Che cosa è il Katechon

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Caterina63
00lunedì 11 agosto 2014 11:27

 Alla base della lettura politica del Katéchon – mysterium iniquitatis in 2Ts 2,6-7 (pt.1)

.«Ora voi sapete ciò che lo trattiene affinché sia manifestato a suo tempo.
Infatti il mistero dell’empietà è già in atto, soltanto c’è chi ora lo trattiene, finché sia tolto di mezzo.»

Il Katéchon come categoria teologico-politica:

Nel secolo scorso il concetto del Katéchon, potere o persona che «trattiene» il mysterium iniquitatis, è tornato come tema centrale di studi e di ricerche filosofiche. A Carl Schmitt si deve la reintroduzione del Katéchon come importante figura teologico-politica ma, in vero, il potere che trattiene ha appassionato molti studiosi tra loro profondamente differenti. Basti qui menzionare ricercatori ed intellettuali del calibro di Erik Peterson, Jacob Taubes, Massimo Cacciari, Giorgio Agamben, in misura minore Martin Buber. Preso da un punto di vista più ampio, il tema del katéchonnon può essere scisso né dal mistero dell’anomia né dalla venuta escatologica dell’Anti-Christós (l’anti-messia), sicché  un così vasto argomento viene affrontato sin dall’antichità, si pensi ad Ireneo, Tertulliano e Agostino, fino a divenire un vero e proprio topós filosofico-letterario-teologico, si pensi, ad esempio, a Lutero, il Gaetano, Dostoevskij, J. Pieper, P. Althaus, B. Bauer, R. Bultman e altri ancora. La lettura che più di tutte ha “fatto scuola” rimane, però, quella che identifica il Katéchon come figura necessariamente teologico-politica. Non vuol essere questa la sede di un’eventuale sconfessione di tale rilettura, piuttosto, tramite una «fonazione esegetica» 1 di 2Ts, sarà possibile comprendere come il passo biblico ha saputo sollevare un’attenzione così eminentemente politica. Solo in conclusione – e molto brevemente – verranno elencati i tratti costitutivi di una teoria politica dell’eschaton, cercando di evidenziarne i tratti generali.

La «fondazione esegetica» di Paul Metzger:

In un interessantissimo saggio apparso sulla rivista Politica e Religione del 2008/2009, Metzger propone un’indagine della Seconda Lettera ai Tessalonicesi (2Ts 2,6-7) che non si esaurisca «né in un’analisi meramente terminologica, né in una storia diacronica» 2. Piuttosto, solo uno studio dettagliato del contesto storico-politico della Seconda Tessalonicesi permette una più chiara comprensione del criptico richiamo al Katéchon. Secondo Metzger, la Seconda Tessalonicesi venne scritta da un autore a noi completamente sconosciuto verso la fine del I sec. d.C.. Contrariamente a quanto sostenuto da alcuni ricercatori, l’autore di 2Ts non sarebbe né Paolo né un suo allievo, ma addirittura un teologo che pretende di correggere l’Apostolo dei Gentili tramite una fittizia lettera paolina. Lo sconosciuto autore vuole confutare la convinzione che «il giorno del Signore sia già arrivato o quantomeno sarebbe imminente [...]» 3 . Infatti, dalla lettura di 2Ts, risulta evidente che l’acquisizione di una simile tesi ha portato una sostanziosa parte della comunità a ritirarsi dal lavoro e dalla vita sociale in attesa del ritorno di Cristo, finendo così per suscitare scandalo e disappunto tanto all’interno di essa, quanto all’esterno. Appare evidente che una simile situazione non giova ad una comunità religiosa, quella cristiana, che viene già vista come sospetta dai pagani e dalle autorità politiche. Dunque, gli sforzi dell’autore sono tutti volti a limitare un’attesa esasperata e danno. La Seconda Lettera ai Tessalonicesi risponde così ad una necessità interna alla stessa comunità cristiana. In questo senso la stessa imitatio paolina dimostra la volontà dell’autore di conferire un’indubbia autorità alla propria risoluzione teologica. Il quadro tratteggiato da Metzger evidenzia come non sia in ballo unicamente:

«una speculazione astratta sui tempi ultimi, ma la necessità di mantenere i destinatari nella retta dottrina, di ammonirli, di dar loro assicurazione circa il fatto che le loro momentanee sofferenze saranno compensate dal giudizio di Dio[...]. In termini estremamente pragmatici la lettera tenta di rendere possibile ai destinatari diretti una vita tranquilla nel loro ambiente di riferimento.» 4

Il testo è allora apologetico, nel senso che si invita la comunità a seguire la vera doctrina senza essere sviati da pericolose – ed esasperanti - speculazioni sulla parousia. Per questo motivo la lettera si struttura come una vera e propria opposizione teologica che necessita di un iterargomentativo capace di riorganizzare la comunità. Per sconfessare l’idea che il ritorno di Cristo sia ormai imminente, all’autore non resta che dipingere un itinerario cronologico-apocalittico che ritardi questo momento. Prima della parousia è infatti necessario che si verifichino due momenti:a) deve verificarsi un momento di apostasia generale, b) deve disvelarsi l’Anticristo.  Questi due momenti non vengono introdotti come una novità esclusiva e ciò fa supporre che anche gli oppositori dell’autore di  2Ts li utilizzassero per propagandare le proprie dottrine. La vera novità – nonché motivo d’opposizione – riguarda allora la collocazione temporale di questi eventi 5.

La struttura del brano, ed in particolare 2Ts 2,8-10, evidenziano una struttura parallela che rende verosimile pensare che la rivelazione dell’Iniquo avvenga contemporaneamente alla generale diffusione dell’anomia. Tuttavia, il dato realmente essenziale riguarda la condizione della parousia: questa non può avvenire se prima non si è svelato l’Anticristo. Da un simile assunto derivano quattro aspetti essenziali che differenziano la proposta teologica dell’autore di 2Ts dai suoi oppositori: a) non essendosi palesato l’anti-messia nel tempo storico in cui la lettera è stata scritta, allora il ritorno del Cristo non può essere imminente, b) la rivelazione dell’Iniquo è visibile, dal momento che esso è una potenza escatologica e diabolica cui l’uomo non può opporsi, c) il mysterium iniquitatis è attivo nel presente, ma legato all’avvento dell’Avversario di Dio nel futuro, d) dunque l’Anticristo non è ancora operante, ma potrà esserlo solo nel momento in cui non ci sarà più il Katéchon.

Così, l’autore non nega le percezioni contemporanee dei suoi oppositori, ma le rilegge con una differente cronologia. Sicché se per il momento l’Avversario non è ancora visibile, almeno due forze, tra loro profondamente legate, sono inesorabilmente all’opera: quella dell’anomia che determinerà la venuta dell’anti-messia e quella del Katéchon che la ritarda. Viene così sviluppato un parallelismo temporale tra il presente storico della comunità, che permette di identificare con certezza i segni della futura parousia, e un futuro escatologico, non ancora visibile, i cui signi nascosti sono già attivi nel presente sotto forma di Katéchon e mysterium iniquitatis. La sofferenza quotidiana è frutto dell’azione misteriosa dell’anomia e non dell’Anticristo. Anzi, il mistero dell’iniquità è precisamente un signum ad rem, ovvero un segno presente che rimanda ad un “non-ancora” – in questo caso demoniaco - destinato ad irrompere nel futuro 6.

Al contrario, il discorso del Katéchon è volutamente criptico. Secondo Metzger, il fatto che l’autore dedichi un solo oscuro frammento a «ciò che trattiene» non testimonia un ermetismo fine a se stesso ma, al contrario, evidenzia come solo la comunità a cui l’autore si rivolge è capace di decifrarlo, interpretandolo nel modo più consono. Accanto all’indagine terminologica si rende necessario ricercare anche nelle conoscenze pregresse della comunità. Il primo dato fondamentale riguarda l’uso, prima al neuro, poi al maschile di Katéchon. La funzione di questo consiste nel trattenere il Figlio dell’Iniquo sino a quando non si rivelerà il suo tempo. Nel momento presente della comunità il Katéchon è ancora operante e viene descritto come una forza-potenza di genere neutro. Tanto i tempi dell’avvento dell’Anticristo, quanto i tempi dell’opera katechonica sono incerti e questo deriva dal fatto che solo Dio stabilisce la temporalità di simili eventi. Tuttavia, appare dato incontrovertibile che l’anti-messia si paleserà solo quanto il potere che lo trattiene verrà messo da parte. Per Metzger è precisamente questo il momento cruciale dell’intera 2Ts. Infatti:

«Il cambio di genere dal neuro al maschile è vistosamente parallelo alla personificazione dell’iniquità nell’Avversario di Dio. Evidentemente, il Katéchon e l’Avversario di Dio hanno degli elementi in comune: il tempo di entrambi è concesso loro da Dio, entrambi cominciano come forza (Katéchon – mysterion) e terminano come persona. A partire da qui, è verosimile che il Katéchon debba essere determinato in maniera analoga all’Avversario di Dio.» 7

La forza del mistero dell’anomia (in neutro) sta all’Anticristo (in maschile) come la forza katechonica (in neutro) sta al Katéchon personificato (in maschile). Dunque, entrambi «paiono essenze umano-demoniache che assumono un posto nel piano di salvezza di Dio». Nonostante queste forti analogie, le due figure sono tra loro contrapposte: finché opera il primo, il secondo non può svelarsi. Malgrado questa opposizione risulti radicale, ilKatéchon non garantisce alcuna protezione dall’anomia operante nel presente. Così, se da un lato i destinatari della lettera possono essere rincuorati dalla funzione frenante che ritarda l’avvento dell’Anticristo, dall’altro la «forza che trattiene» prolunga il tempo della sofferenza e dell’anomia. Così inteso il Katéchon appare addirittura come fattore negativo, dal momento che la sua azione mantiene lo status quo e obbliga i cristiani ad un confronto quotidiano con il male.

Tali opposizioni e analogie dimostrano come Katéchon e mysterium iniquitatis siano strettamente connessi. Ciò viene comprovato se si indaga comeil Katéchon si oppone al demone anti-divino per eccellenza. Secondo i principi di analogica cosmica della demonologia antica, solo un demone può contrapporsi ad un altro demone, cosicché il Katéchon:

«[...] è un essere intermedio umano-demoniaco, che è all’opera al tempo della comunità. Esso si personificherà nelKatéchon (maschile) che deve essere eliminato affinché possa subentrare l’Avversario di Dio. » 8

Alla comunità non resta che una nervosa attesa escatologica aspettando la parousia finale. A questo punto è sufficientemente chiaro il ruolo delKatéchon come forza demoniaca che trattiene, ma risulta ancora incerta e criptica la sua personificazione. Tuttavia, il fatto stesso che Cristo sia l’incarnazione del Dio-Bene e l’Anticristo sia l’incarnazione del mistero dell’anomia, lascia supporre che anche «la forza che trattiene» abbia una sua incarnazione in una persona sì escatologica, ma concreta, visibile, tangibile e operante nel mondo degli uomini. Evidentemente l’autore di  2Ts allude ad una persona che i destinatari della lettera conoscono o, perlomeno, a cui possono giungere facilmente attingendo dalle fonti autorevoli della tradizione, ma che, tuttavia, non può essere nominato in senso chiaro ed esaustivo in quel particolare frangente. Sono solo due gli scritti contemporanei alla Seconda Tessalonicesi che spiegano il motivo per il quale il giorno del giudizio non può ancora verificarsi: si tratta dell’ Quarto libro di Ezra e dell’Apocalisse di Giovanni 9.

In entrambi gli scritti le problematiche affrontate e le finalità esposte sono molti simili a quelle trattate in 2Ts. Entrambi cioè si occupano del problema escatologico-temporale del Katéchon in riferimento alla parousia. In IV Ezra 5,3 ; 11,45 s. l’autore descrive i segni della fine del tempo che assomigliano in modo evidente a quelli riportati nella Seconda Lettera ai Tessalonicesi. Si fa diretto riferimento al mistero dell’iniquità, al mondo dell’anomia e, infine, al bugiardo verbo dell’anti-messia che nasconderà definitivamente la verità del Verbo. Dunque anche in IV Ezra 5,3, l’autore cerca di delineare la storia cronologica dell’eschaton affinché la comunità dei fedeli possa identificare la propria collocazione temporale e il proprio ruolo nella storia del mondo. Anche nel Quarto Libro di Ezra il «tiranno terribile della fine dei tempi» si svelerà solo quando il Katéchon verrà rimosso. In questo scritto, differentemente da 2Ts, il Katéchon maschile ha un volto preciso: l’impero di Roma.

«Perciò tu dovrai ben disparire, o aquila, tu e le tue orribili ali, le tue pessime alette, le tue malvage teste, i tuoi crudeli artigli, e tutto il tuo inutile corpo, in modo che tutta la terra torni a ristorarsi, liberata dalla tua violenza, e possa sperare nel giudizio e nella misericordia di Colui che l’ha fatta.» 10

Chi, o cosa, distruggerà Roma non viene spiegato, ma appare evidente che l’allusione all’aquila sia un chiaro riferimento al potere katechonicodell’Impero Romano. L’Apocalisse di Giovanni non aggiunge nulla di diverso ma, procedendo ulteriormente, spiega chi farà cadere l’imperium.

«Le sette teste sono i sette colli sui quali è seduta la donna; e sono anche sette re. I primi cinque sono caduti, ne resta uno ancora in vita, l’altro non è ancora venuto e quando sarà venuto, dovrà rimanere per poco. Quanto alla bestia che era e non è più, è ad un tempo l’ottavo re e uno dei sette, ma va in perdizione. [...] Questi hanno un unico intento: consegnare la loro forza e il loro potere alla bestia.» 11

L’Apocalisse di Giovanni non lascia spazio ad interpretazioni. Il «potere che trattiene» è l’Impero Romano, nient’affatto forza positiva, ma chiaramente negativa. Inoltre, ciò che toglierà di mezzo il Katèchon nasce all’interno dello stesso. Più precisamente l’ultimo re di Roma sarà colui che si volgerà contro l’imperium stesso, determinando la sua fine e lo svelamento dell’Avversario di Dio. Dunque, proprio come nella Seconda Tessalonicesi, l’apocalisse e la parousia sono rimandate alla caduta dell’potere politico di Roma. Roma non è quindi l’Avversario ultimo di Cristo, ma la necessaria condizione affinché il ritorno i renda possibile. L’impero è una realtà politica demoniaca (forza neutra), il cui governante-imperatorincarna la figura del Katéchon al maschile. La sua auctoritas e la sua potestas non proteggono dal peccato e dalla sofferenza, al contrario, garantiscono l’operosità del mysterium iniquitatis. L’ultimo re, una sorta di Nerone redivivo, annuncerà l’arrivo della Bestia e siglerà l’inizio della Fine dei tempi. Risulta quindi probabile che la criptica allusione al Katéchon nella Seconda Lettera ai Tessalonicesi si riferisca alle chiarissime riflessioni su Roma presenti nel Quarto Libro di Ezra e nell’Apocalisse di Giovanni.

Risulta altrettanto chiaro che l’identificazione del Katéchon nell’impero romano lega inevitabilmente il problema teologico ed escatologico della fine dei tempi a quello schiettamente politico. Il mistero dell’iniquità viene così declinato in senso teologico-politico nel mistero dell’a-nomia (a-nomos), ovvero della realtà priva di legge, mentre l’Anti-Christos, figura escatologica e demoniaca, s’incarna in una figura squisitamente politica, quella dell’imperator romano operante nella storia degli uomini. La stessa storia cosmogonica ed escatologica finisce per cadere nel seculum, influenzando la vita umana e, con essa, la vita politica.

Bibliografia:

C. Schmitt, Il Nomos della Terra. Adelphi, Milano 1991.
P. Metzger, Il Katéchon. Una fondazione esegetica in Il Katéchon (2Ts 2,6-7) e l’Anticristo. Teologia e politica di fronte al mistero dell’anomia. Tratto dalla rivista Politica e Religione 2008/2009. Morcelliana, Brescia, 2009.
M. Nicoletti, Tra filosofia della storia e relazioni internazionali. Il concetto di katéchon in Carl Schmitt in Il Katéchon (2Ts 2,6-7) e l’Anticristo. Teologia e politica di fronte al mistero dell’anomia. Tratto dalla rivista Politica e Religione 2008/2009. Morcelliana, Brescia, 2009.
M. Cacciari, Il potere che frena. Adelphi, Milano 2013.
R. Esposito, Due. La macchina della teologia politica e il posto del pensiero. Giulio Einaudi editore, Milano, 2003.
G. Lettieri. Il nodo cristiano. Dono e libertà. dal Nuovo Testamento all’viii secolo. Edizioni Carocci. Roma 2009.
G. Agamben, Il tempo che resta. Un commento alla «Lettera ai romani», Bollati Boringhieri, Torino, 2000.
Conferenza episcopale italiana, La Sacra Bibbia. UELCI. Versione ufficiale della Cei. San Paolo edizioni, Roma.

Note:

 

 
  1. Ci si riferisce qui all’analisi critica di P. Metzger, Il Katéchon. Una fondazione esegetica in Il Katéchon (2Ts 2,6-7) e l’Anticristo. Teologia e politica di fronte al mistero dell’anomia. Tratto dalla rivista Politica e Religione 2008/2009. Morcelliana, Brescia, 2009.  
  2. È ciò che sostiene M. Nicoletti che, proprio nell’Introduzione del medesimo volume, dedica una ampia nota al grande lavoro svolto da Metzger.Il Katéchon (2Ts 2,6-7) e l’Anticristo. Teologia e politica di fronte al mistero dell’anomia. Tratto dalla rivista Politica e Religione 2008/2009. Morcelliana, Brescia, 2009. p.5. 
  3. P. Metzger, Il Katéchon. Una fondazione esegetica in Il Katéchon (2Ts 2,6-7) e l’Anticristo. Teologia e politica di fronte al mistero dell’anomia. Tratto dalla rivista Politica e Religione 2008/2009. Morcelliana, Brescia, 2009. p.27. 
  4. Ivi. p.28. 
  5. Questo punto è, in realtà, davvero essenziale. L’aspetto cronologico della Seconda Tessalonicesi e, nello specifico, la dimensione temporale del Katéchon, sono presi in esame nell’ultimissimo saggio di R. Esposito, Due. La macchina della teologia politica e il posto del pensiero. Giulio Einaudi editore, Milano, 203. 
  6. Questa dialettica tra segno terreno ed ontologia divina è, forse, un’eccessiva forzatura concettuale. In 2Ts non vi è traccia di un’interpretazione così rigida tra segno del male, l’anomia, e opera diretta dell’Essere del Male, l’anticristo. Tuttavia credo che una simile rilettura possa tornare utile successivamente, quando il Katéchon verrà analizzato nella sua forma più schiettamente politica. 
  7. P. Metzger, Il Katéchon. Una fondazione esegetica in Il Katéchon (2Ts 2,6-7) e l’Anticristo. Teologia e politica di fronte al mistero dell’anomia. Tratto dalla rivista Politica e Religione 2008/2009. Morcelliana, Brescia, 2009. Per un’analisi più dettagliata pp. 33-35  
  8. Ibidem. 
  9. A questo punto è doverosa una precisazione. Anche per ciò che concerne il confronto tra 2Ts, Quarto libro di Ezra e Apocalisse di Giovanni, mi rifaccio completamente al saggio di Metzger. Questo perché la sua ricerca ha il merito di indagare la fondazione del concetto di Katéchon rimanendo all’interno del contesto storico della Seconda Tessalonicesi. Questo non vuol dire affatto che la strada indicata da Metzger sia effettivamente l’unica percorribile. Al contrario, voglio qui ricordare l’interessantissimo saggio di M. Rizzi, Storia di un inganno (ermeneutico). Il Katéchon e l’Anticristo nelle interpretazioni del II e III secolo, che ha il merito di evidenziare come il concetto originario di Katéchon (studiato proprio da Metzger) finisca per subire grandi ridimensionamenti già nelle interpretazioni del II e III secolo. I continui rimandi a Metzger sono, quindi, soprattutto funzionali al fine di quest’articolo: inquadrare la figura “prima” del Katéchon spiegando così il suo indissolubile – ed originario – legame con la politica.  
  10. Quarto Libro di Ezra, Xi Quinta Visione, 33 al link: http://www.intratext.com/IXT/ITA0404/_PC.HTM 
  11. Conferenza episcopale italiana, La Sacra Bibbia. UELCI. Versione ufficiale della Cei. San Paolo edizioni, Roma.  





