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Caterina63
00martedì 10 ottobre 2017 17:46

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PADRE PIO E L'EUCARESTIA
 

I due poli della vita di Padre Pio

«Come religioso Padre Pio visse generosamente l'ideale del frate cap-puccino, come visse l'ideale del sacerdote. Per questo, egli offre anche oggi un punto di riferimento, poiché in lui si trovano sviluppati i due elementi o poteri, che caratterizzano il sacerdozio cattolico nella sua specificità e nella sua vera essenza: la facoltà di consacrare il Corpo e il Sangue del Signore e quella di rimettere i peccati. Non furono forse l'altare e il confessionale i due poli della sua vita? Questa testimonianza sacerdotale contiene un messaggio tanto valido quanto attuale» (Giovanni Paolo 11: San Giovanni Rotondo, 23 maggio 1987).

 

PRESENTAZIONE

Le componenti principali della spiritualità del Servo di Dio Padre Pio da Pietrelcina sono indub-biamente due: il suo amore per Gesù e la sua devo-zione a Maria.

Della seconda il padre Tarcisio da Cervinara ha parlato nel libretto « Padre Pio e la Madonna », pub-blicato nel 1983. Ora, in questo opuscolo, egli parla della prima.

In verità di questa egli ha parlato quasi contem-poraneamente alla seconda in uno studio dal titolo « Padre Pio e l'Eucarestia », edito a puntate sul pe-riodico « Voce di Padre Pio » (novembre 1983-mag-gio 1984).

Accogliendo le insistenti richieste di numerosi fedeli, ho raccolto quelle puntate e presento tutto lo studio in quest'opuscolo, che ben volentieri metto a disposizione dei devoti del venerato Padre.

Il mio augurio è un solo. Possa l'esempio mirabi-le del Serafino di Pietrelcina infiammare il nostro cuore di amore sempre più grande per Gesù sacra-mentato.

L'augurio vale per tutti.

In modo particolare, per le anime consacrate, se-condo l'esplicita indicazione dello stesso venerato Padre.

Poiché il padre Tarcisio cita spesso il documento «Presbyterorum Ordinis », ho creduto opportuno pubblicare in appendice parte del capitolo secondo del celebre decreto conciliare.

In esso vengono descritte le principali funzioni dei presbiteri, i quali sono presentati sotto tre aspet-ti: come ministri della parola di Dio, come ministri della santificazione con i sacramenti e l'eucarestia, come guide ed educatori del popolo di Dio. Tutti possono facilmente constatare come queste funzioni sono state fedelmente adempiute dal vene-rato Padre Pio.

A riguardo abbiamo la parola autorevole di Gio-vanni Paolo II, il quale, il 23 maggio 1987, nel di-scorso pronunziato nel santuario di Santa Maria delle Grazie, affermò quanto segue: «Basta ricorda-re quel che insegna il Concilio Vaticano II sul Sa-cramento del Sacerdozio, soprattutto nel decreto "Presbyterorum Ordinis". Esso ribadisce quei valori essenziali e perenni del sacerdozio, che in Padre Pio si sono realizzati in modo eccellente ». (Cf. « Voce di Padre Pio », agosto-settembre 1987, p. 23).

San Giovanni Rotondo, 10 agosto 1990, 80° anniversario dell'ordinazione sacerdotale di Padre Pio. Padre Gerardo Di Flumeri Vice Postulatore 

PREMESSA

Gli atti del Vaticano II non hanno steso una costi-tuzione dogmatica e tanto meno un decreto nei ri-guardi del mistero eucaristico.

Il concilio di Trento, invece, ha consacrato tre ses-sioni, - XIII, XXI, XXIII -, su venticinque che lo compongono, per esporre e definire la dottrina catto-lica sull'Eucarestia.

Tuttavia colpisce il fatto che quasi tutti i docu-menti del Vaticano II, fatta eccezione di tre testi (In-ter mirifica, Nostra aetate, Dignitatis humanae) menzionano l'Eucarestia.

I temi in cui possono essere raggruppate le nume-rose riferenze conciliari sono più di un centinaio. Sulla falsariga del concilio, ne tratto tre, in ordine a Padre Pio:

I - L'Eucarestia nella vita spirituale del Padre;

II - Padre Pio eccezionale liturgo dell'Eucarestia;

III - La pastorale eucaristica dell'apostolo di Pie-trelcina.

 

I - L'Eucarestia nella vita spirituale di Padre Pio

Nella santissima Eucarestia, dice il Vaticano II, è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa (cf. PO 5). Essa è ancora centro e radice di tutta la vita sacer-dotale (cf. PO, 14. 18).

La vita di Padre Pio ruota intorno al tabernacolo: l'Eucarestia è il suo centro di gravitazione.

Dalle testimonianze dei pietrelcinesi suoi coetanei si è venuto a sapere che da fanciullo Padre Pio era as-siduo alla chiesa; apparteneva al gruppo dei chieri-chetti; ascoltava ogni giorno la s. Messa; riceveva con una certa frequenza la comunione e la sua pietà euri-caristica era di edificazione a tutti.

I sacerdoti del paese additavano agli altri fanciulli l'esempio del piccolo Francesco, con la segreta spe-ranza di suscitare nei chierichetti eventuali vocazioni i cui segni apparivano evidenti nel figlio di zia Peppa.

Da frate, per ragioni di salute, Fra Pio dovette re-stare per alcuni anni a Pietrelcina, in quanto i supe-riori speravano che l'aria nativa gli restituisse la sani-tà fisica, compromessa in un modo misterioso.

La gente del paese testimonia che Fra Pio passava ogni giorno lunghissime ore dinnanzi a Gesù sacra-mentato, a volte intere nottate. A quelli che si racco-mandavano alle sue preghiere era solito dire: « Lo dirò a Gesti sacramentato, quando sarò vicino al suo ta-bernacolo ».

Per questo periodo poi ci vengono incontro alcuni documenti già editati, i quali ci fanno conoscere, a guisa di sprazzi, il fuoco eucaristico che incendiava il cuore di Padre Pio.

Innanzitutto egli sente una forza singolarissima, che lo spinge all'Eucarestia, mentre, nello stesso tem-po, è divorato da una fame grandissima di ricevere Gesù.

Il 29 marzo 1911 scrive a p. Benedetto: « Il cuore si sente come attratto da una forza superiore prima di unirsi a lui la mattina in sacramento. Ho tale fame e sete prima di riceverlo, che poco manca che non muoia di affanno. Ed appunto perché non posso di non unirmi a lui, alle volte colla febbre addosso sono costretto ad andarmi a cibare delle sue carni.

E questa fame e sete anziché rimanere appagata, dopo che l'ho ricevuto in sacramento, si accresce sempre più. Allorché poi sono già in possesso di que-sto sommo bene allora sì che la piena della dolcezza è proprio grande che poco manca da non dire a Gesù: basta, che non ne posso quasi proprio più. Dimentico quasi di essere al mondo; la mente ed il cuore non de-siderano più nulla e per molto tempo alle volte anche involontariamente non mi vien fatto di desiderare al-tre cose » (Espist. I, 217).

Il Serafino di Pietrelcina pensa che sia una cosa normale per tutti il fuoco che gli brucia nel petto. « Mi vado alle volte domandando - scrive il 2 di-cembre 1912 a p. Agostino - se vi siano delle anime che non si sentono bruciare il petto del fuoco divino, specialmente allorché si trovano dinanzi a lui in sa-cramento. A me sembra ciò impossibile, massima-mente se ciò riguarda un sacerdote, un religioso. For-se quelle anime che dicono di non sentire questo fuo-co, non l'avvertono a causa del loro cuore più grande.

Solo con questa benigna interpretazione mi associo ad essi, per non tacciarli della nota vergognosa di menzogneri » (Espii. I, 317).

