Cari Vescovi, vi supplichiamo, non tacete più, gridate dai tetti la Verità (4)

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Caterina63
00giovedì 5 novembre 2015 18:05
 Cari amici, e ci auguriamo anche molti sacerdoti e vescovi, dopo il successo dei tre precedenti thread su questi appelli (con oltre diecimila visite in totale):

vedi: -  Cari Vescovi, vi supplichiamo, non tacete più, gridate dai tetti la Verità
- Cari Vescovi, vi supplichiamo, non tacete più, gridate dai tetti la Verità(2)  e 

- Cari Vescovi, vi supplichiamo, non tacete più, gridate dai tetti la Verità(3)

arriviamo alla quarta pagina dedicata a queste suppliche ai nostri Patori, affinchè VIGILINO  attentamente e con pazienza sul gregge loro affidato, sulla diocesi che sono chiamati a servire..... dal canto nostro assicuriamo preghiera e filiazione affettuosa, sempre... nei Cuori di Gesù e Maria....

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Riprendiamo da qui.....


Il cardinale Robert Sarah: “Basta con l’intrattenimento nelle liturgie, così non c’è più posto per Dio”




Il cardinale Robert Sarah

Il cardinale Robert Sarah

Il cardinale Robert Sarah, prefetto della Congregazione del Culto Divino e della Disciplina dei Sacramenti, nel corso di un intervento sull’Osservatore Romano, si è espresso in maniera dura nei confronti delle modifiche liturgiche che in molte chiese vengono introdotte dai sacerdoti: “Su questi punti – scrive – l’insegnamento del Concilio Vaticano II è stato spesso distorto.” In particolare, Sarah ha affermato che “il celebrante non è il conduttore di uno spettacolo” riprendendo il pensiero di papa Francesco. “Non deve cercare il sostegno dell’assemblea, stando di fronte a loro come se le persone dovessero primariamente entrare in dialogo con lui. Al contrario, entrare nello spirito del Concilio significa stare nel nascondimento, rinunciare alle luci della ribalta.”

Il cardinale Sarah chiede che si torni ad uno stile liturgico più tradizionale, in cui il prete, invece di rivolgersi all’assemblea, si rivolga verso est, “ad orientem”, la direzione da cui Cristo arriverà durante la sua seconda venuta. “Contrariamente a quanto dicono alcuni talvolta, è in piena conformità con la costituzione conciliare che tutti, prete ed assemblea, si girino insieme verso est durante il rito penitenziale, il canto del Gloria, le orazioni e la preghiera eucaristica, per esprimere il desiderio di partecipare all’opera di redenzione compiuta da Cristo. Questa pratica potrebbe essere reintrodotta innanzitutto nelle cattedrali, dove la vita liturgica dovrebbe essere di esempio per tutti.” Inoltre, per Sarah, il secolarismo ha infettato la liturgia: “Una lettura troppo umana ha portato alla conclusione che il fedele deve essere costantemente occupato.”

Sarah nota che troppo spesso il sacerdote cerca di tenere alta l’attenzione dell’assemblea con modalità per nulla ortodosse. “Il modo di pensare occidentale, infarcito dalla tecnologia e deviato dai media, vorrebbe trasformare la liturgia in una vera e propria produzione da spettacolo. In questo spirito, molti hanno cercato di rendere le celebrazioni delle feste. A volte i sacerdoti introducono nelle celebrazioni elementi di intrattenimento. Non abbiamo forse visto la proliferazione di testimonianze, scenette, applausi? Immaginano di allargare la partecipazione dei fedeli, mentre, nei fatti, riducono la liturgia ad una cosa del tutto umana. Corriamo il reale rischio di non lasciare spazio per Dio nelle nostre celebrazioni.”


 


LETTERA

Matrimonio cristiano

 


 

Una coppia non sposata ha un figlio, la vita di tanti. Ma poi l'incontro con la fede, un lungo cammino di preparazione e infine la grande gioia del matrimonio cristiano. E noi abbiamo visto accogliere con meraviglia il “mistero” nascosto ai dotti e agli intelligenti, ma rivelato ai piccoli e ai poveri.


di Margherita Garrone

Caro direttore,

vorrei proporti alcune breve riflessioni a proposito della recente celebrazione di un matrimonio di amici, che mi ha fatto pensare in ordine al prossimo Sinodo. La cosa necessaria per curare la moria di famiglie e il disfacimento del matrimonio cristiano e comunque del matrimonio, è annunciare che l’Amore degli Sposi è dono della Trinità, e che la via è Cristo.


8 agosto 2015


“Chi è colei che sale dal deserto … vieni dal Libano, mia sposa, vieni… vieni…”

Le brave signore escono dalla chiesa sconcertate, e io colgo una osservazione molto logica e riconducibile a quel “O tempora o mores” di latina memoria perché “una volta prima ci si sposava e poi si avevano i figli, ora …”, e così di seguito: “Tutto a rovescio! Tutto sbagliato!”

Mamma mia quanto sono lontane queste due care signore dalla gioia e dall’allegrezza che ho provato io a questo matrimonio. Ho perfino battuto le mani (ben sapendo che il nostro parroco non lo gradisce), ma veramente il giubilo che sta dentro si ripercuote nell’atteggiamento e nel bisogno di condividere e coinvolgere.

“Vieni dal Libano, mia sposa”: niente marcia nuziale ma questo dolcissimo invito dello sposo del Cantico e la risposta di lei, sposa e sorella, che ha raggiunto l’atteso del suo cuore. “Cercai l’amore dell’anima mia… l’ho trovato e non lo lascerò mai”: quale più completa dichiarazione d’amore! Chi non si lascia trasportare da tanto sincero bene! Questo Cantico dei Cantici è davvero una manifestazione profondamente umana di chi nel cuore non ha altro desiderio che unirsi al proprio amato!

Non c’è nulla di profano in questo, anzi è tutto donato nel sacramento delle origini, il matrimonio, che il Genesi proclama come il disegno di Dio sull’uomo e la donna: “Lei è osso delle mie ossa … e i due saranno una sola carne”.

Ma non basta, non è tutto qui, c’è dell’altro, molto più grande e divino. Se lo avessero intuito le nostre buone signore avrebbero, forse, gioito con chi cantava e batteva le mani. Se avessero intuito che a cantare con la tenerezza dello sposo “Vieni dal Libano, mia sposa” non era Mikol ma Gesù, il Crocifisso Risorto, che abbraccia la sua Chiesa uscita dal deserto della vita senza senso, appoggiata a Lui, suo diletto. La sua Chiesa così tanto corteggiata, cercata, perduta e ritrovata e finalmente fatta sposa nell’amore e nella libertà. Forse le nostre due buone signore non si sarebbero lasciate andare alle loro pessimistiche considerazioni.

Signore, aprici gli occhi per vedere le tue meraviglie e godere della tua presenza in mezzo a noi! Il tuo Santo Spirito avvolge la nostra esistenza e noi rischiamo di non accorgercene! Sì, perché sono belli gli sposi, di una purezza rigenerata.  Ciò che è stato prima non importa al Signore Gesù che li ha amati tanto da dare la sua vita per loro. Egli ha allargato le sue braccia e non chiede altro che stringerli a sé e farli nuovi. Egli è lo sposo, questa coppia è la sposa bella, senza ruga  e senza macchia.

Ecco perché io non potevo che esultare e scoppiare di gioia, perché io ho visto l’opera del Signore, lo sposo: “una meraviglia ai nostri occhi”. Ho visto anche l’ardente desiderio della sposa: sedersi a questo banchetto preparato per lei, finalmente. Cristo si è fatto cibo e bevanda per la sposa che è vestita come una regina per l’incontro con lui. 

Noi che abbiamo camminato con questa coppia, anzi con questa famiglia (il figlioletto di otto anni li ha seguiti nel percorso condividendo), testimoniamo di quale predilezione siano stati oggetto, venendo da una situazione di assenza totale di alfabetizzazione della fede. Abbiamo visto accogliere con meraviglia il “mistero” nascosto ai dotti e agli intelligenti, ma rivelato ai piccoli e ai poveri.

Il desiderio vivissimo dell’Eucarestia, della comunione di vita con Cristo, nasce da questa attesa, da questa scoperta. La rivelazione del “mistero” passa attraverso l’opera della Chiesa madre e maestra, che conosce i tempi e i modi perché questo dono inestimabile giunga in un cuore pronto ad accoglierlo e conservarlo come il bene supremo. “che, se tu dessi tutti i beni della tua casa (per comprarlo), solo troveresti il disprezzo”. 

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 Un sacerdote risponde

Sono sposata solo civilmente e penso di sposarmi in Chiesa in un'unica cerimonia col Battesimo del bambino che ardentemente desideriamo

Quesito

Salve,
ho scoperto stamane il Vostro sito, e ho visto che date dei riscontri a domande spirituali che Vi vengono poste.
Ieri sono rimasta profondamente scossa da due notizie ricevute durante la confessione in preparazione della messa e dell'Eucarestia, ossia che non posso ne accostarmi alla confessione ne ricevere Gesù visto che al momento sono solo spostata civilmente.
Sono rimasta tremendamente ferita da questa notizia, visto che specialmente la confessione la reputo uno dei sacramenti più importanti per l'anima della persona nei confronti di Dio.
Dico al momento solo sposata al comune perchè abbiamo comprato con mio "marito", da pochi mesi casa e visto che il mio nonno con la quale sono cresciuta e abitavo non era d'accordo con la convivenza non accettava che andavo a  vivere se non ero almeno sposata in Comune (ovviamente con il matrimonio in Chiesa anche il prima possibile).
La nostra intenzione sarebbe quella di festeggiare il battesimo di nostro figlio quando verrà e il nostro matrimonio in una sola celebrazione anche per condividere questa gioia non solo per la nostra unione davanti a Dio, ma anche con i partenti ed amici, visto che al momento con tutte le spese del caso non abbiamo possibilità di organizzare nulla.
Faccio inoltre uso della pillola anticoncezionale, in via principale per delle problematiche curative e poi per contraccezione momentanea.
Ho avuto purtroppo l'anno scorso un aborto di due gemellini ad un mese di gravidanza che mi ha scioccato, sopratutto perchè prego e sto male quando sento persone che praticano l'aborto.
Spero comunque che quelle due anime che ho portato in grembo siano ora degli angioletti in paradiso.
Sono molto confusa in questo momento perchè comunque sento che Gesù mi ama e mi sta vicino sempre, ho avuto una vita travagliata ma sempre ricompensata per opera Sua. (L'altra notte ho sognato la Vergine Maria che mi ha fatto il Segno della Croce sulla fronte).
Per questo volevo ringraziarlo facendo anche la partecipazione ai cinque Venerdì di ogni mese, ma non credo che potrò partecipare in pieno visto che non posso ricevere l'Eucarestia.
Non mi abbatto comunque, voglio tenere sempre Gesù dentro di me pregando, impegnandomi a non peccare per non ferirlo e spero di sposarmi al più presto in Chiesa per viverlo al meglio.
Vorrei che questa mia mail, fosse di incoraggiamento a tutte le persone che non credono nell'amore di Dio e della Sua infinita Misericordia.
Sono sempre più convinta che non dobbiamo abbatterci Mai, Dio ci Ama uno per uno e guarda con gli occhi dell'amore il nostri cuore, dobbiamo vivere con la sola intenzione di guadagnarci il Regno dei Cieli perchè è l'unico scopo importante in questo cammino terreno.
Grazie per avermi dato l'opportunità di esprimermi.
Saluti.


Risposta del sacerdote

Carissima,
1. sono contento che tu abbia avuto l’opportunità di imbatterti nel nostro sito e forse nelle nostre risposte avrai trovato le ragioni per cui il giorno precedente ti era stato detto che non potevi accostarti alla confessione e all’Eucaristia.
Sono contento anche che il Signore ti dia dei segni della sua vicinanza perché, a quanto mi dici, finora la tua vita è stata parecchio travagliata.

2. Comprendo il dispiacere che hai provato nel sentirti dire che non potevi confessarti dal momento che giustamente reputi “specialmente la confessione uno dei sacramenti più importanti per l'anima della persona nei confronti di Dio”.
Sì, è vero. Non c’è esigenza più grande per una persona che quella di essere perdonata da Dio.

3. Il perdono di Dio è diverso e più profondo di quello che danno gli uomini.
Gli uomini possono perdonare, ma la colpa rimane e nessuno la può togliere.
Possono far finta che non sia stata compiuta, possono dimenticarla, ma non possono far sì che essa non sia stata compiuta.
Il perdono di Dio invece cancella il passato, lo lava nel Sangue Redentore di Cristo.
Come il Battesimo rende “nuova creatura”, così anche la confessione - che dai Santi Padri (gli Autori cristiani dei primi secoli) veniva definita come un secondo Battesimo - rende nuovi.
E come il Battesimo è di necessità per la salvezza, così è ugualmente necessaria la confessione per salvarsi per chi si trova in peccato mortale.

4. Vengo però adesso al motivo per cui chi è sposato solo civilmente non può accostarsi ai sacramenti della confessione e della S. Comunione.
Gesù Cristo ha elevato il matrimonio, già voluto da Dio all’alba della creazione, a dignità di sacramento, e cioè di segno sacro dell’amore di Dio per l’uomo e di Gesù Cristo per la Chiesa.
Chi è battezzato, e cioè innestato in Cristo come tralcio alla vite (Gv 15,1 e ss.), deve studiarsi di attingere dall’infinito amore di Cristo l’instancabile capacità di amare nella buona e nella cattiva sorte e di essere fedele per sempre.
Il sacramento comunica questa forza e impegna ad esserne testimoni.

5. Inoltre chi si sposa col sacramento del matrimonio sa che il marito e la moglie sono, sì, una realtà, ma nello stesso tempo sono un segno che rimanda ad un’altra realtà, anzi ad un’altra Persona ancora più importante, Gesù Cristo che costituisce come l’obiettivo principale e ultimo del proprio matrimonio.
Si tratta dunque di vivere con sempre maggiore intimità con Cristo, che è il nostro vero Sposo per sempre.
Il matrimonio dunque è un segno o una metafora attraverso la quale Cristo  vuole introdurre gli uomini ad un’altra intimità, ad un’altra sponsalità: quella per la quale diventiamo a Lui intimi e sposi, con tutti i diritti e i doveri che vi sono connessi.
Questo, come puoi vedere, tocca il senso ultimo non solo del nostro sposarsi, ma anche del nostro vivere su questa terra.

6. Sposarsi solo civilmente, sebbene rappresenti un impegno che ci si assume pubblicamente nei confronti del proprio coniuge, per un cristiano è come un fare a meno e anzi un disprezzo del di più che Gesù Cristo è venuto a portare.
Questo di più consiste in due cose: la prima è quella che ti ho detto or ora e che consiste nell’essere introdotti in un’altra Sponsalità, che dà significato alla sponsalità umana e che va vissuta sempre, per non cercare da uno sposo umano ciò che solo lo Sposo Celeste può dare.
La seconda consiste in una serie di grazie che il Signore dà ai coniugi cristiani affinché fedelmente, santamente e con perseveranza fino alla fine possiamo compiere i loro doveri.
Pertanto si può comprendere come mai i battezzati che non accettano di sposarsi col sacramento non innestano il loro matrimonio in Cristo e pertanto come cristiani non sono sposati.

7. Questo è il motivo per cui secondo la Chiesa è valido tra battezzati solo il matrimonio sacramento.
Questo è ugualmente il motivo per cui due battezzati sposati solo civilmente non possono accedere ai sacramenti della confessione e della Santa Comunione: è come se fossero conviventi, anche se davanti allo stato si sono assunti gli impegni matrimoniali.
E questo infine è il motivo per cui se rompono le nozze contratte civilmente possono poi celebrare il matrimonio sacramento con un’altra persona.

8. Mi dici che hai intenzione di sposarti in Chiesa facendo una cosa sola col Battesimo del figlio.
Che in alcuni casi si faccia così per mettere una pezza a una situazione irregolare è un conto.
Ma di per sé questo non è il criterio.
Quando ci si sposa si deve avere la mente orientata a quello che si sta per fare e cioè celebrare la Sponsalità con Cristo.
Quando si celebra il Battesimo si deve vivere la festa di un bambino che in quel giorno diventa figlio di Dio, viene purificato dal peccato originale e sottratto dall’influsso del maligno, viene santificato dalla grazia e aggregato alla Chiesa. Tutta la famiglia, insieme con lui, viene ricolmata di grazia.
Si tratta pertanto di due momenti molto grandi da vivere intensamente uno per uno.

9. Da quello che sembra emergere dalla tua mail pare che il criterio principale sia quello economico, per poter fare tutto anche esternamente con un certo dispendio e splendore esteriore.
Non so quale grave ammontare economico ci sarebbe stato se ti fossi sposata in Chiesa chiedendo un rito molto semplice al parroco: voi due, i testimoni, i familiari stretti e qualche altro.
Per il matrimonio civile avrete fatto così, anche in quello che è seguito al rito.
Ma sposandovi col Sacramento vi sareste portati dietro molta grazia, molta benedizione, molta protezione, cose tutte alle quali invece vi siete sottratti, purtroppo, per vostra volontà.
Certo, non ci avete pensato. Ma le cose stanno così.

10. Il mio consiglio pertanto è che vi sposiate al più presto in Chiesa, magari anche solo voi due con i vostri due testimoni. 
Perché è più preziosa la grazia che la vita (Sal 63,2) e avete più bisogno di questo che di tutto il resto.
Così potrai finalmente confessarti.
E poi potrai fare la Santa Comunione e donare alla tua famiglia questo tesoro così grande. È un tesoro di cui ne avete bisogno per tutte le sue necessità!

11. Quando poi verrà il bambino, vi preparerete spiritualmente all’evento molto grande del suo battesimo e la vostra mente sarà immersa in una nuova grazia che investirà tutta la vostra famiglia.
Fate dunque ogni cosa in maniera ordinata, come vuole il Signore.
Non c’è sapienza migliore della sua.

Ti auguro ogni bene, vi ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo


 


Caterina63
00giovedì 5 novembre 2015 18:06
[SM=g1740758] Qual'è la vostra posizione riguardo al dare la comunione ai divorziati-risposati?

io l'ho espressa tante volte: cioè che non è possibile!
che non è possibile perchè una tale ammissione, vorrebbe dire cambiare la dottrina del matrimonio, della Eucarestia, della confessione, della Chiesa sulla sessualità umana
e quinto, avrebbe una rilevanza pedagogica devastante, perchè di fronte a una tale decisione, specialmente i giovani, potrebbero concludere legittimamente: "allora è proprio vero, non esiste un matrimonio indissolubile".. [SM=g1740721]

Le aperture di Papa Francesco sono diverse, non è una apertura che vuol dire cambiare la dottrina, vuol dire avere un'atteggiamento vero, pastorale verso le persone, qualunque sia la loro condizione....

www.youtube.com/watch?v=iKRLWE96RCw








[SM=g1740750] [SM=g1740752]



Caterina63
00giovedì 5 novembre 2015 18:10


  CLICCA QUI Un'intervista ad un mons. Negri quasi inedito, inedito non per le cose che dice, ma per il modo in cui le dice.
Non ci si fermi a qualche titolo che parla di attributi, ma si legga domanda per domanda le risposte di un Vescovo che ha premura del proprio gregge, che ha a cuore la propria diocesi, che ama la Chiesa e che non sente imbarazzo a dire, per esempio che la Chiesa più che "ordo" è proprio un casino! e parla di riforma sì, ma nella disciplina nella Chiesa per una autentica unità.


Il vescovo nell'intervista in uscita su Panorama critica anche Renzi: "Il suo governo ci porta dritto verso l’utero in affitto"
 
Appoggio a Vladimir Putin per l’intervento militare in Medio Oriente. No alle aperture del Sinodo riguardo la comunione ai divorziati. Ferma condanna al governo Renzi e alle sue politiche laiciste. Quando nelle edicole compare un’intervista a Luigi Negri non mancano mai le dichiarazioni forti e le prese di posizione sui temi più caldi dell’attualità, a cui il più delle volte fanno seguito infuocati dibattiti tra sostenitori e detrattori dell’arcivescovo di Ferrara e Comacchio. Ed è molto probabile che lo scontro si ripeta anche da domani mattina (giovedì 5 novembre), quando il nuovo numero di Panorama darà spazio alle riflessioni politiche e religiose del prelato milanese, definito dal settimanale come “il più ortodosso dei vescovi italiani” e noto anche per il suo ruolo in Comunione e Liberazione (di cui è membro del consiglio internazionale) e nel Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti.
 
Fino all’uscita dell’intervista integrale – è giusto specificare – sono disponibili solo alcune brevi dichiarazioni dell’arcivescovo. Riguardo ai conflitti in Medio Oriente e alla minaccia dell’Isis, Negri afferma che “bisognerebbe tentare di disarticolare il vertice dello Stato islamico con un’azione vigorosa e mirata, ma per promuoverla servono testa e palle. E l’unico con gli attributi, devo ammetterlo con profonda vergogna, è Vladimir Putin”.
 
Altra presa di posizione importante riguarda la parziale apertura del Sinodo ai divorziati per quanto riguarda il diritto di ricevere la comunione: una decisione che viene lasciata ai singoli parroci. Ma su questo fronte Negri è lapidario: “Il Sinodo è un organo consultivo, a Ferrara resta tutto come prima”. E riguardo alla politica italiana, il vescovo si mostra assai critico verso l’operato di Renzi: “Da vescovo constato che il suo governo ci porta dritto verso l’utero in affitto”. L’ultima dichiarazione in anteprima riguarda invece la vita privata di Negri: “Se non avessi scelto il sacerdozio – afferma il vescovo -, mi sarebbe piaciuto diventare generale dei carabinieri”.




EDITORIALE
Vescovi
 

Siamo diventati bacchettoni con preti e vescovi sul come amministrano i soldi, ma poi li perdoniamo e li incoraggiamo se dicono eresie o se cercano di deviare dalla dottrina facendoci cadere tutti nel baratro. E il vero problema è che oggi non si parla più del Paradiso.

di Andrea Zambrano

Spendete quel che vi pare. Ma portatemi in Paradiso. Avari e faraoni? I preti e i vescovi che ho conosciuto io sono spesso degli spendaccioni che il più delle volte agiscono d'impulso riempiendo le canoniche di cianfrusaglie. Per il solo gusto di non dire di no o di apparire avari, di far sembrare che mancano di qualche attenzione alle loro comunità. Io li conosco questi preti.

Sono stati i preti della mia infanzia, i miei padri nella fede. Avevano sempre la stessa giacca, un po' sciattina, sgualcita e vivevano senza perpetua in stanze fumose mischiate all'odore del ragù abbrustolito. Però quando avevi bisogno aprivano il portafoglio: con una generosità commovente e a volte stupida: fosse per un venditore di fazzoletti magrebino capitato alla porta o per un piazzatore di enciclopedie agiografiche o ammenicoli da sagrestia.

E quando andavi da loro io me la ricordo quella generosità. Se ci fossero oggi e arrivasse un censore dei conti o se qualcuno facesse trapelare da fuori quelle spese, sarebbero messi alla pubblica gogna. Il fatto è che tutti questi preti che io ho conosciuto e che non sono negli elenchi di proscrizione nella nuova caccia di faraoni annidatisi nelle sacre stanze, questi preti di barbe incolte e portafoglio gonfio, ma sempre aperto sapevano parlare della vita eterna e trattavano il denaro con distacco perché consapevoli che non se lo sarebbero portati nell'aldilà.

Ora al prete sono richieste competenze manageriali e se sgarra di qualche euro il bilancio viene trattato come un malfattore. Per di più se viaggia in business. Che se poi il cardinale Pell viaggia in business al limite fa anche bene: ha il fisico di un giocatore di rugby, ce lo vedete stringersi per un'ora di volo nei seggiolini scatoletta di un volo Ryanair? Ma per favore. Siamo diventati bacchettoni con i vescovi che amministrano beni, ma li perdoniamo e li incoraggiamo se dicono eresie o se cercano di deviare dalla retta dottrina facendoci cadere tutti nel baratro. A che giova al vescovo guadagnare il mondo intero, e qualche punto di pil domestico, se poi perde se stesso?

Ché io i soldi glieli lascerei sperperare anche tutti se avessero a cuore solo ed esclusivamente la mia fede. I miei preti erano così, non erano avari ma nemmeno esempi di maniacale razionalizzazione applicata alla pastorale perché sapevano che oltre al portafoglio c'era una vita eterna da conquistare. E a quella si dedicavano. Una volta, prima che il meccanismo dell'8 per mille li rendesse dei funzionari del sacro, i parroci erano acuti amministratori di ingenti fortune parrocchiali costruite con la generosità dei fedeli, ma anche con uno spirito imprenditoriale sano.

Avevano un fondo? Lo davano a lavorare a 3, 4 a volte anche 5 mezzadri. Lo facevano fruttare per sfamare bocche e per promuovere pastorale: campi da calcio, scuole, opere parrocchiali. Tutto era incentrato a far fruttare quel microcosmo che le parrocchie erano.

Infatti non è un caso che quando sul finire della Seconda guerra mondiale i comunisti iniziarono la loro opera di indottrinamento nelle campagne e nei paesi, partirono proprio dall'illudere i contadini che con la vittoria dei Comunisti, i preti latifondisti se ne sarebbero andati via e «diventerete tutti padroni».

Loro intanto continuavano a predicare Gesù, la vita eterna, contro il peccato, tutto il peccato, mica salvaguardando il peccato più alla moda, fedeli e obbedienti alla loro vocazione.

Oggi della vita eterna non se ne parla più e il rischio del clero è quello di mischiarsi con il secolare quel tanto che basta per stravolgere la sua natura. Il caso “Vatileaks due” nasce da questa pretesa da stato di polizia mediatica di cui il clero è succube: «Consegnate i vostri iban e vediamo come gestite il malloppo, che qualche cosa di sconveniente lo troveremo».

Reati finanziari? Macché, sembra che in Vaticano non ce ne sia traccia. Eppure basta una spending review fatta alla “viva il parroco” per farli finire sulla graticola. Io sulla graticola vi metterei perché non mi parlate più del Paradiso, non perché occupate appartamenti nobili, i quali tra l'altro ve li siete trovati non perché volevate vivere da boss, con le maniglie d'oro, ma perché in questi secoli la bella arte a Palazzo era un rimando all'eterno che ci aspetta. E siccome il Palazzo Apostolico era il cuore di questo rimando all'eterno doveva essere bello. Perché ciò che è bello è anche buono, dicevano i greci.

Se avete le mani bucate saranno affari vostri e del vostro titolare. Io da voi vorrei commuovermi mentre celebrate messa, vorrei sentirvi parlare della mia poca fede. Non di come utilizzate ingenti risorse per sistemare o accomodare questo o quello. Sono miserie che ci sono sempre state e sempre ci saranno perché l'avarizia, come la generosità, sono vicende umane, troppo umane. Noi vorremmo vedervi attaccati a quel divino che invece in questo nuovo corso molti di voi hanno dimenticato. Spendete quanto volete, ma rivoglio quella tensione verso l'infinito che avete perso abbandonandovi così facilmente tra le braccia del mondo, che adesso, perfido, vi sta presentando il conto: con tanto di ricevuta fiscale e arretrati a bilancio.

 




LE MONETE DEL VANGELO
La Chiesa scossa da Vatileaks
 

Quante volte il Vangelo parla di soldi? Negli ultimi giorni è andato a raffica, nelle letture delle messe quotidiane segnate nella programmazione liturgica. Troppo stretta la coincidenza con le notizie sventagliate in Tv e in tutti i media per denunciare i soldi usati o sprecati da prelati o da istituzioni vaticane.

di Angelo Busetto


Quante volte il Vangelo parla di soldi? Negli ultimi giorni è andato a raffica. Nei Vangeli delle Messe quotidiane segnate nella programmazione liturgica, Mercoledì scorso Gesù raccontava di un tale che progetta di costruire una torre, e siede prima a calcolare se ha i mezzi per portarla a compimento. Giovedì è stata la volta della donna che perde una delle sue dieci monete ed è tutta contenta quando la ritrova, fino a chiamare le amiche; Gesù non dice se avrà speso la moneta per far festa con loro, ma a noi sta bene. 

Poi, venerdì Gesù ha messo a disagio tutti i commentatori con lastoria dell'amministratore disonesto, lodato dal padrone perché aveva agito con scaltrezza. Non è finita. Ieri Gesù ha parlato di chi non sa maneggiare bene nemmeno la ricchezza disonesta; come gli si potrà affidare quella vera? E nel Vanagelo di oggi ecco i farisei che fan bella figura gettando grosse monete nel tesoro del tempio e la vedova elogiata perché, gettando due monetine, vi ha messo tutto quanto aveva per vivere.

Tutti questi soldi citati nel Vangelo ci rimbalzano nel cuore. Troppo stretta la coincidenza con tuttequelle notizie sventagliate in Tv e in tutti i media per denunciare i soldi usati o sprecati da prelati o da istituzioni vaticane. Troppo stringente e puntuale il richiamo di papa Francesco in questi giorni, e non solo, sull'uso del denaro. Gesù avrà fatto una soffiata al Papa, dicendogli che non c’era da aver paura: paginate di Vangelo l’avrebbero accompagnato con perfetto tempismo. Gli avrà anche sussurrato il fatto della borsa di Giuda, o l'episodio dei mercanti scacciati dal tempio, o del tributo pagato lealmente allo Stato. Ma non si sarà dimenticato di ricordargli la donna che ha sprecato un sacco di soldi per comperare una quantità esagerata di profumo da versargli sui piedi. E poi ancora i profumi preziosi del mattino di Pasqua. 

Gli avrà ricordato il daziere Matteo, che papa Francesco tante volte ha visto nel dipinto di Caravaggio, con il bancone pieno di soldi abbandonato subito alla chiamata del Signore, o le tasche di Zaccheo, piene di denaro sporco prontamente restituito alle persone alle quali era stato sottratto e ai poveri. Gesù sapeva e sa ancora bene come andava il mondo e come va adesso. Avessimo sotto gli occhi il suo volto, vedremmo che consola il Papa con un sottile sorriso ironico, ricordandogli di essere stato venduto per trenta denari e la musica forse non è molto cambiata.

Eppure... Eppure questa Chiesa va ancora. Questa Chiesa - abitata da peccatori - è stata ed èluogo di salvezza, casa di bellezza, albergo di carità, madre di santi; ospedale da campo per gli uomini e le donne di tutti i continenti, e tra i feriti non mancano certo i cristiani. Il Vangelo è pieno di ironia e ci ricorda ogni giorno che Dio ha scelto pescatori e peccatori, anime candide e prostitute, delinquenti e  innocenti: per parlare di Lui, costruire chiese e cattedrali, ospedali e scuole, soccorrere poveri e malati, vecchi e bambini, testimoniare una misericordia che attraversa mari e monti in cerca della pecora perduta.

Convertendosi a Gesù e amandolo con tutto il cuore, uomini e donne hanno donato i soldi e tutta lavita, con un'energia che non si spegne e un'inventiva che si rinnova ad ogni tornante della storia. Volete voi che qualche intrigo del Vaticano o dell'intera Chiesa e qualche scandalo di prelati o amministratori - ben miscelato nella salsa di giornalisti e imbonitori - fermino l'opera di Dio che ha posto la sua tenda accanto alle case degli uomini e continua ad abitarvi?

 

 

Caterina63
00lunedì 9 novembre 2015 13:30

Lettera aperta al papa di un ex Francescano dell'Immacolata


 



Davide Canavesi, già fra Ambrogio, ha lasciato il seminario dei Francescani commissariati nel 2013 [qui]


A Sua Santità Papa Francesco,

sono un ex-frate francescano dell’Immacolata da poco uscito dall’Istituto. Lo scopo di queste righe non è quello di rinfocolare ulteriormente le polemiche, né di volermi mettere al di sopra degli organi ecclesiastici ma questa lettera vuole essere una semplice testimonianza sul Seminario Teologico Immacolata Mediatrice (Stim) e un piccolo ma sentito ringraziamento per tutti i miei formatori e i padri fondatori.
Lo Stim, che negli ultimi anni formava più di 50 chierici, è stato distrutto, come è noto, per motivi ancora non precisati. Lo Stim era un seminario-convento di oltre 50 frati studenti da tutte le parti del mondo, di età e cultura differenti, che insieme ai formatori e ai pochi fratelli religiosi, costituivano una comunità dall’intensa vita di preghiera, dalla vita di studio approfondito e dall’impegno apostolico fervente, il tutto in grande spirito di fraternità!

Che cos’era la vita allo Stim? Preghiera, studio, lavoro, apostolato: non perdere nemmeno un minuto ed essere posto nelle condizioni di non perdere tempo, perché ogni minuto per un consacrato all’Immacolata è della Madonna. Breviario e S. Messa antica (voluti dagli studenti e non imposti loro) non per un’adesione ideologica all’antico ma per la ricostruzione di una vita religiosa come vita di preghiera. Narrano le fonti riguardo al serafico Padre che “suo porto sicuro era la preghiera […] di notte si recava, solo, nelle chiese abbandonate e sperdute a pregare”.

Che cosa c’è dunque di strano che in mezzo alla notte i frati si sveglino e recitino il Breviario? Eppure proprio per questo i formatori e padre Stefano in testa sono stati considerati dei pelagiani! Con quanto equilibrio poi i formatori aiutassero tutti coloro i quali avessero problemi a fare la preghiera notturna lo possono testimoniare in molti. Vuole sapere poi cosa insegnava il rettore, definito “deformatore” dei chierici, a coloro i quali non avevano difficoltà ad alzarsi: “Chiedi al Signore di caricarti di parte del peso di chi ha difficoltà e sgravare lui, perché è meglio una comunità che sia tutta fervente che pochi frati più ferventi”.

Non è questa vera carità verso il prossimo, che non è il giustificare i difetti altrui ma aiutare a vincerli! Davanti ad una comunità di 50 giovani frati che vogliono pregare di notte, per quale motivo la preghiera notturna è stata abolita dai nuovi rettori? È vero che la preghiera notturna è stata introdotta in questi ultimi anni tra gli Ffi, ma non vedo come possa essere considerata una buona formazione quella che blocca il fervore dei giovani e soffoca la loro buona volontà. Davanti alla “prudenza umana” del nuovo corso Ffi sta però il “senza limiti” di san Massimiliano: se ogni giorno al risveglio promettiamo di “vivere, lavorare, soffrire, consumarsi e morire per Lei” lo dobbiamo veramente fare!

Un vero francescano non può vivere nella rilassatezza dei conventi di oggi senza arrossire. Se si pensa che nei nostri conventi non manca mai il cibo, che spesso si mangia molto di più e meglio che a casa propria, non ci si può che vergognare pensando alla vita francescana delle origini. Almeno compensiamo a questo con una vita intensa nel sacrificio che costa di più alla natura umana, quello della preghiera notturna, del tempo personale… era questo l’intento di padre Stefano nel dare una spinta verso l’alto alla nostra vita! In compenso è stato trattato come uno squilibrato, un giansenista, un calvinista e un lefebvriano! Se si ha tempo di vedere film inutili, cartoni animati o partite di calcio vuol dire che non si usa bene il tempo… siamo qui per salvare anime, che c’entra il calcio!

Basterebbe ogni tanto spingere il pensiero ai nostri cari, agli amici che abbiamo lasciato nel mondo per accorgerci di quanto la gente fatichi. Basta pensare alle giovani madri che si dividono tra lavoro e famiglia; agli amici che dopo essersi laureati in mezzo ai sacrifici non riescono a trovare un lavoro che li faccia felici, mentre nei conventi siamo sottratti alla dura lotta per il lavoro; ai giovani genitori costretti a svegliarsi di notte al pianto del loro figlio e che la mattina devono essere comunque al lavoro puntuali, mentre noi siamo attenti a recuperare sempre il sonno perduto. Davanti a tutto ciò un religioso che rifiuta sacrifici come potrà dirsi veramente un religioso!
Come posso chiedere a delle giovani spose di accettare tutti i figli che Dio vorrà dar loro, per quanto eroismo possa costare, se non accetto io per primo sofferenze e fatiche eroiche! Non dovrebbe essere desiderio di ogni vero francescano il condividere le sofferenze che ogni uomo sperimenta nella sua dura esistenza, anziché fare dei conventi delle oasi di benessere sottratte alla lotta della vita! Chi farà rivivere la vita di S. Maria degli Angeli o quella di Niepokalanow se non la nostra generazione? Ma se chi lo vuole fare viene accusato di tutte le eresie e gli scismi possibili e immaginabili che ne sarà della nostra povera e amata Santa Chiesa!


A un nuovo superiore ho esposto queste riflessioni e ho segnalato come in coscienza non potevo accettare una vita tutto a un tratto così ammorbidita. Non potevo davanti al ricordo del mio parroco che tutte le mattine, terminata la S. Messa, stramazzava su una sedia in sacrestia per la stanchezza dovuta a una grave malattia e nonostante ciò non lasciava mai il suo gregge senza il Santo Sacrificio; non potevo davanti alla vita sacrificata che conducono molti miei amici spesso subendo umiliazioni, da accettare a capo basso per non perdere il lavoro! Mi sono sentito rispondere che l’austerità non ha nulla a che vedere con la Consacrazione all’Immacolata e che, in definitiva, non bisogna “esagerare”. Diceva Ernest Hello che “se non esistesse la parola ‘esagerazione’, il mediocre la inventerebbe”! È vero, non si può negare, tutti noi seminaristi sentivamo con un po’ di sofferenza la necessità di sacrificarci sempre, ma è proprio questa l’unica strada per incominciare a fidarsi di Dio e non di se stessi.

Non posso poi omettere di dire che lo Stim pareva proprio il regno della carità fraterna e non può essere che così: dove ci si sforza di amare Dio non si può che scoprire che il secondo comandamento dell’amore è simile al primo (Mt 22, 39). Quanti buoni esempi ho ricevuto dai confratelli! Non posso dimenticare senza un po’ di commozione quel frate che si preoccupava della salute dei confratelli, e il confratello che partiva quando era ancora notte per questuare il cibo necessario alla comunità, e il frate con cui si faceva gara ad arrivare per primi al lavoro, perché l’altro fosse più libero nei suoi studi! “Alter alterius onera portate et sic adimplebitis legem Christi” (Gal 6, 2) dice san Paolo….
Se non lo avessi visto tacerei, ma ho visto con i miei occhi quanto valesse questo precetto! Ricordo una volta di essermi un po’ lamentato del fatto che nel poco tempo disponibile dovessi aiutare qualche confratello straniero a preparare gli esami. Vuole saper quale fu la risposta del superiore: “Lo devi fare, quella è la tua seconda Eucarestia. La mattina è Gesù che si sacrifica sull’altare per te, ora sei tu che devi sacrificare te stesso per un fratello in difficoltà”. Questa è la risposta di uno di quei “giansenisti” che il commissario ha pensato subito di allontanare!


Purtroppo il commissariamento non ha portato se non tensione e divisioni in Seminario: come si può stare sereni d’altronde quando la predicazione è utilizzata al fine di attaccare padre Stefano, alludendo a lui come giansenista, calvinista, ladro, ecc.; quando dai propri pastori si viene esposti ad accuse infondate (cripto-lefebvriani); quando, a chi tenta il dialogo, si replica di essere affetto da “dipendenza psicologica”; quando il cofondatore, padre Gabriele, viene mandato via dalla comunità senza nemmeno dare l’annuncio agli studenti e senza così poterlo salutare! Gli stessi che scrivono essere il seminario una sorgente di ribellione dovrebbero interrogarsi se non è stata anche colpa loro, con la loro durezza, a far sì che qualcuno, certamente sbagliando, abbia divulgato all’esterno informazioni.
Che dire poi di quel superiore che parlando al seminario ha detto che non si preoccupava del fatto che molti volessero uscire dall’istituto, dato che “avevamo già preventivato che con il commissariamento avremmo perso 60-80 frati”. Peccato che i frati non sono soldatini di latta che un bambino capriccioso può abbattere con un calcio, ma sono persone umane, perlopiù giovani, alle quali è stata rovinata la vita, costretti ad andarsene per non tradire la propria coscienza e il proprio ideale!


Un’ultima parola proprio su di Voi, Santo Padre, considerato che il seminario è stato accusato da confratelli ed esterni di essere ribelle al Papa e, addirittura, di considerarVi un antipapa. Oltre alla stupidità dell’ultima affermazione, posso testimoniare di non aver mai sentito una critica offensiva nei Vostri confronti. Nonostante la sofferenza di vederci accusati da quella stessa Santa Chiesa che abbiamo imparato ad amare, abbiamo sempre sperato che la salvezza ci venisse proprio da Voi. Ricorderò sempre un confratello, accusato di essere un lefebvriano, dire con molto calore: “Voglio essere salvato dalle mani del Santo Padre, perché lui è mio padre e io sono suo figlio”.
Il giorno del Vostro compleanno poi tutto il seminario è esploso in battiti di mani e grida! Chi fa accuse sulla ribellione del seminario al Papa non sa portare poi prove a sostegno, se non “relata refero”! Il precedente rettore all’inizio del nuovo anno accademico aveva deciso di abbreviare il pranzo per recitare una corona del S. Rosario con l’intenzione di preghiera per Voi: non era questa una maniera di rispondere alle richieste che continuamente rivolgete ai cristiani?
I nuovi rettori, non appena arrivati, hanno abolito questo S. Rosario!
Chi ama il Papa? Chi prega e accetta sacrifici per Lui oppure chi si riempie la bocca di parole del Sommo Pontefice e poi non fa nulla per Lui? I
n una catechesi avete chiesto ai sacerdoti di chiudere le loro giornate davanti al Tabernacolo, a impetrare la salvezza delle anime! Con un po’ di presunzione posso dire che questo non avevo bisogno d’impararlo da Voi, Santo Padre, perché ho sempre visto i miei formatori chiudere tutte le giornate in ginocchio di fronte al Tabernacolo a pregare per me e i miei confratelli perché il Signore ci concedesse di divenire buoni frati per la salvezza di tutte le anime!


Da quello che ho scritto capirete, Santo Padre, l’impossibilità di continuare serenamente in un istituto dove lo zelo e la virtù vengono calunniati, dove si è costretti ormai a camminare tra i “cadaveri” dei propri amati confratelli e, ancor peggio, sulle teste dei propri fondatori e dei formatori che ci hanno fatto del bene. Vi domando l’apostolica benedizione e di ricordarVi di me nella Santa Messa quotidiana, perché possa perseverare nella Fede e nel servizio del Signore sotto la guida dell’Immacolata.

Nel Cuore di Gesù e Maria,
Davide Canavesi (già fra Ambrogio)



10 novembre 2015

Quella porcata del commissariamento delle Francescane dell'Immacolata

 

di Campari & De Maistre
 
In questi giorni purtroppo il padre della Menzogna ha deciso di sferrare uno dei suoi periodici attacchi, compiendo appunto l'unica azione che gli riesce: diffondere menzogne.
 
La vittima del momento è l'ordine delle Suore Francescane dell'Immacolata, immolata dopo i Frati Francescani dell'Immacolata.
 
Purtroppo i fenomeni da baraccone delle TV nazionali si stanno prodigando per infangare sempre di più questo Santo Ordine. Si stanno inventando giuramenti di sangue e coercizioni allucinanti che al momento non sono provati. Se in questo ordine vigeva un regime di violenza e prevaricazione, perché il numero delle vocazioni aumentava sia nel ramo maschile che in quello femminile? 
Non è che l'altro frutto di Satana, l'Invidia, che fa il paio appunto con la Menzogna, ha lavorato per dare il ben servito all'ordine che più di tutti sembrava in procinto di essere perno per la rinascita di una Chiesa oggi in crisi?
 
Domande che potrebbero rimanere nel vuoto. Fatto sta che, come ha fatto notare il sito Messa in Latino, nel documento di commissariamento, di tutto ciò non c'è traccia. La colpa, a quanto pare gravissima, che avrebbero commesso le suore sarebbe quella di non essere conformi al Concilio Vaticano II. Colpa che sarebbe più grave di furto e depravazione sessuale, insomma.
 
Resta da capire dove stia la regia e soprattutto perché, sulla base di quanto è emerso riguardo altri ordini, solo i Francescani vengano commissariati. Laddove invece sono spariti milioni, sono stati scoperti giri di prostituzione minorile e via dicendo, nulla è stato toccato. 
 
Rimaniamo convinti che coloro che si stanno rendendo partecipi, soprattutto nelle alte sfere, della persecuzione contro le Suore, dovranno poi spiegarne i motivi al Signore.



“Noi crediamo nella vittoria della Grazia”


Come insegna il grande San Paolo: «Noi crediamo nella vittoria della grazia» (1Cor 10,13).

di Don Alfredo Maria Morselli (09-11-2015)

1. Il vomito di Dio.

Tra gli argomenti di coloro che vorrebbero permettere ai divorziati risposati civilmente e conviventi more uxorio di accedere alla S. Comunione, compare la tesi secondo la quale i suddetti carissimi fratelli non sarebbero in grado di vivere in grazia di Dio, cioè astenendosi dagli atti coniugali; e questo perché “Non siamo in grado, come esseri umani, di raggiungere sempre l’ideale, la cosa migliore” e “…l’eroismo non è per il cristiano medio” (Card. W. Kasper) [1]; i conviventi sono infatti esposti alla “forza soverchiante della tentazione”, data la “forte occasione inevitabile, che vince la resistenza di una buona volontà contraria” (P. G. Cavalcoli O.P.) [2]. Per ammetterli alla S. Comunione, non si dovrebbe dunque esigere l’impossibile.


Per fortuna c’è San Paolo!

Per quanto riguarda l'”eroismo” che non sarebbe per il “cristiano medio”, i nostri autori passano bellamente sul cadavere della “vocazione universale alla santità”, che potrebbe essere definito come il cuore del messaggio complessivo del “vero” Vaticano II: il Concilio proclama, nei vari documenti, questa vocazione propria di tutti i battezzati, dei laici, dei sacerdoti e dei religiosi.

Cito qualche frase dal capitolo V (§ 40-41 passim) di Lumen gentium:

“39. … tutti nella Chiesa, sia che appartengano alla gerarchia, sia che siano retti da essa, sono chiamati alla santità, secondo le parole dell’Apostolo: «Sì, ciò che Dio vuole è la vostra santificazione» (1 Ts 4,3; cfr. Ef 1,4). Orbene, questa santità (…) si esprime in varie forme in ciascuno di quelli che tendono alla carità perfetta nella linea propria di vita ed edificano gli altri; (…) 40. Il Signore Gesù, maestro e modello divino di ogni perfezione, a tutti e a ciascuno dei suoi discepoli di qualsiasi condizione ha predicato quella santità di vita, di cui egli stesso è autore e perfezionatore: «Siate dunque perfetti come è perfetto il vostro Padre celeste» (Mt 5,48) (…) I seguaci di Cristo, chiamati da Dio, non a titolo delle loro opere, ma a titolo del suo disegno e della grazia, giustificati in Gesù nostro Signore, nel battesimo della fede sono stati fatti veramente figli di Dio e compartecipi della natura divina, e perciò realmente santi. Essi quindi devono, con l’aiuto di Dio, mantenere e perfezionare con la loro vita la santità che hanno ricevuto. (…) È dunque evidente per tutti, che tutti coloro che credono nel Cristo di qualsiasi stato o rango, sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità”.

Purtroppo sappiamo tutti come il Vaticano II, il “Concilio della Santità”, sia stato indebitamente trasformato in “Concilio delle novità”, e siccome la santità è troppo di vecchia data, è finita nel dimenticatoio.

Siamo dunque davanti al trionfo della “tiepidezza”, di ciò che l’Apocalisse chiama “il vomito di Dio”:

Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca (Ap 3,16).
2. La presunta “forza soverchiante della tentazione”.

Per quanto riguarda la presunta “forza soverchiante della tentazione”, il magistero della Chiesa non manca certo di mostrarci quanto false siano queste parole.

Il Concilio di Trento (Sessio VI, cap. 11) definisce:

“Nessuno, poi, per quanto giustificato, deve ritenersi libero dall’osservanza dei comandamenti, nessuno deve far propria quell’espressione temeraria e proibita dai padri sotto pena di scomunica, esser cioè impossibile per l’uomo giustificato osservare i comandamenti di Dio”; di seguito vien citato S. Agostino (De natura et gratia, 43): “Dio infatti non comanda cose impossibili [ordinando di resistere a qualunque tentazione], ma ordinando ammonisce di fare ciò che puoi, e di chiedere ciò che non puoi e aiuta perché tu possa”; infine la Scrittura: “I suoi comandamenti non sono gravosi (1 Gv 5,3), il suo giogo è soave e il suo peso è leggero (cf. Mt 11,30)” (DS/36 1536) [4].

In seguito, Innocenzo X ha condannato la proposizione giansenista che suona: “Alcuni precetti di Dio sono impossibili agli uomini giusti, nonostante il volere e gli sforzi, secondo le presenti forze; pure manca loro quella grazia, che li rende possibili” (DS/36 2001), definendola come “temeraria, empia, blasfema, condannata con anatema, eretica” (DS/36 2006) [5]

3. Per fortuna c’è San Paolo

A fronte del giro mentale che imprigiona l’uomo nella sua miseria senza considerare gli effetti salutari della redenzione, ogni buon cristiano non può che confessare la fede nella vittoria della grazia; se con San Paolo piangiamo:

“…nel mio intimo acconsento alla legge di Dio, ma nelle mie membra vedo un’altra legge, che combatte contro la legge della mia ragione e mi rende schiavo della legge del peccato, che è nelle mie membra. Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte?” (Rm 8, 22-24),
con lo stesso Apostolo cantiamo il peana di vittoria:

“Ora, dunque, non c’è nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù. Perché la legge dello Spirito, che dà vita in Cristo Gesù, ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte. Infatti ciò che era impossibile alla Legge, resa impotente a causa della carne, Dio lo ha reso possibile: mandando il proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato e a motivo del peccato, egli ha condannato il peccato nella carne, perché la giustizia della Legge fosse compiuta in noi, che camminiamo non secondo la carne ma secondo lo Spirito. (…) in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rm 8, 1-4. 37b-39).
4. 1 Cor 10,13.

Se Rm 8 è il canto di vittoria del redento, il testo paolino che elimina definitivamente il timore di soccombere necessariamente alla tentazione e al peccato è 1 Cor 10,13.

Il nostro versetto viene dopo una pericope (1 Cor 9,24-10,12) in cui l’Apostolo racconta la sua vita da asceta, perché l’impeccabilità non è affatto garantita; inoltre egli esorta, con un tono convenientemente un po’ severo, a non cadere in peccato;

“9,23. Non sapete che, nelle corse allo stadio, tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? (…) faccio pugilato, ma non come chi batte l’aria; 27 anzi tratto duramente il mio corpo e lo riduco in schiavitù, perché non succeda che, dopo avere predicato agli altri, io stesso venga squalificato. 10:1 Non voglio infatti che ignoriate, fratelli, che i nostri padri furono tutti sotto la nube (…) 5 Ma la maggior parte di loro non fu gradita a Dio e perciò furono sterminati nel deserto 6 Ciò avvenne come esempio per noi, perché non desiderassimo cose cattive (…) 7 Non diventate idolatri (…) 8 Non abbandoniamoci all’impurità (…) 9 Non mettiamo alla prova il Signore (…) 10 Non mormorate,(…) 11 Tutte queste cose però accaddero a loro come esempio, e sono state scritte per nostro ammonimento, di noi per i quali è arrivata la fine dei tempi. 12 Quindi, chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere”.
Dopo questi moniti e prima di trattare nuovi argomenti (effetti dell’Eucarestia, non entrare in comunione con i demoni, evitare lo scandalo – 1 Cor 10, 14-33), San Paolo compone un versetto che da un punto di vista retorico serve da transizione, e, quanto al contenuto, rassicura i Corinti che il combattimento spirituale non è condannato alla sconfitta, a motivo della fedeltà di Dio; ecco il nostro testo:

1 Cor 10,13: “Nessuna tentazione, se non umana, vi ha colto (oppure “ha avuto la meglio”, oppure, con la Vulgata, “vi catturi” = “vi tenga in scacco”) ; Dio infatti è degno di fede, cosicché Egli non lascerà che siate tentati più di ciò che potete, ma costituirà – insieme con la tentazione – anche la via di uscita per poter[la] sopportare” [6].

Parafrasiamo ora il versetto, aggiungendo qualche spiegazione:

Nessuna tentazione, se non umana… = se non quelle in cui necessariamente l’uomo si trova.

Ho seguito, nel proporre questa parafrasi, San Gregorio Magno: “è certamente umano che il cuore sopporti una tentazione, ma è demoniaco, nella lotta con la tentazione, lasciarsi vincere da essa mettendola in opera”. [7]

…vi ha colto oppure vi intrappoli: nel primo senso, ad esempio S. Cipriano: “Tentatio vos non occupavit nisi umana” [8]. La seconda traduzione suppone una importante variante (gr. καταλάβῃ) – da cui dipendono la Vulgata e le precedenti versioni latine (“adprehendat”) – potrebbe essere tradotta: “non vi catturi”, “non vi intrappoli”; cf. Gv 12,35: “perché le tenebre non vi intrappolino” (CEI 2008: “non vi sorprendano”), gr. “ἵνα μὴ σκοτία ὑμᾶς καταλάβῃ”.

Dio infatti è degno di fede…

La parola greca tradotta con “degno di fede”, pistós (πιστὸς δὲ ὁ θεός) presuppone la radice ebraica ‘mn (da cui deriva, ad esempio e per intenderci, la parola “amen”) [9], che indica per eccellenza il permanere di Dio nella sua essenza, e quindi nel non venir meno alle sue promesse.

Noi possiamo stare in piedi (cf. il v. precedente, “chi vuol stare in piedi, cerchi di non cadere”), perché – secondo l’etimologia ebraica – Dio è appoggio sicuro. Ma pistós indica anche la fedeltà di Dio nell’operare conformemente alla sua natura e alle sue promesse…

…cosicché Egli non lascerà che siate tentati più di ciò che potete…

Ecco la promessa che dissolve ogni “etica della situazione”: quest’ultima, da un lato nega la natura (in sé e come principio di operazione) immutabile dell’uomo, il quale non è più in condizione di ricreare continuamente se stesso, agendo conforme alla sua essenza (perduta), ma è schiavo degli eventi e della concupiscenza; di fatto egli è persino irredimibile (essendo svanito il terminus ad quem univoco della ricreazione per grazia); dall’altro lato, il misconoscimento dell’azione di Dio a fianco dell’uomo in ogni situazione, porta a una assolutizzazione del caso concreto – in pratica a una divinizzazione della storia – che è cosa ben diversa dall’intervento gratuito di Dio nella storia stessa.

Dio è il Signore di ogni situazione concreta, non solo con la sua legge eterna partecipata in ogni situazione, ma con la sua presenza preveniente e coadiuvante in ciascun caso concreto, “caso per caso”. Quindi, il giudizio morale di un atto “caso per caso” non può non tener conto della vicinanza del Dio fedele “in ogni caso”, vicinanza finalizzata alla vittoria morale dell’uomo.

Ma adesso vediamo come, concretamente, il Dio fedele non permette che siamo tentati sopra le nostre forze.

La tentazione, a cui tutti sono sottoposti in questa vita, è una sorta di stato di fronte ad due porte che si aprono verso due mondi esistenziali opposti; si può “entrare” nella tentazione e allora si pecca, oppure, se ne può uscire verso la grazia e la libertà, “rimanendo” così nell’amore di Gesù.

In questo senso si comprende la VI petizione del Padre nostro, “e non ci indurre in tentazione”.

Non ci indurre (lat. “et ne nos inducas”, gr. μὴ εἰσενέγκῃς ἡμᾶς) presuppone l’ebraico ’al tebî’ênu (אל תביאנו o forme aramaiche analoghe) e può essere parafrasato con “fa’ sì che non entriamo nella tentazione” [10].

Non si chiede di non essere tentati (cosa impossibile in questa vita, “al modo umano”), ma si invoca l’azione di Dio che “non ci faccia entrare” nella trappola e nell’atmosfera diabolica.

Le parole di San Paolo descrivono esattamente ciò che Dio compie per far sì che non entriamo nella tentazione:

… ma costituirà – insieme con la tentazione – anche la via di uscita per poter[la] sopportare.

Dio fedele creerà (costituirà gr. poiései, ποιήσει, Vg. faciet) egli stesso, insieme alla tentazione, anche la via di uscita (gr. kaì tèn ékbasin, καὶ τὴν ἔκβασιν, Vg. etiam proventum).

5. Conclusione

Il Card. Kasper aveva dichiarato: “Non riesco a pensare ad una situazione in cui un essere umano è caduto in un buco e non c’è via d’uscita” [11].

Dopo le nostre osservazioni, possiamo rispondergli che può stare tranquillo, che la “via di uscita” c’è: è una via divina però, non una soluzione umana che, ammettendo ai sacramenti dei vivi chi è in stato di peccato, distrugge contemporaneamente la dottrina cattolica del matrimonio, dell’Eucarestia, della confessione e i fondamenti della morale naturale e cristiana.

Può darsi che questa divina via di uscita talvolta sia inclusa nella magna charta del cristianesimo:

«Se uno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mc 1,34).
In questa sequela, realizzata da tanti cristiani e da tanti martiri, la presenza del Dio fedele è vicinissima in Gesù Cristo, e con lui, vincitori della morte e di ogni tentazione, giungeremo alla gloria della Resurrezione. Non conosciamo altro Evangelii gaudium che questo.

NOTE

(1) Ecco gli argomenti per la comunione ai divorziati risposati, intervista di A. Tornielli al Card. Kasper, 8-5-2014.

(2) La comunione ai risposati non tocca la dottrina ma la disciplina, intervista di Andrea Tornielli a P. Giovanni Cavalcoli O.P., 17-10-2015.

(3) “Cap. 11. Nemo autem, quantumvis iustificatus, liberum se esse ab observatione mandatorum (can. 20) putare debet; nemo temeraria illa et a Patribus sub anathemate prohibita voce uti, Dei praecepta homini iustificato ad observandum esse impossibilia (can. 18 et 22; cf. DS 397). ‘Nam Deus impossibilia non iubet, sed iubendo monet, et facere quod possis, et petere quod non possis’, et adiuvat ut possis; ‘cuius mandata gravia non sunt’ (I Jo 5, 3), cuius ‘iugum suave est et onus leve’ (cf. Mt 11, 30). Qui enim sunt filii Dei, Christum diligunt: qui autem diligunt eum, (ut ipsemet testatur) servant sermones eius (Jo 14, 23), quod utique cum divino auxilio praestare possunt”. (DS/36 1536).

(4) Decreto sulla giustificazione, 13-1-1547.

(5) Innocenzo X, Costituzione apostolica Cum occasione, 1653 (condanna dell’Augustinus di Giansenio).

