero, come ripetono incessantemente le liturgie orientali, amico degli uomini. Per questo Benedetto XVI chiede di non escludere il trascendente dall'orizzonte della storia, per questo chiede con la stessa fiducia dei suoi predecessori di non chiudersi almeno alla possibilità, ragionevole, di Dio. Che non è un dio qualunque o, peggio, un idolo - in società materialiste dove l'idolatria è simile a quella dell'antichità - ma il Dio che si è rivelato a Mosè, cioè la Parola che si è fatta carne in Gesù.

Per parlare di Dio, Benedetto XVI lo celebra nella liturgia e lo spiega come pochi vescovi di Roma hanno saputo fare, sollecito della pace nella Chiesa che vuole ristabilire, come ha fatto - con un'offerta di misericordia e riconciliazione che è in perfetta continuità con il Vaticano II - nei confronti dei vescovi lefebvriani. Per questo il Papa vuole avanzare nel cammino ecumenico, per questo ha confermato la volontà di amicizia e di ricerca religiosa comune con il popolo ebraico, per questo accelera il confronto con le altre grandi religioni, con l'attenzione rivolta soprattutto alle radici culturali; in modo che questo confronto porti frutti reali su temi concreti, dal rispetto della libertà religiosa a quello della dignità della persona umana, come ora avviene con i musulmani.

Colpisce allora che questo limpido procedere venga ignorato e si continui a raffigurare, soprattutto in alcuni Paesi europei, Benedetto XVI e i cattolici in chiave negativa e ostile. Come è avvenuto con l'oscuramento del viaggio in Africa e con il silenzio mediatico di fronte alle omelie pasquali. Ma il Papa non ha paura dei lupi. E non è solo perché viene sostenuto dalle preghiere della Chiesa. Che, come la luna, trae sempre la sua luce dal sole. [SM=g1740734]

g. m. v.



(©L'Osservatore Romano - 19 aprile 2009)
Caterina63
00sabato 18 aprile 2009 18:53
La Chiesa costruita sul fondamento degli apostoli

I dodici «pescatori»
che ci insegnano a non essere individualisti


In occasione del quarto anniversario dell'elezione di Benedetto XVI come successore di Pietro, pubblichiamo un suo discorso - tenuto nel corso dell'udienza del 15 marzo 2006 in piazza San Pietro - dedicato agli apostoli. Il testo è stato scelto come introduzione dei cinque volumi che la Libreria Editrice Vaticana ha appena pubblicato raccogliendo le catechesi del Papa sugli apostoli, su san Paolo e i primi discepoli e sui Padri della Chiesa.


La Chiesa è stata costituita sul fondamento degli Apostoli come comunità di fede, di speranza e di carità. Attraverso gli Apostoli, risaliamo a Gesù stesso. La Chiesa cominciò a costituirsi quando alcuni pescatori di Galilea incontrarono Gesù, si lasciarono conquistare dal suo sguardo, dalla sua voce, dal suo invito caldo e forte:  "Seguitemi, vi farò pescatori di uomini!" (Marco, 1, 17; Matteo, 4, 19). Il mio amato Predecessore, Giovanni Paolo II, ha proposto alla Chiesa, all'inizio del terzo millennio, di contemplare il volto di Cristo (cfr. Novo millennio ineunte, 16ss).



Muovendomi nella stessa direzione, vorrei mostrare come proprio la luce di quel Volto si rifletta sul volto della Chiesa (cfr. Lumen gentium, 1), nonostante i limiti e le ombre della nostra umanità fragile e peccatrice. Dopo Maria, riflesso puro della luce di Cristo, sono gli Apostoli, con la loro parola e la loro testimonianza, a consegnarci la verità di Cristo. La loro missione non  è  tuttavia  isolata,  ma  si  colloca dentro un mistero di comunione, che coinvolge l'intero Popolo di Dio  e  si  realizza  a  tappe,  dall'antica alla nuova Alleanza.

Va detto in proposito che si fraintende del tutto il messaggio di Gesù se lo si separa dal contesto della fede e della speranza del popolo eletto:  come il Battista, suo immediato precursore, Gesù si rivolge anzitutto a Israele (cfr. Matteo, 15, 24), per farne la "raccolta" nel tempo escatologico giunto con lui. E come quella di Giovanni, così la predicazione di Gesù è al tempo stesso chiamata di grazia e segno di contraddizione e di giudizio per l'intero popolo di Dio. Pertanto, sin dal primo momento della sua attività salvifica Gesù di Nazaret tende a radunare il Popolo di Dio. Anche se la sua predicazione è sempre un appello alla conversione personale, egli in realtà mira continuamente alla costituzione del Popolo di Dio che è venuto a radunare, a purificare e a salvare.