Gesù è necessario a Padre Pio. Egli non sa vive-re senza Gesù sacramentato, specialmente quando turbamenti di coscienza e afflizioni di ogni genere lo fanno martirizzare: «Mi sento... alle volte tentato di tralasciare la comunione quotidiana, ma per il passato mi sono sempre vinto. Tutto sia a gloria di Gesù. E come poi, o padre mio, potrei vivere senza accostarmi a Gesù anche per una sola mattina? » (Epist. 1, 185).

A volte, di giorno in giorno, va soggetto a tenta-zioni: Padre Pio in questi casi, con una certa frequen-za, viene assalito dal dubbio se abbia rigettato le insi-nuazioni del maligno. « Piango e gemo molto ai piè di Gesù sacramentato per questo, - scrive il 6 luglio 1910 a p. Benedetto -, e molte volte mi pare di esser confortato; ma sembrami pure alle volte che Gesù si nasconde all'anima mia.

La penna è impotente a descrivere ciò che passa nell'anima mia in questi momenti di nascondimento di Gesù » (Espit. I, 187).

In questi momenti, se è dolce il conforto del Si-gnore, gli è duro il nascondimento di Gesù.

La pena, che sperimenta per il nascondimento del Diletto, porta Padre Pio a considerare le tante offese che Gesù riceve dagli uomini proprio nel sacramento del suo amore. Che ne sarebbe - si domanda - se il Padre celeste togliesse il Figlio suo da questo mondo per punire questi uomini ingrati e indegni?

« Ahimé, padre mio, - scrive 1'8 settembre 1913 a p. Agostino -, quante offese riceve Gesù dagli uomi-ni! Mi sento agghiacciare il sangue in considerare tanto amore di Gesù sì mal corrisposto... Quante vol-te innalzo la voce al Padre celeste che per la mansue-tudine di questo e per la riverenza dovuta a quest'adorabile persona o ponga termine al mondo o dia fine a questa iniquità. Egli è onnipotente, lo può. Supplicatelo incessantemente anche voi a questo fine. A me non basta l'animo, perché sono debole as-sai, di supplicare questo celeste Padre di togliere que-sto suo diletto Figliuolo da mezzo al mondo per sot-trarlo a tanti oltraggi. Che sarebbe degli uomini senza aver Gesù in mezzo a loro; ma specialmente che ne sa-rebbe di me?! Sento tutta la mia debolezza e la mia im-potenza. A questo luttuoso pensiero fremo e sono pre-so dall'orrore e dalla paura dei castighi che Iddio può mandare ai nostri sventurati fratelli » (Epist. I, 414s). Una pagina questa, che gronda zelo e amore per Gesù da ogni rigo. Sarebbe giusto che, per le tantissi-me offese che riceve, Gesù venisse sottratto agli uo-mini. Ma che sarebbe allora di Padre Pio, che speri-menta da ogni parte debolezza ed impotenza? è ne-cessaria quindi per tutti, e in particolare per lui, la presenza eucaristica di Gesù in mezzo a noi.

I contatti di Padre Pio con Gesù eucaristico a Ve-nafro hanno avuto un aspetto del tutto singolare. Verso la fine di ottobre del 1911 Padre Pio rag-giunge il convento di Venafro per frequentare il cor-so di sacra eloquenza.

La permanenza venafrana del Padre fu molto bre-ve. Ammalatosi gravemente, egli dovette fare ritorno a Pietrelcina il 7 dicembre dello stesso anno.

In questa quarantina di giorni, si verificarono in-torno a Padre Pio fenomeni straordinari.

Padre Agostino da San Marco in Lamis registra estasi, visioni celesti, vessazioni diaboliche avvenute in questo periodo.

Padre Pio vive soltanto di Eucarestia: sono subli-mi i colloqui che intercorrono tra lui e Gesù, dopo averlo ricevuto.

Nei resoconti che il padre Agostino stende nel suo Diario, a riguardo dei colloqui che il Padre tiene con Gesù, appare l'incendio di amore, che brucia il cuore del frate cappuccino, prima di ricevere Gesù eucari-stico (estasi del 29 novembre 1911).

« Gesù... perché la mattina quella sete?... hai ragio-ne, - dice Padre Pio nell'estasi - mi manchi Tu che sei il mio Padre, il mio Sposo » (Cf. Diario, 38).

Già nell'estasi del 28 novembre il Serafino di Pie-trelcina aveva detto a Gesù: « O Gesù io ti amo... as-sai... voglio essere tutto tuo... non vedi che io ardo per te? ... Tu mi chiedi amore, amore, amore, amore,... ec-co io ti amo... vieni in me tutte le mattine... stiamo, stiamo soli... io con te solo, tu solo con me... O Gesù, dammi il tuo amore... quando tu vieni nel mio cuore, se tu vedi qualcosa che non piace al tuo amore, di-struggila... Io ti amo... ti terrò stretto stretto... non ti lascerò partire, tu sei libero è vero, ma io... ti terrò stretto stretto... quasi ti toglierò la libertà » (Cf. Dia-rio, 35).

L'amore per Gesù sacramentato è ardente nel-l'anima del Padre. Esso non è solo di donazione, ma anche d'intercessione. Nell'estasi del 30 novembre egli ha un'accorata supplica per i sacerdoti che salgo-no indegnamente all'altare: « Come non vedi?... pure all'altare ti vengono ad insulare?... te l'hanno fatte delle grosse?... ma perché non guardi agli Angeli tuoi, ai buoni sacerdoti?... Ma aiuta quegl'infelici... anch'es-si sono sacerdoti... I sacerdoti devi aiutarli - supplica il Padre alla fine dell'estasi - massime ai nostri gior-ni... sono fatti spettacolo, bersaglio di tutti » (Cf. Dia-rio, 41, 43).

Padre Agostino ci riferisce ancora che Padre Pio, in questo periodo, ricevette la santa comunione due volte in estasi, senza accorgersene, tanto che dové dirgli: « Padre Pio, per santo, obbedienza, ricevi Gesù dalle mie indegne mani! » (Cf. Diario, 55).

In una di queste estasi, quando ha Gesù nel cuo-re, egli dice al Signore: « Già ti sentivo nel cuore come i discepoli di Emmaus... ti sentivo... con la tua dol-cezza... la sete non sa lento più... Ah Gesù mio, dol-cezza mia... e come posso vivere senza di te? Vieni sempre, Gesù mio, vieni, possiedi tu solo il mio cuo-re... Oh se avessi infiniti cuori, tutti i cuori del cielo e della terra, anche il cuore della Madre tua, tutti tut-ti li offrirei a te... Gesù mio, dolcezza mia, amore amor che mi sostiene... grazie... a rivederci! » (Cf. Dia-rio, 54).

Questo contatto con il Signore nell'Eucarestia an-drà aumentando durante tutto l'arco della vita del Padre. Se Padre Pio non è all'altare, i suoi occhi sono in continuazione rivolti al tabernacolo. Basti pensare alle ore, che egli passava accanto a Gesù sacramenta-to, durante il giorno.

Al mattino, dopo aver celebrato, ascoltava in cap-pellina una santa messa come ringraziamento a Gesù, che gli era sceso nel cuore.

Durante tutto il tempo delle confessioni, i suoi oc-chi non dimenticavano il tabernacolo.

E che dire del tempo in cui gli fu ridotta l'attività pastorale? Durante questo lungo e penoso periodo, Padre Pio o stava per ore ed ore sull'altare della cap-pellina del convento a celebrare oppure stava in co-ro dinanzi a Gesù sacramentato senza risparmio di tempo.

Il posto dunque di Padre Pio, dopo l'altare, era il taberancolo.





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00martedì 10 ottobre 2017 17:48
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E di questo ho avuto io stesso una conferma. Alla morte di padre Agostino, - 14 maggio 1963 -, dopo i funerali, la salma dell'estinto partì per il cimi-tero.

