CIT NO alla comunione ai divorziati risposati

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Caterina63
00martedì 12 aprile 2016 09:31




 siamo addolorati dal Documento recente del Papa Amoris laetitia - qui il link - perchè ci stiamo allontanando dalla sana dottrina.... Anche la celebre rivista cattolica, Il Timone, mette in guardia da questa deriva.....

COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE: COMUNIONE AI RISPOSATI RENDE LA CHIESA CONTRO-TESTIMONE DI CRISTO

Commissione teologica internazionale: Comunione ai risposati rende la Chiesa contro-testimone di Cristo

Dalle 16 tesi cristologiche di Gustave Martelet SJ, approvate dallaCommissione teologica internazionalenel 1977:


«Senza misconoscere le circostanze attenuanti e talvolta anche la qualità di un matrimonio civile successivo al divorzio, l’accesso dei divorziati risposati all’eucaristia risulta incompatibile con il mistero di cui la chiesa è servitrice e testimone. Accogliendo i divorziati risposati all’eucaristia, la chiesa lascerebbe credere a tali coniugi che essi possono, sul piano dei segni, comunicare con colui del quale essi rifiutano il mistero coniugale sul piano della realtà.

Fare una cosa del genere, significherebbe inoltre che la chiesa si dichiara d’accordo con battezzati, al momento in cui essi entrano o restano in una contraddizione obiettiva ed evidente con la vita, il pensiero e lo stesso essere del Signore come sposo della chiesa. Se essa potesse comunicare il sacramento dell’unità a quelli e a quelle che, su un punto essenziale del mistero di Cristo, hanno rotto con lui, essa non sarebbe più segno e testimone del Cristo, ma suo contro-segno e suo contro-testimone. Non di meno, però, tale rifiuto non giustifica assolutamente una qualche procedura infamante che sarebbe in contraddizione, a sua volta, con la misericordia di Cristo verso noi peccatori». 







COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE

LA DOTTRINA CATTOLICA SUL SACRAMENTO DEL MATRIMONIO

(1977)

 

A) TESTO DELLE PROPOSIZIONI APPROVATE « IN FORMA SPECIFICA » DALLA COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE

B) LE « SEDICI TESI CRISTOLOGICHE » DI GUSTAVE MARTELET, S.I., APPROVATE « IN FORMA GENERICA » DALLA COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE

 

A) TESTO DELLE PROPOSIZIONI APPROVATE « IN FORMA SPECIFICA » 
DALLA COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE 
*

Introduzione

L’insegnamento del Concilio Vaticano II sul matrimonio e la famiglia, sebbene sparso in diversi documenti quali la Lumen Gentiumla Gaudium et Spes, l’Apostolicam Actuositatem, ha prodotto in questi ambiti un rinnovamento teologico e pastorale sulla linea di altre ricerche che avevano anticipato questi testi.

Tuttavia l’insegnamento conciliare è stato subito oggetto delle contestazioni del « post-concilio » in nome della secolarizzazione, di una severa critica della religione popolare giudicata troppo « sacramentalista », dell’opposizione alle istituzioni in generale e del moltiplicarsi dei matrimoni dei divorziati. Anche alcune scienze umane, « fiere della loro nuova gloria », hanno giocato un ruolo importante in questo campo.

Si è così imposta all’attenzione dei membri della Commissione Teologica Internazionale la necessità di una riflessione al tempo stesso costruttiva e critica.

Fin dal 1975, con l’approvazione del loro presidente, il Cardinal Šeper, decisero di mettere nel loro programma di studio alcuni problemi dottrinali riguardanti il matrimonio cristiano. Una sottocommissione si mise subito al lavoro per preparare i lavori della sessione del dicembre 1977. Questa sottocommissione era composta dai Professori B. Ahern, C. Caffarra, Ph. Delhaye (Presidente), W. Ernst, E. Hamel, K. Lehmann, J. Mahoney (moderatore della discussione), J. Medina Estevez, O. Semmelroth.

La materia fu divisa in cinque grandi temi che vennero introdotti da ricerche di lavoro, « relazioni », « documenti ». Il Prof. Ernst diresse la prima giornata dedicata al matrimonio come istituzione. La sacramentalità del matrimonio e il suo rapporto con la fede e il battesimo vennero studiati sotto la direzione del Prof. K. Lehmann. Alcune nuove prospettive, illustrate dal Prof. Caffarra, sul vecchio problema « contratto-sacramento » considerandolo nell’ottica della storia della salvezza in relazione soprattutto con la creazione e la redenzione, hanno preceduto i lavori guidati dal Prof. E. Hamel sull’indissolubilità. La situazione dei divorziati risposati interessa in primo luogo la pastorale, ma ha pure una incidenza sul problema della indissolubilità e dei poteri della chiesa in questo ambito. Questo problema è stato esaminato sotto la guida di Mons. Medina-Estevez, con riferimento a un documento del comitato pontifico per la famiglia.

Queste proposizioni sono state votate a maggioranza assoluta dai membri della Commissione Teologica Internazionale, ciò significa che questa maggioranza le approva non solo nella loro sostanziale ispirazione, ma pure nei loro termini e nella loro attuale redazione.

Ph. Delhaye
Segretario generale della 
Commissione Teologica Internazionale,
Presidente della Sottocommissione 
Problemi dottrinali del matrimonio cristiano

 

PROPOSIZIONI

1. Istituzione

1.1. Aspetto divino e umano del matrimonio

Il patto matrimoniale si basa su strutture preesistenti e permanenti che determinano la diversità tra l’uomo e la donna. Esso è pure voluto come istituzione dagli sposi sebbene, nella sua forma concreta, subisca i diversi cambiamenti storici e culturali, come anche le diversità personali. È un’istituzione voluta anche da Dio creatore, sia per l’aiuto che gli sposi debbono darsi reciprocamente nell’amore e nella fedeltà, sia per l’educazione da dare, nella comunità familiare, ai figli nati da questa unione.

1.2. Il matrimonio « in Cristo »

Appare chiaramente nel nuovo Testamento che Gesù ha confermato questa istituzione che esisteva « dal principio » e ne ha eliminato i successivi aspetti negativi (Mc 10, 2-9; 10-12). Le ha ridato tutta la sua dignità e le sue iniziali caratteristiche. Gesù ha santificato questo stato di vita (GS 48, 2) inserendolo nel mistero d’amore che lo unisce come redentore alla sua chiesa. Per questo è compito della chiesa la guida pastorale e l’organizzazione del matrimonio cristiano (cf. 1 Cor 7, 10 ss.).