CRISTIANESIMO

«Chi» o «che cosa» trattiene il mysterium iniquitatis

 

San Giovanni Crisostomo

San Giovanni Crisostomo

Sull’Osservatore Romano del 25 settembre 2011 monsignor Enrico dal Covolo, rettore della Pontificia Università Lateranense, ha commentato le parole dell’apostolo Paolo nella seconda Lettera ai Tessalonicesi, capitolo II, versetti 6-7.
In particolare il presule ha evidenziato come i Padri antiocheni hanno risposto all’interrogativo su «chi» o «che cosa» trattenga (tò katèchon) il mistero dell’iniquità.

«La quarta omelia di Giovanni Crisostomo esordisce, entrando subito nel merito del problema, ponendosi due domande: innanzitutto che cosa sia questo katèchon; poi perché Paolo si esprima in un modo così oscuro. Nel rispondere alla prima domanda Crisostomo rievoca, respingendola, l’interpretazione di Severiano di Gabala, il quale identificava il katèchon con la grazia dello Spirito. A

nche Teodoro di Mopsuestia concorda con il Crisostomo nel respingere l’identificazione di Severiano. Sulla base delle loro obiezioni, che qui non possiamo commentare, è da supporre che Severiano identificasse in una Chiesa dei carismi il migliore e più efficace baluardo contro la prevaricazione delle forze del male.

Respinta l’opinione di Severiano, Crisostomo ne enuncia una seconda, alla quale dice di aderire lui stesso: quella che identifica il katèchon con l’impero romano. Paolo, secondo il Crisosotomo, avrebbe usato un linguaggio oscuro ed enigmatico per evitare di esporsi troppo, proprio perché identificava nel katèchon l’impero romano. La venuta dell’Anticristo sarebbe avvenuta al crollo dell’impero romano, il quale, cessando di “trattenere”, avrebbe aperto la strada della parusìa, prima quella dell’Anticristo, e poi finalmente quella del Signore Gesù. L’impero “trattiene” attraverso la paura che incute; fintantoché durerà questa paura, nessuno potrà instaurare l’anomia».

L’autore dell’articolo riporta en passant anche la riflessione di Carl Schmitt: «Io credo nel katèchon; per me è l’unica possibilità di comprendere la storia da cristiano e di trovarla sensata».



Francesco Colafemmina:
Lo scrivevo già nel 2009, quando terminavo il mio romanzo 
La Serpe fra gli Ulivi, e forse è per questo che sono scettico in merito a Papa Francesco. Oggi ho ripreso in mano questa mia opera e alle pagine 278-79 ecco cosa avevo scritto:


"Il cardinale con la sua faccia ieratica e severa, sebbene a volte viscida e maliziosamente malvagia era riuscito ad aggregare notevoli gruppi di vescovi, sacerdoti ed altri membri del collegio. Il loro scopo era mantenere la Chiesa in una condizione di disagio permanente. Indebolire il ruolo del Papa, far perdere credibilità all’ortodossia, diffondere la profonda incoerenza del cattolicesimo, rispetto alla vita privata delle gerarchie. 
Questo indebolimento costante della Chiesa non poteva essere compiuto apertamente. Se così fosse stato, avrebbero rischiato di apparire come i veri propalatori dell’apostasia. Essi dovevano agire dietro le quinte. Serviva loro un Papa che fosse davvero santo! Un Papa ortodosso, giusto e retto, nella fede e nella dottrina. Di lui si sarebbero serviti per distruggere la Chiesa come il mondo la conosceva. Non era poi così banale il loro programma. 
Essi avrebbero organizzato dall’interno del Vaticano una puntuale e costante opera, volta a screditare il Papa ortodosso e giusto. A mostrare come le sue decisioni, la sua visione del mondo, la sua stessa fede, fossero superate, vecchie, insostenibili per l’uomo moderno. L’avrebbero messo al centro del discredito mediatico mondiale, creando polveroni attorno a piccoli eventi ecclesiali la cui portata sarebbe stata ingigantita ad hocCosì preparavano il loro pontificato: quello in cui sarebbe stato eletto il vero Apostata, il vero Antipapa. Costui lo coltivavano blandendolo attentamente. Ne soddisfacevano ogni possibile desiderio, ogni ambizione, purché egli restasse nel silenzio: un cardinale tra i tanti. Al momento opportuno, quando la Chiesa sarebbe stata screditata, maltrattata, umiliata dalle Nazioni e dai loro statisti massoni ed illuminati, quando il Papa santo e retto sarebbe stato cancellato dal cuore dei cristiani, soltanto allora avrebbero attuato il loro piano. Il nuovo papa sarebbe stato latinoamericano."

Spero solo di non essere stato profetico.

Fides et Forma




Caterina63
00lunedì 11 agosto 2014 11:35

  Catéchon o Katéchon (in greco ό Κατέχων, ó Katéchon, τό Κατέχον, tó Katéchon), è un termine greco, participio presente del verbo κατέχω, katécho, che significa "trattenere", "arrestare", "impedire".

Il termine è usato in 2Ts 2,7. Il significato preciso e l'allusione che Paolo fa attraverso di esso non è chiara.

Proprio a causa di tale indeterminatezza, il concetto ha conosciuto uno sviluppo in termini di teologia della storia e di filosofia politica.

Contesto

Nella Chiesa di Tessalonica si erano verificati dei disordini a causa della convinzione che la seconda venuta di Cristo fosse imminente. Ciò era dovuto sia ad un'erronea interpretazione della prima lettera inviata da San Paolo a quella Chiesa (4,15), sia agli inganni di alcuni in malafede.

Per rimediare a questi disordini l'Apostolo scrive la seconda lettera, introducendo specificamente nei versetti 2Ts 2,6-7 la sua dottrina del Katéchon come complemento alla sua visione apocalittica.

Il termine indica l'ostacolo, l'impedimento, colui che ostacola e che impedisce la venuta dell'Anticristo: l'apostolo utilizza (nel 2Ts 2,6) il pronome di genere neutro[1] τό, mentre nel versetto 7 utilizza il genere maschile.

Interpretazione

L'esegesi di questo passaggio ha prodotto varie interpretazioni nel corso della storia del cristianesimo, con varie soluzioni su chi o che cosa trattiene la venuta dell'Anticristo. Le risposte date a questa domanda sono state, tra le altre:

  1. L'Impero Romano
  2. La Chiesa
  3. Dio, nella persona dello Spirito Santo
  4. La proclamazione del Vangelo a tutte le genti
  5. L'imperatore cristiano
  6. Il Sacro Romano Impero
  7. Il Papa
  8. L'Arcangelo Michele

Di fatto, il testo non suggerisce alcun elemento valido di determinazione; dice soltanto che esiste una specie di diga all'insorgere in massa delle forze delmale[2]. L'apostolo vuole infondere nei suoi lettori la fiducia radicale per l'uomo che si batte contro il demoniaco: è possibile arginare l'azione devastatrice del male e della morte ed erigere dighe di contenimento.

   
Note
  1.  In greco, così come in latino, il neutro è usato per riferirsi a cose, mentre si usano il maschile e il femminile per le persone.
  2.  Giuseppe BarbaglioLe lettere di PaoloBorla1980, p. 166.
Bibliografia
Voci correlate





Caterina63
00lunedì 11 agosto 2014 11:42
INTERVISTA  Avvenire febbraio 2013 

Cacciari: chi mette il freno all’Apocalisse?

Anche i Titani non sono più quelli di una volta. Tramontato il sogno di progresso del quale si era fatto carico l’ambizioso Prometeo, tocca al fratello dello sconfitto, il prudente Epimeteo, governare le sorti degli umani. Il suo incarico sembrerebbe modesto, ma richiede in effetti una grande abilità tecnica: si tratta di impedire l’apertura dei vasi in cui sono contenuti i mali del mondo. Attenzione al verbo. Contenere, trattenere. Frenare, insomma. Il potere che frena (in uscita da Adelphi, pagine 214, euro 13) è il titolo del saggio in cui il filosofo Massimo Cacciari torna su uno dei temi centrali della cosiddetta "teologia politica", ovvero quella corrente di pensiero, teorizzata fin dagli anni Venti da Carl Schmitt, che suggerisce di interpretare il divenire della Storia in prospettiva teologica. «Più andiamo avanti – ribadisce Cacciari – e più mi convinco che non c’è altro modo per cercare di comprendere il nostro tempo».

È per questo che bisogna partire da san Paolo?

«Dalla Seconda lettera ai Tessalonicesi, per l’esattezza: capitolo 2, versetti 6 e 7. Lì Paolo introduce un concetto del tutto originale, che sta all’origine di una lunga e complessa tradizione esegetica».

Stiamo parlando del misterioso "katechon"?

«Esatto: quel qualcosa, o qualcuno, che "contiene", trattenendo e rallentando, la venuta dell’Anticristo. Questo framezzo, che si pone tra l’Evento dell’Incarnazione e la battaglia finale contro l’Avversario, è un tempo rilevantissimo. In esso, fa intendere Paolo, agisce un potere che non può essere identificato nell’Anticristo, di cui appunto "trattiene" l’avvento, ma che neppure coincide con la Chiesa, alla quale è affidato il compito di custodire la speranza nel prolungarsi dell’attesa. Su questo Paolo è molto chiaro: il katechonè destinato a essere "spazzato via", proprio perché non partecipa della speranza che deriva dalla fede».

Sì, ma allora da che parte sta?

«Il katechon esprime una tensione costante. Per sua natura, tiene a entrambe le parti: ha a che vedere con l’Anticristo ("con-tenere" significa "tenere dentro di sé") e nel contempo partecipa alla battaglia contro l’Anticristo. Del resto, nell’evo cristiano ogni potere partecipa di questa contraddizione».

Può essere più esplicito?

«Certo. Quello sul katechon è, da sempre, un discorso che rifugge dall’astrazione. Già i Padri della Chiesa, quando affrontano l’argomento, sono estremamente concreti, cercano corrispettivi precisi alle figure evocate da Paolo e dall’Apocalisse. Fino a un certo punto, l’interpretazione prevalente è che il katechon sia l’Impero romano. Il problema, però, è che la forma imperiale non si accontenta di esercitare una potestas di tipo pratico-amministrativo. La sua ambizione, al contrario, è di conseguire un’auctoritas spirituale, ma così facendo entra in conflitto con la Chiesa. La quale, a sua volta, non è estranea alla funzione espressa dal katechon. Il ritorno di Cristo non può essere accelerato, i credenti non devono cedere all’impazienza, la loro missione è semmai di vegliare nell’attesa. Anche la Chiesa, dunque, "trattiene", per rendere possibile la conversione e fare in modo che il Figlio dell’Uomo, quando verrà, trovi la fede su questa terra».

La soluzione quale sarebbe?

«Un’alleanza tra potestas amministrativa e auctoritas della Chiesa. Sembrerebbe uno scenario medievale, ma a ben pensarci è lo stesso obiettivo al quale mirava l’idea di uno Stato moderno perfettamente laico, che lasciasse alla Chiesa il primato in campo spirituale. Il guaio, però, è che la potestas politica non può mai rinunciare alla sua ambizione imperiale, con relativo sconfinamento nell’auctoritas. Il potere, quando si riduce all’ordinaria amministrazione, diventa impotente. E questa è esattamente la situazione in cui ci troviamo".

Una situazione apocalittica?

«Una potestas ridotta all’impotenza lascia emergere le tendenze dell’Anticristo. Ma non dobbiamo immaginarci una devastazione all’Apocalypse Now. I segni dell’affermarsi dell’Avversario sono molto differenti, già Paolo invita ad allarmarsi nel momento in cui si sente annunciare un tempo di pace e benessere. Il principale attributo dell’Anticristo, infatti, consiste nell’essere Placidus: le guerre contro di lui si sono concluse con la sua vittoria, nessuna forza più gli si oppone, la prosperità può diffondersi indisturbata. Regna l’ordine, e questa è la fine. A patto, si capisce, che si sia compiuto anche l’altro passo decisivo, e cioè l’apostasia della Chiesa, la secessio dei credenti dalla fede. È l’atteggiamento del Grande Inquisitore di Dostoevskij, il cui trionfo coincide, non a caso, con il ritorno di Gesù. Se l’Anticristo ha avuto la meglio, solo Cristo può tornare a dargli battaglia».

Ma noi, ora come ora, a che punto siamo?

«Che la nostra sia un’epoca apocalittica mi pare indubbio. Viviamo in una dimensione globale che neppure l’Impero romano aveva conosciuto e questo comporta una continua omologazione dei princìpi, dei comportamenti, dell’etica. Ci siamo lasciati alle spalle i totalitarismi, che si presentavano esplicitamente come forze prometeiche, anticristiche e , in quanto tali, chiamavano in causa il katechon, la cui funzione era esercitata da altri poteri, sia politici sia religiosi. Ora è la volta di Epimeteo, l’Anticristo si mostra con il suo volto conciliante e il rischio è che la Chiesa non riesca a presentarsi come segno di contraddizione in un mondo ormai assuefatto all’indifferenza. Nietzsche aveva visto giusto: oggi davvero chi va per strada alla ricerca di Dio viene prima deriso e poi guardato con indifferenza».

E la Chiesa come può reagire?

«Continuando a pregare perché sia dato il tempo, anzitutto. Ma anche perseverando nella sua azione pedagogica nei confronti di quei figli che ancora non sanno di essere figli. Le conversioni immediate, come quella di Paolo, sono sempre possibili, però la missione della Chiesa appartiene principalmente all’ambito dell’educazione. Dell’attesa, quindi. E della pazienza».



Papa Francesco, un tentativo di lettura del nuovo pontificato

I media insistono nel presentare Papa Francesco come un nuovo inizio per la Chiesa. È una visione fondata? Su cosa precisamente? E a chi giova questo nuovo corso?

 

di don Mauro Tranquillo

La dialettica dei due Papi

Con l’abdicazione di Benedetto XVI e l’elezione di Francesco abbiamo assistito, senza alcun dubbio, a un’imponente operazione mediatica. Non è semplice dire se i media siano stati le vittime di un rapidissimo restyling del Papato, se ne essi siano all’origine, o meglio se vi sia un concorso, o addirittura un concerto di cause. Fatto sta che l’immagine mediatica del Papa e della Chiesa è improvvisamente cambiata.

La Chiesa di Benedetto XVI era presentata come elitaria, distaccata dal mondo moderno, ricca e estremamente corrotta, dominata dagli scandali morali ed economici, dalla lotta per il potere. Lo stesso Papa appariva come un intellettuale fastoso, fermo a tradizioni anacronistiche, probabilmente colluso con il nazismo, e pieno di odio per il mondo moderno.

La Chiesa di Francesco non ha più alcun problema di cui si parli, e quelli che eventualmente ci fossero sono affrontati con rigore o saranno presto risolti. Il Papa Francesco è un uomo buono, mite, povero, sincero e comprensibile a tutti, deciso a rompere con il fasto e le ricchezze della Chiesa per andare incontro alle periferie esistenziali.

I due Papi sono veramente così contrapposti? La situazione è veramente diversa? Al momento, alla luce dei fatti, sembrerebbe di dover dire di no. Che i gravi problemi morali e finanziari della Curia Romana o di molte diocesi non possano essere stati risolti dalla semplice elezione di Papa Francesco, è palese, specie sapendo che tutti coloro che ne erano protagonisti sono al loro posto. Al massimo, questi problemi sono taciuti tanto quanto prima erano pubblicizzati. Quanto ai due Papi, indubbiamente siamo di fronte a personalità molto diverse: interiore, timido e raffinato Benedetto; estroverso, deciso e popolare Francesco.

Ogni Papa ha la sua personalità, e ogni personalità potrebbe essere efficacemente messa a servizio del Pontificato supremo. Sulla dottrina, i due Papi sono uniti da una sostanziale identità di vedute sulle questioni principali: Francesco è, come Benedetto, un convinto assertore della triade conciliare. Come Benedetto, fa ecumenismo: entrambi hanno mandato il loro primo messaggio al rabbino capo di Roma, entrambi hanno ottime relazioni con gli orientali (Bartolomeo di Costantinopoli e Teodoro di Alessandria sono già stati a Roma, ricevuti con tutti gli onori possibili), e Francesco ha già incontrato i rappresentanti di tutti i culti. Come Benedetto, Francesco vuole libertà religiosa per tutti: «Questa esperienza deve portarci a promuovere la libertà religiosa per tutti, per tutti! Ogni uomo e ogni donna devono essere liberi nella propria confessione religiosa, qualsiasi essa sia. Perché? Perché quell’uomo e quella donna sono figli di Dio»[1]. Sappiamo come rispetti i non credenti, specie se giornalisti, evitando di forzare la loro libertà di coscienza con una benedizione (salvo poi coinvolgere due carcerate minorenni musulmane in un rito liturgico cattolico: ma l’effetto mediatico conta molto più della sostanza). Sulla collegialità, il Papa tiene a presentarsi come il Vescovo di Roma, evitando di sottolineare i segni della monarchia papale (parleremo più avanti della questione del “potere del Papa”).

Molti sono stati appunto colpiti dall’abbandono di qualche insegna pontificale da parte di Papa Francesco, esattamente come erano stati colpiti (positivamente o negativamente a seconda delle diverse sensibilità) dal ripristino di qualche elemento secondario del cerimoniale papale da parte di Benedetto. Anche qui, se guardiamo alla sostanza, la figura cerimoniale del Papa, nella sua complessità, è stata rasa al suolo da Paolo VI. I piccoli elementi isolati dal loro contesto ripristinati da Ratzinger ed eliminati da Bergoglio sono insignificanti se paragonati a quanto demolito da Montini. Ugualmente, sempre a livello di stile, si è notato il passaggio dal linguaggio accademico di Benedetto al tono colloquiale di Francesco, che passa da prediche semplici e popolari, a tratti edificanti, a veri e propri slogan del becerismo progressista.

Seppur dunque la sostanza non sia per ora fondamentalmente cambiata rispetto agli altri Papi post-conciliari (e se pensiamo agli anni folli di Giovanni Paolo II, c’è perfino una certa sobrietà), è evidente che gesti di per sé poco rilevanti sono stati usati, e forse anche appositamente compiuti, per lanciare un messaggio che è risultato più chiaro di tante teorie. Che tale messaggio sia voluto dai media, dai poteri mondani, dal Papa stesso o da tutti insieme di concerto, non cambia di molto i fatti. Papa Bergoglio presenta un’immagine della Chiesa che entra in una fase completamente nuova, nuova anche rispetto all’“ortodossia post-conciliare” incarnata dall’ermeneutica della riforma di Ratzinger. Benedetto XVI rappresenterebbe così, forse scientemente, una sintesi (in senso modernistico) della dottrina cattolica preconciliare con il post-concilio, una sorta di punto di raccolta del soggetto-Chiesa, che ora è pronto, a lanciarsi in una nuova antitesi, in una nuova rottura, nel ritmo vitale di cui parla Pascendi. Anzi, conoscendo ciò che l’enciclica di san Pio X dice del ruolo dell’autorità nella Chiesa secondo i modernisti[2], sembra che tutto sia stato fatto ad arte: rottura con l’ortodossia cattolica nel Concilio, rivoluzione, sintesi di tutto questo con Ratzinger (sintesi vitale resa visibile dall’equiparazione dei due riti), e ora contrapposizione a questa sintesi. In pratica, d’ora in poi la rottura sarà presentata tra il “pre e post Bergoglio”, piuttosto che tra “pre e post Concilio”.