(6) La traduzione è mia; CEI 2008 traduce: “Nessuna tentazione, superiore alle forze umane , vi ha sorpresi; Dio infatti è degno di fede e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze ma, insieme con la tentazione, vi darà anche il modo per poterla sostenere”; Il testo greco è il seguente: “1Cor. 10:13 πειρασμὸς ὑμᾶς ⸂οὐκ εἴληφεν⸃ εἰ μὴ ἀνθρώπινος· πιστὸς δὲ ὁ θεός, ὃς οὐκ ⸀ἐάσει ⸉ὑμᾶς πειρασθῆναι⸊ ὑπὲρ ὃ δύνασθε ἀλλὰ ποιήσει σὺν τῷ πειρασμῷ καὶ τὴν ἔκβασιν τοῦ δύνασθαι ⸆ ὑπενεγκεῖν (Nestle Aland, 28^ ed.; app. critico: ⸂ ου καταλαβη F G lat; Ambst | ⸀ αφησει D F G | ⸉ B 1175 | ⸆ υμας ℵ (D) K Ψ 104. 1241. 1505 �� ╎ txt �� ℵ✱ A B C D✱ F G L P 6. 33. 81. 365. 630. 1175. 1739. 1881. 2464; Or →)
La Vulgata traduce: “temptatio vos non adprehendat nisi humana; fidelis autem Deus qui non patietur vos temptari super id quod potestis sed faciet cum temptatione etiam proventum ut possitis sustinere”.

(7) Regola Pastorale, 11.

(8) Testimoniorum Libri Tres adversus Judaeos, l. III, c. XCI, ML 4, 774.

(9) F. Delitzsch retroverte con נֶאֱמָן, ne’eman. Ho consultato il testo offerto dal software Accordance.

(10) Per una spiegazione più accurata, cf. il mio: Non abbandonarli alla tentazione di cambiare il Padre nostro.

(11) Vedi nota 1.

Fonte: blog.messainlatino.it




Caterina63
00martedì 10 novembre 2015 15:25

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  Il vero teologo del Papa: “I vescovi locali non possono cambiare la Dottrina”


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«L’idea di una coscienza soggettiva – spiega P. Wojciech Giertych OP, teologo della Casa Pontificia – che inventi i principi morali è assurda. È totalmente sbagliata». Traduzione di Cristianesimo Cattolico per i suoi lettori.

Roma, 4 novembre 2015 — (LifeSiteNews). La coscienza è una finestra aperta verso la verità, spiega il (vero, ndt) teologo del Papa. Agire secondo coscienza è agire secondo la ragione, senza lasciarsi confondere dai sentimenti.

Wojciech Giertych OP
Wojciech Giertych OP

Padre Wojciech Giertych, OP, teologo della Casa Pontificia, ha parlato con LifeSiteNews, durante l’ultima settimana del sinodo sulla famiglia, per discutere su alcuni dei temi presi in considerazione dai padri sinodali per affrontare le sfide alla famiglia.

Padre Giertych, non avendo preso parte al sinodo, non era al corrente di quello che stava avvenendo durante le discussioni a porte chiuse, né era in grado di fare previsioni su eventuali specifici sviluppi sinodali.

Tuttavia Padre Giertych, essendo l’unico vero teologo del Papa (nota nostra- i teologi del Papa sono due e per tradizione uno domenicano ed uno francescano, oggi, con padre Cantalamessa), è una risorsa preziosa sulla dottrina della Chiesa. Egli è stato molto chiaro riguardo le cosiddette “aree morali” discusse ampiamente durante il sinodo.

Essendo stata la “coscienza” la questione fondamentale durante il raduno sinodale, LifeSiteNews ha discusso con il padre domenicano riguardo la diffusa indifferenza al peccato nella nostra società e le sue conseguenze. Egli ha concordato che è stato perduto il senso del peccato in molte parti del mondo, portando effetti e conseguenze reali nelle vite delle persone.

«Se la percezione della verità morale non è chiara, allora le persone sono perdute», ha detto P. Giertych. «Le persone non sono del tutto sicure di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato». Così la “coscienza” viene usata per dare il permesso alle persone di agire secondo i propri impulsi e desideri, senza preoccuparsi del peccato o delle conseguenze.

Al sinodo, in modo particolare, un’espressione che ha avuto molta attenzione è stata la cosiddetta “inviolabilità della coscienza”, usata per far capire l’importanza fondamentale della coscienza personale di un individuo, ma senza prima definire cosa sia la coscienza.

Padre Giertych ha detto a LifeSiteNews che dobbiamo stare attenti a ciò che intendiamo con il termine “coscienza”. «La coscienza agisce praticamente secondo la ragione», ha affermato.

«Molte persone identificano la coscienza con i sentimenti», ha aggiunto. «I sentimenti sono secondari, la coscienza è una finestra aperta verso la verità … La coscienza deve essere formata in modo che possa vedere chiaramente la verità».

Non dobbiamo identificare la nostra coscienza con i nostri sentimenti, ha continuato. Piuttosto, dobbiamo andare alla verità della questione. E l’applicazione della coscienza non è una cosa arbitraria. «Si deve percepire la verità della questione con la ragione». Questo significa prendere in considerazione tutti i fattori coinvolti.

Per far sì che la coscienza di un individuo possa percepite la verità, sono necessari tre specifichi criteri: l’intenzione, l’oggetto dell’atto e le circostanze. «Se ne manca uno solo, la decisione presa è inadeguata», ha detto Padre Giertych a LifeSiteNews. La verità di una scelta di coscienza può variare in base a tali criteri.

Un esempio potrebbe essere il caso in cui un medico deve decidere urgentemente se amputare oppure no l’arto di un paziente. Questa è una cosa estremamente seria, perché prima di tutto il chirurgo deve cercare di salvare quell’arto. Tuttavia, è un’altra questione se quell’arto sarà la causa certa della morte del paziente.

Padre Grietych ha chiarito che, mentre le condizioni che stabiliscono e circondano i criteri in cui la coscienza è chiamata a decidere possono variare, la definizione stessa della “coscienza” e del suo agire non possono variare. «L’idea di una coscienza soggettiva, che inventi i principi morali a seconda del bisogno, è assurda. È assolutamente sbagliata».

Il concetto di coscienza è stato molto dibattuto durante il sinodo, in quanto si riferisce direttamente alle questioni in discussione. Infatti l’argomento più conteso è stato la riammissione ai sacramenti di quei cattolici divorziati che si risposano civilmente.

Padre Giertych ha ribadito che è fondamentale che ogni fedele esamini se stesso/a prima di presentarsi a ricevere l’Eucarestia. «Ogni cattolico, prima di ricevere la Santa Comunione, deve prepararsi a farlo degnamente, credendo fermamente che, sotto le specie del pane e del vino, l’Eucarestia è il Corpo, il Sangue, l’Anima e la Divinità di Gesù Cristo», aggiungendo che «solo in stato di grazia si può riceverlo degnamente. Questo significa che è impossibile non essere consapevoli di aver commesso peccato mortale, quando non si è in stato di grazia».

Chiunque è in stato di peccato mortale, deve essere assolto prima di presentarsi a ricevere la Comunione: «Se questo è il caso (il peccato mortale), è richiesto andare a confessarsi ed essere assolto dal peccato».

Una perfetta conversione è necessaria per ricevere degnamente la Comunione, ribadisce il teologo pontificio, e ciò significa una conversione verso Dio e un’avversione verso il peccato. Lo stesso si può dire di ogni tentazione, come nel caso di quei cattolici che vivono oggettivamente in una situazione contraria alla verità.

La Comunione non è un diritto, ma un dono che abbiamo ricevuto dal Signore e che deve essere custodito, mai manipolato: «Le grazie di Dio che riceviamo da Lui sono un dono» perciò «dobbiamo persistere in un atteggiamento di gratitudine… Ma se il nostro approccio ai doni di Dio è caratterizzato da una lista di pretese, questo distrugge la purezza del nostro rapporto con Lui. Quindi, è scorretto, arrancare qualche sorta di “diritto”. È inadeguato».

«L’insegnamento di San Paolo è chiaro», spiega il teologo domenicano. «Dobbiamo ricevere l’Eucarestia solo degnamente, non possiamo farlo indegnamente. E l’affermazione nel peccato rende la persona indegna».

Quando chiediamo riguardo la tesi secondo cui la Comunione non è un premio per i perfetti, ma una medicina per i malati, ci chiarisce che questo non significa che non ci siano elementi necessari per essere degni di ricevere la Comunione: «I sacramenti sono un nutrimento, ma sono il nutrimento che deve essere ricevuto nella verità, in una pura relazione di gratitudine verso Dio, nel riconoscimento della luce che Dio ci ha dato».

Padre Giertych ha sottolineato che anche i Comandamenti e l’insegnamento morale trasmessi nella Chiesa sono un dono, e che i doni di Dio non solo vanno accettati, ma vanno accettati correttamente: «Riceviamo Gesù non solo nei sacramenti, ma anche nell’insegnamento che li accompagnano».

E Padre Giertych respinge l’idea di una “Chiesa-supermercato”: «Si entra nel supermercato dicendo: “Voglio questo, quest’altro non lo voglio…”. Ma nella nostra relazione con Dio, non possiamo imporGli la nostra lista di pretese. “Queste grazie le voglio, queste altre invece no….”. Se il nostro rapporto con Dio è puro, accettiamo tutto ciò che viene da Lui», i suoi “sì”, ma soprattutto i suoi “no”.

Alla tesi secondo cui la Chiesa deve adattare il suo Insegnamento allineandolo verso gli standard della società di oggi, il sacerdote della famiglia domenicana replica che i tempi di oggi non sono così diversi da quelli precedenti, perché si è sempre cercato di compromettere i principi della Chiesa con la giustificazione che i “tempi cambiano”.

Non è una novità che i tempi cambino e che la Chiesa affronti nuove sfide, inventando, di volta in volta, modi pratici per aiutare i fedeli a vivere in pienezza il Vangelo, ma questo non ha mai cambiato la pienezza del Vangelo.

«La natura umana, i sacramenti, la grazia divina, ciò che riceviamo da Cristo, l’identità stessa della Chiesa e la sua missione, non sono mai cambiati. I principi non sono mai cambiati, la natura umana non è cambiata. Infine, la guida che Dio ci ha dato, il Verbo incarnato, Cristo, non cambia».

Per quanto riguarda la cosiddetta decentralizzazione della Chiesa – un altro tema affrontato al sinodo -, P. Giertych si è affrettato a correggere l’equivoco che il Vaticano controlli tutto. La decentralizzazione si riferisce al governo delle singole diocesi. La Chiesa, del resto, ha sempre difeso il concetto di sussidiarietà — l’idea che è meglio gestire le cose, quando è possibile, a livello locale.

Ma l’idea che ogni questione dottrinale possa essere gestita a livello diocesano è sbagliata, perché il vescovo diocesano non può farlo. I singoli vescovi devono gestire i problemi delle loro rispettive diocesi, ma solo nei confini di sostengo dell’insegnamento della Chiesa. Un vescovo non può decidere sulle questioni dottrinali, perché non ne ha l’autorità; come l’insegnamento della Chiesa viene dalla Chiesa, dunque non può essere modificato.

«Il vescovo locale», conclude padre Giertych, «deve occuparsi degli specifici problemi della propria diocesi, ma applicando il Vangelo, l’insegnamento della Chiesa e la Tradizione».



SANTA MESSA E ORDINAZIONE EPISCOPALE

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Dedicazione della Basilica Lateranense
Basilica di San Giovanni in Laterano 
Lunedì, 9 novembre 2015

[Multimedia]



 

Fratelli e figli carissimi, ci farà bene riflettere attentamente a quale alta responsabilità ecclesiale viene promosso questo nostro fratello.

Il Signore nostro Gesù Cristo, inviato dal Padre a redimere gli uomini, mandò a sua volta nel mondo i dodici apostoli, perché pieni della potenza dello Spirito Santo, annunziassero il Vangelo a tutti i popoli, e riunendoli sotto l'unico pastore, li santificassero e li guidassero alla salvezza.

Al fine di perpetuare di generazione in generazione questo ministero apostolico, i Dodici si aggregarono dei collaboratori trasmettendo loro, con l'imposizione delle mani il dono dello Spirito ricevuto da Cristo, che conferiva la pienezza del sacramento dell'Ordine. Così, attraverso l'ininterrotta successione dei vescovi nella tradizione vivente della Chiesa, si è conservato questo ministero primario e l'opera del Salvatore continua e si sviluppa fino ai nostri tempi. 

Nel vescovo circondato dai suoi presbiteri è presente in mezzo a voi lo stesso Signore nostro Gesù Cristo, sommo sacerdote in eterno.

È Cristo infatti che nel ministero del vescovo continua a predicare il Vangelo di salvezza e a santificare i credenti mediante i sacramenti della fede; è Cristo che nella paternità del vescovo accresce di nuove membra il suo corpo che è la Chiesa; è Cristo che nella sapienza e prudenza del vescovo guida il popolo di Dio nel pellegrinaggio terreno fino alla felicità eterna.

Accogliete dunque con gioia e gratitudine questo nostro fratello che noi vescovi, con l'imposizione delle mani, oggi associamo al collegio episcopale. Rendete a lui l'onore che si deve al ministro di Cristo e al dispensatore dei misteri di Dio, al quale è affidata la testimonianza del Vangelo e il ministero dello Spirito per la santificazione. Ricordatevi delle parole di Gesù agli Apostoli: «Chi ascolta voi, ascolta me; chi disprezza voi, disprezza me; e chi di-sprezza me, disprezza colui che mi ha mandato».

Quanto a te, fratello carissimo, eletto dal Signore, rifletti che sei stato scelto fra gli uomini e per gli uomini sei stato costituito nelle cose che riguardano Dio. Episcopato infatti è il nome di un servizio, non di un onore, poiché al vescovo compete più il servire che il dominare, secondo il comandamento del Maestro: «Chi è il più grande tra voi, diventi come il più piccolo, e chi governa come colui che serve».

Annunzia la Parola in ogni occasione opportuna e alle volte non opportuna; ammonisci, rimprovera, ma sempre con dolcezza; esorta con ogni magnanimità e dottrina. Le tue parole siano semplici, che tutti capiscano, che non siano lunghe omelie. Mi permetto di dirti: ricordati di tuo papà, quando era tanto felice di avere trovato vicino al paese un’altra parrocchia dove si celebrava la Messa senza l’omelia! Le omelie siano proprio la trasmissione della grazia di Dio: semplici, che tutti capiscano e tutti abbiano la voglia di diventare migliori.

Nella Chiesa a te affidata – qui a Roma in modo speciale – vorrei affidarti i presbiteri, i seminaristi: tu hai quel carisma! Sii fedele custode e dispensatore dei misteri di Cristo. Posto dal Padre a capo della sua famiglia, segui sempre l'esempio del Buon Pastore, che conosce le sue pecore, da esse è conosciuto e per esse non ha esitato a dare la vita.

Con il tuo cuore, ama con amore di padre e di fratello tutti coloro che Dio ti affida: come ho detto,  anzitutto i presbiteri e i diaconi, i seminaristi; ma anche i poveri, gli indifesi e quanti hanno bisogno di accoglienza e di aiuto. Esorta i fedeli a cooperare all'impegno apostolico e ascoltali volentieri e con pazienza: molte volte ci vuole tanta pazienza… ma il Regno di Dio si fa così.

Ricordati che devi avere viva attenzione a quanti non appartengono all'unico ovile di Cristo, perché essi pure ti sono stati affidati nel Signore.

Ricordati che nella Chiesa cattolica, radunata nel vincolo della carità, sei unito al collegio dei vescovi e devi portare in te la sollecitudine di tutte le Chiese, soccorrendo generosamente quelle che sono più bisognose di aiuto. E, vicini all’inizio dell’Anno della Misericordia, ti chiedo come fratello di essere misericordioso. La Chiesa e il mondo hanno bisogno di tanta misericordia. Tu insegni ai presbiteri, ai seminaristi la strada della misericordia. Con parole, sì, ma soprattutto con il tuo atteggiamento. La misericordia del Padre sempre riceve, sempre c’è posto nel suo cuore, mai caccia via qualcuno. Aspetta, aspetta… Questo ti auguro: tanta misericordia.

Veglia con amore su tutto il gregge, nel quale lo Spirito Santo ti pone a reggere la Chiesa di Dio: nel nome del Padre del quale rendi presente l'immagine; nel nome di Gesù Cristo suo Figlio, dal quale sei costituito maestro, sacerdote e pastore; nel nome dello Spirito Santo, che dà vita alla Chiesa e con la sua potenza sostiene la nostra debolezza.

Il Santo Padre, durante il rito della consegna dell'Anello episcopale, ha aggiunto queste parole:

Non dimenticarti che prima di questo anello c’era quello dei tuoi genitori. Difendi la famiglia.



Patriarca Rai: da noi il matrimonio continua a essere un istituzione divina

«Al Sinodo l’ho detto: “I problemi del matrimonio e della famiglia di cui sento parlare in tanti interventi, da noi non esistono. I nostri problemi sono totalmente diversi”. Lo ha confidato il Patriarca di Antiochia dei Maroniti, il cardinale Bechara Boutros Raï, al giornalista del settimanale Tempi Rodolfo Casadei. “L’uomo orientale e l’uomo occidentale restano molto differenti”, ha specificato il Patriarca. “Da noi il matrimonio continua a essere un’istituzione divina: è quello che pensano sia i musulmani sia i cristiani. Per noi si tratta di un sacramento, per i musulmani di un’istituzione divina, perciò le legislazioni salvaguardano il matrimonio come realtà religiosa: da noi non esiste nemmeno il matrimonio civile, figuriamoci le convivenze e i matrimoni fra persone dello stesso sesso!».

Certi problemi che sembrano pressanti e fondamentali per la cultura occidentale non sono per nulla rilevanti in oriente. “Per gli orientali la persona umana è totalmente definita dalla sua religione, e questo si riflette sul matrimonio: questioni come la custodia dei figli, i diritti ereditari, eccetera, sono definiti dal diritto familiare confessionale. Le convivenze fuori dal matrimonio e l’omosessualità sono semplicemente problemi morali, sono eccezioni che nulla hanno a che fare con l’istituzione familiare».

«All’assemblea sinodale dell’anno scorso ho detto: “Gli stati legiferano senza alcun riguardo per la legge divina: né per quella rivelata, né per quella naturale; e poi la Chiesa deve raccogliere i cocci dei danni che queste leggi producono! Facciamo un appello agli stati perché rispettino la legge naturale”.

Infine la bella intervista del cardinale offre uno sguardo interessante anche sulla stretta attualità, purtroppo attraversata dai tragici fatti di Parigi.
«I musulmani sono convinti che conquisteranno l’Occidente, anche quelli fra loro che non sono jihadisti o estremisti. Gliel’ho sentito dire molte volte: “Conquisteremo l’Europa con la fede e con la fecondità”. Professare la fede per loro è il principio essenziale della vita, nessuno che appartenga a una religione può astenersene. Che da parte loro la professione sia genuina o puramente sociologica è questione controversa, ma un fatto è certo: è generalizzata, nessuno può astenersene. Allora quando vengono in Europa e vedono le chiese vuote, e constatano l’incredulità degli europei, immediatamente pensano che loro riempiranno quel vuoto. Poi c’è la questione della natalità: per i musulmani il fatto che il matrimonio sia un’istituzione divina significa che la volontà di Dio è la procreazione. Perciò le famiglie devono essere numerose. In Europa vedono che i matrimoni e le nascite sono sempre meno, e questo li convince che loro prenderanno il vostro posto.”



Caterina63
00venerdì 13 novembre 2015 16:40
  IL RISCHIO DI UNA NUOVA DOTTRINA C'E'  E SE ACCADESSE, SAREBBE UN VERO CATACLISMA.....






Il noto filosofo francese, Thibaud Collin, ha scritto sul quotidiano francese La Croix, dove ha un suo blog, un interessante analisi del sinodo appena concluso.

Per fare un bilancio del lungo cammino il filosofo ritiene utile porsi nella “prospettiva dell’intenzione del Papa che l’ha convocato”. L’orizzonte è quella “conversione pastorale” più volte richiamata nelle “sue dichiarazioni e nelle sue scelte”, con l’obiettivo di una “chiesa ospedale da campo”.

Secondo Collin, “il Santo Padre desidera eliminare alcuni ostacoli che rendono incomprensibile e anche scandaloso agli occhi dei nostri contemporanei la morale della Chiesa sulla sessualità e il matrimonio. Riprendendo di fatto l’agenda del cardinale Martini esposta nel 1999 al sinodo sull’Europa, egli cerca di sciogliere alcuni nodi disciplinari”.

Francesco vuole “una chiesa vicina alle vulnerabilità delle persone, ai loro fallimenti e ai loro tortuosi percorsi biografici”. Vorrebbe, quindi, “una Chiesa amorevole e tenera e non più una Chiesa altezzosa e colpevolizzanti”.

La discussione al sinodo si è comunque concetrata sulla questione dell’accesso all’Eucaristia dei divoriziati risposati. Ma, dice Collin, “questo argomento è diventato centrale non per una moda dettata dai media, ma per volontà stessa del Papa che di ritorno dalla GMG di Rio (estate 2013) ha avviato il dibattito, e poi ha chiesto al cardinale Kasper, celebre oppositore di Giovanni Paolo II e Bendetto XVI sull’argomento, di aprire la riflessione e di porre la problematica al concistoro del febbraio 2014”.

E’ evidente “che i tre numeri del testo finale del Sinodo riferiti a questo tema (n°84, 85 e 86) non concludono il problema. E per una buona ragione…questi numeri sono il frutto del compromesso maturato nel circolo Germanicus, in cui vi erano i cardinali Kasper e Muller.”

Frutto di questo incontro fra posizioni agli antipodi ha prodotto un testo che “può essere letto secondo due ermeneutiche opposte, quella della rottura con il magistero anteriore, o anche quello della continuità. Un segno di questa indeterminazione è che i tre testi che servono da riferimento (FC 84, CCC 1735 e la Dichiarazione del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi del 24/06/2002) sono indicati in modo così incompleto che possono legittimare sia una interpretazione che conferma lo status quo ante (con l’idea che un testo deve essere compreso secondo la sua propria logica e il suo contesto), sia una interpretazione legittimante la “novità pastorale” (secondo l’idea che il silenzio volontario o l’omissione significhino una presa di distanza)”.

Secondo Collin la soluzione del “foro interno” finisce per non essere una soluzione, ma semplicemente il sinodo “rimanda al mittente”, il Papa, la risposta chiara sulla questione. Infatti, può “un prete, in certi casi, dare l’assoluzione a un fedele che si trova in una situazione coniugale oggettivamente in contraddizione con il sacramento del matrimonio? Se questo fosse il caso, è difficile non vedere una messa in discussione di fatto della dottrina dell’indissolubilità e di Familiaris Consortio (il n°84…letto nella sua interezza)”

 


Mons. Fulton Sheen: "Il Falso Profeta e l'Anticristo"

 
Il vescovo statunitense Fulton Sheen è ricordato, oltre che come teologo grave e profondo, anche come eccellente comunicatore attraverso la radio, la stampa e la Tv. Tenne conferenze, molto seguite, sia in patria che all’estero, nelle quali appassionava e conquistava l'uditorio. 

Nel 1930, alla NBC, teneva un programma fisso la domenica sera:  L’ora cattolica
 
Un'attività fruttuosa di conversioni. 

Fu nominato vescovo da Pio XII e mandato come Ausiliare a New York, ma continuò nella sua attività di conferenziere e scrittore. Ricordiamo: La pace dell’animaLa felicità del cuoreIl primo amore del mondo (sulla Vergine), La filosofia della religione, in cui dimostra come nel nostro tempo la filosofia abbia raggiunto il livello più basso di irrazionalismo con cui guarda con disprezzo assoluto a Dio e alle Verità eterne e indica il cammino della sana ragione, illuminata dalla fede, orientata al Padre, in Cristo, unica Via Verità e Vita. 
Riprendiamo da gloria.tv il testo che segue, che è preceduto da una breve introduzione:
Premessa
L'Arcivescovo Fulton Sheen disse nel 1950: «Stiamo vivendo nei giorni dell'apocalisse gli ultimi giorni della nostra epoca .... Le due grandi forze il Corpo mistico di Cristo e del Corpo Mistico dell'anticristo stanno cominciando a elaborare le linee di battaglia per la fine». (Flynn T & L. Il Tuono di giustizia. Maxkol Communications, Sterling, VA, 1993 p. 20)
Disse anche: «Il Falso Profeta avrà una religione senza croce. Una religione senza un mondo a venire. Una religione per distruggere le religioni. Ci sarà una chiesa contraffatta. La Chiesa di Cristo [la Chiesa cattolica] sarà una. E il falso profeta ne creerà un'altra. La falsa chiesa sarà mondana, ecumenica e globale. Sarà una federazione di chiese. E le religioni formeranno un certo tipo di associazione globale. Un parlamento mondiale delle chiese. Sarà svuotato di ogni contenuto divino e sarà il corpo mistico dell'Anticristo. Il corpo mistico sulla terra oggi avrà il suo Giuda Iscariota, e sarà il falso profeta. Satana lo assumerà tra i nostri vescovi».
Mons. Fulton Sheen sull'anticristo:
L'Anticristo non si chiamerà così; altrimenti avrebbe seguaci. Egli non indosserà calze rosse, né vomiterà zolfo, né porterà un tridente né una coda come Mefistofele nel Faust. Questo per aiutare il Diavolo a convincere gli uomini che egli non esiste. Quando l'uomo lo nega, più diventa potente. Dio ha definito Sé stesso come "Io sono colui che sono", e il Diavolo come "Io sono colui che non sono."

Da nessuna parte nella Sacra Scrittura troviamo descritto il Diavolo come un buffone. Piuttosto è descritto come un angelo caduto dal cielo, come "il principe di questo mondo", il cui scopo è convincerci che non c'è la vita eterna. La sua logica è semplice: se non c'è il paradiso non c'è inferno; se non c'è l'inferno, allora non c'è peccato; se non c'è peccato, allora non c'è nessun giudice, e se non c'è giudizio, allora il male è bene e il bene è il male. Ma come farà a convincerci alla sua religione?
La convinzione russa pre-comunista, è che egli verrà travestito come il Grande umanitario; parlerà di pace, prosperità e abbondanza non come mezzo per condurci a Dio, ma come fini in sé. . .
 
. . . La terza tentazione in cui Satana chiese a Cristo di adorarlo e tutti i regni del mondo sarebbero stati suoi, diventerà la tentazione di avere una nuova religione, senza una croce, una liturgia, senza un mondo a venire, una religione per distruggere una religione, o una politica che è una religione - quella che rende a Cesare anche le cose che sono di Dio.
 
In mezzo a tutto il suo amore per l'umanità e apparente suo discorso di libertà e di uguaglianza, si avrà un grande segreto che egli non dirà a nessuno: egli non crede in Dio. Perché la sua religione sarà la fratellanza senza la paternità di Dio, egli vuole ingannare anche gli eletti. Egli ha istituito una controchiesa che sarà la scimmia della Chiesa, perché lui, il Diavolo, è la scimmia di Dio. Avrà tutte le note e le caratteristiche della Chiesa, ma in senso inverso e svuotata del suo contenuto divino. Sarà un corpo mistico dell'Anticristo che in tutte le cose esteriori somiglierà al corpo mistico di Cristo. . .
 
. . . Ma il XX secolo si unirà alla controchiesa perché sostiene di essere infallibile quando il suo capo visibile parla ex cathedra da Mosca sul tema dell'economia e della politica, e come capo pastore del comunismo mondiale'.
(Arcivescovo Fulton J. Sheen, Communism and the Conscience of the West [Bobbs-Merril Company, Indianapolis, 1948], pp. 24-25)







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Settimo Cielo di Sandro Magister

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Dal diario di un cattolico di campagna. Riflessione postsinodale

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Che l'accesso di tutti alla comunione eucaristica sia un gesto di "routine" di ogni messa è convinzione ampiamente diffusa. E testimonia quanto tale sacramento sia decaduto a puro gesto di amicizia e "condivisione", al quale diventa maleducato sottrarsi o sottrarre qualcuno.

Non c'è alcun dubbio che la battaglia per ammettere alla comunione i divorziati risposati risenta notevolmente di tale opinione.

La riflessione inedita che ci è offerta più sotto suona appunto come una nativa reazione a questo decadimento e come un ritorno alla verità e alla realtà dell'eucaristia, con i comportamenti che ne possono derivare, anche quello qui suggerito, per chi lo voglia adottare in piena libertà.

Ne è autore Philippe de La Mettrie. Non anticipiamo qui la punta della sua riflessione, che certo può sorprendere. Va detto però che de La Mettrie è anche presidente in Francia di "Les priants des campagnes", gli oranti delle campagne, un'associazione che ha una notevole prossimità con ciò che traspare da questa sua riflessione:

> Philippe de La Mettrie: "Que ceux qui tiennent à nos églises le montrent!"

Gli oranti della campagne sono cattolici che si propongono di strappare all'abbandono le centinaia di chiese che sorgono nei villaggi e nelle campagne francesi, semplicemente tornandovi a pregare, anche solo in due o tre, o pochi di più, e così piano piano riportandole alla vita, suonando le loro campane, celebrandovi qualche volta la messa, restaurandone le mura col concorso degli abitanti del luogo.

Il loro sogno dichiarato è di "veder diventare queste chiese di campagna le molteplici cappelle disperse di un monastero immenso, senza chiostri, quello degli uomini e delle donne di ogni condizione che vi pregano qualche minuto al giorno o alla settimana, pochi di numero ma lievito nella pasta, per una testimonianza capace di toccare i cuori, anche i più induriti, perché una chiesa in cui si prega è come una luce che brilla nelle tenebre".

Un'ultima annotazione prima di lasciare la parola a de La Mettrie. Il vescovo di Ajaccio da lui citato, Olivier de Germay, è stato il primo dei non eletti quando i vescovi di Francia hanno votato i loro tre delegati per il sinodo dello scorso ottobre. Ma papa Francesco non l'ha ripescato tra i 45 cardinali e vescovi che ha fatto sedere in sinodo per sua chiamata diretta. De Germay aveva espresso in più occasioni la sua contrarietà alla comunione ai divorziati risposati, tra l'altro in un intervento sul quotidiano "La Croix".

*

IL CORAGGIO E L'UMILTÀ DI RICONOSCERSI PECCATORE, UNA TESTIMONIANZA PER TUTTA LA CHIESA

di Philippe de La Mettrie

Da cristiano cattolico romano quale sono ho provato qualche difficoltà a seguire le contese non oratorie ma teologiche tra i padri sinodali, talvolta tra domenicani e gesuiti, sulla questione dell'accesso dei divorziati risposati all'eucaristia. Scoprendo, alla lettura dei loro scritti, che il più "gesuita" non sempre è colui al quale si pensa.

Alcuni a me vicini mi sussurrano la formula tante volte ripetuta: "È una disputa tra teologi, lasciali discutere". Eh no! Credo di avere il diritto alla riflessione a all'espressione delle mie idee, interrogando me stesso e su me stesso, pur imponendomi di non pronunciare alcun giudizio sulle persone in causa.

Perché il mio interrogativo non è sull'approvazione o la riprovazione del tale o tal altro argomento avanzato da questi teologi; io non ne ho la competenza né il desiderio; ancor meno sulla scelta d'una risposta binaria: sì, la Chiesa dovrebbe autorizzare; no, la Chiesa deve tener ferma la sua disciplina. Io non sono teologo e mi sembra che neppure il sinodo abbia preso una posizione chiara. Il mio interrogativo si colloca sulla questione di sapere se il dibattito non è stato falsato dal fatto stesso che si è ridotto a una sola categoria di "peccatori", i divorziati risposati, quando noi lo siamo tutti. Come afferma il vescovo di Ajaccio, in Corsica, Olivier de Germay: "La pastorale delle persone divorziate risposate è un po' l'albero che nasconde la foresta!".

In altri termini, non è necessario anzitutto riflettere sul cammino preliminare all'accesso, per ciascuno, all'eucaristia?

Quando scrivo "per ciascuno", voglio parlare di me. Ho io un diritto permanente, senza condizioni, all'accesso a questa "comunione" che si realizza, nel mistero della transustanziazione, quando ricevo come un dono consacrato il corpo e talvolta il sangue del Cristo? Io credo di no. Se credo nella sacralità del dono, ne deriva che non lo posso ricevere come un nutrimento terreno quotidiano o un banale regalo.

Di conseguenza, mi sembra che dovrei talvolta impormi (cosa che non faccio) una certa "disciplina" allo scopo di non cedere alla "routine" della comunione sistematicamente associata alla partecipazione alla messa. Per essere in verità con me stesso, dovrei piuttosto preliminarmente pormi la domanda: ho fatto il cammino (penitenziale) necessario per ricevere il dono? Ho indossato la veste nuziale di cui parla il Vangelo di Matteo, prima di partecipare? Poiché non sono soltanto i "peccati gravi" che rendono indegni e devono essere "rimessi" dal sacramento della riconciliazione.

Alcune persone, divorziate risposate, suscitano la mia ammirazione quando le vedo avanzare, con le braccia conserte sul petto, verso il prete per ricevere la benedizione. Quale testimonianza! Quale coraggio e quale umiltà quella di riconoscersi, in pubblico, peccatore! Soli, tra tutti, mettono in pratica la bellissima preghiera d'inizio della messa: "Confesso a voi fratelli che ho peccato…". Dire loro che la loro testimonianza ci tocca tutti sarebbe, credo, un modo per meglio accoglierli: "Sappiate che vi accogliamo come cristiani, non più peccatori gli uni degli altri".

Certo, i nostri fratelli divorziati risposati sentono quanto è dura questa "disciplina" che è loro imposta, quando invece io per me esercito il solo mio libero arbitrio per decidere di non avvicinarmi alla comunione. Ma se noi ci riconosciamo, nel nostro foro interno, talvolta indegni di questa "comunione" con il corpo del Cristo, e lo manifestiamo con questo gesto ammirevolmente umile delle braccia conserte, gesto di profondo desiderio della comunione spirituale, invece di restare al nostro posto, penso che essi si sentirebbero veramente appartenenti alla stessa grande comunità dei "riscattati".

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NOTA BENE !

Il blog “Settimo cielo” fa da corredo al sito “www.chiesa”, curato anch’esso da Sandro Magister, che offre a un pubblico internazionale notizie, analisi e documenti sulla Chiesa cattolica, in italiano, inglese, francese e spagnolo.

Gli ultimi tre servizi di "www.chiesa":

10.11.2015
> Il sinodo ha perso la strada, ma c'è la bussola del gesuita
Padre Spadaro non ha dubbi. Sa lui la destinazione del sinodo, non importa se in contrasto con il precedente "insegnamento della Chiesa". La severa critica di un teologo di New York al direttore de "La Civiltà Cattolica"

7.11.2015
> Francesco tace, ma un altro gesuita parla per lui
È Antonio Spadaro, direttore de "La Civiltà Cattolica". In un articolo sulla sua rivista ha già scritto che cosa dirà il papa sulla comunione ai divorziati risposati

4.11.2015
> Sinodo discorde. Verso uno "scisma di fatto" nella Chiesa?
Il teologo domenicano Thomas Michelet mette a nudo le ambiguità del testo sinodale. Che non ha fatto unità ma ha coperto le divisioni. Il conflitto tra "ermeneutica della continuità" ed "ermeneutica della rottura". Il dilemma di Francesco





Card. Muller: alcuni ambienti cattolici vanno verso il protestantesimo liberale

“Ci sono molte sfide che riguardano la fede oggi”, per questo, ha detto il cardinale Ludwig Muller, “dobbiamo chiedere al Signore il coraggio di affrontarle con saggezza e forza.”

In un lungo intervento rivolto all’Assemblea plenaria dei vescovi del Cile, il prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede ha tracciato una strada per uscire dai pericoli principali che riguardano la fede cattolica nel mondo di oggi. E poi ha affrontato alcuni argomenti di stretta attualità ecclesiale, anche per quanto riguarda il dibattito scaturito dal recente sinodo, non ultimo il ruolo della Conferenze episcopali in un processo di “decentralizzazione” del governo della Chiesa.

Il finale della omelia tenuta dal cardinale nella S.Messa che ha inaugurato l’Assemblea dei Vescovi, ci permette di leggere i passaggi del suo discorso con una chiave di lettura interessante: “Il lavoro della Chiesa”, ha detto, “non è quello di riflettere le opinioni dei sui membri. Il compito della Chiesa è quello di riflettere il punto di vista del suo Capo e fondatore: Gesù Cristo.” Di seguito una nostra selezione di alcuni passaggi del discorso del cardinale ai vescovi del Cile.

LE PRINCIPALI SFIDE

Alcune di queste, ha specificato Muller, “derivano dall’ignoranza” e perciò si deve agire con “maggior forza nel campo dell’evangelizzazione e della missione”.

Altri pericoli per la fede arrivano da “ambienti teologici e pastorali nei quali sono stati introdotti errori e deformazioni, che noi come pastori dobbiamo scoprire, giudicare e correggere. E’ un ambito difficile, però necessario e sempre presente nel nostro impegno di pastori per il popolo di Dio”.

LA CONFERENZA EPISCOPALE, LIMITI E CONTRIBUTI

Le conferenze episcopali, come ha chiarito S. Giovanni Paolo II in Apostolos suos del 1998, esistono per “l’esercizio congiunto di alcuni atti del ministero episcopale” (n°3) ed esistono non per sostituire il Vescovo, ma “per aiutarlo” (n°18).

“Le conseguenze pastorali di una adeguata concezione e attuazione della conferenze episcopali sono evidenti. Papa Francesco ha voluto dare un segno in tal senso promulgando le norme sul procedimento per la dichiarazione di nullità del vincolo matrimoniale, attribuendo, come è per loro natura, ai Vescovi diocesani un ruolo chiave nelle decisioni di queste delicate questioni, facendosi così più vicino a quelli che soffrono in questo ambito.”

PERICOLI ATTUALI DEL RELATIVISMO ETICO

“Risulta molto evidente che in alcuni ambienti dell’insegnamento della fede oggi si sono introdotti elementi propri del protestantestimo liberale. Questo è particolarmente evidente nelle nazioni europee (…)”

“Una scarsa comprensione della natura teologica delle Conferenze Episcopali”, ha specificato il prefetto, “ha una immediata deriva nel pericolo di assumere lo stile organizzativo delle comunità riformate. Anche se non si tratta di un approccio teologico in sé, si traduce nell’esistenza di uno “stile pastorale” uniforme, simile ad una “chiesa nazionale”, che si può costatare in certe accentuazioni di contenuto e procedimento, e nel necessario adattamento dei programmi pastorali diocesani a questi accenti e contenuti.”

In maniera molto esplicita il cardinale Muller indica il pericolo principale di questa deriva che, specialmente in alcuni paesi europei, tra cui la sua Germania, rischia di essere molto concreto. “E’ necessario evitare”, dice Muller, “che il servizio pastorale dei Vescovi si trasformi di fatto in una specie di governo centrale della Chiesa in un paese o regione, che senza essere obbligatoria, diventa così presente nell’ambito della chiese particolari, che non seguirlo si considera come una mancanza di comunione ecclesiale.”

Questa forma di relativismo si è fatta presente nella Chiesa in molto modi. “Ricordiamo”, ha detto il cardinale, “il rifiuto che provocò in alcuni ambienti teologici la dichiarazione Dominus Iesus, del 6 agosto dell’anno 2000. Questi ambienti non hanno ceduto e sono ancora presenti e hanno nuove manifestazioni che, come pastori, dobbiamo essere capaci di controllare, analizzare e illuminare. Una di queste [nuove manifestazioni] è un certo sincretismo religioso (…)”

A causa di questo generalizzato relativismo le “verità antropologiche fondamentali sulla persona umana si sono diluite e l’espressione più evidente è il primato delle teorie del genere che implicano un cambiamento antropologico completo nella concezione cristiana della persona, del matrimonio, della vita, etc.”

LA DISSIDENZA TEOLOGICA

“Come in molti paesi, così anche in Cile, i vescovi hanno dovuto affrontare la dissidenza teologica, soprattutto in materie relative alla morale cattolica.” In questo caso per i pastori non è sufficiente limitarsi alla “denuncia e la comunicazione ai livelli più alti, ma è necessario correggere gli errori con coraggio e audacia, e usare i mass media perchè sia chiara a tutti la verità, che sempre deve risplendere.”

Il dissenso teologico può presentarsi sotto varie forme. Quella “più radicale pretende un cambiamento della Chiesa secondo un modello di protesta ispirato a quello che si ha nella società politica.”

IL SENSUN FIDEI DEL POPOLO DI DIO

In alcuni casi si tenta di “mostrare il sentire del popolo di Dio su alcune materie” come “nuovo” rispetto a quello che per “decenni, secoli o millenni è esistito”. Questo nuovo sensus fidei sarebbe originato dalle nuove scoperte scientifiche che così vengono utilizzate per analisi teologiche.

“In realtà”, chiarisce il prefetto della Dottrina della Fede, “le opinioni dei fedeli non possono puramente e semplicemente identificarsi con il sensus fidei. Quest’ultimo è una proprietà delle fede teologale che, consistendo in un dono di Dio, fa aderire personalmente alla Verità e non può ingannarsi. Questa fede personale è anche fede della Chiesa, dal momento che Dio ha affidato alla Chiesa la custodia della Parola e, quindi, ciò che i fedeli credono è ciò che la Chiesa crede. Per sua stessa natura, il “sensus fidei” implica, dunque, profondo accordo di spirito e del cuore con la Chiesa, “sentire cum Ecclesia”.”

PER LA PASTORALE OCCORRE PARTIRE DAL CATECHISMO

“E’ necessario insistere che la nostra riflessione teologica e le sue conseguenze pastorali devono partire dal dato rivelato, di qui l’importanza di un insegnamento adeguato dei contenuti del Catechismo della Chiesa Cattolica, che S. Giovanni Paolo II ha dato alla Chiesa, come uno strumento valido al servizio della comunione ecclesiale e come norma sicura per l’insegnamento della fede.” (Lorenzo Bertocchi)



EDITORIALE
Il cardinale Bagnasco
 

Concluso a Firenze il V Convegno ecclesiale italiano, passato perlopiù inosservato, a parte l'intervento del Papa. Ma il presidente della Cei alla fine prende le distanze da chi fa credere che l'attenzione ai poveri sia nata con papa Francesco e da chi dipinge i vescovi come assetati solo di potere e soldi.

di Riccardo Cascioli

Se guardiamo il rilievo dato dai principali quotidiani italiani si deve dire che il V Convegno ecclesiale italiano, chiusosi ieri a Firenze, non ha lasciato traccia. A parte l’intervento del Papa martedì scorso – salutato come sempre come «l’inizio di una Chiesa nuova», qualsiasi cosa voglia dire - dei contenuti del convegno e del cammino che la Chiesa vuole intraprendere in Italia non interessa nessuno. 

E ad essere onesti non è solo colpa dei media: a parte la ripresa continua di questo o quel passaggio del discorso del Papa si sono sentite tante chiacchiere che sanno di aria fritta. Valga per tutte l’emblematica intervista al segretario della Conferenza episcopale, monsignor Nunzio Galantino, apparsa ieri su Avvenire: si capisce che il Convegno di Firenze non è stato importante per il contenuto – di cui infatti nell’intervista non c’è traccia – ma per il metodo, il famoso “stile sinodale” che è ormai diventato un mantra. Ma che cos’è questo “stile sinodale”? Il povero giornalista di Avvenire lo chiede a monsignor Galantino per ben otto volte, cercando di porre la domanda in tutti i modi possibili, ma alla fine si deve arrendere. Dialogo, confronto, ascolto, ma alla fine si capisce che non lo sa neanche monsignor Galantino: «Si cresce nella sinodalità esercitandola, si capisce meglio in cosa consiste cominciando a lavorare e a confrontarsi insieme sulle questioni concrete delle nostre comunità», ha detto sfidando anche la logica. Insomma, «ciò che si è cercato di fare a Firenze è proprio questo: avviare un esercizio di sinodalità». 

La cosa peraltro non è stata molto gradita da tutti i vescovi: nei corridoi un certo malumore serpeggiava tra chi ritiene che per poter essere reale «il dialogo necessita di interlocutori che siano diversi e coscienti della propria diversità», come diceva il “sindaco santo” di Firenze, Giorgio La Pira. Bisogna aver chiaro in quale realtà questo dialogo si deve esercitare, dicono costoro, bisogna guardare all'Italia reale, a quel che c'è veramente.

In Italia domina una cultura laicista arrivata ormai a tutti gli strati della popolazione: solo negli ultimi giorni c’è stata una scolaresca impedita di recarsi a una importante mostra a tema religioso, con il pretesto di non offendere i non cattolici; e la Corte Costituzionale con una sentenza clamorosa ha formalmente sdoganato l’eugenetica. E molti altri esempi si potrebbero portare. Ma nulla di tutta questa realtà ha sfiorato gli oltre 2mila delegati di Firenze, neanche ci si è chiesto se c’è qualcuno che voglia dialogare seriamente con la Chiesa. Giusto nove anni fa, nel precedente convegno della Chiesa italiana a Verona, papa Benedetto XVI invitava a valorizzare quanti si sentivano interpellati dall’annuncio della Chiesa, riconoscendo che in generale la cultura dominante, avendo tagliato i ponti «con le tradizioni religiose e morali dell’umanità», non è «in grado di instaurare un vero dialogo con le altre culture, nelle quali la dimensione religiosa è fortemente presente». Un giudizio pesante quanto preciso, oggi abbandonato in nome di un ingenuo ottimismo sul mondo.

Il presidente della Conferenza episcopale, cardinale Angelo Bagnasco, nel suo discorso conclusivo ha cercato di rimediare in parte a questo vuoto di proposta, seppur con scarsi risultati. Più interessante la conferenza stampa, dove – seppur con il suo usuale modo discreto e sempre ringraziando il Papa per il suo intervento – ha marcato una netta differenza da certi accenti usati da Bergoglio (e soprattutto dalle interpretazioni dei giornalisti di corte) e da monsignor Galantino. 

A chi veicola un’immagine di Chiesa che ha scoperto solo con papa Bergoglio l’attenzione ai poveri, Bagnasco ha ribattuto: «Se uno è informato correttamente e pensa con la sua testa non può non vedere i 6 milioni di pasti serviti dalle mense legate alla Chiesa, le 115mila istituzioni cattoliche che soccorrono i bisognosi di ogni tipo, i 500mila poveri aiutati ogni giorno da Caritas e realtà ecclesiali non solo con prestazioni assistenziali ma soprattutto con uno sguardo e una prossimità che restituisce dignità a chi è povero, invisibile o solo. Ognuno tiri le sue conseguenze». Tutte cose che c’erano già tre anni fa. 

Analoga la reazione di fronte al tentativo di dipingere tutti i vescovi e i preti come dediti alla ricerca di potere e soldi, intenti ad aggiudicarsi lussuosi appartamenti o a sfrecciare sull’ultimo modello di auto sportiva. Prendendo a pretesto il «dolorosissimo e penoso» caso dell’ex abate di Montecassino, accusato di aver sottratto 500mila euro alla sua comunità spendendoli in cene e vizi vari, Bagnasco ha tenuto a dire che «va ricordato che in mezzo a un grande popolo di persone consacrate generose e trasparenti può capitare un caso di vita contraddittoria» e che «nessuna ombra deve oscurare la luce di chi è fedele alla vocazione».



Caterina63
00martedì 17 novembre 2015 09:07

Il cardinale Muller
 

Il relativismo etico che domina nella società è entrato con forza anche nella Chiesa, spingendola verso una concezione che appartiene al protestantesimo liberale. Ne è un esempio la tendenza a dare poteri sempre più ampi alle Conferenze episcopali, a scapito del ruolo dei vescovi, fino a concepirle come Chiese nazionali. Così pure è preoccupante la tolleranza verso il dissenso teologico, soprattutto in morale, che invece deve essere chiaramente corretto dai pastori.

di Gerhard Ludwig Müller*

Pubblichiamo il testo integrale del discorso che il cardinale Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ha rivolto nei giorni scorsi ai vescovi del Cile. È un documento di grande importanza in questo momento di forte confusione e disorientamento, perché giudica in modo lucido gli aspetti critici di alcune tendenze presenti nella Chiesa cattolica.

Stimati fratelli nell’episcopato:

1. questa è l’occasione adeguata perché come collaboratore diretto di Papa Francesco, in un settore particolarmente difficile dell’attività della Chiesa, possa trasmettervi alcune riflessioni che ritengo di particolare importanza per il momento che sta vivendo la Chiesa nel mondo ed anche in Cile.

Omnes cum Petro

2. Nelle nostre orecchie, come in quelle degli apostoli, dei quali siamo successori, risuona la chiara affermazione del Signore: «Tu sei Simone, figlio di Giona; sarai chiamato Cefa, che significa Pietro» (Gv. 1, 40-42). Ed anche quella testimonianza di Pietro, alla domanda di Gesù ai suoi discepoli: «La gente chi dice che sia il Figlio dell'uomo?». Risposero: «Alcuni Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti». Disse loro: «Voi chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». E Gesù: «Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli» (Mt 16, 13-19). Con particolare forza oggi dobbiamo meditare gli avvertimenti e le certezze che Gesù ha trasmesso a Pietro: «Simone, Simone, ecco Satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli» (Lc 22, 31-32). E lo inviò a pascolare le pecore, che Pietro ricevette, dopo aver proclamato il proprio amore a Gesù (Gv. 21, 15-17).

3. In un tempo in cui in alcuni ambienti della Chiesa l’unità con il Capo sembra perdere quella vitalità necessaria della nostra fede, ritengo, cari fratelli nell’episcopato, che sia necessaria una riaffermazione personale della nostra unione al Papa, seguendo il saggio consiglio di San Pietro Crisólogo nella lettera a Eutiche: «Ti esortiamo, venerabile fratello, ad accettare con obbedienza tutto quello che ha scritto il santissimo Papa di Roma; perché il beato Pietro, che vive e presiede nella propria sede, aiuta quelli che cercano la verità della fede. Poiché noi, per la pace e per la fede, non possiamo affrontare questioni che riguardano la fede se non in comunione con il vescovo di Roma» (San Pietro Crisologo, Lettera a Eutiche, 2).

Suaviter in modo, fortiter in re

4. Stare con Pietro nella confessione della vera fede cattolica è particolarmente importante per coloro che, nel nome del Signore, uniti al Capo, reggono le Chiese particolari sparse nel mondo intero, nelle quali e a partire dalle quali esiste l’unica santa Chiesa Cattolica. Molte sono le sfide che oggi riguardano la fede, anche in America e in questa terra cilena. Dobbiamo chiedere al Signore il coraggio di affrontarle con saggezza e fortezza.

5. Alcune di queste sfide provengono dall’ignoranza e ci inducono a lavorare con maggior forza nel campo dell’evangelizzazione e della missione, nel quale è impegnata la Chiesa in America Latina e nei Caraibi, frutto della Conferenza di Aparecida. Altre provengono da ambienti teologici e pastorali nei quali sono stati introdotti errori e deformazioni, che noi come pastori dobbiamo scoprire, giudicare e correggere. È un ambito difficile, però necessario e sempre presente nel nostro impegno di pastori per il popolo di Dio. San Tommaso è particolarmente esigente con noi: «Se il sale perdesse il sapore… Se coloro che sono a capo di altri falliscono, non sono adatti ad altro che ad essere allontanati dall’ufficio di insegnare» (San Tommaso, Catena Aurea, vol. 1, p. 262).

6. In tal senso, oltre al personale lavoro di ciascun Vescovo nella propria diocesi, che è insostituibile, necessario e non può essere delegato ad altri organismi, è necessario che la Commissione Dottrinale della Conferenza episcopale sia un organismo vivo e operante, che con l’aiuto di esperti veramente fedeli alla fede, sia presente nei dibattiti dottrinali e dia con autorità la prospettiva cattolica, essendo un vero e proprio strumento di collaborazione per la Conferenza e i Vescovi che lo richiedono.

La Conferenza episcopale, limiti e contributi

7. Come ben sappiamo, dalla creazione delle Conferenze episcopali, frutto dei lavori del Concilio Vaticano II, si continua un discernimento costante riguardo alla loro missione, alla natura ed al modo di ben operare delle Chiese particolari che esse riuniscono. Il Papa San Giovanni Paolo II, dopo un tempo di ampia riflessione e in risposta ad una richiesta dei Vescovi nel Sinodo del 1985, ha fatto pubblicare la Lettera Apostolica Apostolos suos nel 1998. Oggi rimane motivo di preoccupazione e di studio il fatto reale che in alcuni casi l’azione delle Conferenze episcopali hanno colpito, con maggiore o minore forza a seconda delle zone, la responsabilità «iure divino» del Vescovo diocesano, cosicché resta valido ciò che il Papa Giovanni Paolo ha affermato in merito al fatto che le Conferenze esistono per «aiutare i Vescovi e non per sostituirli» (n.18). Come sappiamo, questo documento è venuto a chiarire alcune idee che stavano circolando in alcuni ambienti teologici, riguardo al carattere delle stesse, affermando che esse esistono per «l’esercizio congiunto di alcuni atti del ministero episcopale» (n. 3) e non in quanto forma di esercizio di un’attività episcopale collegiale, che per sua natura corrisponde a tutto il collegio dei Vescovi, sempre con il suo capo e mai senza di esso. Inoltre, ha voluto spiegare che i documenti magistrali possono esistere soltanto, o possono rappresentare in qualche modo i Vescovi, con il consenso unanime di tutti e ciascuno di essi (cf. 20).

8 - Le conseguenze pastorali di una adeguata concezione e attuazione delle Conferenze episcopali sono evidenti. Papa Francesco ha voluto dare un segno in tal senso promulgando le norme sul procedimento per la dichiarazione di nullità del vincolo matrimoniale, attribuendo, come è per loro natura, ai Vescovi diocesani un ruolo chiave nelle decisioni di queste delicate questioni, facendosi così più vicino a quelli che soffrono in questo ambito.

Pericoli attuali del relativismo etico

9 - Risulta molto evidente che oggi in alcuni ambienti dell’insegnamento della fede si sono introdotti elementi propri del protestantestimo liberale. Questo è particolarmente evidente nelle nazioni europee però non manca di essere presente nella realtà dell’America Latina. Una scarsa comprensione della natura teologica delle Conferenze Episcopali ha una immediata deriva nel pericolo di assumere lo stile organizzativo delle comunità riformate. Anche se non si tratta di un approccio teologico in sé, si traduce nell’esistenza di uno “stile pastorale” uniforme, simile ad una “Chiesa nazionale”, che si può costatare in certe accentuazioni di contenuto e procedimento, e nel necessario adattamento dei programmi pastorali diocesani a questi accenti e contenuti.

È necessario evitare che il servizio pastorale dei Vescovi nei diversi ordini della Conferenza episcopale si trasformi di fatto in una specie di governo centrale della Chiesa in un paese o regione, che senza essere obbligatorio, diventa presente nell’ambito delle Chiese particolari, a tal punto che non seguirlo viene considerato come una mancanza di comunione ecclesiale. L’unità nella diversità è uno dei doni che il Signore ha donato alla sua Chiesa ed è necessario che ciascun pastore senta che ha la piena libertà di organizzare e condurre il proprio gregge secondo le ispirazioni dello Spirito Santo, in sintonia e comunione con i suoi immediati collaboratori.

10 - Come ebbero già modo di richiamare il Papa Giovanni Paolo, e poi con molta forza Benedetto XVI e ora il Papa Francesco, la tendenza al relativismo si è presentata nel mondo in un modo violento e poiché noi siamo immersi in essa, è presente anche nella Chiesa. Ci sono molte manifestazioni di ciò. Ricordiamo il rifiuto che provocò in alcuni ambienti teologici la dichiarazione Dominus Iesus, del 6 agosto dell’anno 2000. Questi ambienti non hanno ceduto e sono ancora presenti e hanno nuove manifestazioni che, come pastori, dobbiamo essere capaci di controllare, analizzare e illuminare. Una di queste [nuove manifestazioni] è un certo sincretismo religioso che ha preteso di equiparare gli insegnamenti di diverse dottrine religiose con la fede cristiana, relativizzando la Rivelazione cristiana.

11 - In modo analogo, questo relativismo ha influito anche nelle relazioni con le altre confessioni cristiane, attraverso un ecumenismo che in alcune circostanze ci fa abbandonare l’autentico messaggio cristiano, per annunciare semplicemente verità religiose meramente naturali. Come conseguenza di questo relativismo, si sono diluite le verità antropologiche fondamentali sulla persona umana e l’espressione più evidente è il primato delle teorie del genere, che implicano un cambiamento antropologico completo nella concezione cristiana della persona, del matrimonio, della vita, etc.

12 - So che anche in Cile negli ultimi anni questo relativismo è giunto con forza e so che la teoria del genere si è fatta strada negli ambienti e nelle leggi sulla famiglia e la difesa della vita dal concepimento fino alla morte naturale. In alcuni ambiti di sviluppo più sistematico degli studi teologici, in continuità con alcune versioni della teologia della liberazione, si continua a coltivare nuove “teologie” di carattere indigenista, femminista ed ecologista; queste sono forme radicali di adattamento della fede alle condizioni di vita dei popoli.

13 - Penso che questo sia un motivo di profonda riflessione per i pastori; non si tratta solamente di opporsi ad esso ma anche di proporre dei cammini per recuperare gli ambienti perduti. Sant’Agostino nel sermone sui pastori dice che il Signore «voleva rafforzare in anticipo le nostre orecchie contro coloro che, come Egli stesso mise in guardia, nel corso della storia si sarebbero sollevati dicendo “il Cristo è qui, è là”. E ci ha comandato di non prestare loro ascolto. Non abbiamo nessuna scusa se non ascoltiamo la voce del Pastore, così chiara, così aperta, così evidente che nemmeno il più miope e tardo d’intelletto può dire: non ho capito» (Sull’unità della Chiesa, 11, 28).