Risulta perciò unilaterale e priva di fondamento l'interpretazione individualistica, proposta dalla teologia liberale, dell'annuncio che Cristo fa del Regno. Essa è così riassunta nell'anno 1900 dal grande teologo liberale Adolf von Harnack nelle sue lezioni su L'essenza del cristianesimo:  "Il regno di Dio viene, in quanto viene in singoli uomini, trova accesso alla loro anima ed essi lo accolgono. Il regno di Dio è la signoria di Dio, certo, ma è la signoria del Dio santo nei singoli cuori" (Lezione Terza, 100s). In realtà, questo individualismo della teologia liberale è un'accentuazione tipicamente moderna:  nella prospettiva della tradizione biblica e nell'orizzonte dell'ebraismo, in cui l'opera di Gesù si colloca pur con tutta la sua novità, risulta chiaro che tutta la missione del Figlio fatto carne ha una finalità comunitaria:  Egli è venuto proprio per unire l'umanità dispersa, è venuto proprio per raccogliere, per unire il popolo di Dio.

Un segno evidente dell'intenzione del Nazareno di radunare la comunità dell'alleanza, per manifestare in essa il compimento delle promesse fatte ai Padri, che parlano sempre di convocazione, di unificazione, di unità, è l'"istituzione dei Dodici".

Abbiamo sentito il Vangelo su questa istituzione dei Dodici. Ne leggo ancora una volta la parte centrale:  "Salì poi sul monte, chiamò a sé quelli che egli volle ed essi andarono da lui. Ne costituì Dodici che stessero con lui e anche per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demòni. Costituì dunque i Dodici..." (Marco, 3, 13-16; cfr. Matteo, 10, 1-4; Luca, 6, 12-16).

Nel luogo della rivelazione, "il monte", Gesù, con iniziativa che manifesta assoluta consapevolezza e determinazione, costituisce i Dodici perché siano con lui testimoni e annunciatori dell'avvento del Regno di Dio. Sulla storicità di questa chiamata non ci sono dubbi, non solo in ragione dell'antichità e della molteplicità delle attestazioni, ma anche per il semplice motivo che vi compare il nome di Giuda, l'apostolo traditore, nonostante le difficoltà che questa presenza poteva comportare per la comunità nascente.

Il numero Dodici, che richiama evidentemente le dodici tribù d'Israele, rivela già il significato di azione profetico-simbolica implicito nella nuova iniziativa di rifondare il popolo santo. Tramontato da tempo il sistema delle dodici tribù, la speranza d'Israele ne attendeva la ricostituzione come segno dell'avvento del tempo escatologico (si pensi alla conclusione del libro di Ezechiele:  37, 15-19; 39, 23-29; 40-48). Scegliendo i Dodici, introducendoli a una comunione di vita con sé e rendendoli partecipi della sua missione di annuncio del Regno in parole e opere (cfr. Marco, 6, 7-13; Matteo, 10, 5-8; Luca, 9, 1-6; Luca, 6, 13), Gesù vuol dire che è arrivato il tempo definitivo in cui si costituisce di nuovo il popolo di Dio, il popolo delle dodici tribù, che diventa adesso un popolo universale, la sua Chiesa.
 
Con la loro stessa esistenza i Dodici - chiamati da provenienze diverse - diventano un appello a tutto Israele perché si converta e si lasci raccogliere nell'alleanza nuova, pieno e perfetto compimento di quella antica. L'aver affidato a essi nella Cena, prima della sua Passione, il compito di celebrare il suo memoriale, mostra come Gesù volesse trasferire all'intera comunità nella persona dei suoi capi il mandato di essere, nella storia, segno e strumento del raduno escatologico, in lui iniziato.

In un certo senso possiamo dire che proprio l'Ultima Cena è l'atto della fondazione della Chiesa, perché Egli dà se stesso e crea così una nuova comunità, una comunità unita nella comunione con Lui stesso. In questa luce, si comprende come il Risorto conferisca loro - con l'effusione dello Spirito - il potere di rimettere i peccati (cfr. Giovanni, 20, 23). I dodici Apostoli sono così il segno più evidente della volontà di Gesù riguardo all'esistenza e alla missione della sua Chiesa, la garanzia che fra Cristo e la Chiesa non c'è alcuna contrapposizione:  sono inseparabili, nonostante i peccati degli uomini che compongono la Chiesa.

È pertanto del tutto inconciliabile con l'intenzione di Cristo uno slogan di moda alcuni anni fa:  "Gesù sì, Chiesa no". Questo Gesù individualistico scelto è un Gesù di fantasia. Non possiamo avere Gesù senza la realtà che Egli ha creato e nella quale si comunica. Tra il Figlio di Dio fatto carne e la sua Chiesa v'è una profonda, inscindibile e misteriosa continuità, in forza della quale Cristo è presente oggi nel suo popolo. È sempre contemporaneo a noi, è sempre contemporaneo nella Chiesa costruita sul fondamento degli Apostoli, è vivo nella successione degli Apostoli. E questa sua presenza nella comunità, nella quale Egli stesso si dà sempre a noi, è motivo della nostra gioia. Sì, Cristo è con noi, il Regno di Dio viene.



(©L'Osservatore Romano - 19 aprile 2009)

[SM=g1740734]
Caterina63
00domenica 19 aprile 2009 13:31

facevo stamani questa piccola riflessione:

Padre Giovanni Scalese ha il dono della sintesi  Sorriso

Mi è piaciuto soprattutto il passo chiaro ed umanamente accettabile di quell'unico "un rilievo da fare" comprensibile ed anzi, motivo per noi di preghiera...