In questo senso è rivelatore che il Papa non nomini più i problemi di ermeneutica della lettera conciliare, ma a proposito del Vaticano II si limiti a evocarne il famigerato “spirito”, identificato con lo Spirito santo tout court, secondo il becerismo progressista della “nuova Pentecoste”[3]. I “conservatori”, che si sono bevuti la favola para-ratzingeriana della continuità, sono già caduti in questa trappola, e rimpiangono Ratzinger con lo stesso sentimentalismo degli esteti che rimpiangevano Pio XII nella Roma di Fellini. Per ora questa nuova antitesi è, lo abbiamo detto, puramente mediatica e di immagine. Servirà essa di trampolino di lancio a nuove deviazioni dottrinali? Sarà sufficiente a se stessa, visto che “il mezzo è il messaggio”? Lo sapremo di certo in tempi brevi.

La nuova immagine della chiesa di Francesco

Qual è questa nuova immagine della Chiesa? Su quale tipo di dialettica la si è così rapidamente costruita? Ed è veramente una novità?

Papa Francesco vuole distinguersi per povertà, sobrietà, semplicità. Niente paramenti antichi, niente insegne (ma la maggior parte delle insegne papali è scomparsa sotto Paolo VI). Si sottolinea il fatto che non abiti nel Palazzo ma sia rimasto in una suite d’albergo, che abbracci i bambini e accarezzi i cani, che dica “buongiorno”, che usi l’argento invece dell’oro, etc. Si sottolinea, lo abbiamo accennato, il contrasto –tutto relativo e spesso artefatto–  con Benedetto sotto questi aspetti. Parla dei poveri e di una Chiesa per i poveri, lontana da ogni tipo di potere.
La stessa struttura giuridica della Chiesa è minimizzata se non disprezzata: non solo gli eccessi di questa (il “burocratismo”), ma il fatto in se stesso. La Chiesa, dice Bergoglio, non è «una struttura ben organizzata»[4]: egli respinge ogni immagine di autorità e l’idea della societas perfecta; evita di sedere sul trono, non ama gli omaggi, né il cerimoniale. Dal fioretto edificante si slitta rapidamente all’immagine di una Chiesa non più strutturata come società visibile, ma come una comunione, una “carità” (opposta a società)[5] cui presiede il Vescovo di Roma. Sovrainterpretazione? Non sembra, se leggiamo quanto Bergoglio dice contro il potere temporale della Chiesa (che pure ha inferenze dogmatiche, secondo il Sillabo di Pio IX[6] e le definizioni di Unam Sanctam[7]) nel suo libro “Il cielo e la terra”[8], scritto con il rabbino Skorka quando era ancora a Buenos Aires.

In questo libro, fra i tanti luoghi comuni del conciliarismo, si leggono varie affermazioni contro il fatto stesso che la Chiesa abbia un potere (che al massimo è definito come “servizio”, ma proprio per opposizione ad autorità).

Leggiamo dal capitolo Sul futuro delle religioni: «Se osserviamo la storia, vediamo che le forme religiose del cattolicesimo sono palesemente mutate. Pensiamo, per esempio agli Stati pontifici, dove il potere temporale era indissolubilmente legato al potere spirituale. Fu una deformazione del cristianesimo, che non corrispondeva né a ciò che voleva Gesù né a ciò che vuole Dio. Se nel corso della storia la religione ha subito un’evoluzione così grande, perché non dovremmo pensare che anche in futuro si adeguerà alla cultura dei tempi? Il dialogo fra la religione e la cultura è fondamentale: lo sosteneva già il Concilio Vaticano II. Fin dalle origini si è sempre chiesta alla Chiesa una continua trasformazione –Ecclesia semper reformanda–, e quella trasformazione assume forme differenti nel corso del tempo, senza alterare il dogma. In futuro la Chiesa si adeguerà alle nuove epoche, secondo forme e modalità diverse, proprio come oggi si differenzia dalle antiche modalità del regalismo, del giurisdizionalismo, dell’assolutismo». Ci sarebbe da commentare l’idea della Chiesa che emerge da queste righe, ma limitandoci al grassetto, è chiaro che affermare che il potere temporale del Pontefice sia una deviazione dalla volontà di Gesù Cristo non può andare senza alterazione del dogma stesso.

Le origini storiche della nuova immagine della Chiesa

La concezione sottesa a questi atteggiamenti ci è svelata dal padre Cantalamessa, il cappuccino predicatore della Casa Pontificia, da tempo legato a Bergoglio. Lo si vede presente nella famosa foto in cui l’ex Arcivescovo di Buenos Aires si fa benedire dai pastori pentecostali protestanti. Noto studioso di Gioacchino da Fiore, così il frate presenta il nuovo pontificato nella predica tenuta davanti al Papa il Venerdì Santo scorso: «Dobbiamo fare il possibile perché la Chiesa non divenga mai quel castello complicato e ingombro descritto da Kafka, e il messaggio possa uscire da essa libero e gioioso come quando iniziò la sua corsa. Sappiamo quali sono gli impedimenti che possono trattenere il messaggero: i muri divisori, a partire da quelli che separano le varie chiese cristiane tra di loro, l’eccesso di burocrazia, i residui di cerimoniali, leggi e controversie passate, divenuti ormai solo dei detriti. Nell’Apocalisse, Gesù dice che sta sulla porta e bussa (Ap. 3, 20). A volte, come ha osservato il nostro Papa Francesco, non bussa per entrare, ma bussa da dentro perché vuole uscire. Uscire verso “le periferie esistenziali del peccato, del dolore, dell’ingiustizia, dell’ignoranza e dell’indifferenza religiosa, di ogni forma di miseria”. Succede come con certi edifici antichi. Nel corso dei secoli, per adattarsi alle esigenze del momento, si sono riempiti di tramezzi, di scalinate, di stanze e stanzette. Arriva il momento quando ci si accorge che tutti questi adattamenti non rispondono più alle esigenze attuali, anzi sono di ostacolo, e allora bisogna avere il coraggio di abbatterli e riportare l’edificio alla semplicità e linearità delle sue origini. Fu la missione che ricevette un giorno un uomo che pregava davanti al crocifisso di San Damiano: “Va’, Francesco, ripara la mia Chiesa” (...) Che lo Spirito Santo, in questo momento in cui si apre per la Chiesa un tempo nuovo, pieno di speranza, ridesti negli uomini che sono alla finestra l’attesa del messaggio e nei messaggeri la volontà di farlo giungere ad essi, anche a costo della vita».

La nuova era di una Chiesa spirituale, libera tra tramezzi, cerimoniali e burocrazia, che ritorna alle origini, annunciata qui da Cantalamessa e rappresentata mediaticamente dagli atteggiamenti di Papa Francesco, è un’antica idea portata avanti dalle frange ereticali francescane del XIII secolo, un’idea che si fonda sul disprezzo gnostico della materialità e del potere, sotto qualunque forma. Gioacchino da Fiore (ca. 1130-1202) prevede l’avvento di una Chiesa spirituale, quando dei santi monaci sostituiranno la gerarchia, non senza un nuovo Papato, un Vescovo universale che rinnoverà la religione e predicherà la Parola di Dio[9]. Questa figura diventerà il “Papa angelico” dei francescani spirituali, colui che secondo Ruggero Bacone, nell’Opus tertium, scritto verso il 1267, «verrà a purgare il diritto canonico e la Chiesa di Dio dai cavilli e dalle frodi dei giuristi [...] Grazie alla bontà, alla verità e alla giustizia di questo Papa, i Greci torneranno all’obbedienza della Chiesa Romana...». Arnaldo da Villanova e altri autori “spirituali” presenteranno la contrapposizione tra l’Ecclesia carnalis, dotata del potere mondano e corrotta, e la futura Ecclesia spiritualis che, secondo l’eretico francescano Olivi e il suo discepolo Ubertino da Casale, arriverà nella terza età del mondo, quando i Papi torneranno alla assoluta povertà francescana[10].

Non è infatti casuale che il Papa si ispiri al Santo di Assisi. Il san Francesco di cui si parla oggi, anche all’interno dell’ordine francescano, non è quello a noi noto, ma quello ricostruito da una critica storica che ha applicato alle fonti sul Poverello lo stesso processo che i modernisti hanno compiuto con i Vangeli. L’iniziatore di questo processo fu il calvinista Sabatier[11], allievo di Rénan, che «ipotizza simpatie sanfrancescane verso le idee di Gioacchino da Fiore e influssi gioachimiti sull’Assisiate. Gioacchino da Fiore divideva la storia in tre età (quella del Padre, quella del Figlio, del Figlio e dello Spirito) e nell’ultima (quella dello Spirito) avrebbe prevalso l'amore, la povertà, il rifiuto per tutto ciò che è scienza, cose tutte che Francesco voleva inculcare al suo Ordine»[12].

Cui prodest?

Tutti questi elementi indicano come la contrapposizione mediatica tra Benedetto e Francesco, chiunque la abbia indotta e alimentata, serva a presentare una nuova Chiesa, spirituale, non giuridica, povera, che si contrappone alla vecchia e corrotta Chiesa carnale, la Chiesa legata al potere e alla ricchezza, fatta rappresentare artificiosamente da Ratzinger. Una Chiesa che si sarebbe rivelata impotente e fallimentare, costringendo lo stesso Papa Benedetto ad abdicare per disperazione. Non ha, mediaticamente parlando, nessuna importanza sapere ora quanto di tutto questo sia reale. Ciò che conta è che così venga percepito.

Si presenta dunque una Chiesa che si spoglia di ogni potere “carnale”, una Chiesa senza corpo, che da società perfetta e giuridica (tale che il Cristo l’ha fondata) diventa semplicemente “una storia d’amore”, volontariamente e maliziosamente contrapposta alla Chiesa visibile e organizzata[13]. L’organizzazione viene presentata come umana e sostanzialmente come un pericolo, tacendo del tutto il dogma che vuole che a dare questa organizzazione nei suoi tratti essenziali e nei suoi poteri sia stato proprio Gesù Cristo.

A chi giova questa nuova chiesa, o questa nuova immagine? La Chiesa dove il potere non solo non è esercitato (per ostacoli o per debolezza), ma dove il potere è radicalmente negato, la Chiesa dopo l’abdicazione, massimo simbolo della rinuncia ad esercitare il potere, è una Chiesa che si presta al gioco di altri inquietanti “poteri”. I francescani spirituali del Medioevo, negando il potere alle gerarchie ecclesiastiche, erano spesso i servi degli Imperatori. Gli “spirituali” di oggi sono applauditi dai poteri del mondo, che aspetta dalla Chiesa questa desistenza. Proprio in gennaio usciva un libretto di uno dei massimi iniziati italiani, Massimo Cacciari, ovviamente alle edizioni Adelphi, intitolato “Il potere che frena”. È un trattatello in chiave gnostica sul katéchon, di cui parla san Paolo. Nella seconda epistola ai Tessalonicesi l’Apostolo spiega che la venuta dell’uomo dell’anomia, l’uomo senza legge, cioè l’anticristo, è frenata da un katéchon (“ciò, o colui che trattiene”), che alla fine dei tempi sarà “tolto di mezzo”, dopo l’apostasia generale.

I Padri hanno interpretato questo misterioso ostacolo come l’Impero Romano, o più in generale come il potere costituito che mantiene l’ordine del mondo. Tale potere è stato anche identificato come quello della Chiesa Romana, nella quale secondo san Tommaso si è trasferito l’Impero[14]. Cacciari ovviamente spiega, con dovizia di erudizione patristica, che il potere imperiale ed ecclesiastico frena l’avvento di questa nuova era, quella appunto dell’ultimo uomo che adora se stesso, che non ha più nulla da attendere o da sperare al di fuori di sé. Così predice Cacciari a pag. 80: «Impero e Chiesa secedono, allora, dalle proprie missioni, ma secondo una possibilità sempre aperta ed immanente in loro. Del dilagare dell'apostasia il segno più tremendo non è l'abbandono di impero e Chiesa da parte delle moltitudini, ma la secessio che in loro si opera dalle loro proprie missioni, dalla funzione e dalla fede che avrebbero dovuto incarnare». Lo stesso Cacciari aveva dichiarato in un’intervista dopo l’abdicazione: «Perché Ratzinger si dimette? Non è un segno o una lucida dichiarazione di impotenza a reggere una funzione katecontica? Ratzinger dice: continuerò a essere sulla croce. Quindi, la dimensione religiosa rimane. Ma la dimensione katecontica? Simbolo della Chiesa era, assieme, Croce e katechon. Davvero, il segno di queste dimissioni, a saperlo vedere in tutta la sua prospettiva è davvero grandioso perché viviamo in un’epoca in cui lo Stato ha già dichiarato la sua crisi e ora tocca alla Chiesa. Ma la Chiesa nella sua dimensione di “potere che frena”. Ratzinger – ne sono convinto – appare consapevole di questo. Continua a essere sulla croce, ma si dimette. Continua a essere Papa in quanto crocefisso»[15]. Può quindi, nella visione gnostica, che ci riporta a quanto dicevamo di Gioacchino da Fiore, rimanere il Papa spirituale, ma non il potere, cosicché il nuovo Papato non sia più ostacolo alla nuova era. La Chiesa Romana e il Papato infatti, secondo le promesse di nostro Signore, non cesseranno mai di esistere come tali; ma il mancato esercizio del potere, o peggio la negazione del medesimo, e lo svuotamento di tutti i segni esteriori che lo rappresentano, lo priverebbero della funzione katecontica.

Abbiamo quindi potuto appurare alcuni fatti: la volontà mediatica di presentare questo Pontificato come una rottura con lo stesso Ratzinger; l’insistenza di Papa Francesco su una Chiesa che non sia società giuridica perfetta; la coincidenza di questa visione, confermata da Padre Cantalamessa, con le attese dei grandi iniziati e dei poteri mondani. Abbiamo visto come antiche teorie siano in realtà attualissime. Siamo davvero agli ultimi tempi, o semplicemente alcuni cercano di accelerarli seguendo teorie molto chiaramente espresse? Si può pensare come si vuole, ma non si può ignorare che c’è chi agisce contro la Chiesa sulla base di queste teorie. Si tratta unicamente di un’operazione mediatica, o vedremo altri radicali cambiamenti all’interno della Chiesa? Teniamo presente che, in un mondo come questo, quanto è mediaticamente rilevante sembra avere molto più peso di quanto è realmente, e in questo senso il passo in avanti c’è già stato. Chi ne è cosciente attore, chi pedina, chi vittima? A queste domande non sta a noi rispondere, né lo potremmo facilmente. A noi basta sapere che ci si vuole far entrare in una nuova epoca della vita della Chiesa, e contemporaneamente sprofondarci in una nuova era anticristica (basta guardare a cosa sono intenti i governi europei), e tenerci saldi alla dottrina definita.

 



[1] Risposte durante la veglia di Pentecoste dedicata ai movimenti, 18 maggio 2013.

[2] «Quindi studiando più a fondo il pensiero dei modernisti, deve dirsi che l'evoluzione è come il risultato di due forze che si combattono, delle quali una è progressiva, l'altra conservatrice. La forza conservatrice sta nella Chiesa e consiste nella tradizione. L'esercizio di lei è proprio dell'autorità religiosa; e ciò, sia per diritto, giacché sta nella natura di qualsiasi autorità il tenersi fermo il più possibile alla tradizione; sia per fatto, perché sollevata al disopra delle contingenze della vita, poco o nulla sente gli stimoli che spingono a progresso. Per contrario la forza che, rispondendo ai bisogni, trascina a progredire, cova e lavora nelle coscienze individuali, in quelle soprattutto che sono, come dicono, più a contatto della vita. Osservate qui di passaggio, o Venerabili Fratelli, lo spuntar fuori di quella dottrina rovinosissima che introduce il laicato nella Chiesa come fattore di progresso. Da una specie di compromesso fra le due forze di conservazione e di progressione, fra l’autorità cioè e le coscienze individuali, nascono le trasformazioni e i progressi. Le coscienze individuali, o talune di esse, fan pressione sulla coscienza collettiva; e questa a sua volta sull'autorità, e la costringe a capitolare ed a restare ai patti.» (Pascendi, n. 2)

[3] «Il Concilio è stato un’opera bella dello Spirito Santo. Pensate a Papa Giovanni: sembrava un parroco buono e lui è stato obbediente allo Spirito Santo e ha fatto quello. Ma dopo 50 anni, abbiamo fatto tutto quello che ci ha detto lo Spirito Santo nel Concilio? In quella continuità della crescita della Chiesa che è stato il Concilio? No. Festeggiamo questo anniversario, facciamo un monumento, ma che non dia fastidio. Non vogliamo cambiare. Di più: ci sono voci che vogliono andare indietro. Questo si chiama essere testardi, questo si chiama voler addomesticare lo Spirito Santo, questo si chiama diventare stolti e lenti di cuore.» (Papa Francesco, Omelia del 16 aprile 2013).

[4] Risposte durante la veglia di Pentecoste dedicata ai movimenti, 18 maggio 2013.

[5] Sappiamo bene che l’espressione “presiedere nella carità”, riferita alla Chiesa Romana, risale a sant’Ignazio d’Antiochia. Tuttavia c’è un uso strumentale moderno di tale espressione, che vuole opporre l’agapé alla societas, concetti che invece coincidevano nel linguaggio dei Padri antichi.

[6] Due proposizioni condannate del Sillabo a titolo di esempio:

«LXXV. Intorno alla compatibilità del regno temporale col regno spirituale disputano tra loro i figli della Chiesa cristiana e cattolica. LXXVI. L'abolizione del civile impero posseduto dalla Sede apostolica gioverebbe moltissimo alla libertà ed alla prosperità della Chiesa».

[7] «L’una e l’altra spada sono in potestà della Chiesa, cioè la spada spirituale e quella materiale. Ma questa deve essere usata in favore della Chiesa, questa dalla Chiesa. Quella è nella mano del Sacerdote, questa dei Re e dei soldati, ma secondo il cenno e il volere del Sacerdote. Occorre infatti che un gladio sia sottomesso all’altro, e che l’autorità temporale sia sottomessa a quella spirituale». Bonifacio VIII, Bolla Unam Sanctam del 18 novembre 1302.

[8] J. M. Bergoglio - A. Skorka, Il cielo e la terra, A. Mondadori 2013.

[9] Gioacchino da Fiore, Liber de Concordia novi ac veteris Testamenti.

[10] Pietro di Giovanni Olivi (1274-1298), Lectura in Apocalypsim; Ubertino da Casale (1259-1330ca.), Arbor vitae crucifixae Jesu Christi.

[11] P. Sabatier, Vie de St. François d’Assise, Paris, 1931. La sua opera è ripresa dai modernisti e dagli ordini francescani stessi dopo il Concilio. Una piccola bibliografia sulle opere di questo tipo:

E. Buonaiuti, Francesco d’Assisi, Roma, 1925.

J. Le Goff, Francesco d’Assisi (raccolta di saggi), Milano 1998 (1a ed. it. 1967) (allievo di Bonaiuti).

P. Stanislao da Campagnola O.F.M.Capp., Introduzione alle Biografie di Francesco d’Assisi in Fonti Francescane, Padova, 1977.

R. Manselli, Nos qui cum eo fuimusContributo alla questione francescana, Roma, 1980 (pubblicata dall'Istituto Storico dei Cappuccini).