Il dissenso teologico

14 - Come in molti paesi, anche in Cile i Vescovi hanno dovuto affrontare la dissidenza teologica, soprattutto in materie relative alla morale cattolica, come anche in altre aree accademiche di vitale importanza. È un fenomeno che è sempre stato oggetto di studio da parte della Congregazione, che tuttavia negli ultimi decenni è stato particolarmente presente. In questa materia si impone ai pastori una vigilanza e un azione prudente, ma chiarificatrice, specialmente quando ciò che è interessato è l'insegnamento della fede. Come successori degli Apostoli, i Pastori della Chiesa «ricevono dal Signore... la missione di insegnare a tutte le genti e di predicare il vangelo ad ogni creatura, affinché tutti gli uomini... ottengano la salvezza». Ad essi è quindi affidato il compito di conservare, esporre e diffondere la Parola di Dio, della quale sono servitori (Istr. Donum veritatis, 14)

15 - A questo proposito non è sufficiente la denuncia e la comunicazione al livello superiore, ma è necessario rettificare gli errori con coraggio e audacia, e usare i mass media perché risulti chiara a tutti la verità, che deve sempre risplendere. "In ogni epoca la teologia è importante perché la Chiesa possa rispondere al disegno di Dio, il quale vuole «che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità» (1 Tim 2, 4). In tempi di grandi mutamenti spirituali e culturali essa è ancora più importante, ma è anche esposta a rischi, dovendosi sforzare di «rimanere» nella verità (cf. Gv 8, 31) e tener conto nel medesimo tempo dei nuovi problemi che si pongono allo spirito umano. Nel nostro secolo, in particolare durante la preparazione e la realizzazione del Concilio Vaticano II, la teologia ha contribuito molto ad una più profonda «comprensione delle realtà e delle parole trasmesse»[1], ma ha anche conosciuto e conosce ancora dei momenti di crisi e di tensione". (Istr. Donum Veritatis, 1)

16 - Il dissenso può rivestire diversi aspetti. Nella sua forma più radicale, esso ha di mira il cambiamento della Chiesa secondo un modello di contestazione ispirato da ciò che si fa nella società politica. Più frequentemente si ritiene che il teologo sarebbe obbligato ad aderire all’insegnamento infallibile del Magistero, mentre invece, adottando la prospettiva di una specie di positivismo teologico le dottrine proposte senza che intervenga il carisma dell’infallibilità non avrebbero nessun carattere obbligatorio, lasciando al singolo piena libertà di aderirvi o meno. (cfr. Instr. Donum Veritatis, 33)  È importante sottolineare che quelli che si mantengono in questo dissenso, sappiano che in questi casi il teologo eviterà di ricorrere ai «mass-media» invece di rivolgersi all’autorità responsabile, perché non è esercitando in tal modo una pressione sull’opinione pubblica che si può contribuire alla chiarificazione dei problemi dottrinali e servire la verità. (cfr. Instr. Donum Veritatis, 30)

17 - Per uno spirito leale ed animato dall’amore per la Chiesa, una tale situazione può certamente rappresentare una prova difficile. Può essere un invito a soffrire nel silenzio e nella preghiera, con la certezza che se la verità è veramente in causa, essa finirà necessariamente per imporsi. (Cfr. Instr. Donum Veritatis)

L'influsso delle scienze umane nella teologia

18 - Un aspetto che oggi è sorto come elemento nuovo è la prevalenza degli apporti delle scienze umane per le analisi teologiche. In particolare quelle che consistono nel mostrare il sentire del popolo di Dio su certe questioni e tentare di presentare quelle precedenti come parte di quello che sarebbe un nuovo sentire dei fedeli, diverso rispetto a quello esistito per decenni, secoli o millenni. «Il dissenso fa appello anche talvolta ad una argomentazione sociologica, secondo la quale l’opinione di un gran numero di cristiani sarebbe un’espressione diretta ed adeguata del «senso soprannaturale della fede». (Cfr. Istr. Donum Veritatis, 35) 

19 - In realtà le opinioni dei fedeli non possono essere puramente e semplicemente identificate con il «sensus fidei». Quest’ultimo è una proprietà della fede teologale la quale, essendo un dono di Dio che fa aderire personalmente alla Verità, non può ingannarsi. Questa fede personale è anche fede della Chiesa, poiché Dio ha affidato alla Chiesa la custodia della Parola e, di conseguenza, ciò che il fedele crede è ciò che crede la Chiesa. Il «sensus fidei» implica pertanto, di sua natura, l'accordo profondo dello spirito e del cuore con la Chiesa, il «sentire cum Ecclesia».(Cfr. Istr. Donum Veritatis, 35)

20 - A volte è evidente la mancanza di distinzione e confusione tra la vita spirituale e la dimensione psicologica della persona, analizzata con metodologie moderne. Questo aspetto influenza i processi formativi delle persone, tanto al sacerdozio, come alla vita consacrata, come anche degli agenti pastorali laici. Le diverse correnti psicologiche presentano una fonte di conoscenza delle persone umane che parrebbe infallibile; e le sue metodologie come il cammino sicuro per ottenere risultati di stabilità, normalità e sviluppo personale; così le si assume come cammino principale di discernimento vocazionale, formazione e crescita interiore. Da qui deriva la sparizione o scarsa valorizzazione dell'importanza della grazia divina nelle vita spirituale, che finisce per essere ridotta a un livello meramente naturale; e si produce una deturpamento della finalità dei sacramenti, della preghiera e dell'insegnamento tradizionale della Chiesa sulla vita cristiana e vocazionale.

Partire dal dato di fede

21 - In questo scrutare la realtà, come parte del compito teologico, si considerano come “segni dei tempi” tutte le classi di evento, modo di pensare e di agire dei contemporanei, a partire da quelli su cui si riflette e decide quale linea deve prendere la Chiesa nella sua azione pastorale. Si dice con una certa facilità che questi segni costituiscono un “parlare” di Dio alla sua Chiesa. In questo modo la Rivelazione divina (comune, oggettiva e universale) viene relativizzata; e la Sacra Scrittura si utilizza al servizio di questi contenuti per “illuminarli”. In questo modo la “pastorale” può venire ridotta a un insieme di interventi umani, tanto per l'individuo, come per la collettività, centrata in assunti temporali. Per tanto, diventa chiara l'assenza delle dimensioni trascendenti, salvifiche e soprannaturali nella missione pastorale della Chiesa. È necessario insistere che la nostra riflessione teologica e le sue conseguenze pastorali devono partire dal dato rivelato, da qui l'importanza di un insegnamento adeguato dei contenuti del Catechismo della Chiesa Cattolica, che S. Giovanni Paolo II donò alla Chiesa segnalandolo «come uno strumento valido e legittimo al servizio della comunione ecclesiale e come una norma sicura per l'insegnamento della fede». (Costituzione apostolica Fidei Depositum, 4)

22 - Il testo fondamentale in questo senso è il Decreto Optatam totius numero 16, dove si pensa all'insegnamento delle discipline teologiche alla luce della fede e sotto la guida del Magistero della Chiesa. In esso si riconosce chiaramente la dimensione non solo scientifica, nel senso aristotelico e moderno della parola, ma anche speculativo-ontologico della teologia; ma ancor di più, la teologia stessa si considera in funzione della vita totale concreta della Chiesa, dei fedeli e del teologo. Questo modo di procedere suppone che tutto il lavoro teologico deve essere animato e sostenuto dalla Sacra Scrittura. Le diverse tappe prevedono lo studio del tema biblico, la illustrazione della apporto riflessivo offerto dalla tradizione pastristica e per la storia del dogma nel contesto della storia della Chiesa, l'approfondimento speculativo, la esposizione diretta a mostrare il nesso mysteriorum inter e la sua integrazione nelle diverse forme della vita della Chiesa (soprattutto liturgica e spirituale), la responsabilità teologica di fronte ai problemi dell'uomo contemporaneo. Il punto di partenza della investigazione teologica, a differenza della filosofia, è “dogamtico” nel senso che si identifica con la Parola di Dio, intesa globalmente, che la riflessione teologica non potrà metere in discussione per nulla senza fallire il proprio statuto epistemologico, la sua stessa costituzione dell'intelligenza delle fede.

Questa Parola di Dio esige di essere conosciuta e compresa ogni volta meglio. In questa intelligenza della fede la teologia procede con i suoi propri metodi (fidens quarens intellectum). I due momenti principali della sua attuazione sono il momento positivo dell'auditus fidei (presa di coscienza della fede della Chiesa attraverso il suo sviluppo storico a partire dal tema biblico) e il momento riflessivo dell'intellectus fidei nel suo livello esplicativo, speculativo e attualizzante. Così poi, l'oggetto del lavoro teologico è la fede della Chiesa nel suo riferimento alla divina rivelazione, rispetto alla quale la teologia si domanda: cosa significa?, come può interpretarsi e diventare intelligibile per l'uomo? Come sottolineare l'importanza interiore per lui?

Il lavoro della Chiesa per ambienti sani che evitino gli abusi

23 - So bene che la Chiesa in Cile ha sofferto come poche nazioni per gli abusi di alcuni chierici. È un tema doloroso e complesso che è stato affrontato da molte Conferenze episcopali, ma in cui quella cilena è avanti, con la recente approvazione e promulgazione, come legge per ogni giurisdizione ecclesiastica, delle Linee Guida, Cura e Speranza, che già stanno in applicazione in tutto il paese.

24 - Da quando il Papa Giovanni Paolo e poi Benedetto XVI hanno assunto politiche chiare e sostenute, la Congregazione è stata chiamata a risolvere questi problemi. Papa Francesco, come sappiamo ha continuato con maggior spinta e decisione questo lavoro. Però è completamente necessaria una azione decisa dei Vescovi nelle proprie diocesi, tendente a creare ambienti pastorali sani, dove l'abuso di potere, che è sempre l'antecedente degli abusi sessuali, sia completamente sradicato.

25 - Insieme a questo, come si fa nelle altre nazioni, devono essere decise delle azioni di prevenzione e debbono attuarsi politiche efficaci di protezione dei minori che sono stati abusati, mediante metodi sociologici, medici e pastorali efficaci, che includano come elemento essenziale la riparazione del male provocato. Mi pare specialmente degno di nota in questo documento dell'episcopato cileno, i principi fondamentali stabiliti, sintetizzati nelle protezione dei minori, l'integrità del ministero sacerdotale, insieme alla trasparenza e responsabilità e collaborazione con la società e le autorità. Questi principi debitamente congiunti daranno come risultato che sparisca dalla vita della Chiesa questo flagello che tanto male ha fatto a persone innocenti e ha tolto prestigio alla Chiesa.

26 - Stimati fratelli Vescovi, rendiamo grazia al Signore per tutti i doni che ha fatto alla Chiesa e tutto il bene che Ella ha realizzato per il bene degli abitanti di questa terra benedetta. Il Signore dà a noi molti motivi di allegria, però come tutti sappiamo, questa allegria ha sempre le sue radici in forma di croce. Chiediamo alla nostra Madre del Cielo, nell'invocazione del Carmen, Regina e Patrona del Cile, che ci faccia sempre fedeli a suo Figlio e alla Chiesa che Egli ci ha dato come sacramento di salvezza.

* Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede

(traduzione di Luisella Scrosati e Lorenzo Bertocchi)




Caterina63
00sabato 21 novembre 2015 13:16

DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO 
AI PARTECIPANTI AL CON
VEGNO PROMOSSO DALLA CONGREGAZIONE PER IL CLERO,
IN OCCASIONE DEL 50° ANNIVERSARIO DEI DECRETI CONCILIARI
"OPTATAM TOTIUS" E "PRESBYTERORUM ORDINIS"

Sala Regia
Venerdì, 20 novembre 2015

[Multimedia]



 

Signori Cardinali,
cari fratelli Vescovi e sacerdoti,
fratelli e sorelle,

rivolgo a ciascuno un cordiale saluto ed esprimo un sincero ringraziamento a Lei, Cardinale Stella, e alla Congregazione per il Clero, che mi hanno invitato a partecipare a questo Convegno, a cinquant’anni dalla promulgazione dei Decreti conciliari Optatam totius ePresbyterorum ordinis.

Mi scuso di aver cambiato il primo progetto, che era che venissi io da voi, ma avete visto che il tempo non c’era e anche qui sono arrivato in ritardo!

Non si tratta di una “rievocazione storica”. Questi due Decreti sono un seme, che il Concilio ha gettato nel campo della vita della Chiesa; nel corso di questi cinque decenni essi sono cresciuti, sono diventati una pianta rigogliosa, certamente con qualche foglia secca, ma soprattutto con tanti fiori e frutti che abbelliscono la Chiesa di oggi. Ripercorrendo il cammino compiuto, questo Convegno ha mostrato tali frutti e ha costituito una opportuna riflessione ecclesiale sul lavoro che resta da fare in questo ambito così vitale per la Chiesa. Ancora resta lavoro da fare!

Optatam totius e Presbyterorum ordinis sono stati ricordati insieme, come le due metà di una realtà unica: la formazione dei sacerdoti, che distinguiamo in iniziale e permanente, ma che costituisce per essi un’unica esperienza di discepolato. Non a caso, Papa Benedetto, nel gennaio 2013 (Motu proprio Ministrorum institutio) ha dato una forma concreta, giuridica, a questa realtà, attribuendo alla Congregazione per il Clero anche la competenza sui seminari. In questo modo lo stesso Dicastero può iniziare a occuparsi della vita e del ministero dei presbiteri sin dal momento dell’ingresso in seminario, lavorando perché le vocazioni siano promosse e curate, e possano sbocciare nella vita di santi preti. Il cammino di santità di un prete inizia in seminario!

Dal momento che la vocazione al sacerdozio è un dono che Dio fa ad alcuni per il bene di tutti, vorrei condividere con voi alcuni pensieri, proprio a partire dal rapporto tra i preti e le altre persone, seguendo il n. 3 di Presbyterorum ordinis, nel quale si trova come un piccolo compendio di teologia del sacerdozio, tratto dalla Lettera agli Ebrei: «I presbiteri sono stati presi fra gli uomini e costituiti in favore degli uomini stessi nelle cose che si riferiscono a Dio, per offrire doni e sacrifici in remissione dei peccati, vivono quindi in mezzo agli altri uomini come fratelli in mezzo ai fratelli».

Consideriamo questi tre momenti: “presi fra gli uomini”, “costituiti in favore degli uomini”, presenti “in mezzo agli altri uomini”.

Il sacerdote è un uomo che nasce in un certo contesto umano; lì apprende i primi valori, assorbe la spiritualità del popolo, si abitua alle relazioni. Anche i preti hanno una storia, non sono “funghi” che spuntano improvvisamente in Cattedrale nel giorno della loro ordinazione. È importante che i formatori e i preti stessi ricordino questo e sappiano tenere conto di tale storia personale lungo il cammino della formazione. Nel giorno dell’ordinazione dico sempre ai sacerdoti, ai neo-sacerdoti: ricordatevi da dove siete stati presi, dal gregge, non dimenticatevi della vostra mamma e della vostra nonna! Questo lo diceva Paolo a Timoteo, e lo dico anch’io oggi. Questo vuol dire che non si può fare il prete credendo che uno è stato formato in laboratorio, no; incomincia in famiglia con la “tradizione” della fede e con tutta l’esperienza della famiglia. Occorre che essa sia personalizzata, perché è la persona concreta ad essere chiamata al discepolato e al sacerdozio, tenendo in ogni caso conto che è solo Cristo il Maestro da seguire e a cui configurarsi.

Mi piace in questo senso ricordare quel fondamentale “centro di pastorale vocazionale” che è la famiglia, chiesa domestica e primo e fondamentale luogo di formazione umana, dove può germinare nei giovani il desiderio di una vita concepita come cammino vocazionale, da percorrere con impegno e generosità.

In famiglia e in tutti gli altri contesti comunitari – scuola, parrocchia, associazioni, gruppi di amici – impariamo a stare in relazione con persone concrete, ci facciamo modellare dal rapporto con loro, e diventiamo ciò che siamo anche grazie a loro.

Un buon prete, dunque, è prima di tutto un uomo con la sua propria umanità, che conosce la propria storia, con le sue ricchezze e le sue ferite, e che ha imparato a fare pace con essa, raggiungendo la serenità di fondo, propria di un discepolo del Signore.  La formazione umana è quindi una necessità per i preti, perché imparino a non farsi dominare dai loro limiti, ma piuttosto a mettere a frutto i loro talenti.

Un prete che sia un uomo pacificato saprà diffondere serenità intorno a sé, anche nei momenti faticosi, trasmettendo la bellezza del rapporto col Signore. Non è normale invece che un prete sia spesso triste, nervoso o duro di carattere; non va bene e non fa bene, né al prete, né al suo popolo. Ma se tu hai una malattia, sei nevrotico, vai dal medico! Dal medico spirituale e dal medico clinico: ti daranno pastiglie che ti faranno bene, ambedue! Ma per favore che i fedeli non paghino la nevrosi dei preti! Non bastonare i fedeli; vicinanza di cuore con loro. 

Noi sacerdoti siamo apostoli della gioia, annunciamo il Vangelo, cioè la “buona notizia” per eccellenza; non siamo certo noi a dare forza al Vangelo – alcuni lo credono -, ma possiamo favorire o ostacolare l’incontro tra il Vangelo e le persone. La nostra umanità è il “vaso di creta” in cui custodiamo il tesoro di Dio, un vaso di cui dobbiamo avere cura, per trasmettere bene il suo prezioso contenuto.

Un prete non può perdere le sue radici, resta sempre un uomo del popolo e della cultura che lo hanno generato; le nostre radici ci aiutano a ricordare chi siamo e dove Cristo ci ha chiamati. Noi sacerdoti non caliamo dall’alto, ma siamo chiamati, chiamati da Dio, che ci prende “fra gli uomini”, per costituirci “in favore degli uomini”. 
Mi permetto un aneddoto. In diocesi, anni fa... Non in diocesi, no, nella Compagnia c’era un prete bravo, bravo, giovane, due anni di prete. E’ entrato in confusione, ha parlato col padre spirituale, con i suoi superiori, con i medici e ha detto: “Io me ne vado, non ne posso più, me ne vado”. E pensando a queste cose - io conoscevo la mamma, gente umile - gli ho detto: “Perché non vai dalla tua mamma e le parli di questo?”. E’ andato, ha passato tutta la giornata con la mamma, è tornato cambiato. La mamma gli ha dato due “schiaffi” spirituali, gli ha detto tre o quattro verità, lo ha messo a posto, ed è andato avanti. Perché? Perché è andato alla radice. Per questo è importante non togliere la radice da dove veniamo. In seminario devi fare la preghiera mentale… Sì, certo, questo si deve fare, imparare… Ma prima di tutto prega come ti ha insegnato tua mamma, e poi vai avanti. Ma sempre la radice è lì, la radice della famiglia, come hai imparato a pregare da bambino, anche con le stesse parole, incomincia a pregare così. Poi andrai avanti nella preghiera.

Ecco il secondo passaggio: “in favore degli uomini”.

Qui c’è un punto fondamentale della vita e del ministero dei presbiteri. Rispondendo alla vocazione di Dio, si diventa preti per servire i fratelli e le sorelle. Le immagini di Cristo che prendiamo come riferimento per il ministero dei preti sono chiare: Egli è il “Sommo Sacerdote”, allo stesso modo vicino a Dio e vicino agli uomini; è il “Servo”, che lava i piedi e si fa prossimo ai più deboli; è il “Buon Pastore”, che sempre ha come fine la cura del gregge.

Sono le tre immagini a cui dobbiamo guardare, pensando al ministero dei preti, inviati a servire gli uomini, a far loro giungere la misericordia di Dio, ad annunciare la sua Parola di vita. Non siamo sacerdoti per noi stessi e la nostra santificazione è strettamente legata a quella del nostro popolo, la nostra unzione alla sua unzione: tu sei unto per il tuo popolo. Sapere e ricordare di essere “costituiti per il popolo” -popolo santo, popolo di Dio -, aiuta i preti a non pensare a sé, ad essere autorevoli e non autoritari, fermi ma non duri, gioiosi ma non superficiali, insomma, pastori, non funzionari. Oggi, in entrambe le Letture della Messa si vede chiaramente la capacità di gioire che ha il popolo, quando viene ripristinato e purificato il tempio, e invece l’incapacità di gioia che hanno i capi dei sacerdoti e gli scribi davanti alla cacciata dei mercanti dal tempio da parte di Gesù. 
Un prete deve imparare a gioire, non deve mai perdere, meglio così, la capacita di gioia: se la perde c’è qualcosa che non va. E vi dico sinceramente, io ho paura a irrigidire, ho paura. Ai preti rigidi… Lontano! Ti mordono! E mi viene alla mente quella espressione di sant’Ambrogio, secolo IV: “Dove c’è la misericordia c’è lo spirito del Signore, dove c’è la rigidità ci sono soltanto i suoi ministri”. Il ministro senza il Signore diventa rigido, e questo è un pericolo per il popolo di Dio. Pastori, non funzionari.

Il popolo di Dio e l’umanità intera sono destinatari della missione dei sacerdoti, a cui tende tutta l’opera della formazione. La formazione umana, quella intellettuale e quella spirituale confluiscono naturalmente in quella pastorale, alla quale forniscono strumenti e virtù e disposizioni personali. Quando tutto questo si armonizza e si amalgama con un genuino zelo missionario, lungo il cammino di una vita intera, il prete può adempiere alla missione affidata da Cristo alla sua Chiesa.

Infine, ciò che dal popolo è nato, col popolo deve rimanere; il prete è sempre “in mezzo agli altri uomini”, non è un professionista della pastorale o dell’evangelizzazione, che arriva e fa ciò che deve – magari bene, ma come fosse un mestiere – e poi se ne va a vivere una vita separata. Si diventa preti per stare in mezzo alla gente: la vicinanza. E mi permetto, fratelli vescovi, anche la nostra vicinanza di vescovi con i nostri preti. Questo vale anche per noi!  Quante volte sentiamo le lamentele dei preti: “Mah, ho chiamato il vescovo perché ho un problema… Il segretario, la segretaria, mi ha detto che è molto occupato, che è in giro, che non può ricevermi prima di tre mesi…”. Due cose. La prima. Un vescovo sempre è occupato, grazie a Dio, ma se tu vescovo ricevi una chiamata di un prete e non puoi riceverlo perché hai tanto lavoro, almeno prendi il telefono e chiamalo e digli: “E’ urgente? non è urgente? quando, vieni quel giorno…”, così si sente vicino. Ci sono vescovi che sembrano allontanarsi dai preti… Vicinanza, almeno una telefonata! E questo è amore di padre, fraternità. 
E l’altra cosa. “No, ho una conferenza in tale città e poi devo fare un viaggio in America, e poi…”. Ma, senti, il decreto di residenza di Trento ancora è vigente! E se tu non te la senti di rimanere in diocesi, dimettiti, e gira il mondo facendo un altro apostolato molto buono. Ma se tu sei vescovo di quella diocesi, residenza. Queste due cose, vicinanza residenza. Ma questo è per noi vescovi! Si diventa preti per stare in mezzo alla gente.

Il bene che i preti possono fare nasce soprattutto dalla loro vicinanza e da un tenero amore per le persone. Non sono filantropi o funzionari, i preti sono padri e fratelli. La paternità di un sacerdote fa tanto bene.

Vicinanza, viscere di misericordia, sguardo amorevole: far sperimentare la bellezza di una vita vissuta secondo il Vangelo e l’amore di Dio che si fa concreto anche attraverso i suoi ministri. Dio che non rifiuta mai. E qui penso al confessionale. Sempre si possono trovare strade per dare l’assoluzione. Accogliere bene.Ma alcune volte non si può assolvere.   Ci sono preti che dicono: “No, da questo non ti posso assolvere, vattene via”. Questa non è la strada. Se tu non puoi dare l’assoluzione, spiega e dì: “Dio ti ama tanto, Dio ti vuole bene. Per arrivare a Dio ci sono tante vie. Io non ti posso dare l’assoluzione, ti do la benedizione. Ma torna, torna sempre qui, che ogni volta che tu torni ti darò la benedizione come segno che Dio ti ama”.  E quell’uomo o quella donna se ne va pieno di gioia perché ha trovato l’icona del Padre, che non rifiuta mai; in una maniera o nell’altra lo ha abbracciato.

Un buon esame di coscienza per un prete è anche questo; se il Signore tornasse oggi, dove mi troverebbe? «Dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore» (Mt 6,21). E il mio cuore dov’è? In mezzo alla gente, pregando con e per la gente, coinvolto con le loro gioie e sofferenze, o piuttosto in mezzo alle cose del mondo, agli affari terreni, ai miei “spazi” privati? Un prete non può avere uno spazio privato, perché è sempre o col Signore o col popolo. Io penso a quei preti che ho conosciuto nella mia città, quando non c’era la segreteria telefonica, ma dormivano con il telefono sul comodino, e a qualunque ora chiamasse la gente, loro si alzavano a dare l’unzione: non moriva nessuno senza i sacramenti! Neppure nel riposo avevano uno spazio privato. Questo è zelo apostolico. La risposta a questa domanda: il mio cuore dov’è?, può aiutare ogni prete a orientare la sua vita e il suo ministero verso il Signore.

Il Concilio ha lasciato alla Chiesa “perle preziose”. Come il mercante del Vangelo di Matteo (13,45), oggi andiamo alla ricerca di esse, per trarre nuovo slancio e nuovi strumenti per la missione che il Signore ci affida.

Una cosa che vorrei aggiungere al testo – scusatemi! – è il discernimento vocazionale, l’ammissione al seminario. Cercare la salute di quel ragazzo, salute spirituale, salute materiale, fisica, psichica. Una volta, appena nominato maestro dei novizi, anno ’72, sono andato a portare alla psicologa gli esiti del test di personalità, un test semplice che si faceva come uno degli elementi del discernimento. Era una brava donna, e anche brava medico. 
Mi diceva: “Questo ha questo problema ma può andare se va così…”. Era anche una buona cristiana, ma in alcuni casi era inflessibile: “Questo non può” – “Ma dottoressa, è tanto buono questo ragazzo” - “Adesso è buono, ma sappia che ci sono giovani che sanno inconsciamente, non ne sono consapevoli, ma sentono inconsciamente di essere psichicamente ammalati e cercano per la loro vita strutture forti che li difendano, così da poter andare avanti. E vanno bene, fino al momento in cui si sentono bene stabiliti e lì incominciano i problemi” – “Mi sembra un po’ strano…”. 
E la risposta non la dimentico mai, la stessa del Signore a Ezechiele: “Padre, Lei non ha mai pensato perché ci sono tanti poliziotti torturatori? Entrano giovani, sembrano sani ma quando si sentono sicuri, la malattia incomincia ad uscire. Quelle sono le istituzioni forti che cercano questi ammalati incoscienti: la polizia, l’esercito, il clero… E poi tante malattie che tutti noi conosciamo che vengono fuori”. 

E’ curioso. Quando mi accorgo che un giovane è troppo rigido, è troppo fondamentalista, io non ho fiducia; dietro c’è qualcosa che lui stesso non sa. Ma quando si sente sicuro… Ezechiele 16, non ricordo il versetto, ma è quando il Signore dice al suo popolo tutto quello che ha fatto per lui: l’ha trovato appena nato, e poi l’ha vestito, l’ha sposato… “E poi, quando tu ti sei sentita sicura, ti sei prostituita”. E’ una regola, una regola di vita. Occhi aperti sulla missione nei seminari. Occhi aperti.

Confido che il frutto dei lavori di questo Convegno – con tanti autorevoli relatori, provenienti da regioni e culture diverse – potrà essere offerto alla Chiesa come utile attualizzazione degli insegnamenti del Concilio, portando un contributo alla formazione dei sacerdoti, quelli che ci sono e quelli che il Signore vorrà donarci, perché, configurati sempre più a Lui, siano buoni preti secondo il cuore del Signore, non funzionari! E grazie della pazienza.


Caterina63
00mercoledì 25 novembre 2015 19:45


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  «I miei genitori hanno scelto la fedeltà a Cristo»

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Padre Peter Stravinskas Jr. racconta: «Per poter ricevere la Comunione, mio padre e mia madre, sposati solo civilmente, hanno vissuto per 25 anni come “fratello e sorella”».

Traduzione di CRISTIANESIMO CATTOLICO

di Pete Baklinski

PINE BEACH, New Jersey — Mentre un movimento di cardinali e vescovi hanno esplicitamente suggerito che è “irrealistico” per le coppie in situazioni irregolari astenersi dal sesso, perché richiede un «eroismo – ha detto Walter Kasper – che non è per il cristiano medio», vivere “come fratello e sorella” è ciò che esattamente hanno deciso di fare Peter Sr. e Anne Stravinskas per allineare le loro vite secondo la volontà di Dio ed essere in grado di ricevere Gesù nella Santa Comunione.

Padre Peter Stravinskas con i suoi genitori, Peter Sj. e Anne, il giorno della sua ordinazione sacerdotale.
Padre Peter Stravinskas Jr. con i suoi genitori, Peter Sr. e Anne, il giorno della sua ordinazione sacerdotale, avvenuta nel 1972.

L’unico figlio della coppia, padre Peter Stravinskas Jr., ha raccontato aLifeSiteNews, in un’intervista esclusiva, la storia della decisione dei suoi genitori. Padre Stravinskas, fondatore della Società Sacerdotale John Henry Newman, della Newman House Press e del Catholic Response, è un rispettato studioso, autore e apologeta.

Tutto è cominciato negli anni Quaranta del secolo scorso, quando il matrimonio cattolico di Peter Sr. è andato in pezzi: la moglie lo ha abbandonato.

Peter Sr. sapeva – avendo letto e approfondito le opere di G.K. Chesterton e del cardinale John Henry Newman – che contrarre un altro matrimonio civile lo avrebbe allontanato da Cristo e dalla sua Chiesa. Conosceva le parole di Cristo nel Vangelo di Luca: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio». Altresì conosceva il Sesto Comandamento: «Non commettere adulterio». Nonostante ciò, Peter Sr. decise di sposare civilmente Anne, una cattolica non praticante.

Anne e Peter Sr. ritratti in occasione del battesimo di Peter Jr.
Anne e Peter Sr. ritratti in occasione del battesimo del figlio Peter Jr.

Nel 1950 arrivò il loro figlio, Peter Jr., e decisero di iscriverlo in una scuola cattolica. È stato durante durante la seconda classe di preparazione per ricevere i sacramenti della Confessione e della Comunione del loro bambino, in cui accadde un fatto che cambiò la vita di Peter Sr. e Anne.

Padre Peter Jr. racconta: «Un giorno, tornando a casa da scuola, dissi: “Mamma, ti voglio tanto bene”. “Anch’io ti voglio bene”, mi rispose. “Mamma, quando morirò, voglio andare in paradiso!”. “Naturalmente andremo in paradiso”, disse lei. “Ecco, abbiamo un problema… Se io muoio e vado in paradiso, ma tu e papà non sarete là, che paradiso sarà per me?”. “E perché io e papà non saremo là?”. “Perché suor Rita Gertrude, oggi in classe, ha detto che le persone che non vanno alla Messa la domenica quando muoiono vanno all’inferno”».

Padre Peter Jr. dice che la madre finì subito la conversazione mandandolo a prendere il suo latte e i biscotti.

Quella sera stessa, più tardi, quando il padre tornò a casa dal lavoro, Peter Jr. fu mandato nella sua stanza perché i suoi genitori volevano discutere riguardo la conversazione precedente.

Ma Peter Jr. rimase ad origliare vicino alla porta e ricorda bene quel dialogo: «”Abbiamo un problema con il bambino”, disse la mamma. “Quale?”, domandò il papà. “Quella suora pazza della scuola sta creando problemi”, rispose la mamma. “Oggi ha detto a Peter Jr. che noi due andremo all’inferno perché non andiamo alla Messa di domenica”. “Beh, che cosa ti aspettavi che dicesse?”, osservò il papà. “Quando andrò domani a scuola per il volontariato – aggiunse la mamma – le dirò di farsi gli affari suoi e di stare fuori da casa nostra”. “Beh, si può fare”, replicò il papà. “Ma non credo che sia la cosa giusta da fare”».

Peter Jr., continuando ad ascoltare dietro la porta, ricorda che ci fu un breve momento di pausa prima che suo padre aggiunge: «Penso che ci sia una soluzione più semplice. Penso che dovremmo cominciare ad andare a Messa la domenica. Così la suora si convincerebbe che non vogliamo andare all’inferno».

La domenica successiva l’intera famiglia Stravinskas assistette alla Messa per la prima volta. Così cominciò a crescere in Anne il desiderio di ricevere la Santa Comunione, anche se sapeva bene che avere rapporti sessuali con un uomo che, per la Chiesa, era sposato con un’altra donna, non la rendeva degna di ricevere Gesù.

Prima Comunione di Peter Jr. nel maggio del 1958.
Prima Comunione di Peter Jr. nel maggio del 1958. Posano con lui il padre Peter Sr. e la madre Anne.

Padre Peter Jr. ricorda che una volta sua madre disse: «Non so perché vado a Messa se non posso ricevere la Santa Comunione».

Alla fine, la coppia decise di parlare di questa difficoltà col proprio parroco. Egli disse loro che una soluzione poteva essere presentare istanza alla Rota Romana per esaminare se la prima unione di Peter Sr. fosse stata contratta regolarmente. Se il matrimonio fosse stato dichiarato nullo, allora Peter Sr. e Anne sarebbe stati liberi di conformare il loro rapporto secondo le norme stabilite da Dio e seguite dalla Chiesa. Dunque entrambi avrebbero potuto riceve la Santa Comunione. Ma il parroco aggiunse che il processo di nullità non era solamente lungo, ma anche costoso.

Così quel fedele sacerdote propose alla coppia una soluzione più semplice. «Lui disse ai miei genitori», rivela Padre Peter Jr., «che la soluzione per loro di partecipare pienamente alla Fede cattolica era rinunciare ai rapporti sessuali, cioè vivere “come fratello e sorella”».

«Da quel momento in poi», afferma Padre Peter Jr., «mio padre e mia madre lo hanno fatto».

È stato però duranti gli anni del liceo, discutendo con suo padre riguarda la dottrina cattolica sul matrimonio che il giovane Peter Jr. scoprì la verità sulla decisione dei suoi genitori: «Mio padre mi disse:

“Beh, sì, possono capitare situazioni irregolari. Ma, per essere fedeli a Cristo, tua madre ed io viviamo come fratello e sorella già da 10 anni”.

E così hanno vissuto anche per tutto il resto della loro unione». Peter Sr. è morto nel 1983, aveva 71 anni. Anne è vissuta fino al 2005, aveva 87 anni.

Il cavallo di Troia dei novatores

Padre Stravinskas ritiene che il concetto di “integrazione” introdotto nella relazione finale del sinodo sulla famiglia – recentemente conclusosi a Roma – è un “cavallo di Troia” progettato per attaccare il cuore dell’insegnamento di Gesù sull’indissolubilità del matrimonio.

«Se è vero – ed è vero – che una persona rimane legata al legittimo coniuge, anche se il matrimonio fallisce, questo significa che ogni attività sessuale con un’altra persona significa commettere un peccato di adulterio. Questo è ciò che Gesù dice nei vangeli», spiega il sacerdote.

Un recente ritratto di Padre Peter Stravinskas Jr.
Un recente ritratto di Padre Peter Stravinskas Jr.

Le persone in disaccordo con questo insegnamento hanno un grosso problema non tanto con la Chiesa, ma con Dio.

«Quando qualcuno mi dice che non può accettare l’insegnamento della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio, io rispondo: “Precisa la tua frase: ‘Io non posso accettare l’insegnamento sull’indissolubilità del matrimonio della di Gesù Cristo, Seconda Persona della Santissima Trinità’.”».

«Quest’insegnamento sul divorzio e le secondo nozze – aggiunge Padre Peter – la Chiesa non ha il potere di cambiarlo. Viene da Dio stesso. La Chiesa prende la dottrina sull’indissolubilità del matrimonio così seriamente e fedelmente che fu proprio ciò la causa dello strappo, nel 1530, con Enrico VIII e con buona parte della comunità anglicana».

Padre Stravinskas spiega perché è gravemente sbagliato per i cattolici che hanno divorziato e si sono risposati civilmente presentarsi a ricevere la Santa Comunione: «È un peccato di sacrilegio che rende ancora più indegni di ricevere il più santo dei sette sacramenti. San Paolo è chiarissimo nella suaLettera ai cristiani di Corinto. L’Apostolo dice che ognuno deve esaminare se stesso e se non è in stato di grazia, non può, non deve, ricevere il Corpo e il Sangue di Cristo. Chi si comunica in stato di peccato, mangia e bene la propria condanna».

Il sacerdote ha anche parlato dell’abuso che alcuni padri sinodali hanno fatto del racconto di Emmaus del Vangelo di Luca, usato da essi per “accompagnare” le coppie irregolari a ricevere i sacramenti.

«Il primo vero “accompagnamento” è una delle sette opere di misericordia spirituale: ammonire i peccatori, avvisandoli della gravità del loro peccato. Se noi guardiamo come Gesù ha accompagnato i due discepoli di Emmaus, prima di tutto, li ha chiamati “stolti e tardi di cuore”. Egli ha accompagnato loro lungo la strada, aprendo loro le menti alla Sacra Scrittura e facendo ardere i loro cuori col fuoco della verità».

«Questo è il tipo di “accompagnamento” pastorale – aggiunge – che la Chiesa deve dare alle coppie in situazioni irregolari. E non solo ad esse, ma a tutte le persone che commettono ogni tipo di peccato».

Padre Peter dice che la testimonianza dei suoi genitori è la prova che anche in una situazione irregolare si può essere fedeli all’insegnamento di Gesù, seguendo il magistero della Chiesa.

«Quando cardinali come Kasper e Marx dicono che astenersi dagli atti sessuali è “irrealistico”, un “eroismo” che i laici non possono vivere, non è solo ridicolo e assurdo, ma è un attacco frontale alla “chiamata universale alla santità”,bellissima espressione del Vaticano II».

«È una posizione che disonora i miei genitori – continua – e quelle migliaia di altre coppie come loro che hanno deciso di affidare tutto a Dio, chiedendo l’aiuto della sua Grazia. La nostra fede ci insegna che il Signore da a tutti le grazie necessarie per evitare il peccato. E molte persone lo vivono».

Egli afferma che i sacerdoti debbono cominciare ad usare il proprio esempio di vita – una vita pienamente felice anche senza il sesso – per incoraggiare le persone ad essere fedeli al piano di Dio sul matrimonio e sulla sessualità umana, come insegna la Chiesa.

«Usando la loro propria testimonianza sul celibato, i preti possono dire ai giovani che è possibile aspettare fino al matrimonio. Essi non chiedono nulla che non stanno facendo essi stessi. Inoltre, si possono incoraggiare le persone con tendenze omosessuali a non praticare quegli atti. In più, si può dire a quelle coppie che, pur vivendo fedelmente il magistero della Chiesa sulla contraccezione, hanno delle difficoltà con la continenza periodica, ed esse la Chiesa chiede l’astinenza per un certo periodo, mentre al prete viene chiesto di astenersi per tutta la vita».

«Ci saranno sempre ogni tipo di situazioni in cui la gente dirà che non può, non riesce a vivere l’intera vita, neppure un breve periodo, senza avere rapporti sessuali. Allora dobbiamo essere in grado di dare loro un esempio, anche se non è solo a livello naturale, che questo è possibile».

«Come San Paolo una volta ha detto: “Tutto posso in Colui che mi da la forza”», conclude Padre Peter Stravinskas Jr.

© LIFESITENEWS (09-11-2015)





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Lettera aperta di un arcivescovo sulla crisi della Chiesa

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Una accorata denuncia della grave crisi che attraversa oggi la Chiesa ci viene da questa lettera aperta di Sua Eccellenza l’arcivescovo Jan Pawel Lenga, vescovo emerito di Karaganda (Kazakhistan). Il documento è tradotto per Corrispondenza Romana dalla versione originale.

Riflessioni su diversi problemi attuali riguardanti la crisi della Chiesa Cattolica

Ho conosciuto personalmente numerosi preti internati nelle prigioni e nei gulag staliniani. Sacerdoti, che sono tuttavia rimasti fedeli alla Chiesa. Nel tempo della persecuzione essi hanno esercitato con amore il loro dovere sacerdotale di annunciare la Dottrina cattolica, conducendo una vita degna alla sequela di Cristo, loro divino Maestro.

jplIo stesso ho compiuto il mio corso di studi in un seminario clandestino nell’Unione Sovietica, lavorando con le mie mani per guadagnarmi il pane quotidiano. Sono stato ordinato prete in segreto, di notte, da un Vescovo che aveva a sua volta sofferto a causa della sua fede. Dopo il mio primo anno di sacerdozio sono stato espulso dal Tagikistan ad opera del Kgb.

Più tardi, nei miei trent’anni di soggiorno in Kazakhistan, ho servito per 10 anni i fedeli di 81 parrocchie. In seguito sono stato nominato Vescovo, i primi tempi alla guida di cinque Stati dell’Asia centrale estesi su di una superficie di circa 4 milioni di chilometri quadri.

Come Vescovo sono stato in contatto col Santo Padre Giovanni Paolo II, assieme a numerosi altri Vescovi, sacerdoti e fedeli di diversi Paesi nelle circostanze le più diverse. Sono stato membro dei Sinodi episcopali in Vaticano, aventi per tema «L’Asia» e «L’Eucarestia».

Tutto questo – e molte altre cose ancora – mi autorizzano ad esprimere il mio parere circa la crisi attuale della Chiesa Cattolica. Queste convinzioni – che sono mie – sono dettate dal mio amore per la Chiesa così come dal desiderio di un Suo autentico rinnovamento in Cristo. Io mi vedo costretto a scegliere la forma della lettera aperta, dato che qualsiasi altro metodo di comunicazione si scontrerebbe con un muro di silenzio totale e con la volontà d’ignorare.

Sono del tutto cosciente delle possibili reazioni alla mia lettera aperta. Ma la voce della mia coscienza non mi permette di tacere, mentre l’opera di Dio viene oltraggiata. E’ Gesù Cristo che ha fondato la Chiesa ed Egli ha mostrato in parole ed opere in che modo si debba compiere la volontà di Dio. Gli Apostoli, ai quali ha trasmesso l’autorità nella Chiesa, hanno compiuto con zelo il compito loro affidato, soffrendo per la Verità proclamata, perché essi hanno «obbedito a Dio piuttosto che agli uomini».

Malauguratamente in questi giorni diviene sempre più evidente come in Vaticano attraverso la Segreteria di Stato si sia intrapresa la via del politicamente corretto. Certuni Nunzi sono nell’ambito della Chiesa universale dei propagatori del liberalismo e del modernismo. Si sono appropriati del principio di «sub secreto Pontificio», con cui zittiscono abilmente i Vescovi. Si fa loro comprendere che quel che dice il Nunzio è praticamente ciò che desidera il Papa. Con questi metodi i Vescovi sono divisi gli uni dagli altri, al punto che quelli di uno stesso Paese non sono talvolta più in grado di parlare ad una sola voce nello spirito di Cristo e della Chiesa, per difendere la fede e la morale. Per non cadere in disgrazia presso i nunzi, taluni Vescovi accettano le loro raccomandazioni, fondate su nient’altro che sulle loro parole. Invece di diffondere la fede con zelo, di proclamare coraggiosamente l’insegnamento di Cristo, di mantenersi saldi nella difesa della Verità e della morale, i Vescovi, nelle loro Conferenze episcopali, si occupano spesso di questioni che nulla hanno a che vedere con i doveri dei successori degli Apostoli.

In tutti gli ambiti della Chiesa si rileva un calo notevole del «sacro». È lo «spirito del mondo», che conduce le pecore al pascolo. Sono i peccatori, che indicano alla Chiesa come debba porsi al loro servizio. A disagio, i pastori tacciono i problemi di oggi e pascolano essi stessi. Il mondo viene tentato dal diavolo e si oppone all’insegnamento di Cristo. Ma i pastori sono tenuti – che loro piaccia o meno – ad insegnare tutta la verità su Dio e gli uomini.

Tuttavia, durante i Pontificati degli ultimi Papi santificati si è osservato un gran disordine quanto a purezza della Dottrina e sacralità della liturgia. E’ precisamente nella liturgia che si rifiuta a Gesù Cristo il rispetto visibile, che Gli è dovuto. In molte conferenze episcopali i Vescovi migliori sono «persone non grate». Dove sono dunque gli apologisti d’oggi, che annunciano chiaramente ed in modo comprensibile alle genti i pericoli, derivanti minacciosi dalla perdita della fede e da quella della salvezza?

Ai nostri giorni, giorni in cui la voce della maggior parte dei Vescovi rassomiglia di più al silenzio degli agnelli di fronte ai lupi rabbiosi, i fedeli sono sovente come pecore prive di difesa. Gli uomini hanno riconosciuto Cristo come Colui che parlava ed agiva, come Colui che deteneva l’autorità e che trasmetteva quest’autorità ai suoi Apostoli. Nel mondo d’oggi i Vescovi dovrebbero liberarsi da tutti i lacci del mondo e, dopo aver fatto penitenza, dovrebbero convertirsi a Cristo, affinché, fortificati dallo Spirito Santo, proclamino con coraggio che Cristo è il solo Salvatore. Nel giudizio finale ciascuno dovrà render conto a Dio di quel che avrà fatto e di quel che non avrà fatto.

Mi sembra che questa voce, ben poco percepita da numerosi Vescovi, sia una conseguenza del fatto che, in diversi casi, al momento della scelta, i candidati all’episcopato siano stati esaminati in modo insufficiente, soprattutto in quanto riguardi fermezza, assenza di dubbio, intrepida difesa della fede, fedeltà alle tradizioni secolari della Chiesa e pietà personale. E’ del tutto evidente come, al momento della nomina di numerosi Vescovi ed anche di Cardinali, si tenga talvolta più conto dei criteri dettati da una certa ideologia, nonché degli imperativi dettati da gruppi molto lontani dalla Chiesa. Allo stesso modo la benevolenza dei mass-media pare essere un criterio importante. Quegli stessi media, che ridicolizzano abitualmente i candidati «troppo santi» e li pongono in cattiva luce, per tessere al contempo le lodi di candidati meno dotati dello spirito di Cristo, presentandoli come aperti e moderni. Verranno inoltre messi in disparte intenzionalmente i candidati, che si distinguono tanto per il loro zelo apostolico che per il loro coraggio nel proclamare l’insegnamento di Cristo e per il loro amore di tutto quanto sia santo e sacro.

Un Nunzio mi ha detto un giorno: «Peccato che il Papa (Giovanni Paolo II) non prenda personalmente parte alla nomina dei Vescovi. Il Papa ha provato a cambiare un po’ le cose nella Curia romana, ma non ci è riuscito. Lui invecchia e le cose riprendono il loro corso, come prima».

All’inizio del Pontificato di Benedetto XVI, gli ho inviato una lettera, in cui gli ho chiesto di nominare santi Vescovi. Gli ho raccontato la storia di un fedele tedesco che, a seguito della decadenza patita dalla Chiesa nel suo Paese dopo il Concilio Vaticano II, rimase fedele a Cristo e riunì attorno a sé molti giovani per l’adorazione e per la preghiera. Prossimo a morire e appreso dell’elezione del nuovo Papa, disse: «Se Papa Benedetto s’avvalesse del suo Pontificato anche solo per nominare Vescovi buoni e fedeli, avrebbe già compiuto la propria missione».

Purtroppo è evidente come papa Benedetto XVI spesso non vi sia riuscito. E’ difficile credere che papa Benedetto XVI abbia rinunciato in completa libertà al suo compito di successore di Pietro. Questo Pontefice era alla guida della Chiesa, ma attorno a lui non è stato messo in pratica il suo insegnamento, anzi è stato passato alquanto sotto silenzio e sono state bloccate le sue iniziative per giungere ad una vera riforma della Chiesa, della liturgia, del modo di distribuire la Comunione. A fronte della determinazione con cui il Vaticano manteneva il riserbo, era assolutamente impossibile fra i Vescovi aiutare il Papa nel suo ruolo di capo della Chiesa.

Non è forse superfluo ricordare ai nostri fratelli Vescovi la dichiarazione di una loggia massonica italiana, datata 1820: «Il nostro è un lavoro, che richiederà centinaia d’anni. Lasciamo da parte i vecchi ed andiamo verso i giovani. I seminaristi diventeranno così preti con le nostre idee liberali, poi diventeranno vescovi con le nostre idee liberali. Noi non accarezziamo false speranze. Non faremo mai del papa un massone. Ma i vescovi liberali, che opereranno nella sua cerchia gli proporranno nel governo della Chiesa delle idee, che ci saranno favorevoli ed il papa le applicherà». E’ evidente come questo proposito dei massoni si sia già realizzato in misura sufficiente ed ancor più divenga manifesto, e ciò non solamente grazie ai nemici dichiarati della Chiesa, ma anche con l’aiuto di falsi testimoni, che occupano posti di alto rango nella gerarchia ecclesiastica. Non è senza motivo che il beato papa Paolo VI ha dichiarato: «Attraverso qualche fessura il fumo di Satana è entrato nella Chiesa». Penso che questa fessura oggi si sia alquanto ingrandita. Il diavolo ricorre a tutte le proprie forze per rovesciare la Chiesa di Cristo. Perché ciò non accada, è necessario tuttavia ritornare ad una proclamazione chiara e netta del Vangelo a tutti i livelli del servizio ecclesiale, poiché la Chiesa possiede tutto il potere e la grazia che Cristo le ha dato, dicendo: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo» (Mt 28, 18-20), «la Verità vi renderà liberi» (Gv 8, 32) e «Sia invece il vostro parlare sì; sì; no; no; il di più viene dal maligno» (Mt 5, 37). Non è la Chiesa a doversi adattare allo spirito del mondo, anzi è lei a dover cambiarlo grazie allo spirito di Cristo.

E’ evidente come in Vaticano si ceda sempre più alle pressioni dei media. Non è per niente raro che, per compiacerli ed in nome di una pace incomprensibile, vengano sacrificati i migliori tra i suoi figli ed i suoi servitori. I nemici della Chiesa invece non abbandoneranno mai i propri fedeli servi, nemmeno se le loro cattive azioni divenissero evidenti.

Se noi restiamo fedeli a Cristo in atti ed in parole, Lui stesso troverà il modo di cambiare i cuori e le anime degli uomini ed in pari modo anche il mondo cambierà al tempo prestabilito.

Nei periodi di crisi della Chiesa, Dio ha spesso utilizzato per un suo autentico rinnovamento i sacrifici, le lacrime e le preghiere dei suoi figli e dei suoi servitori, che, agli occhi del mondo e della burocrazia ecclesiastica, erano considerati come insignificanti o perseguitati ed emarginati a causa della propria fedeltà a Cristo. Io sono convinto che, in questi tempi difficili che stiamo attraversando, questa legge di Cristo si realizzi e che la Chiesa giunga a rinnovarsi. Tuttavia ciò presuppone anche da parte nostra un reale rinnovamento ed una reale conversione.

1 gennaio 2015, festa di Maria, Madre di Dio

+ Jan Pawel Lenga

© Corrispondenza Romana (13 febbraio 2015



 

Caterina63
00sabato 28 novembre 2015 00:19

Il vuoto trionfalismo dei teologi alla moda
di Francesco Agnoli25-11-2015

Enzo Bianchi e Alberto Melloni

Caro direttore,

credo alle riforme, non alle rivoluzioni. Le prime appartengono alla storia della Chiesa, le seconde no. Le prime portano al bene, a rinnovare nella continuità, a pulire le incrostrazioni; le seconde nascono da uno spirito ideologico e utopico: si propongono non il rinnovamento ma la distruzione e la ricostruzione totale e portano sempre con sé, inevitabilmente, violenza e intolleranza.

Per questo, come tanti, sono stupito di leggere ogni giorno, da parte di uomini di Chiesa o di laici cattolici famosi alla Melloni, dichiarazioni del genere: Nasce la nuova Chiesa della tenerezza; La Chiesa ha cambiato passo; Nulla sarà più come prima; C'è aria nuova nella Chiesa...

Queste dichiarazioni suonano irreali e superbe. Mentre si condanna il trionfalismo curiale, mentre si predica la povertà, mentre si proclama la modestia degli appartamenti e delle macchine (ottima cosa, benché da chiarire), si fanno nel contempo proclami altisonanti, orgogliosi, stonati.

Ma forse non c'è nulla di nuovo. Cinquant'anni fa circa, la Chiesa fu pervasa dall'idea che si stesse vivendo una "nuova Pentecoste", una "nuova era", che si fosse trovata la ricetta per convertire il mondo, convertendosi ad esso. Oggi, a rileggere quelle dichiarazioni trionfalistiche, mentre si osservano le chiese, i seminari, i conventi dell'Occidente sempre più vuoti, non si può fare a meno di dire: quanto sono distanti, le dichiarazioni superbe dalla realtà!

Mentre penso queste cose, rileggo don Divo Barsotti, che è stato consioderato l'ultimo mistico del Novecento, un uomo ascoltato e consultato dai papi.

Nel 1967 scriveva: «Senso di rivolta che mi agita e mi solleva fin dal profondo contro la facile ubriacatura dei teologi acclamanti al Concilio. Si trasferisce all’avvenimento la propria vittoria personale, una orgogliosa soddisfazione che non ha nulla di evangelico. Tutto il cristiano deve compiere in ‘trepidazione e timore’; al contrario qui il trionfalismo che si accusava come stile della curia (cioè dei conservatori alla Ottaviani, ndr), diviene l’unico carattere di ogni celebrazione, di ogni interpretazione dell’avvenimento. Del resto io sono perplesso nei riguardi del Concilio, la pletora dei documenti, la loro lunghezza, spesso il loro linguaggio, mi fanno paura. Sono documenti che rendono testimonianza di una sicurezza tutta umana più che di una fermezza semplice di fede. Ma soprattutto mi indigna il comportamento dei teologi. Crederò a questi teologi quando li vedrò veramente bruciati, consumati dallo zelo per la salvezza del mondo…Tutto il resto è retorica… Solo i santi salvano la Chiesa. E i santi dove sono? Nessuno sembra crederci più».

Potrebbero calzare, queste parole, per i teologi alla moda che si pavoneggiano sui grandi giornali, che trovano spazio ogni giorno sul Corriere della SeraRepubblicala Stampa e sul Sole 24 ore (non proprio i posti adatti per esporre l'umiltà evangelica)? Potrebbero calzare per le interminabili discussioni e dichiarazioni verbose, logorroiche, dei Sinodi e dei convegni ecclesiali di oggi?

Sempre Barsotti, il 22 gennaio 1968 annotava: «Mi sento polemico, duro e intollerante. Certi adattamenti non li capisco, certi rinnovamenti mi sembra siano solo tradimenti. Non riesco a capire chi sia Dio per tanti teologi, per tanti scrittori, per tanti preti e religiosi. Non riesco a credere che quello che fanno, che quello che dicono, che quello che scrivono, derivi davvero da una fede vissuta, da una vita religiosa profonda, dalla preghiera. Come potrei accettare il loro discorso?».

Intorno a lui i teologi alla moda si pavoneggiavano sui giornali, mutavano la teologia, la liturgia, la pastorale, promettendo "magnifiche sorti e progressive" per la Chiesa tutta, in primis per quella europea, tedesca, francese, belga... cioè per le chiese che avevano riversato i loro fiumi nel Tevere della tanto vituperata Città Eterna.

Dirà Paolo VI: «Si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa (il trionfalismo non cristiano di Barsotti, ndr). È venuta, invece, una giornata di nuvole, di tempesta, di buio».

Ne trarranno una lezione, i trionfalisti? Si accorgeranno che mentre le loro tesi trovano spazio sui media del potere, la fede cresce invece in quelle terra, come l'Africa, i cui pastori vivono e parlano ben altra vita e ben altra dottrina?





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Settimo Cielo
di Sandro Magister

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Lettere dalla periferia. Prima lo scisma pastorale, poi quello di dottrina

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Lettera

Ricevo questa riflessione da un uomo di Chiesa, non italiano, che sul suo nome chiede giusto riserbo. E che ha in animo di scriverci ancora altre "lettere dalla periferia".

*

PASTORALE CASO PER CASO ANZICHÉ ANNUNCIO. UN GIOCO RISCHIOSO

di ***

Dopo il sinodo, alcuni vescovi e cardinali hanno dichiarato che la Chiesa dovrebbe "essere attenta", "discernere" e "accompagnare" con più attenzione. Si va alla ricerca dell‘"arte della cura d‘anime" e dell‘"inclusione", con uno stile pastorale che imbeve non solo il documento finale del sinodo ma anche molti degli interventi di persone del mondo ecclesiale.

Certo, si è alla ricerca di un approccio sensibile all’uomo di oggi. Io personalmente sono lieto che il sacerdote nel confessionale, al posto di prendermi a schiaffi con il catechismo, mi venga incontro con sensibilità cercando di comprendere la mia situazione particolare. Ma è questo un approccio adatto anche per i mezzi mediatici? Cosa succede se la comunicazione pubblica viene dominata da una mentalità del "caso per caso"? Parlare della preoccupazione per il singolo individuo può forse sostituire l’annuncio? La tensione di fondo tra liberali e conservatori ha forse a che fare anche con l’incombente minaccia che l’annuncio dell’insegnamento vada sempre più svanendo?

Il sistema mediatico odierno, con le sue innumerevoli reti digitali, è una grande sfida. La globalizzazione della comunicazione mediante piattaforme interattive cambia il processo della formazione dell’opinione pubblica. L’atteggiamento della Chiesa dinanzi a questa realtà richiede un ragionamento diverso da quello della cura pastorale locale.

Se un bravissimo pastore d’anime, che vuole bene alle persone, dice ad un omosessuale di non volerlo condannare, questa è una cosa buona. Se però, caso puramente ipotetico, il bravissimo pastore d’anime si trova su un aereo e dice la stessa cosa a dei giornalisti, a questo punto le sue parole si inseriscono nello spazio commerciale e politico dello sfruttamento mediatico.

Quasi tutti mezzi mediatici occidentali sono d’impronta laica o agnostica e interpretano i temi ecclesiali a livello orizzontale, cioè politico, storico, sociologico e non a livello verticale, in direzione di Dio. E la dimensione trascendente di un messaggio? Il peccato originale? No, ciò che conta è solo lo scoop. Il lettore e lo spettatore vogliono solo una storia che faccia notizia: "La Chiesa non giudica più gli omosessuali". Questa sì, che è una notizia. E il capitolo successivo? "La Chiesa cambia la morale sessuale". E poi: "La validità dei dieci comandamenti dipende dalla decisione della propria coscienza". Se il discorso pastorale sostituisce l’insegnamento della dottrina, è questo il risultato della rappresentazione mediatica della Chiesa.

Ma forse alcuni pastori comprendono molto bene questi meccanismi. Forse capiscono anche la differenza tra la comunicazione nella cura d’anime e la comunicazione nei mass media. Forse hanno solo paura dei media. Hanno paura del mobbing digitale, del martirio nel circo dell’opinione pubblica. Meglio essere un pastore d’anime soft, che non giudica mai nessuno. Si può arrivare perfino a una forma di civetteria verso la stampa o la TV o addirittura alla "sindrome di Stoccolma": allearsi, cioè, con il proprio sequestratore. Alla fine non è questo il desiderio di una Chiesa che trova ampio consenso, una Chiesa privilegiata?

Qualunque siano le cause: la proclamazione della dottrina attualmente è passata in secondo piano. Non si spiega più cosa la Chiesa dichiari essere sempre vero e buono, oppure falso e cattivo. Ci si limita invece solo a spiegare perché non tutti i casi siano uguali. A quali conseguenze porterà? Cosa comporterà per l’unità della Chiesa e la prassi pastorale? E per l’evangelizzazione? Tra i fedeli alla dottrina tutto questo porta confusione e malcontento, lo si può già constatare in molti paesi. Le cerchie progressiste intanto sfruttano l’assenza di un annuncio vincolante per relativizzare l’insegnamento e reclamare un adattamento ai tempi. È un gioco pericoloso. Può portare a uno scisma nella Chiesa: prima nella prassi pastorale e poi addirittura nella dottrina.

Cosa farebbe San Paolo? Al suo tempo, nell’areopago, ai pagani non aveva parlato di cura d’anime adattata alla situazione. Non aveva nemmeno parlato subito di Cristo, ma prima della cultura che aveva lì incontrato. Aveva manifestato loro di aver visto gli dei e i santuari ad Atene e che aveva compreso il loro mondo. Sapeva che quanto meglio avrebbe lui compreso, tanto meglio sarebbe stato compreso.

Senza dubbio anche oggi dobbiamo di nuovo manifestare di aver compreso gli idoli del XXI secolo, come ad esempio il culto dell'ottimizzare, dell’edonismo o della tecnologizzazione, per poter mostrare che abbiamo qualcosa di meglio da offrire. Ma prima dobbiamo riconoscere che non possiamo farlo solo mediante una cura pastorale caso per caso. Per farlo dobbiamo proclamare l’insegnamento della Chiesa. Adatto per i media, ma non adattato ai media. Fedeli alla fede, ma non di vecchio stampo.