A tal proposito vorrei segnalare che appena Ratzinger fu eletto, la gioia per me fu incontenibile perchè già usavamo nei forum il card. Ratzinger (quasi più del Papa) quale garante dell'ortodossia  Occhiolino se mettevamo il magistero pontificio, subito univamo i chiarimenti e gli insegnamenti del card. Ratzinger che solitamente approfondivano e spiegavano quanto diceva il Papa soprattutto in tema etico e morale...ma anche liturgico...

Oggi come vediamo non abbiamo bisogno di citare altri, ci basta davvero Benedetto XVI   Ghigno e dicevo, dunque, che la gioia fu incontenibile....il giorno dopo, riparlandone con il mio confessore, quando gli animi si furono placati dal primo impatto...mi disse il confessore: "si, è davvero una Provvidenza grande questa elezione, ma come tutte le cose umane e terrene ti faccio notare che c'è una piccola lacuna in Ratzinger: non ha lo stampo tomista..."
chiesi al mio sacerdote: "è grave?"
-"bè no, non esageriamo, l'ortodossia e il ministero petrino non sono una esclusiva dell'aquinate, il Papa troverà altre risorse dallo Spirito Santo man mano che andrà avanti...però questa carenza la noteremo..."

Ecco...questo, a distanza di 4 anni e senza conoscerci con padre Scalese, si è rivelato palese...
ma come stiamo appunto osservando il Papa trova ulteriori risorse perchè davvero il Signore e la Vergine Maria sono con lui, come ebbe a dire appena eletto...ed anzi, quanto più si riconosce UMILMENTE una qualche carenza, maggiormente il Signore AIUTA e viene incontro, ed opera prodigi... Occhiolino

ad maiora santo Padre!

Filialmente CaterinaLD

P.S.
STUPENDO L'ANGELUS DI OGGI....VE LO CONSIGLIO CALDAMENTE e lo posterò qui appena in rete...


Una analisi ancora, quella dell'OR , sopra riporata, davvero profonda e meditativa....
La conclusione è davvero una promanazione della speranza squisitamente cattolica, là dove dice:

"Ma il Papa non ha paura dei lupi. E non è solo perché viene sostenuto dalle preghiere della Chiesa. Che, come la luna, trae sempre la sua luce dal sole."

leggete e meditiamo l'Angelus di stamani...davvero stupendo...

ad maiora Santo Padre, le vogliamo davvero un mondo di Bene! Sorriso
Filialmente CaterinaLD

ecco l'Angelus di stamani[SM=g1740734]

Cari fratelli e sorelle!

A voi, qui presenti, e a quanti sono uniti a noi mediante la radio e la televisione, rinnovo di cuore fervidi auguri pasquali, in questa domenica che chiude l’Ottava di Pasqua. Nel clima di gioia, che proviene dalla fede in Cristo risorto, desidero poi esprimere un "grazie" cordialissimo a tutti coloro – e sono veramente tanti – che hanno voluto farmi pervenire un segno di affetto e di vicinanza spirituale in questi giorni, sia per le festività pasquali, sia per il mio genetliaco – il 16 aprile –, come pure per il quarto anniversario della mia elezione alla Cattedra di Pietro, che ricorre proprio oggi. Ringrazio il Signore per la coralità di tanto affetto. Come ho avuto modo di affermare di recente, non mi sento mai solo. Ancor più in questa singolare settimana, che per la liturgia costituisce un solo giorno, ho sperimentato la comunione che mi circonda e mi sostiene: una solidarietà spirituale, nutrita essenzialmente di preghiera, che si manifesta in mille modi. A partire dai miei collaboratori della Curia Romana, fino alle parrocchie geograficamente più lontane, noi cattolici formiamo e dobbiamo sentirci una sola famiglia, animata dagli stessi sentimenti della prima comunità cristiana, di cui il testo degli Atti degli Apostoli che si legge in questa domenica afferma: "La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola" (At 4,32).

La comunione dei primi cristiani aveva come vero centro e fondamento il Cristo risorto. Narra infatti il Vangelo che, nel momento della passione, quando il divino Maestro venne arrestato e condannato a morte, i discepoli si dispersero. Solo Maria e le donne, con l’apostolo Giovanni, rimasero insieme e lo seguirono fino al calvario. Risuscitato, Gesù donò ai suoi una nuova unità, più forte di prima, invincibile, perché fondata non sulle risorse umane, ma sulla divina misericordia, che li fece sentire tutti amati e perdonati da Lui. E’ dunque l’amore misericordioso di Dio ad unire saldamente, oggi come ieri, la Chiesa e a fare dell’umanità una sola famiglia; l’amore divino, che mediante Gesù crocifisso e risorto ci perdona i peccati e ci rinnova interiormente. Animato da tale intima convinzione, il mio amato predecessore Giovanni Paolo II volle intitolare questa domenica, la seconda di Pasqua, alla Divina Misericordia, e additò a tutti Cristo risorto quale sorgente di fiducia e di speranza, accogliendo il messaggio spirituale trasmesso dal Signore a santa Faustina Kowalska, sintetizzato nell’invocazione: "Gesù, confido in Te!".