C. Leonardi, Il francescanesimo tra mistica, escatologia e potere, in “I Francescani nel Trecento, Atti del XIV Convegno internazionale della Società Internazionale di Studi Francescani”, Perugia-Assisi, 1988.

G. Miccoli, Francesco d'Assisi. Realtà e memoria di un’esperienza cristiana, Torino, 1991.

D. F. Accrocca, Francesco e le sue immagini. Momenti della evoluzione della coscienza storica dei frati Minori (secoli XIII-XVI), Padova 1997 (l’autore è sacerdote cattolico).

P. Pietro Messa O.F.M., Frate Francesco tra vita eremitica e predicazione, Assisi, 2001.

P. Pietro Maranesi O.F.M.Capp., Francesco, i suoi frati e la gente: evoluzione di una vocazione ad essere nel mondo, in “Miscellanea Francescana”, luglio-dicembre 2003.

[12] Dal saggio del P. Paolo M. Siano, F.I., Note di storia del francescanesimo, in Annales Franciscani, III (2008), pp. 108-213, unico studio recente che confuta le tesi neofrancescane.

[13] «Noi, donne e uomini di Chiesa, siamo in mezzo ad una storia d’amore: ognuno di noi è un anello in questa catena d’amore. E se non capiamo questo, non capiamo nulla di cosa sia la Chiesa [...] Ma la Chiesa non cresce con la forza umana; poi, alcuni cristiani hanno sbagliato per ragioni storiche, hanno sbagliato la strada, hanno fatto eserciti, hanno fatto guerre di religione: quella è un’altra storia, che non è questa storia d’amore. Anche noi impariamo con i nostri sbagli come va la storia d’amore». Omelia di Papa Francesco del 24 aprile 2013.

[14] In 2.am ad Thessalonicenses, c. II, lect. 1:«Sed quomodo est hoc, quia iamdiu gentes recesserunt a Romano imperio, et tamen necdum venit Antichristus? Dicendum est, quod nondum cessavit, sed est commutatum de temporali in spirituale, ut dicit Leo Papa in sermone de apostolis. Et ideo dicendum est, quod discessio a Romano imperio debet intelligi, non solum a temporali, sed a spirituali, scilicet a fide Catholica Romanae Ecclesiae. Est autem hoc conveniens signum, quod sicut Christus venit quando Romanum imperium omnibus dominabatur, ita e converso signum Antichristi est discessio ab eo» («Ma come è avvenuto che le genti si sono già separate dall’Impero Romano, e tuttavia non è venuto l’anticristo? Si deve dire che l’Impero non è ancora cessato, ma da temporale è stato mutato in spirituale, come dice Papa san Leone nel sermone sugli apostoli. E perciò si deve dire che l’apostasia dall’Impero Romano va intesa non solo del temporale, ma dello spirituale, cioè dalla fede cattolica della Chiesa Romana. È invero un segno conveniente che come il Cristo venne quando l’Impero Romano dominava tutte le genti, così all’opposto il segno dell’anticristo è l’apostasia da questo»).

[15] www.vita.it/mondo/attualita/la-chiesa-ormai-un-potere-che-fr...

Fonte: La Tradizione Cattolica n° 2 - 2013






Caterina63
00lunedì 11 agosto 2014 11:47
L'Anticristo ebreo e il misterioso «katéchon», elementi chiave dell'apocalittica cristiana

di Francesco Lamendola - 03/02/2009

Fonte: Arianna Editrice 


666 El Anticristo by Esparta.

Sant'Agostino, nella sua monumentale opera «De Civitate Dei», riferisce una profezia della Sibilla Eritrea che si riferirebbe, con alcuni secoli di anticipo, alla venuta del Salvatore annunciato dai cristiani.
Ecco il passo in questione (Agostino, «La Città di Dio», a cura di C. Borgogno, Edizioni Paoline, 1951, vol. 2, pp. 344-47):

«Riferiscono alcuni che in quel medesimo tempo abbia vaticinato la Sibilla Eritrea. Varrone disse che le Sibille furono parecchie, non una sola. Questa Sibilla Eritrea scrisse delle cose molto chiare intorno a Cristo, che noi pure abbiamo letto in versi di cattiva lingua latina, mal composti, per l'imperizia di non so qual traduttore., come ho poi saputo. 
Il chiarissimo Flacciano, infatti, uomo di grande eloquenza e dottrina, che era stato anche proconsole, udendoci parlare del Cristo, ci mostrò un Codice greco, affermando che erano i vaticini della Sibilla Eritrea e ci fece vedere un tratto di quel codice in cui, al principio d'ogni verso, le lettere sono disposte in modo da leggervi queste parole: 'Ιησοΰς Χριστòς Θεοΰ ύιòς σωτήρ che significa: Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore. (…)
Questa Sibilla Eritrea, o come i più credono, Cumana, in tutto il suo carme, di cui questa è una minima parte, non ha niente che si riferisca al culto degli dei falsi o degli dei creati: anzi parla tanto contro di essi e contro i loro adoratori, che pare si debba mettere nel numero di coloro che appartengono alla Città di Dio.
Anche Lattanzio nella sua pera inserisce alcuni vaticini della Sibilla sebbene non dica quale, intorno a Cristo…»

Questa, dunque, la profezia della Sibilla Eritrea; profezia dalla dubbia interpretazione, come lo stesso Agostino avverte: perché, non esistendo in latino una lettera corrispondente alla Y greca, l'inizio di ben tre versi del carme (il quinto, il diciottesimo e il diciannovesimo) risulta intraducibile.

«Perciò - dice Agostino - se unendo le lettere iniziali di ogni verso, non leggiamo quelle di questi tre versi, ma in loro luogo consideriamo la lettera Y come se fosse stata realmente posta, con cinque parole si dice: Jesus Christus Dei Filius Salvator, Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore, ma questo si esprime nella lingua greca, non nella latina.»

Sia come sia, questa profezia ha costituito la base per una caratteristica credenza dell'escatologia cristiana medievale, intrecciatasi e sovrappostasi a una produzione ebraica di vaticini sibillini di presunta origine pagana. Naturalmente i rabbini ebrei cercavano di fondare tali testi e tali interpretazioni in senso mosaico, come profezie della venuta di un Messia restauratore della passata grandezza del regno di Davide e Salomone; mentre i monaci cristiani intendevano comprovare l'annuncio della venuta di Cristo da fonti pagane (come avvenne per la famosissima IV ecloga delle «Bucoliche» di Virgilio, di cui ci siamo già occupati nel saggio «Il culto di Virgilio nel Medioevo», sempre consultabile sul sito di Arianna Editrice).
Il diffondersi, nell'escatologia cristiana medievale, di profezie di origine pagana relative all'avvento del Salvatore preparò, a sua volta, il terreno per l'insorgere di una manifestazione caratteristica dell'apocalittica tardomedievale: quella relativa alla venuta dell'imperatore degli ultimi tempi e dell'Anticristo ebreo, eventi che precederanno immediatamente il definitivo ritorno di Cristo e la fine del mondo, con relativo Giudizio Finale.

Scrive Gian Luca Potestà nel suo saggio «Escatologia, apocalittica, millenarismo» (nell'opera «Il Cristianesimo: grande atlante» diretta da Giuseppe Alberigo, Milano, Garzanti, 2006; vol. 1, «Dalle origini alla Chiesa contemporanea», a cura di Roberto Rusconi, pp. 318-19):

«Nella "Città di Dio" (XVIII, 23) viene riportato un carme attribuito alla Sibilla Eritrea, la quale avrebbe profetizzato la venuta del messia molto tempo prima di Gesù. Anche grazie all'autorità di Agostino, un antico genere letterario di origine preclassica trovava dunque posto nella dottrina cristiana. Le sibille del mondo antico erano figure leggendarie di profetesse, originariamente collocate in Asia Minore. Nella Roma repubblicana e imperiale un collegio di appositi sacerdoti aveva custodito i testi sibillini, consultati per scrutare il futuro in caso di pericoli o di catastrofi. Al più tardi dal II secolo a. C. era stata avviata da ambienti ebraici la produzione di vaticini attribuiti alle sibille, nei quali si propagandavano le credenze religiose e le attese messianiche ebraiche. In ambito cristiano le predizioni vennero modificate in modo tale che alle veggenti pagane fossero attribuiti lontani preannunci dell'avvento di Gesù Cristo. Nella vasta raccolta nota come "Oracula Sibyllina" ("Oracoli Sibillini") eventi quali guerre e cataclismi naturali, conquiste, stermini e cadute di regni e imperi si trovano ricondotti entro un disegno da lungo tempo noto alle sibille, e per tramite loro comunicato agli uomini, culminante nel primo avvento di Gesù e nel suo atteso ritorno finale.

Se concentriamo il nostro sguardo sulle valenze escatologiche dei testi sibillini cristiani tardoantichi e altomedievali, ci imbattiamo immediatamente nella "Sibilla Tiburtina". Il testo originario siriaco è andato perduto. Il testo greco, databile agli inizi del VI secolo, non contiene la sezione apocalittica finale, che invece compare nelle redazioni latine, allestite con tutta probabilità in Italia meridionale tra la fine del X e i primi decenni dell'XI secolo. La sezione apocalittica attestata nelle redazioni latine della Sibilla presenta molti elementi comuni con la sezione finale delle "Revelationes" ("Rivelazioni") dello Pseudo-Metodio, testo composto in ambienti monastici siriaci intorno al 691, per rilanciare il prestigio imperiale entro territori mesopotamici da poco caduti sotto la dominazione islamica, e noto in occidente fin dal secolo VIII (le  redazioni latine di entrambi i testi ebbero notevole diffusione, come dimostra l'elevato numero di manoscritti rimasti).

Allo stato attuale, non si può affermare con certezza se la sezione apocalittica dello Pseudo-Metodio sia derivata dalla "Sibilla Tiburtina" o viceversa. In ogni caso, si deve pensare a un modello creato nei territori orientali dell'Impero in un periodo anteriore alla fine del VII secolo. Dopo aver narrato la storia del mondo, le partici conclusive di entrambi gli scritti presentano gli eventi finali attesi come imminenti, offrendo un esempio storicamente importante dei possibili utilizzi politici e propagandistici del genere apocalittico. Viene innanzi tutto previsto l'avvento di un sovrano dei romani e dei greci destinato a regnare per un tempo lunghissimo e a liberare le terre invase dagli infedeli. Durante il suo regno vi saranno ricchezza e abbondanza, i popoli nemici della fede saranno vinti e il paganesimo sarà annientato.

Nel frattempo nascerà l'Anticristo, un ebreo proveniente dalla stirpe di Dan, cioè da una delle dieci tribù perdute di Israele.
L'imperatore si recherà quindi a Gerusalemme pere deporvi le insegne imperiali e consegnare il suo regno a Dio. Non essendo più trattenuto da alcuna forza benefica (nella "Tiburtina" e nello Pseudo-Metodio l'imperatore dei tempi ultimi rappresenta il "katéchon" preconizzato in 2 Ts. 2), l'Anticristo  potrà allora imperversare a Gerusalemme, abbatterà il patriarca Enoch e il profeta Elia ricomparsi sulla terra per cercare di opporglisi, ma infine sarà eliminato per intervento divino.

La visione apocalittica della "Tiburtina" e dello Pseudo-Metodio fa perno su due figure fra loro contrapposte: l'imperatore dei tempi ultimi e l'Anticristo ebreo.  Nei primi secoli l'Anticristo era stato tendenzialmente identificato con Nerone o con un "Nerone redivivo" (tradizione attestata nell'apocalittica delle origini cristiane e negli "Oracula Sibyllina"  e riecheggiata fra l'altro nella stessa "Sibilla Tiburtina"). La sua provenienza dal popolo ebraico era stata prospettata da Ireneo e da Gerolamo, e proprio Ireneo aveva proposto, sul fondamento di un esile fondamento scritturistico, che egli dovesse provenire dalla discendenza di Dan. La "Tiburtina" e lo Pseudo-Metodio determinarono così la prima diffusione di due miti escatologici destinati a sopravvivere fino all'Evo moderno.

In occidente l'attesa del sovrano dei tempi finali e dell'Anticristo ebreo venne riproposta nel "De ortu et tempore Antichristi" ("Nascita e tempo dell'Anticristo"), una biografia immaginaria dell'Anticristo, composta fra il 949 e il 954 dal monaco Adsone di Montier-en-Der. Gli elementi fondamentali della leggenda siriaca permangono in forme riviste e aggiornate: in particolare: il sovrano degli ultimi tempi viene qui identificato con un re dei Franchi (non a caso l'opera si presenta come una lettera diretta a Gerberga, moglie di Luigi IV, re dei Franchi occidentali). Combinando indicazioni desunte dallo Pseudo-Metodio con altre offerte da Gerolamo, Adsone spiega che l'Anticristo sarebbe nato a Babilonia, sarebbe cresciuto a Betsaida e Corazin - le due cittadine maledette da Gesù - a avrebbe infine concluso la propria carriera a Gerusalemme, insediandosi  nel tempio ricostruito. Anche per Adsone la vicenda escatologica è destinata a compiersi a Gerusalemme, città considerata in occidente, quanto meno fino al XII secolo, come il centro del mondo, nel senso non so della storia, ma anche della geografia della salvezza.»

A questo punto, andiamo a controllare l'affermazione di san Paolo nella Seconda lettera ai Tessalonicesi (si noti, peraltro, che non tutti i filologi neotestamentari sono concordi nell'attribuzione paolina di quel testo). Ed eccone le precise parole (traduzione dalla «Bibbia di Gerusalemme», capitolo 2, versi 1-11):

«Ora vi preghiamo, fratelli, riguardo alla venuta del Signore nostro Gesù Cristo e alla nostra riunione con lui, di non lasciarvi così facilmente confondere e turbare, né da pretese ispirazioni, né da parole, né da qualche lettera fatta passare come nostra, quasi che il giorno del Signore sia imminente. Nessuno vi inganni in alcun modo! Prima infatti dovrà avvenire l'apostasia e dovrà essere rivelato l'uomo iniquo, il figlio della perdizione, colui che si contrappone e s'innalza s'innalza sopra ogni essere che viene detto Dio o è oggetto di culto, fino a sedere nel tempio di Dio, additando se stesso come Dio.

Non ricordate che, quando ancora ero tra voi, venivo dicendo queste cose? E ora sapete ciò che impedisce la sua manifestazione, che avverrà nella sua ora. Il mistero dell'iniquità è già in atto, ma è necessario che sia tolto di mezzo chi finora lo trattiene. Solo allora sarà rivelato l'empio e il Signore Gesù lo distruggerà con il soffio della sua bocca e lo annienterà all'apparire della sua venuta, l'iniquo, la cui venuta avverrà nella potenza di satana, con ogni specie di portenti, di segni e prodigi menzogneri, e con ogni sorta d empio inganno per quelli che vanno in rovina, perché non hanno accolto l'amore della verità per essere salvi. E per questo Dio invia loro una potenza d'inganno perché essi credano alla menzogna, e così siano condannati tutti quelli che non hanno creduto alla verità, ma hanno acconsentito all'iniquità.»

Si rilegga il versetto 7: «Il mistero dell'iniquità è già in atto, ma è necessario che sia tolto di mezzo chi finora lo trattiene». 
Paolo, dunque, attribuisce il ritardo della Parusia (il ritorno definitivo di Cristo) a qualcosa o a qualcuno che "trattiene": il "katéchon", appunto; ossia una forza o una persona che impedisce la manifestazione dell'Anticristo, evento che necessariamente dovrà precedere la Parusia stessa.
D'altra parte, fin quasi dalle origini del cristianesimo e lungo tutto il Medioevo, l'escatologia era stata contraddistinta dalla convinzione (già espressa da Paolo nella «Lettera ai Romani», capitoli 9-11) che, prima della Parusia, anche gli Ebrei si sarebbero convertiti; e che il ritardo di essa fosse dovuto proprio alla loro ostinazione nel perseverare nell'errore.

Ricordiamo, per inciso, che i rapporti fra le prime comunità cristiane e le comunità ebraiche sparse nell'Impero romano non era o mai stati idilliaci: gli Ebrei consideravano i cristiani come una setta eretica e blasfema, e si adoperarono spesso per istigare le pubbliche autorità contro di essi, fin dal tempo della persecuzione di Nerone (dietro la quale c'era Poppea Sabina che, a sua volta, era vicinissima ai circoli giudaici della capitale).

Ci piace, in proposito, citare una pagina di Vittorio Messori (da: «Pensare la storia. Una lettura cattolica dell'avventura umana», Edizioni Paoline, 1992, pp. 407-08):

«…Chi conosce la storia della Chiesa primitiva sa che essa si salvò dalla distruzione da parte ebraica solo grazie alla potenza romana che imponeva la sua legge. Gli ""Atti degli Apostoli" ci testimoniano di Paolo e degli altri apostoli e discepoli più volte salvati dalle mani della Sinagoga grazie al rude intervento dell'autorità imperiale. Non si salvò Stefano, lapidato dagli ebrei con un colpo di mano, né Giacomo di Zebedeo, il fratello di Giovanni, decapitato nel 44 da Erode Agrippa esplicitamente per ingraziarsi le autorità giudaiche. Nel 61 bastò (lo racconta un giudeo come Giuseppe Flavio) che il procuratore romano Festo morisse e che il successore Albino tardasse a venire perché il Sinedrio condannasse a morte l'altro Giacomo, il "fratello" di Gesù, il primo vescovo di Gerusalemme, "e altri (cristiani) colpevoli di avere violato la Torah", dice Guseppe. Quando, 5 anni dopo, nel 66, scoppiò la prima, terribile rivolta, la comunità cristiana, privata della protezione della legge e delle armi di Roma, si salvò dall'ira ebraica soltanto fuggendo in massa in Perea, in territorio in maggioranza pagano.

Ma, nel 132, ecco la seconda rivolta, capeggiata da Simone Bar Kokheba, acclamato Messia anche dal rande rabbi Akiba. Quella volta, non ci fu tempo per fuggire, per rifugiarsi sotto l'autorità di quella Roma che nel cristianesimo primitivo assolse a un ruolo insieme di protezione  e di persecuzione. (Anche qui, verità impone di non dimenticare che alcune almeno delle persecuzioni pagane si devono alle denunce presso l'autorità romana fatte dalle autorità dell'ebraismo, allora "religio licita", riconosciuta dalle leggi dell'Impero, a differenza della "eresia dei Galilei". Per molti storici, è certo che, nel 64, Nerone dirottò sulla comunità cristiana le accuse di aver incendiato Roma - scatenando il crudele massacro - dietro consiglio di Poppea la quale, come molte matrone romane, si circondava di rabbini, probabilmente essendosi fatta "proselita", cioè convertita all'ebraismo. Del resto,  Svetonio ci informa che già verso il 50 Claudio era stato costretto a espellere da Roma "i Giudei i quali, ad impulso di Cresto, facevano frequenti tumulti".
Per dirla con Max Weber, il famoso sociologo, soprattutto della religione: "Il fortissimo inasprimento delle relazioni tra giudaismo e cristianesimo è stato, nei primi secoli, provocato essenzialmente non da parte cristiana ma giudaica. Gli ebrei, in una posizione garantita verso i Romani, sfruttavano la posizione precaria dei cristiani, non protetti dai loro privilegi verso il dovere del culto all'imperatore, per mettere in movimento contro di essi la forza dello Stato. Essi furono quindi considerati dai cristiani come i primi responsabili della persecuzione").