1.3. Gli apostoli

Le lettere del nuovo Testamento esigono da tutti il rispetto per il matrimonio (Ebr 13, 4) e, in risposta ad alcune critiche, lo presentano come un’opera positiva di Dio creatore (1 Tim 4, 1-5).Valorizzano il matrimonio dei fedeli cristiani perché inserito nel mistero dell’alleanza e dell’amore che uniscono Cristo e la chiesa (Ef 5, 22-33; cf. GS 48, 2). Richiedono di conseguenza che il matrimonio si celebri « nel Signore » (1 Cor 7, 39) e che la vita degli sposi sia condotta secondo la loro dignità di « nuova creatura » (2 Cor 5, 17), « in Cristo » (Ef 5, 21-33). Mettono in guardia i fedeli dai costumi pagani in questo campo (1 Cor 6, 12-20; cf. 6, 9-10). Le chiese apostoliche si basano su un « diritto proveniente dalla fede » e vogliono assicurarne la stabilità; per questo formulano direttive morali (Col 3, 18 ss.; Tt 2, 3-5; 1 Pt 3, 1-7) e disposizioni giuridiche che portano a vivere il matrimonio « secondo la fede » nelle diverse situazioni e condizioni umane.

1.4. I primi secoli

Durante i primi secoli della storia della chiesa, i cristiani hanno celebrato il loro matrimonio « come gli altri uomini » (A Diogneto V, 6), sotto la presidenza del padre di famiglia, attraverso i soli gesti e i riti domestici, come per esempio quello di unire le mani dei futuri sposi. Tuttavia, essi hanno sempre tenuto presenti « le leggi straordinarie e veramente paradossali della loro società spirituale » (A Diogneto V, 4). Hanno eliminato dalla loro liturgia domestica ogni aspetto della religione pagana. Hanno dato una importanza particolare alla procreazione e all’educazione dei figli (ibid., V, 6); hanno accettato che i vescovi esercitassero una vigilanza sui loro matrimoni (Ignazio di Antiochia, Lettera a Policarpo V, 2). Hanno espresso nel loro matrimonio una particolare sottomissione a Dio e un rapporto con la loro fede (Clemente di Alessandria, Stromata IV, 20). E a volte, in occasione del matrimonio, hanno partecipato alla celebrazione del sacrificio eucaristico e hanno ottenuto una particolare benedizione (Tertulliano, Lettera alla moglie II, 9).

1.5. Le tradizioni orientali

Nelle chiese orientali, fin dall’antichità, i pastori hanno partecipato attivamente alla celebrazione dei matrimoni insieme ai genitori oppure sostituendoli. Questo cambiamento non è frutto di un’usurpazione. Si realizzò proprio dietro richiesta delle famiglie e con l’approvazione delle autorità civili. In seguito a quest’evoluzione, alcune cerimonie compiute originariamente nell’ambito delle famiglie vennero a poco a poco incluse negli stessi riti liturgici. Per cui si formò il concetto che i ministri del rito del « mysterion » matrimoniale non erano solo i coniugi, ma anche il pastore della chiesa.

1.6. Le tradizioni occidentali

Nelle chiese d’occidente, avvenne l’incontro tra la visione cristiana del matrimonio e il diritto romano. Da ciò sorse un problema: « Qual è l’elemento costitutivo del matrimonio dal punto di vista giuridico? ». Si stabilì che il consenso degli sposi era da ritenere l’unico elemento costitutivo. Per questo, fino all’epoca del concilio di Trento, vennero considerati validi i matrimoni clandestini. Tuttavia, da molto tempo, la chiesa aveva desiderato che si celebrassero anche alcuni riti liturgici, che ci fosse la benedizione del presbitero e la sua presenza come testimone della chiesa. Tale presenza del parroco e di altri testimoni è diventata la forma canonica ordinaria; il decreto Tametsi la dichiarò necessaria per la validità.

1.7. Le nuove chiese

È da auspicarsi che vengano poste in essere, sotto il controllo dell’autorità ecclesiastica, nuove norme liturgiche e giuridiche del matrimonio cristiano per i popoli evangelizzati di recente. Questo è anche il desiderio del concilio Vaticano II e del nuovo Ordo per la celebrazione del matrimonio. Potranno così essere armonizzati la realtà del matrimonio cristiano e i valori autentici racchiusi nelle tradizioni di questi popoli.

Questa diversità di norme dovuta alla pluralità delle culture è compatibile con l’unità essenziale. Non va quindi al di là dei limiti di un legittimo pluralismo.

Il carattere cristiano ed ecclesiale dell’unione e del dono reciproco degli sposi può infatti essere espresso in diversi modi, per il battesimo da essi ricevuto e per la presenza di testimoni, fra i quali ha un ruolo preminente il « presbitero competente ».

Oggi possono forse sembrare opportuni alcuni adattamenti canonici di questi diversi elementi.

1.8. Adattamenti canonici

La riforma del diritto canonico deve tener conto della visione globale del matrimonio, delle sue dimensioni personali e sociali. La chiesa infatti deve sempre aver coscienza che le disposizioni giuridiche servono ad aiutare a promuovere condizioni sempre più attente ai valori umani del matrimonio. Tuttavia, non è pensabile che questi adattamenti possano vertere sulla totalità della realtà del matrimonio.

1.9. Aspetto personalistico dell’istituzione

« Principio, soggetto e fine di tutte le istituzioni sociali è e deve essere la persona umana, come quella che di sua natura ha sommamente bisogno della vita sociale » (Gaudium et Spes 25). Come « intima comunità di vita e d’amore coniugale » (GS 48) il matrimonio è un luogo e un mezzo capace di favorire il bene delle persone secondo la loro vocazione. Per questo, il matrimonio non può mai essere considerato come una realtà che sacrifica le persone a un bene comune esterno a loro. D’altronde « il bene comune » è « l’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono ai gruppi, come ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente » (GS 26).

1.10. Struttura e non sovrastruttura

Nonostante che il matrimonio sia condizionato al suo inizio e per tutta la sua durata dalla realtà economica, non è una sovrastruttura della proprietà privata dei beni e dei mezzi di produzione. Certamente, le forme concrete di realizzazione del matrimonio e della famiglia possono dipendere dalle condizioni economiche. Ma l’unione totale di un uomo e di una donna nel patto coniugale corrisponde innanzitutto alla natura umana e alle esigenze in essa poste dal Creatore. È questa la ragione profonda per cui il matrimonio, invece di impedirla, favorisce ampiamente la maturazione personale degli sposi.