Come per la prima comunità, è Maria ad accompagnarci nella vita di ogni giorno. Noi la invochiamo "Regina del Cielo", sapendo che la sua regalità è come quella del suo Figlio: tutta amore, e amore misericordioso. Vi domando di affidare a Lei nuovamente il mio servizio alla Chiesa, mentre con fiducia Le diciamo: Mater misericordiae, ora pro nobis.


P.S.
Faccio notare, con entusiasmo, ma senza alcuna presunzione Felice di come le immagini da me riprodotte sopra richiamano proprio alcuni passi dell'Angelus del Papa, in pensieri(=Magistero) espressi da Benedetto XVI in diverse occasioni...ecco il mio entusiasmo : quell'essere UN CUOR SOLO ED UN ANIMA SOLA...a partire proprio da Pietro e dallo stare CON LUI sempre e comunque, qualunque cosa accada...[SM=g1740734]

[SM=g1740733]
Caterina63
00domenica 19 aprile 2009 13:37
[SM=g1740733] Un grazie a Newman di RINASCIMENTO SACRO....che ha utilizzato le immagini da me riprodotte con il Magistro del Papa, per formulare gli Auguri al Santo Padre.... [SM=g1740717]

e le ha raccolte in questo Slide




[SM=g1740680] [SM=g1740722] [SM=g1740738]

www.rinascimentosacro.com/2009/04/il-papa-e-il-mistero-della-l...


[SM=g1740733]


Caterina63
00domenica 19 aprile 2009 14:19




[SM=g1740733]

questo è con la musica....

[SM=g1740722]




[SM=g1740735] [SM=g1740734] [SM=g1740717]


Caterina63
00mercoledì 22 aprile 2009 11:07
Un bellissimo commento di don Giovanni d'Ercole....[SM=g1740717]
                   

Dopo avere varcato l'82˚genetliaco, Joseph Ratzinger inizia il quinto anno di pontificato. Smentendo ancora una volta coloro che non lo conoscevano, il peso della tiara non lo ha sfiancato e non gli sono mancate le energie per viaggi impegnativi come quello africano. Merito anche della prospettiva che trae dalla fede. Non dimentico l'espressione sorpresa quando gli chiesi se erano serene le sue notti da Cardinal Prefetto della Dottrina della fede. Allora infuriava la contestazione clericale e sul suo tavolo giungeva­no dossier inquietanti da ogni par­te del mondo. È con sorpresa, dun­que, che mi rispose: «Fatto l'esame di coscienza e recitate le mie pre­ghiere, perché non dovrei dormire tranquillo? Se mi agitassi, non prenderei sul serio il Vangelo che ci ricorda, senza complimenti, che ciascuno di noi non è che un 'ser­vo inutile'. Dobbiamo fare sino in fondo il nostro dovere, ma consa­pevoli che la Chiesa non è nostra , la Chiesa è di quel Cristo che vuole usarci come strumenti ma che ne resta pur sempre il signore e la gui­da. A noi sarà chiesto conto dell'im­pegno, non dei risultati».

È con questo stesso spirito che ha accettato il peso del pontificato: per obbedienza, per amore della Chiesa, così come, ancor giovane professore, aveva sofferto ma non si era lagnato quando Paolo VI lo aveva strappato alla sua amata uni­versità per metterlo alla guida del­la grande diocesi di Monaco di Ba­viera. Passando, nell'aprile del 2005, alla nuova scrivania - poche centinaia di metri, in linea d'aria, da quella occupata per 24 anni ­non ha cambiato il suo stile, con­trassegnato dalla costanza e dalla pazienza, su uno sfondo molto te­desco di serietà, di precisione, di senso del dovere. Il programma lo aveva già chiaramente manifestato sin dal 1985 con il suo Rapporto sulla fede: una «riforma della rifor­ma », con il ritorno al Vaticano II «vero», non a quello immaginario dei sedicenti, vociferanti progressi­sti. Fedeltà piena alla lettera dei do­cumenti del Concilio, non a un pre­sunto, imprecisato «spirito del Concilio»: dunque, continuità, non rottura, nella storia della Chie­sa, per la quale non c'è un prima e un dopo.

Un obiettivo chiaro, perseguito innanzitutto come principale consi­gliere teologico di Giovanni Paolo II che però, talvolta, non fu del tut­to in sintonia con lui. La leale ami­cizia tra i due, divenuta presto af­fetto, non impedì la perplessità del Cardinale per alcune iniziative co­me le parate sincretiste di Assisi , le richieste di scuse per le colpe dei morti, la moltiplicazione dei viaggi a spese del governo quotidiano del­la Chiesa, l'eccesso di beatificazio­ni e canonizzazioni, la spettacola­rizzazione di momenti religiosi, magari con rockstar sul palco papa­le e la scelta di paramenti liturgici secondo le indicazioni dei registi televisivi. Pianto, con dolore sincero, l'ami­co venerato, presone il posto, pur senza averlo auspicato, divenuto dunque Benedetto XVI, Joseph Rat­zinger ha continuato il suo lavoro paziente. Un aggettivo che non usiamo a caso. In effetti, la pazien­za lo contrassegna da sempre: per rispetto delle persone; per reali­smo da cristiano che sa quale lun­ga tenacia sia necessaria per modi­ficare le cose; per consapevolezza che la Chiesa ha per sé tutta la sto­ria e i suoi ritmi non sono quelli del «mondo».