Per tornare al 132, a quando l'ebraismo, scacciati i Romani, ritorna, per un paio di anni, padrone di Israele e si coniano addirittura monete con impresso "Anno primo dell'era messianica", abbiamo al proposito la testimonianza di Giustino, nato in Plestina, che scrive pochi anni dopo soltanto. "Bar Kokcheba - testimonia quel santo - fece subire ai cristiani, e ai cristiani solamente, gli estremi supplizi, se non rinnegavano e non bestemmiavano Gesù Cristo".
Da questo -e da molti altri inquietanti precedenti - sembra sicuro che, se con Costantino e successori, l'Impero si fosse convertito all'ebraismo e non al cristianesimo, per quest'ultimo ci sarebbero state ben poche possibilità di sopravvivere, almeno alla luce del sole…»

Ciò detto, ritorniamo alla misteriosa figura del "katéchon", di "colui che trattiene" la forza maligna dell'Anticristo e, in questo senso, ritarda la fine della storia e l'avvento definitivo di Cristo sulla Terra.
Non è qui possibile fare una esposizione, neanche in modo sommario, delle esegesi che si sono intessute attorno alla sua figura, nella teologia cristiana, nel corso dei secoli; il loro numero è così grande che sarebbe necessario compilare, come minimo, un apposito volume, solo per rendere conto delle più significative tra esse.

Carl Schmitt, in particolare, vi ha visto non già una figura individuale, ma una forza storica: quella che, volta a volta, trattiene l'umanità dal conflitto generalizzato, dallo scatenamento degli istinti di violenza di tutti contro tutti; per lui, dal XVI al XX secolo la funzione di "katéchon" è stata svolta dallo Stato (strano: la sua teoria si potrebbe rovesciare come un guanto e vedere nello Stato la più virulenta forza distruttrice della storia, autentico Anticristo della modernità).

Ma, per tornare ai nostri giorni, il concetto del "katéchon", di colui che trattiene le forze della distruzione, è stato trattato da Maurizio Blondet nel suo libro ormai famoso «Gli Adelphi della dissoluzione. Strategie culturali del potere iniziatico» (Milano, Edizioni Ares, 1994). Questi sostiene che al filosofo Massimo Cacciari, nel corso di una intervista nella sua casa veneziana, nel settembre del 1993, sarebbe sfuggita una frase enigmatica, di cui era sembrato subito pentirsi: «Il papa deve smettere di fare il katéchon!».
C'è qualcuno, oggi, che vorrebbe eliminare la presenza del "katéchon", per aprire le porte alla grande distruzione degli ultimi tempi, per spianare la strada all'Anticristo? Esistono, nell'ombra, delle forze potenti - finanziarie, politiche, culturali - interessate a sbarazzarsi dello sforzo di "colui che trattiene", ad aprire le porte al Male?

Parlare di simili cose, ormai, è divenuto pericoloso per gli studiosi amanti del quieto vivere, della pubblicità, dell'accesso ai grandi mezzi d'informazione. Il pericolo è quello di vedersi bollati di oscurantismo "medievale", di alimentare la psicosi di un "complottismo" internazionale tanto minaccioso, quanto vago e privo di riscontri documentabili. 

Maurizio Blondet, che non ha mostrato un timore di questo genere, è stato di fatto estromesso dal salotto buono della cultura italiana (con la scusa che è «un fascista»: apostrofe che ormai non significa più nulla, nel gran mare del conformismo politicamente corretto); e non sono in molti quelli che hanno voglia di mettersi sulla sua stessa strada. 

Gli intellettuali italiani sono i più liberi e coraggiosi del mondo, finché si resta nel campo delle parole; ma, non appena fiutano nell'aria il concreto pericolo di perdere le loro prebende  e le loro pingui rendite, diventano di colpo prudentissimi e abbottonatissimi: il tutto dietro lo scudo  ipocrita della serietà professionale. Secondo loro, non sarebbe serio perder tempo con teorie, campate per aria, d'improbabili complotti; né sollevare scomodi interrogativi circa gli odierni poteri occulti, se non si hanno in mano prove lampanti di quanto si afferma.

Già, prove lampanti: niente di più facile. 
Ma il vero motivo di tanta preoccupazione per la "serietà"  scientifica" non sarà, per caso, un altro: e cioè che molti di lorsignori sono, appunto, iscritti nel libro paga di quei poteri occulti, dei quali vorrebbero persuaderci che non esiste traccia?
Gira e rigira, torna sempre alla mente la frase di Baudelaire: «Il diavolo non è mai così contento  come quando si nega la sua esistenza».






Caterina63
00lunedì 11 agosto 2014 11:52

“II Papa deve smettere di fare il katéchon!”

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“II Papa deve smettere di fare il katéchon!” Intervista di Maurizio Blondet a Massimo Cacciari

«II Papa deve smettere di fare il katéchon!»esclamò d’improvviso Massimo Cacciari. Mi stupì la sua foga e ancor più il fatto che subito dopo parve pentirsi, come se la parola gli fosse sfuggita. 
Era un giorno del settembre 1993 e io lo stavo intervistando nella sua casa tersa, piena di volumi. Fuori, Venezia si sfaceva nel suo mare fecale, sotto un cielo grigio.

Katèchon? Non ricordo molto di greco. Dovetti chiedergli che cosa volesse dire. «Katéchon è Ciò che trattiene», rispose Cacciari guardandomi incerto: «Ciò che trattiene l’Anticristo dal manifestarsi pienamente. San Paolo, ricorda?»
Ora ricordavo: seconda lettera ai Tessalonicesi. Il passo enigmatico in cui Paolo di Tarso accenna al futuro manifestarsi dell’Anticristo, Anomos: «II figlio di perdizione, colui che si contrappone e s’innalza sopra tutto quel che si adora come Dio, tanto che siederà egli stesso nel tempio di Dio, spacciandosi per Dio». 
Ma non crediate che la venuta dell’Anticristo sia imminente, aggiunge subito l’apostolo. C’è qualcosa che «trattiene» l’Anticristo dall’irrompere nel mondo.

Ė qualcosa di misterioso, di cui san Paolo deve aver già parlato in passato ai fedeli di Tessalonica. «Non vi ricordate come io, quand’ero tra voi, vi dicevo tali cose? Perciò voi sapete che cosa sia quel che lo trattiene, affinché sia manifestato a suo tempo. Perché è già al lavoro il mistero d’iniquità, ma è necessario che sia tolto di mezzo chi finora lo trattiene. Allora sarà la manifestazione dell’Iniquo»Che cosa può essere «ciò che trattiene» l’Anticristo? Cercai di ricordare. 
Mi risposi che, genericamente, doveva essere la fede cristiana, forse la Chiesa, i sacramenti. Cosi pareva intenderlo Cacciari, del resto, e mi stupì anzitutto che egli pretendesse dal pontefice che «smettesse» di fare ostacolo all’Anticristo, che cessasse di far da argine alla Perdizione. Per quanto patetico appaia oggi quest’argine, se è poi la Chiesa, di fronte all’edonismo e alla secolarizzazione, se sono questi i segni dell’Anticristo, come si può chiedere al papa di non opporsi al Male? Mi domandai anche:perché Cacciari desidera accelerare l’avvento dell’Anticristo?  [1]

La nostra conversazione, fino a quel momento, non faceva prevedere quell’esito. Lo stavo interrogando sui «valori» della cosiddetta «etica laica». Mi rispose, sarcastico, che, per cominciare, andava sgombrato il campo dall’abuso, dalla ripetizione a vanvera del termine «etica». «Ethos, o per i latini Mos, non è affatto ciò che noi oggi intendiamo per “etico” o “morale”. Ethos non indicava comportamenti soggettivi; indicava la “dimora”, l’abitare in cui ogni uomo si trova alla nascita, la radice a cui ogni uomo appartiene. In questo senso, un greco non era più o meno “etico” per sua scelta o volontà. Egli apparteneva ad un ethos. A una stirpe, a un linguaggio, a una polis. Che non era stato lui a scegliere».

Come nell’induismo, osservai: dove un uomo, per il fatto di nascere in una precisa casta, appartiene alla sua casta. Ed è soggetto allo swadharma, la «legge» (dharma, che significa anche «dovere» e «destino») propria della sua (swa) casta. In India non esiste una morale; esiste un dharma per ogni casta e il dharma del contadino è diverso da quello del re, ciascuno ineluttabile e non evitabile.

Cacciari annui: «Ogni società tradizionale ha, o meglio è, un ethos. Ogni società tradizionale, come un albero rovesciato, ha la sua radice nella legge divina, nel nomos. La legge della polis, dice Erodoto, è l’immagine di Dike». L’ethos, ripete, impone all’uomo valori che non è lui a scegliere, a decidere, ma a cui appartiene. Ma in Europa questa appartenenza è entrata in crisi quasi fin dall’inizio. Per l’uomo europeo è venuto molto presto il tempo della frattura con l’ordine degli dèi; il tempo della decisione. L’ethos era già in crisi profonda con l’ellenismo, «cosmopolita» ossia sradicato. «E duemila anni fa, l’ethos ha cessato completamente di esistere».

Duemila anni fa, quando Cristo apparve nel mondo? «Sì, il cristianesimo è stato dirompente rispetto ad ogni ethos». Per provarmelo, Massimo Cacciari cercò un passo nel “De Civitate Dei”. Non riuscì a trovarlo; me ne dette un riassunto ad sensum. «Sant’Agostino lo dice chiaramente: la Città di Dio è pellegrina in terra; ne segue che il cristiano non ha casa o è a casa sua dovunque. Il cristiano “non si cura” dei diversi costumi, delle diverse leggi, delle diverse istituzioni con cui la pace terrena si ottiene o si mantiene». (Ho scoperto dopo che Massimo Cacciari cita quel passo con precisione nel suo Geo‑filosofia dell’Europa, editore Adelphi, p. 116: è il cap. XIX, 12‑17, del De Civitale Dei). Il cristianesimo non ha più radici in costumi tradizionali, in una polis specifica, in un ethos; non ha più nemmeno una lingua sacra.

Ciò vuol dire, continuò, che il cristianesimo si rivela essenzialmente sovversivo dell’Antichità e dei suoi valori; che esso spezza definitivamente i legami fra gli dèi e la società. L’ethos antico era una religione civile; gli dèi erano, inevitabilmente, gli dèi della polis, Erano dèi di ferro: Socrate fu condannato perché la sua libera investigazione offendeva gli dèi della polis, ma radicavano l’uomo, lo riparavano dalla decisione. Il cristianesimo, consumando la rottura con gli dèi della Città, sradica l’uomo: «Con il cristianesimo comincia la nostra “etica” come decisione, come un sistema di valori che io scelgo, come “libero arbitrio”». Uno stato doloroso: il cristianesimo, nella visione di Cacciari, getta l’uomo nella libertà come un naufrago è gettato nel mare in tempesta.

«E la Chiesa è perfettamente consapevole di quanto sia tragica la libertà che ha donato all’uomo. Già Agostino paventa che, sradicati gli dèi della Città, la città dell’uomo diventi il campo dove si scontrano meri interessi, il regno della forza. Per questo tutta la cultura cristiana è un correre ai ripari contro la tragedia che ha provocato, una tensione disperata a riparare il pericolo che viene dalla frattura tra la Città di Dio e la città dell’Uomo. In questo senso, è davvero la Chiesa a fondare la civiltà europea. Perché l’Europa, la sua storia, è la storia di questo sradicamento, dell’angoscioso obbligo di decidere che deriva dalla perdita definitiva dell’ethos. Ė la storia delle soluzioni disperate che l’Europa via via escogita per darsi leggi “morali” le quali ‑ senza sopprimere la libertà ‑ trattengano la società dal divenire il campo della pura violenza».

Ma queste norme, non più radicate nel Sacro, sono per forza precarie, sostenne Cacciari; esse devono continuamente essere «superate». «E qui è la grandezza dell’Europa e la sua miseria: il suo sforzo bimillenario per dare norme a una libertà che è sempre sul punto di delirare. Il fatto è che il cristianesimo, liberando l’uomo dall’ethos, libera in lui la potenza del pensiero: il potere di mettere in discussione ogni tradizione ricevuta, il potere che tutto oltrepassa».

Non potei fare a meno di notare lo stupefacente corollario a cui conduceva quest’ordine di pensierila secolarizzazione totale che viviamo sarebbe dunque figlia della sovversione originaria operata dal cristianesimo. In apparenza antagonisti, l’Illuminismo libertino di cui subiamo gli esiti estremi e la Chiesa, avrebbero in realtà la stessa radice. Protestai (temo troppo debolmente) che non poteva essere; che anche l’ethos cristiano è radicato nel sacro … Cacciari m’interruppe con impazienza: «La vera differenza è che il cristianesimo sa che la volontà dell’uomo è ferita. Che diventando libero, l’uomo diventa libero di fare il male. Ogni “morale” laica e illuminista presuppone il contrario: che ogni uomo ha in sé i princìpi universali dell’azione. Che il bene è scritto nella sua coscienza e gli basta seguirla».

L’Illuminismo è pelagiano nel senso più lato, aggiunse: nega il peccato originale, crede che l’uomo possa salvarsi da sé. «Di più: ogni etica laica suppone che tutto ciò che si manifesta in me come mia natura è buono. Dunque i miei appetiti vanno soddisfatti perché buoni. Anzi, di più: perché necessari. Lungi dal predicare, come fanno i parroci, che gli appetiti vanno “ordinati”, il laicismo pone proprio gli appetiti alla base del vivere civile».

Come, come? «Per esempio, la borghesia crede che il libero espandersi degli egoismi e degli interessi individuali dia luogo a quell’armonia collettiva che chiama “mercato” e di cui scopre adorante le leggi: le “leggi del mercato”. Il marxismo, dal canto suo, ha creduto che dalla lotta scatenata fra le forze economiche potesse nascere l’armonia finale, la “società senza classi”. Ė la scoperta delle economie politiche. Che non a caso sorgono nell’Ottocento, insieme all’estetica».

L’estetica è la «scienza» che scopre le leggi dei godimento soggettivo, come l’economia politica è la «scienza» che scopre le leggi dell’interesse individuale, mi spiegò. «Sono queste due “scienze” a costituire la Modernità, e precisamente questa Modernità che oggi il cattolicesimo si trova davanti come il Nemico».

Il giovane filosofo nero barbuto alludeva al Nemico finale, all’Anticristo? «Negli ultimi settant’anni», continuò lui, «La Chiesa ha creduto che il Nemico fosse il comunismo. Non era sbagliato; il comunismo ha scatenato, ha portato alle ultime conseguenze, la volontà di potenza europea. Il comunismo affermava: l’uomo si salva da sé, armato di economia e di estetica. La Chiesa, giustamente, l’ha sentito come una sfida mortale. Oggi che il comunismo è caduto, però, contro la Chiesa si rizza il Nemico vero, il Nemico finale: un sistema estetico economico totalmente secolarizzato».

Qui capivo meglio a che cosa Cacciari alludesse: quell’ultimo Nemico era già stato identificato dal chiaroveggente Del Noce. Ẻ il capitalismo ulteriore al comunismo, che ingloba in sé le larve psichiche e sociali scampate alla decomposizione del marx­leninismo: «l’intellettuale dissacratore come custode del nichilismo», «trasformato in funzionario dell’industria culturale alle dipendenze del potere» economico. E’ «lo spirito borghese allo stato puro» a cui si riduce la copula necrofila del capitalismo con lo spettro del marxismo, devitalizzato della sua tensione escatologica. Del Noce aveva previsto: il comunismo sconfitto, «trasformato in una componente della società borghese ormai completamente sconsacrata», dominata «da una nuova classe che tratta ogni idea come strumento di potere». Il comunismo addomesticato in «partito radicale di massa, adatto a mantenere l’ordine in un mondo da cui qualsiasi religione è scomparsa»; quello del capitalismo internazionalista, del Nuovo Ordine Mondiale tecnocratico.

Insomma: il peggio dei due sistemi che, falsi antagonisti, anelavano in realtà ad adottarsi l’un l’altro: sì, poteva ben essere questa una buona descrizione dell’Anticristo. Ma Cacciari già continuava: «Per anni la minaccia comunista ha causato un’alleanza forzata tra la Chiesa e il sistema laico borghese. Ora quest’alleanza, che era finta fin dal principio, non è più possibile. Nessuna composizione è possibile tra la Chiesa e lo spirito borghese, con la sua “etica laica”. Per un motivo preciso: che il cristiano deve mettere in discussione ogni sistemazione puramente terrena. Lui, “pellegrino” su questa terra, sa che ogni sistemazione della Città dell’Uomo è transeunte, che deve essere superata».

La sovversione cristiana si volge dunque ora contro il totalitarismo borghese radicale? «Lo spirito estetico­-economico borghese non tollera di essere messo in discussione; non ammette di poter essere superato». Mi parve di leggergli negli occhi l’evocazione paolina del Figlio di Perdizione, «colui che s’innalza sopra tutto quel che si adora come Dio». Cercai di fare dello spirito: «Ma l’essenza della società borghese è il liberalismo e per principio il liberalismo mette in discussione ogni principio …». … «Il sistema borghese tollera di essere discusso solo al proprio interno», sancì Massimo Cacciari: «Verso ciò che è esterno ai suoi “valori”, non ha pietà»E mi elencò i genocidi liberali: a cominciare dallo sterminio dei pellerossa«I pellerossa erano radicati nel loro ethos, e l’americano vedeva nel loro ethos un sistema di non libertà. Lo sterminio delle società sacrali, degli ethoi tradizionali, è prescritto dal liberalismo per il “bene” stesso dell’uomo». Ed enumerò: per sradicare il Giappone dal proprio sacro nomos, non ci volle nulla di meno che l’olocausto nucleare. Migliaia di tonnellate di bombe furono necessarie per stroncare fascismo e nazismo, «forme di neopaganesimo che cercavano di ricollegare la società a un Ethos». E il Vietnam, la Guerra del Golfo, l’intervento «umanitario» in Somalia nel 1993.

«Non si faccia illusioni: anche contro la Chiesa non esiterà ad usare la più inaudita violenza, se la Chiesa si rifiuta di diventare un semplice supporto della società borghese. Ciò che la Chiesa non può fare: perché il cristiano è necessariamente sovversivo di ogni potere politico che si pretenda autonomo. Già negli Stati Uniti si teorizza come l’Avversario irriducibile sia l’Islam. Anche contro la Chiesa il conflitto diverrà sempre più drammatico. Da una parte la Chiesa e l’Islam e dall’altra una “etica” laicista sempre più occasionale, e nello stesso tempo sempre più radicalmente universale, nella sua pretesa di essere l’unica valida».

Purtroppo credo abbia ragione, risposi. Forse viviamo davvero sull’orlo dei tempi ultimi. Sappiamo che cosa aspetta i credenti: la resistenza eroica al di là di ogni umana speranza, il martirio. La Chiesa lo sa: è scritto nella sua tradizione.

Fu allora che Cacciari lo disse. «II Papa deve smettere di fare il katéchon!». Poi, come pentito, precisò: «Voglio dire che lei, come cattolico, sa come finirà. Verrà l’Anticristo e trionferà, ma sarà sconfitto». 