Caterina63
00martedì 12 aprile 2016 20:48

2. Sacramentalità


2.1. Simbolo reale e segno sacramentale


Gesù Cristo ha fatto riscoprire in modo profetico la realtà del matrimonio come era stata voluta da Dio fin dall’origine del genere umano (cf. Gn 1, 27; Mc 10, 6 e Mt 19, 4; Gn 2, 24; Mc 10, 7-8 e Mt 19, 5). L’ha ristabilita con la sua morte e risurrezione. Per questo il matrimonio cristiano si vive « nel Signore » (2 Cor 7, 39); ed è determinato dagli elementi dell’opera salvifica.


Già nell’antico Testamento, l’unione matrimoniale è una figura dell’alleanza tra Dio e il popolo d’Israele (cf. Os 2; Ger 3, 6-13; Ez 16, e 23; Is 54). Nel nuovo Testamento, il matrimonio cristiano assume una dignità maggiore, perché è la rappresentazione del mistero che unisce Cristo Gesù e la chiesa (of. Ef 5, 21-33). Questa analogia viene chiarita più profondamente attraverso l’interpretazione teologica: l’amore supremo e il dono del Signore fino alla morte, come pure il legame fedele e irrevocabile della chiesa sua sposa diventano modelli ed esempi per il matrimonio cristiano. Questa somiglianza è una relazione di autentica partecipazione all’alleanza di amore tra Cristo e la chiesa. E così, a modo di simbolo reale e di segno sacramentale, il matrimonio cristiano rappresenta concretamente la chiesa di Gesù Cristo nel mondo e, soprattutto nella struttura della famiglia, è chiamato giustamente una « chiesa domestica » (LG 11).


2.2. Sacramento in senso stretto


In questo modo il matrimonio cristiano è configurato secondo il mistero dell’unione tra Gesù Cristo e la chiesa. Il fatto che il matrimonio cristiano sia così assunto nell’economia della salvezza giustifica già la denominazione di « sacramento » nel senso più ampio. Ma insieme significa anche una realizzazione concreta e una attualizzazione reale di questo sacramento primordiale. Il matrimonio cristiano è quindi in se stesso realmente e propriamente un segno della salvezza che conferisce la grazia di Gesù Cristo. È proprio per questo che la chiesa cattolica lo elenca tra i sette sacramenti (cf. DS 1327, 1801).


Fra l’indissolubilità del matrimonio e la sua sacramentalità, esiste un rapporto particolare, cioè una reciproca relazione costitutiva. L’indissolubilità permette di cogliere più facilmente la sacramentalità del matrimonio cristiano; d’altro canto, dal punto di vista teologico, la sacramentalità costituisce il fondamento ultimo, sebbene non unico, della indissolubilità del matrimonio.


2.3. Battesimo, fede attuale, intenzione, matrimonio sacramentale


Anche il sacramento del matrimonio trasmette la grazia come gli altri sacramenti. La fonte ultima di questa grazia è l’impatto con l’opera compiuta da Gesù Cristo e non soltanto la fede dei soggetti del sacramento. Ciò non significa tuttavia che, nel sacramento del matrimonio, la grazia sia data al di fuori della fede o senza alcuna fede. Ne consegue, secondo i principi classici, che la fede è presupposta a titolo di « causa dispositiva » dell’effetto fruttuoso del sacramento. Ma d’altra parte la validità del sacramento non implica necessariamente che esso sia fruttuoso.


La realtà dei « battezzati non credenti » pone oggi un nuovo problema teologico e un grave dilemma pastorale, soprattutto se emerge chiaramente l’assenza o il rifiuto della fede. L’intenzione richiesta — l’intenzione di fare ciò che fanno Cristo e la Chiesa — è la condizione minima necessaria perché ci sia veramente un atto umano di impegno sul piano della realtà sacramentale. Certamente non bisogna confondere il problema dell’intenzione con quello relativo alla fede personale dei contraenti, ma non è neppure possibile separarli totalmente. In ultima analisi, la vera intenzione nasce e si nutre di una fede viva. Nel caso in cui non si avverta alcuna traccia della fede in quanto tale (nel senso del termine « credenza », disposizione a credere) né alcun desiderio della grazia e della salvezza, si pone il problema di sapere, in realtà, se l’intenzione generale e veramente sacramentale di cui abbiamo parlato, è presente o no, e se il matrimonio è contratto validamente o no. La fede personale dei contraenti non costituisce, come è stato notato, la sacramentalità del matrimonio, ma l’assenza della fede personale compromette la validità del sacramento.


Questo fatto origina nuovi interrogativi ai quali non sono state trovate finora risposte sufficienti; esso impone nuove responsabilità pastorali in materia di matrimonio cristiano. « Innanzitutto i pastori si sforzino di sviluppare e nutrire la fede dei fidanzati poiché il sacramento del matrimonio suppone e richiede la fede » (Ordo celebrandi matrimonium. Praenotanda, n. 7).


2.4. Una articolazione dinamica


Nella chiesa, il battesimo è il fondamento sociale e il sacramento della fede per cui gli uomini che credono diventano membri del corpo di Cristo. Anche da questo punto di vista, l’esistenza di « battezzati non credenti » implica problemi di grande importanza. Le necessità di ordine pastorale e pratico non troveranno una reale soluzione in cambiamenti che sovvertano il nucleo centrale della dottrina in materia sacramentale e di quella del matrimonio, ma in un rinnovamento radicale della spiritualità battesimale. Occorre ricomporre una visione integrale che collochi il battesimo nell’unità essenziale e nell’articolazione dinamica di tutti i suoi elementi e delle sue dimensioni: la fede, la preparazione al sacramento, il rito, la confessione della fede, l’incorporazione a Cristo e alla chiesa, le conseguenze etiche, la partecipazione attiva alla vita della chiesa. È necessario mettere in rilievo il rapporto intimo tra il battesimo, la fede e la chiesa. Soltanto in questo modo, diventa evidente che il matrimonio tra battezzati è un vero sacramento « in se stesso », cioè non in forza di una specie di « automatismo », ma per la sua intrinseca natura.





Caterina63
00martedì 12 aprile 2016 20:49

3. Creazione e Redenzione

3.1. Il matrimonio voluto da Dio

Tutte le cose sono state create in Cristo, da Cristo e per Cristo. Anche il matrimonio, dal momento che è stato creato da Dio creatore, diventa un segno del mistero dell’unione di Cristo sposo con la chiesa sposa. Si trova, in un certo modo, ordinato a questo mistero. Questo matrimonio, quando viene celebrato fra due battezzati, è elevato alla dignità di sacramento propriamente detto. Esso vuole dunque essere segno e rendere partecipi dell’amore sponsale di Cristo e della Chiesa.