----------

(S.M.) Alla riflessione di *** si può accostare quanto detto in un'intervista ad Aleteia dal gesuita Antonio Spadaro, direttore de "La Civiltà Cattolica", a proposito dello stile comunicativo di papa Francesco.

Alla domanda: "C’è il rischio di essere equivocati? Alcuni parroci si lamentano di fare la figura dei 'cattivi' rispetto ai fedeli che richiedono di accedere alla comunione anche se divorziati perché l’ha detto il papa…", padre Spadaro ha risposto così:

"Il rischio di equivoco sulle parole del papa esiste e fa parte della loro capacità comunicativa. La comunicazione, se reale, è ambigua. Se invece è fatta di comunicati stampa, di formule o di lezioni, la parola è chiara, però non comunica. Il papa ha fatto una scelta precisa: privilegiare la pastorale e parlare alla gente. Certo si presta a possibili fraintendimenti, ma allo stesso tempo, muove, sta smuovendo il popolo di Dio che fa appello ai suoi pastori. I pastori sono allora oggi chiamati a rileggere il Vangelo per poterlo spiegare meglio alla gente che rimane scossa dalle parole di Francesco. La parola del papa non è l’ultima, quella definitiva che produce sentenze, ma è la parola capace di smuovere il popolo di Dio e aprire processi, che è un’altra chiave per capire Bergoglio. Non è un papa che 'fa cose', ma uno che apre processi"




Caterina63
00domenica 29 novembre 2015 15:36

CI MANCAVA SOLO SAN TOMMASO D’AQUINO OMOSESSUALISTA! IL PIACERE OMOSESSUALE SECONDO SAN TOMMASO D’AQUINO O SECONDO IL DOMENICANO ADRIANO OLIVA?


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Speriamo che il Santo Padre, con l’aiuto dello Spirito Santo, abbia la forza di ricompattare il mondo cattolico, oggi lacerato tra due partiti opposti, presenti anche all’interno dell’Ordine Domenicano, dove si va dall’ultra conservatore Padre Thomas Michelet al modernista Padre Adriano Oliva.


 


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Autore Giovanni Cavalcoli OP
Autore
Giovanni Cavalcoli OP

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OLIVA Adriano
il teologo domenicano Adriano Oliva

Il teologo domenicano Adriano Oliva ha recentemente pubblicato in Francia un libro dal titolo Amours (Cerf, Parigi, 2015), tradotto in italiano col titolo L’amicizia più grandeUn contributo teologico alle questioni sui divorziati risposati e sulle coppie omosessuali (Nerbini, Firenze, 2015).

In questo libro egli sostiene che San Tommaso

«affronta anche la questione dell’inclinazione sessuale di una persona verso persone dello stesso sesso, e la considera connaturale alla persona presa nella sua individualità» (L’amicizia più grande, p.95).

Da qui egli deduce che, trattandosi di piacere naturale e, dato che Tommaso ritiene lecito ciò che è secondo natura, Tommaso ammetterebbe la liceità del piacere omosessuale volontario. Oltre a ciò, si tratterebbe di rispettare le esigenze dell’individuo, come se l’eterosessualità non fosse un obbligo per tutti e invece, chi ha la tendenza omosessuale dev’essere libero di poterla attuare. Ma questo, come vedremo, non è affatto il pensiero di San Tommaso, che non considera affatto l’omosessualità una scelta come un’altra, ma bensì un grave peccato “contro natura”.

Il Padre Oliva infatti non tiene conto del fatto che, per Tommaso, un piacere, per esser lecito, dev’essere secondo ragione, per cui non basta che si ponga al livello ontologico o psicologico dell’individuo, ma occorre che sia superindividuale, ossia secondo ragione, corrispondente alle finalità della vita umana. E questo appunto è il bene morale.

L’errore di interpretazione di Padre Oliva sta nel credere che Tommaso si accontenti della considerazione ontologica del bene o del piacere per chiarire la questione del lecito e dell’illecito, che è la questione morale, giungendo così a ridurre il morale all’ontologico. Siccome Tommaso parla per l’omosessuale di un piacere “naturale”, basta questo semplice fatto a Padre Oliva per credere che Tommaso legittimi il piacere omosessuale.

san tommaso d aquino givan francesco gessi la tentazione-001
La tentazione di San Tommaso d’Aquino, opera di Giovan Francesco Gessi

Il Padre Oliva basa la sua interpretazione del pensiero di Tommaso su alcune considerazioni che  l’Aquinate fa nella I-II della Somma Teologica[q.31, art.7], dove egli si chiede se esistano piaceri innaturali (non naturales). E risponde che certamente esistono; e tra questi vi è appunto l’omosessualità, che Tommaso condanna senza mezzi termini quale grave peccato “contro natura”. L’omosessuale, però, osserva l’Aquinate — ed è qui che Oliva è stato ingannato —, avverte la sua tendenza come “connaturale”.

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In generale, dal punto di vista psicologico, il piacere sensibile (delectatio sensibilis), per San Tommaso, è un moto dell’appetito sensitivo, che prova soddisfazione per un atto compiuto o un bene (bonum delectabile) conseguito e posseduto. Tale piacere si verifica normalmente sia quando il soggetto consegue un fine naturale o normale, per esempio la procreazione, sia quando invece ricerca solo il piacere per se stesso, indipendentemente dalla ricerca del fine naturale della sessualità, per esempio indipendentemente o contro una procreazione conveniente ed onesta, come avviene nei peccati di lussuria [1]. Per Tommaso il piacere sensibile è stato creato da Dio nell’uomo e negli animali per orientarli al compimento degli atti e al raggiungimento dei fini e dei mezzi della vita: sostanzialmente la salute, l’alimentazione e la riproduzione della specie.

Tommaso Aquino XIV sec
San Tommaso d’Aquino, tavola del XV secolo

Esiste anche un piacere spirituale, sperimentato dall’intelletto, dalla volontà e dalla coscienza, che Tommaso chiama gaudium, gaudio o gioia, il quale, similmente al piacere fisico, ma in modo più intimo, stabile e gratificante, perché proprio della persona, stimola lo spirito al compimento del bene e ne consegue, fino a caratterizzare, nel suo vertice sommo, la nota propria della visione beatifica.L’animale è guidato nella sua condotta dalla semplice attrattiva del piacere e dalla fuga dal dolore. All’uomo, invece, questo non basta, tanto più che questa dinamica del piacere e del dolore, a seguito del peccato originale, si è guastata, per cui capita che ci piacciano certi peccati e ci ripugnino certe azioni oneste. Così accade che l’attrattiva del piacere ci spinge spesso verso atti peccaminosi. L’uomo, quindi, come insegna San Tommaso, per agire moralmente bene e virtuosamente, in accordo con dignità umana, deve moderare con la retta ragionesulla base della legge morale, il piacere, effetto delle passioni, in modo tale che esso sia di aiuto e non di ostacolo al compimento delle buone azioni [2]. Quella virtù che svolge questo compito è la temperanza [3]. Il problema che essa deve affrontare è fare in modo che la tendenza o il desiderio del piacere concorrano all’esercizio della virtù, lo aiutino, lo facilitino, lo rafforzino e lo favoriscano. La temperanza deve favorire al tempo giusto e nel luogo giusto i desideri e i piaceri onesti e frenare o limitare o reprimere del tutto i desideri e i piaceri cattivi o inopportuni, fuori tempo [4] o fuori luogo. Deve saper regolare e moderare il piacere a seconda delle circostanze e degli atti permessi o comandati. Tommaso respinge dunque tanto il principio edonistico: «più ce n’è, meglio è», quanto il rigorismo encratista [5] stoico-origenista: «A morte il piacere! A morte il sesso!».

Invece Paolo VI, nell’enciclica Humanae vitae, riprendendo i princìpi dell’etica tomista, non ha problemi a dire che l’atto coniugale esprime l’amore e favorisce l’amore. Mentre la Congregazione per la Dottrina della Fede, nella Dichiarazione Persona humana del 21 gennaio 1976, esordisce addirittura assumendo un aspetto valido del freudismo, col dire che:

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«Dal sesso, la persona umana deriva le caratteristiche che, sul piano biologico, psicologico e spirituale, la fanno uomo o donna [6].

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tommaso 2
San Tommaso d’Aquino, particolare di un affresco

È chiaro, dunque, che per esempio due sposi possono dar libero corso al piacere quando si uniscono, mentre se viceversa dovesse insorgere il piacere nel corso della celebrazione liturgica, esso va immediatamentee totalmente represso. Per stroncare sul nascere questa eventualità, nella liturgia antica, come spiega lo stesso San Tommaso, era proibito alla donna di celebrare alla Messa la liturgia della Parola o predicare in chiesa [7]. Ci si poteva forse chiedere quale rimedio opporre alla concupiscenza femminile. Le donne erano forse considerate più capaci di autocontrollo. Forse è per tener la donna al riparo dal pericolo, che nella liturgia orientale esiste l’iconostasi, che nasconde ai fedeli la vista del celebrante.

Per restare nel tema che ci interessa dell’emotività o energia sessuale, Tommaso paragona questa passione a una specie di energia calorifica. Ricorrono infatti anche nel parlare corrente espressioni come “fuoco” o “calore” della passione. Sono metafore che rendono l’idea. Come dunque il calore va regolato col termostato, così anche il piacere sessuale. La ragione ha il compito, simile a quello di un termostato, di diminuirlo, quando è eccessivo, per non cadere nella libidine e di aumentarlo quando è scarso. In questo secondo caso Tommaso parla diinsensibilitas, che potremmo tradurre con “frigidità” [8]. Questa la tematica del matrimonio.

Per Tommaso un piacere è naturale quando è secondo natura. Ma ciò può avvenire in due modi: o secondo la natura fisica dell’uomo, come per esempio il piacere del cibo o il piacere sessuale; oppure secondo la natura razionale, come per esempio il piacere della virtù o del sapere. Il piacere invece è innaturale (non naturalis) o contro natura (contra naturam), quando non rispetta i fini dell’uomo e quindi il suo vero bene. E quindi non è secondo la retta ragione.

San Tommaso d Aquino con San Gregorio Magno, Sant Ambrogio, San Girolamo e Sant Agostino, Maestro di Boldone
San Tommaso d’Aquino con San Gregorio Magno, Sant’Ambrogio, San Girolamo e Sant’Agostino, olio su tela di Maestro di Boldone

Per l’Aquinate, un piacere può essere naturale fisicamente o moralmente. Per esempio, il piacere sessuale è fisicamente naturale, se viene dall’unione dell’uomo con la donna. Ma ciò non vuol dire ancora che lo sia secondo natura o secondo ragione, nel rispetto della legge naturale, giacchè anche nell’adulterio, nella poligamia e nel concubinato si suppone che si abbia un’unione sessuale normale o naturale, e non per questo il piacere che si prova è moralmente buono. Quanto al piacere sessuale, può essere, secondo Tommaso, innaturale su due piani: sul piano della ragione e sul piano della natura fisica o animale. Può essere innaturale sul piano della ragione e restare naturale sul piano animale, per esempio, il concubinaggio tra uomo e donna. Oppure, oltre ad essere contro ragione, può essere anche contro la natura animale. E qui abbiamo l’omosessualità, che è contro natura a doppio titolo; contro la ragione e contro il piano animale della persona.

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Tommaso qui ammette bensì che esistono piaceri connaturali secondo l’individuo, precisando tuttavia che, se questi piaceri sono contrari al bene della natura umana (contra naturam hominis), alla quale l’individuo appartiene o che egli possiede, si verifica nel medesimo individuo una corruzione della stessa sua natura individuale, per cui, benchè tali piaceri possano essere graditi all’individuo, sono di fatto innaturali anche per lui, propter aliquam corruptionem naturae in eo existentem, a causa della natura umana che esiste in lui. E porta l’esempio di coloro che «per la loro consuetudine si dilettano nel mangiare carne umana, nel coito con le bestie o con i maschi» (propter consuetudinem aliqui delectantur in comedendo homines vel in coitu bestiarum vel masculorum).

TOmmado D Aquino affreschi di andrea buonaiuto 2
San Tommaso d’Aquino, affreschi di Andrea Buonaiuto

Tommaso ammette altresì senza esitare che ciò che è secondo natura, è piacevole, e di per sé è lecito e onesto. Tuttavia ci ricorda che quei piaceri che, nell’individuo, sono graditi alla sua natura individuale in quanto corrotta, non sono piaceri “simpliciter loquendo”, ma solo “secundum quid”, ossia non possono essere piaceri umani in senso pieno ed assoluto, sotto ogni aspetto, perché frustrano le finalità della natura umana. Ma sono piaceri solo come stati emotivi, non ordinati al vero bene dell’uomo. Per questo non sono piaceri leciti ed onesti, ma proibiti e peccaminosi. E il piacere omosessuale è uno di questi.

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Ora, qui occorre fare attenzione ad evitare un equivoco, al quale purtroppo il Padre Oliva non sembra sfuggire. Infatti l’impressione che si potrebbe trarre da queste considerazioni di San Tommaso, potrebbe essere questo falso ragionamento:

Premessa maggiore. È lecito e moralmente buono ciò che conforme a natura, ciò che è connaturale.

Premessa minore. Ma la sodomia, ovvero l’esercizio dell’omosessualità è conforme o connaturale alla natura individuale dell’omosessuale.

Conclusione. Dunque questa pratica può essere considerata lecita e buona per quell’individuo secondo le sue particolari esigenze o inclinazioni.

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tommaso
San Tommaso d’Aquino, Polittico di San Domenico di Ascoli Piceno o Polittico Demidoff

Senonchè, però, per San Tommaso, un atto umano è lecito e buono, se è l’applicazione, da parte dell’individuo, della norma morale, che è regola universale dell’agire, legge uguale per tutti, perché è legge della natura umana come tale, natura identica in tutti; e quindi tutti gli individui, in quanto membri della specie umana, sono tenuti ad osservarla. Per questo, un peccato secondo la specie, per Tommaso, è peccato anche per l’individuo che lo commette.

Il bene connaturale all’individuo è regola morale solo se è applicazione della legge universale. È chiaro che il cibo che nutre un anziano di 90 anni non può essere un bene per lui come il cibo che nutre l’olimpionico di 20 anni. Ma sia l’uno che l’altro deve obbedire alla legge che comanda a tutti di nutrirsi convenientemente. Ora, l’omosessualità non è semplicemente una buona condotta, adatta all’omosessuale, diversa dalla norma eterosessuale, fatta apposta per l’eterosessuale. Ma è una condotta contraria alla legge universale della natura umana, che anche l’omosessuale deve cercare di praticare, per quanto gli costi fatica. Questo è il pensiero ineccepibile dell’Aquinate.

Ciò non impedisce in genere l’esistenza e la necessità di leggi o privilegi particolari e positivi, stabiliti dall’autorità umana, civile o ecclesiastica, per ceti particolari di persone, in particolari circostanze o particolari luoghi o periodi storici. Ma tali leggi sono vincolanti solo se costituiscono la determinazione delle più ampie universali ed immutabili leggi morali, regolatrici della condotta di ogni persona umana, in quanto tale.

La legge positiva può e deve, all’occorrenza, secondo la prudenza del legislatore, regolare con clemenza, equità, gradualità, senso di umanità o tolleranza o con finalità educative o rieducative, in via a volte eccezionale, anche la condotta di persone, che non per cattivo volere, ma per limiti della volontà, per situazioni irresolubili, per cause di forza maggiore, per ostacoli insuperabili, per immaturità umana, per ignoranza o per oggettive incapacità fisiche, psicologiche o morali, non sono grado di adempiere alle legge in tutto il suo rigore e nella elevatezza delle sue esigenze.

Tommaso D Aquino stefano di giovanni
San Tommaso d’Aquino, affresco di Stefano di Giovanni

Casi umani particolarmente delicati e degni di attenzione da parte della Chiesa e della società civile, per le proporzioni che oggi stanno assumendo, sono indubbiamente quello dei divorziati risposati e quello delle convivenze di omosessuali, casi dei quali tratta il libro del Padre Oliva.

Benchè la sodomia resti sempre un grave peccato,lo Stato oggi si sta orientando a concedere uno statusgiuridico o una qualche forma di riconoscimento ai conviventi omosessuali. Che farà la Chiesa? Potrà concedere i sacramenti? I due, per essere in grazia di Dio, si devono lasciare o possono vivere assieme? Sono capaci di rinunciare o la Chiesa deve tollerare la loro convivenza? E quale pastorale adottare?

Il recente sinodo dei vescovi, dopo un lavoro assai complesso, un approfondito esame delle situazioni e una fitta ed animata discussione, con momenti di forte tensione, ha visto l’emergere di varie proposte ed iniziative, che sono ora al vaglio del Santo Padre. Non so, però, se i vescovi, molto presi dal problema dei divorziati risposati, abbiano dedicato sufficiente attenzione al problema degli omosessuali conviventi e magari con figli adottivi o nati da precedente matrimonio o generati artificialmente.

Tutti siamo in attesa fiduciosi nelle decisioni del Sommo Pontefice, quali che siano, nella certezza di avere una luce, un incoraggiamento, un conforto e l’indicazione della via da percorrere per mettere in pratica il Vangelo. Speriamo che il Santo Padre, con l’aiuto dello Spirito Santo, abbia la forza di ricompattare il mondo cattolico, oggi lacerato tra due partiti opposti, presenti anche all’interno dell’Ordine Domenicano, dove si va dall’ultraconservatore Padre Michelet al modernista Padre Oliva.

La consultazione del pensiero dell’Aquinate, in una situazione ecclesiale agitata, confusa e tempestosa come la presente, si presenta sempre utile, non certo per chiedergli soluzioni concrete per problemi e situazioni che egli non potè conoscere e sulle quali comunque non si è pronunciato, ma per mettere in gioco nozioni e princìpi teologici, antropologici, morali e psicologici, per non dire metafisici, dai quali non si può prescindere, per comprendere il vero senso delle questioni, e trovare la soluzione giusta, nella fedeltà a Cristo e al Magistero della Chiesa.

San TOmmaso d Aquino beato angelico 2
San Tommaso d’Aquino, affresco del Beato Angelico

Perchè tuttavia Tommaso possa svolgere nel mondo d’oggi la sua preziosissima missione di Lumen Ecclesiae,come ebbe e definirlo Paolo VI [9], dev’essere presentato nella sua purezza ed autenticità, come peresempio troviamo in un altro teologo domenicano del nostro tempo, il Servo di Dio Padre Tomas Tyn, e si rinunci pertanto a fare di Tommaso un precursore di Kant, di Hegel, di Severino o di Freud, benchè l’ampiezza, perennità ed universalità del suo pensiero consenta di assumere criticamente quanto c’è di valido nel pensiero moderno, come ha notato più molte volte il Maritain [10].

Bisogna invece dire con franchezza che, purtroppo, il Padre Oliva, credendo forse di comprendere e di avvicinare con carità la particolare situazione degli omosessuali, al fine di riconoscerne la dignità umana, e proporre una soluzione ad hoc, ha messo in campo un’infelice distinzione tra individualità e specie in campo morale, concedendo all’individuo ciò che è negato alla specie; e, rischiando così un’etica individualista, che confonde il bene morale (individuo) col bene ontologico (specie), fraintende completamente il pensiero dell’Aquinate, facendogli dire l’opposto di quello di fatto dice.

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San Tommaso d’Aquino, affresco del Beato Angelico

Padre Oliva sorvola sulle chiare espressioni tomiste con le quali viene espressamente condannata l’omosessualità, considerandole superate e figlie del suo tempo; mentre, a suo dire, il vero, profondo pensiero di Tommaso darebbe un avallo “metafisico” all’omosessualità, laddove egli parla del “bene connaturale all’individuo”, senza tener conto del fatto che l’Aquinate qui parla esplicitamente di natura individuale “corrotta”.

Per Padre Oliva Tommaso nasconderebbe, sotto la condanna esplicita legata al suo tempo, una reale, implicita legittimazione della omosessualità, basata sulle esigenze della dignità ontologica dell’individuo. Ma gli argomenti di Padre Oliva non convincono, per cui è bene restare a ciò che Tommaso dice esplicitamente sulla base del quadro generale della sua etica corrispondente alle esigenze del Vangelo. Vien fuori infatti dall’interpretazione di Padre Oliva una sorprendente giustificazione dell’omosessualità, mentre l’Aquinate in realtà, con argomenti inoppugnabili, dimostra la illiceità della sodomia, peraltro in un quadro teologico e morale, nel quale ad ogni uomo è dato spazio per prender coscienza dell’immagine di Dio, che porta in se stesso, per riformarla con la grazia di Cristo ed aprirla alla sua misericordia.

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Varazze, 24 novembre 2015

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NOTE

[1]   Cf Summa Theologiae, II-II, q.153.

[2]  Cf Summa Thelogiae, I-II, q, 24.

[3]  Cf Cf Summa Theologiae, II-II, qq.141-142.

[4]  Cf Come dice il saggio Kohèlet: “C’è un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci”(3,5).

[5] Gli encratisti erano eretici dei primi secoli, dei quali parla S.Ireneo nel suo De haeresibus, i quali consideravano il piacere sessuale o addirittura il sesso come opera del demonio o quanto meno come punizione del peccato originale.

[6] Ho trattato questo argomento nella mia tesi di licenza in teologia “L’influsso della sessualità sui piani psicologico e spirituale della persona”, direttore di tesi P.Alberto Galli,OP, Studio Teologico S.Tommaso d’Aquino, tesi n.172, Bologna 1977.

[7] Cf Summa Theologiae, II-II, q.187, a.2.

[8] Cf Summa Theologiae, II-II, q.142, a.1.

[9] Lettera Lumen Ecclesiae di Paolo VI al Padre Vincent de Couesnongle, Maestro dell’Ordine dei Frati Predicatori, del 20 novembre 1974.

[10] Cf Le Docteur Angélique, Desclée de Brouwer, Paris 1930.

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affresco raffigurante il trionfo di San Tommaso d’Aquino





Caterina63
00giovedì 17 dicembre 2015 11:08
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  A FERRARA ABBIAMO INCONTRATO MONS. LUIGI NEGRI…


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IMG_9704.jpgDurante la nostra gita a Comacchio, Ferrara e Vicenza abbiamo avuto la fortuna di incontrare (scolaresca, professori ed amici) l’arcivescovo dell’Arcidiocesi di Ferrara – Comacchio ed Abate di Pomposa mons. Luigi Negri.

Mons. Negri è un amico di lunga data per molti di noi e lo stimiamo come sacerdote innamorato della Chiesa Cattolica, perona intelligente ed attenta, vescovo coraggioso che lotta per la sana dottrina e per il bene del suo popolo. È un buon amico e ce lo ha dimostrato ricevendoci in udienza nel suo palazzo arcivescovile il 7 Novembre 2015 nella bellissima Sala del Sinodo e pronunciando parole di stima e di affetto nei confronti dell’opera che abbiamo intrapreso e che con sincero amore stiamo continuando.

Ecco qualche riga di appunti dal suo discorso. Sono solo degli appunti e non sono rivisti da chi ha pronunciato le parole, ma volevamo darvi l’opportunità di leggerli.

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Sono pieno di gratitudine per la testimonianza che date, di adesione fedele ed intelligente alla tradizione. È attraverso una fedeltà che siete educati. La vita è un dono, non solo nel senso fisico, ma è segno della fedeltà di Dio. Fedeltà perché quelli che vi hanno introdotto in questa realtà sono stati fedeli, e non era scontato. Tra i primi Dodici c’è uno che ha tradito. «Amico, perché sei venuto?» disse Gesù. Claudio Chieffo ha letto la vicenda di Giuda in modo straordinario. Benedetto XVI ha detto che quella canzone è di una straordinaria profondità teologica.
Avete anche la fortuna di andare in una scuola straordinaria, in cui non vi annoiate…

Il primo aspetto della fedeltà di Dio è che Dio vi ha scelto perché vi ha voluto. Il primo sentimento è che c’è una presenza più grande nella vostra vita. C’è un Compagno che non ci lascia, un Padre che non vi lascia. Anche voi forse farete l’esperienza dell’allontanamento. Il Padre vi aspetterà sul balcone.
La preghiera spalanca e apre ogni giorno il cuore in alto, non in basso.

(…) Questa presenza del Signore che ti precede e ti guida, s’è configurata come partecipazione alla vita di un popolo. Un popolo in cui ci sono grandi e piccoli, poveri e ricchi. Ma in questo popolo c’è un Altro. È un Altro che ci stringe, stringendoci a Sé ci stringe l’uno all’altro. È questa la Chiesa. La più grande amicizia è trovare gente che ci faccia camminare. È amico uno che ti dice: la strada è questa. Il primo desiderio di Cristo è che fossero uomini («sono venuto perché abbiate la via, e l’abbiate piena»). La presenza di Gesù ti fascia, ti inserisce in un popolo. Dice Chieffo: «è bella la fatica del lavoro, la tenerezza non finisce mai». Siete dentro ad un popolo che vi aiuta a camminare. È un popolo che vi aiuta a camminare. È un popolo che dice: la bellezza è questo.

(…) La vita di un vecchio cristiano è un trionfo. L’unica mia tristezza è vedere che non è un trionfo per tutti. Siate veramente fedeli. Basta seguire, utilizzare tute le occasioni che vi sono date per crescere.
Lo specifico dov’è? È nella cultura, nell’aiuto che vi danno nel rendere l’incontro con Cristo un giudizio. Imparate a giudicare. Imparare a giudicare non è una cosa estemporanea. È una scuola! «Vita non faccio saltus» (…). Questa è la grande lezione di Newman. Perché si convertì Newman? Per quel brano del suo libro “Gli Ariani del IV secolo”(1). capì che la solidità della Chiesa era in un ordine, un “ordo”. Che faceva camminare verso la libertà.

(…) La Chiesa è madre perché e se è maestra. L’uomo raggiunge la sua vera personalità quando genera e diventa padre. (…) Non chiudetevi di fronte ai problemi perché il problema è la sfida che ti lancia Dio. Allora dovete avere il giudizio, è fondamentale dire che Dio ha salvato il mondo. È un criterio con cui può essere affrontato tutto, quello della fede. (…) Non abbandoniamoci alle nostre pur grandi fantasie. Seguiamo la volontà di Dio come si manifesta.

(appunti il cui contenuto non è stato rivisto dal relatore).

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(1) «Strettamente parlando, la Chiesa cristiana, come società visibile, è necessariamente una potenza politica o un partito. Può essere un partito trionfante o perseguitato, ma deve sempre avere le caratteristiche di un partito che ha priorità nell’esistere rispetto alle istituzioni civili che lo circondano e che è dotato, per il suo latente carattere divino, di enorme forza ed influenza fino alla fine dei tempi. Fin dall’inizio fu concessa stabilità non solo alla mera dottrina del Vangelo ma alla società stessa fondata su tale dottrina; fu predetta non solo l’indistruttibilità del cristianesimo, ma anche quella dell’organismo tramite cui esso doveva essere manifestato al mondo. Così il Corpo Ecclesiale è un mezzo divinamente stabilito per realizzare le grandi benedizioni evangeliche (…).

Dal momento che è diffusa l’errata opinione che i cristiani, e specialmente il clero, in quanto tale, non abbiano nessuna relazione con gli affari temporali, è opportuno cogliere ogni occasione per negare formalmente tale posizione e per domandarne prove. E’ vero invece che la Chiesa è stata strutturata al fine specifico di occuparsi o (come direbbero i non credenti) di immischiarsi del mondo. I membri di essa non fanno altro che il proprio dovere quando si associano tra di loro, e quando tale coesione interna viene usata per combattere all’esterno lo spirito del male, nelle corti dei re o tra le varie moltitudini. E se essi non possono ottenere di più, possono, almeno, soffrire per la Verità e tenerne desto il ricordo, infliggendo agli uomini il compito di perseguitarli». John Henry Newman, Gli Ariani del IV secolo, Editrice Jaca Book, Milano 1981, capitolo “Conseguenze del Concilio niceno”.IMG_9703.jpg

 





RIPRENDERE OGNI TANTO LE PAROLE DI SUA EMINENZA IL CARDINALE SARAH FA BENE !!

"E' diffusa oggi l'idea che le religioni si equivalgono tutte e che la missione di evangelizzare tutti i popoli sia una faccenda passata; bisognerebbe lasciare ciascuno seguire la propria religione. Quindi, l'uomo sarebbe salvato seguendo la propria tradizione religiosa. S. Giovanni Paolo II nell'enciclica Redemptoris Missio, dichiara che se la chiesa riconosce l'importanza delle altre religioni, deve considerare come prioritario l'annuncio di Cristo come unico salvatore del mondo."
(S.E. Card. R. Sarah in Dio o niente).

«Non è infatti per me un vanto predicare il Vangelo; è per me un dovere: guai a me se non predicassi il Vangelo!» (1 Cor 9,16).

Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: “A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.
Vangelo secondo Matteo.

 








Caterina63
00lunedì 11 gennaio 2016 19:39

  Mons. Léonard, appello al Papa

Poco dopo essere stato congedato da Bruxelles-Malines, l'arcivescovo Léonard rivolge   un appello al Papa. Interessante perché tocca il Sinodo della Famiglia, e il documento – l’esortazione post-sinodale – che il Pontefice secondo alcuni renderebbe pubblica il mese prossimo.






(qui quando il Vescovo fu umiliato e attaccato)


11/01/2016
 

Uno dei siluramenti meno spiegabili, fra quelli, poco comprensibili anch’essi, compiuti nel regno di papa Francesco, ha toccato l’arcivescovo di Malines-Bruxelles, mons. André-Joseph Léonard. Mons. Léonard è stato congedato alla scadenza dei suoi cinque anni di servizio, senza ricevere la berretta cardinalizia che normalmente si accompagna a Bruxelles; è stato attaccato fisicamente e pubblicamente dalle Femen, ha difeso la dottrina cattolica, e avendo ricevuto una diocesi che nel 2010 aveva quattro seminaristi ha lasciato un seminario con 55 presenze.  

Professore a Lovanio per vent’anni, per tredici superiore del seminario universitario e vescovo a Namur prima che a Bruxelles, è probabile che sia rimasto vittima dell’antipatia che godeva presso alcuni vescovi colleghi, che lo giudicavano troppo conservatore, e della scarsa sintonia con il consigliere del Papa (Francesco), il discusso card. Danneels.  

Poco dopo aver lasciato il suo incarico, ha risposto a La Croix a una serie di domande; e anche se l’intervista è di qualche giorno fa, ci sembra utile riproporne alcuni brani ai lettori italiani, rimandando all’originale QUI  

Léonard rivolge anche un appello al Papa.

Interessante perché tocca il Sinodo della Famiglia, e il documento – l’esortazione post-sinodale – che il Pontefice secondo alcuni renderebbe pubblica il mese prossimo.
Dopo aver detto di essere rimasto un po’ deluso dal testo finale, perché “si è coltivata l’ambiguità nei punti più delicati. Alcuni vescovi mi hanno detto che i testi sono stati redatti volontariamente in maniera ambigua cosicché siano interpretati in direzioni diverse”.

Ed ecco l’appello: “Spero dunque che avremo una parola benevola e sfumata, ma chiara, sui temi della dottrina e della disciplina della Chiesa cattolica riguardo a matrimonio e famiglia. La palla è ora nel campo del Papa. E’ il momento per lui di esercitare il suo ruolo petrino di unità e di continuità della Tradizione come aveva dichiarato nel suo discorso di chiusura del primo Sinodo sulla famiglia”. 







58 famiglie CRISTIANE messe sul lastrico dal governo Israeliano e derubate dei propri terreni di sopravvivenza, ma i Media italiani ed Europei e pure Americani, tacciono.....


Terra Santa: vietato accesso a delegazione vescovi a Cremisan

Cristiani nella Valle di Cremisan dove passerà il Muro di separazione israeliano - AFP

Cristiani nella Valle di Cremisan dove passerà il Muro di separazione israeliano - AFP

11/01/2016 da Radio Vaticana

Nella mattinata di ieri i vescovi dell’Holy Land Coordination (Hlc), formato da presuli di Usa, Ue, Canada e Sud Africa, con rappresentanti delle Chiese europee Ccee e Comece, si sono recati in visita nella zona di Beir Onah, nella valle di Cremisan dove Israele sta costruendo il Muro di separazione. Una costruzione - riporta l'agenzia Sir - contestata da 58 famiglie cristiane, del vicino villaggio di Beit Jala, che si sono viste espropriare le proprie terre in gran parte oliveti e frutteti che davano loro da vivere. 

Impedito ai vescovi l'accesso alla Valle di Cremisan
Al loro arrivo sul posto, ai vescovi, che erano accompagnati da membri dell’associazione “St.Yves” che da anni assiste legalmente le famiglie davanti la Corte israeliana, è stato impedito l’accesso da militari israeliani. A nulla sono valsi i tentativi di avvicinarsi alla zona dei lavori del Muro. I vescovi, dopo aver pregato insieme il Padre Nostro, sono tornati indietro.

La popolazione cristiana sta perdendo le proprie terre
​“La storia continua – ha dichiarato mons. Rodolfo Cetoloni, vescovo di Grosseto, membro italiano dell’Hlc presente sul posto – con queste gravi difficoltà. La popolazione è sempre davanti al rischio di perdere le loro terre e la libertà. Siamo nella valle tra Beit Jala e la colonia israeliana di Gilo dove l’esercito sta prendendo terreni e ha già sradicato piante di olivo. Siamo qui per dimostrare vicinanza nel tentativo di impedire questi fatti”. (R.P.)



 

Caterina63
00martedì 12 gennaio 2016 20:21

Attenzione, Roma...

 
Riprendiamo dal Father Ed's Blog - A Catholic priest reflects… [qui], grazie alla prontezza del nostro traduttore, un testo che deve farci molto riflettere.
L'Ordinariato inglese di Nostra Signora di Walsinghamè stato istituito per offrire assistenza pastorale ai fedeli già anglicani desiderosi di entrare in piena comunione con la Chiesa cattolica, ai sensi dell'Anglicanorum Cœtibus di Benedetto XVI [Su Anglicanesimo e Ordinariato vedi precedenti nel blog: qui - qui - qui - quiqui - qui - qui - qui - qui]. 

È probabile che in questa settimana i media saranno intasati da meste notizie sulla fine dell’unità dell’anglicanesimo: persino l’Arcivescovo di Canterbury la riconosce! Egli ha infatti convocato una riunione in cui lo scisma possa essere consumato, perché la comunione è compromessa ormai in modo irreparabile. Ovviamente, sarà un processo doloroso e caotico, come tutti i divorzi.
 
Il fatto che vi sia uno scisma in atto è fuori questione; ciò che risulta meno chiaro a coloro cui interessa la verità più che le polemiche, è la sua causa. Vi chiedo quindi di prestare attenzione a questo punto quando leggerete i giornali o ascolterete la radio: verrà operata una distorsione intenzionale della realtà, poiché le alte sfere esigono che le notizie siano conformi alla loro agenda politica.

Prevedo che la fine dell’unità dell’anglicanesimo verrà presentata come un caso esemplare per il politicamente corretto, per i valori secolari e per il marxismo culturale. Saremo indotti a credere che la divisione verta solo sull’omosessualità; verrà architettato un teatrino in cui si contrapporranno progressisti buoni e illuminati da una parte, conservatori cattivi e intolleranti dall’altra. Se ciò succederà davvero, verrà offerto davvero un pessimo servizio alla verità, perché ciò che sta succedendo ha motivazioni molto più profonde e preoccupanti.
 
Bisogna comprendere che le divisioni che esistono all’interno dell’anglicanesimo – e che sono vive e pressanti anche nel cattolicesimo – non vertono su un solo tema morale e dottrinale specifico. È normale che ci si trovi in disaccordo quando sorgono questioni di questo tipo: tuttavia, esse sono solo sintomatiche, non causali.
 
Ciò che sta realmente facendo a pezzi il Corpo di Cristo è una ragione più profonda e fondamentale che minaccia l’essenza stessa del cristianesimo. È sorta infatti un’eresia che causa non solo differenze d’opinione, ma anche profonde differenze su temi di fede, e che si estende oggi dalla base alle alte sfere di ogni confessione cristiana principale. Per questo il problema è molto grave.
 
Il vero problema è che esiste oggi una bipartizione: da una parte ci sono i cristiani tradizionali, quelli che si attengono al chiaro insegnamento delle Scritture e della dottrina tradizionale e che credono che la nostra fede sia sempre la stessa, ieri, oggi e per sempre; un gruppo di credenti ortodossi che credono che Maria sia veramente vergine, che Cristo sia realmente Dio incarnato, che i miracoli esistano davvero,  che il cielo e l’inferno siano delle realtà. Questi fedeli si possono definire persone che credono che il mondo si debba conformare al Cristo.
 
Dall’altra parte ci sono i modernisti, quelli che in realtà si sono secolarizzati, che hanno perso la loro fede ma non vogliono perdere la loro cultura e identità cristiane. Molti di loro non credono che Gesù sia Dio e trovano spiegazioni alternative per i miracoli e per il concepimento verginale. Queste persone non vogliono che il mondo si conformi a Cristo, ma che la Chiesa si conformi al mondo! Pretendono che aderiamo ai valori della società moderna, non alla fede e ai valori della Chiesa tradizionale; non credono realmente nel cielo e nell’inferno e vogliono pertanto annacquare la rivelazione e cambiare quanto la Scrittura afferma chiaramente.
 
Il vero vólto della Chiesa è rappresentato ovviamente dalle persone ortodosse, da quanti si schierano coi martiri e coi santi di tutte le epoche, ossia da un gruppo che è in minoranza all’interno della liberalizzata e decadente Chiesa d’Occidente – dove per ragioni storiche risiede il potere politico ed economico – ma che tende ad essere in maggioranza nei territori dove la fede sta prosperando, per esempio nelle nazioni più povere dell’Africa e dell’Asia. E che la fede sia più prospera dove ci sono più persone ortodosse non è una coincidenza: Dio benedice infatti quanti Gli sono fedeli.
 
Capite adesso perché gli anglicani africani non vogliono avere più nulla a che fare con le loro controparti moderniste di Canterbury? Potete anche comprendere quindi perché questa contrapposizione tra Africa ed Europa si rifletta anche nel cattolicesimo romano: si pensi al conflitto verbale tra i cardinali Sarah e Kasper durante il Sinodo per la famiglia! Il modernismo, patrocinato dal potente apparato mediatico e dai governi della cultura secolare che esso sostiene, sta conducendo una lotta accanita contro quanti continuano ad aderire alla fede plurisecolare: è la dura battaglia dei nostri giorni.
 
E si deve combattere, perché i due punti di vista sono diametralmente opposti: sono come due binari le cui direzioni divergeranno sempre di più finché non sarà necessario rimuovere ciò che cerca di mantenerli uniti. Ciononostante, la folle tattica promossa tanto dai prelati anglicani come da quelli cattolici del XX secolo è stata proprio quella di continuare a mantenerli uniti. Sono stati promossi costantemente a posizioni importanti non degli energici e zelanti soldati di Cristo, ma burocrati inoffensivi la cui stupidità non poteva arrecare danno alcuno e manteneva in piedi le istituzioni. Almeno questo era il piano, che tuttavia non ha funzionato: di lì la minaccia di scisma che aleggia in tutto il mondo cristiano.
 
Al giorno d’oggi, i modernisti hanno preso il controllo della Chiesa anglicana solo in Occidente: ritengono che la perdita dell’Africa sia un prezzo accettabile da pagare pur di poter introdurre il matrimonio gay, le donne vescovo e tutte le altre medaglie al valore di una Chiesa che promuova i valori del marxismo culturale.
 
Il cattolicesimo non è ancóra arrivato a questi estremi... per il momento. Ma i modernisti esistono, e dato che tendono ad appartenere tutti alla stessa generazione, detengono un enorme potere e un’enorme influenza. Essi sono i promotori del cosiddetto “Spirito del Vaticano II” – ossia di quanto non è stato anticipato o disposto dal Concilio ma che è invece sorto sulla sua scia [anche loro sembrano non riconoscere le distorsioni in nuce presenti nei documenti conciliari]. Si tratta di una scuola di pensiero che disprezza la fede solida, i valori irremovibili, la devozione, le balaustre, etc. e che in compenso ha il culto della ‘comunità’, dell’attivismo politico, etc.
 
Come detto, lo scisma ha ormai raggiunto Canterbury. Dobbiamo quindi pregare per i nostri amici anglicani, ma anche per Roma: anche lì lo scisma è in agguato e anzi, se non interviene un miracolo di Dio, è già quasi certo e potrebbe portare a delle divisioni e a una confusione ancor più grandi.
 
Sia chiaro che il miracolo per cui dobbiamo pregare non è che la Chiesa rimanga in qualche modo unita, perché queste fedi così diverse non hanno alcuna possibilità di rimanere insieme in uno spirito di rispetto reciproco: come abbiamo già affermato, si oppongono reciprocamente. Il miracolo di cui abbiamo bisogno è che la Chiesa si svegli dal suo sonno, si erga in difesa della verità e refuti l’errore. Abbiamo bisogno di un martello degli eretici, come venne definito un tempo San Domenico. Ma come possiamo sperare che arrivi se sono così tanti i vescovi che sembrano essere proprio una parte del problema piuttosto che la sua soluzione, e se la virilità sembra così fuori moda?
[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]
 





 FOCUS 
di Massimo Introvigne
La copertina del libro del Papa: Il nome di Dio è misericordia
 

È stato presentato in Vaticano il libro Il nome di Dio è misericordia, dove Andrea Tornielli intervista Papa Francesco sul tema della misericordia. Il libro è un’utile e commovente guida all’Anno Santo della Misericordia, e chiarisce che la misericordia non ha nulla a che fare con la negazione del peccato.


 Il libro è un’utile e commovente guida all’Anno Santo della Misericordia, e chiarisce in modo netto che la misericordia non ha nulla a che fare con il buonismo o con presunte negazioni della realtà del peccato. Al contrario, il Pontefice spiega che solo chi si riconosce peccatore riesce a incontrare la misericordia di Dio, e che il luogo privilegiato di questo incontro è il confessionale. Il libro comprende cinque diversi nuclei tematici. Il primo è relativo alle fonti del Magistero di Francesco sulla misericordia. 

Dall’inizio del suo pontificato, spiega il Papa, ha voluto proporre una Chiesa che «non aspetta che iferiti bussino alla sua porta, li va a cercare per strada, li raccoglie, li abbraccia, li cura, li fa sentire amati», e a tutti annuncia la misericordia. Ma non si tratta, afferma il Pontefice, di una novità. Le fonti ispiratrici di questa proposta sono San Giovanni XXIII, il Beato Paolo VI e soprattutto l’enciclica di San Giovanni Paolo II Dives in misericordia, nella quale il Papa polacco ha affermato che «la Chiesa vive una vita autentica quando professa e proclama la misericordia, il più stupendo attributo del Creatore e del Redentore, e quando accosta gli uomini alle fonti della misericordia». 

Francesco insiste anche su Santa Faustina Kowalska, l’apostola della Divina Misericordia, la cui devozione unisce San Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e l’attuale Pontefice. Francesco cita pure un’impegnativa affermazione teologica del Papa teologo, Benedetto XVI: «La misericordia è in realtà il nucleo centrale del messaggio evangelico, è il nome stesso di Dio, il volto con il quale Egli si è rivelato nell’antica Alleanza e pienamente in Gesù Cristo, incarnazione dell’Amore creatore e redentore». Ma ultimamente, insiste Francesco, le fonti del primato della misericordia sono nella Sacra Scrittura: «la misericordia è la carta d’identità del nostro Dio». Il Papa cita San Paolo nella Seconda Lettera a Timoteo (2, 13): «Se siamo infedeli, Lui rimane fedele, perché non può rinnegare sé stesso». «Tu puoi rinnegare Dio, commenta Francesco, tu puoi peccare contro di Lui, ma Dio non può rinnegare sé stesso, Lui rimane fedele». Ci sono poi delle fonti, per così dire, più personali. Il Papa cita il teologo gesuita padre Gaston Fessard e il suo libro La Dialectique des “Exercises spirituels” de S. Ignace de Loyola

In particolare, Francesco afferma di avere appreso da Fessard l’importanza della capacità di provare quella vergogna di fronte ai propri peccati che «è una delle grazie che sant’Ignazio fa chiedere nella confessione dei peccati davanti al Cristo crocifisso». Il Papa ha ritrovato questi concetti anche «nelle omelie del monaco inglese San Beda il Venerabile», e nell’esperienza concreta dei grandi confessori. Ne cita alcuni che ha conosciuto personalmente, e San Leopoldo Mandic, di cui ha letto in particolare nelle omelie di Papa Giovanni Paolo I. E cita anche il famoso teologo domenicano Antonio Royo Marín. Nel suo primo Angelus da Pontefice, Francesco aveva ricordato una vecchia penitente argentina, che in confessione gli aveva detto: «Se il Signore non perdonasse tutto il mondo non esisterebbe». «Durante quel primo Angelus – rivela ora il Papa –, dissi, per farmi capire, che la mia risposta era stata: “ma lei ha studiato alla Gregoriana!”. In realtà, la vera risposta fu: “Ma lei ha studiato con Royo Marín!”». 

Il secondo nucleo tematico del libro spiega la scelta di mettere oggi la misericordia al centro del Magistero. Questa scelta, afferma Francesco, è necessaria perché quella di oggi «è un’umanità ferita, un’umanità che porta ferite profonde. Non sa come curarle o crede che non sia proprio possibile curarle. E non ci sono soltanto le malattie sociali e le persone ferite dalla povertà, dall’esclusione sociale, dalle tante schiavitù del terzo millennio. Anche il relativismo ferisce tanto le persone: tutto sembra uguale, tutto sembra lo stesso».
Il relativismo porta a perdere il senso del peccato. Il venerabile Pio XII, ricorda Francesco, «più di mezzo secolo fa, aveva detto che il dramma della nostra epoca era l’aver smarrito il senso del peccato, la coscienza del peccato. A questo si aggiunge oggi anche il dramma di considerare il nostro male, il nostro peccato, come incurabile, come qualcosa che non può essere guarito e perdonato». Non si crede più al peccato, dunque non ci si confessa, ma si cercano gli aiuti più bizzarri nelle nuove religioni e nell’occultismo.Francesco ricorda di avere appreso dal cardinale Giacomo Biffi questa citazione dello scrittore inglese Gilbert Keith Chesterton: «Chi non crede in Dio, non è vero che non crede in niente, perché comincia a credere a tutto». E commenta: «Una volta ho sentito una persona dire: ai tempi di mia nonna bastava il confessore, oggi tante persone si rivolgono ai chiromanti… Oggi si cerca salvezza dove si può». 

Il terzo nucleo tematico riguarda la confessione. Non basta dire, ricorda il Papa, che riconosco il mio peccato e me ne pento davanti a Dio. «Ma è importante che io vada al confessionale, che metta me stesso di fronte a un sacerdote che impersona Gesù, che mi inginocchi di fronte alla Madre Chiesa chiamata a dispensare la misericordia di Dio. C’è un’oggettività in questo gesto, nel mio genuflettermi di fronte al prete, che in quel momento è il tramite della grazia che mi raggiunge e mi guarisce». Il Papa ricorda e spiega le sue immagini usate in omelie a Santa Marta secondo cui il confessionale non è né «una tintoria» né «una stanza delle torture». Quella della tintoria, spiega, era «un’immagine per far capire l’ipocrisia di quanti credono che il peccato sia una macchia, soltanto una macchia, che basta andare in tintoria perché te lavino a secco e tutto torni come prima». È l’atteggiamento di tanti che continuano a commettere lo stesso peccato, pensando che tanto poi se ne confesseranno. 

Quanto all’immagine della «stanza di tortura», Francesco spiega che era destinata ai confessori, qualche volta troppo curiosi specie nel campo sessuale. Il Papa li invita a guardare al dialogo di Gesù con l’adultera, un grande esempio per i confessori. Gesù non chiede alla donna quante volte lo ha fatto, con chi e come. Sta all’essenziale: «Vai e non peccare più». Mentre qualche volta tra i confessori «ci può essere un eccesso di curiosità, in materia sessuale, soprattutto. Oppure un’insistenza nel far esplicitare particolari che non sono necessari». L’invito ai confessori alla misericordia, afferma ancora il Papa, non significa che debbano assolvere sempre. Ci sono casi in cui l’assoluzione non si può dare. Ma in questi casi, «se il confessore non può assolvere, che spieghi il perché ma dia comunque una benedizione, anche senza assoluzione sacramentale» e non interrompa il dialogo con il penitente.  

Il quarto nucleo tematico riguarda l’atteggiamento giusto in cui dobbiamo porci nei confronti della Divina Misericordia e quindi della confessione. L’essenziale è che noi «siamo coscienti del nostro peccato, del male compiuto, della nostra miseria, del nostro bisogno di perdono, di misericordia». Se pensiamo di non essere capaci, chiediamolo al Signore. «Dio ci attende, aspetta che gli concediamo soltanto quel minimo spiraglio per poter agire in noi, col suo perdono, con la sua grazia». Ha atteso anche Simon Pietro, il cui tradimento – aggiunge Francesco – mostra che anche i Papi debbono riconoscersi peccatori.Dobbiamo anzitutto imparare e riconoscere che «c’è il peccato originale. Un dato del quale si può fare esperienza. La nostra umanità è ferita, sappiamo riconoscere il bene e il male, sappiamo che cosa è male, cerchiamo di seguire la via del bene, ma spesso cadiamo a motivo della nostra debolezza e scegliamo il male. È la conseguenza del peccato d’origine, del quale abbiamo piena coscienza grazie alla Rivelazione».

Il peccato originale non è una leggenda. La Sacra Scrittura «si serve di un linguaggio immaginifico per esporre qualcosa di realmente accaduto alle origini dell’umanità». Se il peccato originale non fosse una realtà, non si capirebbe perché Gesù Cristo «ha accettato di farsi torturare, crocifiggere e annientare per redimerci dal peccato». Al penitente, per fare una buona confessione, si chiede che «sappia guardare con sincerità a sé stesso e al suo peccato. E che si senta peccatore, che si lasci sorprendere, stupire da Dio. Perché lui ci riempia con il dono della sua misericordia infinita dobbiamo avvertire il nostro bisogno, il nostro vuoto». La verità sul peccato e la misericordia non si escludono, ma si richiamano. 

«La Chiesa condanna il peccato perché deve dire la verità: questo è un peccato. Ma allo stesso tempo abbraccia il peccatore che si riconosce tale, lo avvicina, gli parla della misericordia infinita di Dio». Senza riconoscere il proprio peccato non si può incontrare la misericordia. «La misericordia c’è, ma se tu non vuoi riceverla... Se non ti riconosci peccatore vuol dire che non la vuoi ricevere, vuol dire che non ne senti il bisogno». 

Rispondendo a una domanda di Tornielli sul famoso «chi sono io per giudicare» riferito alle persone omosessuali, Francesco spiega che «avevo detto in quella occasione: se una persona è gay, cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla? Avevo parafrasato a memoria il Catechismo della Chiesa cattolica, dove si spiega che queste persone vanno trattate con delicatezza e non si devono emarginare. Innanzitutto mi piace che si parli di “persone omosessuali”: prima c’è la persona, nella sua interezza e dignità. E la persona non è definita soltanto dalla sua tendenza sessuale: non dimentichiamoci che siamo tutti creature amate da Dio, destinatarie del suo infinito amore. Io preferisco che le persone omosessuali vengano a confessarsi». 
Sbaglia chi oppone la misericordia alla verità o alla dottrina: «la misericordia è vera, è il primo attributo di Dio. Poi si possono fare delle riflessioni teologiche su dottrina e misericordia, ma senza dimenticare che la misericordia è dottrina». Lo hanno negato le eresie «che riemergono sotto altre forme: i catari, i pelagiani che giustificano sé stessi per le loro opere e per il loro sforzo volontaristico, atteggiamento quest’ultimo già contrastato in maniera molto limpida nel testo della Lettera ai Romani di Paolo. Pensiamo allo gnosticismo, che porta quella spiritualità soft, senza incarnazione».

È difficile per la Chiesa tenere insieme verità e misericordia, evitando fraintendimenti? È difficile, ma è obbligatorio. «Bisogna entrare nel buio, nella notte che attraversano tanti nostri fratelli. Essere capaci di entrare in contatto con loro, di far sentire la nostra vicinanza, senza lasciarci avvolgere e condizionare da quel buio. Andare verso gli emarginati, verso i peccatori, non significa permettere ai lupi di entrare nel gregge». Ma, mentre vigila sui lupi, la Chiesa è attenta a incontrare le pecorelle smarrite che hanno mosso i primi timidi passi sulla via del ritorno all’ovile. «A volte c’è il rischio che i cristiani, con la loro psicologia di dottori della Legge, spengano ciò che lo Spirito Santo accende nel cuore di un peccatore, di qualcuno che sta sulla soglia, di qualcuno che comincia ad avvertire la nostalgia di Dio». 

Il quinto nucleo del libro riguarda la dimensione sociale e politica della misericordia.
Questa dimensione, afferma il Papa che ha antenati piemontesi, non può essere negata se «pensiamo al Piemonte della fine dell’Ottocento, alle Case della misericordia, ai santi della misericordia, il Cottolengo, don Bosco...». Santi che si sono anche occupati di rendere più umana la condizione dei carcerati, una causa che sta molto a cuore a Francesco. «Con la misericordia la giustizia è più giusta, realizza davvero sé stessa. Questo non significa essere di manica larga, nel senso di spalancare le porte delle carceri a chi si è macchiato di reati gravi. Significa che dobbiamo aiutare a non rimanere a terra coloro che sono caduti».

Francesco spiega anche perché è così severo sulla corruzione. Non si tratta di un peccato specifico – quasi che fosse corrotto solo il politico che ruba – ma di un atteggiamento mentale, che come tale riguarda tutti i peccati. «La corruzione è il peccato che invece di essere riconosciuto come tale e di renderci umili, viene elevato a sistema, diventa un abito mentale, un modo di vivere. Non ci sentiamo più bisognosi di perdono e di misericordia, ma giustifichiamo noi stessi e i nostri comportamenti».  «Il peccato, soprattutto se reiterato, può portare alla corruzione»: «il corrotto si stanca di chiedere perdono e finisce per credere di non doverlo più chiedere». In fondo, la corruzione è la manifestazione, che diventa sociale, della perdita sia del senso del peccato sia della vergogna di fronte ai peccati. Dobbiamo tutti «chiedere la grazia di riconoscerci peccatori, responsabili di quel male. Più ci riconosciamo bisognosi, più ci vergogniamo e ci umiliamo, più presto veniamo inondati dal suo abbraccio di Grazia». 

Il luogo dove apprendere il senso del peccato e della misericordia è la famiglia: «è l’ospedale più vicino: quando uno è malato ci si cura lì, finché si può. La famiglia è la prima scuola dei bambini, è il punto di riferimento imprescindibile per i giovani, è il miglior asilo per gli anziani». Lì si apprende anche la compassione, che è il nostro modo umano di corrispondere alla misericordia divina. E si cominciano a praticare le opere di misericordia, che il Papa ha più volte raccomandato di riscoprire nel Giubileo. Non solo le opere di misericordia corporale, ma anche quelle di misericordia spirituale, che non sono meno importanti: «avvicinare, saper ascoltare, consigliare, insegnare». È questo l’apostolato della misericordia.


EDITORIALE
Il loro del recente ecclesiale di Firenze
 

Le incertezze e le paralisi che la Chiesa italiana ha reso evidenti nella confusione sulla linea da prendere a proposito del disegno di legge Cirinnà sulle unioni civili hanno un nome: il pastoralismo. Pensiero che ha fatto dire a tanti vescovi e sacerdoti che le manifestazioni di piazza rompono il dialogo e non costruiscono.

di Stefano Fontana


Le incertezze e le paralisi che la Chiesa italiana ha reso evidenti nella confusione sulla linea da prendere a proposito del disegno di legge Cirinnà hanno un nome: pastoralismo. Una Chiesa che si è così a lungo macerata e lacerata su una cosa in vero molto semplice da fare, come opporsi ad una legge disumana da tutti i punti di vista, richiede una ragione culturale: il pastoralismo. Il pastoralismo ha fatto dire a tanti vescovi e sacerdoti che le manifestazioni di piazza rompono il dialogo e non costruiscono. 

Il pastoralismo ha fatto pensare a molti che non bisogna piùintervenire sulle leggi, ma solo sulle coscienze delle persone. Il pastoralismo ha fatto pensare che la Chiesa debba solo formare – chissà poi chi, dove e come – e poi ognuno entra nella pubblica piazza con la propria coscienza. Il pastoralismo fa ritenere a tanti preti che la Chiesa non debba dire mai di no, ma piuttosto debba accompagnare tutti e sempre. Il pastoralismo ha fatto sì che per qualcuno una presa di posizione contro l’omosessualità toglierebbe spazio alla pastorale delle situazioni di frontiera, tra cui quella delle persone con tendenze omosessuali. 

Il pastorialismo fa ritenere che scendendo sul terreno delle leggi civili la fede cattolica diventiideologia. Il pastoralismo ha impedito a tante comunità cattoliche di trattare certi temi, perché troppo carichi di valenze politiche e quindi potenzialmente divisivi. Il pastoralismo ha indirizzato tante Diocesi a trattare certi temi, ma con l’intervento di tutte le opinioni in campo e senza prendere posizione. Il pastoralismo, per non precludere la via dell’azione pastorale, ha bloccato ogni azione. Una Chiesa molto pastorale, ma per questo afasica e aprassica.

Il pastoralismo è una malattia della Chiesa italiana di oggi. Secondo il pastoralismo non solo noi maanche Dio non deve giudicare le situazioni e i comportamenti, perché giudicando impedirebbe l’incontro pastorale con tutti. Anche questo dei pastoralisti è una forma di giudizio, naturalmente, dato che non si prende posizione nei confronti della realtà se non giudicandola, ma ciò non toglie che il nemico mortale del pastoralismo, pur contraddittoriamente, sia il giudicare. Nemmeno una legge, secondo il pastoralismo, si può giudicare perché in questo caso la fede diventerebbe dottrina imposta e impedirebbe la pastorale. Giudicata male una legge, ti tagli i rapporti con coloro che invece in quella legge credono. Il pastoralismo è senza verità, perché senza giudizio non c’è più verità. Il pastoralismo è un sentimento, un atteggiamento agnostico, un prendere posizione senza prendere posizione, un inganno.

La Chiesa italiana si sta spostando da una presenza strutturata, a partire da un bagaglio di visionidelle cose, con alle spalle un patrimonio dottrinale anche nella forma di dottrina sociale della Chiesa e con davanti un progetto culturale, ad una presenza destrutturata, immediata, priva di distinzioni di piani, fondata su un lodevole slancio di carità e di voglia di incontrare l’altro, ma priva ormai della volontà di incontrarlo all’interno di una costruzione del bene comune, complessa ed articolata. 