Fonte: http://it.scribd.com/doc/92481912/Maurizio-Blondet-Gli-Adelphi-Della-Dissoluzione-Ares-2005






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di Francesco Colafemmina – 3 aprile 2013

E’ uno dei libri più inquietanti che abbia mai letto. Mi riferisco al nuovo saggio di Massimo Cacciari dal titolo “Il potere che frena”. Molti di noi hanno letto il famoso “Gli Adelphi della dissoluzione” di Blondet, un volume per molti versi profetico, per altri un po’ morbosamente afflitto dalla questione del sabbatismo. Quel volume cominciava così:

“«II Papa deve smettere di fare il katéchon!», esclamò d’improvviso Massimo Cacciari. Mi stupì la sua foga, e ancor più il fatto che subito dopo parve pentirsi, come se la parola gli fosse sfuggita. Era un giorno del settembre 1993, e io lo stavo intervistando nella sua casa tersa, piena di volumi. Fuori, Venezia si sfaceva nel suo mare fecale, sotto un cielo grigio. Katéchon? Non ricordo molto di greco. Dovetti chiedergli che cosa volesse dire. «Katéchon è Ciò che trattiene», rispose Cacciari guardandomi incerto: «Ciò che trattiene l’Anticristo dal manifestarsi pienamente. San Paolo, ricorda?». Ora ricordavo: Seconda Lettera ai Tessalonicesi (2, 6 e seguenti). Il passo enigmatico in cui Paolo di Tarso accenna al futuro manifestarsi dell’Anticristo, Anomos: «II figlio di perdizione, colui che si contrappone e s’innalza sopra tutto quel che si adora come Dio, tanto che siederà egli stesso nel tempio di Dio, spacciandosi per Dio». Ma non crediate che la venuta dell’Anticristo sia imminente, aggiunge subito l’apostolo. C’è qualcosa che «trattiene» l’Anticristo dall’irrompere nel mondo.”

Se già nel 1993 Cacciari riteneva che il papa svolgesse l’azione del katéchon, come valutare il nuovo saggio di Cacciari che nel marzo 2013 in sostanza decreta l’avvenuta rimozione del katéchon?

Partiremo dalla sua lettura del katéchon come ciò che incarna auctoritas e potestas sull’Evo, sul mondosul tempo contenuto fra la prima e la seconda parusia, prima di quella sospensione imprevedibile caratterizzata dalla sua rimozione e dall’avvento dell’Anomos. Ebbene, Anomos è un titolo che già fuga ogni dubbio. L’età anticristica sarà un’età priva di nomos, dove per nomos non si intende la legge intrinseca al funzionamento materiale, meccanicistico delle cose del mondo, ma una legge moraleuna legge che è naturalmente teologica, discende dall’alto e mira in alto, è un valoretrascendente che il katéchon protegge, conserva e detta. Ma cosa accade quando il katéchon viene rimosso?

“Impero e Chiesa secedono, allora, dalle proprie missioni, ma secondo una possibilità sempre aperta ed immanente in loro. Del dilagare dell’apostasia il segno più tremendo non è l’abbandono di impero e Chiesa da parte delle moltitudini, ma la secessio che in loro si opera dalle loro proprie missioni, dalla funzione e dalla fede che avrebbero dovuto incarnare” (p.80).

Leggete però come Cacciari disegna con lucidità profetica la natura dell’anomia anticristica:

E’ il chaos l’Avversario? Ma non certo, come si è visto, nel senso di un ritorno del chaos originario, del disgregarsi di ogni forma in una sorta di ekpirosis [3]da cui possa prendere inizio, ab integro, un nuovo Evo. Esplode, certo, quella figura del ‘dio mortale’, che tutti gli individui in sé uguagliava e conteneva – viene meno la potenza del rappresentare, per cui ciò che rappresenta pensa davvero di contenere in sé il rappresentato -, ma dalla crisi non emerge né assoluta e semplice assenza di legge e comando, né anarchia, né la prospettiva di un nuovo Evo. [...] E’ un nuovo ordine l’anomia; è un nuovo nomos quello dell’Antikeimenos. [...] E il suo segno sarà quello dell’Anticristo, poiché nel segno del Cristo si è formato l’Evo e in riferimento ad esso le epoche e le potenze catecontiche hanno assunto figura. [...] E’ universale mobilitazione, insofferenza di ogni confine, liquidazione di ogni ethos. [...] L’energia che lo muove è quella dell’intollerabilità di ogni auctoritas che venga ‘dall’alto’, di ogni comando ‘sovra-ordinato’.” (pp.81-82).

Per Cacciari la Chiesa “catecontica” è inoltre una Chiesa che mantiene un residuo di potere:

“Un katéchon che non sia energòs proprio grazie alla sua appartenenza ai due grandi campi politico-spirituali, alla sua ‘famigliarità’ con essi, è pura finzione di potere, volontà di impotenza. Perciò la Chiesa, nella misura in cui ritenga necessaria un’energia catecontica, cercherà il compromesso con ‘governi forti’, pur sapendo, col realismo politico che ne contraddistingue tutta la tradizione, che mai si daranno pacificamente in terra imperi obbedienti a chi ritiene proprio carisma l’essere espressione del Fine dell’Evo” (p.66).

Solo in un caso nella storia della teologia, della letteratura e della politica, è stata avanzata una nuova visione della Chiesa, quale istituzione catecontica svuotata della sua “energia”, del suo potere. E’ la visione dantesca in sé inefficace e impraticabile perché pretendeva di sostituire l’auctoritas con una passiva paternitas:

“Un ‘primato’, cioè, che si esprime nel potere della Chiesa di farsi radicalmente umile, povera, evangelica. Che significa apparire al mondo nuda, impotente, crocefissa. Verbum abbreviatum, insomma: è Francesco la salvezza della Chiesa. E solo innalzando la croce di Francesco la Chiesa potrà custodire anche la propria paternitas nei confronti dell’autorità politica. Solo una Chiesa che, confessando apertamente di non essere la città di Dio ‘in atto’, rinunci radicitus ad ogni potere terreno, potrà ancora essere ascoltata e valere nel secolo” (p.99).

Vedremo nei prossimi giorni come Cacciari decreti de facto l’avvenuta rimozione del katéchon, dichiarando il nostro vivere nell’epoca dell’Anomos. D’altra parte Cacciari aveva dichiarato a proposito della rinuncia di Benedetto XVI: “Il Papa si dimette perché non riesce più a contenere le potenze anticristiche, anche all’interno della stessa Chiesa”.

Fonte: http://fidesetforma.blogspot.it/2013/04/il-potere-che-frena-la-rimozione-del.html




Il katéchon è ormai rimosso

15 aprile 2013

Il saggio di Massimo Cacciari va letto non come un semplice studio sull’argomento “katéchon”, ossia su cosa sia “ciò o colui che trattiene l’Anticristo dal manifestarsi”, su come possa esser intesa questa figura, questo concetto in chiave teologica o sociologico-politica. No, il saggio di Cacciari è un vero e proprio manuale per iniziati che vogliano comprendere quanto sta accadendo hic et nunc. 
E’ come se il filosofo volesse farsi analista laico, interprete distaccato di quel mondo esoterico-messianico che vuole accelerare la Seconda venuta ma non secondo la visione di talune sette evangeliche statunitensi, bensì animato dall’inesausta sete di conoscenza propria dell’uomo.

Di un uomo che vuole andare incontro a Dio, richiamandolo quasi per confliggere con Lui, per rivendicarne il potere. Così “Il potere che frena” diventa non solo una guida ermeneutica ai tempi ultimi, ma una sorta di bussola per orientare gli spiriti che li stanno vivendo – almeno stando a Cacciari. Si apre un’epoca nuova, anzi finisce l’ “Evo Cristiano” e tutto resta sospeso. E’ come se il mondo trattenesse il fiato.
Ma in che senso termina questo “Evo” secondo Cacciari?

“Il tempo apocalittico cristiano si fonda su un Evento che ha in sé già ora il compimento del tempo. Ciò fonda la speranza. Non si annuncia la speranza soltanto, ma il suo fondamento, che a tutti si rivolge, assolutamente universale, al di là di ogni distinzione etica o etnica. E questo annuncio può rivolgersi a tutti perché si collega indissolubilmente ad un evento reale, a un fatto storicamente accertabile. La parousia non innova, ma ribadisce che tutto doveva essere deciso alla luce dell’apocalisse del Figlio. Il suo non sarà tanto un ritorno, quanto la manifestazione ultima della sua presenza. Si manifesterà allora come un ladro di notte, non importa quando. Verrà come la morte. E sarà morte del tempo, anche di quello contratto, breve dell’Ora. Il tempo si riassorbirà, allora, nella Luce, imploderà in essenza luminosa, accolto nel Dio-Luce di Giovanni.” (p.115).

Il capitolo più interessante e rivelatore del saggio è ad ogni modo l’ultimo, intitolato “L’età di Epimeteo” [4]Epimeteo, fratello di Prometeo, è colui “che pensa dopo”, non a caso fu Epimeteo ad accettare l’improvvido dono di Zeus, Pandora, colei che scoperchiò per curiosità il vaso contenente i mali dell’umanità. Ebbene, per Cacciari l’epoca post-katéchon è l’età di Epimeteo:

“Nello spazio del tempo apocalittico, la ‘misura’ catecontica permetteva ancora, per quanto debolmente, di sapere, ricordare e prevedere. La potenza che consentiva di credere nella sintesi di tempo e concetto, di ‘progettare’ la storia, organizzandone-contenendone energie e soggetti, era potenza prometeica. [...] Ma alla fine, quando, cioè, il tempo della fine sia compiuto, è un’altra persona della stessa schiatta a dominare, Epimeteo. E sarà questa persona che dovrà indossare chiunque creda ancora di poter assumere una funzione catecontica” (p.117).

Acutamente Cacciari utilizza il termine persona, nel significato latino di personaggio, mascheraChi assumerà il ruolo che fu proprio del katéchon dovrà indossare la maschera di Epimeteo, figura che unisce la potenzialità del titano – sarebbe in teoria capace di esercitare una forza catecontica – all’incapacità di logica previsione del futuro. Epimeteo non attende l’arrivo dell’Anticristo, dunque non pianifica. Agisce come se l’Anticristo non dovesse giungere più, o piuttosto scende a patti con la sua forza (nel mito il potere di Zeus), accettando il suo dono, arrendendosi alla sua volontà di dominio sul genere umano. Ma d’altro canto Epimeteo è fratello di Prometeo: “Il dissolversi della forma catecontica si origina dal suo stesso interno, ‘viene da noi’. Inizia con la critica dell’idea di impero, prosegue con quella di ogni ‘dio mortale’, corrode, infine, logicamente-filosoficamente la realtà dello Stato, lo de-sostanzializza, lo spoglia di ogni auctoritas, ne denuncia la natura di finzione ideologica, dimostra l’impossibilità di superare il piano assolutamente orizzontale della rete dei conflitti e degli interessi.” (p.118).

Ritorna qui l’assoluta decadenza dell’auctoritas, ossia di quell’autorità che non è potere, che discende da un valore, che è riconosciuta liberamente e mai imposta. Ma d’altro canto non dobbiamo illuderci: l’età dell’Anticristo non è, a dire di Cacciari, epoca di evidenze, di sorprendenti misteri di iniquità chiaramente misurabili: “Il momento dell’Antikeimenos non è perciò quello della Tirannia più o meno feroce, bensì quello dell’autonomizzarsi delle sfere di potenza e del confliggere fra di loro alla ‘luce’ dell’apostasia. I diversi domini – economico, finanziario, politico, giuridico, tecnico scientifico – competeranno tanto più duramente, quanto più comune si farà la loro weltanshauung”(pp.124-125).

Il filosofo omette il dominio spirituale, ma siamo certi che ad esso Cacciari rivolga il suo primo pensiero. E lo si evince dalla conclusione del saggio. Una conclusione che è anche un pugnale piantato nello stomaco, una scossa improvvisa, un sinistro e lugubre presagio.

“Tempi e modalità di queste trasformazioni a Epimeteo non è dato sapere. Ciò che la crisi permanente permette oggi ragionevolmente di affermare è che da essa non emergeranno nuove potenze catecontiche. Emergeranno forse ‘grandi spazi’ in competizione, ‘guidati’ da élites che, pur in conflitto fra le loro diverse potenze, sono caratterizzate tutte dalla insofferenza assoluta verso qualsiasi potenza che trascenda il loro stesso movimento. Unite soltanto dalla comune apostasia rispetto all’Evo cristiano” (p.126).

Soffermatevi, vi prego, su quest’ultima riga: élites in conflitto fra loro ma incapaci di accettare potenze che vadano al di là del loro campo di azione e continuino a proporsi come proprie dell’Evo cristiano. Cosa accade dunque? Cosa accadrà? Il bello è che per Cacciari la rimozione del katéchon non è una bizzarra elucubrazione paolina, un atto di fede, né tantomeno un ipotetico evento del futuro. No. E’ un fatto che si è verificato da poco. Per Cacciari, lo si scopre solo al termine del saggio, con la sua ultima riga, il katéchon è stato rimosso. E non sarà peregrino immaginare che questa rimozione coincida con la rinuncia di papa Benedetto, avvenuta circa  un mese prima della pubblicazione di questo saggio:

“Molto di più non sembra sia dato sapere. Prometeo si è ritirato – o è stato di nuovo crocefisso alla sua roccia. E Epimeteo scorrazza per il nostro globo, scoperchiando sempre nuovi vasi di Pandora” (p.126).

Chi ha orecchie per intendere, intenda …

 Fonte: http://fidesetforma.blogspot.it/2013/04/il-potere-che-frena-parte-seconda-il.html

Note

[1] 1 Riguardo alla venuta del Signore nostro Gesù Cristo e al nostro radunarci con lui, vi preghiamo, fratelli, di non lasciarvi troppo presto confondere la mente e allarmare né da ispirazioni né da discorsi, né da qualche lettera fatta passare come nostra, quasi che il giorno del Signore sia già presente. Nessuno vi inganni in alcun modo! Prima infatti verrà l’apostasia e si rivelerà l’uomo dell’iniquità, il figlio della perdizione,4 l’avversario, colui che s’innalza sopra ogni essere chiamato e adorato come Dio,  fino a insediarsi nel tempio di Dio,  pretendendo di essere DioNon ricordate che, quando ancora ero tra voi, io vi dicevo queste cose? ora voi sapete che cosa lo trattiene perché non si manifesti se non nel suo tempoIl mistero dell’iniquità è già in atto, ma è necessario che sia tolto di mezzo colui che finora lo trattiene. Allora l’empio sarà rivelato e il Signore Gesù lo distruggerà con il soffio della sua bocca e lo annienterà con lo splendore della sua venuta. La venuta dell’empio avverrà nella potenza di Satana, con ogni specie di miracoli e segni e prodigi menzogneri 10 e con tutte le seduzioni dell’iniquità, a danno di quelli che vanno in rovina perché non accolsero l’amore della verità per essere salvati11 Dio perciò manda loro una forza di seduzione, perché essi credano alla menzogna 12 e siano condannati tutti quelli che, invece di credere alla verità, si sono compiaciuti nell’iniquità.

(San Paolo: dalla seconda lettera ai Tessalonicesi)

[2] apostasìa s. f. [dal lat. tardo apostasia, gr. ἀποστασία «defezione», der. diἀϕίστημι «distaccarsi»]. 
Ripudio, rinnegamento della propria religione per seguirne un’altra. In partic. , nel diritto canonico cattolico, l’abbandono totale (diverso quindi dall’eresia, che è abbandono parziale) della fede da parte di un battezzato, manifestato esteriormente in modi non equivoci e con la volontà e coscienza di abbandonarla (il passaggio ad altra fede è solo una circostanza aggravante).

 [3] ecpiròi (alla gr. ecpìroṡi) s. f. [dal gr. ἐκπύρωσις, der. di πῦρ «fuoco»].  Secondo la dottrina stoica, conflagrazione universale che distruggerebbe il mondo al termine di ogni suo ciclo (grande anno o anno cosmico).

[4] Epimeteo (gr. ᾿Επιμηϑεύς) Nella mitologia greca, uno dei quattro figli del titano Giapeto e dell’Oceanina Climene (o di Asia), fratello di Prometeo, del quale E. è l’antitesi; tanto «accorto in ritardo» (secondo l’etimologia del nome), quanto Prometeo era previdente. Benché ammonito da Prometeo di non accettare doni da Zeus, E. accolse la bellissima Pandora mandatagli da questo e divenne così responsabile delle sventure dei mortali, sia perché la donna sarebbe per sé stessa un male, sia perché Pandora aprì il vaso dei mali. Da E. e Pandora nacque Pirra




Caterina63
00lunedì 11 agosto 2014 12:01

IL KATECHON / CATECHON / Katéchon 
(dal greco:  - coloro che rifiutano colui che rifiuta) 
(colui o chi trattiene la manifestazione dell' uomo iniquo: l' anticristo)

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Il Katéchon (Catechon) è un concetto biblico di carattere escatologico, che è stato successivamente sviluppato anche come nozione di filosofia politica da alcuni filosofi del novecento (Nomos of the Earth di Carl Schmitt (1942) - Ultimate Things: An Orthodox Christian Perspective on the End Times di Dennis Eugene Engleman (1995) - Multitude: Between Innovation and Negation di Paolo Virno (2008)).
Tale concetto è riconosciuto anche dalla Chiesa Cattolica Apostolica Romana, la quale però tende ad evitarlo come argomento principale dei temi escatologici evangelici e biblici, forse per non alimentare le sue interne correnti millenaristiche.

L'origine del termine, coniato nella tradizione Cristiana, deriva dalla lettera di San Paolo ai Tessalonicesi 2,6-7, in un contesto escatologico, che è possibile così riassumere:

la manifestazione dell' uomo iniquo (l' anticristo) non potrà realizzarsi fino a che il Katéchon/Catechon (colui che lo trattiene) non sarà eliminato. E' infatti questa entità che ancora fortunatamente impedisce tale manifestazione, in una sorta di "incatenamento" (vedi immagine a fianco); manifestazione che di lì a poco, preannuncerà il ritorno di Gesù Cristo, nella sua Seconda Parusia
Questa entità, che impedisce lo scatenarsi dell' uomo iniquo, nel corso dei tempi, è stata individuata dalla tradizione, in questi probabili soggetti:

- Il nome o la presenza di Dio 
- Lo Spirito Santo 
- San Michele Arcangelo 
- La Chiesa Cattolica ed il sacrificio perpetuo dell' Eucarestia 
- Il Papa 
- L' Imperatore Romano 
- L' Impero Romano 
- Il Sacro Romano Impero
- Qualche figura escatologica più o meno importante, che precede l'Anticristo e la fine dei tempi (come i due testimoni del Libro della Rivelazione)
l'unione della Famiglia e della Chiesa nelle loro azioni di indirizzo, al fine della redenzione e salvezza dell' uomo (tesi dell' autore) 

Ecco come San Paolo, nella sua seconda lettera ai Tessalonicesi, lo definisce:

[1]Ora vi preghiamo, fratelli, riguardo alla venuta del Signore nostro Gesù Cristo e alla nostra riunione con lui, [2]di non lasciarvi così facilmente confondere e turbare, né da pretese ispirazioni, né da parole, né da qualche lettera fatta passare come nostra, quasi che il giorno del Signore sia imminente. [3]Nessuno vi inganni in alcun modo! Prima infatti dovrà avvenire l'apostasia e dovrà esser rivelato l'uomo iniquo, il figlio della perdizione, [4]colui che si contrappone e s'innalza sopra ogni essere che viene detto Dio o è oggetto di culto, fino a sedere nel tempio di Dio, additando se stesso come Dio.

[5]Non ricordate che, quando ancora ero tra voi, venivo dicendo queste cose? [6]E ora sapete ciò che impedisce la sua manifestazione, che avverrà nella sua ora. [7]Il mistero dell'iniquità è gia in atto, ma è necessario che sia tolto di mezzo chi finora lo trattiene. [8]Solo allora sarà rivelato l'empio e il Signore Gesù lo distruggerà con il soffio della sua bocca e lo annienterà all'apparire della sua venuta, l'iniquo, [9]la cui venuta avverrà nella potenza di satana, con ogni specie di portenti, di segni e prodigi menzogneri, [10]e con ogni sorta di empio inganno per quelli che vanno in rovina perché non hanno accolto l'amore della verità per essere salvi. [11]E per questo Dio invia loro una potenza d'inganno perché essi credano alla menzogna [12]e così siano condannati tutti quelli che non hanno creduto alla verità, ma hanno acconsentito all'iniquità.