Così, sono stati spiazzati coloro che temevano o, al contrario, auspicavano una sorta di blitz in quella liturgia la cui «ri­forma della riforma» era, stando al Ratzinger cardinale, tra le cose più necessarie e magari urgenti. La sua «rivoluzione tranquilla» è comin­ciata non con qualche decreto per la Chiesa universale ma con la so­stituzione del Maestro delle Ceri­monie pontificie, scegliendo un li­turgista a lui congeniale: così, pri­ma che con gli ordini, il ritorno a riti nella linea della Tradizione sa­rebbe cominciata con l'esempio che scende dall'alto. Se celebra co­sì il Papa, non dovranno, prima o poi, adeguarsi anche il vescovo e il parroco? [SM=g1740721] Pazienza, e prudenza, an­che per la lingua liturgica, non sconvolgendo i messali ma facen­do convivere il latino accanto ai volgari, testimoniando anche così che il Vaticano II non è stato in rot­tura con la Tradizione e che san Pio V non fu meno cattolico di Pao­lo VI.

Altrettanta pazienza nei confron­ti della Nomenklatura ecclesiale: es­sa pure non è stata sconvolta, ma all'osservatore attento non sfuggo­no sostituzioni e nomine che rive­lano una strategia prudente e al contempo incisiva. Poco, comun­que, si capirebbe di questo pontifi­cato se non si mettesse in conto che, per Joseph Ratzinger, proble­ma dei problemi non è la «macchi­na » ecclesiale ma il carburante; non è il Palazzo, sono le fondamen­ta. È, cioè, quella fede che sa minac­ciata alla radice, quella fede che molti credono incapace di reggere all'assalto della ragione, quella fe­de assediata da ogni lato dal dub­bio. La crisi, più che della istituzio­ne, è della verità del Vangelo che la sorregge e le dà senso. Come mi disse una volta: «Siamo ormai a un punto in cui io stesso mi sorpren­do di chi continua a credere, non di chi non crede». Constatazione drammatica, che fa da sfondo a un pontificato il cui centro, non a ca­so, è la ricerca ( paziente...) di un nuovo rapporto tra la ragione mo­derna e la fede antica.

[SM=g1740722]

Caterina63
00giovedì 30 aprile 2009 15:20

giovedì 30 aprile 2009

Quella volta che il card. Ratzinger fu fermato senza il visto in aeroporto...


Il Papa ha nominato il nuovo presidente del Pontificio Consiglio per la pastorale della salute, il vescovo (ora arcivescovo) Zygmunt Zimowski (a sinistra nella foto), già suo collaboratore alla Congregazione per la Dottrina della Fede. Il sito Benoit et moi ha ripubblicato questa intervista del presule polacco, rilasciata nel 2006, in cui ricorda gli anni in cui ebbe a lavorare con l’allora card. Ratzinger. Ringraziamo con profonda gratitudine e riconoscenza la cara Luisa che non solo ci ha segnalato l'intervista, ma si è anche presa cura di tradurne la gran parte, a beneficio di tutti i lettori italiani. Grazie, Luisa.


-Eccellenza, lei è senza dubbio il polacco che conosce meglio Benedetto XVI. Quanto tempo avete lavorato insieme alla CDF?

Diciannove anni e 15 giorni. E' quel che lo Stato della Città del Vaticano ha calcolato per il mio trattamento pensionistico, che riceverò dopo il mio 75o compleanno. Io spero di vivere ancora altrettanto (ride)

-Quando lo ha incontrato per la prima volta?

Nell`autunno 1975. Il vescovo di Innsbruck celebrava il trentesimo anniversario della sua ordinazione episcopale e aveva invitato il cardinale Ratzinger, allora arcivescovo di Monaco per tenere l’omelia.
Mi ricordo dei suoi gesti, come la sua omelia scorreva fluida, i fedeli lo ascoltavano la bocca aperta. Ho osservato allora che Joseph Ratzinger è non solo un teologo ma anche un pastore. Ho visto la sua umiltà. E questa prima impressione resterà con me per sempre [..]
Ho cominciato a lavorare alla CDF nel 1983. C’è un proverbio che dice: “la sorte è cascata su Matteo”. Ho dapprima rifiutato dicendo che non avevo studiato a Roma che la Curia Romana mi era sconosciuta ma l’arcivescovo Ablewitz sorridendo mi disse "è meglio che non ci siano bagagli (del passato)”
Dopo fu la routine, il lavoro quotidiano accanto a questo grande uomo. I membri della Congregazione hanno sempre pensato che Ratzinger era un grande uomo di Chiesa. Siamo stati affascinati dalla sua semplicità, la sua bontà, la sua apertura.

-Questo contraddice l`immagine dei media: il panzercardinal, Ratzinger così riservato miracolosamente trasformato in un sorridente Benedetto XVI?

Sì ho letto questa opinione. È un grosso malinteso. Il cardinale è sempre stato un uomo sorridente, gioioso, dolce. Era timido, ma quando, dopo aver passato l`ostacolo della timidezza, si avvicinava , si impegnava a fondo.

-Era un panzercardinal?