3.2. Inseparabilità dell’opera di Cristo

Quando si tratta di due battezzati, il matrimonio, come istituzione voluta da Dio creatore, è inseparabile dal matrimonio-sacramento. La sacramentalità del matrimonio dei battezzati non è un fatto accidentale che potrebbe esserci o non esserci. Essa è inerente alla sua essenza al punto che non potrebbe venirne separata.

3.3. Ogni matrimonio fra battezzati deve essere sacramentale

La conseguenza delle proposizioni precedenti è che, per i battezzati, non può esistere veramente e realmente nessuno stato coniugale diverso da quello voluto da Cristo. In questo sacramento, la donna e l’uomo cristiani, si danno e si accettano come sposi attraverso un consenso personale, libero e irrevocabile, sono definitivamente liberati dalla « durezza di cuore » di cui ha parlato Gesù (cf. Mt 19, 8). Per loro diventa possibile realmente vivere in una carità totale perché, con il sacramento, entrano veramente e realmente nel mistero dell’unione sponsale di Cristo e della chiesa. Quindi, la chiesa non può in nessun modo riconoscere che due battezzati sono sposati conformemente alla loro dignità e al loro modo di essere « nuova creatura in Cristo », se non si sono uniti con il sacramento del matrimonio.

3.4. Il matrimonio «legittimo » dei non-credenti

La forza e la grandezza della grazia di Cristo si estende a tutti gli uomini, anche al di là delle frontiere della chiesa, per l’universalità della volontà salvifica di Dio. Esse informano ogni amore coniugale umano, confermano la « natura creata » e anche il matrimonio «come fu all’origine ». Gli uomini e le donne che non hanno ancora conosciuto la predicazione del vangelo si uniscono attraverso un’alleanza umana in un matrimonio legittimo. Questo è provvisto di beni e di valori autentici che gli assicurano una consistenza. Ma è bene mettere in evidenza che, anche se gli sposi lo ignorano, questi valori provengono da Dio creatore e si inseriscono in modo incoativo nell’amore sponsale che unisce Cristo e la chiesa.

3.5. L’unione dei cristiani che non conoscono ciò che esige il loro battesimo

Sarebbe dunque contraddittorio dire che dei cristiani, battezzati nella chiesa cattolica, possono veramente e realmente fare un passo indietro accontentandosi di uno stato coniugale non sacramentale. Sarebbe come pensare che possano accontentarsi dell’« ombra » quando Cristo offre loro la « realtà » del suo amore sponsale.

Non si può tuttavia escludere l’esistenza di casi in cui, per dei cristiani, la coscienza sia deformata da ignoranza o da errore invincibile. Essi giungono a credere sinceramente che possono contrarre un vero matrimonio escludendo il sacramento.

In questa situazione, essi non sono in grado di contrarre un matrimonio sacramentale valido poiché negano la fede e non hanno l’intenzione di fare ciò che fa la chiesa. Ma, d’altra parte, il diritto naturale di contrarre matrimonio non viene meno. Sono dunque in grado di donarsi e di accettarsi reciprocamente come sposi in forza della loro intenzione di concludere un patto irrevocabile. Questo dono reciproco e irrevocabile crea fra essi un rapporto psicologico che si differenzia per la sua struttura interna da una relazione puramente transitoria.

Tuttavia questa relazione non può in alcun modo essere rico­nosciuta dalla chiesa come una società coniugale non sacramentale, anche se ha le sembianze di un matrimonio. Per la chiesa, infatti, fra due battezzati, non esiste matrimonio naturale separato dal sacramento ma unicamente un matrimonio naturale elevato alla dignità di sacramento.

3.6. I matrimoni progressivi

Queste considerazioni mostrano l’errore e il pericolo di introdurre o di tollerare in seno a una comunità cristiana certe pratiche che consistono nel celebrare a più riprese, per la stessa coppia, cerimonie matrimoniali di grado diverso anche se unite fin dall’inizio tra loro. A maggior ragione non è opportuno permettere a un prete o a un diacono di assistere, come tali, a un matrimonio non sacramentale che due battezzati vogliono celebrare, o ancora di accompagnare questa cerimonia con le loro preghiere.

3.7. Il matrimonio civile

In una società pluralista, l’autorità dello stato può imporre ai fidanzati una formalità ufficiale che renda pubblica, davanti alla società politica, la loro condizione di sposi. Può anche stabilire delle leggi che regolino in modo certo e corretto gli effetti civili derivanti dal matrimonio, come i diritti e i doveri familiari. È tuttavia necessario far sapere in modo adeguato ai fedeli cattolici, che questa formalità ufficiale chiamata correntemente matrimonio civile non rappresenta per loro un vero matrimonio. Vi sono eccezioni a questa regola solo nel caso in cui vi sia stata la dispensa dalla forma canonica ordinaria o ancora se, a causa dell’assenza prolungata di un testimone qualificato della Chiesa, la cerimonia civile può servire con forma canonica straordinaria nella celebrazione del matrimonio sacramentale (cf. can. 1116). Per quanto riguarda i non-cristiani e spesso anche i non-cattolici la cerimonia civile può avere un valore costitutivo sia per il matrimonio legittimo che per il matrimonio sacramentale.

4. Indissolubilità

4.1. Il principio

La tradizione della chiesa primitiva, che si fonda sull’insegnamento di Cristo e degli apostoli, afferma l’indissolubilità del matrimoni anche in caso di adulterio. Questo principio si impone nonostante alcuni maldestri tentativi di interpretazione ed esempi di indulgenza nei confronti di persone che si trovavano in situazioni molto difficili. D’altronde non è facile valutare esattamente l’estensione e la frequenza di questi fatti.

4.2. La dottrina della chiesa

Il concilio di Trento ha dichiarato che la chiesa non si sbaglia quando ha insegnato e insegna, secondo la dottrina evangelica e apostolica, che il legame matrimoniale non può essere sciolto dall’adulterio (DS 1807). Tuttavia, il concilio ha colpito con l’anatema solo coloro che negano l’autorità della chiesa in questo campo. Le ragioni di questa riserva sono da ricercare in alcuni dubbi sorti nel corso della storia (le opinioni dell’Ambrosiaster, di Catharinus e di Cajetano) e, da un altro punto di vista, prospettive che si avvicinano all’ecumenismo. Non si può quindi affermare che il concilio abbia avuto l’intenzione di definire solennemente l’indissolubilità del matrimonio come verità di fede. Si dovrà tuttavia tener conto delle parole pronunciate da Pio XI nella Casti Connubii, in riferimento a questo canone: « Se la chiesa non si è mai sbagliata e non si sbaglia quando ha dato e da questo insegnamento, è dunque assolutamente certo che il matrimonio non può essere sciolto neppure in caso di adulterio. È altresì evidente che le altre cause di divorzio, molto più fragili di quanto si possa supporre, hanno un valore ancora minore e non possono essere prese in considerazione » (cf. DS 1807).