E Padre Pio, che era stato per lunghissime ore nel matroneo, era tutto emaciato, abbattuto, stanchis-simo.

Credendo di arrecargli un certo sollievo, gli dissi: « Padre spirituale, andiamo in camera ora, così riposa un tantino ». E il Padre: « Dove voglio andare, figlio mio!... Il mio posto è qua! » mi disse, fissando con gli occhi il tabernacolo.

Solo in paradiso sarà possibile conoscere quanto amore vi fosse nel cuore dello Stigmatizzato del Gar-gano per Gesti eucaristico.

Uno spiraglio di quest'amore è contenuto nel pri-mo volume dell'espistolario. Padre Pio, scrivendo a padre Benedetto, l'8 settembre 1911, mentre gli confi-da le prime apparizioni delle stigmate che, ad inter-mittenza, fanno la loro comparsa alle mani ed ai pie-di, dice ancora: « Molte cose avrei da dirle, ma mi vie-ne meno la parola; solo le dico che i battiti del cuore, allorché mi trovo con Gesù sacramentato sono molto forti. Sembrami alle volte che voglia proprio uscirne dal petto » (Cf. Epist. 1, 234).

L'anima eletta di Luigina Sinapi, morta in concet-to di santità, e figlia spirituale del Padre, stando in chiesa a S. Giovanni Rotondo, vide un faro di fuoco uscire dal cuore di Padre Pio, che era nel matroneo, e proiettarsi sul tabernacolo.

Luigina chiese al Signore che cosa significasse quella visione. E l'Angelo Custode le disse: « è l'amo-re di Padre Pio per Gesù sacramentato ».

 

I valori essenziali del sacerdozio «Il Decreto "Presbyterorum Ordinis" del Concilio Vaticano II ribadisce quei valori essenziali e perenni del sacerdozio, che in Padre Pio si sono realizzati in modo eccellente. Certo, esso propone anche nuove prospettive e nuove forme di testimonianza, più adatte alla mentalità dei nostri tempi. Ma sarebbe un grave errore se, per una mal orientata spinta al rinnovamento, il sacerdote dimenticasse quei valori fonda-mentali; e non ci si può certo appellare al Concilio per motivare una simile dimenticanza» (Giovanni Paolo Il: San Giovanni Rotondo, 23 maggio 1987).

 

L'offerta di se stesso  «Un aspetto essenziale del sacro ministero, e ravvisabile nella vita di Padre Pio, è l'offerta che il sacerdote fa di se stesso, in Cristo e con Cristo, come vittima di espiazione e di riparazione per i peccati degli, uomini. Il sacerdote deve avere sempre davanti agli occhi la defini-zione classica della propria missione, contenuta nella lettera agli Ebrei: "Ogni sommo sacerdote, scelto fra gli uomini, viene costituito per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati"» (Giovanni Paolo II: San Giovanni Rotondo, 23 maggio 1987).

   


Caterina63
00martedì 10 ottobre 2017 17:50
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II - Padre Pio eccezionale liturgo del-l'Eucarestia

1. Il sacerdozio di Padre Pio

I presbiteri, incentrati essenzialmente nel Cristo per il loro ministero, sono sacramenti visibili del Si-gnore per continuare tra gli uomini il suo ministero di salvezza (PO, 5).

Il Decreto sul ministero e vita sacerdotale del Va-ticano II dice così: « I sacerdoti... vengono elevati alla condizione di strumenti vivi del Cristo eterno sacer-dote, per proseguire nel tempo la sua mirabile opera, che ha reintegrato con divina efficacia l'intero genere umano » (Cf. PO, 12).

La singolare grazia di essere stato elevato da Dio con il sacramento dell'Ordine a strumento vivo del Signore con la configurazione a Cristo sacerdote, Pa-dre Pio la fa trasparire in una lettera scritta il 9 ago-sto 1912 a p. Agostino, in cui rievoca la sua ordina-zione sacerdotale.

« Ma, padre mio, mentre io scrivo dove vola il mio pensiero? Al bel giorno della mia ordinazione. Doma-ni, festa di S. Lorenzo, è pure il giorno della mia festa. Ho già cominciato a provare di nuovo il gaudio di quel giorno sacro per me. Fin da stamattina ho incominciato a gustare il paradiso... E che sarà quando lo gusteremo eternamente!? Vado paragonando la pace del cuore, che sentii in quel giorno, con la pace del cuore che incomincio a provare fin dalla vigilia, e non ci trovo nulla di diverso.

Il giorno di s. Lorenzo fu il giorno in cui trovai il mio cuore più acceso di amore per Gesà Quanto fui felice, quanto godei quel giorno! » (Cf. Espit. I, 297s).

I presbiteri, che debbono essere santi, ricorda il sumenzionato Decreto, vengono elevati a tanta digni-tà per proseguire nel tempo la mirabile opera del Si-gnore. E Padre Pio vuole essere santo e allo stesso tempo vuole essere anche una vittima. Tutte e due queste cose egli le lascia trasparire nella immaginetta-ricordo che preparò per la prima messa.

« O rex, dona mihi animan meam pro qua rogo et populum meum pro quo obsecro (Esther 7,5). Gesù / mio sospiro e mia vita / oggi che trepidan-te Ti elevo / In un mistero d'amore / Con te io sia pel mondo / Via Verità Vita / E per Te Sacerdote Santo / Vittima perfetta / P. Pio, Cappuccino ».

Dal giorno dell'ordinazione, la santa Messa cele-brata da questo singolare figlio del Serafico, con l'an-dare del tempo, impressionerà tanto il popolo di Dio, che sarà chiamata significativamente: « La messa di Padre Pio ».

Innanzitutto il Padre sa che Gesù concede un ba-cio di pace a quelli che celebrano.

Scrivendo il 17 agosto 1913 a p. Asgostino, egli di-ce: « Vi consoli, caro padre, il dolce pensiero di amare Gesù e di essere assai di più da lui riamato. Chiedia-mogli la grazia di amare e di vederlo amare sempre più. Chiediamogli con la sposa dei sacri Cantici: "Osculetur me osculo oris sui, quia meliora sunt ube-ra tua vino". Quante volte questo bacio di pace, a noi sacerdoti specialmente, viene dato da Gesù nel santissimo sacramento! Sì, desideriamolo ardentemente questo bacio dalla bocca divina e più ancora mostriamocene riconoscenti. Qual più caro dono pos-siamo noi miseri mortali desiderare da Dio?! » (Cf. Epist. I, 406).

Questo bacio di pace del Signore è accompagnato da fenomeni singolarissimi. Essi producono cose mi-rabili nell'anima e nel corpo di Padre Pio.

A p. Benedetto, 1'8 settembre 1911, confida: «All'altare alle volte mi sento talmente un accedi-mento per tutta la persona, che non posso descriver-glielo. Il viso massimamente mi sembra che voglia an-dare tutto in fuoco. Che segni sono questi, padre mio, lo ignoro »      (Cf. Epist. I, 234).

In poche parole, in concomitanza con la celebra-zione della santa messa, si sono verificati in Padre Pio alcuni fenomeni mistici: tocchi sostanziali, dono delle lacrime, fusione dei cuori, stigmate, per citarne alcuni.

Non mi fermo al dono delle lacrime, perché que-sto fenomeno straordinario è stato percepito dalla maggior parte dei pellegrini, che hanno assistito alla celebrazione della sua santa messa.

Chi non ha visto piangere il Padre quando leggeva l'epistola o il Vangelo? Chi non ha sperimentato le te-nerezze del suo animo, che gl'imperlavano il ciglio di lacrime, quando celebrava le feste liturgiche in onore della mamma di Gesù? E chi non ha visto fremere e piangere il Serafino di Pietrelcina allorché all'altare si cibava con la carne immacolata del Signore?

Riguardo al tocco sostanziale riporto solamente quello che Padre Pio sperimentò nella festa del Cor-pus Domini del 30 maggio 1918.