Gli immigrati vanno accolti: sì ma le politiche dell’integrazione come le impostiamo? La precarietàlavorativa va eliminata: sì ma le politiche del lavoro come le facciamo? Questa economia uccide: sì ma come impostiamo le politiche economiche e finanziarie oltre la buona volontà individuale e gli slogan moralistici? Delle istituzioni ce ne occupiamo ancora? E delle leggi? E della politica? Trasformiamo tutta la Chiesa in una Caritas o ricominciamo a insegnare e ad apprendere la dottrina sociale della Chiesa, che ci dia una cultura del sociale e del politico, un quadro dottrinale e teorico in grado di orientare al bene la nostra presenza, non solo nella solidarietà dei bisogni dei senzatetto – vera ma corta - ma anche in quella lunga della vita, della famiglia e della scuola?

Al convegno ecclesiale di Firenze non ho trovato traccia della dottrina sociale della Chiesa, che –almeno così mi sembra – non sia mai nemmeno stata nominata. Per andare a portare una bevanda calda e una coperta a chi dorme all’addiaccio di notte essa non serve, ma per prevenire quelle situazioni oltre che curarle è invece molto importante. La Chiesa italiana vuole solo andare tutta a portare le bevande calde a chi dorme all’addiaccio di notte? Vuole andare tutta a Lampedusa? O vuole ancora costruire una società secondo verità e per il bene dell’uomo? 

Se è così lo slancio pastoralistico non è sufficiente, ma bisogna occuparsi anche delle strutture, delleistituzioni, delle leggi ed avere una visione complessiva e coerente delle cose. Il pastoralismo odia le visioni complessive e coerenti delle cose e dice che non si addicono ai cattolici. Sanno troppo di “sistema” che avrebbe così la prevalenza sulle persone. Per il pastoralismo esistono solo casi unici e singolari, da affrontare uno per uno, con discernimento, come è in voga dire oggi. Si corre il rischio, però, di gettare via, con gli schemi, anche le idee.

   





Caterina63
00mercoledì 13 gennaio 2016 15:06

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LA BERGOGLIONATA ALL’INCONTRARIO DI PAPA FRANCESCO

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Una bergoglionata  all’incontrario che ci è davvero piaciuta, se le cose stanno come riferisce Introvigne…

Onestà di cuore e di mente vuole che quando dobbiamo parlare per spiegare i fatti come sono, non ci si chiuda mai in uno stato di prevenzione mentale e di pregiudizio, ma che si colga – come insegna San Paolo – tutto ciò che è buono per fare un sano discernimento e dare così il vero contributo alla causa del Vangelo.

È il caso che andiamo ad analizzare sottolineando che a noi non è mai piaciuto il doppio gioco di Andrea Tornielli in questi ultimi anni, non ci piace il suo giornalaccio on-line che è al pari dei giornali a servizio della massoneria dell’Ottocento, non ci piace il suo catto-progressismo, non ci piace la sua cortigianeria nel quartiere romano di santa Marta, non ci piace la sua falsità narrativa di vaticanista senza scrupoli e senza sostanza nel riportare i fatti.

9788856653144_51b745299200d2ec851abc2402753e3aPremesso tutto ciò e affidandoci alla presentazione del suo ultimo libro fatta da La Nuova Bussola Quotidiana da Massimo Introvigne(suo degno compare), non possiamo tuttavia non intravvedere e non segnalare che, questo libro, potrebbe (condizionale d’obbligo) contenere una vera bergoglionata a chi sta usando il Papa Francesco dalla sua elezione per abbattere la Chiesa e la sua dottrina.

Naturalmente noi il libro non lo abbiamo ancora letto, ma ciò che riporta Introvigne è davvero interessante e non sarebbe onesto se noi facessimo finta di nulla. E non vogliamo neppure pensare lontanamente che Introvigne abbia inventato il contenuto dottrinale del libro e del Papa sulla vera Misericordia e sul valore pestilenziale del peccato.

Peccatori sì, ma non accettare lo stato di corruzione

Già Avvenire riportava, dall’analisi del libro che è un colloquio con il Papa, quanto il santo Padre Francesco torna a riflettere sulla distinzione tra peccato e corruzione. Quest’ultima, si osserva nel libro, “è il peccato che invece di essere riconosciuto come tale e di renderci umili, viene elevato a sistema, diventa un abito mentale, un modo di vivere”. “Il peccatore pentito, che poi cade e ricade nel peccato a motivo della sua debolezza – ribadisce – trova nuovamente perdono, se si riconosce bisognoso di misericordia. Il corrotto, invece, è colui che pecca e non si pente, colui che pecca e finge di essere cristiano, e con la sua doppia vita dà scandalo”. “Non bisogna accettare lo stato di corruzione come se fosse soltanto un peccato in più – è il monito del Pontefice – anche se spesso si identifica la corruzione con il peccato, in realtà si tratta di due realtà distinte seppur legate tra loro”. “Uno – constata – può essere un grande peccatore e ciononostante può non essere caduto nella corruzione”. Francesco fa l’esempio di alcune figure come Zaccheo, Matteo, la Samaritana, Nicodemo e il buon ladrone. “Nel loro cuore peccatore – afferma – tutti avevano qualcosa che li salvava dalla corruzione. Erano aperti al perdono, il loro cuore avvertiva la propria debolezza, e questo è stato lo spiraglio che ha fatto entrare la forza di Dio”.

Anche nell’analisi fatta da Introvigne su La Nuova BQ, si torna ad avere come perno centrale di questo colloquio il riconoscimento del peccato, lo stato del peccatore e l’autentico valore della Misericordia che non può essere data se la persona non si riconosce come peccatore e se non è davvero pentito del proprio peccato.

Intendiamoci, non è una rivoluzione! Il Papa non sta dicendo cose nuove e il libro non contiene alcuna novità.

C’è piuttosto un onesto e timido ritorno a quella dottrina che da tre anni a questa parte, proprio l’autore del libro – che fu tra quelli che strumentalizzarono la pastorale senza dottrina del Papa –  fa ritornare alla ribalta come se niente fosse, anzi, quasi fosse una novità…

La definiamo così una bergoglionata che davvero ci piace, questa del Papa gesuita! Perché è come se avesse accolto l’appello di non pochi alti prelati che lo hanno invitato più volte ad essere più chiaro nelle sue affermazioni.

Ci viene a mente l’episodio accaduto a San Padre Pio quando rispondendo ad un Bolletino Diocesano del vescovo di Padova che aveva fatto una affermazione che “puzzava di eresia” (così disse proprio Padre Pio), il prelato mandò a dire al Santo che era stato frainteso, che aveva capito male, e l’umile frate rispose: “No, io ho capito bene. Lui ha scritto male!”.

Dunque, la sostanza di questo libro ci sembra essere, sempre secondo la presentazione fatta da Introvigne, una sorta di chiarimento alle sue passate affermazioni suonate e risultate stonate in campo dottrinale cattolico, come se il peccato avesse preso delle ferie prolungate e come se la misericordia fosse data come un piatto di pastasciutta ad una delle tante mense della Caritas.

E no! Fa capire ora il Papa. L’invito ai confessori alla misericordia non significa che debbano assolvere sempre. Ci sono casi in cui l’assoluzione non si può dare. Ma in questi casi, «se il confessore non può assolvere, che spieghi il perché ma dia comunque una benedizione, anche senza assoluzione sacramentale» e non interrompa il dialogo con il penitente.

«La Chiesa condanna il peccato perché deve dire la verità: questo è un peccato. Ma allo stesso tempo abbraccia il peccatore che si riconosce tale, lo avvicina, gli parla della misericordia infinita di Dio». Parola di Papa Francesco! Senza riconoscere il proprio peccato non si può incontrare la misericordia. «La misericordia c’è, ma se tu non vuoi riceverla… Se non ti riconosci peccatore vuol dire che non la vuoi ricevere, vuol dire che non ne senti il bisogno».

Il santo Padre Francesco insiste anche su Santa Faustina Kowalska, l’apostola della Divina Misericordia, la cui devozione unisce San Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e l’attuale Pontefice. Egli cita pure un’impegnativa affermazione teologica del Papa teologo, Benedetto XVI: «La misericordia è in realtà il nucleo centrale del messaggio evangelico, è il nome stesso di Dio, il volto con il quale Egli si è rivelato nell’antica Alleanza e pienamente in Gesù Cristo, incarnazione dell’Amore creatore e redentore».

Ma per ricevere questa Misericordia, chiarisce finalmente El gesuita diventato papa, il peccatore deve chiarire a se stesso il proprio stato di peccatore, deve imparare ad avere vergogna del proprio peccato e deve ripudiarlo, deve andarsi a confessare… confessare il proprio stato di peccato e cambiare vita.

Ciò che sconcerta è che tutto ciò – insegnato dalla Chiesa in questi duemila anni – sia spacciato oggi come una novitàperché in questi ultimi tre anni non si è fatto altro che usare, delle parole di Bergoglio, una illusione mentendo (ma non ha mentito il Papa) sulla dottrina della Chiesa.

Il relativismo porta a perdere il senso del peccato. Il venerabile Pio XII, ricorda Papa Francesco, «più di mezzo secolo fa, aveva detto che il dramma della nostra epoca era l’aver smarrito il senso del peccato, la coscienza del peccato. A questo si aggiunge oggi anche il dramma di considerare il nostro male, il nostro peccato, come incurabile, come qualcosa che non può essere guarito e perdonato». Non si crede più al peccato, dunque non ci si confessa, ma si cercano gli aiuti più bizzarri nelle nuove religioni e nell’occultismo.

Papa Francesco ricorda pure di avere appreso dal cardinale Giacomo Biffi questa citazione dello scrittore inglese Gilbert Keith Chesterton: «Chi non crede in Dio, non è vero che non crede in niente, perché comincia a credere a tutto». E commenta: «Una volta ho sentito una persona dire: ai tempi di mia nonna bastava il confessore, oggi tante persone si rivolgono ai chiromanti… Oggi si cerca salvezza dove si può».

È ovvio che in quel «Oggi si cerca salvezza dove si può», il Papa stesso sa benissimo che l’unico posto dove questa salvezza si attiva è il confessionale e che è qui che bisogna far ritornare la gente. Non basta dire, ricorda il Papa, che riconosco il mio peccato e me ne pento davanti a Dio. «Ma è importante che io vada al confessionale, che metta me stesso di fronte a un sacerdote che impersona Gesù, che mi inginocchi di fronte alla Madre Chiesa chiamata a dispensare la misericordia di Dio. C’è un’oggettività in questo gesto, nel mio genuflettermi di fronte al prete, che in quel momento è il tramite della grazia che mi raggiunge e mi guarisce». Il Papa ricorda e spiega le sue immagini usate in omelie a Santa Marta secondo cui il confessionale non è né «una tintoria» né «una stanza delle torture». Quella della tintoria, spiega, era «un’immagine per far capire l’ipocrisia di quanti credono che il peccato sia una macchia, soltanto una macchia, che basta andare in tintoria perché te lavino a secco e tutto torni come prima». È l’atteggiamento di tanti che continuano a commettere lo stesso peccato, pensando che tanto poi se ne confesseranno.

Ci sembra di comprendere che in questo colloquio, ridotto a libro, il Papa Francesco abbia voluto mettere un po’ di ordine ai suoi tanti pensieri sparsi qua e là e spesso fraintesi o strumentalizzati come sul famoso «chi sono io per giudicare» riferito alle persone omosessuali, Papa Francesco qui nel libro spiega che «avevo detto in quella occasione: se una persona è gay, cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla? Avevo parafrasato a memoria il Catechismo della Chiesa cattolica, dove si spiega che queste persone vanno trattate con delicatezza e non si devono emarginare. Innanzitutto mi piace che si parli di “persone omosessuali”: prima c’è la persona, nella sua interezza e dignità. E la persona non è definita soltanto dalla sua tendenza sessuale: non dimentichiamoci che siamo tutti creature amate da Dio, destinatarie del suo infinito amore. Io preferisco che le persone omosessuali vengano a confessarsi».

Sbaglia chi oppone la misericordia alla verità o alla dottrina, spiega il Papa e sottolinea: «la misericordia è vera, è il primo attributo di Dio. Poi si possono fare delle riflessioni teologiche su dottrina e misericordia, ma senza dimenticare che la misericordia è dottrina».

Ci sembra così che questo libro possa offrire davvero dei chiarimenti a molte espressioni ambigue usate dal Papa e ci auguriamo che serva in primo luogo proprio all’autore del testo che da anni – strumentalizzando le parole del Papa – ha gettato nella rete molta confusione attraverso il suo giornalaccio on-line con ambiguità interpretativa…

Dal canto nostro non possiamo che far nostre queste parole del Papa, tratte sempre da questo libro: «Bisogna entrare nel buio, nella notte che attraversano tanti nostri fratelli. Essere capaci di entrare in contatto con loro, di far sentire la nostra vicinanza, senza lasciarci avvolgere e condizionare da quel buio. Andare verso gli emarginati, verso i peccatori, non significa permettere ai lupi di entrare nel gregge».






La “cosa” fa ben sperare, con la speranza che non si tramuti in un Alien    mi rifaccio anche all’articolo di Magister….

http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2016/01/12/istruzioni-per-il-confessore-e-per-il-penitente-firmate-francesco/








EDITORIALE
Monsignor Galantino
 

Solo nove anni fa la CEI riteneva dovere dello Stato non riconoscere alcun tipo di legame che non fosse il matrimonio.
Oggi invece il segretario della CEI ritiene doveroso che lo Stato riconosca le unioni gay (basta che non siano assimilate al matrimonio). Qualcosa evidentemente non quadra.

- Contro la Cirinnà: l'appello dei giuristi 

di Riccardo Cascioli


Si sente talmente tanto parlare di “nuova Chiesa” che molti vescovi si sono calati perfettamente nella parte e ignorano totalmente non solo ciò che la Chiesa (quella “vecchia”) ha creduto e annunciato per duemila anni, ma anche le indicazioni più recenti. Nei giorni scorsi abbiamo già fatto riferimento alla Nota della Congregazione per la Dottrina della Fede a proposito dei progetti di riconoscimento delle unioni omosessuali (2003), che spiega con chiarezza per quale motivo i cattolici non possono sostenere qualsiasi tipo di riconoscimento giuridico delle relazioni gay. Documento importante, approvato da Giovanni Paolo II, su cui i diversi vescovi e cardinali intervistati in questi giorni dalla grande stampa non hanno neanche pensato di misurarsi. Roba da “vecchia Chiesa”, evidentemente.

Ma c’è anche dell’altro: ieri in una intervista al Corriere della Sera, il segretario della Conferenza Episcopale Italiana, monsignor Nunzio Galantino, pur riaffermando l’unicità del matrimonio a cui non possono essere assimiliate altri tipi di unione, ha però detto che è dovere dello Stato legiferare sulle «unioni di tipo diverso». A ben vedere è coerente con quanto fin qui sempre sostenuto da monsignor Galantino – e non solo da lui – nel desiderio di prendere atto della realtà.

Il che però equivale a dire che non erano realisti i vescovi italiani nove anni fa, quando – era il marzo 2007 – pubblicarono un documento molto preciso che chiudeva a qualsiasi tipo di legalizzazione di quelle che allora venivano chiamate unioni di fatto. La realtà sociale nove anni fa non era molto diversa da quella attuale se non per la forte pressione ideologica che c’è oggi a proposito delle unioni gay. Pressione che evidentemente non trova grossa resistenza nella CEI di oggi. Il documento del 2007 – “Nota a riguardo della famiglia fondata sul matrimonio e di iniziative legislative in materia di unioni di fatto” – centrava la sua riflessione sul bisogno dei bambini e sul bene comune della società, per i quali è necessaria la stabilità delle famiglie fondate sul matrimonio tra uomo e donna. 

Se questo è il punto centrale, allora «la legalizzazione delle unioni di fatto è inaccettabile sul piano di principio, pericolosa sul piano sociale ed educativo. Quale che sia l’intenzione di chi propone questa scelta, l’effetto sarebbe inevitabilmente deleterio per la famiglia. Si toglierebbe, infatti, al patto matrimoniale la sua unicità, che sola giustifica i diritti che sono propri dei coniugi e che appartengono soltanto a loro. Del resto, la storia insegna che ogni legge crea mentalità e costume». 

Il concetto è molto chiaro – nessuna legge in materia è buona - e vale per tutte le unioni di fatto. Lo Stato è chiamato a riconoscere soltanto il patto matrimoniale. Non solo, si fa riferimento esplicito a diritti che sono «propri dei coniugi e che appartengono solo a loro», e si può comprendere che non si tratta soltanto dei figli: ci sono anche diritti sociali ed economici, che oggi la linea della CEI – esplicitata attraverso il quotidianoAvvenire e ribadita da monsignor Galantino – vorrebbe estesi in toto ai conviventi, anche dello stesso sesso.

La Nota, poi prosegue: «Un problema ancor più grave sarebbe rappresentato dalla legalizzazione delle unioni di persone dello stesso sesso, perché, in questo caso, si negherebbe la differenza sessuale, che è insuperabile». Parole che non hanno bisogno di commento: oggi invece monsignor Galantino – insieme a molti altri - sostiene di fatto l’equivalenza tra convivenze etero e omosessuali, spostando l’attenzione soltanto sul problema delle adozioni e dell’utero in affitto.

È vero che dal punto di vista canonico, la Conferenza episcopale ha soltanto compiti di coordinamento e non magisteriali; ed è altrettanto vero che monsignor Galantino della CEI è soltanto il segretario e non il presidente o vice-presidente, e non ha quindi alcun titolo per parlare a nome dei vescovi italiani. Però siccome egli tende a presentarsi di fatto come portavoce dei vescovi italiani e come tale viene trattato dai media, in assenza di voci che lo contestino dobbiamo ritenere che questo sia l’indirizzo almeno della maggioranza dell’episcopato (perché in realtà sappiamo che ci sono anche vescovi che non hanno perso la memoria e soprattutto il legame con la realtà).

E allora la domanda sorge spontanea: siccome la storia della “nuova Chiesa” è soltanto un argomento ideologico e l’insegnamento non conosce discontinuità, come è possibile che i vescovi italiani oggi contraddicano così clamorosamente ciò che proclamavano con certezza solo pochi anni fa (in gran parte sono gli stessi)? E senza nemmeno sentire il bisogno di spiegarsi? Come si fa a dire oggi che è dovere dello Stato regolare le convivenze omosessuali, quando appena pochi anni fa si scendeva in piazza per sostenere che è dovere dello Stato non riconoscere neanche le unioni di fatto eterosessuali? 

Peraltro la Nota CEI del 2007 è perfettamente coerente con la Nota della Congregazione per la Dottrina della Fede del 2003, e non si tratta di princìpi astratti o semplicemente etici. Che qualsiasi forma di riconoscimento di unioni di fatto sia «deleteria per la famiglia» non è un pallino della Chiesa, è ciò che la realtà dei Paesi che già sono avanti su questa strada dimostra in modo inequivocabile. La legittimazione di unioni di fatto, unioni civili o come le si voglia chiamare è solo il primo passo di un cammino di distruzione della famiglia.

Si può essere così ciechi da non vedere la realtà che è sotto i nostri occhi?








Caterina63
00venerdì 22 gennaio 2016 17:12


 Il no del Papa alle unioni gay: ​scomunicata la crociata del Pd

Le parole del Bergoglio sono un macigno sul ddl Cirinnà: "Non confondere unioni civili e matrimonio". 



DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
IN OCCASIONE DELL'INAUGURAZIONE DELL'ANNO GIUDIZIARIO 
DEL TRIBUNALE DELLA ROTA ROMANA

Sala Clementina
Venerdì, 22 gennaio 2016

[Multimedia]



 

Cari fratelli,

vi do il mio cordiale benvenuto, e ringrazio il Decano per le parole con cui ha introdotto il nostro incontro.

Il ministero del Tribunale Apostolico della Rota Romana è da sempre ausilio al Successore di Pietro,affinché la Chiesa, inscindibilmente connessa con la famiglia, continui a proclamare il disegno di Dio Creatore e Redentore sulla sacralità e bellezza dell’istituto familiare. Una missione sempre attuale, ma che acquista particolare rilevanza nel nostro tempo.

Accanto alla definizione della Rota Romana quale Tribunale della famiglia[1], vorrei porre in risalto l’altra prerogativa, che cioè essa è il Tribunale della verità del vincolo sacro.E questi due aspetti sono complementari.

La Chiesa, infatti, può mostrare l’indefettibile amore misericordioso di Dio verso le famiglie, in particolare quelle ferite dal peccato e dalle prove della vita, e insieme proclamare l’irrinunciabile verità del matrimonio secondo il disegno di Dio. Questo servizio è affidato primariamente al Papa e ai Vescovi.

Nel percorso sinodale sul tema della famiglia, che il Signore ci ha concesso di realizzare nei due anni scorsi, abbiamo potuto compiere, in spirito e stile di effettiva collegialità, un approfondito discernimento sapienziale, grazie al quale la Chiesa ha – tra l’altro – indicato al mondo che non può esserci confusione tra la famiglia voluta da Dio e ogni altro tipo di unione.

Con questo stesso atteggiamento spirituale e pastorale, la vostra attività, sia nel giudicare sia nel contribuire alla formazione permanente, assiste e promuove l’opus veritatis. Quando la Chiesa, tramite il vostro servizio, si propone di dichiarare la verità sul matrimonio nel caso concreto, per il bene dei fedeli, al tempo stesso tiene sempre presente che quanti, per libera scelta o per infelici circostanze della vita,[2] vivono in uno stato oggettivo di errore, continuano ad essere oggetto dell’amore misericordioso di Cristo e perciò della Chiesa stessa.

La famiglia, fondata sul matrimonio indissolubile, unitivo e procreativo, appartiene al “sogno” di Dio e della sua Chiesa per la salvezza dell’umanità.[3]

Come affermò il beato Paolo VI, la Chiesa ha sempre rivolto «uno sguardo particolare, pieno di sollecitudine e di amore, alla famiglia ed ai suoi problemi. Per mezzo del matrimonio e della famiglia Iddio ha sapientemente unite due tra le maggiori realtà umane: la missione di trasmettere la vita e l’amore vicendevole e legittimo dell’uomo e della donna, per il quale essi sono chiamati a completarsi vicendevolmente in una donazione reciproca non soltanto fisica, ma soprattutto spirituale. O per meglio dire: Dio ha voluto rendere partecipi gli sposi del suo amore: dell’amore personale che Egli ha per ciascuno di essi e per il quale li chiama ad aiutarsi e a donarsi vicendevolmente per raggiungere la pienezza della loro vita personale; e dell’amore che Egli porta all’umanità e a tutti i suoi figli, e per il quale desidera moltiplicare i figli degli uomini per renderli partecipi della sua vita e della sua felicità eterna».[4]

La famiglia e la Chiesa, su piani diversi, concorrono ad accompagnare l’essere umano verso il fine della sua esistenza. E lo fanno certamente con gli insegnamenti che trasmettono, ma anche con la loro stessa natura di comunità di amore e di vita. Infatti, se la famiglia si può ben dire “chiesa domestica”, alla Chiesa si applica giustamente il titolo di famiglia di Dio. Pertanto «lo “spirito famigliare” è una carta costituzionale per la Chiesa: così il cristianesimo deve apparire, e così deve essere. È scritto a chiare lettere: “Voi che un tempo eravate lontani – dice san Paolo – […] non siete più stranieri né ospiti, ma concittadini dei santi e familiari di Dio” (Ef 2,19). La Chiesa è e deve essere la famiglia di Dio».[5]

E proprio perché è madre e maestra, la Chiesa sa che, tra i cristiani, alcuni hanno una fede forte, formata dalla carità, rafforzata dalla buona catechesi e nutrita dalla preghiera e dalla vita sacramentale, mentre altri hanno una fede debole, trascurata, non formata, poco educata, o dimenticata.

È bene ribadire con chiarezza che la qualità della fede non è condizione essenziale del consenso matrimoniale, che, secondo la dottrina di sempre, può essere minato solo a livello naturale (cfr CIC, can. 1055 § 1 e 2). Infatti, l’habitus fidei è infuso nel momento del Battesimo e continua ad avere influsso misterioso nell’anima, anche quando la fede non è stata sviluppata e psicologicamente sembra essere assente. 

Non è raro che i nubendi, spinti al vero matrimonio dall’instinctus naturae, nel momento della celebrazione abbiano una coscienza limitata della pienezza del progetto di Dio, e solamente dopo, nella vita di famiglia, scoprano tutto ciò che Dio Creatore e Redentore ha stabilito per loro. Le mancanze della formazione nella fede e anche l’errore circa l’unità, l’indissolubilità e la dignità sacramentale del matrimonio viziano il consenso matrimoniale soltanto se determinano la volontà (cfr CIC, can. 1099). Proprio per questo gli errori che riguardano la sacramentalità del matrimonio devono essere valutati molto attentamente
 

La Chiesa, dunque, con rinnovato senso di responsabilità continua a proporre il matrimonio, nei suoi elementi essenziali – prole, bene dei coniugi, unità, indissolubilità, sacramentalità [6] –, non come un ideale per pochi, nonostante i moderni modelli centrati sull’effimero e sul transitorio, ma come una realtà che, nella grazia di Cristo, può essere vissuta da tutti i fedeli battezzati. E perciò, a maggior ragione, l’urgenza pastorale, che coinvolge tutte le strutture della Chiesa, spinge a convergere verso un comune intento ordinato alla preparazione adeguata al matrimonio, in una sorta di nuovo catecumenato - sottolineo questo: in una sorta di nuovo catecumenato - tanto auspicato da alcuni Padri Sinodali.[7]     

Cari fratelli, il tempo che viviamo è molto impegnativo sia per le famiglie, sia per noi pastori che siamo chiamati ad accompagnarle. Con questa consapevolezza vi auguro buon lavoro per il nuovo anno che il Signore ci dona. Vi assicuro la mia preghiera e conto anch’io sulla vostra. La Madonna e san Giuseppe ottengano alla Chiesa di crescere nello spirito di famiglia e alle famiglie di sentirsi sempre più parte viva e attiva del popolo di Dio. Grazie.

  
 
[1] Pio XII, Allocuzione alla Rota Romana del 1° ottobre 1940: L’Osservatore Romano, 2 ottobre 1940, p. 1.

[2] «Forse tutto questo flagello ha un nome estremamente generico, ma in questo caso tragicamente vero, ed è egoismo. Se l’egoismo governa il regno dell’amore umano, ch’è appunto la famiglia, lo avvilisce, lo intristisce, lo dissolve. L’arte di amare non è così facile come comunemente si crede. A insegnarla l’istinto non basta. La passione ancor meno. Il piacere neppure» (G.B. Montini, Lettera pastorale all’arcidiocesi ambrosiana all’inizio della Quaresima del 1960).

[3] Cfr Pio XI, Litt. enc. Casti connubii, 31 dicembre 1930:  AAS 22 (1930), 541.

[4] Paolo VI, Discorso alle partecipanti al XIII Congresso Nazionale del Centro Italiano Femminile, 12 febbraio 1966: AAS 58 (1966), 219. San Giovanni Paolo II nella Lettera alle famiglie affermava che la famiglia è via della Chiesa: «la prima e la più importante» (Gratissimam sane, 2 febbraio 1994, 2: AAS 86 [1994], 868).

[5] Catechesi nell’Udienza generale del 7 ottobre 2015.

[6] Cfr Augustinus, De bono coniugali, 24, 32; De Genesi ad litteram, 9, 7, 12.

[7] «Questa preparazione al matrimonio, noi pensiamo, sarà agevolata, se la formazione d’una famiglia sarà presentata alla gioventù, e se sarà compresa da chi intende fondare un proprio focolare come una vocazione, come una missione, come un grande dovere, che dà alla vita un altissimo scopo, e la riempie dei suoi doni e delle sue virtù. Né questa presentazione deforma o esagera la realtà» (G. B. Montini, Lettera pastorale all’arcidiocesi ambrosiana, cit.).

 
 


Adozioni gay, vescovo di Ravenna: non trasformare in diritti tutti i desideri

 

Matrimoni e nascite in calo: il vescovo di Ravenna, Lorenzo Ghizzoni, condivide le preoccupazione esternate lunedì dai parroci nel corso dell’incontro che aveva come tema la situazione delle famiglie e i matrimoni a Ravenna.

vescovo-ravenna-ghizzoni

“Siamo una città che lentamente invecchia, nemmeno i figli degli immigrati fermano il declino – esordisce Ghizzoni -. Le cause sono diverse: culturali, economiche, morali. C’è un forte disorientamento nei giovani e negli adulti, nei genitori e negli educatori, per i tanti cambiamenti e i tanti stili di vita proposti che vorrebbero essere tutti alla pari, quindi tutti relativi. Convivenza senza vincoli oppure vita di famiglia con impegno alla fedeltà, alla indissolubilità; apertura alla generazione o chiusura alla vita; coppie di diverso sesso o del medesimo, tutto è ammissibile in nome della realizzazione di se stessi. Non si accetta che ci siano valori buoni che possono orientare la propria libertà, non diminuirla“.

“Noi cristiani vogliamo invece affermare, senza essere schierati da altri contro questo o quello, che c’è una grande bellezza nel matrimonio vissuto secondo il Vangelo e che ci sono scelte migliori di altre. Noi abbiamo un’esperienza, condivisa dalla maggioranza delle persone anche laiche o non credenti, che nel rispettare la persona dell’uomo e della donna, la paternità e la maternità, la figliolanza e la fraternità, si trova una pienezza di umanità e una felicità che non c’è in altre scelte – continua Ghizzoni -. Non dobbiamo giudicare le persone e dobbiamo guardarci dal condannarle – ce lo chiede il Vangelo della misericordia – ma non possiamo tacere l’esperienza della completezza dell’amore che si trova nel matrimonio vissuto secondo il modello della Bibbia (dal libro della Genesi al Vangelo). È un modello esigente? Certo, lo è anche per gli sposi credenti; anche tra loro ci sono quelli che non riescono a rimanervi fedeli, anche tra loro ci sono errori e peccati”.

“Ma tutti sappiamo che l’amore tra un uomo e una donna che si stabilizza in un rapporto complementare, ricco delle diversità di entrambi, contesto ideale per lo sviluppo della personalità dei bambini e degli adolescenti, caratterizzato da un impegno a crescere nel dono di sé, è meglio per i singoli, per la comunità, per la società intera. Questo matrimonio va protetto e sostenuto, come si curano le radici degli alberi da frutto, per avere i raccolti – chiosa -. C’è in questi giorni anche il dibattito sulle unioni civili e su una cultura – molto individualista – che trasforma in diritti tutti i desideri del singolo o che vorrebbe il matrimonio anche per le persone con tendenze omosessuali, pur sapendo che questa sarebbe una conquista solo simbolica, per affermare una pari dignità che andrebbe invece cercata e tutelata per altre vie e con altri mezzi. Nessuno deve mancare di rispetto a nessuno e “la dignità propria di ogni persona deve essere sempre rispettata nelle parole, nelle azioni e nelle legislazioni” come ci insegna il magistero della Chiesa (Ratzinger, 1986, sulla cura delle persone omosessuali)”.

“Ma ci sembra che una serie di diritti e di corrispondenti doveri riconosciuta anche a una unione civile, che non contrastino con la Costituzione, sia legittima – conclude -. Pretendere però anche di avere dei figli, quando l’unione è tra due persone dello stesso sesso che naturalmente non potrebbero averne, sia un eccesso, un non tenere conto del bisogno dei bambini e soprattutto degli adolescenti (troppo dimenticati in questo dibattito) di un padre e di una madre veri da tutti i punti di vista. Certo in qualche caso queste figure vengono a mancare per qualche disgrazia, ma la sofferenza di queste mancanze va evitata, non riprodotta per qualche conquista di diritti più individuali che civili.Difendere i valori, difendere i piccoli, i ragazzi, gli adolescenti, chiedendo che si facciano leggi giuste e sagge mi sembra una cosa buona non solo per i credenti, ma per tutti gli uomini di buona volontà”.

ravennatoday.it









Caterina63
00lunedì 22 febbraio 2016 12:24
  Crepaldi: «Quanti danni dai cattolici in politica»
di Stefano Fontana22-02-2016
Monsignor Crepaldi

 

Pubblichiamo ampi stralci dell'intervista a monsignor Gianpaolo Crepaldi, arcivescovo di Trieste e presidente dell'Osservatorio Van Thuan sulla Dottrina sociale della Chiesa, apparsa sul numero di Febbraio del mensile Il Timone. Per leggere l'intervista integrale chiedere una copia omaggio del mensile a info@iltimone.org. 

Eccellenza, c’è chi dice che i cattolici in politica non ci siano più? È anche lei di questo parere?
Non sono di questo parere, però è vero che, se ci sono, si vedono poco e in modo confuso. La visibilità cattolica in politica può essere di due tipi: personale, quando si sa che quel politico è cattolico, egli stesso lo dichiara e mantiene evidenti rapporti con la Chiesa; comunitaria, quando i cattolici agiscono uniti ed elaborano, nella loro autonomia di laici, strategie politiche che partano da una visione cattolica delle cose. 

Può spiegare la distinzione iniziale tra visibilità individuale e visibilità comunitaria? 
Una volta stabilito che i cattolici impegnati in politica devono vedersi, perché altrimenti la loro non sarebbe testimonianza di fede, bisogna riconoscere che senza una visibilità comunitaria anche quella individuale tende a ridursi solo a coerenza morale personale. Abbiamo così politici che, pur coerenti con la loro morale personale, fanno scelte politiche che contrastano con la dottrina della Chiesa e, non di rado, con la stessa legge morale naturale. Il bene comune lo si fa in comune, ossia strettamente uniti sui principi fondamentali dell’impegno politico che la Chiesa ha sempre insegnato, soprattutto da quando ha cominciato ad elaborare una organica Dottrina sociale.  

A proposito dei cattolici presenti in Parlamento, si è pensato a lungo che essi potessero militare in tutti i partiti, per poi convergere uniti su leggi ad alta rilevanza etica, come quelle riguardanti la famiglia e la vita. Ritiene ancora valido questo schema?
Credo che questo schema, se mai sia esistito come paradigma strategico piuttosto che come adeguamento non voluto alla realtà dei fatti, non sia oggi più agibile. Non perché quella convergenza non sia auspicabile, ma perché i fatti ci dimostrano che non viene mai attuata. Le recenti prese di posizione sul disegno di legge Cirinnà lo ha ulteriormente dimostrato. Questa legge sembrava essere, a detta di molti degli stessi parlamentari sedicenti cattolici, il limite non oltrepassabile ed invece è stata oltrepassata. 

Si tratta solo di tattica politica o anche di carenza di visione?
I numeri in politica contano molto. Deputati dichiaratamente cattolici ce ne sono pochi in questo Parlamento e, tra costoro, molti dicono di esserlo ma si riservano poi un’ampia discrezionalità di scelte senza troppo farsi condizionare dalle indicazioni della morale cattolica o della dottrina sociale della Chiesa o degli appelli del magistero. Una piccola pattuglia può fare certamente ben poco. Però credo che il problema non sia solo quantitativo. C’è una buona dose di confusione di pensiero. Certi cedimenti alla legge Cirinnà, anche su punti profondamente in contrasto con la dignità della persona umana, hanno evidenziato una carenza di pensiero e, soprattutto, l’idea che la fede cattolica non possa – pena diventare ideologia – produrre una visione organica e coerente, una vera e propria cultura sociale e politica. Essa produrrebbe solo istanze moraleggianti, spinte verso una testimonianza di carità non ben precisata, ma non un sistema di pensiero e una coerente visione dei nostri doveri verso il bene comune. Si pensa che Dio dia solo consigli o proponga solo ideali

Oggi, la dottrina sociale della Chiesa che momento sta vivendo nella nostra Chiesa e nel nostro Paese?
Il pastoralismo a cui ho accennato e che avrebbe bisogno di ben altri approfondimenti, la mette in difficoltà. Perché per esso tutto ciò che sa di dottrinale, di culturale, di teorico impedisce l’incontro pastorale col bisognoso. Come se la fede fosse solo un agire e non anche un pensare. Mi chiedo, però: come discernere i bisogni veri da quelli falsi, senza una visione delle cose che nasce dalla fede e dalla ragione? Con buone intenzioni spesso i cattolici, nell’ansia pastorale di incontrare i bisognosi, operano per cause sbagliate e fanno danni, creando nuovi disagi. Inoltre vengono distolti dai problemi di struttura e di buona organizzazione della vita pubblica per concentrarsi solo su forme corte di solidarietà. Si fa del bene anche impegnandosi per leggi giuste o politiche adeguate, ma come farlo senza una visione complessiva delle cose che la dottrina sociale della Chiesa offre?






EDITORIALE
Padre Lombardi
 

Da "male intrinseco" a "pratica possibile": il portavoce vaticano interviene per chiarire il pensiero del Papa sulla contraccezione e modifica esplicitamente l'insegnamento della Chiesa. Fosse confermata questa interpretazione, si dovrebbe dire che non c'è più nulla di oggettivo nella morale cattolica. È troppo chiedere un chiarimento?

di Riccardo Cascioli

In un precedente commento, mettendo in discussione l’opportunità delle conferenze stampa del Papa visto che sono fonte di innumerevoli incomprensioni e polemiche, ci eravamo soffermati tra l’altro sulla risposta data a proposito di aborto e contraccezione in merito al caso del virus Zika. Se sull’aborto le parole sono state più che chiare, tutti i giornali del mondo hanno invece “visto” l’apertura di Papa Francesco alla contraccezione. In realtà nelle parole del Papa si parlava di evitare la gravidanza che, nella prospettiva della procreazione responsabile, è azione lecita, ovviamente seguendo i metodi naturali di regolazione della fertilità. Quindi, dicevamo, niente apertura alla contraccezione sebbene la modalità della domanda, il linguaggio colloquiale, la risposta sommaria e una certa cialtroneria giornalistica hanno inevitabilmente creato “il caso”.

Ora però accade che il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, ci abbia clamorosamente smentito dando invece ragione a chi ha parlato di apertura alla contraccezione, oltretutto dando l’impressione che – “in casi di emergenza” – sia già un insegnamento tradizionale della Chiesa. Riprendiamo le parole esatte di padre Lombardi, in una conversazione per Radio Vaticana (rispondendo alla domanda se è vero che il Papa ha aperto alla contraccezione), perché pongono problemi che vanno ben oltre il caso specifico:

«(…) Il Papa distingue poi nettamente la radicalità del male dell’aborto come soppressione di una vita umana e invece la possibilità di ricorso a contraccezione o preservativi per quanto può riguardare casi di emergenza o situazioni particolari, in cui quindi non si sopprime una vita umana, ma si evita una gravidanza. Ora non è che lui dica che vada accettato e usato questo ricorso senza nessun discernimento, anzi, ha detto chiaramente che può essere preso in considerazione in casi di particolare emergenza. L’esempio che ha fatto di Paolo VI e della autorizzazione all’uso della pillola per delle religiose che erano a rischio gravissimo e continuo di violenza da parte dei ribelli nel Congo, ai tempi delle tragedie della guerra del Congo, fa capire che non è che fosse una situazione normale in cui questo veniva preso in considerazione. E anche - ricordiamo per esempio – la discussione seguita ad un passo del libro intervista di Benedetto XVI “Luce del mondo”, in cui egli parlava a proposito dell’uso del condom in situazioni a rischio di contagio, per esempio, di Aids. Allora il contraccettivo o il preservativo, in casi di particolare emergenza e gravità, possono anche essere oggetto di un discernimento di coscienza serio. Questo dice il Papa».

Riassumendo: secondo padre Lombardi – che interpreta il pensiero del Papa – la contraccezione non va bene, ma in alcuni casi (“di particolare emergenza”) si può fare, come già indicato concretamente da Paolo VI e Benedetto XVI. 

Il primo problema è che né Paolo VI né Benedetto XVI hanno mai avallato una posizione del genere. Sul caso delle suore del Congo, avevo già spiegato nel precedente articolo: semplicemente non si può parlare di contraccezione. Sul caso di Benedetto XVI è grave che il portavoce vaticano ignori la Nota della Congregazione per la Dottrina della Fede del 21 dicembre 2010 in cui si mette fine alle strumentalizzazioni sull’argomento chiarendo che – anche qui – la contraccezione non c’entra un bel nulla (leggi qui la Nota).

Inoltre dalle parole del portavoce vaticano appare che “evitare la gravidanza” e “usare i metodi contraccettivi” siano sinonimi. Ma non è quello che ha finora insegnato la Chiesa. Dice il Catechismo della Chiesa cattolica: «La continenza periodica, i metodi di regolazione delle nascite basati sull'auto-osservazione e il ricorso ai periodi infecondi [Cf ibid., 16] sono conformi ai criteri oggettivi della moralità. Tali metodi rispettano il corpo degli sposi, incoraggiano tra loro la tenerezza e favoriscono l'educazione ad una libertà autentica. Al contrario, è intrinsecamente cattiva “ogni azione che, o in previsione dell'atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo o come mezzo, di impedire la procreazione”».

In altre parole: regolazione della fertilità (con metodi naturali) sì, la contraccezione no. Anzi la contraccezione è «intrinsecamente cattiva» (no. 2270), vale a dire che non c’è alcuna circostanza che possa farla diventare accettabile. In Humanae Vitae e Familiaris Consortio l’esauriente spiegazione del caso: basti dire che il no alla contraccezione è solo un corollario all’affermazione della bellezza dell’amore coniugale. Diverso invece è l’utilizzo di questi strumenti per fini non contraccettivi, come appunto nei casi citati di Paolo VI e Benedetto XVI (per una sintetica descrizione di quanto la Chiesa insegna sulla contraccezione clicca qui).

Nel caso del virus Zika, oggetto della risposta di papa Francesco, parliamo invece di vera e propria contraccezione, oltretutto ponendo un rischio ipotetico di malformazione del feto tra «i casi di emergenza» (per capire le conseguenze del virus clicca qui). A questo punto è legittimo che un comune fedele chieda quali siano i casi di emergenza, e chi li decide: i motivi economici, laddove c’è grande povertà e miseria, rientrano in questi casi? Se sì, allora si giustifica anche l’uso della contraccezione nei Paesi in via di sviluppo o nei quartieri poveri delle città occidentali (si dovrà portare il 730 in confessionale per stabilire il confine?), e al diavolo decenni di lotte della Santa Sede alle Nazioni Unite per impedire le politiche di controllo delle nascite. E se il rischio di malformazioni del feto è il caso, allora per coerenza arriveremo a dire che la contraccezione è sempre giustificata perché nessuno ha la garanzia di un figlio sano.

Ma a parte l’introduzione di questa casistica, che farà felici i "dottori della legge", le parole di padre Lombardi indicano un oggettivo cambiamento del Magistero della Chiesa, il cui significato va ben oltre il caso in esame. Vale a dire che stiamo assistendo al cambiamento pratico del Magistero della Chiesa via intervista (anzi, attraverso un’intervista che vorrebbe chiarire una conferenza stampa). È una novità senza precedenti nella storia della Chiesa: saltato il Catechismo, ignorate un’enciclica (Humanae Vitae) e un’esortazione apostolica (Familiaris Consortio) per affermare un nuovo principio facendo finta che sia perfettamente coerente con la tradizione. Del resto, si può essere sicuri che quasi nessuno andrà a consultare catechismi, encicliche e documenti vari; a spiegare cosa dice la Chiesa ormai sono i titoli dei giornali.

Ma a questo punto – ed è qui che la questione diventa universale - qualsiasi altra affermazione definitiva del Magistero può essere messa in discussione: se ciò che la Chiesa ha sempre considerato un “male intrinseco” potrà diventare un giorno lecito, allora non c’è più nulla di oggettivo nella morale cattolica. E se è vero che il cristianesimo non è una morale, è altrettanto vero però che la morale è una conseguenza oggettiva del fatto cristiano, non è indifferente: il confine tra bene e male è netto e chiaro. Certe dichiarazioni – lo si voglia o meno - hanno la conseguenza di cancellare questo confine, tutto diventa relativo. E confuso per i semplici fedeli. È troppo chiedere un chiarimento?




MARTEDÌ 23 FEBBRAIO 2016

  «Formidabili quegli anni» di padre Scalese
 
 
Qualcuno potrebbe chiedersi se in questi anni di blackout informatico il sottoscritto sia diventato indifferente alle sorti della Chiesa. Ho piú volte citato su questo blog una delle Massime di perfezione cristiana del Beato Antonio Rosmini:
 
«TERZA MASSIMA: rimanere in perfetta tranquillità circa tutto ciò che avviene per disposizione di Dio riguardo alla Chiesa di Gesú Cristo, lavorando per essa secondo la chiamata di Dio».
 
Lo stesso Rosmini soleva ripetere due testi biblici: «In silentio et in spe erit fortitudo vestra» (Is 30:15); «Bonum est praestolari cum silentio salutare Domini» (Lam 3:26). Nei momenti di grave crisi, a nulla serve agitarsi e perdere la pace interiore: significherebbe dare la vittoria al nemico, che è all’origine della crisi. Meglio «aspettare in silenzio la salvezza del Signore», al quale la Chiesa solo appartiene. 
 
Ciò non significa però che uno smetta di pensare, di interrogarsi sul senso di quanto sta accadendo: la ricerca della serenità dello spirito non comporta l’arresto dell’attività della mente; Dio ci ha dato la ragione perché la usiamo per conoscere la realtà. E la conoscenza della realtà — qualunque essa sia, fosse anche la piú tragica — non è mai stata e non sarà mai inconciliabile con il sereno abbandono alla volontà di Dio. Anzi.
 
Quest’oggi Sandro Magister ha pubblicato sul sito www.chiesa un articolo in cui espone la posizione, per altro già nota, del Vescovo Marcello Semeraro a proposito della possibilità di dare la comunione ai divorziati risposati. Ebbene, per sostenere questa possibilità, si fa riferimento a una supposta “probata Ecclesiae praxis in foro interno”, che sarebbe stata in vigore negli anni Settanta. Era un po’ di tempo che andavo riflettendo sulla tendenza, che si è diffusa in questi ultimi anni, a tornare a quelli che Magister chiama i “felici anni Settanta”. 

Non so perché, ma mi viene in mente il libro che Mario Capanna pubblicò una trentina d’anni fa:Formidabili quegli anni, con riferimento alla contestazione del Sessantotto. Ecco, mi sembra che nella Chiesa oggi ci sia una grande nostalgia di quegli anni immediatamente successivi alla conclusione del Concilio Vaticano II: quello sí che era un periodo di grandi attese e di grandi speranze; la primavera iniziata col Concilio cominciava a diffondere i suoi effluvi; le gemme iniziavano a sbocciare; i prati si ammantavano di fori… Tutto lasciava sperare che la Chiesa, finalmente, dopo secoli di oscurantismo, sarebbe ringiovanita, si sarebbe riconciliata con il mondo e sarebbe diventata la casa aperta a tutti gli uomini di buona volontà. Ma poi venne improvvisamente l’autunno, un lungo, interminabile autunno, sfociato infine in un gelido inverno. Grazie a Dio, tre anni fa l’inverno è terminato; è arrivata di nuovo la primavera; e quindi diventa inevitabile tornare a quegli anni “formidabili”, per riprendere il cammino dove era stato interrotto, mettendo fra parentesi il cinquantennio trascorso. Non c’è bisogno di abrogarlo; basta ignorarlo, tamquam non esset
 
È abbastanza comprensibile che coloro che, nella loro gioventú, erano stati “sconfitti” e che avevano trascorso tutta la loro vita nella nostalgia del bel tempo che fu, nel risentimento per la sconfitta subita e nell’attesa che arrivasse il giorno della “rivincita”, ora che quel giorno — anche se forse con un certo ritardo — è arrivato, non vedano l’ora di dare attuazione a quei progetti che erano rimasti in sospeso, per dimostrare che la loro ricetta era quella giusta. Ma chiedo: è ragionevole comportarsi in questo modo? Attenzione: non chiedo se sia legittimo. 

Sarebbe troppo impegnativo dare una risposta in proposito; e inoltre non ho alcuna autorità per farlo. Mi limito solo a chiedere se sia ragionevole. È ragionevole pensare che si possano spostare all’indietro le lancette dell’orologio e far finta che il tempo trascorso non sia mai esistito? 
 
È un’illusione ricorrente nella storia. Pensate al Rinascimento: ci si illudeva di poter tornare all’antichità classica mettendo fra parentesi i mille (diconsi: mille!) anni dell’“oscuro” Medioevo. In quello stesso periodo il Protestantesimo (ma l’Umanesimo cristiano non fu da meno) pensava di poter tornare al Vangelo nella sua purezza originale. È l’illusione oggi nutrita da alcune frange tradizionaliste, le quali pensano che, per salvare la Chiesa, si debba tornare a prima del Concilio. Ma, a quanto pare, è anche l’illusione di quanti, pur considerandosi “progressisti”, identificano il “progresso” con ciò che si pensava e si faceva cinquant’anni fa. 
 
 
La storia non si ferma, né, tanto meno, torna indietro. La Chiesa in questi cinquant’anni (dal Vaticano II a oggi) ha fatto un cammino: sarebbe sciocco ignorarlo. Questo non significa che tutto ciò che è avvenuto sia giusto: possono esserci stati degli errori, ai quali si dovrà rimediare; ma ci sono state anche tante acquisizioni, che non potranno piú essere messe in discussione. In questi cinquant’anni i Papi che si sono avvicendati (diversi fra loro, ma con una sostanziale continuità) hanno approfondito col loro magistero la dottrina cattolica (si può ancora usare questo linguaggio?): mi sembra piuttosto arduo far finta che si possa tornare al periodo immediatamente postconciliare, quando sembrava lecito mettere tutto in discussione, come se ancora oggi si dovessero decidere questioni che sono state ormai da tempo definitivamente chiarite.
 
Oltre tutto, riproporre oggi le stesse ricette di cinquant’anni fa, come se non fossero mai state applicate, dimostra o malafede o scarsa capacità di giudizio. Mettendo da parte la malafede, che non sta a noi giudicare, rimane l’incapacità di guardarsi attorno e di “leggere” la storia. Se è vero che i vertici della Chiesa misero da parte le ricette che venivano proposte in quegli anni, preferendo percorrere, pur fra mille contraddizioni, l’accidentato sentiero della tradizione; è altrettanto vero che quelle ricette sono state attuate su base locale. Per cui abbiamo visto quali risultati abbiano dato: pensiamo all’Olanda (quest’anno ricorre il cinquantenario del Nuovo catechismo), al Belgio, alla Francia, alla Germania… ci si aspetterebbe di trovare in questi paesi una Chiesa rigogliosa; e invece non si vede altro che… deserto.
 
Ma c’è un altro aspetto che gli innovatori — che, dopo tanti anni, sono riusciti a conquistare il potere nella Chiesa — sono portati a trascurare. I Papi che si sono succeduti in questi cinquant’anni, oltre a lasciare un imponente corpus dottrinale, hanno anche lasciato il segno nel corpo vivente della Chiesa: hanno plasmato generazioni di fedeli, che si sentono a loro legati in maniera irreversibile e che li considerano in qualche modo loro “padri”. I preti piú giovani della Chiesa d’oggi, quando hanno percepito e abbracciato la vocazione al sacerdozio? I laici del Family Dayin quale Chiesa sono cresciuti e si sono formati? Voi pensate che sia cosí facile cancellare da queste generazioni di cattolici l’impronta che i vari Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno lasciato nella loro carne?
 
Un’accusa ricorrente sulle labbra dei novatores è che la “vecchia” Chiesa sarebbe “ideologica”. Non si rendono conto che, se c’è un’ideologia, sono proprio le loro formule e i loro schemi mentali, gli stessi di cinquant’anni fa.


 



TRIESTE
 

All'inaugurazione della Scuola di dottrina sociale, Crepaldi ha parlato della legge sulle unioni civili con toni durissimi verso i parlamentari cattolici: «Per giustificarsi hanno strumentalizzato Giovanni Paolo II intestandosi meriti che non esistono». Secondo il prelato «le pessime leggi producono pessimi rapporti sociali, di questo passo il sistema totalitario sarà completato». C'è bisogno di una scuola per «ripartire dalle fondamenta e non dare più nulla per scontato»

di Stefano Fontana
Mons. Crepaldi


Parole forti e chiare quelle del Vescovo mons. Giampaolo Crepaldi nell’inaugurare a Trieste la seconda edizione della Scuola diocesana di Dottrina sociale della Chiesa, parole che vanno ben oltre l’ambito locale: «Non posso non riferirmi ad eventi politici e legislativi accaduti nei giorni scorsi – ha iniziano col dire - e che hanno scosso in profondità la politica italiana. Mi riferisco all’approvazione della legge sulle unioni civili».

Su questo argomento Mons. Crepaldi non ha cercato compromessi verbali: «Essa è stata anche un banco di prova per la presenza dei cattolici in politica, banco che ha fornito gravi elementi di forte delusione e di viva preoccupazione per il futuro». Egli ha anche rincarato la dose: ricordando una sua recente intervista pubblicata sul mensile Il Timone ha detto: «A questa intervista, il mensile aveva messo un titolo piuttosto negativo: “Quanti danni dai cattolici in politica”. Subito avevo considerato questo titolo eccessivo, ma dopo la votazione  sulla Cirinnà devo riconoscere che era invece realistico, purtroppo».

La valutazione del Vescovo sul comportamento dei senatori “cattolici” è entrata anche più nel particolare: «Durante la votazione a Palazzo Madama abbiamo assistito a molti atteggiamenti indecorosi da parte di molti senatori cattolici (di “cattolici senatori” credo che non ce ne sia più nemmeno uno). Qualcuno di loro ha perfino chiamato a testimone del proprio voto Giovanni Paolo II, con una citazione corsara del paragrafo 73 della Evangelium vitae. Altri hanno rispolverato il trito (e falso) argomento del “male minore” che avrebbe  evitato il male maggiore. Altri ancora si sono intestati meriti che non esistono, come aver evitato l’adozione per le coppie omosessuali».

«La legge approvata – ha aggiunto - è una pessima legge. Le pessime leggi non sono solo norme astratte sbagliate, ma danno vita a pessimi rapporti sociali, producono sofferenze e ingiustizie sulla pelle delle persone. E questa pessima legge è stata approvata con il voto decisivo dei cosiddetti “cattolici”».

Dalla valutazione dei comportamenti, Mons. Crepaldi è passato alla valutazione della situazione: «Pensare che i dieci comandamenti – che secondo il Catechismo rappresentano una “espressione privilegiata” della legge naturale (CCC n. 2070) - possano essere messi da parte in politica, distorce la dottrina della fede cattolica. Se a questo siamo ormai arrivati nella pratica di moltissimi cattolici impegnati in politica, vuol dire che dobbiamo ripartire dai fondamenti e che non possiamo più dare nulla per scontato».

Molti hanno pensato che si potesse e fosse perfino conveniente accettare il riconoscimento delle unioni civili per avere in cambio lo stralcio dell’adozione per le coppie gay. Ma secondo l’Arcivescovo si tratta di una prospettiva miope: «Chi oggi accetta le unioni civili omosessuali e le equipara alla famiglia commette una grave ingiustizia e si prepara a commetterne altre in futuro. Se non ci sono criteri per votare contro l’unione omosessuale, perché dovrebbero esisterne, domani, per votare contro l’adozione? E perché dovrebbero esisterne dopodomani per votare contro l’utero in affitto? Non facciamoci ingannare. Chi sposta oggi in avanti il limite del lecito, domani lo sposterà ancora un po’ più avanti, e così via».

Il motivo di questo progressivo cedimento, ha detto Mons. Crepaldi, è semplice ed evidente: «Se è nelle nostre mani infrangere oggi un principio della legge morale naturale, non si capisce perché non possa essere nelle nostre mani infrangerne un altro domani. Si avvia così un processo che si fermerà solo ad un punto: quando saranno resi non negoziabili i principi contrari a quelli non negoziabili; quando diventerà obbligatorio non rispettare i principi della legge morale naturale. A quel punto, però, il sistema totalitario sarà completato».

Tornando alle finalità della Scuola di Dottrina sociale che si accingeva ad inaugurare a Trieste, egli ha aggiunto: «A cosa serve formare dei cattolici in modo talmente generico e debole da dover sopportare poi il loro “sì” a leggi pessime?». Abbiamo bisogno di politici cattolici che si battano per il bene contro il male, disposti anche a pagare qualcosa quando questa scelta si fa acuta: «La volontà, scriveva Benedetto XVI nellaSpe salvi, deve avere davanti a sé la ragione che le indica il vero, e la ragione deve avere davanti a sé la speranza cristiana che dà la forza del sacrificio per il rispetto della verità».

Siccome il tradimento del voto cattolico in Senato ha riguardato fondamentali della legge morale naturale, L’Arcivescovo Crepaldi ha concluso proprio su questo punto: «Formare laici cattolici che, al momento della prova politica, non si dimentichino di essere cattolici e di avere alle spalle la Chiesa con i suoi insegnamenti, compresa la difesa della legge morale naturale, ossia del progetto di Dio Creatore sulla comunità umana. Chi la nega o non la rispetta, dovrebbe dirci con cosa intenda sostituirla come criterio per discernere il bene e il male nelle relazioni sociali che non sia solo la ragione del più forte».













Caterina63
00venerdì 1 aprile 2016 19:36

Lutero, Cantalamessa, e la Resurrezione dal modernismo


 



 



 
L'ultima predica del venerdì santo 2016, pronunciata nella basilica di S. Pietro dal P. Raniero Cantalamessa, contiene affermazioni che feriscono profondamente il cuore dei buoni cristiani.
Si tratta di un'interpretazione falsa della dottrina della giustificazione di Lutero, ascrivendo allo stesso eresiarca un merito, quando invece il suo pensiero in materia è un grandissimo errore contro la Misericordia divina.
Riporto le gravi affermazioni del Predicatore della Casa Pontificia:
"…la giustizia di Dio è l’atto mediante il quale Dio rende giusti, a lui graditi, quelli che credono nel Figlio suo. Non è un farsi giustizia, ma un fare giusti.
Lutero ha avuto il merito di riportare alla luce questa verità, dopo che per secoli, almeno nella predicazione cristiana, se ne era smarrito il senso. E’ di questo soprattutto che la cristianità è debitrice alla Riforma, di cui il prossimo anno ricorre il quinto centenario. “Quando scoprii questo, scrisse più tardi il riformatore, mi sentii rinascere e mi pareva che si spalancassero per me le porte del paradiso”. Ma non sono stati né Agostino né Lutero a spiegare così il concetto di “giustizia di Dio”; è la Scrittura che lo ha fatto prima di loro…"
Perché queste affermazioni sono così gravi? 
 
Quando insegno il catechismo ai bambini della I Comunione, e devo loro spiegare cosa vuol dire che la Grazia ci fa santi, faccio loro questo esempio:
"Una ricca signora aveva nella sua villa due domestiche: una si chiamava Linda l'altra Polverosa. Quando Polverosa spazzava, non avendo voglia di portare via la sporcizia, la nascondeva sotto il tappeto. Invece Linda puliva a fondo e portava via subito nell'inceneritore lo sporco raccolto. Chi delle due è la domestica migliore?"
I bambini rispondono in coro: "Linda!"
 
Al che pongo una seconda domanda:
"Secondo voi, quando Gesù ci lava con il suo Sangue nel Battesimo e nella Confessione, distrugge i nostri peccati per davvero, oppure li mette sotto un tappeto, facendo finta di 
non vederli?"
E i bambini in coro: "Li distrugge!"
 