4.3. Indissolubilità intrinseca

L’indissolubilità intrinseca del matrimonio può essere consi­derata sotto diversi aspetti e avere molti fondamenti.

Si può considerare il problema in riferimento agli sposi. In questo caso si affermerà: l’unione intima del matrimonio, dono reciproco di due persone, l’unione coniugale stessa, il bene dei figli esigono l’unità indissolubile di queste persone. Da qui deriva, per gli sposi l’obbligo morale di proteggere il loro patto coniugale, di conservarlo e di farlo progredire.

È inoltre necessario collocare il matrimonio nella prospettiva di Dio. L’atto umano attraverso il quale gli sposi si donano e si ricevono scambievolmente, crea un legame che è fondato sulla volontà di Dio. Questo legame è inscritto nello stesso atto creativo e supera la volontà degli uomini. Non dipende dal potere degli sposi e per questo è intrinsecamente indissolubile.

Vista nelle (prospettive cristologiche, l’indissolubilità del matrimonio cristiano ha un fondamento ultimo ancora più profondo. Esso consiste nel fatto che il matrimonio cristiano è immagine, sacramento e testimonianza dell’unione indissolubile tra Cristo e la chiesa. Ciò è stato chiamato il bonum sacramenti. In questo senso, l’indissolubilità diventa un avvenimento di grazia.

Anche le prospettive sociali fonderanno la indissolubilità: essa è richiesta dall’istituzione stessa. La decisione personale dei coniugi è assunta, protetta e fortificata dalla società, soprattutto dalla comunità ecclesiale. È la dimensione giuridico-ecclesiale del matrimonio.

Questi diversi aspetti sono intimamente legati tra di loro. La fedeltà a cui gli sposi sono obbligati deve essere protetta dalla società stessa, in modo particolare dalla società ecclesiale. È richiesta sia da Dio creatore che da Cristo che la rende possibile in forza della sua grazia.

4.4. Indissolubilità estrinseca e potere della Chiesa sui matrimoni

La Chiesa, contemporaneamente alla sua prassi, ha elaborato una dottrina sul proprio potere nell’ambito dei matrimoni. Ne ha così precisato l’ampiezza e i limiti. La chiesa non si riconosce alcun potere di sciogliere un matrimonio sacramentale celebrato e consumato (ratum et consummatum). Per gravissimi motivi, per il bene della fede e la salvezza delle anime, gli altri matrimoni possono essere sciolti dall’autorità ecclesiastica competente o, secondo un’altra interpretazione, essere dichiarati nulli.

Questo insegnamento è soltanto un caso particolare della teoria che si riferisce al modo in cui evolve la dottrina cristiana nella chiesa. Oggi, essa è accettata da quasi tutti i teologi cattolici.

Non è escluso tuttavia che la chiesa possa precisare meglio le nozioni di sacramentalità e di consumazione. In questo caso, ne spiegherà ancor meglio il significato. Così, l’insieme della dottrina sull’indissolubilità del matrimonio potrebbe essere proposta in una sintesi più profonda e più esatta.

5. Divorziati risposati

5.1. Radicalismo evangelico

Fedele al radicalismo del vangelo, la chiesa non può porsi nei confronti dei fedeli con parole diverse da quelle dell’apostolo Paolo: « Agli sposati ordino, non io, ma il Signore: la moglie non si separi dal marito — e qualora si separi, rimanga senza sposarsi o si riconcili con il marito — e il marito non ripudi la moglie » (1 Cor 7, 10-11). Ne deriva che le nuove unioni, dopo un divorzio ottenuto con una legge civile, non sono né regolari né legittime.

5.2. Testimonianza profetica

Questo rigore non è dovuto a una legge puramente disciplinare o a un certo legalismo. Si fonda sul giudizio che il Signore ha dato a questo proposito (Mc 10, 6 ss.). In quest’ottica, questa regola severa è una testimonianza profetica resa alla fedeltà irreversibile dell’amore che lega il Cristo alla chiesa. Essa dimostra ancora come l’amore degli sposi sia assunto nella carità stessa di Cristo (Ef 5, 23-32).

5.3. La « non-sacramentalizzazione »

L’incompatibilità dello stato dei « divorziati-risposati » con il precetto e il mistero dell’amore pasquale del Signore comporta per questi l’impossibilità di ricevere, nella santa eucaristia, il segno dell’unità con Cristo. L’ammissione alla comunione eucaristica può avvenire solo dopo la penitenza che implica « il pentimento per il peccato commesso e il buon proposito di non commetterlo più in futuro » (Concilio di TrentoDS 1676). Tutti i cristiani debbono ricordarsi le parole dell’apostolo: «... Chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del corpo e del sangue del Signore. Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna » (1 Cor 11, 27-29).

5.4. Pastorale dei divorziati risposati

Questa situazione illegittima non consente di vivere in piena comunione con la chiesa. E tuttavia i cristiani che vi si trovano non sono esclusi dall’azione della grazia di Dio e dal legame con la chiesa. Non debbono essere privati della cura dei pastori (Allocuzione pontificia di Paolo VI, 4 novembre 1977). Essi hanno ancora molti compiti che loro derivano dal battesimo. Devono attendere all’educazione religiosa dei loro bambini. La preghiera cristiana sia pubblica che privata, la penitenza, certe attività apostoliche sono sempre modi per vivere la loro vita cristiana. Non debbono essere disprezzati ma aiutati come tutti i cristiani che, con l’aiuto della grazia di Cristo, si sforzano per liberarsi dal peccato.

5.5. Combattere le cause del divorzio

È sempre più necessario svolgere un’azione pastorale che tenda ad evitare il moltiplicarsi dei divorzi e delle nuove unioni civili dei divorziati. In particolare è necessario inculcare ai nuovi sposi una coscienza viva di tutte le loro responsabilità di coniugi e di genitori. È fondamentale presentare in modo sempre più efficace il significato autentico del matrimonio sacramentale come alleanza realizzata « nel Signore » (1 Cor 7, 39). In questo modo i cristiani saranno più preparati a conformarsi al comandamento del Signore e a rendere testimonianza all’unione di Cristo con la chiesa. Questo d’altronde sarà fatto per il maggior bene degli sposi, per quello dei bambini come pure per la società stessa.