Scrivendo a p. Benedetto, il 27 luglio 1918, il Pa-dre dice: « Rammento che il mattino di detto giorno all'offertorio della santa messa mi si porgesse un alito di vita; non saprei dire nemmeno lontanamente ciò che avvenne in quel fugace momento nel mio interno, mi sentii tutto scuotere, fui ripieno di estremo ter-rore e poco mancò che non venissi a mancar di vita; poi subentrò una calma completa da me non mai spe-rimentata per l'addietro.

Tutto questo terrore, scuotimento e calma che l'una succedette all'altro fu causato non dalla vista, ma da una cosa che mi sentii toccare nella parte più secreta ed intima dell'anima. Io non riesco a dire al-tro di questo avvenimento. Piaccia a Dio farvi inten-dere la cosa come avvenne nella sua realtà » (Cf. Epist. I, 1053).

Né meno espressive sono le parole del Mistico di Pietrelcina quando parla della fusione dei cuori. In una lettera del 18 aprile 1912 il Padre confida a p. Agostino: « Il buon Gesù... non mancò... dopo di consolarmi e fortificarmi nello spirito.

A stento potei recarmi al divin prigioniero per ce-lebrare. Finita la messa mi trattenni con Gesù nel rendimento di grazie. Oh quanto fu soave il colloquio tenuto col paradiso in questa mattina! Fu tale che pur volendomi provare a voler dir tutto non lo potrei; vi furono cose che non possono tradursi in un linguag-gio umano, senza perdere il loro senso profondo e ce-leste. Il cuore di Gesù ed il mio, permettetemi l'espres-sione, si fusero. Non erano più due cuori che batteva-no, ma uno solo. Il mio cuore era scomparso, come una goccia d'acqua che si smarrisce in un mare. Gesù n'era il paradiso, il re. La gioia in me era sì intensa e sì pro-fonda, che più non mi potei contenere; le lacrime più deliziose mi inondarono il volto » (Cfr. Epist. I, 273).

Se i fenomeni mistici colpiscono chi scorre l'epi-stolario dello Stigmatizzato del Gargano, tanto ricco di doni straordinari, non meno commovente e im-pressionante è quanto la santissima Eucarestia opera fisicamente nel Serafino di Pietrelcina.

« Ieri festività di s. Giuseppe - scrive il Padre il 21 marzo 1912 - Iddio solo sa quante dolcezze provai, massime dopo la messa, tanto che le sento ancora in me. La testa ed il cuore mi bruciavano; ma era un fuo-co che mi faceva bene. La bocca sentiva tutta la dol-cezza di quelle carni immacolate del Figlio di Dio. Oh! se in questo momento che sento quasi ancora tutto mi riuscisse di seppellire sempre nel mio cuore queste con-solazioni certo sarei in paradiso! » (Cf. Espist. I, 265).

Tutto questo fa capire bene il grande dolore che viene arrecato all'umile figlio del Serafico quando, durante il servizio militare, non gli viene data la pos-sibilità di poter celebrare.

Scrivendo da Napoli, il 16 agosto 1917 a p. Bene-detto, il Padre dice: « Ieri mattina sono stato visitato due volte, da un capitano e da un maggiore, e tutti e due confermarono la diagnosi fatta dagli altri. Mi fe-cero la base e mi mandarono per altre osservazioni nella prima clinica medica, dove vi passai ieri sera.

Qui se ne passeranno almeno un'altra decina di giorni...

Sono estremamente sconfortato per l'unica ragio-ne che qui non si può celebrare, perché manca la cap-pella e fuori non ci è permesso di uscire. Che desola-zione! » (Cf. Espist. I, 931s).

In una lettera però inviata pure da Napoli, il 10 settembre 1917, se mette al corrente p. Agostino di quanto soffre fisicamente e moralmente, Padre Pio gli dice ancora: « Sono diversi giorni che ho incomincia-to a celebrare e spero che Gesù non voglia privarmi di quest'unico conforto » (Cf. Espit. I, 930s).

Un conforto durato poco. Infatti, il 15 ottobre del-lo stesso anno, scrivendo sempre da Napoli a p. Ago-stino, l'umile e sconsolato figlio del Poverello dice: « In salute vado peggiorando sempre e la febbre è as-sidua... Ciò che più mi addolora si è il non poter né celebrare, né satollarmi delle carni immacolate del di-vino agnello » (Cf. Espist. I, 955).

   


Caterina63
00martedì 10 ottobre 2017 17:51
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2. La messa di Padre Pio

Dopo aver visto in un diagramma direi quasi gene-rico l'eccezionalità di Padre Pio come liturgo, convie-ne dare ora uno sguarado all'atto liturgico, che lo ha reso famoso nel mondo: «La Messa di Padre Pio».

Il Vaticano II nel Decreto sul ministero e vita sa-cerdotale ha un tratto che è indicativo a riguardo. « Nel sacrificio della messa, i presbiteri agiscono in modo speciale nella persona di Cristo, il quale si è offerto come vittima per santificare gli uomini; sono pertanto invitati a imitare ciò che trattano, nel senso che, celebrando il mistero della morte del Signore, de-vono cercare di mortificare le proprie membra... Così i presbiteri, unendosi con l'atto di Cristo sacerdote, si offrono ogni giorno totalmetne a Dio, e nutrendosi del corpo di Cristo partecipano nell'anima alla carità di colui che si dà come cibo ai fedeli » (Cf. PO, 13). Nella santa messa i presbiteri agiscono nella per-sona di Cristo, sono cioè sacramenti della sua presen-za. Come Cristo ancora si debbono offrire per la san-tificazione degli uomini imitando ciò che trattano, of-frendosi cosf ogni giorno a Dio.

- Che cosa è, Padre, la vostra messa? è stato chie-sto a Padre Pio.

- Un sacro miscuglio con la passione di Gesù, è stata la risposta.

- Padre, che cosa dobbiamo leggere nella vostra messa? è stato chiesto ancora.

- Tutto il calvario, ha risposto Padre Pio. L'identificazione a Cristo, voluta dal Vaticano II da parte del presbitero, nello Stigmatizzato del Gar-gano non può essere più perfetta. Non da meno è pu-re lo stato vittimale che il Crocifisso di Pietrelcina as-sume sull'altare.

- Padre, ditemi tutto quello che soffrite nella san-ta messa, gli è stato chiesto un giorno.

- Tutto quello che ha sofferto Gesù nella sua pas-sione, inadeguatamente, lo soffro anch'io, per quanto a umana creatura è possibile. E ciò contro ogni mio merito e per sola sua bontà, ha egli confidato.

Ed è una sofferenza la sua che all'altare va sempre crescendo, specialmente dalla consacrazione alla co-munione.

Certo conoscere la passione del Padre all'altare è difficile. Una metodologia per conoscerla, per quanto è possibile, l'ha indicata lui stesso.

- Padre, come possiamo conoscere la vostra pas-sione?

- Conoscendo la passione di Gesti: in quella di Gesù troverete la mia.

Indicazione, questa, facile e difficile allo stesso tempo. Facile, perché il paradigma da scoprire non è difficoltoso. Difficile, in quanto la passione di Gesti è un mistero; misteriosa quindi è anche quella dello Stigmatizzato del Gargano.

I momenti della passione di Gesù, Padre Pio li vi-ve uno per uno all'altare: agonizza con il Signore nel Getsemani; subisce la flagellazione e coronazione di spine. Un diadema, questo, che non lo lascia mai.

Il Padre soffre ancora quello che Gesù soffrì nella via dolorosa.

Sull'altare poi è sospeso alla croce come Gesù sul Calvario. Recita sospeso al legno le sette parole di Gesti in croce. Soffre pure la sete e l'abbandono. Alla comunione, infine, misticamente, muore come Cristo, più per amore che per dolore.