Sì, quando si trattava della fede. San Paolo scrive che dobbiamo avere un`armatura di fede. È stato fermo e uomo di decisione, perchè durante 23 anni come prefetto doveva decidere in materia di fede e morale. Ma è sempre stato accanto a Giovanni Paolo II. Ho notato che i media quando avevano paura di attaccare direttamente il Papa molto spesso attaccavano al suo posto il cardinale Ratzinger.

- Questo lo imbarazzava?

Più c’erano critiche e più era calmo. Paradossalmente. È un uomo di preghiera. Ha sempre sottolineato che sono la verità, la pienezza della fede che contano.

-Quali sono i documenti che hanno provocato le critiche le più violente?

Per esempio i due documenti univoci - sulla teologia della liberazione e la Dominus Jesus, nel 2000. Io mi ricordo che ebbi una cena tête-à-tête con Giovanni Paolo II - Mons. Dziswisz era in missione da qualche parte - e il S. Padre mi ha parlato di quei documenti. Ha detto che la teologia della liberazione aveva solamente una dimensione orizzontale, che non aveva riferimenti a Dio. Ha aggiunto: "Io so perché i comunisti mi odiano tanto". Ha sbottonato tre bottoni della sua talare bianca e ha sorriso: "Perché io conosco l'interno"

-E Dominus Jesus? I media hanno spesso scritto che si trattava di un documento scritto in opposizione a Giovanni Paolo II...

Non è affatto vero! Il Papa aspettava veramente questo documento. Gli ha consacarato diverse meditazioni all`Angelus. Certe persone hanno voluto ostinatamente provare che il cardinale aveva cercato di spingere il documento. Tuttavia, ogni documento della Congregazione per la Dottrina della Fede ha qualcosa di un Credo, è ratificato dal Papa.
I media hanno voluto mettere il cardinale in conflitto con il Papa. Ma io li vedo ancora insieme, hanno sempre seguito una strada comune [..] Sono sempre stati vicini l`uno all`altro.
In occasione della Dominus Jesus, certi hanno anche voluto mettere in opposizione due cardinali tedeschi, Ratzinger e Kasper, responsabile dell’unità dei cristiani, ma non ci sono riusciti.

- Eccellenza, Lei ha insistito sulla semplicità del suo superiore. La vostra conversazione circa la sua ordinazione episcopale è diventata quasi un aneddoto.

Quando ho accettato la nomina per iscritto come vescovo di Radom, sono andato dal card. Ratzinger. Nel corso della conversazione, mi sono alzato di improvviso, mi ha guardato con aria un po’ perplessa, e gli ho detto: "Durante tutti questi giorni non ho mai domandato nulla, ma ora vi domando, Signor Cardinale, di ordinarmi vescovo." E’ rimasto sorpreso. Mi ha guardato e mi ha risposto: "Non sono degno".
E io ho detto: "No, sono io che non sono degno".
"Se nessuno di noi è degno, allora facciamolo", ha risposto sorridendo. E poi ha chiesto: "Ma in che lingua? Io non conosco il polacco".
Io ho proposto il latino. E ha risposto: "Che cosa dirà la gente di Radom? Ci devono comprendere". "Prepareremo dei libretti con le traduzioni", gli ho risposto.

- Una prova di grande intuizione sacerdotale.

Sì. Conosco parecchi altri esempi dell’umiltà del cardinale. Venti collaboratori della Congregazione per la Dottrina della Fede hanno preso lo stesso aereo per Radom, per la mia ordinazione. Quando ho proposto al cardinale un posto in classe affari, ha rifiutato. "Mi siederò con gli altri", ha risposto.
Poi, sull’aereo, gli hanno offerto un posto in classe affari, ma ha nuovamente rifiutato. Il volo è stato ritardato di un’ora, ma lui era in piedi ad aspettare umilmente. Molto edificante per noi.
Un altro aneddoto. L’episcopato americano aveva invitato il card. Ratzinger negli Stati Uniti. Padre Thomas, l’americano che organizzava questo viaggio, non ha pensato di procurarsi un visto per il cardinale. Sono atterrati a New York. Il Padre Thomas è passato dall’uscita per i cittadini americani, e il cardinale è rimasto pazientemente in piedi nella fila d’attesa per gli stranieri. Il Padre Thomas è andato a prendere i bagagli e il cardinale attendeva. Un quarto d’ora, mezz’ora, anche più. Alla fine è arrivato allo sportello di immigrazione. Ha dato all’agente il suo passaporto dello Stato della Città del Vaticano.

L’agente l’ha scrutato e gli ha chiesto quale fosse il motivo della sua visita: affari o piacere? Sorpreso, ha sorriso: "Non lo so...". L’agente d’immigrazione gli ha dichiarato: "Non posso lasciarla passare, padre, non ha il visto". Egli ha preso il suo passaporto tedesco, ma l’agente ha risposto: "Comunque le serve un visto". Il cardinale aspettava umilmente davanti allo sportello. Il Padre Thomas ha visto da lontano che c’era qualche problema e ha gridato: "Lo sa che quest’uomo è il cardinale Ratzinger?" E l’agente ha risposto: "Ma se non ha il visto...".
Il P. Thomas ha tempestato i responsabili dell’aeroporto e il cardinale ha ottenuto un visto di 30 giorni. Ha visitato diverse diocesi, fatto delle predicazioni. Nel corso della sua ultima riunione a Filadelfia ha riferito questa storia. Alla fine, ha aggiunto: "Ora so la ragione della mia visita: si trattava di un viaggio d’affari e di piacere". Tutti si sono messi a ridere.