Caterina63
00martedì 12 aprile 2016 20:50

B) LE « SEDICI TESI CRISTOLOGICHE » DI GUSTAVE MARTELET, S.I., 
APPROVATE « IN FORMA GENERICA » 
DALLA COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE

1. Sacramento del matrimonio e mistero della Chiesa

La sacramentalità del matrimonio cristiano emerge in modo più evidente se non viene separata dal mistero della chiesa. « Segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano », come afferma il recente concilio (LG 1), la chiesa è fondata sul rapporto indefettibile che Cristo stabilisce con essa per farne il suo corpo. Quindi l’identità della chiesa non dipende solo dai poteri dell’uomo, ma anche dall’amore del Cristo, che viene continuamente annunciato dalla predicazione apostolica e al quale possiamo partecipare mediante l’effusione dello Spirito. Testimone di questo amore che la fa vivere, la chiesa è quindi il sacramento di Cristo nel mondo, perché essa è il corpo visibile e la comunità che annuncia la presenza di Cristo nella storia degli uomini. Certo, la chiesa-sacramento, la cui « grandezza » viene dichiarata da Paolo (Ef 5, 32), è inseparabile dal mistero dell’incarnazione perché è un mistero che riguarda il corpo; essa è anche inseparabile dall’economia dell’alleanza perché riposa sulla promessa personale fatta da Cristo risorto di restare « con » lei « tutti i giorni fino alla fine del mondo » (Mt 28, 20). Ma la chiesa-sacramento partecipa anche al mistero che si può chiamare coniugale: Cristo è legato ad essa con un amore che fa della chiesa la sposa di Cristo, nella forza di un solo Spirito e nell’unità di un solo corpo.

2. L’unione di Cristo e della chiesa

L’unione sponsale di Cristo con la chiesa non distrugge, ma al contrario completa quanto, a modo suo, l’amore coniugale dell’uomo e della donna annuncia, implica o già realizza dal punto di vista della comunione e della fedeltà. In realtà, il Cristo della croce compie quella perfetta oblazione di se stesso, che gli sposi desiderano realizzare nella loro carne, senza però riuscire a raggiungerla mai perfettamente. Verso la chiesa che egli ama come suo corpo, il Cristo realizza quello che i mariti devono fare — come dice S. Paolo — per le loro mogli. Da parte sua la risurrezione di Gesù nella potenza dello Spirito rivela che l’oblazione da lui fatta sulla croce porta i suoi frutti nella stessa carne in cui fu compiuta, e che la chiesa da lui amata fino a morire per essa, può introdurre il mondo nella comunione totale tra Dio e gli uomini di cui essa già gode come sposa di Gesù Cristo.

3. Il simbolo coniugale nella Scrittura

Giustamente quindi l’Antico Testamento usa il simbolismo dell’amore coniugale per indicare l’amore senza limiti di Dio per il suo popolo e, mediante questo popolo, vuole rivelarlo a tutta l’umanità. Specialmente nel profeta Osea, Dio si presenta come uno sposo che con tenerezza e fedeltà senza misura saprà guadagnare finalmente Israele, che all’inizio è stato infedele all’amore immenso con cui era stato amato. Così l’Antico Testamento ci apre, senza esitazioni, la comprensione del nuovo in cui Gesù più volte è designato come lo sposo per eccellenza. Così è chiamato da Giovanni Battista (Gv 3, 29); Gesù stesso si chiama così (Mt 9, 15); anche S. Paolo l’attribuisce a Gesù per due volte (2 Cor 11, 2 e Ef 5, 21-33); lo fa pure l’Apocalisse (22, 17-20); senza citare i riferimenti espliciti che si trovano nelle parabole escatologiche del regno (Mt 22, 1-10 e 25, 1-12).

4. Gesù, sposo per eccellenza

Benché questo titolo sia ordinariamente trascurato dalla cristologia, esso deve trovare per noi tutto il suo significato. Allo stesso modo che Gesù è la via, la verità, la vita, la luce, la porta, il pastore, l’agnello, la vigna, perfino l’uomo, poiché riceve dal Padre « il primato su tutte le cose » (Col 1, 18), con la stessa verità e a buon diritto, è anche lo sposo per eccellenza, vale a dire, « il maestro e il signore », quando si tratta di amare l’altro come la propria carne. Perciò la cristologia del matrimonio si deve iniziare da questo titolo di sposo e dal mistero che esso richiama. In questo campo, come in ogni altro, « nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo » (2 Cor 3, 11). Ad ogni modo, il fatto che Cristo è certamente lo sposo per eccellenza, non va separato dall’altro che è il « secondo » (1 Cor 15, 47) e « l’ultimo Adamo » (ibid., 15, 45).

5. Adamo, immagine di quello che doveva venire

L’Adamo della Genesi, inseparabile da Eva, al quale Gesù stesso si riferisce in Mt 19 in cui tratta la questione del divorzio, non è pienamente comprensibile se non si vede in lui « la figura di colui che doveva venire» (Rm 5, 14). Perciò la personalità di Adamo, in quanto simbolo iniziale dell’umanità intera, non è una personalità stretta è ripiegata su se stessa. Essa è, come anche quella di Eva, di ordine tipologico. Adamo, come anche noi stessi, va visto in rapporto con colui che gli dà il suo significato ultimo: Adamo non è comprensibile senza Cristo, ma anche Cristo, a sua volta, non è comprensibile senza Adamo, vale a dire, senza l’umanità intera — come anche senza tutto ciò che è umano — la cui apparizione è salutata nella Genesi come voluta da Dio in modo assolutamente particolare. Di conseguenza, la coniugalità che costituisce Adamo nella sua verità d’uomo, spetta anche a Cristo attraverso il quale essa viene realizzata, essendo stata ristabilita. Distrutta per una mancanza di amore, davanti alla quale anche Mosè ha dovuto arrendersi, essa può ritrovare in Cristo la verità che le spetta. Infatti, con Cristo appare nel mondo lo sposo per eccellenza che può, in quanto « secondo » e « ultimo Adamo », salvare e ristabilire la vera coniugalità che Dio non cessa di volere per il bene del « primo ».

6. Gesù rinnovatore della primordiale verità della coppia

Interpretando la prescrizione mosaica sul divorzio come un risultato storico derivato dalla « durezza del cuore », Gesù osa presentarsi come rinnovatore deciso della verità primordiale della coppia. Nel suo potere di amare senza limiti e di realizzare con la sua vita, morte e risurrezione, un’unione senza pari con l’umanità intera, Gesù ritrova il vero significato della parola della Genesi: « quello che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi » (Mt 19, 6). Per lui, d’ora in poi, l’uomo e la donna possono amarsi nel modo che Dio da sempre vuole che facciano, poiché in Gesù si manifesta la stessa sorgente dell’amore che è il fondamento del regno. Così il Cristo riconduce tutte le coppie del mondo alla purezza iniziale dell’amore promesso; abolisce la prescrizione che aveva creduto un dovere ratificare la propria miseria, non potendo eliminarne la causa. Nella concezione di Gesù, la coppia iniziale ritorna ad essere quello che era stata sempre agli occhi di Dio: la coppia profetica in cui Dio rivela l’amore coniugale cui l’umanità aspira e per il quale essa è fatta, ma che essa non può raggiungere, se non in colui che insegna agli uomini che cosa sia l’amore. Da allora, l’amore che rimane fedele, la coniugalità che « la durezza » dei nostri cuori » riduce a un sogno impossibile, ritrova in Gesù uno stato che solo lui, in quanto ultimo Adamo e sposo per eccellenza, ha il potere di comunicargli nuovamente.