L'unione di Padre Pio con Gesù eucaristico non termina con la messa: le specie eucaristiche si conser-vano incorrotte in lui da un giorno all'altro.

« Mi avete fatto comprendere - insinua una crea-tura a lui tanto devota - che le sacre specie in voi non si corrompono. Siete un ostensorio vivente? »

« Tu lo dici! » rispose Padre Pio, con una frase di genuino sapore evangelico.

L'unione di Padre Pio con Gesù eucaristico, di-ventato all'altare singolare ed eccezionale liturgo, lo fa passare tra le anime, terminati i divini misteri, co-me un ostensorio vivente. Non è forse questo il segre-to in cui trova la sua legittima spiegazione quell'ac-correre, quell'accalcarsi, quello stringersi delle folle intorno a lui, come lo fu un giorno per Gesù? 


Caterina63
00martedì 10 ottobre 2017 17:53
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III - La pastorale eucaristica dell'Apo-stolo di Pietrelcina

L'Eucarestia - ha detto il Vaticano II - è fonte ed apice della vita cristiana (Cf. LG, 11).

Perché la carità come un buon seme cresca nell'anima e vi fruttifichi, - dice ancora il Concilio - ogni fedele deve ascoltare volentieri la parola di Dio e, con l'aiuto della sua grazia, compiere con le opere la sua volontà, partecipare frequentemente ai sacra-menti, soprattutto all'Eucarestia (Cf. LG, 42).

La santa comunione per Padre Pio è il gran mezzo per camminare speditamente nella via della perfezio-ne e per raggiungere quella sanità a cui è chiamato dal Signore ogni cristiano.

Nella lettera diretta a Maria Gargani, il 27 luglio 1917, Padre Pio dice a questa anima: « Mia cara fi-gliuola, io penso che la santissima Eucarestia sia il gran mezzo per aspirare alla santa perfezione, ma bi-sogna riceverla col desiderio e coll'impegno di toglie-re dal cuore tutto ciò che dispiace a colui che voglia-mo alloggiare » (Cf. Epist. III, 282s).

Non meno indicativa è la lettera che il 17 settem-bre Padre Pio scrive a Raffaelina Cerase. Il Padre in-dica a quest'anima il modo con cui deve accostarsi all'Eucarestia e quello che bisogna attendersi alla ve-nuta del Signore: « Accostiamoci a ricevere il pane degli angeli con una grande fede e con una gran fiam-ma di amore ed attendiamoci pure da questo dolcissi-mo amante delle anime nostre di essere consolati in questa vita col bacio della sua bocca. Felici noi, o Raffaelina, se arriveremo a ricevere dal Signore della nostra vita di essere consolati di questo bacio! Allora sì che sentiremo essere la nostra volontà sempre lega-ta indivisibilmente con quella di Gesti, e niuna cosa al mondo ci potrà impedire di avere un volere che non sia quello del divin maestro » (Cf. Epist. 11, 490).

Se poi ci si trova in uno stato di sofferenza che fa tanto soffrire il cuore, Padre Pio, il 30 luglio 1917, ad-dita a Rachelina Russo la via da battere per esserne li-berati: « D'altronde bisogna sempre avere coraggio, e se ci sopraggiunge qualche languore di spirito, corria-mo ai piedi di Gesù in sacramento e mettiamoci tra i celesti profumi, e saremo indubbiamente rinvigoriti » (Cf. Epist. 111, 502).

La pratica della comunione frequente, anzi quoti-diana, è la componente principale del suo apastolato. « Frequentate la comunione quotidiana, - scrive 1'11 dicembre 1916 alle sorelle Ventrella - disprez-zando sempre i dubbi che sono irragionevoli e confi-date nell'ubbidienza cieca ed ilare, non temete d'in-contrar male » (Cf. Epist. 111, 551).

La ragione per inculcare una tale pratica è perché l'Eucarestia è una forza contro gl'innumerevoli peri-coli.

Scivendo a p. Agostino, il 18 maggio 1913, a ri-guardo di un'anima, Padre Pio dice: « Sono profonda-mente commosso nel considerare le grandi cose che il Signore va operando in quell'anima grandemente pri-vilegiata. I pericoli che attorniano quel tesoro di gra-zie e di evangelica purezza sono molti purtroppo! Quindi il mezzo migliore ed unico per conservarsi fedele a Dio per lei, che è quasi sempre a contatto di gente senza fede e senza legge, che hanno sempre la bestemmia sulle labbra ed in cuore l'odio a Dio, è quello di accostarsi quotidianamente a ricevere Gesù, alla mensa degli angeli » (Cf. Epist. I, 362s).

In un'occasione analoga, allo stesso p. Agostino, il 26 giugno 1913, dietro suggerimento del cielo, in me-rito ad un'angelica creatura, il Padre scrive: « Non de-ve mai tralasciare di satollarsi del cibo degli angeli. Molte saranno le tentazioni che riceverà dal nemico, che non ignora il vantaggio che da questo cibo rice-verà la sua anima, e molte altre ancora per lei, ma non si spaventi affatto. Gesù promette che non lasce-rà di assisterla. La promessa di Gesù è immutabile e solo allora viene meno a ciò che promette quando l'anima diviene infedele » (Cf. Epist. I, 379).

Le anime pie spesso vanno soggette ad aridità spi-rituali. Sono queste un sentiero ordinario per chi vuole battere le vie di Dio. Un rimedio per vincerle vi è: la santa comunione.

«Allorché duri questo genere di male, - scrive il Padre il 6 febbraio 1918 a Erminia Gargani - non de-vi porti in angustia, non devi tralasciare mai di avvici-narti al sacro banchetto del divino Agnello, poiché nessuna cosa raccoglierà meglio il tuo spirito che il suo re, veruna cosa lo riscalderà tanto che il suo sole, veruna cosa lo stempererà sì soavemente che il suo balsamo. Non vi è altro rimedio più potente che que-sto, mia dilettissima figliuola » (Cf. Epist. III, 710).

A Maria Gargani, sorella di Erminia, Padre Pio, il 23 novembre 1918, fa un risoluto richiamo per non aver ricevuto l'Eucarestia; « Mi dici che il primo gior-no che sei uscita di casa, dopo la malattia sofferta, ti astenesti dall'accostarti alla sacra mensa, dal perché temevi di trovarti in disgrazia di Dio. Ti lodo in que-sto? giammai. Avresti dovuto rammentarti che io ti dissi: finché non sei certa di trovarti in disgrazia di Dio, cioè col peccato mortale nell'anima, non dovevi né potevi astenerti dalla comunione, ma farsi l'atto di contrizione e disporsi ad ubbidire. Guardati bene in seguito dal diportarti come ti sei diportata questa vol-ta, altrimenti ti tratterò come meriti » (Cf. Epist.111, 343).

Né meno energiche sono le parole che Padre Pio, il 2 aprile 1917, ha indirizzato ad Assunta Di Tomaso. Dopo aver indicato come bisogna comportarsi du-rante gli assalti del nemico, il Padre, con tono energi-co, riprende questa sua figliuola spirituale dicendo: « Non so poi affatto compatirti né perdonarti quel modo tuo di tralasciare con facililtà la comunione » (Cf. Epist. 111, 414).

Dopo la comunione sacramentale, Padre Pio in-culca con zelo la comunione spirituale. Ambedue so-no un mezzo importante per stare intimamente uniti a Gesù.

La comunione spirituale, a differenza di quella eu-caristica, si può ripetere tutte le volte che si vuole, e può sostituire - ma non con la stessa efficacia - la co-munione sacramentale.

Padre Pio è chiaro a riguardo.

Scrivendo a Raffaelina Cerase, il 24 ottobre 1914, il Padre si esprime così: «Vi rammaricate che, per causa della malattia, siete costretta a rimanervi digiu-na della santissima Eucarestia; ed in ciò vi compren-do e non vi do torto. Conviene rassegnarsi e non ces-sare di supplicare Gesù che venisse a visitarvi spiri-tualmente. La comunione spirituale, quando la sacra-mentale addiviene impossibile, supplisce in parte alla reale » (Cf. Epist. 11, 208).