Adesso traduco il tutto per i lettori "grandi". Polverosa rappresenta la dottrina della giustificazione di Lutero, l'imputazione estrinseca della giustizia: secondo questa teoria (1), il buon Dio non distruggerebbe i peccati dell'uomo, ma gli imputerebbe - estrinsecamente e arbitrariamente - la sua giustizia; è così il predestinato (colui a cui è capitato in mano il più fortunato dei gratta e vinci, nella lotteria del servo arbitrio) si ritrova ad essere simul iustus et peccator, nello stesso tempo giusto e peccatore.
La giustificazione dell'uomo si riduce così ad essere un velo pietoso su un cadavere putrefatto.
 
Come può permettersi di asserire,  il noto frate cappuccino, che "Lutero ha avuto il merito di riportare alla luce questa verità"?
 
Ad errore particolarmente grave, lo Spirito Santo ha suggerito a suo tempo un formidabile antidoto: il decreto sulla giustificazione (la Linda dell'aneddoto), promulgato dal Concilio di Trento, in data 13 gennaio 1547:
"Mediante la libera accettazione della grazia, l'uomo da ingiusto diventa giusto, da nemico amico, ed erede secondo la speranza della vita eterna".
Possiamo e dobbiamo dunque credere fermamente che il nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, ogni qual volta gli chiediamo perdono, distrugge radicalmente i nostri peccati, bruciandoli nel fuoco della fornace ardente della carità del suo Cuore; giacché una sola goccia del suo Sangue - che pur Egli ha voluto versar tutto quanto ne scorreva nel suo Corpo -salvum facere totum mundum quit ab omni scelere, può salvare tutto il mondo (e non solo pochi predestinati), da ogni peccato (numero, genere, varietà e profondità di radicamento nell'anima).
 
Questo i cattolici credono; Lutero non lo ha mai creduto.
 
Il pensiero di Lutero, tanto decantato dal P. Cantalamessa, è quanto di più subdolo si possa opporre alla vera Misericordia di Dio, quasi che questa possa lasciare il peccatore nella sua miseria, simul obiectum misericordiae et peccator; la vera misericordia non è quella che semplicemente ha compassione di Maria di Magdala, ma quella che ha fatto di lei un grandissima santa, avendone cacciato sette demoni; è quella che ha fatto sì che il ladrone Disma, che aveva riconosciuto la giustezza del supplizio a cui era sottoposto, entrasse per primo in Paradiso tra i figli di Adamo; è quella che ha fatto, del soldato che ha colpito - a nome di tutta l'umanità peccatrice - il Divin Cuore, San Longino...
 
La radicale sfiducia nella grazia di chi ha pur fatto del sola gratia la sua bandiera, fa capolino negli interventi di chi vuole sovvertire la dottrina della Chiesa sull'Eucarestia e sul matrimonio; si rivede un radicato pessimismo nei confronti di quei fratelli verso i quali si vorrebbe esercitare la misericordia. Da un lato le persone con tendenza omosessuale e i divorziati risposati sarebbero soggetti ad una concupiscenza invincibile - sempre di sapore luterano - giansenista -, per cui si ha persino paura a proporre loro la Verità di Cristo; dall'altro lato si dimentica che non c'è più nessuna condanna per coloro che sono di Cristo Gesù, che cioè la Misericordia di Dio non solo ci accoglie come siamo (lasciandoci simul iusti et peccatores), ma ci  vuole veramente liberare, guarire, bruciare il nostro stato di peccato... far di noi dei grandi santi.
 
"Anziché gustarmi il gaudio della Resurrezione - mi vien da dire - mi ritrovo con le mani in mezzo alla sporcizia?"
Mi rispondo: "Gesù, attendo in questa notte non solo la Tua Resurrezione, ma anche quella della tua Chiesa. Lo so che questa, a differenza Tua, non è mai morta e non può morire; ma come il Tuo Corpo unito alla Divinità giaceva tutto legato dalle bende, così il Corpo della Chiesa, pur non esanime, giace come legato dai lacci del modernismo.
Come il Tuo Corpo reale è passato attraverso le bende, che non lo hanno potuto imprigionare, così  il Tuo Corpo mistico possa svincolarsi oggi dai lacci del modernismo.
 
Buona Pasqua a tutti!
 
NOTE
 
(1) Riprendo qui ampi stralci di un mio precedente articolo: L'imputazione estrinseca della misericordia.






 

Müller, Riforma: nulla da celebrare per i cattolici
Non c’è nessuna ragione, per un cattolico, per celebrare l’inizio della Riforma protestante. Questa è l’opinione espressa dal Prefetto della Congregazione della Fede, il card. Gerhard Müller.

 
 

Non c’è nessuna ragione, per un cattolico, per celebrare l’inizio della Riforma protestante. Questa è l’opinione espressa dal Prefetto della Congregazione della Fede, il card. Gerhard Müller, in una lunga intervista-libro “Informe sobre la Esperanza”. I cattolici, ha detto il porporato “non hanno nessuna ragione per celebrare” l’inizio della Riforma.  

Il 31 ottobre 1517 è la data, normalmente considerata l’inizio del movimento protestante; l’anniversario verrà celebrato con particolare solennità quest’anno. “Noi cattolici non abbiamo nessuna ragione per celebrare il 31 ottobre 1517 la data che è considerata l’inizio della Riforma che avrebbe condotto alla rottura della cristianità occidentale”. Fu allora che Martin Lutero rese pubbliche le sue 95 tesi, affisse alla porta della chiesa di Wittemberg. In esse non veniva proposta una separazione dalla Chiesa, ma le tesi ne furono certamente il punto di inizio.  

Afferma il card. Müller: “Se siamo convinti che la divina rivelazione è custodita intera e immutata nella Scrittura e nella Tradizione, nella dottrina della Fede, nei sacramenti, nella costituzione gerarchica della Chiesa per diritto divino, fondato sul sacramento dei sacri ordini, non possiamo accettare che esistano ragioni sufficienti per separarsi dalla Chiesa”.  

E’ probabile che le sue affermazioni faranno rumore, dal momento che fra qualche mese verrà celebrato il primo mezzo millennio dalla Riforma. Fra l’altro, il Pontefice si recherà in Svezia a ottobre per una commemorazione ecumenica insieme con i rappresentanti della Federazione Luterana mondiale e altre confessioni cristiane. Il cardinale ricorda che molti esponenti della Riforma definirono il papa come Anticristo per “giustificare la separazione” dalla Chiesa cattolica. 



Problemi di coscienza in Norvegia per le “nozze gay”

Bernt Ivar Eidsvig

(di Tommaso Scandroglio) Il “matrimonio” gay in Norvegia è legale dal 2009. Di recente la Chiesa luterana ha aperto anche lei le porte alle “nozze” omosessuali, fermo restando la possibilità per ogni pastore di sollevare “obiezione di coscienza” e quindi di rifiutarsi di celebrare il rito.

A motivo di questa apertura e temendo di ricevere pressioni dal governo, il vescovo di Oslo Bernt Ivar Eidsvig ha dichiarato al sito Cns che la Chiesa cattolica norvegese ha chiesto alla Santa Sede il permesso di non celebrare più matrimoni in nome dello Stato. «È evidente che dobbiamo distinguere fra i matrimoni celebrati nella nostra Chiesa e gli altri – ha affermato Mons. Eidsvig –. I politici potrebbero diventare aggressivi contro le chiese che resistono ad officiare queste cerimonie, quindi la migliore opzione è smettere di celebrare matrimoni in nome dello Stato».

Il ragionamento del vescovo di Oslo è chiaro: celebrare matrimoni con effetti anche civili potrebbe in futuro esporre a pressioni i sacerdoti in merito alle “nozze” gay. Meglio allora troncare questa collaborazione. In merito poi alla decisione della Chiesa luterana, Mons. Eidsvig ha sottolineato che nonostante ci sia la volontà di «mantenere buone relazioni con la chiesa luterana, non capiamo la loro decisione e speriamo che ci ripensino».

Infine Eidsvig e altri leader protestanti hanno firmato una dichiarazione congiunta in cui si afferma che il “matrimonio” omosessuale viola «non solo la visione cristiana del matrimonio, ma anche quella storica e universale». La preoccupazione di Mons. Eidsvig è la medesima che aveva espresso tempo fa l’arcivescovo scozzese Philip Tartaglia il quale, all’indomani del varo della legge sui “matrimoni” gay nel suo Paese, aveva rilasciato la seguente dichiarazione: «Non si può escludere l’eventualità che, in futuro, alcune persone avvieranno un’azione legale contro un prete cattolico o la stessa Chiesa, perché non saranno disposte a celebrare matrimoni gay».

In giro per il mondo ci sono già segnali che potrebbero far prevedere future pressioni dei governi sulle varie confessioni religiose al fine di obbligare i ministri di culto a celebrare le “nozze” gay. Nel 2013, poco dopo che il governo inglese aveva legittimato i “matrimoni” tra persone dello stesso sesso, un suddito di Sua Maestà aveva citato in giudizio una parrocchia anglicana perché il parroco si era rifiutato di celebrare le “nozze” tra lui e il suo compagno.

Una causa simile è in corso negli States, dove un abitante di Coeur d’Alene, nell’Idaho, ha trascinato in giudizio i pastori Donald e Evelyn Knapp perché non vogliono aprire le porte della loro cappella nuziale ad una coppia omosessuale. I sacri e laicissimi principi della separazione tra Stato e Chiesa e della libertà individuale (tra cui quella religiosa) potrebbero sciogliersi come neve al sole dell’ideologia gender.

Il divieto di discriminazione potrebbe avere la meglio su principio di laicità dello stato. Anzi a ben vedere questo stesso principio usato mille volte per limitare la libertà della Chiesa cattolica, per costringerla a non esprimersi su questioni come l’aborto, l’eutanasia, la fecondazione artificiale, il divorzio, l’educazione nelle scuole, ora rivelerebbe il suo vero volto, il volto di uno stato statalista il quale non solo stringe all’angolo le confessioni religiose, rinchiudendo la pratica di fede nell’angusto perimetro della vita privata, ma facendo violenza alle stesse obbligandole ad importare riti e regole (in) civili. L’evoluzione del fenomeno “matrimonio” gay mette dunque in evidenza una dinamica classica di ogni ideologia fatta propria dal potere di una nazione: togliere spazio alla libertà religiosa e sostituire quello spazio mancante con buone dosi di pratiche contrarie alla fede e alla morale naturale.

La proposta di Mons. Eidsvig allora potrebbe essere non solo opzione obbligata ma addirittura scelta provvidenziale. Infatti ricorderebbe a tutti che l’unico matrimonio esistente per il battezzato è quello sacramentale, cioè celebrato in forma canonica, e che quello civile ha un’importanza secondaria; che gli effetti giuridici del matrimonio per i battezzati si generano dal matrimonio sacramentale e non viceversa; che è opportuno recidere alcuni cordoni ombelicali tra Chiesa e Stato quando attraverso essi il veleno di idee contro Dio e l’uomo può infettare tutta la vita della Chiesa e che lo Stato è a servizio delle vere esigenze dell’uomo e non delle sue perversioni.

Da ultimo la proposta del vescovo di Oslo implicitamente pone alla coscienza di tutti i credenti questa domanda: cosa hanno a che far i cattolici e la stessa Chiesa cattolica con questi Stati che varano leggi per sterminare i bambini nel ventre delle madri, per sopprimere i moribondi nei letti degli ospedali, per uccidere i matrimoni con il divorzio, per fabbricare esseri umani in provetta, per favorire la pornografia e la prostituzione, per esautorare i genitori dall’educazione dei propri figli e infine per “unire in matrimonio” due persone omosessuali?

(Tommaso Scandroglio)



Caterina63
00lunedì 16 maggio 2016 14:11

Francesco: "Io posso dire: sì. Punto"


È così che il papa ha risposto alla domanda se è cambiato qualcosa rispetto alla disciplina precedente sulla comunione ai divorziati risposati. Un teologo domenicano spiega qual è questa novità. Ma come sarà messa in pratica? 

di Sandro Magister




ROMA, 16 maggio 2016 – A distanza di quasi due settimane, non una sola riga è ancora apparsa su "L'Osservatore Romano" riguardo al monumentale discorso pronunciato dal cardinale Gerhard L. Müller il 4 maggio a Oviedo per una retta interpretazione dell'esortazione postsinodale:

> Esercizi di lettura. La "Amoris laetitia" del cardinale Müller

Mentre viceversa quasi ogni giorno trovano inutile spazio sul giornale della Santa Sede i panegirici dell'uno o dall'altro cardinale o vescovo in lode del documento papale.

Eppure Müller è il prefetto della congregazione per la dottrina della fede. E in quel suo discorso non fa che esercitare al meglio il suo ruolo di "strutturazione teologica" del magistero di Francesco, cioè di "collaborazione attiva al ministero proprio del papa", a beneficio del "popolo di Dio" tutto.

Quello che segue è un altro intervento che si muove nella stessa linea di lettura, puntuale e costruttiva, della "Amoris laetitia", e in particolare di quella sua piccola nota a piè di pagina che ne è diventata la croce interpretativa.

È la nota 351, salutata dai progressisti come l'apriti Sesamo della comunione ai divorziati risposati, ma in realtà non così assertiva come essi pretendono.

La nota va in coda a questo passaggio del paragrafo 305 dell'esortazione:

"A causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa".

E testualmente dice:

"In certi casi, potrebbe essere anche l’aiuto dei Sacramenti. Per questo, 'ai sacerdoti ricordo che il confessionale non dev’essere una sala di tortura bensì il luogo della misericordia del Signore' (Esort. ap. 'Evangelii gaudium' [24 novembre 2013], 44: AAS 105 [2013], 1038). Ugualmente segnalo che l’Eucaristia 'non è un premio per i perfetti, ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli' (ibid., 47: 1039)".

Come va inteso questo punto chiave della "Amoris laetitia"? A rispondere a questa domanda, qui di seguito, è padre Thomas Michelet, dell'ordine di san Domenico, francese, studi teologici a Friburgo in Svizzera, docente alla pontificia università San Tommaso d'Aquino di Roma, nota come "Angelicum".

Questo suo commento è apparso inizialmente in francese su "Riposte Catholique":

> Thomas Michelet analyse la note 351 d'"Amoris laetitia"

Un elemento chiave dell'analisi di padre Michelet è il credito che egli dà alla risposta di papa Francesco – nella conferenza stampa sul volo di ritorno dall'isola di Lesbo – alla domanda se davvero ci sono ora nuove possibilità concrete che non esistevano prima, a sostegno dell'accesso ai sacramenti per i divorziati risposati.

Francesco rispose testuale, e Michelet lo fa notare: "Io posso dire: sì. Punto". E non importa che poco dopo, interpellato proprio sulla nota 351, il papa abbia anche detto: "Io non ricordo quella nota".

Perché il dato di fatto inoppugnabile resta: a giudizio di Francesco qualcosa di nuovo c'è. E quindi non si può più sostenere che continua a valere, immutato, quanto detto nella "Familiaris consortio" di Giovanni Paolo II, e basta.

Padre Michelet individua precisamente ciò che di nuovo avrebbe introdotto Francesco nella pastorale dei divorziati risposati, senza rompere esplicitamente con la dottrina di sempre sull'eucaristia e il matrimonio.

Ma come poi questo cammino – vagamente fatto intravedere dal papa – sarà compreso e messo in pratica nella Chiesa, è tutto da verificare. Gli inizi sono quelli di una Babele.

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"Amoris laetitia", nota 351

di Thomas Michelet O.P.



I commenti si moltiplicano, sempre più contrastanti, a proposito di una semplice nota dell'esortazione apostolica postsinodale "Amoris laetitia" sull'amore nella famiglia, l'ormai celebre nota 351.

Da una parte il vescovo Athanasius Schneider, il professor Robert Spaemann, il professor Roberto de Mattei e alcuni altri denunciano un cambiamento di disciplina contrario alla dottrina cattolica, che consisterebbe nell'accordare la comunione ai divorziati risposati; cosa che in effetti certi pastori imprudenti e mal consigliati dichiarano ormai possibile.

Ciò porterebbe dunque a dire che si può ricevere l'eucaristia in stato di peccato grave, oppure che il risposarsi dopo un divorzio non è un peccato grave, il che significherebbe quindi che il matrimonio non è un impegno esclusivo e indissolubile. La tappa successiva sarebbe di procedere a benedizioni delle seconde nozze civili, o anche a dei secondi matrimoni sacramentali.

Inutile dire che tutto ciò è perfettamente contrario all'insegnamento della Chiesa, fondato sulla Parola di Dio. Su questo non c'è questione.

Dall'altra parte il cardinale Müller, il cardinale Burke e la maggior parte dei vescovi affermano invece che il documento non ha cambiato in nulla la dottrina e la disciplina della Chiesa, quale esposta da papa Giovanni Paolo II nella "Familiaris consortio", n. 84.

È ciò che sostiene anche il cardinale Schönborn, incaricato della presentazione ufficiale del documento in sala stampa, al quale ha rinviato papa Francesco nella conferenza stampa al ritorno dall'isola di Lesbo.

Tuttavia, nella stessa occasione il papa ha risposto in maniera affermativa alla domanda se il documento cambiava concretamente qualcosa riguardo all'accesso alla comunione dei divorziati risposati: "Io posso dire: sì. Punto". È quindi difficile sostenere il contrario e tener fermo che niente è cambiato, contro il papa stesso.

In realtà, entrambe le posizioni sono vere. Da una parte il documento non ha cambiato la dottrina e la disciplina in ciò che ha di fondato sulla Parola di Dio, poiché non poteva farlo. Non serve a niente affermare che l'ha fatto, poiché non ne aveva il potere.

D'altra parte, qualcosa è pur cambiato, ma solo in ciò che poteva esserlo, senza toccare la dottrina e la disciplina che ne consegue. Come minimo si tratta di un cambiamento pastorale, nell'accoglienza e nell'accompagnamento a lungo termine. Ma c'è di più, a detta del papa.

*

La nota 351 fa seguito al numero 305 della "Amoris laetitia", che ricorda che in una situazione oggettiva di peccato è possibile non essere soggettivamente colpevoli.

È una dottrina ben stabilita, perché per fare un peccato mortale non basta una materia grave; ci vogliono anche una piena consapevolezza e un deliberato consenso (Catechismo della Chiesa cattolica 1415).

I confessori sanno bene che un penitente può non confessare un atto oggettivamente grave perché non ha idea che sia un peccato. Ora, non si può trasformare un "peccato materiale" in un "peccato formale". Se questo è il caso (ma bisogna accertarsene), il penitente può allora ricevere validamente l'assoluzione.

Ma il confessore ha al tempo stesso il dovere di rischiarare la coscienza deformata, al fine di riformarla; la cosa può prendere del tempo e richiede dunque un accompagnamento spirituale adeguato. Non basta ricordare la legge dall'esterno: occorre anche che la persona la comprenda e l'accolga veramente dall'interno. Il documento non dice niente di diverso.

Questo caso è già ben stabilito nella dottrina e nella pratica della Chiesa, anche se fa parte di quella "scienza del confessionale" che i fedeli si immagina non conoscano, poiché presuppone una buona formazione di teologia morale e una buona pratica del confessionale. La novità del documento è soprattutto qui: nel fatto di presentare in piena luce una pratica che prima restava nell'ombra, nel segreto del confessionale. Non perché essa fosse vergognosa, ma perché suppone delle chiavi di comprensione che molti non hanno e non possono avere.

Allora oggi questa pratica perfettamente legittima e fondata dottrinalmente si estende anche ai divorziati risposati? La nota 351 non lo dice espressamente. Ma neppure lo esclude.

Ora, se lo escludesse, ciò non cambierebbe in nulla la pratica attuale, quale esposta dalla "Familiaris consortio". Ma se uno afferra ciò che dice il papa, che cioè qualcosa che non esisteva prima è ora possibile, è allora lì che bisogna andare.

In un punto, il regime della "Familiaris consortio" è effettivamente cambiato. Non nel senso che dei peccatori coscienti del loro peccato grave vanno a ricevere la comunione: questo non è possibile e non lo sarà mai. Ma nel senso che delle persone che non sanno di essere nel peccato possono ricevere "l'aiuto dei sacramenti" fino a che prendono coscienza di questo peccato nell'accompagnamento spirituale. Esse cesseranno allora di riceverli, finché non avranno cambiato il loro stato di vita per conformarsi pienamente alle esigenze del Vangelo, secondo la "Familiaris consortio". Non si tratta di fare per loro un'eccezione; ma piuttosto di applicare a loro il regime generale già stabilito per tutti gli altri casi.

La "Familiaris consortio" stabiliva che non era possibile dare la comunione ai divorziati risposati, poiché si stimava che una tale ignoranza fosse impossibile nella loro situazione. In effetti, così come non si fa peccato senza saperlo né volerlo, allo stesso modo non c'è matrimonio senza che lo si sappia e lo si voglia. E quindi, o ogni attentato alla fedeltà del matrimonio era necessariamente colpevole, oppure, se la persona davvero aveva agito inconsapevolmente, ciò significava a colpo sicuro che il suo matrimonio sacramentale era nullo "ab initio", che non era mai esistito, mancando un vero consenso a ciò che è il matrimonio.

Ora, i progressi della psicologia e nello stesso tempo i "progressi" di una società confusa e senza punti di riferimento fanno sì che sempre più persone ignorino ciò che una volta era evidente per tutti. Con l'effetto che ciò che valeva per tutte le altre categorie di peccati lo diventa anche per i divorziati risposati. Non si può non constatare che questo accade. Anche se le condizioni sono estremamente strette, i casi sono sempre più numerosi, in proporzione con l'allontanamento dalla Chiesa.

Pur distinguendo le situazioni, Giovanni Paolo II aveva mantenuto la regola, per un motivo pastorale e dunque per una scelta prudenziale, al fine di evitare lo scandalo. Non è dunque contrario alla dottrina e alla legge divina che papa Francesco faccia un'altra scelta prudenziale, tenendo conto di queste possibilità di distorsione della coscienza, pur tenendo ferma la regola di evitare lo scandalo (AL 299).

Non è che si permetta ai peccatori di "arrangiarsi con la loro coscienza"; è che bisogna ormai partire da molto più lontano per poter riconciliare un peccatore con la Chiesa. Perché le coscienze sono sempre più deformate, e bisogna dunque anzitutto riformarle per permettere loro di avanzare su un cammino di perfezione.

Ma il papa è chiaro sul fatto che tutti sono chiamati alla conversione: "conversione missionaria" per i pastori; conversione alle esigenze del Vangelo per i peccatori. Semplicemente, questa conversione non può essere presentata come un preliminare e un ostacolo insormontabile; essa deve essere la meta mirata, verso la quale dirigersi risolutamente, anche se per questo ci vogliono tempo e tappe. Dio ha sempre fatto così con il suo popolo.

Quello che è sicuro è che questo documento è incomprensibile nel quadro di una "morale della legge" che è quella di Kant o dei giansenisti. Ma è perfettamente ricevibile nel quadro di una "morale della virtù" che è quella di san Tommaso d'Aquino, "doctor communis".

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A questa nota di padre Michelet ha reagito, sempre su "Riposte Catholique", il teologo Claude Barthe:

> "Amoris laetitia": l'abbé Barthe répond au Père Michelet

E questa è la controreplica:

> "Amoris laetitia": le RP Michelet répond à l'abbé Barthe

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Gli ultimi tre precedenti servizi di www.chiesa:

13.5.2016
> Sì, no, non so, fate voi. Il magistero liquido di papa Francesco
Non dice mai tutto ciò che ha in mente, lo lascia solo indovinare. Consente che si rimetta tutto in discussione. Così ogni cosa diventa opinabile, in una Chiesa dove ciascuno fa ciò che vuole

11.5.2016
> Esercizi di lettura. La "Amoris laetitia" del cardinale Müller
In un monumentale discorso in Spagna, il prefetto della dottrina della fede riconduce l'esortazione postsinodale nell'alveo della disciplina precedente della Chiesa. Troppo tardi. Perché ormai Francesco l'ha scritta in modo da far capire il contrario

9.5.2016
> Francesco, papa. Più infallibile di lui non c'è nessuno
Si mostra disposto a ridiscutere il dogma dell'infallibilità. Ma in realtà accentra in sé la pienezza dei poteri molto più dei suoi ultimi predecessori. Ed agisce come un monarca assoluto

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Per altre notizie e commenti vedi il blog che Sandro Magister cura per i lettori di lingua italiana:

> SETTIMO CIELO



Caterina63
00mercoledì 8 giugno 2016 23:04

Il bilancio dell’arcivescovo Negri: "Ho ridato voce al popolo cristiano"
 


Buon Ramadan nel ricordo delle Sorelle dei Poveri della Beata Teresa di Calcutta barbaramente assassinate dagli islamisti

by isoladipatmos

Con un messaggio del Vescovo Ambrogio Spreafico, responsabile per l'ecumenismo e per il dialogo inter-religioso della Conferenza Episcopale Italiana, sono stati rivolti a circa un milione e settecentomila musulmani residenti in Italia i più devoti auguri per un felice Ramadan ricco di frutti spirituali [cf. QUI].

Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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Suore di madre teresa assassinate

immagini di questo genere non devono turbare, perché esiste la grande aspirina europea dell'Islam moderato ...

A titolo puramente personale, vorrei informare i Lettori dell'Isola di Patmosche domani celebrerò una Santa Messa di suffragio per le anime sicuramente già sante di quattro martiri: le Piccole Sorelle dei Poveri della Beata Teresa di Calcutta, barbaramente assassinate nello Yemen il 4 marzo 2016 da un gruppo di islamisti [1], assieme a loro sono stati uccisi collaboratori volontari e anziani da loro assistiti [cf. QUI].

I nostri buoni Vescovi, Ambrogio Spreafico in testa, che è il responsabile per l'ecumenismo e per il dialogo inter-religioso della Conferenza Episcopale Italiana, gli auguri non li rivolgono di certo agli islamisti integralisti, ma al magico, anzi all'onirico Islam moderato, o com'ebbi a scrivere in un articolo al quale rimando: i buoni Vescovi si appellano alla grande aspirina europea dell'Islam moderato [cf QUI], mentre i loro fratelli episcopi che vivono in quelle regioni, indirizzano inutilmente a tutti loro parole di questo genere:

«Ho perso la mia diocesi. Il luogo fisico del mio apostolato è stato occupato dai radicali islamici che ci vogliono convertiti o morti […] voi pensate che gli uomini sono tutti uguali, ma non è vero. L’Islam non dice che gli uomini sono tutti uguali. I vostri valori non sono i loro valori. Se non lo capite in tempo, diventerete vittime del nemico che avete accolto in casa vostra» [cf. QUI].

Mentre con eleganza provocatoria, Sua Beatitudine il Patriarca di Antiochia dei Maroniti, Cardinale Béchara Pierre Raï, domandava all'Occidente:

«Che dicono gli "islamici moderati" di ciò che accade ai nostri cristiani di Mosul?»  [cf. QUI]

___________________

[1] Con il termine Islamismo si intendono un insieme di ideologie, invi incluse ideologie violente, le quali ritengono che l'Islam debba guidare la vita sociale e politica così come la vita personale di tutti i consociati. Si tratta di una concezione essenzialmente politica dell'Islam, teocratica, che all'occorrenza legittima anche la persecuzione delle altrui credenze religiose, la uccisione degli "infedeli" e la conversione forzata.



 

Caterina63
00giovedì 9 giugno 2016 11:35


«È omofobo difendere la famiglia?». L’omelia che ha scatenato l’inquisizione lgbt in Spagna



Giugno 9, 2016 Antonio Cañizares Llovera

L’arcivescovo di Valencia il cardinale Antonio Cañizares Llovera è stato accusato di essere «omofobo e razzista» da 53 associazioni e il Parlamento regionale si appresta a votare una mozione contro di lui


 

Il Parlamento regionale della Comunità di Valencia si appresta a votare una mozione di condanna dell’arcivescovo Antonio Cañizares Llovera. Il cardinale è stato accusato di «incitare all’odio contro omosessuali e femministe» da Lambda e altre 52 associazioni Lgbt. L’arcivescovo è stato accusato addirittura di «non essere cristiano», oltre che «razzista, omofobo e sessista». Pubblichiamo di seguito una nostra traduzione dell’omelia, pronunciata dal cardinale il 13 maggio nella cappella dell’università cattolica di Valencia, in occasione della chiusura del corso di studi sulla famiglia dell’Istituto Giovanni Paolo II. Il presule, pubblicandola integralmente sul suo sito, ha scritto: «È omofobo difendere la famiglia?».


Rendiamo grazie a Dio per il lavoro svolto, in questo corso e nei suoi oltre 20 anni di esistenza, dalla sezione spagnola dell’Istituto Giovanni Paolo II, al quale la Chiesa e il mondo intero devono molto per ciò che è stato fatto in tanti anni a favore della famiglia. È provvidenziale e significativo che l’università Cattolica di Valencia abbia voluto ospitare nella sua struttura e nella sua organizzazione questo istituto. Come ho detto anche ieri al Consiglio di direzione dell’università, essa deve avere come sua nota distintiva la collaborazione, l’aiuto e la promozione di indagini, studi e attività a favore della famiglia e della donna. E soprattutto dopo l’Esortazione apostolica di papa Francesco sulla famiglia, l’Amoris Laetitia, essa deve diventare oggetto nella nostra università di menzione e applicazione.


Con questa celebrazione di ringraziamento nell’anniversario della sua nascita, Nostra Signora di Fatima, proclamiamo chiaramente e appoggiamo in modo deciso e inequivocabile la famiglia, unione indissolubile nella gioia dell’amore, santuario della vita e sede ferma della speranza. Inoltre, in questo Anno della Misericordia, invochiamo anche la misericordia di Dio sopra la famiglia che ne ha tanto bisogno e che ne è essa stessa segno, perché nella famiglia si comprende e si riceve la misericordia. Una volta di più, facciamo attenzione in questa celebrazione al fondamento solido e gioioso della natura della famiglia, da sempre amata da Dio, alla difesa del diritto a formare e vivere in una famiglia, senza che questa venga soppiantata od oscurata da altre forme o istituti diversi, così come alla difesa del diritto primordiale alla vita, dal concepimento fino alla morte naturale.


Nella famiglia si gioca il futuro dell’uomo e di tutta la società. Sicuramente viviamo tempi non facili per la famiglia. L’istituto familiare è diventato oggetto di contraddizione: da una parte è l’istituzione sociale più apprezzata, almeno secondo i sondaggi, anche tra i giovani, dall’altra è scossa nelle sue fondamenta da gravi minacce. Esplicite o subdole. La famiglia oggi patisce nella nostra cultura innumerevoli gravi difficoltà e allo stesso tempo subisce attacchi importanti che nessuno può nascondersi. Ci sono leggi contrarie alla famiglia, l’azione ostile di forze politiche e sociali, alle quali aderiscono i movimenti dell’impero gay, di ideologie come il femminismo radicale o la più insidiosa di tutte, l’ideologia di genere. Questa situazione è così grave, e ha conseguenze tali per il futuro della società, che si può senza dubbio considerare la stabilità del matrimonio e della famiglia, insieme al suo sostegno e al riconoscimento pubblico, come il primo problema sociale, di attenzione ai più deboli e alle periferie esistenziali. Quando si attacca e si danneggia la famiglia, le relazioni umane più sacre vengono pervertite, si riempie di sofferenza e disperazione la vita di molti uomini e donne, e si proietta una tenebra di solitudine e indifferenza sulla storia e su tutta la vita sociale. Ecco perché c’è un grande bisogno di misericordia e di vivere la misericordia.


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La famiglia dovrebbe essere la prima grande priorità mondiale. Per l’esistenza dell’uomo, per le sue gioie e dolori, la famiglia è la cosa più determinante. Nella famiglia ciascuno è riconosciuto, rispettato e valorizzato per quello che è. La famiglia è il luogo dove l’uomo cresce, dove tutti apprendiamo a comprendere il mistero della vita e ad essere persone, cioè a relazionarci con Dio e gli altri in modo giusto, armonioso e misericordioso, adeguato alla verità del nostro essere. La famiglia, santuario dell’amore e della vita, esiste perché ogni persona possa essere amata per se stessa e impari a donarsi e ad amare.


Per questo la famiglia, e più precisamente il matrimonio e la verità del matrimonio, è indispensabile perché una persona possa riconoscere la verità del suo essere uomo. È fondamento insostituibile per la persona. Dove finisce la famiglia, cominciano facilmente la tempesta, l’emarginazione e i dolori più acuti. Chi può essere interessato a sradicare questo pilastro di tutti gli uomini e di tutta la società? Ecco perché, venendo incontro al più pressante e importante bisogno del momento storico attuale, papa Francesco con la sua Esortazione apostolicaAmoris Laetitia, ci conferma l’urgenza di scommettere e lavorare per il matrimonio e la famiglia, e di dedicare a questo compito i nostri maggiori sforzi ed energie, così come l’intelligenza e tutti gli altri mezzi che Dio ci concede.


Il matrimonio e la famiglia, con l’imprescindibile e inalienabile missione e lavoro educativo come prolungamento della trasmissione della vita, inoltre, si trovano al cuore stesso della vita della Chiesa e della sua missione, il modo concreto in cui la Chiesa prolunga l’incarnazione di Cristo e, come Lui, si rende amica dell’uomo e luce lungo il cammino. Il cammino della Chiesa, a partire da Cristo e dalla Sacra famiglia, è la famiglia, che è come dire che il cammino della Chiesa è l’uomo. L’uomo oggi è in una situazione di particolare pericolo, soprattutto, per gli attacchi diretti o subdoli per sfigurare la verità del matrimonio e della famiglia, che danneggiano la dignità costitutiva dell’essere umano e compromettono le possibilità sociali di uno sviluppo pienamente umano della sua personalità, del suo destino e della sua salvezza. È quindi imprescindibile ricordare, affermare e difendere l’importanza della famiglia come centro e cellula della società, come realtà fondamentale per lo sviluppo della personalità umana e per il futuro della società. L’Esortazione apostolica di papa Francesco, in piena continuità con gli insegnamenti dei Papi precedenti, è una porta aperta sulla speranza. Ci apre al futuro e conferma la nostra speranza, Perché afferma la necessità e l’incomparabile bellezza della famiglia basata sulla verità del matrimonio tra un uomo e una donna. È la famiglia il santuario della vita e la speranza della società. La parola del Papa e la sua testimonianza in favore della famiglia offrono a tutto il mondo la luce e il cammino per rafforzare la famiglia, dove si gioca il futuro dell’uomo.


Il bene dell’uomo e della società, infatti, è profondamente legato alla famiglia. Il futuro dell’umanità è forgiato nella famiglia: è indispensabile e urgente che tutti gli uomini di buona volontà si sforzino per salvare la famiglia, così come i valori e le esigenze che essa presenta. Tra le numerose strade dell’umanità, la famiglia è la prima e la più importante. È la strada da cui nessun essere umano può discostarsi. Quando manca la famiglia, si crea nella persona che viene al mondo una carenza preoccupante e dolorosa che peserà poi per tutta la vita.


È necessario essere lucidi, insisto, davanti alla situazione che sta attraversando la famiglia oggi. La gravità e il numero di questi problemi sono sotto gli occhi di tutti. Siamo in un momento storico nuovo della nostra società. Non possiamo smettere di preoccuparci di questi problemi che riguardano tutte le persone nel loro intimo. Invece, la nostra società sembra volere ignorare le sue difficoltà avanzando soluzioni superficiali e ingenue che ignorano le ripercussioni personali e sociali che producono. Tutti, senza eccezione, siamo obbligati a promuovere e rafforzare i valori e le esigenze della famiglia, andando oltre a ciò che spesso occupa il dibattito politico, sociale e culturale. La famiglia deve essere aiutata e difesa attraverso mezzi sociali adeguati e una nuova cultura, che sia precisamente la nuova cultura della famiglia e della vita, la nuova “civiltà dell’amore”, della gioia dell’amore, come ha detto papa Francesco.


La società ha la grande responsabilità di sostenere e rafforzare la famiglia e il suo fondamento, che è il matrimonio indissolubile tra un uomo e una donna, basato sull’amore e aperto alla vita. La stessa società ha il dovere inesorabile di proteggere e difendere la vita, il cui santuario è la famiglia, dotandola dei necessari mezzi economici, giuridici, educativi, di alloggio e lavoro perché possa rispondere agli scopi che corrispondono alla sua stessa natura e assicurarle prosperità e giustizia.


Non aiutare in modo debito la famiglia costituisce un atteggiamento irresponsabile e suicida che conduce l’umanità sulla via della crisi, del deterioramento e della distruzione con conseguenze incalcolabili. La Chiesa ha una responsabilità speciale nel rispondere alla grande urgenza del nostro tempo che è, con l’aiuto della misericordia di Dio, quella di “salvare la famiglia”, potenziarla e incoraggiarla, in modo conforme alla verità che la costituisce, inscritta dal suo creatore, il Dio uno e trino, nella sua più profonda essenza. La promozione e la difesa della famiglia, fondata sul matrimonio indissolubile, è la base di una nuova cultura dell’amore. Ciò che è contrario alla civiltà dell’amore, e pertanto alla famiglia, è contrario a tutta la verità sull’uomo e costituisce per lui una minaccia. Solo la difesa della famiglia aprirà il cammino alla civiltà dell’amore, all’affermazione dell’uomo e della sua dignità inviolabile, alla cultura della solidarietà e della vita. Solo la famiglia è la speranza dell’umanità.


Siamo chiamati ad aiutare le famiglie, in mezzo alle tante difficoltà che devono vivere oggi, a prendere coscienza della sue capacità ed energie, a confidare nella propria ricchezza, natura e grazia, e nella missione che Dio ha affidato loro. È necessario che le famiglie del nostro tempo tornino a rialzarsi. I cattolici hanno in questo una speciale responsabilità, che si traduce nell’annuncio e nella presenza del “vangelo della famiglia”.


La nostra università e l’Istituto Giovanni Paolo II, che si trova nel suo seno, deve tenere come sua caratteristica il riferimento, la cura e l’attenzione alla famiglia. Così affermava stamattina anche il Consiglio di direzione. Per questo motivo, con l’aiuto inestimabile di questo Istituto, e con l’apporto di tutti, questa università saprà promuovere e difendere la verità e la bellezza della famiglia. E fare tutto ciò che è in suo potere – cioè tanto – per la famiglia.


Foto Ansa


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Valencia. Dopo i manifesti blasfemi, migliaia di cattolici in piazza per la Vergine

All’offesa contro la religione, i cattolici rispondono in forze, con la preghiera. Il card. Cañizares, recentemente attaccato, spiega che è suo compito dire la verità, anche se “politicamente scorretta”

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Virgen de los Desamparados

Virgen De Los Desamparados - Flickr

La Chiesa militante è ancora viva. Lo hanno dimostrato non con sterili profluvi di parole, ma con una testimonianza visibile e massiccia, scandita dalla preghiera, i migliaia di cattolici scesi in strada a Valencia, giovedì scorso, ad onorare Maria Santissima.

Si sono riuniti nel tardo pomeriggio in Piazza della Vergine, rispondendo così alla convocazione del loro Arcivescovo, il card. Antonio Cañizares Llovera, di un atto di riparazione nel quale si è pregato il Santo Rosario, seguito da una Messa celebrata nella Cattedrale della città.

Il porporato ha deciso di mobilitare in questo raduno spirituale i fedeli della diocesi dopo che, nei giorni scorsi, sui muri della città spagnola erano apparsi dei manifesti blasfemi, che ritraevano un bacio tra la Virgen de los Desamparados e la Virgen de Montserrat (due Madonne particolarmente venerate a Valencia e in Catalogna) con la frase “Contro la sacra oppressione. Ama come ti pare”.

La sacrilega rappresentazione era stata affissa per pubblicizzare un “gay pride” nella città. Anche la Conferenza episcopale spagnola era intervenuta con una nota, nella quale si evidenzia che un simile manifesto “va ad alimentare una spirale che attenta contro il libero esercizio della libertà religiosa, così come la libera predicazione del Vangelo in una società pluralista”.

Spirale che aveva conosciuto appena qualche giorno prima un’altra tappa. Il card. Cañizares aveva osato criticare una legge in discussione nel Parlamento della Comunidad Valenciana, la quale, se approvata, obbligherebbe le scuole statali a svolgere corsi di educazione sessuale a bambini anche piccoli, prevedendo persino il cambio di sesso nei confronti dei minori, mediante percorsi farmacologici e chirurgici, anche senza il permesso dei genitori.

Contro Cañizares si era scatenato un fuoco di fila mediatico, come ha riportato ZENIT. La procura di Valencia ha aperto un fascicolo a seguito della denuncia presentata da alcuni gruppi lgbt nei suoi confronti, le toghe hanno confermato di aver avviato l’esame e che entro sei mesi decideranno se procedere o archiviare il caso. L’Arcivescovo di Valencia rischia una pena fino a tre anni, tale è la massima punizione prevista dalla legge per il reato di “incitamento all’odio”.

Malgrado la dura accusa ricevuta, il card. Cañizares giovedì scorso è apparso sereno, intento a rispondere con la preghiera a chi predica ostilità avvelenando il clima sociale e offendendo la sensibilità religiosa.

Egli ha precisato che questo atto di riparazione è offerto “per l’unità e la convivenza”, pertanto non va confuso con un “gesto politico o di protesta”. I fedeli – ha proseguito – si recano a pregare senza brandire alcun vessillo e senza ostentare sigle, ma “semplicemente mantenendo il senso religioso che questo atto richiama”.

L’Arcivescovo di Valencia ha chiesto di pregare per le vittime di Orlando, così come per tutte le vittime di violenze e terrorismo. Inoltre “per tutti coloro che sono perseguitati o maltrattati a motivo della loro fede, per la cessazione di ogni violenza contro la persona umana e la sua dignità”.

Ha sottolineato poi che rendere omaggio alla Virgen de los Desamparados – la cui statua è stata portata in processione – è un gesto in favore di tutti, nessuno escluso, perché questa Madonna “è parte della nostra identità culturale”, anche se taluni vorrebbero cancellarla a colpi di ideologia.

Non è mancato, nella sua omelia, un riferimento proprio all’ideologia gender. Ha ribadito che si tratta della “peggiore di tutte le ideologie della storia”, perché ha la pretesa di eliminare il concetto di “creazione” a beneficio di un’autodeterminazione dell’uomo nei confronti della propria natura.

Ha rilevato che, se avesse timore ad esprimersi così, lui sarebbe “un cattivo vescovo”. Per questo continuerà ad insegnare la verità, “anche se alcuni non lo tollerano”, alludendo a “gruppi politici o poteri economici”. Con riferimento alla legge la cui critica gli è costata la gogna pubblica, il cardinale ha invitato i cattolici a fare obiezione di coscienza.

“Devo andare controcorrente anche se questo è politicamente scorretto, come ha fatto Gesù”, ha soggiunto, ricevendo gli applausi scroscianti dei fedeli accalcati nella Cattedrale.  Al termine della celebrazione, l’Arcivescovo Cañizares ha impiegato molto tempo per uscire, giacché in tanti lo hanno avvicinato per manifestargli il loro sostegno e la filiale obbedienza. A concelebrare insieme a lui, come riferisce l’agenzia spagnolaAciPrensa, c’erano quasi cento sacerdoti, tra i quali alcuni vescovi.




Caterina63
00venerdì 24 giugno 2016 09:07
EDITORIALE
Don Massimiliano Pusceddu
 

Novità da Cagliari: il vescovo impone il silenzio al sacerdote che aveva citato nell'omelia un duro passaggio di San Paolo sull'omosessualità. Davvero triste lo spettacolo di un pastore disposto a sacrificare un prete per ingraziarsi chi comanda.

- "GRAZIE A DON MAX HO INCONTRATO CRISTO".

di Riccardo Cascioli

Divieto a tempo indeterminato di predicare e di prendere posizioni pubbliche; chiusura del canale You Tube con le sue omelie; sconfessione pubblica del sacerdote e scuse del vescovo a tutto il mondo gay. Sono queste in sintesi le misure prese dall’arcivescovo di Cagliari, monsignor Arrigo Miglio, nei confronti di don Massimiliano Pusceddu, il sacerdote reo di aver duramente criticato in una omelia le unioni civili e avere citato San Paolo per denunciare l’omosessualismo dilagante. Dell’omelia di don Pusceddu e del linciaggio mediatico a cui è stato sottoposto abbiamo riferito alcuni giorni fa (clicca qui). 

Una cagnara indegna nata da una voluta distorsione delle parole del sacerdote: aveva citato il brano della lettera di San Paolo ai Romani che, dopo una lunga intemerata contro chi lascia andare a passioni omosessuali,  conclude dicendo: «E pur conoscendo il giudizio di Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano la morte, non solo continuano a farle, ma anche approvano chi le fa». Ma i giornali hanno rilanciato affermando che don Massimiliano ha detto che «i gay devono morire». Da qui il crescendo di polemiche, culminate in una denuncia contro il prete e la raccolta firme per una petizione in cui si chiede la sua rimozione addirittura al Papa. Un gruppetto di Lgbt – provenienti da altre parti d’Italia - ha anche pensato bene di fare un picchetto davanti alla chiesa di Decimopotzu domenica scorsa.

Dopo qualche giorno di riflessione, l’arcivescovo ha dunque deciso di intervenire: per difendere il proprio sacerdote? Per difendere la Chiesa da attacchi pretestuosi? Per reclamare il diritto dei cattolici di leggere e meditare la Parola di Dio? Neanche per idea: il lungo comunicato (clicca qui) attacca direttamente don Pusceddu, reo di aver «falsato il pensiero di San Paolo», e chiede «scusa a nome mio e della nostra chiesa diocesana», Oltre all’annuncio delle sanzioni disciplinari di cui sopra.

È davvero triste lo spettacolo di un vescovo che corre a inginocchiarsi davanti al “padrone del mondo”, ovviamente nel nome della misericordia e del rispetto verso tutte le persone. Dice monsignor Miglio che San Paolo «nella stessa Lettera (c. 5 e 8), proclama senza ombre la Misericordia di Dio», come se ciò fosse in contrasto con la citazione fatta da don Massimiliano. In realtà proprio la misericordia presuppone la denuncia del peccato, tanto è vero che “ammonire i peccatori” è un’opera di misericordia spirituale, se ancora il vecchio Catechismo è in vigore. 

Fare finta che il peccato non esista, o non conti, rende inutile anche la misericordia: tanto più oggi che si confonde il male con il bene e tutto sembra lecito, per aprire la strada alla misericordia è importante indicare con chiarezza dove stanno male e bene. Casualmente proprio oggi la Chiesa celebra la solennità della nascita di san Giovanni Battista, che finì con la testa mozzata per aver ammonito pubblicamente il re Erode riguardo al suo rapporto peccaminoso con Erodiade. C’è da chiedersi se oggi non sarebbe stato silenziato prima da qualche vescovo.

Ma tornando a San Paolo, proprio i capitoli citati da monsignor Miglio per dimostrare l’errore di don Massimiliano, dimostrano esattamente il contrario. Se il capitolo 5 ci dice che «laddove è abbondato il peccato, sovrabbonda la grazia» (la grazia presuppone il peccato), nel capitolo 8 San Paolo ci dice che «non c’è più nessuna condanna», ma «per quelli che sono in Cristo Gesù». Insomma San Paolo chiede la conversione, coerentemente con la dura reprimenda del capitolo 1 contro chi si lascia andare a comportamenti depravati. Dice ancora nel capitolo 8: «Quelli infatti che vivono secondo la carne, pensano alle cose della carne; quelli invece che vivono secondo lo Spirito, alle cose dello Spirito. Ma i desideri della carne portano alla morte, mentre i desideri dello Spirito portano alla vita e alla pace. Infatti i desideri della carne sono in rivolta contro Dio, perché non si sottomettono alla sua legge e neanche lo potrebbero. Quelli che vivono secondo la carne non possono piacere a Dio».

Aldilà dell’interpretazione di San Paolo, però, la cosa che più amareggia e sconcerta è questo modo in cui un vescovo abbandona un proprio prete nelle mani di chi lo vuole eliminare in nome dell’ideologia che domina il mondo. Si tratta di episodi che purtroppo diventano sempre più ricorrenti, e che suonano come intimidazione per i sacerdoti che volessero seguire e annunciare l’insegnamento tradizionale della Chiesa. Al contrario infatti, preti che da decenni diffondono eresie dal pulpito e si rendono protagonisti di episodi discutibili, e per questo diventano beniamini dei media, proseguono indisturbati le loro attività pubbliche.

Ma non si vuole qui ridurre la gravità del fatto a considerazioni che potrebbero suonare ideologiche. Il punto è che il vescovo dovrebbe essere come un padre anzitutto nei confronti dei suoi sacerdoti: e quale padre esporrebbe suo figlio al pubblico ludibrio, anche se avesse commesso un errore? Quando un vescovo abbandona così un prete, è tutta la Chiesa che diventa insicura per i fedeli. Peraltro, colpendo don Massimiliano, monsignor Miglio ha colpito direttamente anche il movimento da lui fondato, gli Apostoli di Maria, ormai diffuso in tutta Italia e altrove nel mondo, il cui carisma consiste nella diffusione della preghiera del rosario nelle famiglie (vedi la testimonianza linkata).

Un’ultima nota: il comunicato del vescovo è arrivato alla vigilia del “Sardegna Gay Pride” che si svolgerà domani a Cagliari. Diventa difficile non pensare che si sia sacrificato un prete sperando nel quieto vivere o nella gratitudine dei partecipanti. Ma vale la pena dare un’occhiata allo spot che promuove questo gay pride, che coinvolge anche un ragazzino, per capire meglio a chi ci si sta sottomettendo (clicca qui).





 
22 giugno 2016 Vescovo

 

stemma diocesi cagliari«Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza». Queste parole di Gesù, riportate dal Vangelo di Giovanni nel discorso del Buon Pastore (Gv. 10,10), mi accompagnano da vari giorni in mezzo al clamore nato dall’ormai famosa omelia di don Massimiliano Pusceddu e successive dichiarazioni, a commento di un passo della Lettera ai Romani (c. 1) che, estrapolato dal suo contesto e dall’insieme dell’insegnamento paolino, ha provocato gravi fraintendimenti e ha falsato anzitutto il pensiero di san Paolo che, nella stessa Lettera (c. 5 e 8), proclama senza ombre la Misericordia di Dio.

La scorsa settimana il Portico ha già pubblicato una nota redazionale di netta presa di distanza, in risposta a una prima ondata di lettere e di messaggi che chiedevano chiarimenti. Contemporaneamente, unendosi alle parole di papa Francesco sulla strage avvenuta negli Stati Uniti a Orlando, il sito web della diocesi ribadiva la condanna di ogni forma di discriminazione. L’insegnamento della Chiesa è riassunto in modo chiaro ad esempio nel Catechismo della Chiesa Cattolica: senza dimenticare o nascondere la via indicata dal Signore bisogna però essere rispettosi e vicini a tutti, anche a chi non riesce ancora a seguire la strada da Lui proposta, senza giudicare nessuno, perché solo il Signore conosce fino in fondo le responsabilità di ciascuno. Nei giorni seguenti clamore e proteste sono aumentati superando ampiamente il livello locale, non solo per la facile diffusione nei social network ma per la delicatezza dell’argomento. Molte persone si sono rivolte a me personalmente, dicendomi la loro sofferenza e spesso la loro rabbia. Raccolgo e faccio mia la sofferenza di tutti coloro che si sono sentiti feriti in questa vicenda e chiedo scusa a nome mio e della nostra chiesa diocesana, perché un sacerdote, specialmente dall’altare, ma in realtà sempre, non rappresenta mai solo se stesso.

All’interessato rinnovo la richiesta di osservare un congruo periodo di silenzio totale.

A tutti chiedo di pregare ogni giorno per i sacerdoti, per chi sbaglia, per chi è accusato talora ingiustamente, e specialmente per i tantissimi che ogni giorno in silenzio servono il Signore e i fratelli, affinché non si scoraggino e sentano sempre vicino il Signore Gesù, specialmente quando respirano ostilità e incomprensione. Concludo ricordando quanto scriveva l’apostolo Pietro nella sua prima Lettera (3,15-16): «Pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi; tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto».

+ Arrigo Miglio



Se il mostro è un prete contrario alle unioni gay
di Riccardo Cascioli
19-06-2016

Don Massimiliano Pusceddu

Stai a vedere che il vero responsabile della strage di Orlando è un prete della diocesi di Cagliari. È il sospetto che viene leggendo l’ampio servizio che il sito del Corriere della Sera ha dedicato a don Massimiliano Pusceddu, definito «prete anti-gay», e ora addirittura oggetto di una petizione indirizzata al Papa, in cui se ne chiede la rimozione, e che – dice il Corriere – ha già raccolto migliaia di firme. Cosa c'entra il parroco sardo con Orlando? Il Corriere mette in rilievo che don Pusceddu in una omelia del 28 maggio, pochi giorni prima della strage nel locale gay della città della Florida, avrebbe detto che «gli omosessuali, come ricorda Dio, meritano la morte». 

In realtà, diciamolo subito, don Pusceddu non ha affatto detto così(ci torneremo più avanti) e basta ascoltare l’omelia per rendersene conto. Eppure, ancor prima del Corriere, altri giornali avevano montato il caso del prete che «vuole la morte dei gay»: Il Fatto quotidiano, L'Unione Sarda e anche la trasmissione radiofonica La Zanzara, in cui peraltro don Pusceddu ha spiegato il senso delle sue parole.

Ma il vero capo d’accusa è il giudizio riservato alla legge sulle unioni civili che «è un colpo al cuore della famiglia» e lo ha fatto citando la Genesi e ricordando che «la verità va predicata sempre». Certo, il vivace amministratore della parrocchia di San Lucifero vescovo a Vallermosa, non ha usato giri di parole per spiegare la situazione: il primo luogo di trasmissione della fede è la famiglia, e «che idea di fede possono trasmettere due omosessuali? Che uno può essere maschietto e sentirsi femminuccia? Tutte porcherie che vanno condannate nella predicazione», ha detto. Parole dure, senz’altro, soprattutto tenendo conto del clima culturale in cui siamo immersi, ma parole che il popolo può capire senza equivoci. Del resto don Pusceddu lo ha detto chiaramente: non dobbiamo compiacere il mondo, la nostra mentalità deve essere quella di Cristo. «Noi abbiamo la Parola di Dio – ha detto – da qui dobbiamo partire, dobbiamo predicare quello che c’è scritto qui». Ed è a questo punto che ha citato la lettera di San Paolo ai Romani (capitolo 1, versetti 26 e seguenti):

«Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; le loro donne hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura. Egualmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini, ricevendo così in se stessi la punizione che s'addiceva al loro traviamento. E poiché hanno disprezzato la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in balìa d'una intelligenza depravata, sicché commettono ciò che è indegno, colmi come sono di ogni sorta di ingiustizia, di malvagità, di cupidigia, di malizia; pieni d'invidia, di omicidio, di rivalità, di frodi, di malignità; diffamatori, maldicenti, nemici di Dio, oltraggiosi, superbi, fanfaroni, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati, sleali, senza cuore, senza misericordia. E pur conoscendo il giudizio di Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano la morte, non solo continuano a farle, ma anche approvano chi le fa».

Si potrà ovviamente discutere sull’opportunità o meno di calcare la mano su certi concetti, sulla necessità di evitare fraintendimenti pur citando la Parola di Dio (è evidente che San Paolo non pensa alla pena di morte o a stragi in locali gay), sull’opportunità di ricordare almeno che la Chiesa distingue tra il peccato e il peccatore. 

Ma alla fine queste sono cose secondarie; quel che conta veramente è che oggi basta che un prete si esprima contro le unioni omosessuali per diventare il “mostro” da sbattere in prima pagina. Basta dire in una omelia che l'atto omosessuale è peccato mortale e si finisce nel tritacarne dei media. Non serve neanche l’intervento dei giudici, basta lanciare il filmato dell’omelia in rete, costruirci sopra il passato “torbido” dell’inquisito (alcuni presunti “precedenti” di don Massimiliano sono esilaranti), e immediatamente il prete diventa oggetto di pubblica indignazione. Quanto basta per scoraggiare tanti altri preti – se mai avessero pensato di farlo – dal ricordare pubblicamente ai fedeli cosa dicono la Bibbia e il Catechismo a proposito di certi peccatucci. Chi lo facesse peraltro, sa che quasi certamente non potrebbe sperare in un intervento del proprio vescovo a sua difesa.

Così, senza neanche il bisogno di una legge sull’omofobia, non solo si tappa la bocca a qualsiasi forma di dissenso, ma si riesce a cambiare anche la dottrina della Chiesa. Figurarsi cosa accadrà quando il ddl Scalfarotto diventerà legge.

 







Caterina63
00mercoledì 6 luglio 2016 19:17

Padre Cavalcoli: “Quando parla a braccio, papa Francesco crea pasticci”.... 

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cavalcoli

” Perchè la Chiesa dovrebbe chiedere scusa ai gay?  Certe dichiarazioni del Papa sono imprudenti”. Lo afferma in questa intervista a Lafedequotidiana il noto teologo domenicano padre Giovanni Cavalcoli.

Padre Cavalcoli, il Papa dice che la  Chiesa deve chiedere perdono anche ai gay, è d’accordo?

” No, non vedo perché. Il problema è complesso. Il Papa è il Vicario di Cristo sulla terra per  i cattolici, progressisti e conservatori,  va rispettato. Però, con altrettanta franchezza dico che sta perdendo colpi, ha delle uscite, come questa sui gay,  poco spiegabili, che turbano o per lo meno sconcertano”.

E allora?

” Penso che il Papa volesse dire un’altra cosa, ammonire dal rischio di una condotta anche verbale troppo dura e senza misericordia verso i gay e questo è giusto, qualche volta è accaduto. Però avrebbe dovuto e potuto associare a quella affermazione una seconda parte nella quale ricordava la gravità morale del peccato di sodomia, vale a dire completare il discorso. Penso che egli sia carente nella virtù della prudenza, spesso ambiguo nelle sue affermazioni che possono essere interpretate in vari modi, parla troppo e a braccio, un male specialmente per uno che è non è padrone di  un ‘altra lingua. In certi casi è rozzo”.

 

Perché imprudente?

” Perché quando parla lui è impegnativo, le sue dichiarazioni non appartengono all’ uomo della strada o al parroco di campagna. A certi livelli è bene evitare la faciloneria, argomenti tanto delicati non si affrontano in cinque minuti di conferenza sull’ aereo che  non è Magistero e dunque è criticabile. Non vorrei essere nei panni del povero Padre Lombardi. Io ho lavorato nella Segreteria di Stato ed è una ricchezza stare a contatto col Papa. Le dico che Giovanni Paolo II faceva rivedere i discorsi, era umile e prudente. Bergoglio vuole fare tutto da solo, parla spesso a braccio fa e disfa come vuole e crea problemi, oltre alla difficoltà di interpretazione. Occorre  umiltà”.

E il successo mediatico?

” Anche qui  è complicato ed è un guaio per molti aspetti. Se gli atei, i comunisti e i massoni ti elogiano, mentre tanti cattolici, progressisti e non, hanno dubbi, qualche cosa non funziona, ma lui, Bergoglio, non se ne da per inteso. Tanti cattolici  sono preoccupati , ci sta del disorientamento. E qui non esiste il paragone ardito che spesso egli fa di Gesù che mangiava coi peccatori, Gesù parlava chiaro e diceva sì quando è sì, non quando è no. Indubbiamente non possiamo togliere a questo Papa il buono che ha, specie nella pastorale sociale, e non condivido le accuse di eresia, però  ci sono cose che non vanno e penso al linguaggio, alla imprudenza e alla faciloneria anche teologica in alcune circostanze. Non dovrebbe parlare a braccio e troppo, crea pasticci”.