7. La sacramentalità del matrimonio evidente nella fede

La sacramentalità del matrimonio cristiano diventa allora una evidenza per la fede. Poiché i battezzati fanno parte visibilmente del corpo di Cristo che è la chiesa, Cristo attira dietro di sé il loro amore coniugale per comunicargli la verità umana di cui, al di fuori di lui, questo amore è privo. Egli lo fa mediante lo Spirito, in forza del potere che ha come secondo e ultimo Adamo, di assumersi e di far giungere a compimento la coniugalità del primo Adamo. Lo compie anche in conformità alla visibilità della chiesa, in cui l’amore coniugale, consacrato al Signore, diventa un sacramento. Nel cuore della chiesa, gli sposi attestano che s’impegnano nella vita coniugale attendendo da Cristo la forza di attuare questa forma d’amore che, senza di lui, è esposta al pericolo. In questa maniera, il mistero caratteristico di Cristo come sposo della chiesa, s’irradia e può irradiarsi sulle coppie che gli sono consacrate. Il loro amore coniugale viene così approfondito e non svilito, perché è riferito all’amore di Cristo che li sostiene e li fonde. La speciale effusione dello Spirito che è propria del sacramento, fa sì che l’amore di queste coppie diventi l’immagine stessa dell’amore che Cristo ha per la chiesa. Tuttavia, questa effusione costante dello Spirito non dispensa mai le coppie di cristiani dalle condizioni umane della fedeltà, perché mai il mistero del secondo Adamo sopprime o sostituisce in qualcosa la realtà del primo.

8. Il matrimonio civile

Ne deriva la conseguenza che non si può realizzare l’entrata nel matrimonio cristiano solo attraverso il riconoscimento di un diritto puramente « naturale » circa il matrimonio, qualunque sia il valore religioso che a questo diritto si riconosca o possieda realmente. Infatti nessun diritto naturale può avere la forza, di per se stesso, di realizzare il contenuto di un sacramento cristiano.

Se lo si pretendesse nel caso del matrimonio, si finirebbe per falsare il significato del sacramento il cui scopo è quello di consacrare a Cristo l’amore degli sposi battezzati, affinché sviluppi in loro gli effetti trasformati del suo mistero. Perciò, mentre gli stati considerano il matrimonio civile come un atto sufficiente per fondare, dal punto di vista sociale, la comunità coniugale, la chiesa invece, senza negare a questo matrimonio ogni valore per i non battezzati, contesta che esso possa mai bastare per i battezzati.

Per loro va bene solo il matrimonio sacramento, che suppone da parte dei futuri sposi la volontà di consacrare a Cristo un amore il cui valore umano dipende, in ultima analisi, dall’amore che Cristo ha per noi e ci comunica. Ne consegue che l’identità del sacramento e del « contratto », su cui il magistero apostolico si è formalmente impegnato nel XIX secolo, dev’essere intesa in modo tale che rispetti veramente il mistero del Cristo e la vita dei cristiani.

9. Contratto e sacramento

L’atto di alleanza coniugale, spesso chiamato contratto, che raggiunge la realtà di sacramento quando si tratta di sposi cristiani, non si stabilisce come semplice effetto giuridico del battesimo.

Per il fatto che la promessa coniugale di una cristiana e di un cristiano è un vero sacramento, tocca la loro identità cristiana, che viene assunta da loro a livello dell’amore che si giurano in Cristo. Mentre il loro patto coniugale li dona l’una all’altro, li consacra anche a colui che è lo sposo per eccellenza e che insegnerà a loro diventare anch’essi dei coniugi realizzati. Il mistero personale di Cristo penetra, quindi, dall’interno la natura di patto umano o di « contratto ».

Esso diventa sacramento solo se i futuri sposi accettano di entrare nella vita coniugale passando attraverso Cristo al quale, mediante il battesimo, sono incorporati. La loro libera adesione al mistero del Cristo è talmente essenziale alla natura del sacramento che la chiesa vuole assicurarsi, attraverso il ministero del presbitero, circa l’autenticità cristiana del loro impegno. Quindi l’alleanza coniugale umana non diventa sacramento in forza di uno statuto giuridico, efficace per se stesso indipendentemente da ogni adesione liberamente data al battesimo. Lo diventa invece in virtù del carattere pubblicamente cristiano che comporta nel suo intimo l’impegno reciproco e che, inoltre, permette di stabilire in quale senso gli sposi stessi sono ministri del sacramento.




Caterina63
00martedì 12 aprile 2016 20:51


10. I coniugi, ministri del sacramento nella chiesa e mediante la chiesa

Poiché il sacramento del matrimonio è la libera consacrazione a Cristo dell’amore coniugale nascente, i coniugi sono evidentemente i ministri di un sacramento che li riguarda al massimo. Tuttavia, non sono ministri in forza di un potere che si potrebbe dire « assoluto » e nell’esercizio del quale la chiesa, strettamente parlando, non avrebbe niente da dire.

Sono ministri in quanto membri vivi del corpo di Cristo in cui essi emettono il loro giuramento, senza che mai la loro decisione, che è insostituibile, faccia del sacramento una pura e sola emanazione del loro amore. Il sacramento come tale appartiene totalmente al mistero della chiesa in cui sono introdotti, in modo privilegiato, dal loro amore coniugale. Perciò nessuna coppia si scambia il sacramento del matrimonio, senza il consenso della chiesa stessa, e in forma diversa da quella che la chiesa stabilisce come la più espressiva del mistero in cui il sacramento introduce gli sposi.

Spetta dunque alla chiesa verificare se le disposizioni dei futuri sposi corrispondono realmente al battesimo che essi hanno già ricevuto; come spetta ad essa dissuaderli, se fosse necessario, dal porre un gesto che sarebbe offensivo nei confronti di colui di cui essa è testimone. Nello scambio del consenso che fa il sacramento, essa rimane anche il segno e garante del dono dello Spirito Santo che gli sposi ricevono impegnandosi l’uno verso l’altro in quanto cristiani. Perciò i contraenti battezzati non sono mai ministri del sacramento del loro matrimonio senza la chiesa e meno ancora al di sopra di essa; essi sono ministri nella chiesa e attraverso la chiesa, senza mai mettere al secondo posto colei il cui mistero è fonte del loro amore.