Non meno espressivo il Padre si dimostra allorché, il 10 luglio 1917, scrive ad Assunta Di Tomaso: « Non ti inquietare quando non puoi meditare, non puoi co-municarti e non puoi attendere a tutte le pratiche di-vote. Cerca in questo frattempo di supplire diversa-

mente col tenerti unita a nostro Signore con una vo-lontà amorosa, con le orazioni giaculatorie, con le co-munioni spirituali » (Cf. Epist. 111, 424).

Padre Pio vuole addirittura che nel corso della giornata, con una certa frequenza, si voli con lo spiri-to dinanzi al tabernacolo per intrattenersi con il Di-letto.

Scrivendo ancora ad Assunta Di Tomaso, il 4 gen-naio 1922, il Padre verga a riguardo parole belle e si-gnificative: « Se non ti è concesso di poterti trattene-re a lungo in preghiera, in letture, ecc. non devi per questo sconfortarti. Finché avrai Gesù sacramentato ogni mattina, devi stimarti fortunata.

Nal corso del giorno, quando non ti è permesso di fare altro, chiama Gesù, anche in mezzo a tutte le tue occupazioni, con gemito rassegnato dell'anima ed egli verrà e resterà sempre unito con l'anima mediante la sua grazia ed il suo santo amore.

Vola con lo spirito dinanzi al tabernacolo, quando non ci puoi andare col corpo, e là sfoga le ardenti brame e parla e prega ed abbraccia il Diletto delle anime meglio che se ti fosse dato di riceverlo sacra-mentalmente» (Cf. Epist. 111, 448).

Si può immaginare allora quanto trafiggano il cuore dello Stigmatizzato del Gargano gli oltraggi che vengono fatti a Gesù eucaristico e con quale ar-dore egli ne chieda alle anime buone la riparazione. Scrivendo, 1'8 marzo 1915, ad Annita Rodote, Pa-dre Pio esce in queste espressioni: « Un'altra preghie-ra non dovete mai trascurare. Vedete quanti dispregi e quanti sacrilegi si commettono dai figliuoli degli uomini verso l'umanità sacrosanta del suo Figliuolo nel sacramento dell'amore? A noi tocca, o Annita, giacché dalla bontà del Signore siamo stati prescelti nella sua Chiesa, al dir di San Pietro, a regale sacer-dozio, a noi tocca, difendere l'onore di questo man-suetissimo Agnello, sempre sollecito quando si tratta di patrocinare la causa delle anime, sempre muto al-lorché trattasi della propria causa.

Tutta la nostra vita, tutte le nostre azioni, tutte le nostre aspitazioni siano tutte dirette a riparazioni delle offese che gl'ingrati nostri fratelli continuamen-te gli fanno» (Epist. III, 62s).

L'incitamento a volare con frequenza durante la giornata dinanzi al tabernacolo per amare e riparare è frutto di un preciso lamento fatto dal Signore a Pa-dre Pio. Il quale, il 12 marzo 1913, mette al corrente padre Agostino di quanto a riguardo gli ha confidato il Signore.

«Sentite, padre mio, i giusti lamenti del nostro dolcissimo Gesù: "Con quanta ingratitudine viene ri-pagato il mio amore dagli uomini! Sarei stato meno offeso da costoro se l'avessi amati di meno. Mio padre non vuole più sopportarli. Io vorrei cessare si amarli, ma... (e qui Gesù si tacque e sospirava, e dopo ripre-se) ma ahimé! il mio cuore è fatto per amare! Gli uo-mini vili e fiacchi non si fanno nessuna violenza per vincersi nelle tentazioni, che anzi si dilettano nelle loro iniquità. Le anime da me più predilette, messe al-la prova mi vengono meno, le deboli si abbandonano allo sgomento ed alla disperazione, le forti si vanno rilassando a poco a poco.

Mi lasciano solo di notte, solo di giorno nelle chie-se. Non si curano più del sacramento dell'altare; non si parla mai di questo sacramento di amore; ed anche quelli che ne parlano ahimé! con che indifferenza, con che freddezza.

Il mio cuore è dimenticato; nessuno si cura più del mio amore; io sono sempre contristato. La mia casa è diventata per molti un teatrto di divertimenti; anzi i miei ministri, che io ho sempre riguardato con predi-lezione, che io ho amato come la pupilla dell'occhio mio; essi dovrebbero confortare il mio cuore pieno di amarezze; essi dovrebbero aiutarmi nella redenzione delle anime, invece chi lo crederebbe?! da essi debbo ricevere ingratitudini e sconoscenze. Vedo, figlio mio, molti di costoro che... (qui si chetò, i singhiozzi gli strinsero la gola, pianse in segreto) che sotto ipocrite sembianze mi tradiscono con comunioni sacrileghe, calpestando i lumi e le forze che continuamente dò ad essi... ".

Gesù continuò ancora a lamentarsi. Padre mio, come mi fa male veder piangere Gesù» (Espist. I, 342s).

Nella cornice della pietà eucaristica, che Padre Pio inculcava, non poteva mancare l'incitamento sa-crificale alle anime da lui dirette.

Il Decreto sul ministero e vita sacerdotale del Va-ticano II afferma: « è attraverso il ministero dei pre-sbiteri che il sacrificio spirituale dei fedeli viene reso perfetto, perché viene unito al sacrificio di Cristo, unico mediatore; questo sacrificio, infatti, per mano dei presbiteri e in nome di tutta la Chiesa, viene of-ferto nell'Eucarestia in modo incruento e sacramen-tale, fino al giorno della venuta del Signore. A ciò tende e in ciò trova la sua perfetta realizzazione il mi-nistero dei presbiteri ». (Cf. PO, 2).

In sintomia con il futuro Concilio, il Padre ha in-culcato alle sue figlie spirituali di unire la loro offerta quotidiana alla vittima divina, allorché questa veniva offerta sull'altare del Signore.

Egli stesso associava le anime a lui care al divin sacrificio quando al mattino ascendeva all'altare di Dio. Padre Pio sapeva bene che offrire con Gesù al Padre i bisogni spirituali delle anime, soprattutto mentre offriva se stesso, era un mezzo sicuro per ren-dere gradite a Dio le preghiere e ottenere allo stesso tempo con sicurezza l'esaudimento.

« Io più volte al giorno, - scrive il Padre il 17 lu-glio 1917 a Erminia Gargani -, presento il tuo cuore all'eterno Padre con quello del suo diletto Figliuolo, e glielo presento immancabilmente nella santa messa. Egli non saprebbe rifiutarlo a cagione di quest'unio-ne, in virtù della quale io fo l'offerta: suppongo che tu dal canto tuo fai lo stesso» (Epist. III, 699).

Quando poi deve conoscere qual è la volontà di Dio nei riguardi di un'anima, Padre Pio scongiura il Signore durante la santa messa perché gli sveli il suo volere.

« Riguardo al novello stato da abbracciare, - dice il Padre il 19 maggio 1918 a Girolama Longo -, con tutta sincerità e verità ti dico che il Signore non mi fa conoscere ancora chiaramente la sua volontà. Io lo scongiuro assiduamente e non ho tralasciato di offri-re a questo fine più volte il santo sacrificio della mes-sa. Insistiamo con la preghiera, affinché mi faccia co-noscere tutta la sua volontà, lo ci penserò molto bene ed offrirò molte altre messe ancora affine di ricevere il lume dello Spirito Santo per ben risolvermene » (Espist. III, 1027s).

Non mancano pure suggerimenti molto utili per poter partecipare con frutto alla santa messa, indi-cando il contegno da avere nell'assistere a sf grande mistero.