- Avete fatto vacanze insieme?

Sì, una volta siamo stati una settimana in Sudtirolo (Bressanone). Abbiamo fatto passeggiate in montagna. Camminate non molto difficili, ma abbiamo camminato parecchio. La nonna del cardinale era sudtirolese, così si è riempito del paesaggio, l’ha ammirato.
Un’altra volta, abbiamo fatto un viaggio in Abruzzo. Mi ricordo bene che abbiamo incontrato un pastore. Un uomo semplice, non rasato, con il suo gregge. Gli si è avvicinato. Hanno cominciato a parlare. E allora ho avuto un’idea luminosa: devo fare una foto, perché si tratta di una riunione di due pastori!
[..]

– E come pregava il card. Ratzinger?

E’ uomo di profonda preghiera. Ho notato che amava soprattutto la preghiera dei salmi. Si fermava spesso, assorbito nella preghiera del breviario.
Diceva messa ogni mattina. La sola persona che vi partecipasse (all’inizio) era sua sorella: una donna semplice, modesta. Mi ricordo come si prendeva cura di lei, conducendola per Roma. La sua morte improvvisa è stato un grande shock per lui. Ella era andata alle tombe di famiglia ed è morta improvvisamente (il 2 novembre 19991 n.d.t.). L’ha sopportato con grande fede – dopo tutto aveva scritto un libro sull’escatologia – ma si è ben visto quanto ha sofferto.
[..]
- E come se la cava Benedetto XVI – un intellettuale timido, un topo di biblioteca - con la folla?

L’ho visto all’opera a Colonia. Sono rimasto commosso. Mi sono detto: "Oh, signor cardinale, che cosa le è successo?". Sono stato toccato quando l’ho visto, un uomo di grande delicatezza, predicare a più di un milione di pellegrini. Si tratta di una situazione nuova: il cardinale, quand’era prefetto, non poteva carezzare i bambini in piazza S. Pietro, perché si diceva che avrebbe fatto concorrenza al Papa. Ha fatto fedelmente solo quello che ci si aspettava da lui. Ma a Colonia, ho visto la potenza dello Spirito Santo. Come 2000 anni fa, quando ha ‘scosso’ gli Apostoli, oggi scuote questo teologo di grande modestia.
Quel che è interessante, è che Benedetto XVI ha parlato ad ogni nazione dei suoi problemi: ai Francesi ha parlato della messa domenicale, agli Italiani del Catechismo della Chiesa, ha ringraziato i Polacchi per il loro attaccamento alla fede. A Colonia, non ho visto un intellettuale pieno di modestia. Ho visto un profeta.



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L'uomo giusto, al posto giusto...nel momento giusto....
lo Spirito Santo non poteva sbagliare, [SM=g1740722]

lo aveva custodito nella fede nonostante avesse vissuto momenti storici PERICOLOSI, confusi e allettanti sotto altri aspetti, preparato nel forgiarne la mitezza e l'umiltà che non significa debolezza...lo ha incessantemente fatto innamorare ogni giorno dell'Eucarestia e per la Liturgia, per la Musica Sacra...lo aveva indotto nelle periferiche della teologia, lo aveva portato ad essere il difensore della sana Dottrina...gli aveva dato il coraggio di non andare ad Assisi e di preparare la Dominus Jesus...lo ha chiamato al soglio petrino nell'Anno dell'Eucarestia...

Nulla avviene "per caso"...Dio è con noi![SM=g1740717] [SM=g1740720]


Forza santità...c'è ancora molto da fare![SM=g1740722]


[SM=g1740738]

Caterina63
00mercoledì 18 novembre 2009 01:35

Relazione parlamentare francese su Curia e comunicazione vaticane

Nel settembre 2009 una commissione parlamentare francese si è recata a Roma per studiare i rapporti tra la République e la Santa Sede. Abbiamo già riferito della constatazione della perdita di influenza francese nella Curia; qui invece vogliamo tradurre fedelmente la seconda parte del rapporto informativo presentato all'Assemblea Nazionale, in cui si affronta, con impietosa analisi, il tema del funzionamento della Curia e, segnatamente, i problemi di comunicazione del Vaticano. Trovate il testo originario a questo LINK


II .- LA SANTA SEDE DOPO L'AVVENTO DI BENEDETTO XVI

A. UN CAMBIAMENTO DI STILE CHE NON ESCLUDE I PROBLEMI

Tutti gli interlocutori della delegazione, in particolare il Cardinale Dominique Mamberti e il cardinale Roger Etchegaray, hanno sottolineato che Benedetto XVI, divenuto il 265° Papa della Chiesa cattolica dopo la sua elezione nel mese di aprile 2005, ha seguito la stessa linea dottrinale del suo predecessore Giovanni Paolo II, e che non conviene confrontare due papi successivi, dagli stili personali e di governo diversi e mentre l’evoluzione del mondo si sta accelerando.