Incatenamento del katéchon/catechon , 1120 d.c. Chiesa San Omobono - Cremona

Perchè cito questo tema, in relazione agli argomenti trattati nel mio libro GESU' PER ULTIMO - il segreto di Ghiaie ?
Perchè la possibilità che ci troviamo oggi a ridosso del tempo in cui la caduta del katéchon/catechon diventerà realtà è molto, molto alta. Infatti il livello di corruzione dell' animo umano, in ogni ramo della sua quotidianità, ha raggiunto ciò che nel Vangelo è stata definita: l' abominazione della desolazione in luogo Santo, (che non è un luogo geografico ma è un luogo fisico e spirituale: il seno materno alcova del senso della vita). 
L' apostasia generalizzata dalla Fede (che è testimonianza della Verità, che è Gesù Cristo), quella predetta da San Paolo, si sta purtroppo realizzando. L' apostolo dice: "... prima infatti dovrà avvenire l' apostasia ..."
L' apostasia può avvenire solo quando l' annuncio è compiuto come Gesù ci dice in Matteo 24:
" .... questo Vangelo del regno sarà predicato in tutto il mondo, affinché ne sia resa testimonianza a tutte le genti; allora verrà la fine ....!
Gesù Cristo è oggi conosciuto dall' umanità intera, anche se moltissimi non lo hanno accolto. 
Molti che sono stati già battezzati nel Suo nome, in realtà lo hanno dimenticato. Perchè ? 
Quali sono le cause di questa apostasia (generalizzata) ?
- L' uomo del terzo millennio ha dimenticato Dio, il suo Creatore, sostituendolo con l'autodeterminazione della tecnocrazia e finanzocrazia; 
- Molte persone consacrate, soprattutto nell' ambito delle gerarchie, hanno tradito lo spirito originario del ministero sacerdotale, svendendosi alla vanità delle debolezze terrene, generando scandalo;
- A causa di cio (la cattiva testimonianza) le Chiese sono sempre più vuote. I confessionali pure. I matrimoni santificati sempre più rari. Il Santissimo Sacramento (l'ostia consacrata, speranza ed antidoto del peccato per l' uomo) sempre meno consumato. Divorzio, aborto ed infedeltà sacerdotale, invece, proliferano.
- Le conversioni dei non cristiani, sono ostacolate dalla non coerenza dei battezzati in tutto il mondo.
L' inzio di questa crisi (maturata nell' ultimo secolo) si è manifestata apertamente nel 2008, con il primo default economico-finanziario delle banche conseguenza di una corruzione diffusa in ogni settore umano. 
Dio sta dimostrando che chi ha costruito la sua vita sull' edonismo e sulla menzogna, si troverà con un pugno di mosche, e rischierà anche la vita eterna della sua anima.
Solo una persona può ritardare o contribuire ad alleviare questa tragica profezia, è Maria Santissima, la Madre di nostro Signore Gesù Cristo.
Come ?
Con un Suo intervento soprannaturale in terra, così eclatante, che molti si convertiranno alla Civiltà dell' Amore, riconoscendo nuovamente in Dio, in Gesù Cristo e nello Spirito Santo le ragioni della Vita nella pace e nel bene.

- Aggiornamento del 11/08/2011 

Nella pagina che ho dedicato al Katéchon/Catechon (questa), ho cercato di spiegare cosa esso sia per la tradizione cristiana e perchè, di questi tempi, è diventato argomento teologico di attualità.
Tra le varie ipotesi di cosa o chi possa essere il katéchon/catechon, così come l'apostolo San Paolo ce lo indica nella sua lettera ai Tessalonicesi, ne ho elaborata una personale che ora vi espongo.
Alla fine delle mie ricerche, sono arrivato nella determinazione che il Katéchon/Catechon in realtà è la Famiglia umana cellula della Famiglia Chiesa e specchio della Famiglia Divina.
Famiglia intesa come unione tra un uomo ed una donna nel vincolo indissolubile del matrimonio così come creati nella tradizione della Genesi.
Infatti il valore della famiglia, nel corso delle alterne vicende della storia umana, è stato di gran lunga più importante di quello dei 2000 anni della Chiesa. Ecco perchè il katéchon/catechon non può essere la Chiesa Cattolica Apostolica Romana ma deve essere per forza ciò che genera la vita nel mondo per dono divino e per co-operazione con Lui.
Ghiaie 1944 quindi, tramite la voce della Madre delle Madri, Maria Santissima, preannuncia la caduta del katéchon/catechon, cioè la caduta della Famiglia, quale colonna di Amore e di comunione con Dio del genere umano.
Senza famiglia, e tutto ciò che essa comporta in termini di educazione e valori, sono aperte le porte a satana per la corruzione di molte anime, sopratutto le anime dei giovani cresciuti proprio senza famiglia. La famiglia è l'entità che "rifiuta la morte", cioè rifiuta il male e satana, proprio come istituzione umana, in quanto è votata alla Vita. 
Da qui la strada aperta alla manifestazione dell' uomo iniquo, il corruttore. 
Ipotesi azzardata ?
 Vedremo.


Per chi si avvicina ora all' argomento, essi potranno partire da questo concetto in sintesi:

"il Katéchon/Catechon è in realtà l'unione della Famiglia e della Chiesa nelle loro azioni di indirizzo, al fine della redenzione e salvezza dell' uomo". 

.QVQ.



  ******************




S.S. Benedetto XVI: un Katechon per la Chiesa di oggi?

Non sono passati nemmeno otto anni dalla morte del predecessore di SS. Santità Benedetto XVI, ossia il beato Papa Giovanni Paolo II. Molti Cattolici sono perciò in grado di ricordare con quanta intensità si diffusero allora voci riguardanti la possibilità che spaccature del Collegio Cardinalizio, incoraggiate da ambienti dell’establishment politico finanziario internazionale, arrivassero ad impedire la elezione di un nuovo Pontefice causando una gravissima crisi nella Chiesa con conseguente scandalo delle anime dei Fedeli.

Queste voci, che circolavano autorevolmente ed insistentemente sia fuori che dentro le mura dei Sacri Palazzi, determinarono una clamorosa iniziativa del quotidiano comunista “il manifesto”. Questo quotidiano, lungi dall’essere un mero foglietto di protesta, ha sempre voluto essere un serio laboratorio intellettuale della Sinistra, denso di analisi critiche redatte da accademici italiani ed esteri. Proprio in questa chiave i suoi animatori hanno avuto un rapporto privilegiato con l’establishment politico e finanziario.

In una recente intervista ad esempio Valentino Parlato ha vantato la sua familiarità con Enrico Cuccia (1907-2000), per varî decenni regista della politica industriale e finanziaria italiana: “Come quella volta che Parlato confessò di aver incontrato Cuccia per chiedergli un solido aiuto finanziario. ‘E certo – conferma lui, cui venne conferita anche la cazzuola d’oro, alta onorificenza della massoneria italiana – a dir la verità con Cuccia ho parlato tante volte. Conversazioni gradevoli, spiritose. Non mi diede mai una lira, ma poi con le banche mi sono giocato quel rapporto”

La redazione di questo autorevole quotidiano decise, per diversi giorni di quell’aprile 2005 in cui venne meno Papa Giovanni Paolo II, di impegnare la propria credibilità analitica e previsionale, cui tanto teneva, incorniciando le pagine dedicate alla morte, ai funerali ed alle procedure per la successione pontificia con una scritta ripetuta di seguito decine di volte: “morto un papa non se ne fa un altro”.

Per Grazia di Dio, nel vero senso del termine, il terribile disegno fallì, pare forse per uno scatto d’orgoglio del defunto Cardinale Carlo Maria Martini che si rifiutò di essere usato come strumento di tali manovre.

La Grazia di Dio portò quindi sul Soglio di Pietro un uomo che aveva una particolare vocazione ad essere Guardiano della Chiesa, vocazione già abbondantemente dimostrata da molti anni nella sua qualità di Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, e che gli ha meritato il soprannome, su cui lui stesso ha amato scherzare [ii], di “pastore tedesco”.

Le grazie che Dio lega ad ogni vocazione nel suo caso gli permisero di cogliere ogni aspetto del dramma cui aveva assistito e lo hanno determinato ad agire concretamente per ostacolare in ogni modo l’inevitabile ripetersi dell’ignobile tentativo quando fosse venuto per lui quel giorno in cui noi tutti dobbiamo incontrare il nostro Creatore.

Se infatti è vero che ogni Vittoria della Chiesa si deve all’intercessione di Maria Regina presso il Suo Divin Figlio, è anche vero che la Potenza di Dio non agisce ordinariamente per vie alternative o parallele alle Sue creature, ma attraverso di esse. Incoronato Pontefice nel 2005, S.S. Benedetto XVI nominò nel 2007 S.Em. Tarcisio cardinal Bertone, già scelto nel 2006 come Segretario di Stato, alla carica di Cardinale Camerlengo, ossia il “tutore” del Conclave. Tutti conoscono la lealtà del cardinal Bertone verso il Papa dimissionario.

Nello stesso 2007 egli provvide con motu proprio dell’11 giugno 2007 a correggere, in nome della Tradizione (“Ut norma traditione sancita restitueretur”[iii]), alcuni aspetti critici della pur recente Costituzione apostolica Universi dominici gregis, emessa il 22 febbraio 1996 a proposito dello svolgimento del Conclave. Ma ciò non era ancora sufficiente a contrastare la malizia diabolica che ispira i nemici, interni ed esterni, della Chiesa.

Pare evidente quindi che S.S. Benedetto XVI abbia deciso di svolgere lui personalmente, in occasione del Conclave, la funzione di colui che, secondo le parole di San Paolo nella sua Seconda Lettera ai Tessalonicesi (2, 6-7), si oppone e trattiene il mistero dell’iniquità, la funzione del katechon, come è definito nel testo greco di San Paolo. Mistero dell’iniquità che nel testo greco è definita katechon, anomia, ossia disordine, caos, assenza di legge. Ma come poteva Sua Santità essere, anche indirettamente ma da vivo, presente al Conclave della sua successione?

L’unica soluzione consisteva nelle sue dimissioni, presentate tuttavia con una motivazione singolarmente “debole”: la vecchiaia, peraltro accettabilmente sopportata (e si noti come il Papa abbia voluto evitare una esagerata ed inutile pubblicità al leggero intervento di routine che ha subito per il cambio della batteria del suo pace-maker cardiaco), e l’abbassamento della sua forza d’animo, dato psicologico suscettibile, al caso, di immediato rinforzo.

Tuttavia la sua presenza, ancorchè nascosta in una cella monastica, dovrebbe bastare a sventare qualsiasi piano di indurre nel Conclave una disastrosa paralisi dovuta a divisioni e lotte interne ai Padri conciliari: in quell’ipotesi drammatica infatti chi potrebbe opporsi alla proposta di rieleggere l’uomo che ha dato una così buona prova sul Soglio di Pietro, uomo che ritroverebbe immediatamente in quel caso tutta la sua forza d’animo?

È d’uopo qui ricordare che se, come senz’altro auspicato da Sua Santità, i nemici interni ed esterni della Chiesa accusassero lo scacco matto e cercassero altre e successive strategie, nei libri di storia, ma non nel Libro della Vita, Papa Benedetto XVI sarà ricordato come il “papa della resa”, della “fuga”, dantescamente “colui che per viltade fece il gran rifiuto”. Un uomo come Joseph Ratzinger, che prima di essere Pontefice è stato ed è un intellettuale, portato per natura a riflettere, a meditare e rimeditare le proprie decisioni, ha perfettamente presente questa conseguenza della sua decisione, ed in perfetta coscienza ha offerto la sua buona fama, il suo onore di Sacerdote, Vescovo e Papa sull’altare di Cristo, per il bene della Chiesa.

Centro Culturale Lepanto

www.lepanto.org

 

Note

Chiara Paolini, Manifesto, in bilico da 40 anni. Ma sempre comunisti, in “il fatto quotidiano”, 28 aprile 2011.

[ii] Maria Egizia Fiaschetti, La cena preferita di Ratzinger? Zuppa calda e succo di mele, in “Corriere della Sera”, Cronaca di Roma, 13 febbraio 2013.

[iii] S.S. Benedetto XVI, De aliquibus mutationibus in normis de electioni romani pontificis, Motu proprio, 11 giugno 2007.







***********************








In un testo di Padre Emmanuel Andrè, intitolato "La Sainte Eglise", si parla degli ultimi tempi della Chiesa e, riportando ampi stralci di parole pronunciate dal grande San Gregorio Magno, scrive:

"La Chiesa sarà come Giobbe sofferente, esposto alle perfide insinuazioni di sua moglie e alle critiche amare dei suoi amici; egli, davanti al quale gli anziani si alzavano e i principi tacevano!

La Chiesa - dice più volte il grande Papa - verso la fine del suo pellegrinaggio, sarà privata del suo potere temporale; si cercherà di toglierle ogni punto d'appoggio sulla terra. Ma dice di più e dichiara che essa sarà spogliata dello sfarzo stesso che deriva dai doni soprannaturali.

Il potere dei miracoli - dice - sarà ritirato, la grazia delle guarigioni tolta, la profezia sarà scomparsa, il dono di una lunga astinenza sarà diminuito, gli insegnamenti della dottrina taceranno, i prodigi miracolosi cesseranno.
Così dicendo non si vuole dire che non ci sarà più nulla di tutto questo; ma tutti questi segni non brilleranno più apertamente e sotto mille forme come nei primi secoli.
Sarà anche l'occasione - spiega ancora il Pontefice - di un meraviglioso discernimento.
In questo stato umiliato della Chiesa, aumenterà la ricompensa dei buoni, che aderiranno a lei unicamente in vista dei beni celesti; quanto ai malvagi, non vedendo più in lei alcuna attrattiva temporale, non avranno nulla da nascondere, si mostreranno quali sono"
(Moralia in Job, libro 35).

E prosegue Padre Emmanuel. "Che parola terribile: taceranno gli insegnamenti della dottrina! San Gregorio proclamava altrove che la Chiesa preferisce morire che tacere. Dunque parlerà ancora, ma il suo insegnamento sarà ostacolato, la sua voce coperta; molti di coloro che dovrebbero gridare sopra i tetti non oseranno farlo per paura degli uomini..."

(Padre Emmanuel Andrè, La Sainte Eglise, Clovis, 1997, pag.296)



Caterina63
00lunedì 11 agosto 2014 12:47

  Forse non è canonicamente valida la rinuncia di Papa Benedetto


 



 Antonio Socci rilancia, sulla sua pagina Facebook, il tema di cui al precedente articolo Chi ha spinto Papa Benedetto a mollare e perché. 
Nel frattempo, Andrea Tornielli, invece, la butta suRatzinger e ratzingeriani, come se si trattasse di partigianeria o faziosità e dalla sua visuale ristretta e vatican-dipendente, non coglie che non si tratta di Ratzinger versus Bergoglio, ma delle sorti della Chiesa e del Papato.
Pubblico di seguito il testo  di Socci:



Il “ritiro” di Benedetto XVI – un anno dopo – si tinge di giallo. Perché emergono “dettagli” che impongono di interrogarsi seriamente sulla sua effettiva validità canonica.
Parto da ciò di cui io stesso sono stato testimone personale. Nell’estate del 2011 ricevo da fonte certa la notizia: Benedetto XVI ha deciso di dimettersi e lo farà dopo aver compiuto gli 85 anni, cioè dall’aprile 2012.
Scrissi tutto su queste colonne il 25 settembre 2011. Fui seppellito da una valanga di risposte sprezzanti sia dall’entourage vaticano che dai vaticanisti. Arrivati alla primavera 2012 qualcuno dei vaticanisti fece ripetutamente notare che la mia previsione non si era realizzata.
Io risposi che si era in pieno nella tempesta di Vatileaks e per quella ragione il Papa non si era ancora dimesso. Infatti l’11 febbraio 2012, appena chiuso il caso Valileaks, Benedetto XVI comunica il suo clamoroso ritiro (si era sempre nel suo 85° anno).
Tuttavia ancora ieri i rosiconi di “Vatican Insider” scrivevano: “Nel corso degli anni, sui giornali italiani, Antonio Socci e Giuliano Ferrara parlarono, con motivazioni diverse, dell’ipotesi che Joseph Ratzinger si dimettesse. Nessuno, a ogni modo, seppe prevedere la tempistica”.
A parte il fatto che la mia era una notizia, mentre l’articolo di Ferrara, uscito mesi dopo, era una sua riflessione culturale, nel mio articolo la tempistica era molto ben definita.

LA CONFERMA DI BERTONE

Inoltre ieri il cardinale Bertone, con una intervista al “Giornale”, ha rivelato: “Il Papa aveva maturato la decisione da tempo, me ne parlò già a metà del 2012”.
Poi decise di ritardare un po’ la comunicazione per le tante tempeste che erano in corso. Ma la decisione era stata presa per l’aprile 2012. Proprio come avevo scritto.
A questo punto mi sono chiesto come facevano quelle mie fonti a sapere con certezza tutto questo già nell’estate del 2011, due anni prima? Chi e perché era in grado di conoscere una cosa simile?
O qualche persona molto vicina al Papa, oppure qualche gruppo di persone che l’aveva con lui “patteggiata” e ottenuta. Ebbene, nell’estate 2011 le persone vicine al Papa non lo sapevano. Dunque ci sono state forze che hanno voluto e premuto per quella decisione fino a “strappargli” una data?

COMPLOTTO ?

Non credo che sia un’esagerazione complottista perché, oltre ai fortissimi attacchi esterni, che hanno connotato il suo pontificato, Benedetto XVI è stato avversato in modo durissimo fin dall’inizio all’interno del mondo ecclesiastico: è evidente dal documento con cui un gruppo di cardinali anonimi, subito dopo il Conclave del 2005, ha infranto il giuramento sul Vangelo diffondendo un presunto Diario delle votazioni che delegittimava Ratzinger e in pratica gli lanciava il segnale di mollare. Prefigurando subdolamente dei fatti che poi si sono davvero realizzati.
Quella delegittimazione pubblica di un papa appena eletto, da parte di cardinali spergiuri, nascosti dietro l’anonimato, non ha eguali nella storia moderna della Chiesa.
E’ possibile pensare che da lì si sia dipanata tutta una strategia ostile che evidentemente puntava proprio alle dimissioni del Papa. Nel libro “Attacco a Ratzinger”, del 2010, Andrea Tornielli e Paolo Rodari, riportano la dichiarazione di un importante cardinale che, dopo il Conclave del 2005, disse di papa Benedetto: “due o tre anni, non durerà più di due o tre anni” (e “lo faceva accompagnando le parole con un gesto delle mani, come per minimizzare”).

INQUIETANTE APPUNTO

Va ricordato anche l’inquietante “appunto” consegnato a Benedetto XVI il 30 dicembre 2011 dal cardinale Dario Castrillòn Hoyos, nel quale si riferivano le cose che un altro cardinale, Paolo Romeo, arcivescovo di Palermo, nel novembre 2011, avrebbe detto ad alcune persone in colloqui avuti a Pechino.
Il Cardinale Romeo, secondo l’estensore del rapporto, avrebbe “aspramente criticato papa Benedetto XVI”. Infine “sicuro di sé, come se lo sapesse con precisione il Cardinale Romeo ha annunciato che il Santo Padre avrebbe solo altri dodici mesi da vivere. Durante i suoi colloqui in Cina ha profetizzato la morte di Papa Benedetto XVI entro i prossimi 12 mesi”.
Tale documento uscì poi sulla stampa nel febbraio 2012 e fece scalpore, ma fu subito dimenticato, anche dai media (sempre superficiali). Declassato a chiacchiera di qualche svagato che aveva frainteso tutto, immaginando attentati e cose simili.
Di certo quel rapporto aveva aspetti strani, ma alla luce di ciò che è davvero accaduto nei dodici mesi successivi, si può dire che era proprio casuale che fosse prevista con certezza l’uscita di scena di Ratzinger?
Di sicuro, con tutto questo oscuro subbuglio di Curia, appaiono poco credibili oggi dichiarazioni come quella fatta a caldo, al momento delle dimissioni del papa, dal cardinale Sodano: “Un fulmine a ciel sereno”.
Sodano – che era Segretario di Stato nel 2005 e fu sostituito da Benedetto XVI nel 2006 - è poi colui che, come decano del Sacro Collegio, ha gestito il nuovo Conclave del 2013. E resta l’uomo forte della Curia.