Scrivendo il 25 luglio 1915 ad Annita Rodote, Pa-dre Pio così si esprime: « Entra in chiesa in silenzio e con gran rispetto, tenendoti e riputandoti indegna di comparire davanti alla maestà del Signore... Appena sei in vista del Dio sacramentato, fa' devotamente la genuflessione. Trovato il posto, inginocchiati e rendi a Gesù sacramentato il tributo della tua preghiera e della tua adorazione... Assistendo alla santa messa e alle funzioni, usa molta gravità nell'alzarti, nell'ingi-nocchiarti, nel metterti a sedere; e compi ogni atto re-ligioso con la più grande devozione » (Epist., III, 87).

Né meno significative sono state le risposte che il Padre ha dato quando è stato interrogato su tale set-tore.

- Padre, che dobbiamo fare durante la s. messa? - Compassionare ed amare.

- Come dobbiamo ascoltare la s. messa?

- Come vi assistettero la santissima Vergine e le pie donne. Come assistette san Giovanni al sacrificio eucaristico e a quello cruento della croce.

è stato inoltre chiesto:

- Padre, che benefici riceviamo ascoltando la s. messa?

- Non si possono enumerare. Si vedranno in cie-lo!

La fonte e il culmine della vita e dell'opera di Padre Pio «Questa offerta deve raggiungere la sua massima espressione nella cele-brazione del sacrificio eucaristico. E chi non ricorda il fervore col quale Padre Pio riviveva, nella messa, la passione di Cristo? Da qui la stima che egli aveva della messa - da lui chiamata "un mistero tremendo" - come momento decisivo della salvezza e della santificazione dell'uomo mediante la partecipazione alle sofferenze stesse del Crocifisso. "C'è nella messa - diceva - tutto il Calvario". La messa fu per lui la "fonte ed il culmine", il perno ed il centro di tutta la sua vita e di tutta la sua opera» (Giovanni Paolo II: San Giovanni Rotondo, 23 maggio 1987). 


Caterina63
00martedì 10 ottobre 2017 17:55
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CONCLUSIONE

Tutta la vita personale, sacerdotale, apostolica del Serafino di Pietrelcina ha avuto come centro l'Euca-restia.

Non vi è stato momento dell'esistenza del Padre che non sia stato sorretto da Gesù sacramentato: a lui si è sempre unito, con lui si è fatto vittima all'altare, incontro a lui ha convogliato tutte le anime che sono ricorse a lui durante i lunghi anni del suo apostolato sacerdotale.

L'Eucarestia è stata quindi il punto costante di ri-ferimento per l'intero arco della sua vita terrena. Le cose con la morte non sono cambiate. Padre, quando non ci sarete più, come faremo sen-za di voi? gli fu chiesto.

- Andate innanzi a un tabernacolo: in Gesù tro-verete anche me, rispose Padre Pio.

Durante la vita terrena, in Padre Pio era presente Gesù. Ora che egli non è più, i nostri occhi, quelli del-la fede, possono vederlo ancora.

Andando dinanzi a un tabernacolo: Padre Pio si trova in Gesù. 

APPENDICE 

CAPITOLO II

del decreto PRESBYTERORUM ORDINIS sul ministero e la vita sacerdotale

IL MINISTERO DEI PRESBITERI

Funzioni dei presbiteri 

I presbiteri ministri della parola di Dio

4. Il popolo di Dio viene adunato innanzitutto per mezzo della parola del Dio vivente, che tutti hanno il diritto di cercare sulle labbra dei sacerdoti. Dato infatti che nessuno può essere salvo se prima non ha creduto, i presbiteri, nella loro qualità di cooperato-ri dei vescovi, hanno anzitutto il dovere di annuncia-re a tutti il Vangelo di Di o, seguendo il mandato del Signore: « Andate nel mondo intero e predicate il Vangelo a ogni creatura » (Mc 16, 15), e possono co-sì costituire e incrementare il popolo di Dio. Difatti, in virtù della parola salvatrice, la fede si accende nel cuore dei non credenti e si nutre nel cuore dei cre-denti, e con la fede ha inizio e cresce la comunità dei credenti, secondo quanto ha scritto l'Apostolo: « La fede è possibile per l'ascolto, e l'ascolto è possibile per la parola di Cristo » (Rm 10, 17). Pertanto i presbi-teri sono debitori verso tutti, nel senso che a tutti de-vono comunicare la verità del Vangelo, di cui il Si-gnore li fa beneficiare. Quindi, sia che offrano in mezzo alla gente la testimonianza di una vita esem-plare, che induca a dar gloria a Dio  sia che annun-cino il mistero di Cristo ai non credenti con la predi-cazione esplicita; sia che svolgano la catechesi o illu-strino la dottrina della Chiesa; sia che si applichino a esaminare i problemi del loro tempo alla luce di Cri-sto: in tutti questi casi il loro compito non è di inse-gnare una propria sapienza, bensì di insegnare la pa-rola di Dio e di invitare tutti insistentemente alla conversione e alla santità. Inoltre se la predicazione sacerdotale, che nelle circostanze attuali del mondo è spesso assai difficile, vuole avere piti efficaci risultati sulle menti di coloro che ascoltano, non può limitarsi ad esporre la parola di Dio in termini generali e astratti, ma deve applicare la perenne verità del Van-gelo alle circostanze concrete della vita.

In tal modo il ministero della parola viene esercita-to sotto forme diverse, in rapporto alle diverse neces-sità degli ascoltatori e secondo i diversi carismi dei predicatori. Nelle regioni o negli ambienti non cri-stiani, per mezzo del messaggio evangelico gli uomini vengono attratti alla fede e ai sacramenti della salvez-za; e nella comunità dei cristiani, soprattutto per quanto riguarda coloro che mostrano di non capire o non credere abbastanza ciò che praticano, la predica-zione della parola è necessaria per lo stesso ministero dei sacramenti, trattandosi di sacramenti della fede, la quale nasce e si alimenta con la parola. Ciò vale soprattutto nel caso della liturgia della parola nella celebrazione della messa, in cui si realizza un'unità inscindibile fra l'annuncio della morte e risurrezione del Signore, la risposta del popolo che ascolta e l'of-ferta con la quale Cristo ha confermato nel suo san-gue la Nuova Alleanza; offerta cui si uniscono i fedeli sia con i loro voti e preghiere sia con la ricezione del sacramento. 

I presbiteri ministri della santificazione con i sacra-menti e l'eucarestia

5. Dio, il quale solo è santo e santificatore, ha vo-luto assumere degli uomini come soci e collaboratori, perché servano umilmente nell'opera di santificazio-ne. Per questo i presbiteri sono consacrati da Dio, mediante il vescovo, in modo che, resi partecipi in maniera speciale del sacerdozio di Cristo, nelle sacre celebrazioni agiscano come ministri di colui che inin-terrottamente esercita la sua funzione sacerdotale in favore nostro nella liturgia, per mezzo del suo Spi-rito. Essi infatti, con il battesimo, introducono gli uomini nel popolo di Dio; con il sacramento della pe-nitenza riconciliano i peccatori con Dio e con la Chiesa; con l'olio degli infermi alleviano le sofferenze degli ammalati; e soprattutto con la celebrazione del-la messa offrono sacramentalmente il sacrificio di Cristo. Ma ogni volta che celebrano uno di questi sa-cramenti i presbiteri - come già ai tempi della Chiesa primitiva attesta S. Ignazio martire - sono gerarchicamente collegati sotto molti aspetti al vescovo, e in tal modo lo rendono in un certo senso presente in ciascuna adunanza dei fedeli.