Una giusta teologia del ministero del sacramento del matrimonio non ha soltanto una grande importanza per la verità spirituale dei contraenti, ma essa ha anche delle ripercussioni ecumeniche non trascurabili nei nostri rapporti con gli ortodossi.

11. L’indissolubilità del matrimonio

In questo contesto, appare in una luce viva anche l’indissolubilità del matrimonio. Essendo Cristo l’unico sposo della chiesa, il matrimonio cristiano non può diventare e restare un’immagine autentica dell’amore di Cristo per la chiesa, senza partecipare alla fedeltà che definisce Cristo come sposo della chiesa. Quali che siano il dolore e le difficoltà psicologiche che ne possono derivare, è perciò impossibile consacrare a Cristo, per farne un segno o un sacramento del suo mistero, un amore coniugale che implicasse il divorzio di uno dei due contraenti o di tutti e due insieme, nel caso che il primo matrimonio sia veramente valido: cosa, questa, che in più di un caso non è evidente. Ma se il divorzio, secondo il suo scopo, dichiara d’ora in poi sciolta un’unione legittima e permette quindi di stabilirne un’altra, come è possibile pretendere che il Cristo possa fare di questo secondo « matrimonio » un’immagine reale del suo rapporto personale con la chiesa?

Benché possa avere un certo rispetto per alcuni aspetti, specialmente nel caso di un coniuge ingiustamente abbandonato, il nuovo matrimonio dei divorziati non può essere un sacramento e crea un’incapacità obiettiva a ricevere l’eucaristia.

12. Divorzio e eucaristia

Senza misconoscere le circostanze attenuanti e talvolta anche la qualità di un matrimonio civile successivo al divorzio, l’accesso dei divorziati risposati all’eucaristia risulta incompatibile con il mistero di cui la chiesa è servitrice e testimone. Accogliendo i divorziati risposati all’eucaristia, la chiesa lascerebbe credere a tali coniugi che essi possono, sul piano dei segni, comunicare con colui del quale essi rifiutano il mistero coniugale sul piano della realtà.

Fare una cosa del genere, significherebbe inoltre che la chiesa si dichiara d’accordo con battezzati, al momento in cui essi entrano o restano in una contraddizione obiettiva ed evidente con la vita, il pensiero e lo stesso essere del Signore come sposo della chiesa. Se essa potesse comunicare il sacramento dell’unità a quelli e a quelle che, su un punto essenziale del mistero di Cristo, hanno rotto con lui, essa non sarebbe più segno e testimone del Cristo, ma suo contro-segno e suo contro-testimone. Non di meno, però, tale rifiuto non giustifica assolutamente una qualche procedura infamante che sarebbe in contraddizione, a sua volta, con la misericordia di Cristo verso noi peccatori.

13. Perché la chiesa non può scegliere un matrimonio rato e consumato

Questa visione cristologica del matrimonio cristiano permette ancora di comprendere perché la chiesa non riconosce a se stessa nessun diritto di sciogliere un matrimonio « ratum et consummatum », ossia un matrimonio sacramentalmente contratto nella chiesa e ratificato dagli sposi stessi nella loro carne. In effetti, la totale comunione di vita, che umanamente parlando definisce la coniugalità, evoca a suo modo il realismo dell’incarnazione in cui il Figlio di Dio diventa uno con l’umanità nella carne. Impegnandosi l’un l’altro nel dono senza riserve di se stessi, gli sposi esprimono il loro effettivo passaggio alla vita coniugale, in cui l’amore diventa una condivisione così assoluta quanto è possibile di se stesso con l’altro. Entrano così in quel tipo di condotta umana di cui Cristo ha richiamato il carattere irrevocabile e di cui ha fatto un’immagine rivelatrice del suo mistero. La chiesa, quindi, non ha nessun potere su una unione coniugale che è passata sotto il potere di colui del quale essa deve annunciare il mistero e non svuotarlo.

14. Il privilegio paolino

Quello che viene chiamato « privilegio paolino » non contraddice in nulla quello che abbiamo appena ricordato. In funzione di quanto Paolo spiega in 1 Cor 7, 12-17, la chiesa si riconosce il diritto di annullare un matrimonio umano che si dimostri cristianamente invivibile per il coniuge battezzato, a causa dell’opposizione che gli fa quello non battezzato. In questo caso, il « privilegio », se esiste veramente, gioca in favore della vita in Cristo, la cui importanza, per la chiesa, può legittimamente prevalere su una vita coniugale che non ha potuto e non può effettivamente essere consacrata a Cristo da questa coppia.

15. Il matrimonio cristiano non può essere isolato dal mistero del Cristo

Che si tratti dei suoi aspetti scritturistici, dogmatici, morali, umani o canonici, mai il matrimonio cristiano è quindi isolabile dal mistero di Cristo. Perciò il sacramento del matrimonio, del quale la chiesa è testimone, al quale educa e che permette di ricevere, non è realmente vivibile che in una conversione continua degli sposi alla persona del Cristo.

Tale conversione a Cristo fa dunque parte intrinseca della natura del sacramento e fornisce direttamente il significato e la portata di un tale sacramento nella vita dei coniugi.

16. Visione non totalmente incomprensibile ai non credenti

Ad ogni modo questa visione cristologica, di per sé, non è totalmente incomprensibile anche per i non credenti. Non solo ha una coerenza sua propria che designa Cristo come l’unico fondamento di quello che noi crediamo, ma rivela pure la grandezza della coppia umana, che può « parlare » anche ad una coscienza che sia estranea al mistero del Cristo.

Inoltre, il punto di vista dell’uomo come tale è esplicitamente inseribile nel mistero di Cristo, a titolo del primo Adamo da cui il secondo ed ultimo non è mai da separare. Mostrarlo in pienezza nell’esempio del matrimonio aprirebbe la presente riflessione su altri orizzonti, nei quali però qui non entriamo. Si è voluto ricordare, prima di tutto, che Cristo è il vero fondamento, spesso ignorato dagli stessi cristiani, del loro matrimonio in quanto sacramento.


* Per un commento delle proposizioni, cf. Commissione Teologica Internazionale, Teologia del Matrimonio, Collana « Documenti » n. 2, Edizioni Dehoniane, Bologna 1978, 49 pp. - Commission Théologique Internationale, Problèmes Doctrinaux du Mariage Chretien, Centre Cerfaux-Lefort, Louvain 1979, 377 pp.





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