IL GIALLO

La vicenda delle dimissioni di papa Benedetto è sempre più misteriosa. E pure imbarazzante. Non a caso, per l’anniversario del ritiro, si sono lette cose surreali, come la dichiarazione del cardinale Cottier che ad “Avvenire” ha detto: “Con molta lucidità egli ha misurato le proprie forze e il lavoro da fare. E ha deciso che non si può forzare la Provvidenza”.
Restare al suo posto sarebbe stato “forzare la Provvidenza”? E in quale bignami della teologia sarebbe scritta una simile castroneria, offensiva per papa Benedetto e pure per la Provvidenza, che non è ritenuta in grado di guidare le vite umane? Forse che il Conclave del 2005 andò contro la Provvidenza?
Eccoci dunque davanti alla domanda cruciale: quella sulla “rinuncia” di Benedetto XVI. L’11 febbraio 2013 egli l’annunciò solennemente “ben consapevole della gravità di questo atto, con piena libertà”.
Non è ammissibile dubitare delle sue parole, quindi il suo fu un gesto libero. Tuttavia per ottenere una decisione in tal senso si può premere in molti modi. Non necessariamente con un’imposizione diretta.
C’è chi ha avanzato l’ipotesi che il Papa abbia sentito ventilare eventi catastrofici per la Chiesa che, in cuor suo, riteneva di poter scongiurare facendosi da parte. In questo caso avrebbe preso liberamente la sua decisione, ma quanto sarebbe valido il suo ritiro?
Il problema della validità canonica delle sue dimissioni è enorme. L’invalidità infatti – secondo alcuni canonisti – non riguarda solo il caso di costrizione, ma è da discutere anche in altri casi.
 
SEGNALI SIGNIFICATIVI

Per esempio ci si può domandare se il Pontefice in cuor suo ha messo nella decisione il concorso della volontà, cioè se si è ritirato – oltreché esteriormente – anche interiormente.
Sembra una questione aleatoria, ma nelle cose di Dio il cuore, che Lui solo vede, è determinante.
Infatti perfino per i sacramenti è necessario questo requisito. Nella consacrazione dell’eucaristia ci vuole materia, forma e intenzione: se manca anche solo uno di questi elementi il sacramento è invalido.
Per esempio se manca l’intenzione interiore del sacerdote di consacrare, se egli formula le parole, ma non ha l’intenzione di consacrare, la consacrazione non è valida.
Benedetto XVI si è ritirato anche interiormente?
Oltre al linguaggio delle parole c’è quello dei gesti. Quello che vediamo è che ha scelto di continuare a stare “nel recinto di Pietro”, di vestire in abito bianco, di definirsi “papa emerito” e di continuare a chiamarsi Benedetto XVI (si firma così).
Inoltre ha rifiutato il cambiamento del suo stemma che lo riportava a cardinale, tenendo ancora quello con le chiavi di Pietro. Il Vaticano ha fatto sapere che Benedetto “preferisce non adottare un emblema araldico espressivo della nuova situazione creatasi con la sua rinuncia al Ministero Petrino”.
Sappiamo che nella Chiesa c’è anche il “magistero tacito” . Forse questo è il caso. E di certo Benedetto è in accordo con Francesco. Un bel mistero.
Antonio Socci
Da “Libero”, 12 febbraio 2014





Caterina63
00sabato 16 agosto 2014 22:46
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  Katéchon ci sarai tu!


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Katechon (2)

CHI (O COSA) È QUESTO MISTERIOSO KATÉCHON? In attesa di scoprirlo, pare che dobbiamo ringraziarlo… Siamo talmente abituati agli stordimenti dei riti della nostra società global-mediatico-consumista, che non diamo più spazio a preparare la convocazione davanti a Gesù, Signore della storia. Molti battezzati, che magari si affrettano a dirsi credenti, hanno perso la tensione verso ciò che più conta. Si va e si viene, si vende e si compra, si gioisce e si piange, si ama e si ripudia, senza più nessun riferimento a Cristo. “Asino è chi asino fa”: libera parafrasi da Forest Gump

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Nicola Peircedi Nicola Peirce

Nel 2011 ho scritto un romanzo che non ha venduto molte copieSono uno scrittore mediocre, ne sono cosciente. Ma, come afferma mia moglie, anche se di parte, è stato: un fallimento di grande successo, anzi, di grandissimo successo. Infatti, le copie vendute si contano sulle dita di qualche mano, però i commenti di chi lo ha letto: amici, professori, gente dello spettacolo, un ex play-boy da rotocalco e un famoso vignettista che pubblica in prima pagina, un politico (…politica) all’epoca già di rango e oggi ministro, un cardinale di quelli importanti, qualche sacerdote e, anche, una monaca di clausura, sono stati tutti entusiastici.

"Quid est veritas?", romanzo di Nicola Peirce. Chi volesse leggerlo, può contattare l'autore, scrivendo alla mail di redazione o al suo profilo facebook.

“Quid est veritas?”, romanzo di Nicola Peirce. Chi volesse leggerlo, può contattare l’autore, scrivendo alla mail di redazione o al suo profilo facebook.

La reazione molto positiva, oltre ogni mia aspettativa, di chi lo ha avuto per le mani, mi fa pensare che la trama non sia così malaccio, anche perché tutti mi hanno scritto per ringraziarmi e per dirmi che, una volta iniziata la lettura, non sono più riusciti a smettere. Mi è stato anche detto che sarebbe perfetto come soggetto per un film di fanta-politica, a sfondo catastrofico apocalittico.

Il libro è uscito dalla tastiera del mio computer in pochissimo tempo, nonostante le quasi 400 pagine, poco più di un mese. Ho scritto in una sorta di trance, smettendo raramente. Avevo tutto il racconto davanti ai miei occhi che scorreva man mano che scrivevo. E’ una storia a tinte fosche, parla di un tentativo di golpe planetario, che provoca lo sterminio di metà della popolazione mondiale, escogitato da una lobby finanziario-massonica che vuole conquistare il governo del mondo. Sullo sfondo, tra le righe – non compare mai direttamente ma aleggia costante la sua presenza – si muove il demonio che vuole instaurare il regno dell’anticristo. Per ovvi motivi non vi svelo come va a finire ma posso dirvi che più di un lettore ha definito l’epilogo: “geniale”.

Ora vi spiego perché ho tirato in ballo la mia “opera prima”. Mi sono reso conto, solo da poco, di aver descritto, quattro anni fa, ciò che accade oggi sotto i nostri occhi, che assomiglia molto a quanto profetizzato nella nostra Bibbia. In particolare in quei passaggi e sono numerosi, nei quali si parla degli ultimi tempi. Dell’apostasia, della venuta dell’anticristo, cui seguirà la parusia cioè, per noi cristiani: la venuta di Gesù Cristo alla fine dei tempi, per instaurare il Regno di Dio.

Katéchon: questo sconosciuto…

Katechon, 1120 d.c. Chiesa San Omobono - Cremona.

Katéchon, 1120 d.c. Chiesa San Omobono – Cremona.

C’è però, nella Bibbia, un altro “personaggio”, molto particolare, strettamente legato alla realizzazione di questi “ultimi tempi”, che ha attirato, recentemente, la mia attenzione: il katéchon. Mi sembra di sentirvi: “il kate …chi?”, il katéchon, ovvero: colui o ciò, che impedisce l’avvento dell’anticristo e con questo la conseguente parusia. Non è chiaro se si parli di qualcuno o di qualcosa perché il termine greco viene usato sia nella forma neutra e significa: “l’impedimento” ma anche quale participio maschile che significa: “chi trattiene” (ndr: chi trattiene l’anticristo).

Il katéchon appare solo in una occasione in tutta la Scrittura, nella seconda lettera ai Tessalonicesi, al capitolo due, ed è legato indissolubilmente alla parusia, perché la venuta di Gesù non avverrà finché l’anticristo non abbia manifestato pienamente tutta la sua potenza e il katéchon impedisce, trattiene, questa manifestazione. La cosa particolarmente strana è che appare in un breve capitolo, solo tredici versetti, di una breve lettera, lunga solo tre capitoli, che sembra più una precisazione di Paolo ai Tessalonicesi che non una vera e propria catechesi. In altri termini, ai nostri tempi sarebbe un “tweet”, certamente non un post su un blog. Non mi inoltro in esegesi personali perché sarebbero comunque quelle di un’incompetente, quale io sono. Mi limito a dire che quel passaggio di quella lettera, il capitolo secondo, è uno dei più criptici di tutto il Nuovo Testamento, nonostante la sua brevità.

Infatti è anche uno dei meno commentati, nel corso di due millenni di esegesi cristiana della Sacra Scrittura. È sufficiente dire che Sant’Agostino, una delle colonne portanti della nostra teologia, che ha prodotto una quantità incredibile di scritti, commentando quasi tutta la S. Scrittura in dettaglio e con straordinaria profondità, di questo enigmatico capitolo e del mistero del katéchon fa, solo, un breve e, a mio avviso, poco efficace, commento. Arrivando addirittura ad affermare: «…io davvero confesso che ignoro ciò che intendeva dire (ndr: San Paolo)» (De civitate Dei – libro XX – cap. 19, 1-3).

Sant'Agostino (Affresco di Botticelli nella Chiesa Ognissanti a Firenze). Nemmeno il grande vescovo di Ippona riuscì a capire chi o cosa fosse il Katechon.

Sant’Agostino (Affresco di Botticelli nella Chiesa Ognissanti a Firenze). Nemmeno il grande vescovo di Ippona riuscì a capire chi o cosa fosse il Katéchon.

Altri commentatori antichi, da Ireneo di Lione a Giovanni Crisostomo, sono stati tutti concordi nell’indicare nel katéchon l’Impero Romano ed, in particolare, il potere temporale esercitato dai suoi rappresentanti in Palestina. Giustificando, così, la citazione criptica di Paolo con la necessità di non criticare apertamente l’impero. Anche perché è vero che i giudei furono trattenuti dall’odio contro la chiesa nascente dall’autorità di Roma. Nel periodo in cui Paolo scrisse la lettera in questione cioè tra il 42 e il 62 d.C., l’amministrazione romana aveva riportato la calma, in Palestina, dopo le violente persecuzioni nelle quali furono uccisi Stefano, Giacomo e arrestato Pietro.

Nel corso dei secoli successivi, altri si sono cimentati, tra questi anche Calvino, e hanno dato interpretazioni diverse, indicando, di volta in volta, nel Papa o nella Chiesa o nella fede il katéchon. Quest’ultima interpretazione mi convince abbastanza, anche perché è logica. Infatti, se la manifestazione dell’anticristo avverrà dopo l’apostasia di massa, vuol dire che ci sarà poca fede. Questo coincide, tra l’altro, con l’affermazione di Gesù: «…ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?» (Lc 18, 8b).

Apro una brevissima parentesi.  Nel romanzo che ho scritto, mi sono reso conto ora, perché all’epoca non avevo ancora incrociato questo mistero contenuto nella nostra sacra scrittura, di aver attribuito, senza averne l’intenzione, il ruolo di katéchon, al papa.

Mille e non più mille? …ancora co’ stà storia?

Come i Tessalonicesi di allora, anche noi oggi viviamo tra due estremi: non saper riconoscere i segni dell'avvento del Regno di Dio e, nello stesso tempo, temendo scioccamente fini del mondo ipercatastrofiche, come quelle paventate dalla famosa (quanto cialtronesca) profezia dei Maya.

Come i Tessalonicesi di allora, anche noi oggi viviamo tra due estremi: non saper riconoscere i segni dell’avvento del Regno di Dio e, nello stesso tempo, temendo scioccamente fini del mondo ipercatastrofiche, come quella paventata dalla famosa (quanto cialtronesca) profezia dei Maya.

Resta il fatto che questo capitolo due della seconda ai Tessalonicesi, che vi invito a leggere attentamente –2Ts cap. 2 -, è uno dei passi più ardui della Bibbia. Ma tant’è: è Parola di Dio. Il testo sacro non è un Bignami che raccoglie informazioni e ciò che resta, il ”pensiero”, è da lasciarsi ai volonterosi. A sollecitare la mia attenzione e spero anche la vostra, ha contributo il momento che stiamo vivendo. Crisi esistenziale, crisi di fede, crisi dell’umanità che non è più in grado di definire neanche chi è o meglio, cos’è: uomo, donna, trans, bisex… “animal-house”.

Questo induce a pensieri non tanto di carattere catastrofico, che vanno bene per un romanzo, ma a seguire l’ispirazione di Paolo riguardo la “venuta del Signore” (2Ts 2,1) e sulla nostra “riunione con lui” (2Ts 2,1)Sia ben chiaro non voglio fare profezie da pseudo veggente-indovino. Del resto la cultura moderna, regolata dal pensiero laico, sorriderebbe se qualche mago o qualche Nostradamus da strapazzo rispolverasse vecchie sentenze del tipo: “mille e non più mille”. Anche se, a ben vedere, le profezie Maya hanno, recentemente, turbato il sonno di molti “laici”.

Cosa vuol dire Paolo ai Tessalonicesi (e a noi) introducendo questo termine dal significato oscuro?

Cosa vuol dire Paolo ai Tessalonicesi (e a noi) introducendo questo termine dal significato oscuro?

A me interessa, perché fondamento della mia fede, la mia convocazione davanti al Signore nostro Gesù Cristo. La sua venuta, quando verrà aperto il libro della vita e sarà emesso il giudizio definitivo. Quella è convocazione perenne, inesorabile. I Tessalonicesi vivevano, apprensivi, la venuta di Gesù quale incombente. A torto, perché Paolo non l’aveva mai presentata imminente. Ma si sa: il fascino dell’ignoto, soprattutto se annunziato come giudizio universale, è sempre intrigante.

Al contrario degli abitanti dell’allora Tessalonica, oggi Salonicco, noi, che siamo appena entrati nel terzo millennio, non ce ne diamo troppo pensiero, nonostante gli evidenti segni che ci circondano. Semmai, siamo talmente abituati agli stordimenti dei riti della nostra società global-mediatico-consumista, che non diamo più spazio a preparare la convocazionedavanti a Gesù, Signore della storia. Molti battezzati, che magari si affrettano a dirsi credenti, hanno perso la tensione verso ciò che più conta. Si va e si viene, si vende e si compra, si gioisce e si piange, si ama e si ripudia, senza più nessun riferimento a Cristo.

Obama. Uno di quelli che "sanno di buono".

Obama. Uno di quelli che “sanno di buono”.

Nella prima lettera, Paolo esortava i tessalonicesi con parole che richiamavano il Vangelo: «voi ben sapete che come un ladro di notte, così verrà il giorno del Signore. E quando si dirà: ‘Pace e sicurezza’, allora d’improvviso li colpirà la rovina, come le doglie una donna incinta; e nessuno scamperà. Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, così che quel giorno possa sorprendervi come un ladro: voi tutti infatti siete figli della luce e figli del giorno; noi non siamo della notte, né delle tenebre. Non dormiamo dunque come gli altri, ma restiamo svegli e siamo sobri» (1 Ts 5, 2-6).

L’esortazione vale anche per noi. Siamo chiamati a leggere, tra le righe delle cronache quotidiane, la presenza del demonio, i tratti di quel “mistero dell’iniquità già in atto” (2Ts 2, 7), a ravvisare quali siano le manovre del misterioso “figlio della perdizione che si innalza sopra ogni essere che viene detto Dio” (2Ts 2, 4)A dire il vero, qualche usurpatore delle prerogative divine, si è già affacciato alla storia e ne è anche uscito ”mazziato”, ma se ne stanno affacciando altri alla ribalta e ho l’impressione che questi siano molto più pericolosi di quelli del passato, perché hanno la parvenza del bene, il “sapore di buono”, perché strepitano: “Pace e sicurezza”.

Apostasia? …ma va là!

Una delle opere di Patricia Piccinini. Mostra i futuri (molto prossimi) possibili deliri della scienza.

Una delle opere di Patricia Piccinini. Mostra i futuri (molto prossimi) possibili deliri della scienza.

Ai figli della luce che dovrebberoessere i credenti in Cristo, cioè i cristiani, Paolo indica, quale segno che prelude la venuta del Signore – naturalmente nei tempi lunghi che solo Dio conosce – l’apostasiaChe dite ci siamo o no? Certificati di battesimo buttati nel cestino, quando si tratta di agire secondo i criteri di Dio e non degli uomini. Coppie che hanno messo su “casa” nel nome del Signore, e poi l’hanno prontamente scordato quando questo impegno chiedeva fedeltà a tutta prova: più facile la via larga della legislazione corrente, più laica.

«Portenti, segni e prodigi menzogneri» (2Ts 2,9) non sembrano venire da “clonatori & co.”, duplicatori (da copia-incolla) di vita, che si spacciano, invece, per creatori di vita? Non intendo, con questo, demonizzare ciò che è del nostro tempo, ciò che in qualche modo interpreta quell’essere fatti a immagine e somiglianza di Dio, che abilita a perseguire anche la verità scientifica, psicologica, sociale ma una cosa è essere a immagine di Dio altra cosa è: “sedere nel tempio di Dio, additando se stesso come Dio” (2Ts 2, 4).

Un paziente affetto da Ebola.

Un paziente affetto da Ebola.

Dall’esortazione di Paolo ricavo, per me e spero anche per voi, che i figli di Dio sono gente che dovrebbe stare sempre in allerta. Di fronte alle vicende quotidiane, la nostra, del cristiano, elezione a “profeti”, ereditata con i sacramenti dell’iniziazione: il battesimo, la comunione e la cresima, va esercitata, senza se e senza ma: “in ogni occasione opportuna e non opportuna” (2Tm 4, 2). Io non so chi sia il katéchon – se è una persona, un’istituzione o la fede – ma di una cosa sono certo: molti devono ringraziare questo misterioso “personaggio”, per la sua presenza, il suo impedimento, il suo trattenere la manifestazione dell’anticristo, perché concede una speranza di salvezza. Come si dice: “finche c’è vita c’è speranza” …dopo, i giochi saranno chiusi per sempre: o pecora o capro, o grano o zizzania, o pesce buono o pesce cattivo.

Scusate, dimenticavo, nel mio romanzo, una delle cause dello sterminio della popolazione mondiale è la deliberata diffusione, da parte della lobby che vuole dominare il mondo, di un virus: l’Ebola Reston. Una variante aerobica, prodotta in laboratorio, del virus Ebola. Per vostra informazione, questa variante è stata effettivamente prodotta dal Ministero della Difesa USA e “testata”, con effetti devastanti, alla fine degli anni ’80 (all’epoca dissero che fu un incidente ma…?), in una cittadina della Virginia che si chiama Reston (da qui il nome). Sarà un segno anche questo, visto il recente allarme sanitario globale che riguarda questo virus? Che dire? «attendete alla vostra salvezza con timore e tremore» (Fil. 2, 12) e speriamo che il katéchon rimanga lì dove è, così da rimandare la presentazione del “conto” che sarà salato, molto salato. Su questo non c’è alcun dubbio.






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