Sodomia è peccato?

” Lo è. San Paolo  è chiaro. E’ un peccato mortale, roba da Catechismo  e chi è in peccato mortale se muore senza pentimento,  va all’ Inferno, è bene che anche preti e vescovi se lo mettano in testa e  noi sacerdoti dobbiamo dirlo costi quel che costi”.

Lutero fu davvero medicina per la Chiesa cattolica?

” Anche qui vale lo steso discorso. Poteva risparmiarsela, lo dico con filiale devozione e affetto”.

Chiede scusa ai gay?

” Perchè mai?”

Bruno Volpe



Signor Papa Francesco, quale problema avete con l’Eucarestia?


«Ecclesia de Eucharistia: la Chiesa vive dell’Eucarestia», scriveva S. Giovanni Paolo II nella sua ultima enciclica, dal medesimo titolo.

Siamo sempre lì, lo confessiamo che a pensar male non è un bene, epperò… Non imitateci per favore, ma prendiamo atto di alcuni fatti e poi, se volete, preghiamo per il Papa e per la Chiesa. Il 10 dicembre 2015 prendevamo atto di una stranissima notizia, vedi qui, che il Papa non avrebbe fatto alcun viaggio in Italia durante il Giubileo, ma senza un comunicato ufficiale, così, per vie traverse e dirette, certamente e diplomaticamente, solo ai diretti interessati.

Pope Francis laughts during a special Jubilee audience with 'vulnerable' pilgrims from the French dioceses of Lyon in the Pope Paul VI hall, at the Vatican, on July 6, 2016. / AFP / GABRIEL BOUYS (Photo credit should read GABRIEL BOUYS/AFP/Getty Images)

Il 30 maggio c’è stato poi l’appello di Marco Tosatti al Papa (vedi qui) supplicandolo ad “andare” almeno alla chiusura del Congresso Eucaristico che si terrà a Genova a settembre. Ma la supplica non ha avuto alcun esito, nessuna emozione, nessun sentimento, diremo indifferentismo allo stato puro.

Ma ecco la “notizia” del giorno: “Papa Francesco visiterà la Porziuncola nel pomeriggio del 4 agosto prossimo”. È Radio Vaticana a darne l’annuncio (vedi qui), spiegando che:“l’occasione è offerta dall’VIII Centenario del Perdono di Assisi, che cade provvidenzialmente nell’Anno Santo straordinario della Misericordia”. Il comunicato non dice altro perché, il resto, è tratto dal sito web della Porziuncola e la visita perciò sarà privata: “Papa Francesco – si legge – si farà pellegrino in forma semplice e privata nella Basilica papale di Santa Maria degli Angeli, dove si raccoglierà in preghiera ed offrirà il dono della sua parola”.

Se la visita è in forma “privata”, chi saranno i “fortunati” in ascolto della sua parola? Siamo all’interno di una sétta, o di privilegiati? Che cosa vuol dire in forma privata se poi a qualcuno lascerà il “dono” della sua parola? Va bene, domande che non avranno mai risposte come tante altre.

Ma ecco un’altra notizia ufficiale interessante, di oggi, 7 luglio: “Papa Francesco ha nominato il cardinale Angelo Bagnasco suo inviato speciale al Congresso Eucaristico Nazionale Italiano che si terrà a Genova dal 15 al 18 settembre” (vedi qui).

Quindi questo conferma che il Papa non andrà ad omaggiare l’Eucaristia. Quindi, per l’Anno della Misericordia, di cui l’Eucaristia è il Protagonista, il Datore unico ed assoluto, non avrà l’omaggio e l’adorazione pubblica del Pontefice, il Suo Vicario in terra. Mentre andrà ad omaggiare il “Perdono di Assisi” il quale, però, senza l’Eucaristia non solo non esisterebbe, ma non servirebbe a nulla.

Ora, per carità, confessiamo che da una parte siamo anche sollevati da questa rinuncia ad andare a Genova perché l’attenzione sarebbe centrata tutta sul Papa e non più sull’Eucaristia e, chissà e ce lo vogliamo augurare, che forse è proprio questo che il Papa teme. Ma d’altra parte però, non possiamo non fare una domanda inquietante: “Santità, ci consenta, Lei quali problemi ha con la Santissima Eucaristia?“.

Da tre anni a questa parte ci siamo resi conto come, molte parti liturgiche spettanti al Pontefice, siano letteralmente scomparse. Nei viaggi apostolici il Papa ha eliminato gli incontri di preghiera eucaristica con i giovani, trasformandoli, inevitabilmente, in una liturgia di divinizzazione del popolo con il suo leader, il Papa. Le forme di preghiera si sono trasformati in incontri di spiritualità laicista dai quali, giustamente, sono scomparsi i segni e i simboli del culto cattolico quali l’incensazione, gli abiti liturgici, e così via. Quando un Papa entrava in una Chiesa, il suo primo saluto era di inginocchiarsi davanti al Tabernacolo, anche questo gesto, in questo pontificato, è letteralmente scomparso. Il Papa entra e tutti gli onori sono per lui, Gesù Cristo è messo da parte, anzi, non lo si saluta più.

Siamo passati da un Giovanni XXIII che amabilmente rimproverava i fedeli che applaudivano il suo ingresso in chiesa (vedi qui), proprio perché lì dentro c’è Gesù Ostia Santa, ad un Papa che non si preoccupa minimamente di andare a salutare Gesù nel Tabernacolo, non se lo fila proprio, ma non disdegna il bagno di folla in onore alla sua persona. Però vorrebbe farci pensare che non va al Congresso Eucaristico per non togliere visibilità all’Eucaristia, come sta facendo per la processione del Corpus Domini, l’unica testimonianza che il Papa potrebbe ancora dare di questa adorazione, con i fedeli, all’urbe e all’orbe, e invece dopo la Messa, se la svigna alla chetichella per farsi trovare già in dirittura d’arrivo, senza inginocchiarsi, per i  saluti finali.

Così come è sparita quella adorazione, seppur breve ma significativa, del Giovedì Santo della Coena Domini, la Cena del Signore “nella notte in cui fu tradito” e volle istituzionalizzare il sacerdozio, trasformata oggi in una cena festosa con i “bisognosi”, e senza che questi “bisognosi” debbano adorare il loro Salvatore Gesù Cristo, basta che vedano il Papa e tutto è a posto, mica si offende Gesù Cristo! Senza nulla togliere all’aspetto misericordioso che potrebbe esplicarsi in altre forme non andando a distruggere il senso della liturgia propria di quel giorno, va da sé che l’immagine che è passata è quella di una trasformazione del sacerdozio stesso e della Messa. E mica dottrinalmente eh! La dottrina “non si tocca”, è la parola d’ordine, ma intanto con i gesti e la pastorale del popolo te la faccio sotto il naso.

Stiamo volando con la fantasia? Magari! Saremo ben lieti di ricevere qualche smentita. Qualcuno potrebbe forse smentire questa raccolta di fatti concreti e reali?

È certo che al centro della vita di San Francesco stava il Cristo nell’Eucaristia. Un giorno volle mandare dei frati per il mondo con pissidi preziose, perché riponessero in luogo il più degno possibile il prezzo della redenzione, ovunque lo vedessero conservato con poco decoro. Poi invitava anche i poveri ad andare ad adorare l’Eucaristia. Egli vedeva nell’Eucaristia il prolungamento dell’Incarnazione e intuiva l’universalità e la perennità del sacrificio di Cristo e la necessità di associarsi ad esso. Forse molti non sanno che le famose parole: Ti adoriamo, Signore Gesù Cristo, in tutte le tue chiese che sono nel mondo intero e ti benediciamo, poiché con la tua santa croce hai redento il mondo. San Francesco le compose proprio per l’adorazione eucaristica e la insegnava a tutti i poveri che incontrava e con i quali si intratteneva. La fede di Francesco abbracciava tutti i segni esterni della presenza di Cristo nell’Eucaristia, dagli altari, alle pissidi, agli abiti, agli incensi, unendo nella preghiera, l’adorazione e la lode, l’Eucaristia e la croce. Per lui tutta la preparazione liturgica eucaristica aveva la precedenza su tutto. E dopo aver servito qualche povero, quando si avviava in una chiesa, il suo unico pensiero era la Custodia Eucaristica. San Francesco, quello di Assisi, non ha mai messo i poveri al posto dell’Eucaristia, anzi, diceva ai suoi fraticelli che «la povertà si ferma ai piedi dell’Altare» (vedi qui).

E allora, Signor Papa, ci dica, se può, quali problemi ha Lei con la Santissima Eucaristia? San Francesco non sarebbe affatto contento di quel mettere il povero — sia materiale quanto maggiormente povero spirituale — al posto della Santissima Eucaristia.


IPSE DIXIT

«Vi sono ambienti, che esercitano notevole influenza, che cercano di convincerci che non bisogna inginocchiarsi. Dicono che questo gesto non si adatta alla nostra cultura (ma a quale, allora?); non è conveniente per l’uomo maturo, che va incontro a Dio stando diritto, o, quanto meno, non si addice all’uomo redento, che mediante Cristo è divenuto una persona libera e che, proprio per questo, non ha più bisogno di inginocchiarsi. […] L’adorazione è uno di quegli atti fondamentali che riguardano l’uomo tutto intero. Per questo il piegare le ginocchia alla presenza del Dio vivo è irrinunciabile. […] L’inginocchiarsi non è solo un gesto cristiano, è un gesto cristologico. Il passo più importante sulla teologia dell’inginocchiarsi è e resta per me il grande inno cristologico di Fil 2,6-11. […] L’incapacità a inginocchiarsi appare addirittura come l’essenza stessa del diabolico. […] Chi impara a credere, impara a inginocchiarsi; una fede o una liturgia che non conoscano più l’atto di inginocchiarsi, sono ammalate in un punto centrale. […]» (Joseph card. Ratzinger, Introduzione allo spirito della liturgia, San Paolo, 2001).




Nero su bianco 

di padre Giovanni Scalese

 


Da quando il blog ha ripreso a vivere, non mi sono mai occupato di liturgia, nonostante essa fosse una delle tematiche di cui Senza peli sulla lingua si occupava con maggior frequenza fin dai suoi inizi. Ora mi dà occasione di farlo una notizia fresca fresca. Si è appena aperto a Londra il convegno “Sacra Liturgia UK” con la prolusione del Card. Robert Sarah, prefetto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti. Non abbiamo ancora a disposizione il testo completo dell’intervento né la sua traduzione italiana; ma vari siti di lingua inglese se ne sono occupati: New Liturgical MovementCatholic HeraldLife Site
 
Ha fatto scalpore fra i partecipanti al convegno la notizia, riferita da Sua Eminenza, secondo la quale Papa Francesco gli avrebbe chiesto di studiare la questione della “riforma della riforma” e il mutuo arricchimento delle due forme — ordinaria e straordinaria — del rito romano. Che il Papa avesse chiesto al Card. Sarah di continuare a operare in campo liturgico sulla linea intrapresa da Benedetto XVI, era noto; che gli avesse chiesto addirittura di studiare la questione della “riforma della riforma”, è sicuramente una piacevole novità.
 
Sua Eminenza ha inoltre riproposto un’idea che aveva già espresso in precedenti occasioni:
«Contrariamente a quanto è stato a volte sostenuto, è del tutto conforme alla costituzione conciliare, è addirittura opportuno che, durante il rito della penitenza, il canto del Gloria, le orazioni e la preghiera eucaristica, tutti, sacerdote e fedeli, si voltino insieme verso Oriente, per esprimere la loro volontà di partecipare all’opera di culto e di redenzione compiuta da Cristo» (L’Osservatore Romano, 12 giugno 2015).
Ciò che ha colpito in questa circostanza, a parte l’insistenza, è stata l’indicazione di una data, a partire dalla quale tale cambiamento andrebbe attuato: la prima domenica di Avvento (27 novembre 2016).
 
L’appello del Cardinale è stato accolto naturalmente con grande soddisfazione da quanti amano la liturgia tradizionale. Personalmente, dopo lunga riflessione, sono giunto anch’io alla conclusione che alcuni aspetti dell’antica liturgia vadano recuperati nel Novus Ordo, senza con ciò mettere in discussione la validità della riforma liturgica (nell’articolo su L’Osservatore Romano appena citato il Card. Sarah insiste proprio sul fatto che certi aspetti dell’attuale liturgia non corrispondono alla mente dei Padri conciliari). Permettetemi però di fare un paio osservazioni.
 
1. È stato il Card. Ratzinger a parlare per primo di una “riforma della riforma”. Me ne sono occupato anche su questo blog (9 settembre 2009 e 27 luglio 2010). Sembrava che questa dovesse essere una delle priorità del suo pontificato, ma poi, non so per quali motivi, non se n’è fatto nulla. L’unico provvedimento riguardante il rito della Messa è stato l’aggiunta di alcune formule alternative di congedo nella terza edizione del Messale Romano. Va detto che Benedetto XVI ha introdotto un diverso stile nelle celebrazioni pontificie, ma senza mai imporre ad altri quello stile. C’è stato infine il motu proprio Summorum Pontificum, che ha liberalizzato l’usus antiquior (“forma straordinaria del rito romano”), senza però toccare direttamente la “forma ordinaria” (limitandosi ad auspicare un reciproco influsso tra le due forme). È vero che Papa Benedetto, durante il suo pontificato, non ha avuto la possibilità di realizzare il suo programma, essendo stato costretto ad affrontare un’agenda decisa da altri. Rimane il fatto che uno dei principali punti del suo programma non è stato realizzato. Sembrava che il Card. Antonio Cañizares Llovera (il “piccolo Ratzinger”), al quale il Papa aveva affidato la Congregazione del culto divino, avesse ricevuto il mandato di attuare la “riforma della riforma”; ma quando si diffusero le prime voci su alcuni possibili cambiamenti da apportare ai riti liturgici, ci si affrettò a smentire tutto. Il Card. Cañizares si limitò a dire che la liturgia doveva essere riposizionata al centro della vita della Chiesa. La montagna aveva partorito il topolino! Ebbene, quello che non è riuscito a Ratzinger e Cañizares riuscirà a Bergoglio e Sarah? Ce lo auguriamo di cuore, anche se però non si ha l’impressione che la liturgia rientri fra le priorità di Papa Francesco (il quale, non dimentichiamolo, è un gesuita che nec rubricat, nec cantat).
 
2. È legittimo, anche per un uomo di governo, pubblicare libri e scrivere articoli, fare conferenze e rilasciare interviste: sono cose che possono servire per preparare il terreno e per creare consenso. Ma non sono strumenti di governo. Si governa legiferando. Un uomo di governo non può limitarsi a fare inviti, a lanciare appelli; deve prendere provvedimenti. La riforma liturgica, oltre che con la pubblicazione dei nuovi libri liturgici, è stata fatta attraverso una serie di istruzioni “per la retta applicazione della Costituzione sulla Sacra Liturgia del Concilio Vaticano II”: cinque per l’esattezza (l’ultima, Liturgiam authenticam, risale al 2001); sei, se si considera anche l’istruzione Redemptionis Sacramentum del 2004. Beh, chi vieta che, dopo quindici anni, si faccia una sesta istruzione “per la retta applicazione della Costituzione sulla Sacra Liturgia del Concilio Vaticano II”, visto che il problema sembra essere proprio questo, la corretta interpretazione della Sacrosanctum Concilium? Non è necessario che in questa nuova istruzione si imponga a tutti di riprendere a celebrare ad Orientem; ci si può limitare semplicemente a proporlo come una possibilità. Ma un conto è che questa “proposta” la si trovi scritta, nero su bianco, in una istruzione della Congregazione del culto divino; un altro conto è che essa venga fatta, a titolo personale, dal Cardinale Prefetto di quella Congregazione, correndo il rischio che essa passi per una sua idea stravagante. Di parole e di belle idee ne abbiamo avute e continuiamo ad averne abbastanza; è giunto il momento, forse, di passare dalle parole ai fatti.



Caterina63
00giovedì 14 luglio 2016 19:39

  Correggere i superiori?






Cattura


Dopo il cardinal Burke, il cardinal Napier, altri cardinali che lo hanno fatto personalmente, anche il cardinal Caffarra ha “ripreso” pubblicamente, con rispetto profondo ed amore, papa Francesco, in particolare sul documento Amoris Laetitia.


Cosa succede? Accade che nella Chiesa vi è un dibattito,


che non toglie a Pietro il suo ruolo e il suo compito. Caffarra è un cardinale che è stato vicinisismo a Giovanni Paolo II, che lo stimava immensamente, e a Benedetto XVI. Anche Francesco ha avuto modo di esprimergli la sua stima in varie occasioni.


E allora? Ritornare sull’argomento è importante, per evitare di smarrirsi. Il papa, del resto, non può che essere contento: ha chiesto più volte il dibattito, che certo non può limitarsi al parere di un Alberto Melloni, di un Eugenio Scalfari, o di un Antonio Spadaro.


Lo facciamo riportando un vecchio articolo, del padre domenicano Raimondo Spiazzi, su una rivista, 30 Giorni, su cui allora scrivevano Andrea Tornielli, Luigi Giussani, Antonio Socci…e che l’allora cardinal Bergoglio leggeva  e apprezzava.


Vi si spiega quando e come è lecito riprendere i propri superiori, compreso il papa, rimamendo nel rispetto della fede e della Tradizione di Agostino, Tommaso….


 
Cattura



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“Correggere” il Papa? Sì, si può. Lo spiega il padre domenicano Spiazzi

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Abbiamo trascritto per voi quest’articolo (ne manca solo un parte) del teologo domenicano P. Raimondo Spiazzi — riportato oggi dal sito Libertà&Persona — riguardo la correzione dei superiori da parte dei sudditi. La Chiesa non solo lo permette, ma in certi casi, addirittura lo raccomanda.

Correggere i superiori? A volte è carità

di Padre Raimondo Spiazzi, O.P.

D’altra parte, se esclude il timore servile, afferma anche in questo caso la necessità del timore reverenziale, che ispira anche il “debito modo” nel fare la correzione fraterna (che anzi si direbbe filiale) a chi è costituito in autorità: “Essa cioè non va fatta con insolenza né con durezza, ma con mansuetudine e con rispetto”. San Paolo diceva: “Come a un padre” (1Tim 5,3). Paolo VI raccomandava: “Con amore, senza amarezza”.

La critica nella Chiesa e alla Chiesa ha preso negli ultimi decenni toni di amarezza e di arroganza che difficilmente sono conciliabili con la legge della carità che comanda la correzione fraterna (e filiale). Oltre la conformazione allo spirito e alle mode del secolo, denunciata a suo tempo, da padre Henri de Lubac, in molti casi — anche ben noti — era ed è presente un fattore di patologia psicologica che porta ben oltre l’esercizio dell’opera di misericordia e può comportare errori teologici e falli di ordine spirituale oggettivamente gravi.

In particolare occorre riflettere sulla necessità dell’amore filiale e del timore reverenziale nei confronti del “prelato” – Papa, vicario di Cristo nella Chiesa che è tutta “sub uno”, come dice San Tommaso (cfr.II-II, q.39,a1) e commenta il Gaetano: ” Sono scismatici coloro che vogliono costituire per conto proprio una Chiesa particolare” (cfr. San Tommaso in IV Sent. D.13, q.2, a.1, ad 2); oggi si potrebbe dire una Chiesa parallela, o dei gruppi cristiani a sé stanti contestativi per principio. C’è da chiedersi se persone e gruppi del dissenso non si muovano su questa linea, che non è quella della carità.

Certo, non vi è uomo di Chiesa che già in terra possegga la perfezione. Forse nemmeno i Santi riconosciuti dalla Chiesa hanno superato tutti i difetti, tutte le imperfezioni derivanti dalla natura, mentre erano in terra, nemmeno San Pio X!

Il nostro maestro di noviziato ci spiegava che l’importante era che non ci fosse in loro (e in noi tutti) il peccato veniale deliberato, mentre poteva ancora esserci quellosemideliberato, ossia dovuto a una non pronta resistenza a un moto della natura (per esempio in un atto di impazienza o di golosità). Lasciamo stare.

Il Gaetano pone una questione ben più ardua: quella di un papa che, come persona, è in conflitto col suo ufficio, col suo dovere di papa (cfr. in II-II, q.39, a,1, n.6).

Charles Journet, in quel monumento di sapienza teologica, di ecclesiologia, di spiritualità che è la sua opera L’Eglise du Verbe Incarnè, esamina le ipotesi di un “papa cattivo, ma ancora credente” (vol. I, pag. 547 ss.), di un “papa eretico” (pag. 625), di un “papa scismatico” (vol. II, pag. 839 ss.). Ed applica a questi casi la dottrina del Gaetano, secondo il quale è lecito correggere anche in pubblico i superiori in due casi: quando errano nella fede e insegnano i propri errori agli altri; e quando scandalizzano gravemente il popolo con i loro costumi. “E a questo sono tenuti sia i prìncipi della Chiesa sia quelli del mondo civile, quando il papa scandalizzasse la Chiesa, e ammonito privatamente con rispetto, non desse segni di resipiscenza” (in II-II, q.33, a.4).

In caso, dunque, di pervicacia.

Oggi si tratta di ipotesi teoriche, delle quali nemmeno i più accaniti antipapisti e antiromani oserebbero seriamente asserire l’attuazione nella Chiesa contemporanea. Le critiche odierne sembrano aver di mira l’abbondanza o sovrabbondanza del Magistero centrale, che porterebbe alla riduzione dei limiti nel campo della ricerca e, come si diceva ai tempi di San Tommaso, della disputa teologica.

Forse sarebbe utile ricordare, con lo stesso Aquinate, che esistono due tipi di dispute. Una è quelle che tende a rimuovere i dubbi circa l’esistenza di una verità (an sit verum); e in tale disputa teologica bisogna servirsi al massimo delle autorità ammesse dalla controparte (Bibbia, Padri e Dottori della Chiesa). È chiaro che il Magistero centrale e locale ha una funzione essenziale soprattutto in questo campo, dove è sempre più intervenuto per l’insorgenza dei problemi di fede e di morale e il disorientamento prodotto spesso nei fedeli da maestri inidonei o ambigui.

“L’altro tipo di disputa è quello magistrale, volto non tanto a rimuovere l’errore, ma ad istruire gli uditori (o lettori) e portarli alla penetrazione della verità che si intende spiegare, per far capire la ragionevolezza di ciò che si dà (quomodo sit verum): altrimenti, se il maestro determina la questione con la sua autorità, l’uditore (o il lettore) verrà a sapere che quella è la verità (secondo la Chiesa) ma non acquisterà nulla dal punto di vista scientifico e se ne tornerà vuoto (vacuus abscedet)…”(Quodlibetum IV, q.9, n.3).

Qui è l’immenso campo di lavoro per il teologo, il quale però, come ogni credente, non potrà non tener conto “dell’autorità della Chiesa universale (…) la quale autorità risiede principalmente nel Pontefice” (II-II. q.11, a.2, ad 3).

Se poi si desse il caso di una correzione fraterna (o filiale) nei confronti dell’autorità della Chiesa, l’atto di carità non potrà non essere accompagnato dall’umiltà (cfr. II-II q.33, a.4, ad 3).

San Paolo nel “resistere in faccia a Pietro davanti a tutti” (Gal 2,14), non si presentava con presuntuosa superbia, ma con lealtà, tanto più che “in qualche modo era pari di Pietro in difesa della fede. E pur essendo anche suo suddito, lo rimproverò pubblicamente per il pericolo di scandalo nella fede. Sicché Sant’Agostino commenta: “Pietro stesso diede l’esempio ai superiori di non sdegnare di essere corretti dai sudditi, quando capita di allontanarsi dalla giusta via” (in Gal 2,14)” (II-II q,33, a.4, ad 2).

In questa linea di Sant’Agostino anche l’Aquinate conduce la sua analisi e spiegazione del comportamento di Paolo nel commento alla Lettera ai Galati (cfr Lectio III, vv. 11,14).

© 30Giorni – giugno 1992 n.6




Chi sono i 45 critici della Amoris Laetitia

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firmatari del documento di critica allaAmoris laetitiaredatto da 45 teologi, filosofi, storici e pastori di anime non sono anonimiIl loro elenco non è stato immediatamente  reso pubblico per il carattere riservato della iniziativa, direttamente rivolta al cardinale Angelo Sodano, decano del Sacro Collegio e ai 218 cardinali e patriarchi.

I firmatari chiedono ai cardinali, nella loro funzione di consiglieri ufficiali del Papa, «di inoltrare al Santo Padre la richiesta di ripudiare gli errori presenti nel documento in modo definitivo e finale, e di dichiarare autorevolmente che non è necessario che i credenti credano a quanto affermato dall’Amoris laetitia».

Il documento, di 13 pagine, non è stato ancora pubblicato, mentre la lista dei firmatari è apparsa il 22 luglio sul National Catholic Reporter, da cui la riprendiamo.

Dr. Jose Tomas Alvarado
Associate Professor
Institute of Philosophy, Pontifical Catholic University of Chile

Rev. Fr. Scott Anthony Armstrong PhD
Brisbane Oratory in formation

Rev. Claude Barthe

Rev. Ray Blake
Parish priest of the diocese of Arundel and Brighton

Fr. Louis-Marie de Blignieres FSVF
Doctor of Philosophy

Dr. Philip Blosser
Professor of Philosophy
Sacred Heart Major Seminary, Archdiocese of Detroit

Msgr. Ignacio Barreiro Carambula, STD, JD
Chaplain and Faculty Member of the Roman Forum

Rev. Fr. Thomas Crean OP, STD
Holy Cross parish, Leicester

Fr. Albert-Marie Crignion FSVF
Doctor designatus of Theology

Roberto de Mattei
Professor of History of Christianity, European University of Rome

Cyrille Dounot JCL
Professor of Law, the University of Auvergne
Ecclesiastical advocate, archdiocese of Lyon

Fr. Neil Feguson OP, MA, BD
Lecturer in sacred Scripture, Blackfriars Hall, University of Oxford

Dr. Alan Fimister STL, PhD
Assistant Professor of Theology, St. John Vianney Seminary, archdiocese of Denver

Luke Gormally
Director Emeritus, The Linacre Centre for Healthcare Ethics
Sometime Research Professor, Ave Maria School of Law, Ann Arbor, Michigan
Ordinary Member, The Pontifical Academy for Life

Carlos A. Casanova Guerra
Doctor of Philosophy, Full Professor of Universidad Santo Tomas de Chile

Rev. Brian W. Harrison OS, MA, STD
Associate Professor of Theology (retired), Pontifical University of Puerto Rico; Scholar-in-Residence, Oblates of Wisdom Study Center, St. Louis, Missouri; Chaplain, St. Mary of Victories Chapel, St. Louis, Missouri

Rev. Simon Henry BA (Hons), MA
Parish priest of the archdiocese of Liverpool

Rev. John Hunwicke
Former Senior Research Fellow, Pusey House, Oxford; Priest of the Ordinariate of Our Lady ofWalsingham

Peter A. Kwasniewski PhD, Philosophy
Professor, Wyoming Catholic College

Dr. John R.T. Lamont STL, D.Phil

Fr. Serafino M. Lanzetta, PhD
Lecturer in Dogmatic Theology, Theological Faculty of Lugano, Switzerland
Priest in charge of St. Mary’s, Gosport, in the diocese of Portsmouth

Dr. Anthony McCarthy
Visiting Lecturer in Moral Philosophy at the International Theological Institute, Austria

Rev. Stephen Morgan D.Phil (Oxon)
Lecturer & Tutor in Theology, Maryvale Higher Institute of Religious Sciences

Don Alfredo Morselli STL
Parish priest of the archdiocese of Bologna

Rev. Richard A. Munkelt PhD
Chaplain and Faculty Member, Roman Forum

Fr. Aidan Nichols OP, PhD
Formerly John Paul II Lecturer in Roman Catholic Theology, University of Oxford
Prior of the Convent of St. Michael, Cambridge

Fr. Robert Nortz MMA, STL
Director of Studies, Monastery of the Most Holy Trinity, Massachusetts (Maronite)

Rev. John Osman MA, STL
Parish priest in the archdiocese of Birmingham, former Catholic chaplain to the University of Cambridge

Christopher D. Owens STL (Cand.)
Adjunct Instructor, Faculty of Theology and Religious Studies, St. John’s University (NYC)
Director, St. Albert the Great Center for Scholastic Studies

Rev. David Palmer MA
Ordinariate of Our Lady of Walsingham
Chair of Marriage and Family Life Commission, Diocese of Nottingham

Dr. Paolo Pasqualucci
Professor of Philosophy (retired), University of Perugia

Dr. Claudio Pierantoni
Professor of Medieval Philosophy in the Philosophy Faculty of the University of Chile
Former Professor of Church History and Patrology at the Faculty of Theology of the PontificiaUniversidad Catolica de Chile
Member of the International Association of Patristic Studies

Fr. Anthony Pillari JCL (Cand.)
Priest of the archdiocese of San Antonio, chaplain to Carmelite nuns

Prof. Enrico Maria Radaelli
International Science and Commonsense Association (ISCA)
Department of Metaphysics of Beauty and Philosophy of Arts, Research Director

Dr. John C. Rao D.Phil (Oxford)
Associate Professor of History, St. John’s University (NYC)
Chairman, Roman Forum

Fr. Reginald-Marie Rivoire FSVF
Doctor designatus of canon law

Rt. Rev. Giovanni Scalese CRSP, SThL, DPhil
Ordinary of Afghanistan

Dr. Joseph Shaw
Fellow and Tutor in Philosophy at St. Benet’s Hall, Oxford University

Dr. Anna M. Silvas FAHA
Adjunct research fellow, University of New England, NSW, Australia

Michael G. Sirilla, PhD
Professor of Systematic and Dogmatic Theology, Franciscan University of Steubenville

Professor Dr. Thomas Stark
Phil.-Theol. Hochschule Benedikt XVI, Heiligenkreuz

Rev. Glen Tattersall
Parish priest, Parish of Bl. John Henry Newman, archdiocese of Melbourne
Rector, St. Aloysius’ Churchù

Giovanni Turco
Professor of the Philosophy of Public Law, University of Udine

Fr. Edmund Waldstein OCist.
Vice-Rector of the Leopoldinum seminary and lecturer in moral theology at the Phil.-Theol. HochschuleBenedikt XVI, Heiligenkreuz

Nicholas Warembourg
Professeur agrege des facultes de droit
Ecole de Droit de la Sorbonne – Universite Paris 1

(di Emmanuele Barbieri)




Caterina63
00giovedì 28 luglio 2016 10:02
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  Cosa dicono i vescovi italiani del papa. Anche i più ben disposti lo bocciano



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polonia


Mercoledì 27 luglio, nella sua prima giornata in Polonia, papa Francesco ha incontrato a porte chiuse, nella cattedrale di Cracovia, i 130 vescovi di quel paese (vedi foto), scambiando con loro domande e risposte.


I vescovi polacchi, si sa, non sono in buona sintonia con l'attuale papa. Lo si è visto al sinodo sulla famiglia, dove erano compattamente schierati contro le innovazioni poi entrate in circolo con la "Amoris laetitia".


E in questo assomigliano un po' agli italiani. Anche questi in gran parte a disagio col papa, che non ha esitato a commissariare la conferenza episcopale imponendole come segretario un vescovo che ha ulteriormente aggravato il disagio, Nunzio Galantino.


È un disagio, quello di tanti vescovi italiani nei confronti di  Francesco, che cova sotto la cenere, raramente espresso "apertis verbis".


Ma ecco che in questi giorni un osservatore al di sopra di ogni sospetto ha sollevato il velo. È Luigi Accattoli, vaticanista "senior" del "Corriere della Sera", che ha pubblicato su "Il Regno" un'antologia di giudizi sul papa personalmente raccolti dalla viva voce di un buon numero di vescovi da lui incontrati durante il suo peregrinare per l'Italia di conferenza in conferenza.


Dei vescovi Accattoli non dà i nomi. Ma garantisce che le citazioni sono testuali.


Eccole riportate qui di seguito. Con l'avvertenza – fornita dallo stesso Accattoli – che si tratta di vescovi "tra i più disponibili nell'ammirare l'audacia apostolica bergogliana" e nel "simpatizzare per il papa argentino".


Se questi sono i giudizi e i timori dei favorevoli, immaginiamo quelli dei contrari.


*


«Ammiro la sua generosità. C’era in giro tanta demotivazione, il suo arrivo è stato un riscatto psicologico. Ma perché tanta inquietudine, qual è il suo disegno?».


«Rimprovera, spinge a muoversi: ma dove ci vuole portare?».


«Ho l’impressione che abbia un giudizio negativo su noi vescovi e non capisco da dove gli venga. L’Italia è pur sempre lo zoccolo duro della Chiesa cattolica. Perché ci bastona?».


«Ammiro la capacità del papa di porre gesti di misericordia "in uscita", poniamo verso i diseredati, verso i non credenti; ma mi chiedo che ne sia di tutto il resto: del catechismo, del Codice, dei seminari, delle parrocchie, delle leggi sempre più lontane dal sentimento cristiano. Che dire, che fare?».


«Ma che vuol dire "uscita"? È facile dirlo, ma farlo? In una situazione data, nella mia diocesi, che cosa comporta?».


«Ha bloccato il tormentone dei valori non negoziabili ma con che cosa l’ha sostituito? Con una mezza parola. Perché è una mezza parola, o no?».


«Accenna ai padrini di battesimo e cresima, dice che non è giusto escludere chi è in situazione matrimoniale irregolare, ma poi non modifica le regole esistenti e così ci mette in difficoltà di fronte al popolo».


«I fedeli continuamente ci obiettano che “il papa ha detto”. Per lo più hanno capito male ma vai a convincerli. Lui fa presto a parlare e purtroppo non tiene conto di noi che siamo in trincea. Sembra che non sia stato vescovo».


«Nella "Amoris laetitia", al paragrafo 300, ha scritto che il discernimento delle situazioni personali va condotto nel dialogo con il confessore “secondo gli insegnamenti della Chiesa e gli orientamenti del vescovo”: li devo dare io – vescovo – questi orientamenti? Non li ha dati il papa, immagino perché non li aveva; e come posso darli io?».


«L’ultimo sinodo gli aveva posto la domanda su quali servizi ecclesiali potessero essere affidati a chi è in situazione matrimoniale irregolare e lui al paragrafo 299, invece di onorare quella richiesta, riaffida la questione a noi, che siamo incalzati dall’attesa della gente».


«Al paragrafo 122 della "Amoris laetitia" afferma che “non si deve gettare sopra due persone limitate il tremendo peso di dover riprodurre in maniera perfetta l’unione che esiste tra Cristo e la sua Chiesa”: la considero un’affermazione imprudente. Facciamo un paragone con il clero: diremo che non si deve gettare sul prete il peso di doversi porre come figura del buon pastore?».


«Nella riforma del processo per le nullità ha posto il vescovo come giudice unico e ora vengono da me – povero – come se io potessi affrontare ogni caso: è lei il giudice, l’ha detto il papa. E tutti vogliono il processo breve».


«Quello che interessa ai fedeli è la comunione. Se il discernimento arriva ad autorizzare l’accesso ai sacramenti, del riconoscimento della nullità non importa più».


«Sulle nomine non segue la prassi, fa di testa sua. Si capisce che vuole contraddire il carrierismo e le filiere, ma la prassi era un salvagente per evitare errori. Procedendo senza rete che garanzia ha di non sbagliare?».


«Si prende una libertà che mette in imbarazzo i collaboratori di curia e i responsabili della CEI. Per tanti è come se fosse venuto meno il rapporto di fiducia».


«Non solo bastona preti e vescovi ma ora è arrivato a minacciare la rimozione dei vescovi che non s’adoperano per contrastare la pedofilia del clero. Quest’uscita proprio non l’ho capita: è un terreno delicato, il vescovo è un padre e deve anche trovare il modo d’essere un padre misericordioso, o no?».


«Capisco che voglia apparire povero ma portare una veste trasparente che mostra il nero dei pantaloni non è trascuratezza? Quando noi vescovi veniamo nominati ci danno istruzioni severe sull’abbigliamento, di presentarci sempre in ordine, guai! Per il papa non vale?».


«Parla tanto della sinodalità ma poi decide da solo. Dice che bisogna decentrare ma un accentramento personale del governo così forte non si era mai visto».


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NOTA BENE !


Il blog “Settimo cielo” fa da corredo al sito “www.chiesa”, curato anch’esso da Sandro Magister, che offre a un pubblico internazionale notizie, analisi e documenti sulla Chiesa cattolica, in italiano, inglese, francese e spagnolo.


Gli ultimi tre servizi di "www.chiesa":


26.7.2016
> Un "pontificato d’eccezione". Il mistero di papa Benedetto
Contro gli Anticristi che insidiano la Chiesa. Le teorie del filosofo della politica Carl Schmitt applicate al pontificato di Joseph Ratzinger e alla sua rinuncia

22.7.2016
> Un papa che non s'era mai visto. Un po' protestante
L'idillio tra Francesco e i seguaci di Lutero. L'allarme di cardinali e vescovi contro la "protestantizzazione" della Chiesa cattolica. Ma anche la diffidenza di autorevoli teologi luterani

18.7.2016
> Brandmüller: "La rinuncia del papa è possibile, ma è da sperare che non succeda mai più"
Il cardinale tedesco, autorevole storico del cristianesimo, interviene sulla questione sempre più incandescente delle dimissioni di Benedetto XVI. Che a suo giudizio non hanno fatto bene alla Chiesa

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Aldo Maria Valli: il Papa ha bisogno di aiuto

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Leggere un Aldo Maria Valli affermare che il Papa ha bisogno di aiuto, ha dell’incredibile e tutto il suo articolo suona davvero come un S.o.S preoccupante sotto molti aspetti.

L’articolo si conclude con queste parole allarmanti: “Di certo, credo che Francesco abbia bisogno di aiuto. Non solo attraverso la preghiera, che lui sempre chiede e noi gli assicuriamo, ma dico proprio aiuto culturale: quello che solo amici sinceri, e non yes men ossequiosi, possono garantirgli. Del resto, non è stato proprio Francesco a chiedere a noi cattolici di parlare con parresìa, cioè con franchezza e libertà di dire tutto?” (vedi qui)

Aldo Maria Valli
Aldo Maria Valli

Va subito detto che è Papa Francesco ad essersi circondato da gente inetta, carrierista, supina, cortigiana, dopo aver defenestrato impietosamente persone umili e sagge, che avrebbero potuto aiutarlo nel suo difficile compito.

Ma è onesto chiederci: Papa Francesco, o meglio, Bergoglio… lo vuole davvero questo aiuto? Secondo noi, no!

E per favore, non accusateci di irriverenza sull’uso dell’immagine del Papa che è scivolato all’inizio della Messa a Cestokhowa. Il giornalismo di cronaca deve usare anche le immagini per aiutare a comprendere il messaggio che si vuole offrire alle proprie coscienze. Non siamo malevoli, ma realisti. Il giudizio ai fatti lo lasciamo a Voi.

Or dunque, servendoci delle gravissime riflessioni di Valli, non si tratta di giudicare la persona, ma di valutare i fatti non soltanto a riguardo delle posizioni prese nei confronti dell’Islam – perché è di questo che si preoccupa Valli – ma di valutare soprattutto la grave situazione catechetica e pastorale nella Chiesa e il silenzio del Papa su fatti gravi, come per esempio le affermazioni di Galantino, segretario della CEI, a riguardo di Sodoma, vedi qui, o come il silenzio dopo la “lettera” del cardinale frammassone Ravasi ai suoi confratelli massoni, vedi qui.

Il discorso di Aldo M. Valli è molto complesso e, per comprenderlo, bisognerebbe aver letto I Gesuiti di padre Malachi Martin e La Teologia della Liberazione (TdL) – un salvagente di piombo per i poveri – del prof. Julio Loredo, vedi quiBergoglio ha sempre lottato contro la TdL, ma per affluire nella Teologia del Popolo (TdP) che altro non è che l’approdo della teologia modernista (la nouvelle theologiae) che pervase “lo spirito del concilio” nella sua più devastante applicazione: la Chiesa del popolo.

Se non si approfondisce questo argomento, non è possibile comprendere quanto sta dicendo Aldo Maria Valli, e il suo drammatico appello finale. Tutti i Papi hanno bisogno di aiuti culturali, ma Bergoglio non chiede affatto questo aiuto, egli chiede di essere aiutato , semmai, ad applicare la sua immagine di “Chiesa del popolo” appresa, si badi bene, non dal concilio, ma dallo spirito del concilio, dallo spirito degli novatores  del quale i Gesuiti (insieme a qualche domenicano e francescano) furono i campioni, i depositari, i comunicatori, i maestri, gli applicatori. Aldo Maria Valli, con il suo articolo, apre davvero le porte verso un campo minato che fino ad oggi si è voluto sempre far tacere o distorcere a proprio vantaggio.

Scrive Valli: “…perché? Una risposta che mi viene, e che propongo, è questa: pur non avendo partecipato al Concilio Vaticano II, Francesco è profondamente figlio del Concilio nel senso che mantiene una grande fiducia nel mondo e nei suoi fenomeni e pensa che la Chiesa questi fenomeni li debba sempre e comunque accogliere e accettare piuttosto che fronteggiare e denunciare. Non a caso nel vocabolario di Francesco i verbi accogliere e accompagnare sono così centrali. Sono verbi conciliari, di una Chiesa fiduciosa nei confronti del mondo, che usciva da una fase delle porte e delle finestre chiuse (dove c’era un po’ odore di muffa, come mi disse una volta il cardinale Martini) e desiderava aprirsi alla realtà non per ciò che essa potrebbe essere ma per ciò che essa è, anche dal punto di vista delle diverse fedi religiose…”.

Anche se per Valli questa risposta appare meritoria, conoscere quei due libri che abbiamo segnalato – ed altri sull’argomento – fa comprendere come gran parte del dramma di questo pontificato e della grave situazione confusionaria in cui si trova la Chiesa oggi, è proprio l’interpretazione di certe aperture del concilio che furono stravolte dalla nouvelle theologiae nella quale, spiace dirlo ma è così, Bergoglio fu formato nel pensiero e nelle idee che ha fatto proprie, portandole a queste estreme conseguenze.

Infatti, la prima cosa che viene in mente è questa: quando mai la Chiesa, prima del concilio, non si occupò di “accoglienza” e di fiducia? La differenza sta nel fatto che la Chiesa, fedele alla Parola divina: “Maledetto l’uomo che confida nell’uomo, che pone nella carne il suo sostegno e dal Signore si allontana il suo cuore” (Ger 17,5), non confidava nell’uomo in quanto reggitore della terra, dell’universo e della coscienza… ma vedeva l’uomo creatura fragile da portare a Dio, da convertire a Dio, confidando così non nella sua umanità, che è per altro affetta dal peccato originale e quindi bisognosa di continui restauri, ma nella sua capacità alla conversione. Questo è il ribaltamento che è avvenuto con lo spirito del concilio, altro che “nuova pentecoste”! Da qui si comprende perché non si parla più del peccato originale, dei peccati personali, dei peccati contro Dio, delle pene, dell’inferno e quant’altro sulla materia.

La misura del nostro vero umanesimo è Cristo Dio del quale noi siamo stati creati a immagine di Dio, al contrario oggi si avanza con questa TdP che ribalta la situazione, crea Dio a propria immagine dell’uomo povero, malato, sofferente e pure peccatore ma senza l’obbligo alla conversione. Nella teologia cattolica Dio discese dal cielo per sanare l’uomo fatto a quell’immagine divina deturpata dal peccato; nella TdL prima e della TdP oggi, Dio ascende al cielo grazie all’uomo, al popolo, che promuove così la nuova immagine di Dio a seconda dei propri problemi. Giudicate voi dove questa eresia, non pronunciata dogmaticamente ma pastoralmente, conduce.

Figlio del concilio”, dice Valli! L’affermazione non può che sconcertarci. Valli lo dice in forma lodativa, noi vi assicuriamo che non lo è affatto, perché la Chiesa Cattolica con tutto il suo programma missionario, culturale e dottrinale bimillenario, non nasce nel concilio, ed essere etichettato “figlio del concilio” significa allora che davvero ci troviamo davanti una“nuova” chiesa che sta tentando di schiacciare quella passata, quella bimillenaria… attraverso le nuove prassi, nuovi riti liturgici, nuove teologie…

Un concetto di nuovo che non va ad armonizzarsi all’antico come invece insegna Gesù quando dice: “Per questo ogni scriba che diventa un discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa il quale tira fuori dal suo tesoro cose nuove e cose vecchie” (Mt 13,52) il modo corretto di vivere nella Chiesa – e da sempre – la famosa ermeneutica della continuità, quanto piuttosto ci ritroviamo davanti all’altro monito in cui Gesù specifica: “Nessuno cuce una toppa di panno grezzo su un vestito vecchio; altrimenti il rattoppo nuovo squarcia il vecchio e si forma uno strappo peggiore” (Mc 2,21).

Si è, allora, “maestri” quando si resta ALLIEVI del Vangelo, allievi della Parola di Dio CHE NON MUTA, perché il nuovo non è una nuova chiesa, una nuova teologia, nuovi riti e quant’altro, ma il nuovo è Gesù Cristo (ieri, oggi e sempre), davanti al quale ogni ginocchio si piega (Fil 2,9-11) e si deve piegare non soltanto metaforicamente o spiritualmente, ma soprattutto fisicamente e mentalmenteIl nuovo deve convertirsi, piegarsi, inginocchiarsi all’antico, e l’antico deve rispecchiarsi in questo nuovo che è Gesù, il Maestro, il Salvatore, Colui senza il quale non si va da nessuna parte, il vero Buon Pastore che raccoglie il gregge disperso non per dargli pasture pacifiste, ambientaliste, progressiste, moderniste, o per dargli il mondo, ma per dargli SE STESSO e il Regno promesso.

Non pretendiamo che Aldo Maria Valli comprenda tutto questo, oseremo dire che ultimamente ha già fatto molti progressi nel suo pensiero passato, ma chi da cattolico ha sempre vissuto nella prassi catechetica e dottrinale della Chiesa, non ha scusanti, non può chiudere la propria coscienza davanti, all’oramai ricatto, che al Papa si obbedisce e basta, perché ciò è valido quando però il Papa si attiene a tutto il Magistero bimillenario della Chiesa senza pretendere di cucire toppe nuove su un vestito vecchio, squarciando in modo devastante quel vecchio, formando uno strappo ancora ben peggiore…

Una prova di ciò che abbiamo con voi meditato, è la recente lettera di ben 45 persone – fra teologi, laici e religiosi – vedi qui, indirizzata ai Cardinali di Santa Romana Chiesa attraverso la quale si può cominciare a comprendere, anche, il discorso di Aldo Maria Valli, portandolo alle più corrette domande e risposte che ogni buon cattolico, se non lo ha ancora fatto, deve cominciare a porsi, se non vuole fregarsene di quanto sta accadendo al papato e alla Chiesa intera. Infatti, laddove Valli si concentra esclusivamente sulla questione inter-religiosa, noi allarghiamo le problematiche da lui sollevate nel contesto che più ci sta a cuore, quello dottrinale e vogliamo concludere proprio con un passo di questa Lettera, lasciando ad ogni lettore il compito di pregare ed informarsi, con tutta onestà di mente e di cuore, sulla grave situazione che stiamo vivendo, ed anche subendo.

“Il problema dell’Amoris lætitia non è il fatto che abbia imposto norme legalmente vincolanti e intrinsecamente ingiuste o che abbia impartito in modo autorevole insegnamenti vincolanti ma falsi. Il documento non ha l’autorità di promulgare norme ingiuste o di richiedere l’assenso a insegnamenti falsi, perché il Papa non ha il potere di farlo. Il problema di questo documento è che può fuorviare i cattolici inducendoli a credere il falso e a fare quanto è proibito dalle leggi divine. Il documento è formulato in termini che non sono legalmente o teologicamente esatti, ma questo non influisce sulla valutazione dei suoi contenuti, perché nemmeno la formulazione più precisa potrebbe mai conferire statuto legale e dottrinale a decreti contrari alle leggi divine e alla rivelazione divina. Quel che preoccupa di questo documento è l’effetto nocivo che può avere sulla fede e sulla vita morale dei cattolici…”






EDITORIALE
Un imam davanti alla chiesa di Rouen
 

Che cosa si spera di ottenere dall’ingresso, proposto per oggi, dei musulmani nelle nostre chiese quando viene celebrata la Messa? Nessuno di loro penserà di entrare in luogo sacro, dove si svolge una funzione sacra e si adora il vero Dio. E' una pia illusione irenista. Sarà un’empia profanazione della Messa.

di mons. Antonio Livi

Dai media nazionali e internazionali apprendiamo dei fatti – in una certa misura indiscutibili nella loro fattualità – ma ascoltiamo anche un accavallarsi di opinioni, molte delle quali presentate a loro volta come fatti; si tratta però di fatti di secondo livello, ossia di notizie riguardanti le “reazioni” delle istituzioni (Chiesa cattolica, rappresentanti delle altre comunità religiose, parlamenti nazionali, capi di Stato e di governo) ai fatti di primo livello. Questa breve premessa massmediologica serve per ragionare da cattolici sull’evento tragico dell’irruzione di due terroristi islamici nella chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray, nei pressi di Rouen, e dell’assassinio brutale dell’abbé Jacques Hamel che stava celebrando la Santa Messa.

Le “reazioni” a questo fatto sono state tante, e alcune corrispondono in pieno alla logica della coscienza cristiana: esecrazione di fronte a un sacrilegio così orribile (profanazione di un luogo sacro e aggressione di una persona sacra nel momento stesso in cui svolgeva il rito più sacro), preghiera e e opere di riparazione e al sentimento di venerazione di fronte alla vittima innocente della violenza anticristiana. Il professor Roberto de Mattei, per esempio, ha subito pubblicato un editoriale nella sua agenzia “Corrispondenza romana” onorando «il primo martire  dell’islam in Europa».

Altre “reazioni” sono invece dissennate. I media di ieri hanno parlato di una decisione che dovrebbe attuarsi già oggi: invitare i musulmani a partecipare alla Messa domenicale assieme ai fedeli cattolici, nelle chiese cattoliche. La proposta, inizialmente avanzata dal mondo musulmano e sposata dal parroco di Saint Etienne, è stata poi approvata (sembra) dall’intero episcopato francese, e per ultimo anche dall’episcopato italiano, il cui portavoce ha detto (e la frase a effetto ha ottenuto il suo scopo, quello cioè di essere citata da tutte le radio, le televisioni, Internet  e i giornali) che «si tratta di un gesto enorme!».

Di “enorme” in questa uscita del portavoce, c’è solo l’insensatezza (che spero non sia davvero di tutta intera la Conferenza Episcopale Italiana) e la stupidità di esprimersi in questo modo di fronte a eventi come quello di cui si sta parlando. Queste dichiarazioni rispondono evidentemente al dettato di una legge non scritta, ma rigorosamente applicata all’unisono da tutti i poteri forti del nostro mondo occidentale, siano essi poteri ecclesiastici che civili (politica, finanza, informazione).

La legge è che non bisogna condannare nulla, ma proprio nulla, se la condanna deve mettere in cattiva luce la religione dell’islam, senza troppo distinguere tra islam considerato moderato e il cosiddetto islam radicalizzato, e senza sottilizzare troppo sulle intenzioni di guerra santa professate dall’autoproclamato Stato islamico. Non bisogna parlare male dell’islam e non bisogna presentare le vittime cristiane dell’islam come vittime e/o come  cristiane. Bisogna parlare d’altro. Meglio tornare a parlare un’altra volta, come da anni, dell’uguaglianza di tutte le religioni, che sono tutte per la pace e non usano mai la violenza per imporsi le une sulle altre. In questa linea di retorica pacifista, l’idea di invitate i musulmani a Messa costituisce una trovata geniale. Così almeno dice (non so se lo pensa davvero) il portavoce della Cei.

Ma c’è un problema. Oltre alla responsabilità istituzionale che obbliga in un certo grado ed entro certi limiti la Chiesa gerarchica a occuparsi di diplomazia inter-religiosa (buon vicinato, rispetto incondizionato per l’altro, silenzio sulle colpe altrui e richiesta di perdono per la proprie colpe, vere o presunte che siano, non importa), c’è anche – ed è la più importante, anzi è quella essenziale, tanto che se manca quella non c’è proprio più Chiesa – la responsabilità di dare a Cristo Gesù, realmente presente «in corpo, sangue, anima e divinità» nell’Eucaristia, il dovuto culto adorazione.

Nelle chiese cattoliche questo culto si dà con la santa Messa e con la “riserva” eucaristica  nel Tabernacolo. Per questo le chiese cattoliche non sono un semplice luogo di incontro della comunità, e quindi non sono qualcosa di analogo alle sinagoghe e alle moschee: sono – in senso proprio, cioè in senso teologico e soprannaturale – la “casa di Dio”. Sono un “luogo sacro”, e la profanazione di un luogo sacro è un orrendo peccato agli occhi di Dio, perché è esattamente il contrario di ciò che Dio ordina nel primo comandamento del Decalogo. Anche il sacerdote cattolico è una “persona sacra”, come la Chiesa ha sempre riconosciuto; è una “persona sacra” per effetto della consacrazione sacerdotale ricevuta nel momento in cui un vescovo gli ha conferito il sacramento dell’Ordine, che imprime nell’anima del soggetto un “carattere” indelebile, come il Battesimo.

E’ vero che il mondo contemporaneo è dominato, nella sua cultura apparentemente egemone, dall’ideologia del secolarismo e dal processo sociale della secolarizzazione, quindi anche dalla smania di dimenticare, anzi di rimuovere ogni forma di presenza del Sacro. E’ vero che molti pensatori protestanti (a cominciare da Paul Tillich) pretendono che anche i cristiani di oggi sappiano accettare la secolarizzazione come un fatto positivo, che addirittura risponderebbe al messaggio cristiano originario; è vero che Martin Lutero ha abolito il sacramento dell’Ordine sacro e che per i luterani i preti cattolici, considerati alla stregua dei “pastori” protestanti, non hanno alcun carattere sacro. 

Ma tutto ciò non toglie che la nostra condizione di cattolici ci impone in termini assoluti (cioè, non in termini relativi a qualche convenienza politica del momento) di professare in ogni luogo e in ogni tempo la nostra santa fede, il cui nucleo fondamentale è il mistero della Santissima Trinità e il mistero dell’Incarnazione del Verbo, che è Gesù Cristo, vero Dio e vero Uomo. Professare questi misteri della fede non è compatibile con l’invito, rivolto ai musulmani, di riunirsi con i  cattolici nelle chiese cattoliche per manifestare i propri sentimenti di pace. 

Fare opera di pacificazione, di perdono e di ricerca di un’intesa su qualche valore condivisibile è legittimo, anzi doveroso, in quanto corrisponde a quel dialogo inter-religioso che è stato promosso dal Vaticano II con il decreto Nostra Aetate. Ma fare questa opera di pacificazione nel modo che è stato ora prospettato è assurdo. E’ un «gesto enorme», nel senso che è un’enorme (e abnorme) testimonianza di fede al contrario. Alla fine risulta una vera e propria profanazione, la seconda per quanto riguarda la chiesa di Saint Etienne a Rouen, già orribilmente profanata dall’assassinio rituale di un sacerdote cattolico mentre celebrava la Santa Messa.

E’ inutile far finta di non sapere (lo sanno tutti) che i musulmani che si vogliono invitare a partecipare alla santa Messa professano una fede religiosa che è non solo diversa ma esplicitamente contraria alla fede cattolica. I musulmani non accettano in alcun modo quelli che sono i fondamentali misteri della fede cattolica che nella Messa si celebrano, anzi, li considera bestemmie contro l’unico Dio, e sono sempre in qualche modo ostili a noi che siamo, ai loro occhi, gli infedeli, gli idolatri.

Che cosa si spera dunque di ottenere dall’ingresso dei musulmani nelle nostre chiese quando viene celebrata la Messa? Nessuno di loro penserà di entrare in luogo sacro, dove si svolge una funzione sacra e si adora il vero Dio in tre Persone, dove si celebra sacramentalmente il sacrificio redentore del Figlio di Dio per la remissione dei nostri peccati. Nessuno di loro, entrando in chiesa, si farà il segno della Croce con l’acqua benedetta (un sacramentale che prepara i fedeli all’atto penitenziale e alla degna ricezione dei sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia). Nessuno di loro si inginocchierà al momento della consacrazione per adorare il Santissimo Sacramento dell’Altare. Soprattutto, nessuno di loro ascolterà l’omelia del sacerdote celebrata come commento liturgico al Vangelo di Gesù Cristo proclamato nella Messa: al massimo, la potranno considerare come qualcosa di analogo (e di contrario) ai sermoni del loro imam.

A che pro tutto questo? Per il bene del dialogo inter-religioso? Per la pace nel mondo? Sono tutti risultati che corrispondono a una pia illusione irenista. Quello che realmente ne risulterà è un’empia profanazione della Santa Messa, del luogo sacro dove essa viene celebrata e della persona sacra del celebrante, che sull’altare è Cristo stesso, in quanto presta la voce e i gesti a Cristo sommo ed eterno Sacerdote, che si fa Vittima perla nostra salvezza.

E se qualcuno, leggendo queste poche righe, penserà che qui si dà troppa importanza al dogma e che quello che conta è la pastorale e l’azione ecumenica, ebbene, sappia che è vittima di accecamento prodotto dalla falsa teologia e dai cattivi pastori. La fede della Chiesa è quella che ho ricordato; nessun Concilio e nessun papa l’ha voluta cambiare, né avrebbe potuto. E sappia che nessuna pastorale e nessuna iniziativa ecumenica raggiunge i suoi veri scopi se ignora o contraddice il dogma.


Caterina63
00domenica 31 luglio 2016 15:48

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Galantino “salva” Sodoma e Gomorra e riscrive la Bibbia

PUBLISHED ON 

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Sì, avete letto bene e non siamo “noi” i cattivi che fanno le pulci alla sacra Gerarchia della Chiesa allo sbando. Il tutto è portato magnificamente, virgolettato, nelle pagine – niente meno – di Avvenire, voce ufficiale dell’episcopato italiano, e tutti zitti, guai a chi fiata.

Ecco come è riportato:

“Concelebrando con numerosi sacerdoti italiani e col vescovo della diocesi abruzzese Tommaso Valentinetti, Galantino ha commentato il brano biblico della supplica di Abramo per salvare Sodoma, “una città sulla quale nessuno avrebbe scommesso niente, eccetto Abramo”. Infatti, fa notare Galantino alle centinaia di giovani che gremiscono la bella chiesa barocca a ridosso della collina del Wawel, “la sua preghiera di intercessione e la sua voglia di osare salvano Sodoma. La città è salva perché ci sono i giusti, anche se pochi; ma la città è salva soprattutto perché c’è Abramo, uomo di preghiera, che non fa da accusatore implacabile, non parla contro ma parla a favore….” vedi qui.