Molti eventi dimostrano che lo stile del nuovo papa incontra l'adesione dei fedeli, come confermato dalle Giornate Mondiali della gioventù a Colonia e Sydney, o il successo della visita pastorale effettuata in Francia nel settembre 2008, in cui i suoi interventi sono stati ben accolti, nonostante i timori iniziali di un giro di vite della Chiesa francese.

Benedetto XVI ha certamente proceduto a qualche nomina, ma la squadra che circondava Giovanni Paolo II è invecchiata e probabilmente non è più sempre in sintonia con la realtà. Non ci sono stati cambiamenti nell'organizzazione della Curia Romana né alcuna riforma degli organismi è stata proposta. Inoltre, gli strumenti previsti dalla Costituzione Apostolica per garantire il coordinamento tra le strutture vaticane non sono stati attivati.

Secondo alcuni interlocutori, il rischio di malfunzionamento o addirittura la mancanza di governo non è remota: la rivalità può sorgere, ad esempio tra la Segreteria di Stato, più sensibile alle questioni internazionali e alle reazioni diplomatiche, e alcuni dicasteri o la Prefettura della Casa Pontificia, come la delegazione ha potuto constatare essa stessa in sede di udienza generale, alla quale ha partecipato nella sala Paolo VI.

Inoltre, l'influenza dei prelati italiani resta ancora molto forte alla Curia e le frequenti interferenze con la vita politica interna d'Italia possono intaccare il messaggio universale della Chiesa. Per illustrare questa interferenza si posson citare le dimissioni del direttore del giornale della conferenza episcopale italiana (Avvenire), che aveva criticato in editoriali il comportamento del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, ed è stato sottoposto a pressioni gravi.

B.LE DIFFICOLTA' DI COMUNICAZIONE DELLA S. SEDE

Negli ultimi due anni, alcune dichiarazioni o decisioni della Santa Sede sono state oggetto di accesi dibattiti, soprattutto, ma non solo in Francia.

Secondo gli interlocutori della delegazione, il Santo Padre è stato ferito dalle reazioni mediatiche, specie per la maniera in cui le sue parole sono state interpretate e hanno alimentato una polemica, per esempio durante il suo viaggio in Africa, quando il suo intervento sull'uso del preservativo sembra essere stato estrapolato dal suo contesto. L'attacco personale ha oscurato i veri obiettivi dei viaggi e posto in secondo posto gli aspetti chiave della situazione delle Chiese visitate.

Al di là delle critiche che possono ascriversi agli eccessi dei media, la delegazione ritiene che la comunicazione della Santa Sede soffre di un deficit di organizzazione e di risorse. La Santa Sede non dispone di servizio di comunicazione propriamente detta e non c'è più un portavoce ufficiale come sotto il pontificato di Giovanni Paolo II. Inoltre, le agenzie di stampa usano mezzi di comunicazione più moderni in grado di anticipare gli annunci stessi della Santa Sede.

Il Reverendo Padre Federico Lombardi, direttore della sala stampa, e il Sig. Giovanni Maria Vian, direttore dello «Osservatore Romano» (la cui edizione quotidiana in italiano tira 12.000 esemplari), hanno confermato di non avere regolari o frequenti colloqui con il Papa e che non svolgono né l'uno né l'altro il ruolo di portavoce. Giovanni Maria Vian ha inoltre spiegato che il giornale che dirige non è la voce ufficiale del Vaticano. Gli interlocutori principali della stampa sono i membri della Segreteria di Stato e dei vari dicasteri che indicano le iniziative da prendere. Ma le procedure attuali non permettono di integrare la comunicazione nelle decisioni e di anticipare le reazioni.

Il Sig. Antoine Marie Izoard, direttore dell'agenzia di notizie I Media specializzata nella Santa Sede, ha inoltre sottolineato che la Chiesa cattolica non parla la “stessa lingua” dei media e che la difficoltà principale dela comunicazione della Santa Sede proviene da una gestione interna manchevole dei dossier.

Secondo il Sig. Frédéric Mounier, rappresentante permanente del quotidiano La Croix, la difficoltà di comunicazione della Santa Sede discende dalla mancanza di professionalismo dei giornalisti sulle questioni religiose, la maggior parte di loro non essendo più specialisti in queste materie.

Il Vaticano si trova spesso in una posizione difensiva per giustificare a posteriori le affermazioni o le decisioni, oltre a dare spiegazioni maldestre che possono alimentare ulteriormente le polemiche, invece di soffocarle.

L'impreparazione della comunicazione o la goffaggine delle reazioni sono particolarmente marcate nel caso del viaggi in Africa, della revoca della scomunica del vescovo Richard Williamson, membro della Fraternità San Pio X o della scomunica da parte dell'arcivescovo di Recife della madre di una bambina brasiliana di 9 anni che aveva abortito

Così, mentre alcuni credenti possono ammettere la revoca della scomunica dei vescovi “lefebvriani” per desiderio di evitare un vero scisma e di riportarli nella Chiesa, essi s’interrogano sul caso di un vescovo le cui affermazioni negazioniste erano conosciute ed erano state ricordate al Santo Padre dalla Chiesa di Svezia.

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