Tutti i sacramenti, come pure tutti i ministeri ec-clesiastici e le opere d'apostolato, sono strettamente uniti alla sacra eucaristia e ad essa sono ordinati. Infatti, nella santissima eucaristia è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo, nostro pasqua, lui il pane vivo che, mediante la sua carne vivificata dallo Spirito Santo e vivificante, dà vita agli uomini i quali sono in tal modo invitati e in-dotti a offrire assieme a lui se stessi, il proprio lavoro e tutte le cose create. Per questo l'eucaristia si pre-senta come fonte e culmine di tutta l'evangelizzazio-ne, cosicché i catecumeni sono introdotti a poco a poco a parteciparvi, e i fedeli, già segnati dal sacro battesimo e dalla confermazione, ricevendo l'eucari-stia trovano il loro pieno inserimento nel corpo di Cristo.

L'assemblea eucaristica è dunque il centro della comunità dei cristiani presieduta dal presbitero. I presbiteri insegnano dunque ai fedeli a offrire la vitti-ma divina a Dio Padre nel sacrificio della messa, e a fare, in unione con questa vittima, l'offerta della pro-pria vita. Nello spirito di Cristo pastore insegnano al-tresì a sottomettere con cuore contrito i propri pecca-ti alla Chiesa nel sacramento della penitenza, per po-tersi così convertire ogni giorno di più al Signore, ricordando le sue parole: « Fate penitenza, poiché si avvicina il regno dei cieli » (Mt 4, 17). Insegnano inol-tre ai fedeli a partecipare così intimamente alle cele-brazioni liturgiche, da poter arrivare anche in esse al-la preghiera sincera; li spingono ad avere per tutta la vita uno spirito di orazione sempre più attivo e per-fetto, in rapporto alle grazie e ai bisogni di ciascuno; e invitano tutti a compiere i doveri del proprio stato, inducendo quelli che hanno fatto maggiori progressi a seguire i consigli del Vangelo, nel modo che meglio convenga a ciascuno. Quindi istruiscono i fedeli in modo che possano cantare in cuor loro al Signore in-ni e cantici spirituali, rendendo sempre grazie per ogni cosa a Dio Padre nel nome di nostro Signore Ge-sti Cristo.

Le lodi e il ringraziamento che rivolgono a Dio nella celebrazione eucaristica, i presbiteri li estendo-no alle diverse ore del giorno con il divino ufficio, mediante il quale pregano Iddio in nome della Chiesa e in favore di tutto il popolo loro affidato, anzi in fa-vore di tutto il mondo.

La casa di preghiera - in cui l'eucaristia è celebra-ta e conservata; in cui i fedeli si riuniscono; in cui la presenza del Figlio di Dio nostro Salvatore, offerto per noi sull'altare del sacrificio, viene venerata a so-stegno e consolazione dei fedeli - dev'essere nitida e adatta alla preghiera e alle celebrazioni liturgiche. In essa i pastori e i fedeli sono invitati a rispondere con riconoscenza del dono di colui che di continuo infonde la vita divina, mediante la sua umanità, nelle membra del suo corpo. Abbiano cura i presbiteri di coltivare adeguatamente la scienza e l'arte liturgica, affinché per mezzo del loro ministero liturgico le co-munità cristiane ad essi affidate elevino una lo-de sempre più perfetta a Dio Padre, Figlio e Spirito Santo. 

I presbiteri, guide ed educatori del popolo di Dio

6. Esercitando la funzione di Cristo capo e pastore per la parte di autorità che spetta loro, i presbiteri, in nome del vescovo, riuniscono la famiglia di Dio come fraternità viva e unita e la conducono al Padre per mezzo di Cristo nello Spirito Santo 2°. Per questo mi-nistero, così come per le altre funzioni, viene conferi-ta al presbitero una potestà spirituale, che è appunto concessa ai fini dell'edificazione' 1. Nell'edificare la Chiesa i presbiteri devono avere con tutti dei rapporti improntati alla più delicata bontà, seguendo l'esem-pio del Signore. E nel trattare gli uomini non devono regolarsi in base ai loro gusti, bensì alle esigenze della dottrina e della vita cristiana, istruendoli e an-che ammonendoli come figli carissimi, secondo le parole dell'Apostolo: « Insisti a tempo e fuor di tem-po: rimprovera, supplica, esorta con ogni pazienza e dottrina » (2 Tm 4, 2)

Perciò spetta ai sacerdoti, nella loro qualità di edu-catori nella fede, di curare, per proprio conto o per mezzo di altri, che ciascuno dei fedeli sia condotto nello Spirito Santo a sviluppare la propria vocazione personale secondo il Vangelo, a praticare una carità sincera e attiva, ad esercitare quella libertà con cui Cristo ci ha liberati. Di ben poca utilità saranno le cerimonie più belle o le associazioni più fiorenti, se non sono volte ad educare gli uomini alla maturità cristiana  Per promuovere tale maturità, i presbiteri sapranno aiutarli a diventare capaci di leggere negli avvenimenti stessi - siano essi di grande o di minore portata - quali siano le esigenze naturali e la volontà di Dio. I cristiani inoltre devono essere educati a non vivere egoisticamente, ma secondo le esigenze della nuova legge della carità, la quale vuole che ciascuno amministri in favore del prossimo la misura di grazia che ha ricevuto', e che in tal modo tutti assolvano cristianamente i propri compiti nella comunità uma-na. Ma, anche se sono tenuti a servire tutti, ai presbi-teri sono affidati in modo speciale i poveri e i più de-boli, ai quali lo stesso Signore volle dimostrarsi parti-colarmente unito, e la cui evangelizzazione è presentata come segno dell'opera messianica. Anche i giovani vanno seguiti con cura particolare, e così pu-re i coniugi e i genitori; è auspicabile che tali persone si riuniscano amichevolmente in gruppo, per potersi aiutare a vicenda a vivere più pienamente come cri-stiani nelle circostanze spesso difficili in cui si trova-no. Ricordino inoltre i presbiteri che i religiosi tutti - sia uomini che donne - costituiscono una parte insi-gnita di speciale dignità nella casa del Signore e meri-tano quindi particolare attenzione, affinché progredi-scano sempre nella perfezione spirituale per il bene di tutta la Chiesa. Infine, abbiano cura specialmente dei malati e dei moribondi, visitandoli e confortando-li nel Signore.

Ma la funzione di pastore non si limita alla cura dei singoli fedeli: essa va estesa alla formazione di un'autentica comunità cristiana. Per fomentare op-portunamente lo spirito comunitario, bisogna mirare non solo alla Chiesa locale ma anche alla Chiesa uni-versale. A sua volta la comunità locale non deve limi-tarsi a prendersi cura dei propri fedeli, ma è tenuta anche a sentire lo zelo missionario, che spinge ad aprire a tutti gli uomini la strada che conduce a Cri-sto.

In primo luogo poi alla comunità incombe il dovere di occuparsi dei catecumeni e dei neofiti, che vanno educati gradualmente alla conoscenza e alla pratica della vita cristiana.

D'altra parte non è possibile che si formi una comu-nità cristiana se non assumendo come radice e come cardine la celebrazione della sacra eucaristia, dalla quale deve quindi prendere le mosse qualsiasi educa-zione tendente a formare lo spirito di comunità 31.A sua volta la celebrazione eucaristica, per essere piena e sincera, deve spingere sia alle diverse opere di carità e al reciproco aiuto, sia all'azione missionaria e alle varie forme di testimonianza cristiana.

Inoltre, mediante la carità, la preghiera, l'esempio e le opere di penitenza, la comunità ecclesiale esercita una vera azione materna nei confronti delle anime da avvicinare a Cristo. Essa infatti viene ad essere, per chi ancora non crede, uno strumento efficace per in-dicare o per agevolare il cammino che porta a Cristo e alla sua Chiesa; e per chi già crede è stimolo, ali-mento e sostegno per la lotta spirituale.

Infine, nell'edificare la comunità cristiana i presbi-teri non si mettono mai al servizio di una ideologia o umana fazione, bensì, come araldi del Vangelo e pa-stori della Chiesa, si dedicano pienamente all'incre-mento spirituale del corpo di Cristo.

 

     
 

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