E le castronerie proseguono riscrivendo la Sacra Scrittura a proprio uso e consumo. Non vogliamo giudicare il pastore se c’è o ci fa… ma è certo che non possiamo tacere davanti a questa gravissima lacuna o mistificazione. Ci viene il sospetto che questo modo diabolico di procedere non è isolato, ma una specie di “passaparola” della nuova pastorale, quella di modificare i testi biblici perché ci è stato segnalato che domenica scorsa, la cui prima lettura era proprio il brano biblico della preghiera di Abramo, non sono stati pochi i sacerdoti che hanno detto ai propri fedeli che “grazie alla preghiera di intercessione di Abramo, Dio risparmiò Sodoma e Gomorra dalla distruzione…”

Riteniamo che il primo grave errore fatto dalla riforma liturgica – forse anche non voluto, diamo spazio al dubbio – sia stato nella scelta di molti brani della Scrittura SPEZZATI, ossia, molti brani non terminano con il finale dei fatti riportato dalle Scritture, ma vengono lasciati alla libera interpretazione del celebrante o del predicatore di turno. Il passo di Abramo di cui si parla, infatti, termina con la distruzione di Sodoma e Gomorra perché, come poi sappiamo, Dio non trovò neppure un giusto…. (Gn.18,20-32) ed è strana la cosa perché c’erano dei giusti, ma Dio parlava degli abitanti della città non degli “ospiti”, e il testo riportato nel Messale termina con la supplica di Abramo, vedi qui dove il sito ufficiale riporta il link alla lettura biblica anche questa spezzata, monca, privata del come andrà a finire il fatto. Certo, il capitolo della distruzione è il 19, non il 18…. ma davvero basta per poter dire che Sodoma e Gomorra furono salvate? Ecco come si conclude la vicenda:

“Il sole spuntava sulla terra e Lot era arrivato a Zoar,  quand’ecco il Signore fece piovere dal cielo sopra Sòdoma e sopra Gomorra zolfo e fuoco proveniente dal Signore.  Distrusse queste città e tutta la valle con tutti gli abitanti delle città e la vegetazione del suolo.  Ora la moglie di Lot guardò indietro e divenne una statua di sale. Abramo andò di buon mattino al luogo dove si era fermato davanti al Signore; contemplò dall’alto Sòdoma e Gomorra e tutta la distesa della valle e vide che un fumo saliva dalla terra, come il fumo di una fornace…” (Gn.19,23-28)

Provando ad aggirare le parole di Galantino per trovare ogni scusa plausibile, si potrebbe pensare che egli intendesse dire che oggi ci sono molti Abramo (molti “giusti”, sic!) che intercedono presso Dio, che “non fanno gli accusatori” dei gravi peccati degli uomini, abbiamo un Papa misericordioso che è il nuovo Abramo che intercede per noi peccatori oggi, e Dio ci salverà, non ci distruggerà… è scontato!

Ammessa e non concessa questa vena poetica, questa santa intenzione, bisognerà allora e, quanto meno riconoscere, che esiste un Dio giustizia pronto a distruggere i luoghi infestati da peccatori impenitenti, altrimenti perchè pregare, supplicare, intercedere e cercare almeno dieci giusti?

Eppure sono anni che si nega a Dio il diritto di esercitare la propria giustizia, anzi, come abbiamo appena dimostrato, si è arrivati a modificare perfino la Bibbia, pur di piegare Dio alle nostre risposte, al nostro modo di leggere la storia passata, presente e futura. Del resto siamo nell’Anno della Misericordia straordinario, era forse scontato che anche la lettura della Scrittura subisse – o dovesse subire – un ripiegamento forzato nella sua interpretazione forse, sì insomma, una rilettura straordinaria.

Ciò che appare oramai evidente è che esiste una sorta di “passaparola pastorale” attraverso la quale si vorrebbe contrapporre – ad un dio guerrafondaio entrato nell’immaginario collettivo di una Chiesa del passato spietata e matrigna, che usava Dio per imporre dottrine, dogmi e stili di vita troppo castranti – un Dio tutto misericordia, la cui giustizia non è distruggere Sodoma e Gomorra, ma mettere in pratica le pie intenzioni di voler vedere tutti salvati, a prescindere dai propri peccati personali.

Si vuole contrapporre un dio islamico che arma questo terrorismo attuale (quando mai il dio dell’Islam è stato misericordioso!), ad un Dio che – giustamente – non fa violenza sulle persone inermi. Ma le persone abitanti in Sodoma e Gomorra, seppur non armate, non erano affatto inermi… erano colpevoli di uno di quei peccati gravi che “gridano vendetta al cospetto di Dio”, la sodomia, la quale non è meno grave di un terrorista che si fa esplodere in mezzo alla gente. Perché mentre il terrorista uccide i corpi, i sodomiti uccidono le anime. E questo vale sia per chi, omosessuale pratica la sodomia e la rivendica come atto moralmente lecito e santo, ma sia anche per chi, affermandosi etero e vantando anche un matrimonio cristiano, fa uso di questa spregevole e perversa unione dei corpi. Ed è allarmante che il termine “sodomia” sia scomparso dalla predicazione moderna.

Come si arriva a queste conclusioni? Sempre dalla Gmg – privata dell’adorazione Eucaristica pubblica con il Papa inginocchiato davanti al Re dei re – stanno arrivando messaggi contrastanti ed inquietanti. Alla Messa di apertura fatta dal cardinale di Cracovia Stanisław Dziwisz, il 26 luglio, per fare un esempio, prima dell’arrivo del Papa, ha detto testuali parole: “riconosciamoci peccatori, bisognosi della misericordia di Dio“. All’apparenza è una frase lucida e tranquilla, e invece no! L’atto penitenziale dice che abbiamo DEI PECCATI da farci perdonare, abbiamo dei peccati che riconosciamo come tali e per cui ci pentiamo, chiedendo perdono a Dio e quindi volendo rimuoverli facendoci aiutare proprio da una autentica confessione e poi dalla Messa, dalla Eucaristia.

E’ stato rimosso quel “riconoscere i propri peccati” sostituito da un più generico “riconosciamoci peccatori”. Guardate che l’astuzia del demonio non ha rivali! Se non riconosciamo I SINGOLI PECCATI, ma restiamo fermi al generico “siamo peccatori” (e tutti lo siamo), sarà impossibile cambiare davvero e allora ecco la soluzione più semplice: Sodoma e Gomorra non furono distrutte. Perché sembra oramai scontato che l’essere peccatori è generalizzato esclusivamente alle opere materiali, mentre si sorvola tranquillamente sui peccati personali e che sono, in primis, grave offesa a Dio.

Perciò stiamo tutti tranquilli, cantiamo, balliamo e facciamo festa, non c’è bisogno di alcuna conversione personale, l’importante è riconoscerci peccatori, così in generale, perchè abbiamo pastori che – come Abramo – intercedono per noi, non ci giudicano, e Dio ci perdonerà. Del resto lo ha detto Lutero: basta che tu accetti Gesù Cristo come tuo Salvatore e anche se continui a peccare, Egli ti salverà lo stesso.

Ci par corretto segnalare la profezia di San Gregorio Magno, perché sembra proprio un monito a questi fatti, dice:

“La Chiesa sarà come Giobbe sofferente, esposto alle perfide insinuazioni di sua moglie e alle critiche amare dei suoi amici; egli, davanti al quale gli anziani si alzavano e i principi tacevano!

La Chiesa – dice più volte il grande Papa – verso la fine del suo pellegrinaggio, sarà privata del suo potere temporale; si cercherà di toglierle ogni punto d’appoggio sulla terra. Ma dice di più e dichiara che essa sarà spogliata dello sfarzo stesso che deriva dai doni soprannaturali.

Il potere dei miracoli – dice – sarà ritirato, la grazia delle guarigioni tolta, la profezia sarà scomparsa, il dono di una lunga astinenza sarà diminuito, gli insegnamenti della dottrina taceranno, i prodigi miracolosi cesseranno.

Così dicendo non si vuole dire che non ci sarà più nulla di tutto questo; ma tutti questi segni non brilleranno più apertamente e sotto mille forme come nei primi secoli. Sarà anche l’occasione – spiega ancora il Pontefice – di un meraviglioso discernimento.

In questo stato umiliato della Chiesa, aumenterà la ricompensa dei buoni, che aderiranno a lei unicamente in vista dei beni celesti; quanto ai malvagi, non vedendo più in lei alcuna attrattiva temporale, non avranno nulla da nascondere, si mostreranno quali sono” (Moralia in Job, libro 35).


«Ma neppure dieci giusti si trovavano in Sodoma e Gomorra, e le città vennero distrutte. Una distruzione paradossalmente testimoniata come necessaria proprio dalla preghiera d’intercessione di Abramo. Perché proprio quella preghiera ha rivelato la volontà salvifica di Dio: il Signore era disposto a perdonare, desiderava farlo, ma le città erano chiuse in un male totalizzante e paralizzante, senza neppure pochi innocenti da cui partire per trasformare il male in bene. Perché è proprio questo il cammino della salvezza che anche Abramo chiedeva: essere salvati non vuol dire semplicemente sfuggire alla punizione, ma essere liberati dal male che ci abita.  Non è il castigo che deve essere eliminato, ma il peccato, quel rifiuto di Dio» (Benedetto XVI,  Udienza del 18-05-2011).




Galantino e il mistero di Sodoma

di Riccardo Cascioli31-07-2016

Tra ironia e sdegno, in questi giorni blog e pagine Facebook si rimbalzano commenti sull’incredibile passaggio dell’omelia pronunciata da monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della CEI, lo scorso 24 luglio ai giovani italiani arrivati a Cracovia per la Giornata Mondiale della Gioventù. In pratica monsignor Galantino ha deciso che Sodoma non è stata distrutta, grazie alla preghiera di intercessione di Abramo: «La sua preghiera di intercessione e la sua voglia di osare salvano Sodoma. La città è salva perché ci sono i giusti, anche se pochi; ma la città è salva soprattutto perché c’è Abramo uomo di preghiera, che non fa da accusatore implacabile, non parla contro ma parla a favore. Abramo, uomo di preghiera, non denuncia i misfatti, ma annuncia la possibilità di qualcosa di nuovo» (clicca qui).

Vignetta su Galantino e Bagnasco (Sergio Mura da Fb)

Galantino commentava la prima lettura di domenica scorsa che presentava appunto il capitolo 18 della Genesi quando Abramo chiede a Dio di risparmiare Sodoma se anche nella città ci fossero soltanto cinque giusti, e Dio acconsente. La lettura della Messa in effetti si interrompe qui e questo sicuramente può avere indotto dei fedeli distratti a pensare che Sodoma fosse salva. Ma da un sacerdote e soprattutto da un vescovo, che si picca di essere un grande teologo, ci si aspetta che conosca anche il seguito. In effetti, anche nel brano letto la presenza dei cinque giusti è un’ipotesi tutta da verificare. E infatti nel capitolo 19 Dio seppellisce Sodoma sotto una pioggia di fuoco e zolfo (peraltro dopo che i sodomiti hanno tentato di sodomizzare anche i due angeli inviati da Dio in sembianze umane).

Ma Galantino, ossessionato dal dover parlare a favore (soprattutto di quelli che vogliono la distruzione della Chiesa) e mai contro (a meno che non si tratti di chi prega il rosario fuori dalle cliniche abortiste o organizza Family Day), evidentemente non gradisce quel finale. E quindi, pensando forse che l’era tecnologica legittimi la Bibbia interattiva in cui ogni lettore si riscrive le parti a suo piacimento, ha deciso di salvare Sodoma. Tra parentesi, l'inviato di Avvenire ha impietosamente riportato l'errore in bella evidenza.

Visto l’argomento, molti hanno collegato la riscrittura galantiniana della Bibbia alla tendenza catto-gay oggi dominante. È certamente un processo alle intenzioni, ma è pur vero che questa pagina di Genesi da un po’ di anni è entrata nell’occhio del ciclone. Per millenni infatti l'interpretazione non è mai stata messa in discussione, tanto è chiaro il testo; non a caso "sodomìa" (con i suoi derivati) è diventata una parola della lingua comune. Ma ora le cose sono cambiate: per poter affermare che la Bibbia non condanna l’omosessualità, oggi molti teologi in carriera affermano che il vero peccato degli abitanti di Sodoma che fa scattare l’ira di Dio non è la pratica omosessuale bensì la mancanza di accoglienza nei confronti degli stranieri, degli ospiti.

Vi fa venire in mente qualcosa? Eh già, avanti ancora un passettino e oggi i veri sodomiti sarebbero quelli che chiedono di controllare l’immigrazione. Sarà un caso, ma nella stessa omelia monsignor Galantino – pur senza riferimenti espliciti a Sodoma, anche perché nel frattempo si è salvata – ha fatto l’ennesima tirata sull’accoglienza ai profughi: «Continuo a domandarmi – ha detto - come si possano tenere le mani giunte in preghiera e poi con le stesse mani respingere il fratello che chiede di essere accolto! (…) Continuo a domandarmi come si possa elevare la propria mente a Dio e semmai impegnare la stessa mente a trovare giustificazioni per chiudere il proprio cuore dinanzi a chi è profugo e perseguitato!». 

Su questo tema ci siamo già dilungati molte volte e non vale la pena di ripetersi. Si potrebbe solo ribadire che il tema immigrazione è ben più complesso degli slogan galantiniani, che fanno fuori pure il diritto internazionale. Ma per uno abituato a riscrivere anche la Bibbia, cosa vuoi che sia.

 

 


 
L'allarme gay nei seminari parte da Dublino
di Riccardo Cascioli


04-08-2016
L arcivescovo Diarmuid Martin

Una bomba che sconvolge la Chiesa irlandese ma che deve aprire gli occhi sulla realtà gay tra i preti dell’intera Chiesa cattolica. Il clamoroso gesto dell’arcivescovo di Dublino, monsignor Diarmuid Martin, che ha ritirato i propri seminaristi dal famoso seminario nazionale di Maynooth a causa della cultura gay che regna in quella istituzione, è destinato a provocare un terremoto nella Chiesa irlandese. Martin è infatti uno dei quattro vescovi che fa parte del comitato dei garanti di Maynooth, un simbolo della Chiesa irlandese, un seminario fondato nel 1795 e preparato per accogliere 500 seminaristi.
La crisi post-conciliare e i gravi scandali di pedofilia che hanno sconvolto la Chiesa irlandese hanno comportato un calo drastico delle vocazioni e attualmente ci sono una sessantina di seminaristi, destinati ulteriormente a calare alla riapertura del seminario a settembre. Oltre ai tre della diocesi di Dublino, che verranno inviati a studiare al Collegio irlandese a Roma, indiscrezioni parlano di altri sei seminaristi che avrebbero deciso di uscire per le molestie ricevute.

A provocare la decisione di monsignor Martin è stata la certezza di una tendenza gay diffusa a Maynooth, con diversi studenti che usano l’app Grindr, la più diffusa app gay internazionale per chat e incontri. Molte anche le lettere anonime di studenti che raccontano la situazione e che subiscono molestie. Di fronte alle ripetute segnalazioni e sollecitazioni, monsignor Martin ha denunciato l’inazione dei responsabili del seminario a cui lo stesso Martin aveva offerto l’invio di persone esperte per verificare il contenuto delle denunce. Ergo: «A Maynooth c’è un ambiente velenoso, non adatto agli studenti», e da ora in poi i seminaristi della diocesi di Dublino andranno a Roma. 

Già qualcuno afferma che rischiano di passare dalla padella alla brace: anche se il Collegio irlandese è stato “ripulito” cinque anni fa con un cambiamento di tutti i responsabili dopo una visita apostolica che aveva verificato molestie gay, non è che all’ombra del Vaticano quanto a omosessualità praticata fra sacerdoti e seminaristi si scherzi; ma almeno il nuovo rettore del Collegio Irlandese è un ex collaboratore di monsignor Martin di cui l’arcivescovo di Dublino sente di potersi fidare. 

Per chi conosce la situazione irlandese, la decisione di Diarmuid Martin non è un fulmine a ciel sereno. Le voci su Maynooth vanno avanti da decenni (molti l’hanno già ribattezzata Gaynooth), ma non si tratta solo di voci: clamoroso fu il caso, negli anni ’80 del XX secolo di padre Gerard McGinnity, allora decano di Maynooth, che denunciò a sette vescovi gli abusi sessuali del giovane candidato alla presidenza del Collegio, monsignor Micheàl Ledwith. Una indagine fu condotta ma le accuse non furono provate, padre McGinnity fu costretto a dimettersi, fu esiliato in un piccolo villaggio del nord, mentre monsignor Ledwith proseguì nella carriera come presidente del collegio prima di dimettersi improvvisamente nel 1994. Nel 2002 fu poi reso noto che Ledwith aveva trovato un privato accordo di risarcimento con un ex seminarista che lo aveva accusato di abusi sessuali.

Maynooth è tornato al centro dell’attenzione nel 2010 quando papa Benedetto XVI ordinò una visita apostolica in tutti i seminari d’Irlanda a seguito del gravissimo scandalo pedofilia. Peraltro sul tavolo delle autorità di polizia c’è anche la denuncia di un ex seminarista che ha denunciato gravi abusi sessuali da parte del proprio direttore spirituale tra il 2007 e il 2009. In ogni caso il rapporto seguito a quella visita apostolica non è mai stato reso noto ma nel 2011 si diffusero voci di una imminente chiusura del Collegio con lo spostamento di tutti i seminaristi al Collegio irlandese di Roma. Non se ne fece niente, ma è inevitabile che il progetto torni ora di attualità. 

L’iniziativa però può partire solo da Roma perché in Irlanda monsignor Martin è isolato, e non solo per il problema seminari: gli altri tre vescovi “garanti” di Maynooth – compreso il primate irlandese Eamonn Martin, arcivescovo di Aarmagh - hanno già tutti preso posizione a favore dei responsabili del collegio, così come altri vescovi. Si ha notizia di un solo altro ordinario che si appresterebbe a ritirare i propri seminaristi. 

Ad ogni modo, il nuovo scandalo irlandese – grazie al coraggio dell’arcivescovo di Dublino - porta di nuovo alla ribalta il grave problema dell’omosessualità tra i preti, non solo in Irlanda. E ci costringe a ricordare quella verità scomoda ormai diventata un tabù, ovvero che il cosiddetto “scandalo pedofilia” nella Chiesa ha molto più a che fare con l’omosessualità che non con la pedofilia vera e propria. 

Vorrei ricordare al proposito l’intervista rilasciata alla Bussola Quotidiana dallo psicoterapeuta Gerard van den Aardweg (clicca qui per l’intera intervista) che, commentando l’approfondita ricerca sul fenomeno negli Stati Uniti, spiegava: «L’82% di tutte le presunte molestie consumate tra il 1950 e il 2002 aveva come vittime dei maschi: il 12% sotto gli 11 anni, come abbiamo visto, il restante 70% tra gli 11 e i 17 anni. Il che vuol dire che la grande maggioranza dei casi ha a che fare con l’«ordinaria» omosessualità. In generale i pedofili non si rivolgono a bambini dello stesso sesso, e certamente neanche gli eterosessuali. Inoltre, è innegabile che una rilevante parte di uomini con orientamento omosessuale sia attratta dagli adolescenti e preadolescenti». E commentando la drastica diminuzione di casi di pedofilia dopo gli anni ’80, van den Aardweg notava che non era affatto diminuita la tendenza omosessuale tra i preti ma che «l'età dei partner sessuali di seminaristi e preti omosessuali si sposta in avanti man mano che il comportamento omosessuale viene sempre più apertamente tollerato e normalizzato».

Non sorprende perciò che, consolidatasi nei decenni, oggi si possa parlare di una vera e propria lobby gay che ha guadagnato posizioni importanti ai vertici della Chiesa, tanto da influenzare pesantemente anche i recenti Sinodi sulla Famiglia, e che con il pretesto dell’accoglienza punta chiaramente a cambiare di fatto la dottrina cattolica sul tema della sessualità. 

Né può sorprendere l’atteggiamento molto accondiscendente di tanti vescovi – anche italiani – verso il riconoscimento legale delle unioni fra persone dello stesso sesso: la difesa dell’unicità della famiglia naturale (fondata sul matrimonio tra u uomo e una donna) è in questa prospettiva solo una foglia di fico. Rivendicare la diversità tra famiglia naturale e unione omosessuale infatti, non serve a difendere il matrimonio ma a legittimare quelle unioni gay il cui riconoscimento da parte dello Stato è avversato chiaramente dal Magistero della Chiesa (vedi la Nota della Congregazione per la Dottrina della Fede del 2003 e la Nota dei vescovi italianidel 2007, di cui il nostro giornale ha parlato molte volte). 

Un’ultima notazione riguarda il rapporto tra tolleranza o addirittura promozione di comportamenti omosessuali e deviazione dal Magistero. Maynooth è nota non solo per la cultura gay che la anima, ma anche per le tendenze liberal in teologia, soprattutto morale. Non si contano i casi di seminaristi che sono stati “bloccati” negli anni a causa di presunta “rigidità dottrinale”, vale a dire che erano fedeli a quanto la Chiesa ha insegnato per duemila anni. È ciò che avviene purtroppo in tanti altri seminari e congregazioni religiose, un altro segnale della grave situazione esistente nella Chiesa. Vocazioni genuine al sacerdozio vengono bruciate da predatori sessuali o maestri del relativismo teologico che spadroneggiano nei seminari e non solo. È scandaloso che da una parte ci si lamenti del calo delle vocazioni e dall’altra si distruggano coloro che sono chiamati.

In questo senso, l’iniziativa del vescovo Diarmuid Martin dovrebbe essere considerata come un grido di allarme perché qualcuno a Roma intervenga per riportare tanti collegi e seminari – non solo Maynooth – allo scopo per cui sono stati istituiti. La ricorrenza odierna del santo sacerdote Giovanni Maria Vianney ricordi a tutti la bellezza e la grazia della vocazione sacerdotale.


Caterina63
00sabato 27 agosto 2016 00:33

Il cardinale Giuseppe Siri e il complesso degli errori ricorrenti

 
Intervista al card. Siri, dalla rivista Renovatio VI/1970. È datata; ma vi ritroviamo grande consapevolezza sui problemi che ora si stanno rivelando in tutta la loro esiziale distruttività.

RENOVATIO — Esiste, secondo V. E., un rapporto tra la situazione presente della società umana nel suo complesso e quella della Chiesa? Vi è un rapporto tra le difficoltà presenti della religione e quelle dell’umanità?
 
SIRI — Come sarebbe possibile diversamente? La Chiesa non vive separata dal suo tempo e dal suo mondo. Le difficoltà che l’uomo sperimenta oggi a vivere da uomo si ripercuotono nella difficoltà che il cristiano incontra a vivere da cristiano. Il mondo odierno vive della conquista della materia: anche se la scienza gli rivela che la sapienza e la potenza dell’ordine creato superano da ogni parte la capacità di previsione della ragione, l’uomo si trova però chiuso nella struttura mondana che egli si è costruito. L’uomo ha scoperto di poter conquistare la materia, di poterla rendere strumento della sua volontà: ciò gli ha tolto il senso di una superiore prudenza e ha fatto della conquista del mondo il saccheggio del mondo, la perdita della realtà umana più profonda: lo spirito. La spirito è pietra angolare dell’uomo e del mondo: pure esso è la pietra che i costruttori della nostra società presente hanno voluto dimenticare e respingere. Siamo giunti così in un mondo in cui la persona umana non ha valore perché l’uomo non ha più significato, e non è più considerato l‘immagine di Dio. Quando gli uomini fecero le loro prime scoperte, vi fu un senso di superbia e di assoluto predominio dell’uomo sul mondo: è ciò che ci viene narrato nel racconto della torre di Babele, una visione profonda della dialettica della civiltà. Dio confuse allora le lingue. Ma oggi le menti stesse degli uomini sono confuse. L’ora del massimo della potenza è l’ora oscura, in cui la sapienza mondana non sa che prefigurare la crisi definitiva dell’umanità. Ma i cristiani sono figli della speranza.

RENOVATIO — Ogni realtà mondana è giustificata da quelle che san Paolo chiama le filosofie di questo mondo. Quali sono le filosofie dell’attuale potere mondano?
 
SIRI — La prima e fondamentale dottrina del potere di questo mondo è l’affermazione: non c’è verità. Sant’Agostino diceva che la differenza tra la civitas mundi e la civitas Dei è che la prima ha mille opinioni, la seconda una sola verità. [...]
 
RENOVATIO — Possiamo dire che esiste una tecnica per sostituire alla verità l’opinione, per porre il gusto dell’opinabile al posto del desiderio del vero?
 
SIRI — Tale tecnica esiste ed è collaudatissima: basta dare un’occhiata all’attuale pubblicistica religiosa, letteraria, filosofica. Si tratta di esprimere opinioni così cautamente formulate che non si possa capire qual è la tesi dell’autore: o meglio ancora: in modo che dottrine intellettualmente contraddittorie vengano giustapposte l’un l’altra, come se fossero tra di loro compatibili. Ritorniamo allo slogan della morte di Dio. Se si dicesse negazione di Dio, tutti capirebbero. Ma ci troviamo di fronte a un’operazione molto sofisticata, che vuol dare l’impressione di salvare la più distillata e preziosa quintessenza dell’idea di Dio pur nella sua «identificazione» con la realtà profonda dell’uomo. Prendiamo un’altra frase famosa: «Quando Dio vuole essere non Dio, l’uomo nasce». Cosa vuol dire questa frase di un leader massimo delle attuali opinioni teologiche? Rigorosamente parlando, nulla. Essa certo non vale l’espressione dell’uomo «immagine di Dio». Ma dà l’impressione di nascondere qualche misterioso segreto sui rapporti tra divino ed umano che la dottrina della creazione sembra tenere velato e inespresso. Abbiamo scelto esempi di livello sofisticato. Ma poi potremmo continuare con questa teologia piena di aria fritta. È una manipolazione del linguaggio in modo che si alluda ad eldoradi nascosti del pensiero invece di esprimere chiari e distinti concetti. [...]
 
RENOVATIO — V.E. ha detto altre volte del problema della salute mentale come di un problema dell’uomo d’oggi.
 
SIRI — Certo: perché il disordine dello spirito diviene immediatamente il disordine della psiche e dei nervi. È curioso che a tanto materialismo corrisponda una singolare indisponibilità a valutare le conseguenze neurologiche del disordine spirituale. Proprio della parte più nobile dell’uomo è di risentire per primo che le tenebre sono la morte, sono la decadenza della vita. Sarebbe curioso cercare le ragioni che inducono a dimenticare le precise statistiche, nei Paesi che le fanno, sulle dimensioni della crisi mentale. Non è questa la civiltà del tranquillante e dello psichiatra? Non si vuole riconoscere il rapporto tra disordine spirituale e disordine psichico e nervoso. Perché? Forse in nome del materialismo? No: vi è piuttosto qui la congiura del silenzio verso un problema imbarazzante.
[...]
 
RENOVATIO — Ma la Chiesa parla oggi all’uomo della croce che è vita e liberta?
 
SIRI — La Chiesa, sì: se qualcuno si avvicina ai beni divini che la Chiesa indefettibilmente custodisce, trova parole di vita eterna. Ma tanti cristiani sono coinvolti nella crisi stessa dell’umanità, sono portati ad adorare anch’essi l’idolo dell’uomo senza profondità: da destra e da sinistra, in nome del benessere o in quello della rivoluzione. Nella nostra stessa vita ecclesiastica si lamentano talvolta fenomeni paralleli a quelli della vita sociale nel suo complesso. La dittatura dell’opinione in cui viviamo si ripercuote anche nella vita ecclesiastica. Un’editoria pronta soltanto a sollecitare il fantastico, l’inaudito, l’irreale, a criticare il passato perché passato e a prevedere un futuro di sole luci, di totali vittorie dell’umanità, obbedendo in ciò alla legge della imposizione del prodotto, della ricerca del consumatore, cioè a motivi di lucro, è oggi una delle piaghe anche nella Chiesa. Oggi, ogni teologo che passi per iconoclasta, liberatore, innovatore, è subito captato da un’editoria compiacente, che diffonde per tutti i canali dei mezzi di massa questo dissenso confortevole, questa iconoclastia per amor del comodo e del successo. Il divismo di teologi, di scrittori, di figure della protesta: ecco un dolore, una sofferenza per la Chiesa di oggi: coloro che denigrano il passato della Chiesa per affermare che è proprio dal rinnegamento di esso che la Chiesa riemergerà più autentica.
 
RENOVATIO — Per qualificare il tipo di errori oggi correnti si è ricorso a due paragoni: al modernismo e alla gnosi. Si è parlato anche di «protestantizzazione». «Renovatio» ha preferito il termine gnosi per indicare la separazione delle verità naturali (e veterotestamentarie) da quelle evangeliche. Il dire, per esempio, che non esiste legge naturale, che i limiti e le pene che l’ordine presente impone non risalgono a Dio, il negare la pena e la sanzione divina al peccato umano sono tesi che oggi costituiscono il sottofondo, sempre più esplicitamente espresso, di tanta letteratura teologica. Ciò ci pare una nuova gnosi.
 
SIRI — Comprendo benissimo le ragioni di questa espressione: e credo che si possa legittimamente qualificare di gnosi il complesso di errori oggi ricorrenti visti nella loro sistematicità. Ma credete voi che i più sappiano il significato di quello che dicono? Questo è il terribile: che non sanno quello che dicono. Ciò che viene scelto spesso lo è non per un motivo razionale (sarebbe ancora una affermazione di verità), ma unicamente per conformismo al mondo. La potenza mondana ha una sua filosofia: e i teologi del giorno che passa accettano di tradurre le opinioni del tempo in linguaggio teologico, non perché accettino una dottrina come tale, ma soltanto perché accettano le dottrine che piacciono alle potenze di questo mondo. La gravità di questo tempo rispetto agli altri è questo: che non si tratta più di contrasto tra verità ed errore, ma tra verità e non verità, tra ordine della verità e dittatura dell’opinione. Gli uomini si ritengono liberi: è questa loro opinione, di essere liberi perché è scritto nei testi giuridici, il massimo momento e manifestazione della loro servitù. In realtà molti vivono sotto una dittatura: la dittatura dell’opinione.
 
RENOVATIO — Anche la Chiesa è sotto una dittatura dell’opinione?
 
SIRI — La Chiesa, no; ma molti che sono nella Chiesa, sì. La Chiesa non può mai essere violentata nella sua libertà senza che lo Spirito Santo susciti potenti reazioni. A un livello notevolmente diverso e più particolare, possiamo considerare i pontificati diversi e talvolta reattivi tra di loro. Nella diversità, Dio fa l’unità. La bufera che si scatenò attorno al Concilio non fu voluta da papa Giovanni, che ne soffrì profondamente; ne sono personale testimone. [...]
 
RENOVATIO — Possiamo riassumere così la visione che V.E. ha della crisi della società umana cosi come della presente situazione ecclesiale: vi è una realtà umana che i mezzi di comunicazione di massa non dominano, vi è una vita cristiana che la dottrina dell’opinione non corrompe?
 
SIRI — La realtà che conta è sempre la realtà profonda, quella che la dittatura dell’opinione nega perché non riesce ad afferrarla. La presente situazione della Chiesa è una delle più gravi della sua storia, perché questa volta non è la persecuzione esteriore a impugnarla, ma la perversione dall’interno. Più grave. Ma le porte dell’inferno non prevarranno.
 
RENOVATIO — Tuttavia vi sono mezzi e provvedimenti che possono essere oggetto di desiderio dei fedeli: può indicarne V.E. eventualmente qualcuno?
 
SIRI — La cosa più urgente è restaurare nella Chiesa la distinzione tra verità ed errore. Talvolta sembra riecheggiare come dominante il dibattito teologico la domanda di Pilato: che cos’è la verità? Occorrono atti che sfatino la legittimità della dittatura dell’opinione, questo terribile potere di fatto che limita e coarta il potere di diritto. Siamo al punto in cui qualunque esercizio dell’autorità ecclesiastica e considerato abuso nei confronti della libertà. Come se l’autorità fosse la negazione della libertà! Mille poteri illegittimi coartano ben più gravemente e ben più sistematicamente la coscienza e la libertà delle persone sul piano immediato, mentre sul piano più profondo le separano dalla verità, espressa nelle fonti della Rivelazione e nel Magistero. lo spero che le giuste e autorevoli distinzioni verranno.
 
RENOVATIO — Quando si parla di un ritorno ad una condanna formale di proposizioni, si dice che ciò non è conforme alla natura pastorale dell’autorità nella Chiesa. E si dice anche che ciò potrebbe dar luogo a scismi.
 
SIRI — La pastorale non è l’arte del compromesso e del cedimento: è l’arte della cura delle anime nella verità. Quando questo è stato detto tutti hanno capito: anche, e soprattutto, quelli che hanno deformato o criticato. Il linguaggio del buon pastore è all’opposto di quello che dicono alcuni teologi del momento. Non credo a possibilità scismatiche. Coloro che usano della loro funzione ecclesiastica per sovvertire la Chiesa contano, in realtà, innanzi agli occhi del mondo solo perché esiste quella Chiesa che essi intendono demolire in nome della «Chiesa futura umanità». Poi ci sono tanti segni, soprattutto fuori d’Europa, che indicano che i demolitori della Chiesa hanno fatto il loro tempo. [...]
 
RENOVATIO — La liturgia stessa è oggi oggetto di contestazione e di negazione: basti pensare alla underground Church, alla messa senza paramenti, a vari aspetti che tendono a diminuire il carattere sacrale e sacrificale del culto cristiano. Sacro e sacrificio sono parole esorcizzate da molti.
 
SIRI — Vi sono questi aspetti più gravi, che sono la conseguenza, sul piano liturgico, di radicali errori dottrinali. Si faccia della liturgia, ma della liturgia non si facciano deformazioni abusive. Oggi si rivelano pericolose perdite nell’essenziale. Il sacro non è soltanto il rito: è la presenza nel rito della realtà significata. Quando si mitizza il rito, si perde il senso della sostanza che contiene. Non ci si meravigli poi che l’Eucarestia divenga per taluni una semplice festa dell’unità umana, in cui Dio è semplicemente spettatore. Qui, siamo non alla eresia, ma alla apostasia.
[...]
 
RENOVATIO — V.E. vede segni autentici di un rinnovamento della Chiesa?
 
SIRI — Noi siamo in un tempo di prova: e nei tempi di prova è più facile vedere la tenebra che la luce. Ma la luce è presente: la potenza stessa della tenebra è un mezzo di purificazione perché siamo fatti più capaci di vedere la luce. Le tenebre non possono vincerla. Noi sappiamo che il Signore conduce le cose in bene: ed usa le sofferenze e gli stessi peccati degli uomini perché ne risulti un bene più grande. Quando cento anni fa cadde il potere temporale, il Papa sembrò prigioniero. «La fine del papato», strillavano i modesti mezzi di comunicazione sociale d’allora. Stava invece per cominciare una grande stagione del papato. E la stessa perdita del potere temporale vi contribuì. Non che noi dobbiamo salutare i politici di allora come dei liberatori della Chiesa: è che Dio usa delle opere di tutti per il bene del suo popolo, che è il bene di tutta l’umanità. Sarà così anche domani: delle nostre difficoltà, si considererà soltanto la luce. La nostra umana debolezza, l’isolamento, il senso di sconfitta apparirà cambiato dalla potenza di Dio, in segno della gloria della sua città. È nella luce della croce del Signore che la notte diviene luminosa. Non sono un pessimista, solo rilevo che il tempo si è fatto scuro perché l’ombra del culto delle cose materiali si stende sul mondo. Ho sempre notato che in genere gli errori teologici derivano da inquinamenti marxisti. È una storia lunga. Ma finora non ho trovato sulla mia strada uomini cosi puri nella fede come quelli che hanno esperimentato nella vita quella teoria. Sono stati vaccinati.
 
 

EDITORIALE
Agostino Giovagnoli
 

Al convegno ecclesiale di Loreto del 1985, Giovanni Paolo II indicò alla Chiesa italiana una via per l'unità che passa da una presenza come avvenimento di fede, tesa alla missione, capace di incontrare le altre componenti della società italiana, contro una visione che riduce l'unità a omologazione. Risposta allo storico Giovagnoli.

di Luigi Negri*
 

Pubblichiamo una lettera aperta di monsignor Luigi Negri, arcivescovo di Ferrara-Comacchio, al professor Agostino Giovagnoli, ordinario di Storia contemporanea all'Università Cattolica di Milano, in seguito al suo intervento al Meeting di Rimini in cui presenta una rilettura della storia della Chiesa italiana degli ultimi trenta anni, a partire da una critica al Convegno ecclesiale di Loreto del 1985 (clicca qui per leggere i principali passaggi discutibili a cui si riferisce monsignor Negri).

Carissimo Giovagnoli,

ti scrivo usando quella confidenza e sincera lealtà con cui abbiamo vissuto i nostri rapporti fin quando sono stato docente della Università Cattolica. Ricordo i nostri bei dibattiti svolti fra una lezione e l’altra: ho cercato di aprirmi alle tue ragioni, molto diverse dalle mie, ma credo che anche tu in questo dialogo abbia potuto identificare il senso e la ragione della mia presenza in Cattolica e nella Chiesa italiana.

Sono rimasto molto colpito, negativamente, dal tuo intervento al Meeting di Rimini sul genio della Repubblica. Certamente sono affermazioni, le tue, che richiederanno chiarimenti e approfondimenti, ma intanto sto al senso del tuo intervento.

Sono due i punti di dissenso dalla tua posizione:

Il primo riguarda una rilettura scorretta, gravemente scorretta, di quello che è stato il grande convegno di Loreto del 1985. In quell’occasione Giovanni Paolo II si prese la responsabilità di indicare le linee di una identità dei cattolici italiani nel loro servizio al bene comune, riproponendo in maniera esplicita il valore insostituibile della Dottrina sociale della Chiesa, considerata come elemento dinamico così come era stato lungo la storia degli ultimi secoli. 

Tu accenni a una resistenza: io ricordo bene il clima di resistenza e di distanza in cui l’intervento del Santo Padre fu seguito quasi senza nessun applauso. Applausi che invece debordarono moltissimi nei confronti dell’allora presidente dell’Azione Cattolica, di cui purtroppo ora non ricordo il cognome ma che era certamente su posizioni molto diverse da quelle di san Giovanni Paolo II. Il Papa chiuse allora una stagione triste della Chiesa italiana piena di complessi di inferiorità, piena di reticenze, di resistenze; ha chiuso il dualismo fede-politica, fede-cultura, fede-ragione, ridando il senso dell’avvenimento della fede come avvenimento unitario, globale, aderendo al quale si procede verso il cambiamento integrale della propria intelligenza, della propria affezione. 

Il contributo che Loreto ha indicato ai cattolici italiani era quello di una presenza fortemente identificata. Non contro nessuno: fortemente identificata come avvenimento di fede, fortemente identificata come appartenenza al mistero della Chiesa e soprattutto tesa a investire la realtà della vita sociale di una presenza missionaria nella quale - e attraverso la quale - avveniva un significativo incontro tra i cattolici e le altre componenti della vita sociale italiana.

Il modo per lavorare per l’unità – e qui entro nel secondo livello delle mie osservazioni – è esattamente questo appena descritto. Non di lavorare senza identità, senza caratterizzazioni per una unità del popolo italiano che così come viene adombrata da te non c’è mai stata; per una unità che è tutto sommato una sorta di indifferenza che è la promessa se non già l’esperienza di una omologazione, che è certamente oggi il grande pericolo della nostra società.

Ciascuno non sa più chi sia veramente perché mancano le possibilità di quell’approfondimento della propria identità che – come diceva il mio grande maestro don Luigi Giussani – è la condizione per una effettiva possibilità di dialogo. Il dialogo è il dialogo tra identità, non è una sorta di meccanismo neutrale che c’è per forza propria. Io ho lavorato più di sessanta anni per la Chiesa in Italia, e credo che il contributo che ho dato insieme a tantissimi amici di Comunione e Liberazione (Cl) sia stato quello del recupero di una identità cristiana in funzione di una missione sempre più forte, più libera, capace di creare effettivamente una società più vera, più libera, più umana.

Adesso tanti fatti, tanti avvenimenti e tante esperienze della vita di Cl mi sembra siano presentate secondo una ottica ideologica che non posso condividere perché questi avvenimenti non sono accaduti come vengono descritti oggi. E poi perché mi sembrano di una enorme banalità.

Caro Giovagnoli, sono intervenuto perché ci sia una possibile chiarificazione tra noi, e ci si aiuti a integrarsi. Ma lasciami anche dire che ho aspettato invano che ci fossero voci libere come la tua che ricordassero ai responsabili del Meeting e a tutti che non è possibile che venga negato nell’ambito del Meeting il diritto di parola a gente che porta sulle sue spalle il peso di una fedeltà alla Chiesa che ha significato martirio, a volte offerta della vita (il riferimento è a quanto accaduto per il dibattito sulla normalizzazione dei rapporti tra Cuba e Stati Uniti, clicca qui). Mi è suonata terribile l’affermazione di una responsabile del Meeting secondo cui lo spirito del Meeting «non è di dare voce a chi non può parlare». Vorrei dire a costoro: scusatemi, io per 36 anni non solo ho avuto questa esperienza ma ho lavorato perché chi non aveva voce nella società potesse averla almeno nello spazio libero di un dialogo fra identità operate o sostenute dall’amore a Cristo e all’uomo.

* Arcivescovo di Ferrara-Comacchio


 


Caterina63
00domenica 2 ottobre 2016 11:02
EDITORIALE



Monsignor Domenico Cornacchia (VERGOGNATI, VESCOVO!!)


 



Contrariamente a quanto dichiarato alla Nuova BQ, alla fine il vescovo di Molfetta ha "battezzato" il corso gender della propria diocesi. Un vero scandalo che però è soltanto la punta dell'iceberg in una Chiesa sempre più indirizzata dalla lobby gay. Ormai le condanne del gender non bastano più...



di Riccardo Cascioli




«Evitare il confronto è da vili», ha detto monsignor Domenico Cornacchia, vescovo di Molfetta, introducendo il 30 settembre il dibattito che ha dato inizio al corso di formazione per insegnanti ed educatori sulla “Educazione di genere”, organizzato dalla diocesi di Molfetta e dalla locale Azione Cattolica. Oddio, chiamarlo dibattito sembra azzardato, visto che i sei che sedevano dietro al tavolo degli oratori raccontavano in modi diversi la stessa storia: che l’omosessualità, cioè, è una variante della natura, che l’educazione di genere è compito fondamentale della scuola, che compito dell’educatore è accompagnare ogni persona nel crearsi una identità sessuale forte, qualsiasi essa sia. 

Ma i lettori più attenti si saranno accorti di una stranezza: la presenza all’incontro di quel vescovo che, prima annunciato sui manifesti, alla Nuova BQ aveva poi fatto dire dal suo segretario che non sarebbe andato (clicca qui). Sconcertati dal manifesto e dalla presentazione del corso di formazione (clicca qui), volevamo semplicemente chiedere al vescovo il perché di questa scelta così in contrasto con certe affermazioni di papa Francesco sul tema dell’educazione di genere (e ieri in Georgia ne ha dato un’altra dimostrazione) e se era consapevole che tutti i relatori sono noti per le loro posizioni chiaramente pro-gender.

Il buon segretario del vescovo, don Luigi Amendolagine, ci ha detto che lui e il vescovo non ne sapevano nulla, che altri erano gli organizzatori, che il vescovo comunque aveva altri impegni e non sarebbe andato, che poi – figurarsi - «sappiamo bene cosa insegna la Chiesa e quindi ci saranno sicuramente voci che esprimeranno questa posizione» (e nel caso don Luigi pensasse di poter smentire, sappia che abbiamo la registrazione delle due telefonate). 

Ma era solo un modo per evitare il confronto. Non solo il vescovo ci è andato ma la registrazione dell’incontro (clicca qui per il video) dimostra chiaramente che monsignor Cornacchia sapeva benissimo chi erano i relatori e cosa avrebbero detto (diocesi ed “esperti” ci lavoravano da mesi), cose su cui ha dimostrato di concordare in pieno, rifugiandosi dietro al solito «Chi sono io per giudicare?». È d’accordo sul fatto che «ci siano varianti nella stessa natura»; ha detto che viviamo tutti «un problema evolutivo» (qualsiasi cosa significhi), davanti al quale non è lecito «tapparsi le orecchie come per tanto tempo anche la Chiesa ha fatto»); con notevole sprezzo del pericolo ha sostenuto che «noi ci inchiniamo di fronte a chi fa una determinata scelta», e non parliamo delle frasi sconnesse con cui ha definito l’esortazione apostolica “Amoris Laetitia”. E davanti a una domanda precisa ha fatto sfoggio di una invidiabile cultura internazionale affermando che «qui stiamo parlando di genere e non di gender»: qualcuno dal pubblico gli ha urlato che sono la stessa cosa essendo il primo termine la traduzione italiana del secondo (in inglese), ma non ha raccolto. 

Per certi versi il caso di Molfetta è clamoroso, ma sarebbe un errore pensare che sia isolato. Al contrario è dentro una tendenza ormai più che conclamata, visto che da tempo anche Avvenire e Tv2000, gli organi di informazione ufficiali della Chiesa italiana, sembrano diventati organi di promozione dell’omosessualità (cliccaqui e qui). È ancora Avvenire che ha sdoganato già da tempo l’ideologia di genere introducendo una differenza tra un gender buono e un gender cattivo, un po’ come per il colesterolo (clicca qui). Proprio due giorni fa il quotidiano Repubblica ha pubblicato un lungo articolo in cui dà conto della lunga marcia delle associazioni cristiane Lgbt sempre più integrate nella pastorale delle diocesi. E il Rapporto 2016 sui cristiani Lgbt in Italia ne offre un dettagliato resoconto (clicca qui)

Per questo, pur di fronte a un’iniziativa oggettivamente scandalosa (nel senso letterale del termine) e grave come quella di Molfetta, non ci aspettiamo chissà quali interventi superiori. Anzi, è più probabile che ci toccherà ascoltare messaggi di sostegno a un confratello vilmente e ingiustamente attaccato dai soliti “dottrinari” che invece di chinarsi sulle ferite degli uomini, pensano soltanto alla Legge. 

E non basteranno neanche le parole chiare del Papa di ieri a proposito di gender e di guerra mondiale contro il matrimonio. Perché il tutto passa da sottili distinzioni che permettono di tenere insieme il Magistero con il suo sovvertimento: si prende le distanze da una ideologia del genere, che forse neanche esiste (si dice), ma si valorizza l’accompagnamento alla costruzione dell’identità sessuale; si condanna a parole l’indottrinamento nelle scuole ma poi si costruiscono percorsi nelle diocesi e nelle parrocchie - per «capire», per «dialogare» - che fanno la stessa cosa; si fa finta che il gender sia una cosa e l’omosessualità un’altra; si spaccia per aiuto alle persone ciò che è invece pura e semplice promozione di uno stile di vita; si difende il matrimonio ma poi si promuovono le unioni omosessuali «basta che non siano equiparate alla famiglia». Tanto per capire che in confronto ai personaggi che guidano l’opinione nella Chiesa oggi, i capi dei farisei al tempo di Gesù erano dilettanti.

Per questo la condanna dell’ideologia del gender non è più sufficiente, si deve affermare con chiarezza che questa ideologia e la promozione dell’omosessualità, la pretesa che essa sia una semplice «variante della natura», sono un tutt’uno. Si deve dire in modo inequivocabile che accogliere le persone e accompagnarle è cosa ben diversa dall’accettare stili di vita incompatibili non con la dottrina ma con il bene delle persone stesse. Così come si bastona quanti usano la dottrina come pietre da scagliare contro le persone, si deve denunciare con forza quanti stravolgono e usano il Magistero della Chiesa per affermare dottrine personali o, peggio, per sistemare le proprie situazioni affettive. 

Senza un intervento chiaro in questo senso, non c’è dubbio che l’attuale ondata catto-gay diventerà uno tsunami. 

  e dalla Visita Apostolica, il Papa risponde proprio contro questo Vescovo recidivo e perverso:

FOCUS
di Lorenzo Bertocchi
Il Papa ieri in Georgia
 

Il Papa in Georgia usa parole durissime contro la dittatura gender: «Oggi c'è una guerra mondiale per distruggere il matrimonio. Siamo travolti dai problemi mondiali e dalle nuove visioni della sessualità come la teoria del gender». Poi sul divorzio: «Così si sporca l'immagine di Dio. A pagare sono Dio e i bambini che soffrono per la separazione dei genitori».

«Oggi c'è una guerra mondiale per distruggere il matrimonio». E' questa la frase che rimbomba dalla giornata di ieri del viaggio papale in Georgia e Azerbajan. L'ha pronunciata Papa Francesco rispondendo alle sollecitazioni proposte da Irina, una giovane mamma intervenuta durante l'incontro con religiosi, religiose e seminaristi nella chiesa dell'Assunta di Tiblisi. L'ultima giornata georgiana di papa Bergoglio, iniziata con la S.Messa presso lo Stadio M. Meskhi, era proseguita con l'incontro nella chiesa dell'Annunziata, quindi quello con gli assistiti e con gli operatori nel Centro di Assistenza dei Camilliani, infine si è conclusa con la visita alla Cattedrale Patriarcale di Svetitskhoveli di Mtskheta. Oggi il viaggio prosegue e si conclude in Azerbajan.

IL GENDER E' UNA COLONIZZAZIONE IDEOLOGICA

«Assieme alle famiglie ortodosse - ha indicato la giovane mamma nel suo intervento a Tiblisi - incominciamo ad essere travolti dai problemi mondiali, quali la globalizzazione che non tiene conto dei valori locali, le nuove visioni della sessualità come la teoria del gender, e l’emarginazione della visione cristiana della vita, in particolare della nostra scelta di educare come cattolici i nostri figli». Inoltre, la giovane Irina ha ricordato l'importanza per le famiglie di «riscoprire la propria realtà sacramentale».

Rispondendo a questo intervento Papa Francesco ha fatto deflagrare un giudizio chiaro: «Oggi c'è una guerra mondiale per distruggere il matrimonio. Oggi ci sono colonizzazioni ideologiche che distruggono, ma non si distrugge con le armi, si distrugge con le idee. Pertanto, bisogna difendersi dalle colonizzazioni ideologiche». In effetti si tratta di un concetto che il pontefice ha già espresso in altre occasioni, e che troppe volte è stato stranamente silenziato da media, invece, particolarmente solleciti nel riportare altri gesti e altre parole di papa Bergoglio. Questa volta il messaggio è arrivato forte e chiaro e nessuno potrà far finta di non averlo sentito, dentro e fuori i Sacri Palazzi. 

LA PIAGA DEL DIVORZIO

Nella risposta alla giovane Irina il Papa ha indicato che «il matrimonio è la cosa più bella che Dio ha creato. La Bibbia ci dice che Dio ha creato l’uomo e la donna, li ha creati a sua immagine (cfr Gen 1,27). Cioè, l’uomo e la donna che diventano una sola carne sono immagine di Dio.»

«Irina, tu sai chi paga le spese del divorzio?», ha proseguito il Papa rivolgendosi direttamente alla giovane donna. «Due persone, pagano. Chi paga? [Irina risponde: tutti e due] Tutti e due? Di più! Paga Dio, perché quando si divide “una sola carne”, si sporca l’immagine di Dio. E pagano i bambini, i figli. Voi non sapete, cari fratelli e sorelle, voi non sapete quanto soffrono i bambini, i figli piccoli, quando vedono le liti e la separazione dei genitori! Si deve fare di tutto per salvare il matrimonio». 

 



scusate ma…. proprio non resisto sulla questione delle varianti  e pensavo ai miti greci che finalmente diventano realtà…. prendiamo il Centauro mezzo uomo e mezzo cavallo; o il minotauro mezzo uomo e mezzo toro…. Ma prendiamo anche Alcida – essere variante – che vomitava fuoco, generato da Gea e ucciso dalla dea Atena…. o Amaltea la capra che allattò Zeus nell’isola di Creta…. E perchè non far diventare realtà le Arpie? Donne – diversamente umane, varianti dunque – alate dalle mani fornite di artigli, oppure con testa, busto e braccia di donna e il resto del corpo di uccelli rapaci con ali e artigli….. Che dire di Delfina? metà donna e metà serpe, avrebbe custodito Zeus, quando Tifone imprigionatolo gli aveva tagliato i tendini delle mani e dei piedi.  
Non c’è che dire…. se un vescovo passa dalla Bibbia ai miti, stamo freschi




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Il vescovo di Molfetta, Domenico Cornacchia, è uno di quei cattivi maestri dai quali il Vangelo ci mette in guardia. Giocare sul cognome non è elegante, lo riconosciamo, ma giocare anche contro Dio non solo non è elegante, ma blasfemo, e se fatto da un vescovo poi… e da un pastore che inganna il gregge che non gli appartiene, è ancora più grave, è da inferno assicurato (cfr Ezech. 13, 16 e ss).

Proponendovi l’ottima riflessione di Riccardo Cascioli, vedi qui, e persino le dure parole espresse da Papa Francesco contro la teoria gender, vedi qui, che ha definito una “guerra mondiale”, non possiamo non chiederci da che parte sta questo vescovo, e quanto sia davvero inconsapevole delle “cornacchiate” che ha espresso… Oggi troppo facilmente si additano queste persone come “incapaci di intendere”, quasi fosse una scusante, e così si accantonano le responsabilità assunte contro Dio, contro gli uomini.

No! Noi riteniamo, davanti agli uomini e davanti a Dio, il vescovo Domenico Cornacchia, lucidissimo e responsabile della deriva etica e morale che ha voluto assumere, responsabile di blasfemia contro l’uomo da Dio creato maschio e femmina, di bestemmia contro Dio che non ha affatto mai assunto una “identità gender”, ma si è incarnato, maschio, ed è nato da una Donna, la Vergine Maria.

Cornacchia, come riporta Cascioli: “È d’accordo sul fatto che «ci siano varianti nella stessa natura»; ha detto che viviamo tutti «un problema evolutivo» (qualsiasi cosa significhi), davanti al quale non è lecito «tapparsi le orecchie come per tanto tempo anche la Chiesa ha fatto»)…”.

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Ci dica, Cornacchia, dove ha appreso questa fonte scientifica e biblica…. perché neppure la scienza si è pronunciata, anzi, anche fra studiosi omosessuali si afferma che non esiste affatto una “variante”, vedi qui: “gay non si nasce”, e lo conferma, lo dice anche la Bibbia. L’omosessualità non esiste in natura come una “variante” alla quale concedere dei diritti! Esiste l’Uomo, maschio e femmina, il quale ha prima di tutto dei doveri verso la natura stessa, poi ha dei diritti riguardo alla sua dignità di essere umano, punto. Non è un problema “evolutivo”, ma un problema etico e morale creato dalle ideologie del nostro tempo, non dalla natura.

A ragione denuncia Cascioli: “Per questo, pur di fronte a un’iniziativa oggettivamente scandalosa (nel senso letterale del termine) e grave come quella di Molfetta, non ci aspettiamo chissà quali interventi superiori. Anzi, è più probabile che ci toccherà ascoltare messaggi di sostegno a un confratello vilmente e ingiustamente attaccato dai soliti “dottrinari” che invece di chinarsi sulle ferite degli uomini, pensano soltanto alla Legge…”.

Lo abbiamo visto con il caso del segretario della CEI il quale, impunemente, ha potuto modificare la Scrittura, affermare (e non in privato ma a migliaia di persone) che Sodoma e Gomorra non furono distrutte…. vedi qui, nessun vescovo ha reagito o ha fatto una doverosa “correzione fraterna”, pratica di vita cristiana insegnata da Gesù (Mt 18,15-17). Eppure dice lo stesso Pontefice: “La correzione fraterna è un atto per guarire il corpo della Chiesa. C’è un buco, lì, nel tessuto della Chiesa che bisogna ricucire…”(omelia 12.9.2014), in verità ci troviamo davanti a delle voragini irrimediabili, a causa delle quali si preferisce tacere…

Vogliamo concludere con una immagine eloquente. I Santi Padri della Chiesa venivano ritratti, nel mentre insegnavano o scrivevano, con accanto il Suggeritore, lo Spirito Santo nelle sembianze di una candida colomba, come ricorda il Vangelo. Ebbene, non è per mera irriverenza al cognome che porta che abbiamo messo una cornacchia, quale suggeritore, al vescovo di Molfetta, perché di questa si tratta – con tanto di rispetto all’animale che riporta in natura, invece, delle grandi dote – perché non è certo la candida colomba a suggerire oggi a questo vescovo ciò che deve dire e ciò a cui si sta prestando, altro che il Pio pellicano inserito nel suo stemma vescovile, questo da la vita ai propri piccoli, non li avvelena con false pasture.

Noi rigettiamo, candidamente, quanto ha affermato questo Vescovo, prendendone le distanze ufficialmente e pubblicamente, e non lo riconosciamo quale voce ufficiale della Santa Chiesa Cattolica, l’unica vera Chiesa di Cristo. Se non si correggerà dall’apostasia pubblica che ha fatto, riteniamo la diocesi di Molfetta carente, mancante del proprio vescovo e preghiamo per lui e per la povera diocesi.


RICORDA, INVECE:

IL TESTO DELL'INTERVENTO DELL'ARCIVESCOVO TOMASH PETA: «IL FUMO DI SATANA È ENTRATO NEL SINODO»

Il testo dell&#039;intervento dell&#039;arcivescovo Tomash Peta: «Il fumo di Satana è entrato nel Sinodo»
Di seguito il testo dell’intervento al Sinodo, sabato 10 ottobre, dell’arcivescovo di Astana (Kazakhstan) Tomash Peta.

«Il Beato Paolo VI disse nel 1972: “Da qualche fessura, il fumo di Satana è entrato nel tempio di Dio”.
Sono convinto che queste del santo pontefice, l’autore dell’Humanae vitae, furono parole profetiche. Durante il Sinodo dello scorso anno, “il fumo di Satana” ha cercato di entrare nell’aula di Paolo VI.
 
Precisamente ne:
 
1) La proposta di ammettere alla sacra Comunione chi è divorziato e vive in una nuova unione civile;
2) L'affermazione che la convivenza è un'unione che può avere in se stessa alcuni valori;
3) L’apertura all’omosessualità come qualcosa dato per normale.
 
Alcuni padri sinodali non hanno compreso nel modo giusto l'appello di Papa Francesco per una discussione aperta e hanno iniziato a portare avanti idee che contraddicono la Tradizione bimillenaria della Chiesa, radicata nel Verbo eterno di Dio.
 
Purtroppo, si può ancora percepire l'odore di questo “fumo infernale” in alcuni passi dell’Instrumentum Laboris e anche negli interventi di alcuni padri al Sinodo di quest'anno.

A mio avviso, il compito principale di un Sinodo consiste nell’annunciare di nuovo il Vangelo del matrimonio e della famiglia e quindi l'insegnamento del nostro Salvatore. 

Non è consentito distruggere il fondamento, distruggere la roccia.
 
Lo Spirito Santo, che vince sempre nella Chiesa, illumini tutti noi nella ricerca del vero bene per le famiglie e per il mondo.
 
Maria, Madre della Chiesa, prega per noi!»
 

 

Caterina63
00venerdì 21 ottobre 2016 11:25
  per una più confortevole lettura, e aggiornamenti, degli Appelli ai Vescovi - ma anche a tutti i Sacerdoti - vi rimandiamo alla nuova sezione aperta in continuità a questa.... CLICCARE QUI, grazie e


   






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